Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Relazione tecnica
BASI CONCETTUALI
“Influenza del sistema di scarico
completo sulla potenza specifica
erogata dal motore endotermico
a quattro tempi”
1
RELAZIONE
Alla cortese attenzione dell’ing. Di Giacomo.
Oggetto: “ L’influenza dell’impianto di scarico sul motore endotermico a quattro tempi”.
Qui di seguito alcune note a lei rivolte:
5) I consumi specifici dei motori endotermici che l’utilizzano sono sensibilmente ridotti.
2
Introduzione
3
logica dipendenza che intercorre tra l’erogazione e lo scarico in termini scientifici. Ma se
questa premessa al sistema di evacuazione dei gas combusti deve essere solo una facile
presentazione, quindi priva di solide basi concettuali, per introdurre in prima istanza solo
intuitivamente il quesito postoci, affermiamo semplicemente che la coppia motrice utile ad
ogni numero di giri del propulsore, (e con essa la relativa potenza istantanea), è dipendente
dall’energia meccanica prodotta, la quale a sua volta è funzione della portata di
combustibile (e con esso di comburente in quanto legate da proporzioni fisicochimiche) che entra e
che viene bruciata da quest’ultimo. Al sistema in esame sarà attribuita nel seguito della
relazione, l’enorme capacità di influenzare l’entità in massa di fluido operante
(combustibile) che partecipa alla combustione, apparendo così logica una produzione
maggiore d’energia meccanica a tutto vantaggio di una potenza superiore, tenendo però
conto che il ruolo fondamentale in questa correlazione, lo ricoprono sostanzialmente le
vicende vissute dai gas combusti nel collettore di scarico e non da quelle accadutegli nei
silenziatori successivi. La sostituzione del solo silenziatore centrale e/o terminale originale
delle autovetture moderne di serie con uno di tipo sportivo, nella maggior parte dei casi,
infatti, porta solo ad una consistente perdita di coppia motrice e spesse volte per
conseguenza, anche ad una corrispondente perdita di potenza massima. Questa mancanza
si concreta in quanto il collettore originale è costruito in funzione di tutti i dispositivi
contigui a lui impostogli dalle esigenze richieste dalle normative europee, e quindi,
concepito con una logica d’efficacia dipendente essenzialmente dall’influenza degli stessi
risultando così non più ottimale in termini di un particolare fenomeno fisico denominato
risonanza (su cui era stato progettato), compromettendo così la potenza erogata su tutto l’arco
di rotazione del propulsore. La questione nasce perché la contropressione applicata dalla
nuova configurazione operata ai suddetti, danneggia irreparabilmente i periodi naturali
delle onde degli identici condotti dei collettori rimasti invariati e quindi ora errati
all’operazione eseguita. (come sopra accennato, infatti, le risonanze si generano nella prima porzione
del sistema di scarico, proprio in quei tubi aggrovigliati denominati comunemente collettori).
4
alla fuoriuscita dei gas combusti, aspettandosi sempre benefici dato che ora per logica, si
sta scaricando maggiormente.
Ciò in realtà non è vero, perché abbassare la contropressione mediante scarichi sportivi (sia
in commercio che artigianali), sposta solo la potenza massima a giri superiori perdendo di
gas combusti sia totalmente avvenuta e che quindi, non ci siano anomalie dovute ai
molteplici problemi che affliggono la durata di un catalizzatore.
Appare quindi evidente che operare una modifica al sistema in esame, sarà un’impresa
ardua se si compirà ancora come oggi in maniera puramente casuale.
Conclusioni
Conoscere le trasformazioni subite dal fluido operante nell’ambito della sua evoluzione
termodinamica completa interna al motore, studiare il suo relativo moto nei condotti,
capire il perché esistono determinati dispositivi periferici allo stesso, può collocare lo
studioso in un’ottica di completo patrocinio dell’intero meccanismo.
5
Il modo migliore per affrontare la reale importanza dell’oggetto in questione quale
l’impianto di scarico, (vero obbiettivo primario della seguente relazione), è intuire molto
sinteticamente i principi che governano globalmente il sistema che ne usufruisce
compiendo un approccio concettuale su più fronti.
Capitolo I
Il motore endotermico (di qualunque classificazione esso sia è una macchina a gas capace di compiere
lavoro utile, utilizzando la variazione di pressione sostenuta dal fluido operante (tipicamente
compressibile; avente cioè le caratteristiche di un gas)) inteso come macchina termica, trasforma
la quantità di fluido operante realmente introdotto (per questioni di rifiuti o di riflussi legati sia
alla fase d’aspirazione sia in quella di scarico, la massa totale di fluido operante spesa ad ogni ciclo non è
totalmente intrappolata, causando così la prima di una lunga serie di perdite d’energia che affliggono un
motore (la perdita è correlata dal fatto che, se la massa di fluido operante spesa ad ogni ciclo partecipasse
totalmente alla combustione, potrebbe ovviamente, essendo di quantità maggiore rispetto a quella
presente ora nella camera, liberare un calore superiore (più energia termica) a quello che realmente si
genererà)) nel reattore chimico (camera di scoppio), in energia termica (plebea di bassa casta, quale
il calore) liberata dalla reale combustione (questa trasformazione considerata dagli studiosi, una
politropica isocora, non trasforma in energia termica tutta la massa di fluido operante presente nella
camera di scoppio (causando la seconda perdita d’energia)) sostenuta dal passaggio degli
idrocarburi (costituiti dal combustibile (qualunque esso sia, l’importante è che dal suo stato liquido
iniziale, sia poi gassificato mediante un qualsiasi sistema d’alimentazione, (molecolarmente composto
essenzialmente da carbonio e idrogeno)) e dal comburente (aria (contenente ossigeno, vera essenza per
6
realizzare la reazione chimica (combustione))) dallo stato gassoso, (a bassa entalpia) in idrocarburi
sempre gassosi, ma essendo stati combusti (ad alta entalpia (entalpia=U+(p*v) (alta pressione
dovuta all’aumento di temperatura))), ora possessori di una grande energia (sia l’energia termica,
che quella meccanica sono convertibili l’una nell’altra, ma secondo un principio denominato
d’equivalenza) capace di fornire lavoro (in Fisica il lavoro compiuto, si quantizza come il prodotto di
una forza applicata (nel caso che la forza agente fosse misurata in Newton (1Newton=Kg*metri/s^2),
essa è uguale al prodotto della massa inerziale (misurata in Kg) per l’accelerazione prodotta (misurata in
metri/s^2)), per uno spostamento scaturito; nel caso particolare del motore, la forza applicata è data dalla
pressione esercita dall’espansione dei gas (nel caso particolare che la forza fosse uguale al prodotto della
pressione esercitata (misurata Kg/metro^2), per la superficie d’appoggio su cui agisce perpendicolarmente
(misurata in metro^2) essa sarebbe quantificata dimensionalmente dal Kg (1Kg=9,8Newton)) sull’unica
superficie d’appoggio mobile concessagli (faccia superiore dello stantuffo), moltiplicata per uno
spostamento (angolare, nel caso del motore) compiuto nell’unita di tempo (il secondo)) utilizzabile al
manovellismo. Visto che, non tutto il calore liberato è trasformabile in energia (di alto rango)
di movimento (come è noto in termodinamica, qualsiasi trasformazione d’energia da uno stato ad un
altro, è affetta da dissipazioni di varia natura, quindi dall’energia primaria non si ha mai un equivalente
identico), per il principio di conservazione della stessa, il bilanciamento energetico di un
esso e realmente utilizzata ad ogni ciclo utile (potenza correlata alla capacità d’eseguire
correttamente la reazione chimica dell’intera massa intrappolata (una delle vie dissipative nominate in
precedenza)).
