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FESTA DELL’IDEA DELL’EUROPA

in occasione dei 70 anni dalla Dichiarazione Schuman (9 maggio 1950)

in collaborazione con il
Liceo Ginnasio Statale “Francesco Vivona”

DAL NULLA ALLO ZERO


Il contributo delle civiltà d’Asia alla matematica europea
Massimiliano A. Polichetti
Museo delle Civiltà
Coordinatore del Museo d’Arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’

Come la distinzione tra ente ed essenza si pone a fondamento del sistema


tomistico, shunyata è la chiave di volta dell’architettura speculativa buddhistica.
Il tema radicale shunya (da cui shunyata) è difatti il termine chiave del metodo
logico-metafisico del buddhadharma (la “Dottrina del Risvegliato”, termine che
andrebbe preferito al neologismo occidentale “Buddhismo”). Come la cifra “zero”
non significa più come al tempo dei sumeri (che pure avevano per esso una
notazione in cuneiforme) il mero nulla, vale a dire il niente tout court, shunyata
definisce la modalità ultima d’esistenza dei fenomeni, non la negazione
dell’essere dunque, bensì solo di quelle modalità che – sottoposte all’analisi
filosofica – si rivelano essere illusorie, accidentali, transitorie, non sostanziali.

Sia il lemma “zero” che il lemma “cifra”, da me evocati, derivano dalla parola
araba sefr, e certamente la civiltà arabo islamica ha giocato un ruolo d’assoluto
rilievo per la proposizione, o talvolta la riproposizione (tale il caso per una parte
della filosofia greca), al contesto mediterraneo di temi di grande portata
scientifica, dalla medicina all’ottica, così come la matematica, sia in funzione di
ponte culturale (vedi appunto il caso dei numeri indiani) che di generatore di temi
originali.

Abu Ja‘far Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi (780–850 ca.), pur nativo della
regione centroasiatica del Khwarezm (l’antica Corasmia), visse a Baghdad
venendo lì nominato dal califfo al-Ma’mun responsabile della biblioteca; sotto la
sua direzione le attività della biblioteca si rivolsero anche alla traduzione in arabo
delle principali opere matematiche del periodo greco-ellenistico, della Persia
preislamica, di Babilonia e dell’India. È l’autore dell’al-Kitab al-mukhtaṣar fi
ḥisab al-jabr wa al-muqabala, trattato che venne “scoperto” nel XII sec. in
Spagna dal matematico inglese Roberto di Chester che ne tradusse una parte in
latino con il titolo Liber algebrae et almucabala, dove “algebrae” è latinizzazione
di al-jabr, lemma dal quale deriva “algebra” (laddove da “al-Khwarizmi”, in cui
compare il toponimo della regione di provenienza dell’autore, deriverà
“algoritmo”). La prima traduzione completa dell’importante trattato fu opera
dell’italiano Gerardo da Cremona (1114–1187).

Fibonacci (filius Bonacci) nel suo Liber abaci, così importante per la scienza
computazionale europea, scienza che porterà a definire gli strumenti a sostegno
del metodo sperimentale, vale a dire della scienza come noi oggi la concepiamo,
si riferiva a sefr con il lemma zephirum:
«Le nove cifre degli indiani sono queste: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove
cifre, e con questo simbolo: 0, che in arabo si chiama zephir, si può scrivere
qualsiasi numero, come si vedrà più avanti.» (Leonardo Fibonacci, Liber
abaci, I incipit).

Fibonacci (nato intorno al 1170 a Pisa, porto strategico per gli scambi
commerciali nel mediterraneo), in giovane età segue il padre nominato
funzionario doganale in un porto algerino; è lì che entra in contatto con la cultura
araba. Rientrato in Italia pubblica nel 1202 la sua opera guadagnandosi in seguito
finanche l’interesse di Federico II. La storia degli studi matematici continua poi in
Italia innanzitutto con Luca Pacioli (1445 ca.–1517), i numeri da definire a questo
punto indo-arabi giungendo ad affermarsi in Europa nel XVI sec..

Grande, importante ed ininterrotta è in India la tradizione della disciplina


matematica, da Aryabhata (matematico e astronomo del V sec. EC) al forse più
noto agli occidentali Subrahmanyan Chandrasekhar (1910-1995), passando da
Brahmagupta (VII sec. EC) ritenuto appunto l’“inventore” dello zero matematico,
concetto molto probabilmente già noto in India dal II sec. dell’EC.
Caratteristica della civiltà indiana è infatti una particolare consuetudine con il
sistema numerico, sia per la definizione puntuale di quantità per noi non solo
difficilmente immaginabili (i periodi cosmici vengono definiti kalpa, mahakalpa,
manvantara della durata di multipli di 380 milioni anni), ma non puntualmente
nominati, laddove al massimo giungiamo a definire il “triliardo”; solo di recente
l’informatica, ma non possiamo anche qui escludere l’influsso più o meno
consapevole di attitudini computazionali “orientali”, è giunta alla definizione di
potenze numerali per esprimere quantità digitali che, almeno per ora, culminano
nello yottabyte, 1024 e – come prefisso binario – nello yobibyte, 280.
Nella più parte delle lingue parlate nel subcontinente si assegna inoltre ad ogni
numero della serie nella numerazione da 1 a 100 un “nome proprio”, laddove noi,
dopo il 20, non lo facciamo più (venti uno, venti due ecc.), sistema certamente più
semplice rispetto allo sforzo mnemonico nel quale devono impegnarsi fin dalla
più tenera età nell’attuale India e nelle nazioni limitrofe.

Termino questo mio breve intervento citando Alcide De Gasperi che nell’articolo
“La Piccola Europa” (Giornale D'Italia, 25 Luglio 1958) così affermava:

«[…] il mondo arabo è lontano e vicinissimo all’Europa; la nuova Europa


che non potrà sviluppare la propria personalità senza tenere conto del
mondo spiritualmente e storicamente diverso che è nel Sud che bagna le
sponde del Mediterraneo, dove ancora oggi, e con notevole effetto, si
sentono gli echi di Atene e di Roma, di Siracusa e di Cartagine, di
Tessalonica, Alessandria, Cesarea, Bisanzio, Gerusalemme. Gli ignoranti
possono sorridere a queste evocazioni, ma le persone sensate sanno che
l’Europa venne dall’Ellesponto e non potrà mai fare a meno delle porte di
entrata: Bosforo, Suez, Gibilterra; la piccola Europa, oggi o domani non
importa, chiamerà la grande Europa, e questa batterà alle tre porte non
come a proprie serrature di clausura, ma come a veicoli di civiltà.».

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