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Stefano Tanturri

Relazione tecnica

BASI CONCETTUALI
“Influenza del sistema di scarico
completo sulla potenza specifica
erogata dal motore endotermico
a quattro tempi”

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RELAZIONE
Alla cortese attenzione dell’ing. Di Giacomo.
Oggetto: “ L’influenza dell’impianto di scarico sul motore endotermico a quattro tempi”.
Qui di seguito alcune note a lei rivolte:

1) La realizzazione del mio progetto richiede l’impiego di modeste risorse industriali.

2) Il prodotto da me sviluppato è più performante di quello di serie.

3) Il segmento del mercato interessato, silenziatori e collettori sportivi, è in continua


crescita e di rimarchevoli dimensioni sia in Italia che all’estero.

4) Il prodotto montato risponde a tutte le normative europee vigenti.

5) I consumi specifici dei motori endotermici che l’utilizzano sono sensibilmente ridotti.

6) I gas residui dalla combustione hanno una composizione meno inquinante.

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Introduzione

L’evoluzione della meccanica e dell’elettronica applicata ai motori endotermici, non ha


sostanzialmente modificato le radici concettuali sulla logica del funzionamento di un
comune impianto di scarico, anche se tuttavia ha inserito nel linguaggio degli addetti ai
lavori parole concatenate ad esso come centralina, sonda lambda, iniezione, catalizzatore,
sensori, oltre ai comuni elementi che già lo costituivano, quali collettori e silenziatori.
Da una mia meticolosa ricerca condotta fra le più importanti fabbriche italiane che
producono sistemi di sostituzione allo scarico originale, (marmitte di secondo montaggio),
emerge un dato di curiosità fondamentale; le persone che si occupano di tale progettazione
e realizzazione, (materiale commerciale), in realtà sono degli intelligenti imitatori del prodotto
originale stesso. Con ciò non voglio screditare il lavoro altrui ma solo affermare, (essendo
un dato di fatto), che per quanto concerne questa merce di sostituzione non c’è bisogno di

studiare nulla, in quanto la semplice misurazione della contropressione creata all’inizio


dello scarico (in pratica subito dopo il collettore) dall’impianto di silenziamento d’origine al
regime di potenza massima, è sufficiente a porgere notizie vitali che supportino la
costruzione di quest’elemento da imitare (ai fini di ottenere un similissimo funzionamento, che del
resto è ciò che si vuole). Considerando così questo valore di pressione rilevato fra l’intorno da

rispettare secondo le direttive emanate dalla comunità europea, e rispettando anche il


grado sonoro emesso dallo stesso al numero di giri prestabilito dalle menzionate, si è a
conoscenza delle informazioni necessarie a convenire al suo realizzo (correttamente, visto che
l’intero sistema in esame è già stato studiato dalla casa madre).

Questa metodologia è accettabile e valida quando si vuole riprodurre un impianto di


scarico con caratteristiche di funzionamento originali, mentre, quando si vuole apportare al
considerato modifiche di tipo sportivo, vale a dire capaci di aumentare le prestazioni
dell’autovettura allora il discorso diventa molto più complesso.
Per arrivare a comprendere questa difficoltà bisognerà attendere la lettura completa della
presente, in quanto essa ha proprio il doveroso compito di far capire al lettore la stretta e

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logica dipendenza che intercorre tra l’erogazione e lo scarico in termini scientifici. Ma se
questa premessa al sistema di evacuazione dei gas combusti deve essere solo una facile
presentazione, quindi priva di solide basi concettuali, per introdurre in prima istanza solo
intuitivamente il quesito postoci, affermiamo semplicemente che la coppia motrice utile ad
ogni numero di giri del propulsore, (e con essa la relativa potenza istantanea), è dipendente
dall’energia meccanica prodotta, la quale a sua volta è funzione della portata di
combustibile (e con esso di comburente in quanto legate da proporzioni fisicochimiche) che entra e
che viene bruciata da quest’ultimo. Al sistema in esame sarà attribuita nel seguito della
relazione, l’enorme capacità di influenzare l’entità in massa di fluido operante
(combustibile) che partecipa alla combustione, apparendo così logica una produzione

maggiore d’energia meccanica a tutto vantaggio di una potenza superiore, tenendo però
conto che il ruolo fondamentale in questa correlazione, lo ricoprono sostanzialmente le
vicende vissute dai gas combusti nel collettore di scarico e non da quelle accadutegli nei
silenziatori successivi. La sostituzione del solo silenziatore centrale e/o terminale originale
delle autovetture moderne di serie con uno di tipo sportivo, nella maggior parte dei casi,
infatti, porta solo ad una consistente perdita di coppia motrice e spesse volte per
conseguenza, anche ad una corrispondente perdita di potenza massima. Questa mancanza
si concreta in quanto il collettore originale è costruito in funzione di tutti i dispositivi
contigui a lui impostogli dalle esigenze richieste dalle normative europee, e quindi,
concepito con una logica d’efficacia dipendente essenzialmente dall’influenza degli stessi
risultando così non più ottimale in termini di un particolare fenomeno fisico denominato
risonanza (su cui era stato progettato), compromettendo così la potenza erogata su tutto l’arco
di rotazione del propulsore. La questione nasce perché la contropressione applicata dalla
nuova configurazione operata ai suddetti, danneggia irreparabilmente i periodi naturali
delle onde degli identici condotti dei collettori rimasti invariati e quindi ora errati
all’operazione eseguita. (come sopra accennato, infatti, le risonanze si generano nella prima porzione
del sistema di scarico, proprio in quei tubi aggrovigliati denominati comunemente collettori).

Da qui appare evidente l’errata convinzione degli appassionati automobilisti che


abbassano la contropressione al collettore originale, e quindi diminuiscono le resistenze

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alla fuoriuscita dei gas combusti, aspettandosi sempre benefici dato che ora per logica, si
sta scaricando maggiormente.
Ciò in realtà non è vero, perché abbassare la contropressione mediante scarichi sportivi (sia
in commercio che artigianali), sposta solo la potenza massima a giri superiori perdendo di

solito quella a bassi regimi e costringendo così il conducente dell’autovettura ad usare


costantemente le marce per sopperire alla carenza enunciata; per non menzionare poi, nei
casi estremi, l’aggiunta di un fastidiosissimo rumore provocato dallo stesso ed il problema
dell’inquinamento.
Il futuro, infatti, prevederà sanzioni più severe a riguardo di quest’ultimo, controllate
introducendo all’interno della centralina un nuovo sistema di controllo elettronico: l’OBD.
Esso consisterà in un sistema di diagnosi elettronica posta prima e dopo il catalizzatore
mediante due sonde lambda. La prima svolgerà la solita mansione di controllo circa le
proporzioni degli elementi che compongono in sostanza il fluido operante utilizzato ad
ogni ciclo dalla macchina termica (in quanto si è constatato che un’efficiente conversione da parte
della marmitta catalitica oltre che in presenza di giuste temperature d’esercizio della stessa, si ha quando
il rapporto tra combustibile e comburente durante la combustione, è precisamente 14,7 parti di aria contro
una di benzina (stechiometrico)). La seconda sonda invece controllerà che la conversione dei

gas combusti sia totalmente avvenuta e che quindi, non ci siano anomalie dovute ai
molteplici problemi che affliggono la durata di un catalizzatore.
Appare quindi evidente che operare una modifica al sistema in esame, sarà un’impresa
ardua se si compirà ancora come oggi in maniera puramente casuale.

Conclusioni

Conoscere le trasformazioni subite dal fluido operante nell’ambito della sua evoluzione
termodinamica completa interna al motore, studiare il suo relativo moto nei condotti,
capire il perché esistono determinati dispositivi periferici allo stesso, può collocare lo
studioso in un’ottica di completo patrocinio dell’intero meccanismo.

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Il modo migliore per affrontare la reale importanza dell’oggetto in questione quale
l’impianto di scarico, (vero obbiettivo primario della seguente relazione), è intuire molto
sinteticamente i principi che governano globalmente il sistema che ne usufruisce
compiendo un approccio concettuale su più fronti.

Capitolo I

FUNZIONI PRINCIPALI SVOLTE DA UN MOTORE

Il motore endotermico (di qualunque classificazione esso sia è una macchina a gas capace di compiere
lavoro utile, utilizzando la variazione di pressione sostenuta dal fluido operante (tipicamente
compressibile; avente cioè le caratteristiche di un gas)) inteso come macchina termica, trasforma

la quantità di fluido operante realmente introdotto (per questioni di rifiuti o di riflussi legati sia
alla fase d’aspirazione sia in quella di scarico, la massa totale di fluido operante spesa ad ogni ciclo non è
totalmente intrappolata, causando così la prima di una lunga serie di perdite d’energia che affliggono un
motore (la perdita è correlata dal fatto che, se la massa di fluido operante spesa ad ogni ciclo partecipasse
totalmente alla combustione, potrebbe ovviamente, essendo di quantità maggiore rispetto a quella
presente ora nella camera, liberare un calore superiore (più energia termica) a quello che realmente si
genererà)) nel reattore chimico (camera di scoppio), in energia termica (plebea di bassa casta, quale

il calore) liberata dalla reale combustione (questa trasformazione considerata dagli studiosi, una
politropica isocora, non trasforma in energia termica tutta la massa di fluido operante presente nella
camera di scoppio (causando la seconda perdita d’energia)) sostenuta dal passaggio degli

idrocarburi (costituiti dal combustibile (qualunque esso sia, l’importante è che dal suo stato liquido
iniziale, sia poi gassificato mediante un qualsiasi sistema d’alimentazione, (molecolarmente composto
essenzialmente da carbonio e idrogeno)) e dal comburente (aria (contenente ossigeno, vera essenza per