7
ACCELERAZIONE=FORZA / MASSA 1metro*1sec^ -2=1newton/1Kilogrammo m/sec^2
ACCELERAZIONE GRAVITAZIONALE 9,80665m/s^2=9,80665m*1sec^ -2 m/sec^2
RAPPORTO da Chilogrammi a forza 1KILOGRAMMO=9,80665Newton Newton
RAPPORTO da forza a Chilogrammi 1NEWTON=0,1019716213Kilogrammi Kg
LAVORO=FORZA*SPOSTAMENTO 1JOULE=1newton*1metro Newtonmetro
LAVORO=FORZA*SPOSTAMENTO 1Kgm=1Kg*1metro Chilogrammetro
EQUIVALENZA da joule a Kgm 9,80665JOULE=1Kilogrammetro Joule
EQUIVALENZA da Kgm a joule 1KILOGRAMMETRO=9,80665joule Chilogrammetro
RAPPORTO da Kgm a Nm NEWTONMETRO=Kilogrammetro*9,80665 Newtonmetro
RAPPORTO da Nm a Kgm KILOGRAMMETRO=Newtonmetro/9,80665 Chilogrammetro
POTENZA=LAVORO/UNITA' TEMPO 1WATT=1joule*1sec^ -1 Watt
POTENZA=LAVORO/UNITA' TEMPO 9,80665WATT=1Kilogrammetro*sec^ -1 Watt
POTENZA=LAVORO/UNITA' TEMPO 1CV=1HP=75 Kgm*1sec^ -1 Power horses
POTENZA=LAVORO/UNITA' TEMPO 75Kgm*sec^ -1=1CV=HP Kgsecondo
POTENZA=LAVORO/(unitàtempo)*FORZA 1CAVALLI=(75Kgm/1sec)*9,80665Nm Cavalli vapore
POTENZA=FORZA*VELOCITA' 1WATT=1Newtonmetro/(1metro*sec^ -1) Watt
POTENZA ORA IN CAVALLI 1CAVALLORA=(75Kgm/1sec)*3600sec Cavalli ora
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOWATT=10^3watt Chilowatt
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOWATT=1000joule*sec^ -1 Chilowatt
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1h=1h*3600sec Ora
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOWATTORA=1Kw*3600sec Chilowattora
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOWATTORA=3600000joule*sec^ -1 Chilowattora
COEFFICIENTE DI MOLTIPLICAZIONE Passaggio da KW a CV Watt=cavalli vapore
COEFFICIENTE DI MOLTIPLICAZIONE Passaggio da CV a KW Cavalli vapore=Watt
EQUIVALENZA TERMICA (caloria=joule) 1caloria=4,1868joule Caloria
EQUIVALENZA TERMICA (joule=calorie) 1joule=1/4,1868calorie Joule
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOCALORIA=10^3calorie Kcaloria
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOCALORIA=4,1868joule*10^3 Kjoule
ZERO ASSOLUTO (grado kelvin) 0°KEVIN=-273,16gradi centigradi Kelvin
ZERO CELSIUS (grado centigrado) 0°CENTIGRADI=273,16kelvin Celsius=centigradi
8
Capitolo II
Lo scopo di questo capitolo è giungere alle derivazioni fondamentali delle relazioni che
governano il funzionamento di un motore, in particolare la formula della potenza che
costituirà la struttura portante dell’intera relazione.
Tutte le definizioni che si assumeranno d’ora in avanti sono il frutto della Fisica teorica
applicata ai sistemi in esame, per quanto, omettiamo ogni volta il riferimento alla legge
specifica che ne soddisfa la relazione rassicurandoci quindi delle loro piene validità.
Inoltre le unità di misura di seguito riportate sono normalmente le più utilizzate.
Fondiamo innanzi tutto l’intero studio su solide basi partendo proprio dal principio di
conservazione dell’energia.
Lu=Qt-Ed (1)
Dove Qt (misurata in Kjoule) è il calore totale corrispondente alla massa totale spesa ad ogni
ciclo, mentre, Ed indica l’energia dissipata per varie vie (misurata in Kjoule). Questa
relazione definisce il lavoro utile, come la differenza tra il calore introdotto e l’energia
dissipata per varie vie:
Lu è misurato Kjoule (o Kcaloria dipendente dalle unità di misura utilizzate) essendo la differenza
di due grandezze omogenee misurate in Kjoule (o Kcaloria dipendente dalle unità di misura
utilizzate).
E’ definito rendimento termico utile del cilindro il rapporto tra il lavoro utile fornito
all’albero e l’energia termica totale spesa ad ogni ciclo:
Nu=Lu/Qt (2)
9
Nu è il frutto del rapporto di due grandezze omogenee entrambe quantificate solitamente
in Kjoule. Esso risulta così un numero puro (adimensionato) vale a dire una percentuale.
Se Lu (misurato in Joule) è il lavoro fornito ad ogni ciclo, la potenza utile fornita dal cilindro
considerato è perciò data dal prodotto di tale lavoro per il numero di cicli compiuti dal
motore in un secondo:
Wu=Lu*ns*(2/Tempi) (3)
La potenza è misurata in Watt essendo la dimensione risultante dall’espressione di un
lavoro misurato in joule compiuto in un secondo (1W=1J*1s) , moltiplicata per un numero
puro (2/Tempi).
Nell’espressione la grandezza ns rappresenta i giri al secondo compiuti dall’albero motore,
mentre, il termine 2/Tempi mette in conto il fatto che il motore sia a due o a quattro tempi.
Esprimiamo ora il lavoro utile nella sua forma più conveniente ricavandola dalla formula
(2)
Lu=Nu*Qt (4)
Si nota che Lu continua ad essere misurata in Kjoule, essendo un numero puro
moltiplicato per il Kjoule.
Definiamo con il termine di massa d’aria totale la massima massa d’aria che
effettivamente è entrata nel cilindro, indipendentemente dal fatto che una frazione più o
meno grande di essa venga perduta perché espulsa allo scarico o rifiutata dall’aspirazione
e perciò non partecipa al ciclo:
mat (5)
misurata in Kg
10
Definiamo massa di combustibile totale la massa di combustibile che effettivamente è stata
spesa ad ogni ciclo, indipendentemente dal fatto che una frazione più o meno grande di
essa sia perduta perché espulsa allo scarico o rifiutata dall’aspirazione e perciò non
partecipa al ciclo:
mbt=Qt/Hi (6)
Qt equivale alla massa totale spesa ad ogni ciclo, mentre Hi equivale al potere calorifero
inferiore del combustibile. Dalla semplificazione matematica delle dimensioni, essa è così
misurata in Kg, essendo Qt misurato in Kjoule, mentre Hi misurato in Kjoule/Kg.
