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Il libro
“Voglio uno stile di vita più sostenibile” è un mantra per molti che vivono in città. Come realizzare questo sogno, passo per
passo? Lo spiega questo manuale, diviso in sei macroaree del percorso organizzato del cambiamento: pensiero, lavoro,
autoproduzione, casa, famiglia, le esperienze di chi ce l’ha fatta.
La progettazione dell’autosufficienza mentale e materiale, da chi cerca un cambiamento concreto restando in città, al
downshifting, a chi apre un bed & breakfast, fino ai diversi approcci alla decrescita, alla vita nelle comuni e le scelte estreme
di isolamento.
L’autrice
Grazia Cacciola (www.erbaviola.com), esperta di agricivismo e ecosostenibilità, è impegnata da anni nella diffusione delle
pratiche di autoproduzione e di uno stile di vita più consapevole, improntato alla decrescita e all’autosufficienza. Milanese di
nascita e formazione, anni fa ha lasciato la città per la campagna, imparando a poco a poco e tra molti errori come realizzare
lo stile di vita che sognava. Ha trasformato il suo lavoro dipendente in un lavoro indipendente e portatile, ristrutturato una
casa, impiantato orti con metodi naturali, lottato contro la costruzione di una centrale a oli combusti e un termovalorizzatore
di fianco a casa, perso la battaglia, ricominciato da capo una vita sull’appennino tosco-emiliano e vinto la guerra. Questo è il
manuale che avrebbe voluto avere una decina di anni fa, per pianificare meglio dove andare, come organizzarsi e quali errori
evitare.
Grazia Cacciola, Scappo dalla città. Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione, FAG 2010
Introduzione
Area 1: Pensiamoci
1.1 Gli stili di vita sostenibili
1.2 Voglio un’altra vita, con ritmi più umani
1.3 Downshifting o decrescita?
1.4 Decrescita mediata, decrescita felice o decrescita estrema?
1.5 Il paradigma del bilancio nutritivo
1.6 L’utopia autarchica e l'autosufficienza
1.7 Ecovillaggi e comuni
Manifesto del RIVE
Alcuni ecovillaggi e comuni in Italia
Alcuni ecovillaggi in Europa
Alcuni ecovillaggi nel mondo
1.8 La decrescita estrema e i raccoglitori
Copyright©2010 Edizioni FAG Milano. Questa presentazione può essere liberamente condivisa a scopo illustrativo della 2
pubblicazione e/o allo scopo di recensioni. Non ne sono consentiti altri utilizzi senza l’autorizzazione dell’Editore.
Grazia Cacciola, Scappo dalla città. Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione, FAG 2010
Area 5: la famiglia
5.1 Cambiare vita da soli o con tutta la famiglia
5.2 Figli e adattamento
Spostarli: quando e come è meglio farlo
Scuola o home-schooling?
Area 6: Chi l'ha fatto: le esperienze attraverso i racconti di chi ha cominciato, chi è in cammino e chi
ha trovato il suo equilibrio ideale.
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Grazia Cacciola, Scappo dalla città. Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione, FAG 2010
“Siamo così abituati a chiamare lo stipendio ‘guadagno’ che abbiamo perso di vista il
valore reale delle nostre competenze. (...)
Le aziende hanno contribuito su vasta scala alla fine della valorizzazione dell’individuo e
l’apertura delle frontiere, la globalizzazione, ci ha mostrato come sia semplice, in assenza
di valorizzazione del lavoratore, spostare la produzione all’estero con lavoratori di
analogo valore ma inferiore costo. L’unico fine in questa operazione è il maggiore margine
di guadagno dell’azienda, su prodotti che tra l’altro finirà per acquistare il lavoratore il
cui lavoro è stato svalorizzato. Si può uscire da questo sistema. “
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Grazia Cacciola, Scappo dalla città. Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione, FAG 2010
Introduzione
Una grande varietà di forze sembrano fare pressione oggi sulle persone: lavoro, risultati, guadagno.
Un enorme dispendio di tempo, la gran parte della nostra vita. E’ difficile sfuggire a questi ingranaggi,
soprattutto se vi si è nati. Se da piccoli ci voleva un’ora di strada per andare a scuola, da adulti non apparirà
strano che ci vogliano due ore per andare al lavoro. Si cerca di piegare mente e fisico alla stanchezza di
questi ritmi, allenandoli a sopportarti con l’unico baluardo di un fine settimana riposante o di una serata
davanti alla televisione. Cio’ di cui molti non si rendono conto è che il loro tempo di vita vera è quello, il
riposo, banale e necessario, dal tempo lavorativo. Nella realtà, non deformata invece da un’organizzazione
sociale distorta, il tempo di vita dovrebbe essere maggiore e qualitativamente migliore di quello
lavorativo.