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realizzare la reazione chimica (combustione))) dallo stato gassoso, (a bassa entalpia) in idrocarburi

sempre gassosi, ma essendo stati combusti (ad alta entalpia (entalpia=U+(p*v) (alta pressione
dovuta all’aumento di temperatura))), ora possessori di una grande energia (sia l’energia termica,
che quella meccanica sono convertibili l’una nell’altra, ma secondo un principio denominato
d’equivalenza) capace di fornire lavoro (in Fisica il lavoro compiuto, si quantizza come il prodotto di
una forza applicata (nel caso che la forza agente fosse misurata in Newton (1Newton=Kg*metri/s^2),
essa è uguale al prodotto della massa inerziale (misurata in Kg) per l’accelerazione prodotta (misurata in
metri/s^2)), per uno spostamento scaturito; nel caso particolare del motore, la forza applicata è data dalla
pressione esercita dall’espansione dei gas (nel caso particolare che la forza fosse uguale al prodotto della
pressione esercitata (misurata Kg/metro^2), per la superficie d’appoggio su cui agisce perpendicolarmente
(misurata in metro^2) essa sarebbe quantificata dimensionalmente dal Kg (1Kg=9,8Newton)) sull’unica
superficie d’appoggio mobile concessagli (faccia superiore dello stantuffo), moltiplicata per uno
spostamento (angolare, nel caso del motore) compiuto nell’unita di tempo (il secondo)) utilizzabile al

manovellismo. Visto che, non tutto il calore liberato è trasformabile in energia (di alto rango)
di movimento (come è noto in termodinamica, qualsiasi trasformazione d’energia da uno stato ad un
altro, è affetta da dissipazioni di varia natura, quindi dall’energia primaria non si ha mai un equivalente
identico), per il principio di conservazione della stessa, il bilanciamento energetico di un

qualsiasi motore esplica chiaramente il lavoro compiuto da quest’ultimo, come la


differenza tra il calore introdotto (potenzialmente contenuto nel fluido operante presente all’atto
della combustione come asserito sopra) e l’energia dissipata per varie vie (sempre considerata nelle
stesse unità di misura del calore e del lavoro (il Joule (1Joule=1Newton*1metro oppure
9,8Joule=1Kg*1metro))); da quanto affermato arriviamo alla conclusione, che la potenza di

un motore endotermico, in altre parole la quantità di lavoro compiuto nell’unità di tempo


(definizione fisica della potenza (misurata in Watt)), è proporzionale alla materia introdotta in

esso e realmente utilizzata ad ogni ciclo utile (potenza correlata alla capacità d’eseguire
correttamente la reazione chimica dell’intera massa intrappolata (una delle vie dissipative nominate in
precedenza)).

Tabella delle formule fisiche e delle corrispettive unità di misura

FORMULE FISICHE UGUAGLIANZE tra unità di misura Unità ingegneristica


FORZA=MASSA*ACCELLERAZIONE 1NEWTON=1Kg*(1metro/1sec^2) Newton=Kg*(m/sec^2)
MASSA=FORZA / ACCELERAZIONE 1Kg=1newton/(1metro/1sec^2) Kg

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ACCELERAZIONE=FORZA / MASSA 1metro*1sec^ -2=1newton/1Kilogrammo m/sec^2
ACCELERAZIONE GRAVITAZIONALE 9,80665m/s^2=9,80665m*1sec^ -2 m/sec^2
RAPPORTO da Chilogrammi a forza 1KILOGRAMMO=9,80665Newton Newton
RAPPORTO da forza a Chilogrammi 1NEWTON=0,1019716213Kilogrammi Kg
LAVORO=FORZA*SPOSTAMENTO 1JOULE=1newton*1metro Newtonmetro
LAVORO=FORZA*SPOSTAMENTO 1Kgm=1Kg*1metro Chilogrammetro
EQUIVALENZA da joule a Kgm 9,80665JOULE=1Kilogrammetro Joule
EQUIVALENZA da Kgm a joule 1KILOGRAMMETRO=9,80665joule Chilogrammetro
RAPPORTO da Kgm a Nm NEWTONMETRO=Kilogrammetro*9,80665 Newtonmetro
RAPPORTO da Nm a Kgm KILOGRAMMETRO=Newtonmetro/9,80665 Chilogrammetro
POTENZA=LAVORO/UNITA' TEMPO 1WATT=1joule*1sec^ -1 Watt
POTENZA=LAVORO/UNITA' TEMPO 9,80665WATT=1Kilogrammetro*sec^ -1 Watt
POTENZA=LAVORO/UNITA' TEMPO 1CV=1HP=75 Kgm*1sec^ -1 Power horses
POTENZA=LAVORO/UNITA' TEMPO 75Kgm*sec^ -1=1CV=HP Kgsecondo
POTENZA=LAVORO/(unitàtempo)*FORZA 1CAVALLI=(75Kgm/1sec)*9,80665Nm Cavalli vapore
POTENZA=FORZA*VELOCITA' 1WATT=1Newtonmetro/(1metro*sec^ -1) Watt
POTENZA ORA IN CAVALLI 1CAVALLORA=(75Kgm/1sec)*3600sec Cavalli ora
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOWATT=10^3watt Chilowatt
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOWATT=1000joule*sec^ -1 Chilowatt
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1h=1h*3600sec Ora
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOWATTORA=1Kw*3600sec Chilowattora
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOWATTORA=3600000joule*sec^ -1 Chilowattora
COEFFICIENTE DI MOLTIPLICAZIONE Passaggio da KW a CV Watt=cavalli vapore
COEFFICIENTE DI MOLTIPLICAZIONE Passaggio da CV a KW Cavalli vapore=Watt
EQUIVALENZA TERMICA (caloria=joule) 1caloria=4,1868joule Caloria
EQUIVALENZA TERMICA (joule=calorie) 1joule=1/4,1868calorie Joule
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOCALORIA=10^3calorie Kcaloria
FATTORE DI MOLTIPLICAZIONE 1KILOCALORIA=4,1868joule*10^3 Kjoule
ZERO ASSOLUTO (grado kelvin) 0°KEVIN=-273,16gradi centigradi Kelvin
ZERO CELSIUS (grado centigrado) 0°CENTIGRADI=273,16kelvin Celsius=centigradi

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Capitolo II

FORMULE FONDAMENTALI DELLA TEORIA DEL MOTORE

Lo scopo di questo capitolo è giungere alle derivazioni fondamentali delle relazioni che
governano il funzionamento di un motore, in particolare la formula della potenza che
costituirà la struttura portante dell’intera relazione.

Paragrafo 1-II) Bilancio energetico di un motore

Tutte le definizioni che si assumeranno d’ora in avanti sono il frutto della Fisica teorica
applicata ai sistemi in esame, per quanto, omettiamo ogni volta il riferimento alla legge
specifica che ne soddisfa la relazione rassicurandoci quindi delle loro piene validità.
Inoltre le unità di misura di seguito riportate sono normalmente le più utilizzate.
Fondiamo innanzi tutto l’intero studio su solide basi partendo proprio dal principio di
conservazione dell’energia.
Lu=Qt-Ed (1)
Dove Qt (misurata in Kjoule) è il calore totale corrispondente alla massa totale spesa ad ogni
ciclo, mentre, Ed indica l’energia dissipata per varie vie (misurata in Kjoule). Questa
relazione definisce il lavoro utile, come la differenza tra il calore introdotto e l’energia
dissipata per varie vie:
Lu è misurato Kjoule (o Kcaloria dipendente dalle unità di misura utilizzate) essendo la differenza
di due grandezze omogenee misurate in Kjoule (o Kcaloria dipendente dalle unità di misura
utilizzate).

Paragrafo 2-II) Rendimento termico utile

E’ definito rendimento termico utile del cilindro il rapporto tra il lavoro utile fornito
all’albero e l’energia termica totale spesa ad ogni ciclo:
Nu=Lu/Qt (2)

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Nu è il frutto del rapporto di due grandezze omogenee entrambe quantificate solitamente
in Kjoule. Esso risulta così un numero puro (adimensionato) vale a dire una percentuale.

Paragrafo 3-II) Formula della potenza (espressione sintetica)

Se Lu (misurato in Joule) è il lavoro fornito ad ogni ciclo, la potenza utile fornita dal cilindro
considerato è perciò data dal prodotto di tale lavoro per il numero di cicli compiuti dal
motore in un secondo:
Wu=Lu*ns*(2/Tempi) (3)
La potenza è misurata in Watt essendo la dimensione risultante dall’espressione di un
lavoro misurato in joule compiuto in un secondo (1W=1J*1s) , moltiplicata per un numero
puro (2/Tempi).
Nell’espressione la grandezza ns rappresenta i giri al secondo compiuti dall’albero motore,
mentre, il termine 2/Tempi mette in conto il fatto che il motore sia a due o a quattro tempi.
Esprimiamo ora il lavoro utile nella sua forma più conveniente ricavandola dalla formula
(2)
Lu=Nu*Qt (4)
Si nota che Lu continua ad essere misurata in Kjoule, essendo un numero puro
moltiplicato per il Kjoule.

Definizioni basilari di alcuni termini che compariranno nell’espressione

Definiamo con il termine di massa d’aria totale la massima massa d’aria che
effettivamente è entrata nel cilindro, indipendentemente dal fatto che una frazione più o
meno grande di essa venga perduta perché espulsa allo scarico o rifiutata dall’aspirazione
e perciò non partecipa al ciclo:
mat (5)
misurata in Kg

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Definiamo massa di combustibile totale la massa di combustibile che effettivamente è stata
spesa ad ogni ciclo, indipendentemente dal fatto che una frazione più o meno grande di
essa sia perduta perché espulsa allo scarico o rifiutata dall’aspirazione e perciò non
partecipa al ciclo:
mbt=Qt/Hi (6)
Qt equivale alla massa totale spesa ad ogni ciclo, mentre Hi equivale al potere calorifero
inferiore del combustibile. Dalla semplificazione matematica delle dimensioni, essa è così
misurata in Kg, essendo Qt misurato in Kjoule, mentre Hi misurato in Kjoule/Kg.