Definiamo il rapporto della massa d’aria totale e della massa di combustibile totale come
alfa t (rapporto stechiometrico):
alfa t=mat/mbt (7)
alfa t è il frutto del rapporto di due grandezze omogenee (entrambe quantificate in Kg), risulta
così un numero puro vale a dire una percentuale (adimensionato).
Definiamo massa d’aria ideale la massa d’aria capace di riempire perfettamente il cilindro
ed avente la densità corrispondente alle condizioni vigenti nell’ambiente di aspirazione:
maid=ro*Vu (8)
In cui ro equivale alla densità dell’aria nell’ambiente di riferimento, mentre, Vu è il
volume del cilindro.
Dalla semplificazione matematica delle dimensioni essa risulta misurata in Kg, essendo ro
misurata in Kg/m^3, mentre, il volume è misurato in m^3.
Definiamo la massa di combustibile ideale il rapporto tra la massa d’aria ideale e alfa t
(rapporto aria/combustibile totale):
11
Moltiplicando questa massa per il potere calorifero inferiore del combustibile si ottiene il
corrispondente calore ideale Qid:
Qid=maid*Hi (10)
Come dimensione, Qid dalle semplificazioni matematiche equivale a Kjoule essendo il
prodotto di Kg moltiplicati per Kjoule/Kg
Possiamo ora definire come rendimento volumetrico totale il rapporto tra i calori generati
tra le masse di combustibile reale e ideale:
Nvt=Qt/Qid=mbt/mbid (11)
Nvt è il frutto del rapporto di due grandezze omogenee entrambe quantificate in Kjoule per
la prima espressione e in Kg per la seconda espressione, risultando così in ambo i rapporti
un numero puro vale a dire una percentuale (adimensionato). Dividendo la prima espressione
sia al numeratore sia al denominatore per alfa t, si ottiene la seconda formulazione.
E’ considerato il rapporto tra i calori poiché in primo luogo procedendo in questa maniera,
si otterrà una formula della potenza molto generale che tiene anche conto in modo corretto
delle perdite di combustibile legate ai riflussi e rifiutate attraverso l’aspirazione e lo
scarico. In secondo luogo il rapporto tra masse di combustibile è un rapporto diretto e
immediato tra energie.
Applicando ora alla formula (2), le successive definizioni della (6), della (11) e della (10)
si ha:
Lu=Nu*Qt=Nu*mbt*Hi=Nu*Nvt*mbid*Hi=Nu*Nvt*((ro*Vu)/alfa t)*Hi (12)
Il regime di rotazione è una grandezza assai poco significativa perché dipendente dalle
dimensioni del motore (in particolare dalla cilindrata unitaria). La vera grandezza importante è
la velocità lineare dello stantuffo (il motivo è da ricercare nella meccanica inerziale e
12
nell’aerodinamica del motore, ma in queste pagine non ci interessa), la quale è legata al regime di
Il rapporto Vu/C non è altro che la superficie S dello stantuffo, quindi, l’espressione (15)
diviene:
Wu=Nu*Nvt*((ro*S*Hi)/alfa t)*(u/Tempi) (16)
superficie totale degli stantuffi (che infatti compare nella formula con i termini Z*s) e dalla
velocità lineare di uno di essi (essendo tutte uguali).
Lo scopo di questo paragrafo è dare forma analitica all’espressione sintetica trovata nel
paragrafo precedente. Essa permetterà infatti, di individuare ad uno ad uno i fenomeni
13
fondamentali che determinano la potenza utile erogata dal motore (come attriti, riempimento,
combustione ecc.).
1) Rendimento di intrappolamento.
Non tutta la massa di combustile totale mbt spesa ad ogni ciclo rimane necessariamente
nel cilindro. Come già rilevato, una frazione più o meno importante può essere perduta
attraverso le valvole a causa dei rifiuti precedentemente accennati. Volendo tenere conto
correttamente di questa perdita definiamo con il termine rendimento di intrappolamento, il
rapporto tra la massa mbc realmente presente nel cilindro all’atto della combustione e la
massa totale mbt spesa ad ogni ciclo. Per le stesse problematiche incontrate nel rendimento
volumetrico anche qui si preferisce far riferimento al rapporto tra energie, quindi, conviene
utilizzare al posto delle masse in gioco il calore corrispondente liberato dalle stesse.
Nvt=Qt/Qid=mbc/mbt (18)
14
irraggiamento alle pareti della camera. L’importanza di questa perdita sta nel fatto che si
tratta di un calore perduto nella fase di introduzione di energia nel ciclo e dunque, si
ripercuote in modo proporzionale sulla corrispondente perdita di potenza. Essa avviene a
causa delle altissime temperature raggiunte dai gas durante la combustione cui
corrispondono altrettanti elevati scambi termici tra gas e pareti della camera, causati
dall’elevata densità del fluido e dalla turbolenza principalmente indotta dalla combustione.
Teniamo conto di questa perdita definendo con il termine rendimento di adiabaticità dalla
camera di combustione, il rapporto tra il calore Qe che effettivamente partecipa al ciclo ed
il calore Qb effettivamente generato dalla combustione.
Nac=Qe/Qb (20)
15
6) rendimento indicato (parte positiva) del ciclo.
Il ciclo indicato del motore è quello realmente percorso dal fluido operante all’interno
dello stesso. E’ rappresentato da un diagramma cartesiano che mostra graficamente la
pressione istantanea assunta dal fluido rispetto al volume concessogli a disposizione nel
cilindro (Figura 1-4-I).
Figura 1-4-I
Come si vede dalla figura il ciclo indicato è costituito da due cicli. Il primo qui definito
positivo, è quello percorso in senso orario e che fornisce lavoro: in sostanza è la parte
calda del ciclo. Il secondo è un ciclo (generalmente) negativo, cioè percorso in senso
antiorario e quindi assorbe lavoro per il fatto che la corsa di aspirazione avviene in
depressione, mentre, quella di espulsione avviene in sovrapressione: in concreto è la parte
fredda del ciclo e corrispondente quindi al ricambio del fluido operante; quest’ultimo
prende il nome di ciclo di pompaggio. Il punto convenzionale di separazione tra i due è
visibile nella figura 1-4-I ed indicato con il punto P. Si fa espressamente notare che il ciclo
indicato è comprensivo di entrambe i cicli, in quanto per lavoro indicato si definisce il
lavoro raccolto dalla superficie dello stantuffo sull’intero ciclo. Per motivi esplicativi e per
separare meglio i fenomeni involti del ciclo caldo e del ciclo freddo, i quali sono tra loro
molto diversi (termodinamici i primi, fluidodinamici i secondi), si è ritenuto necessario dividerli
in rendimento indicato positivo e rendimento di pompaggio.