Si cita sempre il mito dei paesi del nord Europa dove si è capito da lungo tempo, dove le trenta-
trentacinque ore settimanali di lavoro non diventano, se non in casi sporadici, le quaranta-quarantacinque
più una decina di pendolarismo a cui siamo ormai abituati in Italia. Il risultato è, non a caso, una società più
sana, più presente, meno stanca.
La pressione della competizione, i consumi percepiti come necessari, la corsa al lusso, la paura della
perdita del lavoro, la sicurezza di uno stipendio, la necessità indotta di dover diventare qualcuno o di
realizzare a tutti i costi qualcosa di importante sono falsi miti ai piedi dei quali molti di noi sacrificano tre
quarti abbondanti della propria vita, per poi ritrovarsi con ben poco in termini personali.
Una delle grandi realtà di queste ultime generazioni è invece che abbiamo perso l’abitudine di
scegliere, il diritto di decidere cosa fare della nostra vita e dove farlo. Certo, scegliamo se fare
l’avvocato o il dentista, ma non scegliamo se lavorare o non lavorare. E’ scontato che dobbiamo lavorare,
altrimenti non possiamo nutrirci, riscaldarci e prenotare l’iPad. Ma ne siete proprio sicuri?
C’è chi sceglie di vivere in un appartamento e chi in una villetta a schiera, ma non scegliamo il luogo:
è il lavoro che lo sceglie per noi. Il lavoro, interpretato da molti come questo grande ostacolo che non gli
permette di trasferirsi, che non gli dà tutto quello che vorrebbe, che gli impegna l’ottanta per cento del
tempo della vita. La maggior parte vive sognando l’età pensionabile, quando, libera da questo macigno del
lavoro, potrà fare tutto quello che le piace (ma scoprirà che la realtà è ben diversa e che a settant’anni sarà
ancora inchiodato al suo appartamento cittadino). Scegliamo dove andare in vacanza ma in realtà
releghiamo la nostra vita vera nei weekend.
Siamo mossi da un falso mito, quello dello stipendio. Siamo convinti che solo lo stipendio possa
farci sopravvivere, che senza saremmo persi, moriremmo di fame e di freddo. Siamo convinti che per avere
un kilo di frutta dobbiamo dare in cambio dei soldi, decurtati dal nostro stipendio, proveniente dalla vendita
del nostro lavoro a terzi. Non è un grande affare se ci pensate bene. Sul vostro lavoro ci deve guadagnare
prima di tutto il vostro datore di lavoro. Sul kilo di frutta che comprate in città ci deve guadagnare il
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Grazia Cacciola, Scappo dalla città. Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione, FAG 2010
coltivatore, il mediatore, il grossista, il trasportatore, il supermercato. In pratica, tra voi e il vostro kilo di
frutta, c’è un esercito da mantenere. Con il vostro stipendio. Non è un grande affare, no? Non starete
lavorando per troppe persone? Ne parliamo nel capitolo 2, dal cambiare mentalità al cambiare,
materialmente, lavoro. O ancora meglio, vivere invece di lavorare.
Negli anni, dopo aver cambiato completamente il mio modo di vivere e lavorare, ho incontrato molte
persone che come me hanno cambiato totalmente vita andando a vivere lontano dalla città e dai suoi ritmi
imposti (alcune di queste esperienze le ho raccolte nel capitolo 6). Uno degli aspetti che accomunano
queste persone è l’aver cambiato radicalmente la propria mentalità nei confronti del denaro e del lavoro.
Sebbene eliminare la dipendenza psicologica dall’entità “stipendio” sia difficilissimo, è pur sempre possibile.
In fondo, se vi apprestate a leggere un libro sull’autosufficienza, qualcosa in voi è già cambiato.
In pochi però godono della libertà mentale che porta a decidere per una vita parzialmente o
totalmente autosufficiente. Di non avere intermediari tra loro e il kilo di frutta. Alcuni di questi arrivano a
questa libertà mentale con una folgorazione e scappano immediatamente dalla città, riconoscendo nel
sistema di vita cittadino un grosso limite alla loro vita. Altri ci mettono anni, capiscono esperienza dopo
esperienza che qualcosa non va, che qualcos’altro si può cambiare e cominciano ad allontanarsi per gradi.
Tutti i metodi sono validi ed è giusto che varino a seconda di aspirazioni e possibilità. Come spiega il
capitolo 1, l’aspetto più importante è crederci, solo così comincerà questo percorso, veloce o lento che sia.