Definiamo il rapporto della massa d’aria totale e della massa di combustibile totale come
alfa t (rapporto stechiometrico):
alfa t=mat/mbt (7)
alfa t è il frutto del rapporto di due grandezze omogenee (entrambe quantificate in Kg), risulta
così un numero puro vale a dire una percentuale (adimensionato).

Definiamo massa d’aria ideale la massa d’aria capace di riempire perfettamente il cilindro
ed avente la densità corrispondente alle condizioni vigenti nell’ambiente di aspirazione:
maid=ro*Vu (8)
In cui ro equivale alla densità dell’aria nell’ambiente di riferimento, mentre, Vu è il
volume del cilindro.
Dalla semplificazione matematica delle dimensioni essa risulta misurata in Kg, essendo ro
misurata in Kg/m^3, mentre, il volume è misurato in m^3.

Definiamo la massa di combustibile ideale il rapporto tra la massa d’aria ideale e alfa t
(rapporto aria/combustibile totale):

mbid=maid/alfa t=(ro*Vu)/alfa t (9)


Dalla semplificazione matematica delle dimensioni essa risulta misurata in Kg, essendo ro
misurata in Kg/m^3, il volume misurato in m^3, quindi, al numeratore risultano solo i Kg,
i quali a loro volta divisi ancora per un numero puro, non variano la dimensione.

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Moltiplicando questa massa per il potere calorifero inferiore del combustibile si ottiene il
corrispondente calore ideale Qid:
Qid=maid*Hi (10)
Come dimensione, Qid dalle semplificazioni matematiche equivale a Kjoule essendo il
prodotto di Kg moltiplicati per Kjoule/Kg

Possiamo ora definire come rendimento volumetrico totale il rapporto tra i calori generati
tra le masse di combustibile reale e ideale:
Nvt=Qt/Qid=mbt/mbid (11)
Nvt è il frutto del rapporto di due grandezze omogenee entrambe quantificate in Kjoule per
la prima espressione e in Kg per la seconda espressione, risultando così in ambo i rapporti
un numero puro vale a dire una percentuale (adimensionato). Dividendo la prima espressione
sia al numeratore sia al denominatore per alfa t, si ottiene la seconda formulazione.
E’ considerato il rapporto tra i calori poiché in primo luogo procedendo in questa maniera,
si otterrà una formula della potenza molto generale che tiene anche conto in modo corretto
delle perdite di combustibile legate ai riflussi e rifiutate attraverso l’aspirazione e lo
scarico. In secondo luogo il rapporto tra masse di combustibile è un rapporto diretto e
immediato tra energie.
Applicando ora alla formula (2), le successive definizioni della (6), della (11) e della (10)
si ha:
Lu=Nu*Qt=Nu*mbt*Hi=Nu*Nvt*mbid*Hi=Nu*Nvt*((ro*Vu)/alfa t)*Hi (12)

Quindi dalla formula (3) è subito:


Wu=Nu*Nvt*((ro*Vu)/alfa t)*Hi*ns*(2/Tempi) (13)
Questa espressione fornisce la formula sintetica della potenza utile erogata dal cilindro
considerato.

Il regime di rotazione è una grandezza assai poco significativa perché dipendente dalle
dimensioni del motore (in particolare dalla cilindrata unitaria). La vera grandezza importante è
la velocità lineare dello stantuffo (il motivo è da ricercare nella meccanica inerziale e

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nell’aerodinamica del motore, ma in queste pagine non ci interessa), la quale è legata al regime di

rotazione con la seguente espressione:


u=2*ns*C (14)
Dove u è la velocità lineare dello stantuffo, ns come affermato in precedenza sono i cicli
compiuti dall’albero motore in un secondo, e C la corsa dello stantuffo.
Ricavando ns dalla precedente relazione e sostituendola nella formula (13), compiendo le
semplificazioni ovvie, si ha:
Wu=Nu*Nvt*((ro*Vu)/alfa t)*Hi*(u/C)*(1/Tempi) (15)
Scriviamo la (15) in una forma che ci consente di capire più facilmente la sostituzione che
vogliamo operare:
Wu=((Nu*Nvt*po*Hi*u)/(alfa t*Tempi))*(Vu/C) (15bis)

Il rapporto Vu/C non è altro che la superficie S dello stantuffo, quindi, l’espressione (15)
diviene:
Wu=Nu*Nvt*((ro*S*Hi)/alfa t)*(u/Tempi) (16)

Moltiplicando la formula precedente per il numero Z dei cilindri, si ottiene subito la


cercata espressione sintetica della potenza di un motore pluricilindrico:
Wu=Nu*Nvt*((ro*(Z*S)*Hi)/alfa t)*(u/Tempi) (17)
Analizzando la (17) in questa forma si può facilmente rilevare che la potenza di un motore
pluricilindrico non dipende più dalla cilindrata ne tantomeno dal regime di rotazione, (in
quanto entrambi non compaiono nella formula in esame), ma essa è direttamente dipendente dalla

superficie totale degli stantuffi (che infatti compare nella formula con i termini Z*s) e dalla
velocità lineare di uno di essi (essendo tutte uguali).

Paragrafo 4-II) Formula della potenza (espressione analitica)

Lo scopo di questo paragrafo è dare forma analitica all’espressione sintetica trovata nel
paragrafo precedente. Essa permetterà infatti, di individuare ad uno ad uno i fenomeni

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fondamentali che determinano la potenza utile erogata dal motore (come attriti, riempimento,
combustione ecc.).

Definizioni basilari di alcuni termini che compariranno nell’espressione

1) Rendimento di intrappolamento.
Non tutta la massa di combustile totale mbt spesa ad ogni ciclo rimane necessariamente
nel cilindro. Come già rilevato, una frazione più o meno importante può essere perduta
attraverso le valvole a causa dei rifiuti precedentemente accennati. Volendo tenere conto
correttamente di questa perdita definiamo con il termine rendimento di intrappolamento, il
rapporto tra la massa mbc realmente presente nel cilindro all’atto della combustione e la
massa totale mbt spesa ad ogni ciclo. Per le stesse problematiche incontrate nel rendimento
volumetrico anche qui si preferisce far riferimento al rapporto tra energie, quindi, conviene
utilizzare al posto delle masse in gioco il calore corrispondente liberato dalle stesse.
Nvt=Qt/Qid=mbc/mbt (18)

2) Rendimento di combustione della camera di combustione.


Non tutto il calore corrispondente alla massa di combustibile intrappolata nel cilindro può
essere liberato a causa delle eventuali incompletezze della combustione. Si ricorda che la
combustione degli idrocarburi avviene in fase gassosa; le eventuali frazioni di
combustibile rimaste allo stato liquido non bruciano o bruciano in modo incompleto. Per
dare peso a questa perdita definiamo con il termine di rendimento di combustione, il
rapporto tra il calore Qb effettivamente liberato dalla combustione ed il calore
corrispondente alla completa combustione della massa di fluido operante Qc intrappolata
nel cilindro.
Nc=Qb/Qc (19)

3) Rendimento di adiabaticità della camera di combustione.


Non tutto il calore effettivamente generato dalla combustione partecipa al ciclo. Una parte
viene perduta durante la combustione stessa perché ceduta per convezione ed

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irraggiamento alle pareti della camera. L’importanza di questa perdita sta nel fatto che si
tratta di un calore perduto nella fase di introduzione di energia nel ciclo e dunque, si
ripercuote in modo proporzionale sulla corrispondente perdita di potenza. Essa avviene a
causa delle altissime temperature raggiunte dai gas durante la combustione cui
corrispondono altrettanti elevati scambi termici tra gas e pareti della camera, causati
dall’elevata densità del fluido e dalla turbolenza principalmente indotta dalla combustione.
Teniamo conto di questa perdita definendo con il termine rendimento di adiabaticità dalla
camera di combustione, il rapporto tra il calore Qe che effettivamente partecipa al ciclo ed
il calore Qb effettivamente generato dalla combustione.
Nac=Qe/Qb (20)

4) Rendimento ideale del ciclo.


Il ciclo ideale di un motore ad accensione comandata è il noto ciclo otto, costituito da due
trasformazioni isocore e da due trasformazioni adiabatiche isentropiche a costanti fisiche
del fluido costanti. Misurando il lavoro del ciclo nelle stesse unità con cui è misurato il
calore, il rendimento ideale del ciclo è definito come il rapporto tra il lavoro del ciclo
ideale Lid ed il calore Qe che effettivamente partecipa al ciclo:
Nid=Lid/Qe (21)

7) Rendimento limite del ciclo.