16
Definiamo convenzionalmente come rendimento indicato positivo il rapporto tra il lavoro
Lip fornito dalla parte positiva del ciclo ed il lavoro fornito dal ciclo limite:
Ni=Lip/Ll (23)
7) Rendimento di pompaggio.
Tiene conto dell’influenza del ciclo di pompaggio per le cause spiegate poc’anzi ed è
definito dunque, come il rapporto tra il lavoro totale Li fornito dal ciclo indicato completo
(comprensivo cioè del ciclo di pompaggio) ed il lavoro fornito dal solo ciclo indicato positivo:
Np=Li/Lip (24)
8) Rendimento organico.
Il lavoro del ciclo indicato completo è quello che viene raccolto dalla superficie dello
stantuffo e trasferito agli organi meccanici del motore. Tali organi presentano attriti non
trascurabili ed inoltre il motore stesso aziona trascinandosi con se accessori come pompe
acqua e olio, generatori elettrici ed altri componenti, facendo così risultare il lavoro utile
fornito all’albero motore inferiore al lavoro indicato.
Si definisce dunque rendimento organico, il rapporto tra il lavoro utile Lu raccolto
dall’albero in uscita del motore a valle degli accessori ed il lavoro indicato completo:
No=Lu/Li (25)
Il considerare o meno gli accessori come facenti o non facenti parte del motore, origina le
varie definizioni (DIN, SAE ecc.) della potenza utile; quello che conta è definire ciò che
s’intende così la definizione di rendimento organico resta perfettamente coerente.
Siamo ora giunti alla fine della nostra cascata di definizioni. Si fa espressamente notare
che nelle singole definizioni la grandezza che compare al denominatore di un’espressione,
compare al numeratore della precedente. Ciò ci permette di applicare a ritroso (partendo
dall’ultima analizzata) le varie definizioni ottenendo l’espressione analitica del lavoro utile.
17
Dimostrazione:
Dalla (25) ricaviamo Lu
Lu=No*Li, adesso a ritroso su questa relazione d’uguaglianza andiamo a sostituire
all’ultimo valore la corrispondente espressione ricavata matematicamente sui rendimenti
elencati poco sopra:
Lu=No*Li=No*Np*Lip=No*Np*Ni*Li=No*Np*Ni*Nl*Lid=No*Np*Nip*Nl*Nid*Qe=N
o*Np*Nip*Nl*Nid*Nac*Qb= No*Np*Nip*Nl*Nid*Nac*Nc*Qc=
No*Np*Nip*Nl*Nid*Nac*Nc*Nt*Qt
Ordinando per una pura coerenza espositiva i vari rendimenti nello stesso ordine in cui
sono stati elencati, con l’unica eccezione di Nt che nella logica della successiva
discussione sta meglio vicino Nvt, si ha subito il rendimento utile del motore:
Nu=Lu/Qt=Nc*Nac*Nid*Nl*Nip*Np*No*Nt (26)
Sostituendo il rendimento utile così trovato e quantificato dalla (26) nell’espressione (17)
si ottiene, in forma analitica, la cercata formula della potenza utile erogata dal motore:
Wu=Nc*Nac*Nid*Nl*Nip*Np*No*Nt*Nvt*((ro*Z*S*Hi)/alfa t)*(u/Tempi) (27)
La formula della potenza espressa con la (27) non contiene solo i fattori della potenza, ma
anche i parametri influenzanti sul consumo specifico del motore stesso. In parole povere,
tutto quello che il motore fa nel bene e nel male in termini di potenza e di consumo
specifico è contenuto tutto e solo nei sedici termini.
Per quanto complessa sembra, quest’ultima non è altri che la definizione Fisica di base
della potenza. E’ semplice darne dimostrazione:
I primi nove membri sono numeri puri, (rapporti tra valori d’uguale dimensione) che moltiplicati
per la densità del comburente (ro), per il potere calorifero inferiore del combustibile (Hi),
diviso il rapporto stechiometrico (alfa t) definiscono una pressione (P.M.E. (pressione media
effettiva) giustificata solo dal fatto che dimensionalmente si tratta di una pressione). Tale pressione
moltiplicata per una superficie (totale degli stantuffi) d’appoggio, equivarrebbe ad una forza.
La stessa nuovamente moltiplicata per una velocità, (nel caso del motore angolare) quantifica
una potenza (in Fisica Potenza=forza*velocità).
18
Capitolo III
L’IMPIANTO DI SCARICO
Esso deve condurre all’esterno della camera di combustione i gas residui generati dalle
reazioni chimiche periodiche d’ogni singolo cilindro, per dar modo al sistema di sostituire
il fluido operante utilizzato al suo interno con una nuova porzione in grado di compiere
una successiva evoluzione. In concreto questa mansione è assolta dai collettori di scarico,
(visivamente sono costituiti da un groviglio di tubi), qualsiasi sia il loro materiale di costruzione e
indipendente dal tipo di configurazione (in figura 1-1-III sono rappresentate le possibili
configurazioni) che intercorre tra i tubi considerati primari e quelli considerati secondari
(prescindendo dalle prestazioni motoristiche attese).
Figura 1-1-III
Configurazione da interferenza Configurazione da indipendenza
19
Paragrafo 2-III) Problematiche inerenti al sistema di scarico.
Nello svolgere questa fondamentale funzione, dal collettore però fuoriesce sia un gran
rumore sia una notevole quantità di gas nocivi dovuti a fenomeni che affronteremo nei
successivi paragrafi. L’esigenza imposta dalla vita quotidiana non concorda con questi
inconvenienti, in quanto sia l’inquinamento acustico (problema sia del passato sia odierno) che
quello atmosferico (oggigiorno questa problematica è rimarchevole rispetto al passato, in quanto la
concentrazione del volume dei gas nocivi emessi dai veicoli circolanti, è divenuto insostenibile per la
natura terrestre) non sono rispettati da questa funzione basilare, così lo scarico dovrà essere
20
Dunque il prodotto (p*v) della pressione specifica per il volume specifico è un lavoro, vale a dire energia
meccanica)) sostenuto dal fluido operante durante le trasformazioni termodinamiche, fornisce una grande
energia cinetica, principalmente posseduta in virtù delle alte temperature in gioco), in modo da
attenuare al limite la rumorosità provocata dalle onde trasportate nello stesso e percepite
acusticamente sotto forma di rumore all’uscita dello scarico, formatesi per la compressione
e per la rarefazione della materia allo stato gassoso (residui della combustione),
periodicamente fuoriuscente dai singoli cilindri. La proporzionalità diretta che intercorre
fra la rumorosità e la sua attenuazione è legata così all’intensità dell’energia cinetica ed
elastica (continuamente e proporzionalmente acquisita e rigenerata dagli impulsi periodici di portata dei
cilindri) contenuta in ogni singolo moto stratificato interno; ne risulta quindi, che lo
smorzamento sonoro sarà tanto maggiore quanto più dissipata sarà l’energia cinetica ed
elastica contenuta nei gas di scarico al momento della loro uscita in ambiente esterno, in
quanto l’onda acustica prodotta in questo istante è proprio alimentata da questa energia. (la
dissipazione della suddetta, può essere effettuata con diverse metodologie di costruzione del silenziatore:
a risonanza, ad espansione e ad assorbimento; la differenza fra l’elencate, sta nella banda acustica di
frequenza attenuata).