Ho voluto raccogliere in questo libro un percorso ideale, dall’idea dell’andarsene dalla città
alla gestione del lavoro, alla scelta dell’autoproduzione e dell’autosufficienza fino alla gestione di
casa e famiglia in un cambiamento così radicale. Ogni argomento è affrontato sotto diversi aspetti,
prendendo in considerazione più scelte possibili e praticabili, aiutandomi in questo con le esperienze mie e
delle persone che ho incontrato in una quindicina di anni percorso di allontanamento dalla vita cittadina.
Arrivo, non a caso, da Milano, una delle città che sta generando più fuggitivi. Forse i ritmi molto
frenetici, senza gli spazi enormi di altre metropoli come New York, riescono a generare di più la voglia di
scappare. Ci ho messo anni di lavoro, fatica, sogni e speranze per arrivare a un tipo diverso di vita, non è
successo tutto dall’oggi al domani. Ho fatto fatica, come tanti. Ce la sto facendo, come altri che nascono per
caso nel centro di una metropoli e un giorno decidono che gli piacerebbe di più fare un’altra vita. C’è stato
un periodo in cui lavoravo contemporaneamente vicino a Viale Cassala, a Sesto San Giovanni e a Busto
Arsizio. Ci sono stati giorni che partivo di casa alle 7.00 e rientravo alle 23.00. Altri in cui prendevo un aereo
alle 6.00 della mattina e un altro alle 22.00. C’erano domeniche con il brunch sui navigli, happy hour
scambiati per cene e guardaroba cambiati ad ogni stagione. C’erano anche i weekend e le ferie in cui
relegare la vita vera, che si sono poi trasformati nei momenti in cui pensavo che forse era il caso di
cambiare.
Ci sono state un paio di esperienze che mi hanno fatto riflettere molto sui consumi e i bisogni, come
una volta che tornando da un viaggio in Mali dove avevamo mangiato per un mese utilizzando una sola
padella, ho realizzato che nella mia cucina c’erano ben quindici pentole e almeno cinque elettrodomestici
che non usavo da anni. Durante quello stesso viaggio, in cui il bagaglio doveva essere limitato allo stretto
indispensabile, ho pensato di avere uno zaino leggero con l’essenziale. Questo finché non mi sono ritrovata
in piedi su una sedia con lo zaino in spalla all’aeroporto di Bamako, allagato dallo straripamento del Niger.
Dopo due ore, con le braccia indolenzite dal mio “leggerissimo” bagaglio ho iniziato a pensare a cosa
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realmente avessi bisogno: la metà delle cose che avevo nello zaino. Tornata a casa, sono andata a un
incontro di baratto portando scatoloni pieni di oggetti che non usavo da anni, ho cominciato a fare un orto
sul balcone dell’appartamento in cui vivevo e a produrre a poco a poco gran parte delle cose che mi
servivano, dal pane a qualche abito. Le basi essenziali dell’autoproduzione sono nel capitolo 3. Lo possono
fare tutti.
Davo per scontato che solo disponendo di una quantità notevole di denaro si potesse
pensare a lasciare il lavoro e trasferirsi nel luogo preferito, che le case in bioedilizia fossero solo quelle
costosissime progettate da architetti famosi. Mi sono ricreduta a Che Shale, in Kenya, dove una designer
italiana, stanca dei ritmi cittadini, ha costruito con pochissimi soldi e materiali locali un piccolo albergo di
dieci stanze sulla spiaggia in cui non c’è assolutamente nulla in plastica e metallo. Dalla veranda sull’albero,
alle camere degli ospiti, tutto è a basso impatto ambientale, compresa la rete fognaria che sfrutta la
fitodepurazione con piante locali, fino alla biancheria per gli ospiti, cucita da lei. “Ma non ti senti isolata dal
mondo?” le chiedevo perplessa. “No, quando ho voglia accendo il pc, leggo un po’ di notizie, guardo le
novità di design, poi chiudo ed è sufficiente… guarda qui.” Mi indica cinque kilometri di spiaggia dorata e il
suo resort a impatto zero, il compagno che sta tenendo lezioni di kitesurf poco lontano.
Mi sono allontanata da Milano a piccoli passi. Oggi vivo sull’Appennino Tosco-Emiliano, ho un lavoro
indipendente, un orto, sono autosufficiente per molti aspetti e per altri preferisco compiere scelte eco-
sostenibili delegando la produzione. Non so se domani sarò in una comune autarchica in Umbria o in un
ecovillaggio in Spagna o in una eco-casa sulla spiaggia di Shark Bay in Australia. O se sarò ancora in
questo posto magnifico perché magari scamperà alla colata di cemento che si sta abbattendo sull’Italia. Di
una cosa sono sicura però: non sarò in un condominio in città, non avrò un badge da strisciare tutte le
mattine.
Grazia Cacciola
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