Un primo passo di avvicinamento dal ciclo ideale verso quello reale, è dato dal tener conto
della variabilità delle costanti fisiche del fluido operante causato dalle forti variazioni di
pressione e temperatura cui è sottoposto. Le principali costanti fisiche che variano durante
il ciclo sono, il calore specifico (a volume costante, che interessa la fase di combustione), la
costante di Boyle del gas e l’esponente dell’adiabatica k. Si tiene conto di questa perdita
definendo un rendimento limite del ciclo il rapporto tra il lavoro Ll fornito dal ciclo limite
ed il lavoro fornito dal ciclo ideale:
Nl=Ll/Lid (22)

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6) rendimento indicato (parte positiva) del ciclo.
Il ciclo indicato del motore è quello realmente percorso dal fluido operante all’interno
dello stesso. E’ rappresentato da un diagramma cartesiano che mostra graficamente la
pressione istantanea assunta dal fluido rispetto al volume concessogli a disposizione nel
cilindro (Figura 1-4-I).
Figura 1-4-I

Come si vede dalla figura il ciclo indicato è costituito da due cicli. Il primo qui definito
positivo, è quello percorso in senso orario e che fornisce lavoro: in sostanza è la parte
calda del ciclo. Il secondo è un ciclo (generalmente) negativo, cioè percorso in senso
antiorario e quindi assorbe lavoro per il fatto che la corsa di aspirazione avviene in
depressione, mentre, quella di espulsione avviene in sovrapressione: in concreto è la parte
fredda del ciclo e corrispondente quindi al ricambio del fluido operante; quest’ultimo
prende il nome di ciclo di pompaggio. Il punto convenzionale di separazione tra i due è
visibile nella figura 1-4-I ed indicato con il punto P. Si fa espressamente notare che il ciclo
indicato è comprensivo di entrambe i cicli, in quanto per lavoro indicato si definisce il
lavoro raccolto dalla superficie dello stantuffo sull’intero ciclo. Per motivi esplicativi e per
separare meglio i fenomeni involti del ciclo caldo e del ciclo freddo, i quali sono tra loro
molto diversi (termodinamici i primi, fluidodinamici i secondi), si è ritenuto necessario dividerli
in rendimento indicato positivo e rendimento di pompaggio.
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Definiamo convenzionalmente come rendimento indicato positivo il rapporto tra il lavoro
Lip fornito dalla parte positiva del ciclo ed il lavoro fornito dal ciclo limite:
Ni=Lip/Ll (23)

7) Rendimento di pompaggio.
Tiene conto dell’influenza del ciclo di pompaggio per le cause spiegate poc’anzi ed è
definito dunque, come il rapporto tra il lavoro totale Li fornito dal ciclo indicato completo
(comprensivo cioè del ciclo di pompaggio) ed il lavoro fornito dal solo ciclo indicato positivo:

Np=Li/Lip (24)

8) Rendimento organico.
Il lavoro del ciclo indicato completo è quello che viene raccolto dalla superficie dello
stantuffo e trasferito agli organi meccanici del motore. Tali organi presentano attriti non
trascurabili ed inoltre il motore stesso aziona trascinandosi con se accessori come pompe
acqua e olio, generatori elettrici ed altri componenti, facendo così risultare il lavoro utile
fornito all’albero motore inferiore al lavoro indicato.
Si definisce dunque rendimento organico, il rapporto tra il lavoro utile Lu raccolto
dall’albero in uscita del motore a valle degli accessori ed il lavoro indicato completo:
No=Lu/Li (25)
Il considerare o meno gli accessori come facenti o non facenti parte del motore, origina le
varie definizioni (DIN, SAE ecc.) della potenza utile; quello che conta è definire ciò che
s’intende così la definizione di rendimento organico resta perfettamente coerente.
Siamo ora giunti alla fine della nostra cascata di definizioni. Si fa espressamente notare
che nelle singole definizioni la grandezza che compare al denominatore di un’espressione,
compare al numeratore della precedente. Ciò ci permette di applicare a ritroso (partendo
dall’ultima analizzata) le varie definizioni ottenendo l’espressione analitica del lavoro utile.

17
Dimostrazione:
Dalla (25) ricaviamo Lu
Lu=No*Li, adesso a ritroso su questa relazione d’uguaglianza andiamo a sostituire
all’ultimo valore la corrispondente espressione ricavata matematicamente sui rendimenti
elencati poco sopra:
Lu=No*Li=No*Np*Lip=No*Np*Ni*Li=No*Np*Ni*Nl*Lid=No*Np*Nip*Nl*Nid*Qe=N
o*Np*Nip*Nl*Nid*Nac*Qb= No*Np*Nip*Nl*Nid*Nac*Nc*Qc=
No*Np*Nip*Nl*Nid*Nac*Nc*Nt*Qt
Ordinando per una pura coerenza espositiva i vari rendimenti nello stesso ordine in cui
sono stati elencati, con l’unica eccezione di Nt che nella logica della successiva
discussione sta meglio vicino Nvt, si ha subito il rendimento utile del motore:
Nu=Lu/Qt=Nc*Nac*Nid*Nl*Nip*Np*No*Nt (26)

Sostituendo il rendimento utile così trovato e quantificato dalla (26) nell’espressione (17)
si ottiene, in forma analitica, la cercata formula della potenza utile erogata dal motore:
Wu=Nc*Nac*Nid*Nl*Nip*Np*No*Nt*Nvt*((ro*Z*S*Hi)/alfa t)*(u/Tempi) (27)

La formula della potenza espressa con la (27) non contiene solo i fattori della potenza, ma
anche i parametri influenzanti sul consumo specifico del motore stesso. In parole povere,
tutto quello che il motore fa nel bene e nel male in termini di potenza e di consumo
specifico è contenuto tutto e solo nei sedici termini.
Per quanto complessa sembra, quest’ultima non è altri che la definizione Fisica di base
della potenza. E’ semplice darne dimostrazione:
I primi nove membri sono numeri puri, (rapporti tra valori d’uguale dimensione) che moltiplicati
per la densità del comburente (ro), per il potere calorifero inferiore del combustibile (Hi),
diviso il rapporto stechiometrico (alfa t) definiscono una pressione (P.M.E. (pressione media
effettiva) giustificata solo dal fatto che dimensionalmente si tratta di una pressione). Tale pressione

moltiplicata per una superficie (totale degli stantuffi) d’appoggio, equivarrebbe ad una forza.
La stessa nuovamente moltiplicata per una velocità, (nel caso del motore angolare) quantifica
una potenza (in Fisica Potenza=forza*velocità).

18
Capitolo III

L’IMPIANTO DI SCARICO

Paragrafo 1-III) Funzione principale

Vediamo in breve quale mansione deve adempiere essenzialmente uno scarico:

Esso deve condurre all’esterno della camera di combustione i gas residui generati dalle
reazioni chimiche periodiche d’ogni singolo cilindro, per dar modo al sistema di sostituire
il fluido operante utilizzato al suo interno con una nuova porzione in grado di compiere
una successiva evoluzione. In concreto questa mansione è assolta dai collettori di scarico,
(visivamente sono costituiti da un groviglio di tubi), qualsiasi sia il loro materiale di costruzione e

indipendente dal tipo di configurazione (in figura 1-1-III sono rappresentate le possibili
configurazioni) che intercorre tra i tubi considerati primari e quelli considerati secondari
(prescindendo dalle prestazioni motoristiche attese).

Figura 1-1-III
Configurazione da interferenza Configurazione da indipendenza

19
Paragrafo 2-III) Problematiche inerenti al sistema di scarico.

Nello svolgere questa fondamentale funzione, dal collettore però fuoriesce sia un gran
rumore sia una notevole quantità di gas nocivi dovuti a fenomeni che affronteremo nei
successivi paragrafi. L’esigenza imposta dalla vita quotidiana non concorda con questi
inconvenienti, in quanto sia l’inquinamento acustico (problema sia del passato sia odierno) che
quello atmosferico (oggigiorno questa problematica è rimarchevole rispetto al passato, in quanto la
concentrazione del volume dei gas nocivi emessi dai veicoli circolanti, è divenuto insostenibile per la
natura terrestre) non sono rispettati da questa funzione basilare, così lo scarico dovrà essere

prolungato al fine d’osservare e risolvere correttamente le due questioni.

Paragrafo 3-III) L’inquinamento acustico provocato dallo scarico.

Il fenomeno acustico è stato da sempre contrastato inserendo a valle dei collettori un


dispositivo in grado di ridurre a livelli accettabili il forte rumore scaturito dagli stessi,
divenendo così parte integrante dello scarico stesso. Questo dispositivo chiamato
silenziatore o in gergo automobilistico marmitta, è composto sostanzialmente da quelle
scatole metalliche che solitamente nel loro interno custodiscono materiali fonoassorbenti.
Esse contribuiscono insieme ai collettori a guidare i gas residui della combustione sino
all’atmosfera che circonda il sistema, ma lo fanno a differenza della prima porzione
dell’impianto ridimensionando al minimo possibile l’energia cinetica (di movimento) ed
elastica (di pressione) contenuta nelle molecole del gas, (il salto d’entalpia (la situazione
termodinamica di un fluido (condizioni fisiche del fluido) o di un sistema qualsiasi è definito dalle
grandezze caratteristiche quali, pressione, temperatura, volume, energia interna, entropia ed entalpia.
Proprio quest’ultima in termodinamica, è uguale alla somma dell’energia interna (U) (l'addizione
dell’energia cinetica molecolare e dell’energia potenziale molecolare costituisce l’energia interna (U)),
più l’energia meccanica (p*v) (in ogni sezione trasversale del sistema, uno strato elementare del fluido in
moto è spinto dallo strato elementare che lo segue, con una forza uguale alla pressione specifica (p)
moltiplicata per l’area (s) della sezione. Il prodotto di questa forza per lo spostamento elementare (dl) dà
il valore del lavoro (dL) compiuto da una certa massa del fluido: (dL=p*s*dl). Ma poiché il prodotto
(s*dl), diviso per la massa del fluido, non è altro che la variazione (dv) del suo volume specifico, quindi
sostituendo (s*dl) nella precedente espressione, si ha (dL=p*dv), ovvero in termini finiti, (L=p*v).