Teoricamente la combustione dovrebbe dare origine solo ad acqua (ma in virtù delle alte
temperature in gioco sarà) allo stato gassoso e anidride carbonica, mentre l’azoto, che è il
principale componente dell’aria con una percentuale di circa il 77% (in volume e quindi in
peso), dovrebbe comportarsi come gas perfettamente inerte ed uscire dal cilindro così come
quindi tutte utilizzate per la formazione dei composti chimici elencati poc’anzi, e così per
il principio fisico che nulla si crea e nulla si distrugge ma si trasforma secondo ben
determinate leggi, all’uscita del cilindro si troveranno oltre ai composti già nominati,
quantità importanti di ossidi di carbonio CO, ossidi d’azoto Nox e idrocarburi incombusti
e parzialmente ossidati HC, formatesi nella reazione chimica da quelle particelle che non
21
hanno partecipato alla stessa. Il CO è molto tossico per la sua grande affinità con
l’emoglobina del sangue (300 volte più grande di quella dell’ossigeno). Se la concentrazione
della carbossiemoglobina nel sangue raggiunge il 50% l’assimilazione dell’ossigeno viene
interrotta e interviene l’asfissia interna. Gli idrocarburi incombusti HC non presentano di
per se effetti tossici, però quando sono in percentuale elevata e in particolari condizioni
atmosferiche possono dar luogo a reazioni chimiche secondarie con produzione di
perossidi e aldeidi di odore sgradevole, irritanti, e nocivi alle piante. L’agente che
determina le reazioni è l’ossido di azoto, che sotto l’effetto della radiazioni solari
ultraviolette e in presenza di sostanze organiche, si ossida in NO2 che per azione della luce
solare (effetto fotochimico) agisce sugli HC sviluppando azoto e perossidi ossidati. Gli ossidi
di azoto Nox sono tossici per il sangue, ma le concentrazioni nell’atmosfera dovute ai gas
di scarico non sembrano (ancora) dannose all’organismo umano. Sembra che per
ossidazione da azoto l’Nox si trasformi in acido nitrico origine di irritazioni agli occhi,
effetto che pare legato ai perossidi e alle aldeidi.
La nascita del catalizzatore risale al lontano anno 1976, quando in America le prime leggi
antinquinamento imposero dei limiti alle emissioni nocive emesse dai motori di
quell’epoca. I primi catalizzatori ossidanti, fornivano elevati margini rispetto ai valori di
legge ed erano di semplice applicazione poiché prendevano il posto della prima marmitta
silenziante. Essi però portarono ad una rivoluzione della distribuzione del carburante,
poiché bisognò creare una rete parallela di pompe erogatrici di benzina senza piombo che
si era rilevato un avvelenatore della catalitica riducendo drasticamente l’efficacia dopo
breve funzionamento. Il primo tipo di catalizzatore ossidante, di prima generazione, era
focalizzato sull’ossidazione di CO ed HC mentre gli Nox, non essendo particolarmente
severi i limiti di questo inquinante erano trattati con mezzi motoristici (come la ricircolazione
dei gas di scarico, minor anticipi d’accensione, ecc.). I metalli preziosi impiegati per questi tipi di
catalizzatori erano il platino (Pt) e il palladio (Pd) nel rapporto 2,5:1 a favore del platino.
Questa tecnologia continuò per otto anni ma nel 1983, a causa dell’arrivo di più stringenti
22
leggi che riducevano drasticamente il tenore degli Nox negli scarichi dei motori a benzina,
l’industria creò il catalizzatore di seconda generazione che accoppiato ad un sofisticato
sistema di alimentazione del motore, fu in grado di abbattere anche gli ossidi di azoto: era
nato il catalizzatore trivalente. Questo tipo di catalizzatore accoppia la capacità ossidante
del platino con la forza riducente del rodio (Rh), capace anch’esso di provocare
ossidazione purché la miscela dei gas entranti nella marmitta catalitica sia il più possibile
prossima al valore stechiometrico (vedere paragrafo 2-II formula (7)).
sistema a sonda lambda più centralina elettronica, (oggi assolutamente indispensabile per una
23
migliore efficienza di conversione da parte della marmitta catalitica), l’energia contenuta in essi può
essere sfruttata con ottimi risultati (scopo di questa relazione) e per fare ciò si devono
analizzare in sintesi quei fronti concettuali nominati poco sopra, per giungere così a
considerare quest’ultimo come parte integrante di un unico sistema fluidodinamico che
parte evidentemente dalle bocche d’aspirazione e finisce ai tubi di scarico, (specialmente se
si volesse operare un aumento prestazionale), com’è giusto che sia.
24
Capitolo IV
Sostituendo la (28) nella formula (16) si ha subito che la potenza utile è anche uguale a:
Wu=Nu*G*(Hi/alfa t) (29)
Sostituendolo nella (29) si ottiene una formula della potenza utile erogata dipendente dalla
portata in massa d’aria:
Wu=K*(G/(qb*alfa t)) (31)
Dove:
K= costante dipendente solo dalle unità di misura adottate, G= portata in massa di aria,
qb= consumo specifico, alfa t= rapporto in massa aria/combustibile.
25
Questa semplice formula mostra una dipendenza strettissima e lineare della potenza con la
portata in massa d’aria. Se poi si analizza un po’ meglio si vede subito che il rapporto
G/alfa t non è altro che la portata di combustibile, (è semplice darne una dimostrazione
eseguendo un passaggio matematico dal quale si ottiene solo il nominato), e si giunge al risultato
elementare che la potenza erogata è proporzionale alla portata di combustibile che brucia il
motore. Il consumo specifico poi, a meno di costanti, non è che l’inverso del rendimento
termico utile, dunque, alla fine della storia il succo della questione è che si ottiene molta
potenza bruciando molto combustibile con il massimo rendimento possibile. Siccome
l’aria è assolutamente indispensabile per bruciare il combustibile in quanto fornisce il
comburente, (dominazione delle leggi chimiche), essa è inscindibile dal combustibile stesso e
dunque parlare di portata di combustibile è lo stesso che parlare di portata d’aria: questo è
il motivo per cui il rendimento volumetrico del motore è così importante.
Quest’ultimo si massimizza perseguendo due obiettivi che conviene per motivi di logica
considerarli separatamente:
d’intrappolamento (rapporta tra la massa d’aria realmente intrappolata nel cilindro all’atto della
chiusura delle valvole e la sopra citata massima massa entrante); questo secondo problema è
tipicamente quello della fasatura ottimale della distribuzione. La differenza fra loro sta
26
nella massa (eventualmente ed inutilmente) rifiutata all’aspirazione o altrettanto inutilmente
espulsa allo scarico in fase d’incrocio valvole (se fosse presente nella configurazione strutturale
del motore esaminato) senza poter partecipare al ciclo. Da quanto affermato emerge che, il
rendimento volumetrico effettivo quello che realmente interessa la massa operante nel
ciclo, è il prodotto tra i due rendimenti parziali sopra discussi.
fortemente variabile nel tempo in relazione alle rapide variazioni di pressione subite dal
fluido, come l’aspirazione e lo scarico spontaneo (espulsione).
27
questione fosse così rigida allora ci farebbe intuire che, trattare i motori con
fluidodinamica quasi stazionaria, per intenderci quella bernulliana, sarebbe errato ed
invece così non è. Il nocciolo del quesito sta nel fatto che, se si verificano certe condizioni
il calcolo fluidodinamico del motore può essere trattato con la fluidodinamica quasi
stazionaria, mentre, se le considerate non sono verificate, gli algoritmi da usare saranno
quelli della fluidodinamica non stazionaria, in pratica quella di Riemann.
Quando accadono quelle certe condizioni che permettono l’approccio quasi stazionario?
Quando la lunghezza fisica del componente fluidodinamico considerato, quali valvole,
condotti, ecc. è piccola rispetto alla lunghezza d’onda dell’impulso (questa lunghezza d’onda
dell’impulso fondamentale è data dal prodotto tra il tempo (durata) della corsa d’aspirazione, e la velocità
del suono nell’aria aspirata) di portata che l’attraversa.
Si tratta di condotti la cui lunghezza non è piccola rispetto alla lunghezza d’onda
dell’impulso di portata che l’attraversa; in queste condizioni la fluidodinamica non
stazionaria si sviluppa pienamente e scegliendo opportunamente la lunghezza di questi
ultimi si possono ottenere vistosi fenomeni di risonanza e notevoli incrementi di
rendimento volumetrico.
Cerchiamo ora di arrivare alla differenza di resa in termini di potenza che intercorre tra un
motore che non usa questi fenomeni, e quel che invece è basato su tale ideologia. Per
comprendere appieno l’importanza da concedere alla fluidodinamica non stazionaria,
ritengo opportuno partire dal ciclo indicato di un motore a scoppio, il quale, a sua volta è
opportuno dividerlo in ciclo positivo e ciclo negativo.
28
Paragrafo 7-IV) Il ciclo indicato completo (positivo, negativo).
Il ciclo positivo è quello denominato caldo che avviene sostanzialmente a valvole chiuse e
che fornisce sulla faccia dello stantuffo un lavoro positivo (generare un ciclo positivo è lo scopo
fondamentale d’ogni macchina termica motrice).
Il ciclo negativo è quello denominato freddo che avviene in sostanza a valvole aperte e che
fornisce sulla faccia dello stantuffo un lavoro generalmente negativo (il termine generalmente
è stato usato, in quanto il pompaggio può essere anche positivo, cioè fornire sullo stantuffo un lavoro utile
e lo fa, ogni qualvolta la pressione durante l’aspirazione è maggiore di quella agente sullo stantuffo
durante l’espulsione (caso tipico è la sovralimentazione a scarico libero)). Oltre a questa differenza
nel segno del lavoro i due cicli si differenziano concettualmente nella natura dei fenomeni
coinvolti, in quanto, i primi sono di tipo termodinamico, mentre, i secondi sono di tipo
fluidodinamico. Nel ciclo negativo, infatti, avvengono i fenomeni di ricambio del fluido
operante: in concreto l’aspirazione e l’espulsione da cui derivano poi il termine di
rendimento di pompaggio.
Da qui nasce anche l’opportuna logica di considerarli separatamente.
Nei motori aspirati che aspirano ed espellono in un ambiente a pressione costante il lavoro
di pompaggio è necessariamente sempre negativo. Per aspirare sullo stantuffo deve esserci
una pressione inferiore all’atmosferica, mentre, per espellere sullo stantuffo deve esserci
una pressione superiore all’atmosferica. Quindi in definitiva il lavoro di pompaggio è il
controvalore energetico che bisogna pagare per ottenere il voluto (massimo possibile)
rendimento volumetrico. Come avevamo visto in precedenza i motori possono sfruttare i
fenomeni discussi poco sopra o non possono sfruttarli.
Per questi ultimi, quelli non accordati, a determinare il rendimento volumetrico sono
sostanzialmente le perdite concentrate e continue nei condotti e nelle valvole. Perciò in
essi il rendimento di pompaggio e rendimento volumetrico vanno di pari passo; ciò
29
significa che una grossa perdita di rendimento di pompaggio (cioè forti perdite nei condotti e
nelle valvole) origina contemporaneamente un basso rendimento volumetrico.
Nei motori accordati l’effetto delle perdite ovviamente sussiste, ma si aggiunge con
maggiore intensità un fondamentale fenomeno fluidodinamico (cioè l’inerzia e l’elasticità delle
colonne gassose nei condotti) intrattenuto ed amplificato da un’accurata accordatura in
risonanza dei condotti: ed è su di essi che soprattutto lavora lo stantuffo. Per avere un
quadro completo di quanto detto poc’anzi ho riprodotto una situazione di pressioni in
funzione dell’angolo di manovella interne ad un cilindro, a monte della valvola di
aspirazione e a valle della valvola di scarico di motore di formula uno (figura 1-9-IV).
Figura 1-9-IV
GRAFICO DI RAPPRESENTAZIONE DELLA PRESSIONE ASSOLUTA NELLA SITUAZIONE DI POTENZA MAX
bar 1,2
pressione
bar 1 atmosferica
bar 0,6
bar 0,5
Nella figura sovrastante si vede tra, 360° e 540° d’angolo di manovella, (corsa di
aspirazione), quanto bassa sia durante l’aspirazione la pressione nel cilindro. Questa
depressione solo in parte è spesa per vincere le resistenze dissipative del condotto di
aspirazione: la maggior parte serve a generare e intrattenere in condizioni di risonanza
onde nel condotto stesso, quelle che si vedono di colore fucsia. Analogamente l’alta
30
pressione nel cilindro in fase di scarico espulsione, (angolo di manovella tra 180° e 360° e colore
dell’onda celeste), solo in parte va a vincere le resistenze dissipative del condotto di scarico:
una grossa parte va a generare ed intrattenere in risonanza intense onde di scarico (onda di
colore blu). Qui appunto il lavoro di pompaggio è speso in buona parte a produrre onde, non
circa 170Cv al regime di potenza massima, quindi, con potenza indicata di 970Cv (potenza
all’albero motore) e rendimento volumetrico dell’ordine di 1,2 (120%).