20
Dunque il prodotto (p*v) della pressione specifica per il volume specifico è un lavoro, vale a dire energia
meccanica)) sostenuto dal fluido operante durante le trasformazioni termodinamiche, fornisce una grande
energia cinetica, principalmente posseduta in virtù delle alte temperature in gioco), in modo da

attenuare al limite la rumorosità provocata dalle onde trasportate nello stesso e percepite
acusticamente sotto forma di rumore all’uscita dello scarico, formatesi per la compressione
e per la rarefazione della materia allo stato gassoso (residui della combustione),
periodicamente fuoriuscente dai singoli cilindri. La proporzionalità diretta che intercorre
fra la rumorosità e la sua attenuazione è legata così all’intensità dell’energia cinetica ed
elastica (continuamente e proporzionalmente acquisita e rigenerata dagli impulsi periodici di portata dei
cilindri) contenuta in ogni singolo moto stratificato interno; ne risulta quindi, che lo

smorzamento sonoro sarà tanto maggiore quanto più dissipata sarà l’energia cinetica ed
elastica contenuta nei gas di scarico al momento della loro uscita in ambiente esterno, in
quanto l’onda acustica prodotta in questo istante è proprio alimentata da questa energia. (la
dissipazione della suddetta, può essere effettuata con diverse metodologie di costruzione del silenziatore:
a risonanza, ad espansione e ad assorbimento; la differenza fra l’elencate, sta nella banda acustica di
frequenza attenuata).

Paragrafo 4-III) L’inquinamento atmosferico provocato dallo scarico.

Teoricamente la combustione dovrebbe dare origine solo ad acqua (ma in virtù delle alte
temperature in gioco sarà) allo stato gassoso e anidride carbonica, mentre l’azoto, che è il

principale componente dell’aria con una percentuale di circa il 77% (in volume e quindi in
peso), dovrebbe comportarsi come gas perfettamente inerte ed uscire dal cilindro così come

vi è entrato. In effetti le cose vanno un poco diversamente:


In primo luogo non essendo la combustione completa (come evidenzia il rendimento di
combustione), sia le molecole del combustibile sia quelle del comburente non sono state

quindi tutte utilizzate per la formazione dei composti chimici elencati poc’anzi, e così per
il principio fisico che nulla si crea e nulla si distrugge ma si trasforma secondo ben
determinate leggi, all’uscita del cilindro si troveranno oltre ai composti già nominati,
quantità importanti di ossidi di carbonio CO, ossidi d’azoto Nox e idrocarburi incombusti
e parzialmente ossidati HC, formatesi nella reazione chimica da quelle particelle che non

21
hanno partecipato alla stessa. Il CO è molto tossico per la sua grande affinità con
l’emoglobina del sangue (300 volte più grande di quella dell’ossigeno). Se la concentrazione
della carbossiemoglobina nel sangue raggiunge il 50% l’assimilazione dell’ossigeno viene
interrotta e interviene l’asfissia interna. Gli idrocarburi incombusti HC non presentano di
per se effetti tossici, però quando sono in percentuale elevata e in particolari condizioni
atmosferiche possono dar luogo a reazioni chimiche secondarie con produzione di
perossidi e aldeidi di odore sgradevole, irritanti, e nocivi alle piante. L’agente che
determina le reazioni è l’ossido di azoto, che sotto l’effetto della radiazioni solari
ultraviolette e in presenza di sostanze organiche, si ossida in NO2 che per azione della luce
solare (effetto fotochimico) agisce sugli HC sviluppando azoto e perossidi ossidati. Gli ossidi
di azoto Nox sono tossici per il sangue, ma le concentrazioni nell’atmosfera dovute ai gas
di scarico non sembrano (ancora) dannose all’organismo umano. Sembra che per
ossidazione da azoto l’Nox si trasformi in acido nitrico origine di irritazioni agli occhi,
effetto che pare legato ai perossidi e alle aldeidi.

Paragrafo 5-III) Il catalizzatore: storia e funzionamento.

La nascita del catalizzatore risale al lontano anno 1976, quando in America le prime leggi
antinquinamento imposero dei limiti alle emissioni nocive emesse dai motori di
quell’epoca. I primi catalizzatori ossidanti, fornivano elevati margini rispetto ai valori di
legge ed erano di semplice applicazione poiché prendevano il posto della prima marmitta
silenziante. Essi però portarono ad una rivoluzione della distribuzione del carburante,
poiché bisognò creare una rete parallela di pompe erogatrici di benzina senza piombo che
si era rilevato un avvelenatore della catalitica riducendo drasticamente l’efficacia dopo
breve funzionamento. Il primo tipo di catalizzatore ossidante, di prima generazione, era
focalizzato sull’ossidazione di CO ed HC mentre gli Nox, non essendo particolarmente
severi i limiti di questo inquinante erano trattati con mezzi motoristici (come la ricircolazione
dei gas di scarico, minor anticipi d’accensione, ecc.). I metalli preziosi impiegati per questi tipi di

catalizzatori erano il platino (Pt) e il palladio (Pd) nel rapporto 2,5:1 a favore del platino.
Questa tecnologia continuò per otto anni ma nel 1983, a causa dell’arrivo di più stringenti

22
leggi che riducevano drasticamente il tenore degli Nox negli scarichi dei motori a benzina,
l’industria creò il catalizzatore di seconda generazione che accoppiato ad un sofisticato
sistema di alimentazione del motore, fu in grado di abbattere anche gli ossidi di azoto: era
nato il catalizzatore trivalente. Questo tipo di catalizzatore accoppia la capacità ossidante
del platino con la forza riducente del rodio (Rh), capace anch’esso di provocare
ossidazione purché la miscela dei gas entranti nella marmitta catalitica sia il più possibile
prossima al valore stechiometrico (vedere paragrafo 2-II formula (7)).

Paragrafo 6-III) L’importanza dello scarico.

Entrambe i dispositivi enunciati sono per la loro logica di funzionamento intrinsecamente


dissipativi e quindi sono in netta contraddizione con l’ottimale resa di un motore. In effetti,
i propulsori di formula uno considerati la somma espressione dello sviluppo sia
tecnologico sia ingegneristico sono sprovvisti di tali elementi, ma ciò non vuol dire che in
presenza di questi dissipatori lo scarico non influenzi più le potenze specifiche del motore.
No non è assolutamente così e lo sanno bene quella schiera di giovani (alla quale lo scrittore
ne fa parte accanitamente) che sostituisce lo scarico originale con uno di tipo sportivo,

appunto per (sperare di) ottenere una benefica variazione di funzionamento.


Il quesito più interessante che ora il lettore si possa porre è il seguente:
In che modo e in quale entità il sistema di scarico dunque può influenzare l’incremento di
potenza?
La risposta è da ricercare evidentemente nella posizione in cui si colloca l’impianto di
scarico rispetto all’intero sistema motore e alla reale funzione svolta dallo stesso in merito
alla potenza specifica.
In fondo si tratta di ciò che esce dai cilindri e che quindi si potrebbe pensare non più utile
ai fini delle prestazioni e del funzionamento del motore stesso, risultando così un
argomento banale. Invece la realtà è diversa perché a prescindere dal fatto che proprio la
composizione dei gas di scarico (che consente di risalire alla dosatura della miscela fornita ai
cilindri e alla bontà della combustione) permette il controllo dell’alimentazione tramite il

sistema a sonda lambda più centralina elettronica, (oggi assolutamente indispensabile per una

23
migliore efficienza di conversione da parte della marmitta catalitica), l’energia contenuta in essi può

essere sfruttata con ottimi risultati (scopo di questa relazione) e per fare ciò si devono
analizzare in sintesi quei fronti concettuali nominati poco sopra, per giungere così a
considerare quest’ultimo come parte integrante di un unico sistema fluidodinamico che
parte evidentemente dalle bocche d’aspirazione e finisce ai tubi di scarico, (specialmente se
si volesse operare un aumento prestazionale), com’è giusto che sia.

24
Capitolo IV

TEORIA GENERALE DEL MOTORE

Paragrafo 1-IV) Relazione potenza portata.

Partiamo inizialmente da un’importantissima espressione di teoria del motore, quella che


pone in relazione diretta la potenza erogata con la portata in massa d’aria nel suddetto.
Costruzione della relazione in maniera logica:

E’ facile convincersi che il termine:


G=Nvt*Z*Vu*ro*ns*(2/Tempi)=Nvt*Z*S*ro*(u/Tempi) (28)
Non è altro che la portata in massa totale di aria del motore. Il passaggio matematico
eseguito nella (28), è già stato affrontato nel paragrafo 3-II formule (13-14-15-15bis-16-
17).

Sostituendo la (28) nella formula (16) si ha subito che la potenza utile è anche uguale a:
Wu=Nu*G*(Hi/alfa t) (29)

Siccome il rendimento termico utile Nu è anche uguale:


Nu=(K/qb*Hi) (30)

Sostituendolo nella (29) si ottiene una formula della potenza utile erogata dipendente dalla
portata in massa d’aria:
Wu=K*(G/(qb*alfa t)) (31)
Dove:
K= costante dipendente solo dalle unità di misura adottate, G= portata in massa di aria,
qb= consumo specifico, alfa t= rapporto in massa aria/combustibile.

25
Questa semplice formula mostra una dipendenza strettissima e lineare della potenza con la
portata in massa d’aria. Se poi si analizza un po’ meglio si vede subito che il rapporto
G/alfa t non è altro che la portata di combustibile, (è semplice darne una dimostrazione
eseguendo un passaggio matematico dal quale si ottiene solo il nominato), e si giunge al risultato

elementare che la potenza erogata è proporzionale alla portata di combustibile che brucia il
motore. Il consumo specifico poi, a meno di costanti, non è che l’inverso del rendimento
termico utile, dunque, alla fine della storia il succo della questione è che si ottiene molta
potenza bruciando molto combustibile con il massimo rendimento possibile. Siccome
l’aria è assolutamente indispensabile per bruciare il combustibile in quanto fornisce il
comburente, (dominazione delle leggi chimiche), essa è inscindibile dal combustibile stesso e
dunque parlare di portata di combustibile è lo stesso che parlare di portata d’aria: questo è
il motivo per cui il rendimento volumetrico del motore è così importante.

Paragrafo 2-IV) Obiettivi del Rendimento volumetrico.