Se fosse privato dei suoi condotti risonanti il suo rendimento volumetrico scenderebbe
all’incirca ad un valore dell’ordine di 0,9 (90%). Immaginiamo (per assurdo) che il regime di
rotazione rimanga invariato (e quindi in sostanza anche la potenza organica), la sua potenza
indicata varierà nel rapporto dei rendimenti volumetrici, quindi, scenderà a circa 970*
(0,9/1,2)=727,5Cv, (il rapporto esplica il 75% della potenza iniziale) da cui, detratti i
170Cv di perdite organiche si otterrà una potenza residua utile di 557,5Cv, con una perdita
netta di ben 242,5Cv (in pratica il 25% della potenza iniziale).
31
Capitolo V
Siamo così giunti all’essenzialità della prima porzione dello scarico (oggetto e colonna
portante della presente relazione), i collettori veri responsabili attuatori dei fenomeni non
stazionari discussi precedentemente. Per trasferire nel lettore un modello più concettuale e
concreto a riguardo dei menzionati, ho ritenuto opportuno inserire una descrizione
intuitiva sia dei flussi quasi stazionari sia dei flussi non stazionari; purtroppo annegando
nelle onde (di pressione).
Figura 2-1-V
32
Il quasi è usato per affermare che il suddetto entrante e/o uscente dal motore è studiato
usando le solite equazioni del flusso compressibile stazionario (anche se in realtà non
stazionario, in quanto rapidamente variabile nel tempo come prima affermato). Mi ripeto assicurando
che il metodo è tanto più giustificato sul piano teorico, quanto più i condotti sono corti
rispetto alla lunghezza d’onda dell’onda di portata in entrata o in uscita. In tali condizioni,
infatti, i termini non stazionari delle equazioni divengono sufficientemente piccoli da poter
essere trascurati. Per questo il calcolo del ciclo indicato ai fini di quantificare il
rendimento volumetrico può essere correttamente effettuato come già asserito poco sopra,
con le formule del flusso isetropico.
Al contrario come già affermato precedentemente utilizzando condotti lunghi quanto la
lunghezza d’onda, si generano fenomeni fluidodinamici come la risonanza, (capace di
aumentare (i picchi dell’onda) l’intensità delle onde), con gli ovvi risultati volutamente cercati. E’
inutile prolungarmi ancora visto che il mio scopo tramite la presente è solo di far
comprendere l’importanza della fluidodinamica non stazionaria nell’ambito della
motoristica ad alta potenza specifica (fenomeno capace di sprigionare potenze demoniache).
Paragrafo 2-V) Flussi non stazionari per i motori a quattro tempi (modello intuitivo).
Introduzione al modello reale per la spiegazione del sistema d’aspirazione.
33
Figura 1-2-V
è come se fosse uno stantuffo solido di massa compatta). Una saracinesca (Sa) interposta fra loro
34
Figura 1-2-V
A fine corsa di aspirazione l'aria tra i due stantuffi è a pressione ambiente, quindi, se ora
venisse chiusa quella saracinesca (Sa) proposta prima, (sta facendo le veci della valvola di
aspirazione) si avrebbe un rendimento volumetrico pari ad 1 (quest’ultimo è uguale al rapporto tra
la massa di fluido intrappolata e la massa di fluido che idealmente riempirebbe il cilindro, avente la
densità dell'ambiente di aspirazione (nel nostro specifico caso è l'ambiente stesso)).
Ripetiamo ora l'esperimento imprimendo allo stantuffo (1) un movimento rapidissimo,
anzi, a velocità infinita. Ora succede che l’inerzia dello stantuffo (2) gli impedisce di
seguire il moto dello stantuffo (1): quest'ultimo genera sì una forte depressione, ma
essendo il tempo disponibile infinitesimo lo stantuffo (2) non riesce neppure a mettersi in
movimento e rimane fermo. Il risultato è che alla fine della corsa di aspirazione, l'aria
compresa tra i due stantuffi è in forte depressione, cioè ha una bassa densità o per meglio
definire, in quel determinato volume c'è poca quantità di molecole del fluido intrappolato,
quindi, se ora si chiudesse la saracinesca (Sa) istantaneamente a fine corsa, il rendimento
volumetrico sarebbe poverissimo. Tra queste due velocità, quella bassissima e quella
altissima ne esiste una, anzi, ne esistono un intero campo attorno al valore ottimale per il
quale il rendimento volumetrico può raggiungere un valore massimo e addirittura con lo
35
sfruttamento della fluidodinamica non stazionaria è in grado di raggiungere valori
superiori ad 1, tipici dei motori da competizione quali i formula uno.
Immaginiamo d’avere lo stesso modello discusso poco sopra ma con la sola differenza
strutturale, che la saracinesca (Sa) posta in prossimità dell'unione del tubo di aspirazione
con il cilindro sia in grado di essere aperta o chiusa a piacimento come prima, ma ora
comandata con un’ideologia più opportuna. Fissiamo bene in mente questo sistema (figura
1-3-V).
Figura 1-3-V
All'inizio del suo moto lo stantuffo (1) comincia ad accelerare verso il basso generando la
solita depressione. Lo stantuffo (2) per effetto di tale depressione comincia esso pure ad
accelerare, ma a causa della propria inerzia dovuta alla sua massa, lo fa lentamente, vale a
dire in ritardo rispetto al moto dell’ (1). Quindi, durante la prima parte del moto dell’(1) la
depressione continua a crescere in quanto lo stantuffo (2), non è ancora riuscito ad
accelerare quanto deve, perciò aumenta il volume compreso fra i due con una conseguente
diminuzione della pressione (dovuta alle leggi sull'espansione dei gas, le quali affermano che esso
36
tende ad occupare quanto più spazio gli è concesso e ne consegue per tanto, una diminuzione di densità
nell'unità di volume essendo aumentata la capienza che lo conteneva (equazione di stato fondamentale)).
Lo stantuffo (1) s’ipotizza (ma nella realtà è così) che sia al P.M.S. sia al P.M.I. abbia velocità
zero, per questo da un punto morto all'altro, lo stantuffo (1) eseguirà un moto del tipo:
1) P.M.S. partenza da fermo, velocità zero, accelerazione massima con direzione verso il
P.M.I.
2) Circa a metà corsa, velocità massima, accelerazione zero, con direzione verso il P.M.I.
3) Lo stantuffo dovrà tornare a velocità zero, quindi, inizia la sua decelerazione verso il
P.M.I.
4) Giunto al P.M.I. lo stantuffo cambia direzione al suo moto rettilineo alternato e rifarà
queste fasi di movimento al contrario descritto.