Quest’ultimo si massimizza perseguendo due obiettivi che conviene per motivi di logica
considerarli separatamente:

1) Fare entrare nel cilindro la massima possibile massa d’aria.


2) Intrappolarne nel medesimo la massima percentuale possibile.

Il primo obiettivo si ottiene massimizzando il rendimento volumetrico totale, (rapporto tra la


massa d’aria entrata realmente nel cilindro e la massa d’aria di riferimento, vale a dire quella idealmente
contenibile perfettamente nel cilindro nelle condizioni fisiche dell’ambiente d’aspirazione), che, a sua

volta si persegue mediante il dimensionamento ottimale di valvole e condotti e della loro


(eventuale) accordatura. Al secondo obiettivo si giunge massimizzando il rendimento

d’intrappolamento (rapporta tra la massa d’aria realmente intrappolata nel cilindro all’atto della
chiusura delle valvole e la sopra citata massima massa entrante); questo secondo problema è

tipicamente quello della fasatura ottimale della distribuzione. La differenza fra loro sta

26
nella massa (eventualmente ed inutilmente) rifiutata all’aspirazione o altrettanto inutilmente
espulsa allo scarico in fase d’incrocio valvole (se fosse presente nella configurazione strutturale
del motore esaminato) senza poter partecipare al ciclo. Da quanto affermato emerge che, il

rendimento volumetrico effettivo quello che realmente interessa la massa operante nel
ciclo, è il prodotto tra i due rendimenti parziali sopra discussi.

Paragrafo 3-IV) Classificazioni del flusso.

Un’altra distinzione concettuale preliminare che conviene puntualizzare subito riguarda le


caratteristiche cinematiche e dinamiche del flusso classico.
Il flusso si dice uniforme quando ha identiche caratteristiche in sezione diverse del
condotto durante il suo movimento. Se scorresse in un condotto a sezione variabile si
affermerebbe che non è uniforme, in quanto in sezioni diverse la velocità assunta dallo
stesso è diversa per ogni sezione infinitesima del condotto. Il flusso si dice stazionario se
in una data generica sezione del condotto si mantiene invariato nel tempo; se invece
variasse si direbbe non stazionario. Se scorresse con portata mutante in un condotto a
sezione variabile il flusso è non stazionario e non uniforme. Ci vuole poco a capire che il
flusso nei motori è contemporaneamente non stazionario e non uniforme. Infatti, basta
pensare che spesso le sezioni dei condotti non sono costanti (anzi in alcuni punti non sono
neanche fisse ma variabile nel tempo (valvole che si aprono e che si richiudono)) e la portata è

fortemente variabile nel tempo in relazione alle rapide variazioni di pressione subite dal
fluido, come l’aspirazione e lo scarico spontaneo (espulsione).

Paragrafo 4-IV) L’informatica e motori endotermici.

Da qui prendono origine i complicatissimi algoritmi e i metodi di sperimentazione di


fluidodinamica non uniforme e non stazionaria (colgo l’occasione per affermare che in una mia
telefonata effettuata con un prestigioso ingegnere prima operante in Fiat e poi passato in Ferrari, mi ha
riferito che ancora oggi il calcolo computeristico è valido solo se si considera ciò che accade nei condotti
di scarico o d’aspirazione separatamente l’uno dall’altro, in quanto l’influenza che si genera all’unione
dei condotti, è alquanto complessa) per trattare computeristicamente tale problema. Se però la

27
questione fosse così rigida allora ci farebbe intuire che, trattare i motori con
fluidodinamica quasi stazionaria, per intenderci quella bernulliana, sarebbe errato ed
invece così non è. Il nocciolo del quesito sta nel fatto che, se si verificano certe condizioni
il calcolo fluidodinamico del motore può essere trattato con la fluidodinamica quasi
stazionaria, mentre, se le considerate non sono verificate, gli algoritmi da usare saranno
quelli della fluidodinamica non stazionaria, in pratica quella di Riemann.
Quando accadono quelle certe condizioni che permettono l’approccio quasi stazionario?
Quando la lunghezza fisica del componente fluidodinamico considerato, quali valvole,
condotti, ecc. è piccola rispetto alla lunghezza d’onda dell’impulso (questa lunghezza d’onda
dell’impulso fondamentale è data dal prodotto tra il tempo (durata) della corsa d’aspirazione, e la velocità
del suono nell’aria aspirata) di portata che l’attraversa.

Che cosa vuol dire quindi condotto accordato?

Paragrafo 5-IV) L’importanza dell’accordatura dei condotti di scarico.

Si tratta di condotti la cui lunghezza non è piccola rispetto alla lunghezza d’onda
dell’impulso di portata che l’attraversa; in queste condizioni la fluidodinamica non
stazionaria si sviluppa pienamente e scegliendo opportunamente la lunghezza di questi
ultimi si possono ottenere vistosi fenomeni di risonanza e notevoli incrementi di
rendimento volumetrico.

Paragrafo 6-IV) La potenza specifica funzione dell’accordatura.

Cerchiamo ora di arrivare alla differenza di resa in termini di potenza che intercorre tra un
motore che non usa questi fenomeni, e quel che invece è basato su tale ideologia. Per
comprendere appieno l’importanza da concedere alla fluidodinamica non stazionaria,
ritengo opportuno partire dal ciclo indicato di un motore a scoppio, il quale, a sua volta è
opportuno dividerlo in ciclo positivo e ciclo negativo.

28
Paragrafo 7-IV) Il ciclo indicato completo (positivo, negativo).

Il ciclo positivo è quello denominato caldo che avviene sostanzialmente a valvole chiuse e
che fornisce sulla faccia dello stantuffo un lavoro positivo (generare un ciclo positivo è lo scopo
fondamentale d’ogni macchina termica motrice).
Il ciclo negativo è quello denominato freddo che avviene in sostanza a valvole aperte e che
fornisce sulla faccia dello stantuffo un lavoro generalmente negativo (il termine generalmente
è stato usato, in quanto il pompaggio può essere anche positivo, cioè fornire sullo stantuffo un lavoro utile
e lo fa, ogni qualvolta la pressione durante l’aspirazione è maggiore di quella agente sullo stantuffo
durante l’espulsione (caso tipico è la sovralimentazione a scarico libero)). Oltre a questa differenza

nel segno del lavoro i due cicli si differenziano concettualmente nella natura dei fenomeni
coinvolti, in quanto, i primi sono di tipo termodinamico, mentre, i secondi sono di tipo
fluidodinamico. Nel ciclo negativo, infatti, avvengono i fenomeni di ricambio del fluido
operante: in concreto l’aspirazione e l’espulsione da cui derivano poi il termine di
rendimento di pompaggio.
Da qui nasce anche l’opportuna logica di considerarli separatamente.
Nei motori aspirati che aspirano ed espellono in un ambiente a pressione costante il lavoro
di pompaggio è necessariamente sempre negativo. Per aspirare sullo stantuffo deve esserci
una pressione inferiore all’atmosferica, mentre, per espellere sullo stantuffo deve esserci
una pressione superiore all’atmosferica. Quindi in definitiva il lavoro di pompaggio è il
controvalore energetico che bisogna pagare per ottenere il voluto (massimo possibile)
rendimento volumetrico. Come avevamo visto in precedenza i motori possono sfruttare i
fenomeni discussi poco sopra o non possono sfruttarli.

Paragrafo 8-IV) Rendimento volumetrico quasi stazionario.

Per questi ultimi, quelli non accordati, a determinare il rendimento volumetrico sono
sostanzialmente le perdite concentrate e continue nei condotti e nelle valvole. Perciò in
essi il rendimento di pompaggio e rendimento volumetrico vanno di pari passo; ciò

29
significa che una grossa perdita di rendimento di pompaggio (cioè forti perdite nei condotti e
nelle valvole) origina contemporaneamente un basso rendimento volumetrico.

Paragrafo 9-IV) Rendimento volumetrico non stazionario.

Nei motori accordati l’effetto delle perdite ovviamente sussiste, ma si aggiunge con
maggiore intensità un fondamentale fenomeno fluidodinamico (cioè l’inerzia e l’elasticità delle
colonne gassose nei condotti) intrattenuto ed amplificato da un’accurata accordatura in

risonanza dei condotti: ed è su di essi che soprattutto lavora lo stantuffo. Per avere un
quadro completo di quanto detto poc’anzi ho riprodotto una situazione di pressioni in
funzione dell’angolo di manovella interne ad un cilindro, a monte della valvola di
aspirazione e a valle della valvola di scarico di motore di formula uno (figura 1-9-IV).

Figura 1-9-IV
GRAFICO DI RAPPRESENTAZIONE DELLA PRESSIONE ASSOLUTA NELLA SITUAZIONE DI POTENZA MAX

pressione apertura aprtura chiusura chiusura


BAR valvola valvola valvole valvole
bar 2,8 scarico aspirazi. scarico aspirazi. pressione assoluta all'interno del
cilindro
bar 2,5 pressione assoluta immediatamente
bar 2,3 a monte della valvola di aspirazione
fase incrocio pressione assoluta immediatamente
bar 2 valvole a valle della valvola di scarico
la rappresentazione grafica è riferita
bar 1,8 alla situazione del motore al
regime di rotazione 13000 giri/minuto
bar 1,5

bar 1,2
pressione
bar 1 atmosferica

bar 0,6
bar 0,5

0 90 180 270 360 450 540 630 720


ANGOLO MOTORE (GRADI)

Nella figura sovrastante si vede tra, 360° e 540° d’angolo di manovella, (corsa di
aspirazione), quanto bassa sia durante l’aspirazione la pressione nel cilindro. Questa

depressione solo in parte è spesa per vincere le resistenze dissipative del condotto di
aspirazione: la maggior parte serve a generare e intrattenere in condizioni di risonanza
onde nel condotto stesso, quelle che si vedono di colore fucsia. Analogamente l’alta
30
pressione nel cilindro in fase di scarico espulsione, (angolo di manovella tra 180° e 360° e colore
dell’onda celeste), solo in parte va a vincere le resistenze dissipative del condotto di scarico:

una grossa parte va a generare ed intrattenere in risonanza intense onde di scarico (onda di
colore blu). Qui appunto il lavoro di pompaggio è speso in buona parte a produrre onde, non

a dissipare. Allora il rendimento di pompaggio e il rendimento volumetrico possono


andare in senso opposto: un basso rendimento di pompaggio può essere associato ad un
alto rendimento volumetrico, in quanto l’elevato lavoro di pompaggio non è stato speso
solo per dissipare energia, bensì anche e soprattutto per azionare quei particolari
sovralimentatori non stazionari che sono i condotti di aspirazione e scarico accordati.