Giunto al di là della propria metà corsa (dove raggiunge la massima velocità) lo stantuffo (1)
comincia a decelerare, mentre, lo stantuffo (2) per effetto della depressione è ormai in
piena accelerazione e sta aumentando rapidamente la propria velocità (in fisica le masse di
fluidi si muovono con velocità anche proporzionale alle differenze di pressione). Ora lo stantuffo (2) è
molto veloce mentre l’(1) sta oramai rallentando. E' chiaro ora che succederà il contrario
di quanto esposto prima, infatti, con queste nuove condizioni la depressione dell'aria
compresa tra i due stantuffi diminuirà fino ad annullarsi (visto che ora il volume liberato dai
considerati sta diminuendo con un modesto e conseguente aumento di pressione). In quest’istante lo
sua direzione e sta risalendo il cilindro. L'aria è ora compressa tra i due moti opposti degli
37
stantuffi ed esiste un preciso istante, in cui essa cessa di entrare e comincia ad uscire (figura
2-3-V).
Figura 2-3-V
Vediamo ora che cosa succede allo scarico. Con riferimento al sistema preso in
considerazione per l’aspirazione, colleghiamo un secondo tubo (di scarico) a lunghezza
indefinita adiacente al primo collocato come il precedente in alto al cilindro ed avente una
seconda saracinesca (Ss), che simula la valvola di scarico. Subito dopo, cioè a monte del
tubo di scarico, immaginiamo di porre un altro stantuffo fittizio (3) avente anch'esso massa
opportuna privo di attriti e supposto all'inizio fermo (figura 1-4-V ).
38
Figura 1-4-V
Abbiamo lasciato il sistema precedente nella situazione di fine aspirazione, vale a dire
nell'istante in cui la valvola di aspirazione si era chiusa intrappolando nel cilindro una
certa massa d’aria. Ora a valvole chiuse avvengono le fasi di compressione, combustione
ed espansione che non interessano i condotti (perciò in questa sessione di spiegazione non sono
citate). Verso la fine della fase di espansione la saracinesca (Ss) (valvola di scarico) si apre ed
inizia la fuoriuscita dei gas. Questi ultimi all'istante d’apertura a causa della combustione
avvenuta, e quindi, del relativo aumento di temperatura hanno una pressione piuttosto
elevata dell'ordine di qualche BAR per un aspirato (e proporzionale più alta in un
sovralimentato). Essi, quindi, precipitandosi violentemente fuori del cilindro sparano nel
tubo di scarico lo stantuffo (3) ipotizzato inizialmente fermo, il quale continua poi ad
essere ulteriormente spinto dagli stessi espulsi dalla risalita dello stantuffo (1). Esso
continua perciò ad accelerare fino a che sul retro agisce una pressione maggiore di quelli
agente sulla parte anteriore (contropressione del tubo di scarico, operata principalmente da tutti gli
elementi dello stesso). Data la violenza del fenomeno s’intuisce facilmente che esso
raggiungerà una velocità molto alta, vale a dire una forte energia cinetica. Al di là della
metà corsa d’espulsione, lo stantuffo (1) comincia a rallentare mentre lo stantuffo (3) sta
ormai viaggiando alla massima velocità. Verso la fine della sua corsa lo stantuffo (1)
pressoché fermo quasi non espelle più gas, mentre, lo stantuffo (3) alla sua massima
39
velocità, ora libera tra i due stantuffi un volume maggiore di quello espulso dal cilindro
generando quindi sul suo retro, una depressione molto intensa data la sua grande energia
cinetica (figura 2-4-V).
Figura 2-4-V
Esso ora rallenta per effetto della depressione da esso stesso generata fino ad arrestarsi.
Nell'intorno del P.M.S. (punto morto superiore), la valvola di scarico ( la saracinesca (Ss)),sta
richiudendo, mentre, quella di aspirazione sta già cominciando ad aprire (incrocio delle
valvole). La forte depressione esistente nello scarico (per il motivo appena spiegato) aspira la
40
Figura 2-4-V
3) Operare una preaspirazione dinamica di fluido operante nel sistema prima ancora che la
vera e propria corsa d’aspirazione dello stantuffo inizi, in altre parole la differenza di
pressione tra i due condotti fa sì che la massa della colonna del fluido operante nel
sistema, si metta in movimento prima ancora che lo faccia il moto dello stantuffo (1) del
motore.
Ora lo scarico chiude mentre l'aspirazione continua ad aprire ripetendo i fenomeni già
descritti per un nuovo ciclo del sistema. Come si può capire se il nostro sistema intuitivo
41
avesse gli stantuffi (2) e (3), i condotti e tutte le parti in gioco opportunamente
dimensionate in modo da operare con il giusto sincronismo, si otterrebbero due effetti di
fondamentale importanza:
2) Un’intensa depressione dinamica, generata dal tubo di scarico che opera la riaspirazione
dei gas combusti eventualmente entrati nel condotto d’aspirazione durante l'incrocio delle
valvole, il lavaggio della camera di combustione ed il preavviamento dinamico della fase
di aspirazione.
Alla luce di quanto scritto sinora la domanda più ovvia che il lettore si possa porre è: che
cos’è un’onda?
Facciamo subito contenti i puristi: un’onda è una variazione di stato che si propaga nello
spazio tempo.
Se attacchiamo una lunga corda ad un muro e poi con l’altra estremità in mano andiamo
dalla parte opposta lasciando la corda un po’ lenta, ed infine imprimiamo a detta estremità
un brusco movimento trasversale vediamo che questo movimento si propaga lungo la
corda. Si propaga nello spazio in quanto esso ha viaggiato dalla nostra mano fino al muro.
Si propaga nel tempo in quanto il movimento ha impiegato un certo tempo per viaggiare
dalla nostra mano al muro. Giunta al muro l’onda si riflette secondo certe modalità (che al
fine della sola comprensione non ci riguarda) tornando verso di noi. Se non ci fossero
42
tornando poi indietro; questo tipo di onda è quello di maggiore interesse motoristico.
Questa è la minima e indispensabile conoscenza per quanto concerne le onde in generale.
Voglio solamente concretizzare in ultimo luogo una mia opinione a favore delle nominate,
in quanto spesse volte ho sentito esprimere concetti alquanto strani su di esse. Uno dei più
diffusi, magari scaturito osservando le onde del mare è l’idea che un’onda trasporta
pressioni ma non massa. Questo concetto un po’ ibrido sicuramente è sorto per il semplice
motivo che essa è un’onda periodica simmetrica sinusoidale: l’impulso positivo trasporta
massa in un senso, quello negativo la trasporta nuovamente nel senso opposto, quindi, con
uno spostamento totale nullo. Sia in un senso sia nell’altro l’intera informazione relativa
alle proprietà dell’onda è contenuta nell’onda stessa, in pratica nelle equazioni che
governano il flusso. Dunque in definitiva ad un’onda (positiva o negativa) di pressione (cioè di
energia elastica) è intrinsecamente associata la corrispondente onda di velocità (cioè di energia
cinetica) e di spostamento (cioè di trasporto di massa). Nei condotti dei motori si hanno onde
totalmente asimmetriche:
Il motore aspira una certa massa d’aria e poi chiude le valvole, non la ributta fuori. Espelle
gas di scarico e poi chiude le valvole, non li riaspira. Queste onde asimmetriche
trasportano dunque in se stesse contemporaneamente e globalmente, pressioni, velocità,
masse ed energia.
43