Paragrafo 10-IV) L’importanza della fluidodinamica non stazionaria..

La domanda che ora spontaneamente il lettore si porge è se valesse la pena di spendere


questo lavoro di pompaggio per azionare questi ultimi.
Vale la pena eccome!!
Consideriamo un moderno motore di formula uno con potenza utile di circa e 800Cv
(potenza sviluppata alle ruote, quindi al netto delle perdite organiche) e con perdite organiche di

circa 170Cv al regime di potenza massima, quindi, con potenza indicata di 970Cv (potenza
all’albero motore) e rendimento volumetrico dell’ordine di 1,2 (120%).

Se fosse privato dei suoi condotti risonanti il suo rendimento volumetrico scenderebbe
all’incirca ad un valore dell’ordine di 0,9 (90%). Immaginiamo (per assurdo) che il regime di
rotazione rimanga invariato (e quindi in sostanza anche la potenza organica), la sua potenza
indicata varierà nel rapporto dei rendimenti volumetrici, quindi, scenderà a circa 970*
(0,9/1,2)=727,5Cv, (il rapporto esplica il 75% della potenza iniziale) da cui, detratti i
170Cv di perdite organiche si otterrà una potenza residua utile di 557,5Cv, con una perdita
netta di ben 242,5Cv (in pratica il 25% della potenza iniziale).

31
Capitolo V

“LA PRIMA PORZIONE DELLO SCARICO”


SPIEGAZIONE DELL’UTILITÀ DEI COLLETTORI AI FINI
PRESTAZIONALI.

Siamo così giunti all’essenzialità della prima porzione dello scarico (oggetto e colonna
portante della presente relazione), i collettori veri responsabili attuatori dei fenomeni non

stazionari discussi precedentemente. Per trasferire nel lettore un modello più concettuale e
concreto a riguardo dei menzionati, ho ritenuto opportuno inserire una descrizione
intuitiva sia dei flussi quasi stazionari sia dei flussi non stazionari; purtroppo annegando
nelle onde (di pressione).

Paragrafo 1-V) Motore a condotti non accordati (condotti corti)


rendimento volumetrico quasi stazionario.

Per considerare a pieno i fenomeni connessi al rendimento volumetrico conviene


considerare per prima cosa lo schema di flusso più semplice, quello cosiddetto quasi
stazionario (schema visualizzato nella figura 2-1-V).

Figura 2-1-V

32
Il quasi è usato per affermare che il suddetto entrante e/o uscente dal motore è studiato
usando le solite equazioni del flusso compressibile stazionario (anche se in realtà non
stazionario, in quanto rapidamente variabile nel tempo come prima affermato). Mi ripeto assicurando

che il metodo è tanto più giustificato sul piano teorico, quanto più i condotti sono corti
rispetto alla lunghezza d’onda dell’onda di portata in entrata o in uscita. In tali condizioni,
infatti, i termini non stazionari delle equazioni divengono sufficientemente piccoli da poter
essere trascurati. Per questo il calcolo del ciclo indicato ai fini di quantificare il
rendimento volumetrico può essere correttamente effettuato come già asserito poco sopra,
con le formule del flusso isetropico.
Al contrario come già affermato precedentemente utilizzando condotti lunghi quanto la
lunghezza d’onda, si generano fenomeni fluidodinamici come la risonanza, (capace di
aumentare (i picchi dell’onda) l’intensità delle onde), con gli ovvi risultati volutamente cercati. E’

inutile prolungarmi ancora visto che il mio scopo tramite la presente è solo di far
comprendere l’importanza della fluidodinamica non stazionaria nell’ambito della
motoristica ad alta potenza specifica (fenomeno capace di sprigionare potenze demoniache).

Paragrafo 2-V) Flussi non stazionari per i motori a quattro tempi (modello intuitivo).
Introduzione al modello reale per la spiegazione del sistema d’aspirazione.

Per comprendere bene ed esaurientemente i fenomeni della fluidodinamica non


stazionaria, (si vuole introdurre solo il concetto, ai fini di comprendere l'importanza dell'oggetto
esaminato in tale composizione scritta) analizziamo un modello di tipo intuitivo considerando

per ora solo la fase di aspirazione. In (figura 1-2-V),

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Figura 1-2-V

è mostrato un cilindro avente un normale stantuffo in grado di scorrere in esso che


chiameremo stantuffo (1), avente la posizione iniziale di punto morto superiore di
aspirazione (P.M.S. cioè la posizione più alta nel cilindro) e da un tubo di aspirazione di
lunghezza e sezione opportuna, all'estremità del quale si trova un secondo stantuffo (2)
(fittizio) privo di attrito e dotato di massa opportuna (dobbiamo immaginare che il siluro di fluido,

è come se fosse uno stantuffo solido di massa compatta). Una saracinesca (Sa) interposta fra loro

simula la valvola di aspirazione, e può essere aperta o chiusa a piacimento in maniera da


comunicarli o sconnetterli. Inizialmente è tutto fermo e l'aria compresa tra i due stantuffi è
a pressione ambiente. Cominciamo ora a far percorrere molto lentamente allo stantuffo (1)
una corsa di aspirazione, in pratica esso si sposterà dal punto morto superiore (P.M.S.)
verso il punto morto inferiore (P.M.I. posizione verso il basso di spostamento massimo). E' logico
che tra i due stantuffi ci sia racchiusa una certa quantità d’aria come detto prima, quindi, lo
stantuffo (2) per effetto della (debolissima) depressione creata dal movimento dello stantuffo
(1), ne seguirà fedelmente il moto spostandosi lungo il tubo di aspirazione con velocità
proporzionale a quella dello stantuffo (1), moltiplicata per il rapporto tra le sezioni dello
stesso e del tubo di aspirazione (figura 2-1-V).

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Figura 1-2-V

A fine corsa di aspirazione l'aria tra i due stantuffi è a pressione ambiente, quindi, se ora
venisse chiusa quella saracinesca (Sa) proposta prima, (sta facendo le veci della valvola di
aspirazione) si avrebbe un rendimento volumetrico pari ad 1 (quest’ultimo è uguale al rapporto tra
la massa di fluido intrappolata e la massa di fluido che idealmente riempirebbe il cilindro, avente la
densità dell'ambiente di aspirazione (nel nostro specifico caso è l'ambiente stesso)).
Ripetiamo ora l'esperimento imprimendo allo stantuffo (1) un movimento rapidissimo,
anzi, a velocità infinita. Ora succede che l’inerzia dello stantuffo (2) gli impedisce di
seguire il moto dello stantuffo (1): quest'ultimo genera sì una forte depressione, ma
essendo il tempo disponibile infinitesimo lo stantuffo (2) non riesce neppure a mettersi in
movimento e rimane fermo. Il risultato è che alla fine della corsa di aspirazione, l'aria
compresa tra i due stantuffi è in forte depressione, cioè ha una bassa densità o per meglio
definire, in quel determinato volume c'è poca quantità di molecole del fluido intrappolato,
quindi, se ora si chiudesse la saracinesca (Sa) istantaneamente a fine corsa, il rendimento
volumetrico sarebbe poverissimo. Tra queste due velocità, quella bassissima e quella
altissima ne esiste una, anzi, ne esistono un intero campo attorno al valore ottimale per il
quale il rendimento volumetrico può raggiungere un valore massimo e addirittura con lo

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sfruttamento della fluidodinamica non stazionaria è in grado di raggiungere valori
superiori ad 1, tipici dei motori da competizione quali i formula uno.

Paragrafo 3-V) Modello reale di spiegazione per il sistema d’aspirazione.

Immaginiamo d’avere lo stesso modello discusso poco sopra ma con la sola differenza
strutturale, che la saracinesca (Sa) posta in prossimità dell'unione del tubo di aspirazione
con il cilindro sia in grado di essere aperta o chiusa a piacimento come prima, ma ora
comandata con un’ideologia più opportuna. Fissiamo bene in mente questo sistema (figura
1-3-V).

Figura 1-3-V

All'inizio del suo moto lo stantuffo (1) comincia ad accelerare verso il basso generando la
solita depressione. Lo stantuffo (2) per effetto di tale depressione comincia esso pure ad
accelerare, ma a causa della propria inerzia dovuta alla sua massa, lo fa lentamente, vale a
dire in ritardo rispetto al moto dell’ (1). Quindi, durante la prima parte del moto dell’(1) la
depressione continua a crescere in quanto lo stantuffo (2), non è ancora riuscito ad
accelerare quanto deve, perciò aumenta il volume compreso fra i due con una conseguente
diminuzione della pressione (dovuta alle leggi sull'espansione dei gas, le quali affermano che esso

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tende ad occupare quanto più spazio gli è concesso e ne consegue per tanto, una diminuzione di densità
nell'unità di volume essendo aumentata la capienza che lo conteneva (equazione di stato fondamentale)).
Lo stantuffo (1) s’ipotizza (ma nella realtà è così) che sia al P.M.S. sia al P.M.I. abbia velocità
zero, per questo da un punto morto all'altro, lo stantuffo (1) eseguirà un moto del tipo:

1) P.M.S. partenza da fermo, velocità zero, accelerazione massima con direzione verso il
P.M.I.

2) Circa a metà corsa, velocità massima, accelerazione zero, con direzione verso il P.M.I.

3) Lo stantuffo dovrà tornare a velocità zero, quindi, inizia la sua decelerazione verso il
P.M.I.

4) Giunto al P.M.I. lo stantuffo cambia direzione al suo moto rettilineo alternato e rifarà
queste fasi di movimento al contrario descritto.

Giunto al di là della propria metà corsa (dove raggiunge la massima velocità) lo stantuffo (1)
comincia a decelerare, mentre, lo stantuffo (2) per effetto della depressione è ormai in
piena accelerazione e sta aumentando rapidamente la propria velocità (in fisica le masse di
fluidi si muovono con velocità anche proporzionale alle differenze di pressione). Ora lo stantuffo (2) è

molto veloce mentre l’(1) sta oramai rallentando. E' chiaro ora che succederà il contrario
di quanto esposto prima, infatti, con queste nuove condizioni la depressione dell'aria
compresa tra i due stantuffi diminuirà fino ad annullarsi (visto che ora il volume liberato dai
considerati sta diminuendo con un modesto e conseguente aumento di pressione). In quest’istante lo

stantuffo (2) ha raggiunto la massima velocità e per inerzia continua a procedere


comprimendo l'aria e spingendola nel cilindro. Il moto dello stantuffo (2) continua anche
quando la pressione tra i due stantuffi sale, quindi, l'aria rappresentata dallo stantuffo
(fittizio) (2) continua a riempire il cilindro nonostante lo stantuffo (1) abbia già invertito la

sua direzione e sta risalendo il cilindro. L'aria è ora compressa tra i due moti opposti degli

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stantuffi ed esiste un preciso istante, in cui essa cessa di entrare e comincia ad uscire (figura
2-3-V).
Figura 2-3-V

Chiudendo ora la saracinesca (Sa) (valvola) in quel preciso istante, si raggiungerà il


massimo rendimento volumetrico effettivo in quanto è stata intrappolata nel cilindro la
massima massa d’aria. Nonostante lo stantuffo (1) sia già risalito di una certa quantità,
cioè abbia ridotto di un po’ la cilindrata, l'effetto di compressione operata dallo stantuffo
(2) è tale da realizzare un rendimento volumetrico effettivo maggiore di 1, ad esempio 1,2-
1,3 tipico dei motori ultraveloci (essi intrappolano più di quanto idealmente si possa fare). Si
realizza così una vera e propria sovralimentazione dinamica del motore.

Paragrafo 4-V) Modello reale di spiegazione per il sistema di scarico.

Vediamo ora che cosa succede allo scarico. Con riferimento al sistema preso in
considerazione per l’aspirazione, colleghiamo un secondo tubo (di scarico) a lunghezza
indefinita adiacente al primo collocato come il precedente in alto al cilindro ed avente una
seconda saracinesca (Ss), che simula la valvola di scarico. Subito dopo, cioè a monte del
tubo di scarico, immaginiamo di porre un altro stantuffo fittizio (3) avente anch'esso massa
opportuna privo di attriti e supposto all'inizio fermo (figura 1-4-V ).

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Figura 1-4-V

Abbiamo lasciato il sistema precedente nella situazione di fine aspirazione, vale a dire
nell'istante in cui la valvola di aspirazione si era chiusa intrappolando nel cilindro una
certa massa d’aria. Ora a valvole chiuse avvengono le fasi di compressione, combustione
ed espansione che non interessano i condotti (perciò in questa sessione di spiegazione non sono
citate). Verso la fine della fase di espansione la saracinesca (Ss) (valvola di scarico) si apre ed

inizia la fuoriuscita dei gas. Questi ultimi all'istante d’apertura a causa della combustione
avvenuta, e quindi, del relativo aumento di temperatura hanno una pressione piuttosto
elevata dell'ordine di qualche BAR per un aspirato (e proporzionale più alta in un
sovralimentato). Essi, quindi, precipitandosi violentemente fuori del cilindro sparano nel

tubo di scarico lo stantuffo (3) ipotizzato inizialmente fermo, il quale continua poi ad
essere ulteriormente spinto dagli stessi espulsi dalla risalita dello stantuffo (1). Esso
continua perciò ad accelerare fino a che sul retro agisce una pressione maggiore di quelli
agente sulla parte anteriore (contropressione del tubo di scarico, operata principalmente da tutti gli
elementi dello stesso). Data la violenza del fenomeno s’intuisce facilmente che esso

raggiungerà una velocità molto alta, vale a dire una forte energia cinetica. Al di là della
metà corsa d’espulsione, lo stantuffo (1) comincia a rallentare mentre lo stantuffo (3) sta
ormai viaggiando alla massima velocità. Verso la fine della sua corsa lo stantuffo (1)
pressoché fermo quasi non espelle più gas, mentre, lo stantuffo (3) alla sua massima

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velocità, ora libera tra i due stantuffi un volume maggiore di quello espulso dal cilindro
generando quindi sul suo retro, una depressione molto intensa data la sua grande energia
cinetica (figura 2-4-V).

Figura 2-4-V

Esso ora rallenta per effetto della depressione da esso stesso generata fino ad arrestarsi.
Nell'intorno del P.M.S. (punto morto superiore), la valvola di scarico ( la saracinesca (Ss)),sta
richiudendo, mentre, quella di aspirazione sta già cominciando ad aprire (incrocio delle
valvole). La forte depressione esistente nello scarico (per il motivo appena spiegato) aspira la

miscela aria combustibile attraverso le due valvole semiaperte e la camera di scoppio,


(figura 3-4-V), compiendo con ciò tre funzioni fondamentali:

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Figura 2-4-V

1) Riaspirare dal condotto di immissione i gas combusti eventualmente penetrati durante


l'incrocio.

2) Compiere il lavaggio della camera di combustione in modo da eliminare completamente


tutte le molecole dei gas combusti naturalmente non ancora fuoriuscite, lasciando così
libero il massimo spazio possibile disponibile nel cilindro alla miscela aria combustibile
nuova.

3) Operare una preaspirazione dinamica di fluido operante nel sistema prima ancora che la
vera e propria corsa d’aspirazione dello stantuffo inizi, in altre parole la differenza di
pressione tra i due condotti fa sì che la massa della colonna del fluido operante nel
sistema, si metta in movimento prima ancora che lo faccia il moto dello stantuffo (1) del
motore.

Ora lo scarico chiude mentre l'aspirazione continua ad aprire ripetendo i fenomeni già
descritti per un nuovo ciclo del sistema. Come si può capire se il nostro sistema intuitivo

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avesse gli stantuffi (2) e (3), i condotti e tutte le parti in gioco opportunamente
dimensionate in modo da operare con il giusto sincronismo, si otterrebbero due effetti di
fondamentale importanza:

1) Un’intensa sovrapressione dinamica generata dal tubo di aspirazione, che origina un


effetto di sovralimentazione.

2) Un’intensa depressione dinamica, generata dal tubo di scarico che opera la riaspirazione
dei gas combusti eventualmente entrati nel condotto d’aspirazione durante l'incrocio delle
valvole, il lavaggio della camera di combustione ed il preavviamento dinamico della fase
di aspirazione.

Alla luce di quanto scritto sinora la domanda più ovvia che il lettore si possa porre è: che
cos’è un’onda?
Facciamo subito contenti i puristi: un’onda è una variazione di stato che si propaga nello
spazio tempo.
Se attacchiamo una lunga corda ad un muro e poi con l’altra estremità in mano andiamo
dalla parte opposta lasciando la corda un po’ lenta, ed infine imprimiamo a detta estremità
un brusco movimento trasversale vediamo che questo movimento si propaga lungo la
corda. Si propaga nello spazio in quanto esso ha viaggiato dalla nostra mano fino al muro.
Si propaga nel tempo in quanto il movimento ha impiegato un certo tempo per viaggiare
dalla nostra mano al muro. Giunta al muro l’onda si riflette secondo certe modalità (che al
fine della sola comprensione non ci riguarda) tornando verso di noi. Se non ci fossero

dissipazioni d'energia e noi mantenessimo ferma la mano, l’onda continuerebbe ora ad


andare avanti e indietro lungo la corda. Se prendiamo un tubo di lunghezza indefinita,
pieno d’aria, aperto ad un'estremità e chiuso dall’altra da uno stantuffo inizialmente fermo
e poi imprimiamo a quest’ultimo un rapido movimento, generiamo un’onda nell’aria
contenuta nel tubo. Questo movimento in assenza di attriti si propaga lungo il tubo
mantenendosi uguale a se stesso, riflettendosi all’estremità di uscita secondo certe leggi e

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tornando poi indietro; questo tipo di onda è quello di maggiore interesse motoristico.
Questa è la minima e indispensabile conoscenza per quanto concerne le onde in generale.
Voglio solamente concretizzare in ultimo luogo una mia opinione a favore delle nominate,
in quanto spesse volte ho sentito esprimere concetti alquanto strani su di esse. Uno dei più
diffusi, magari scaturito osservando le onde del mare è l’idea che un’onda trasporta
pressioni ma non massa. Questo concetto un po’ ibrido sicuramente è sorto per il semplice
motivo che essa è un’onda periodica simmetrica sinusoidale: l’impulso positivo trasporta
massa in un senso, quello negativo la trasporta nuovamente nel senso opposto, quindi, con
uno spostamento totale nullo. Sia in un senso sia nell’altro l’intera informazione relativa
alle proprietà dell’onda è contenuta nell’onda stessa, in pratica nelle equazioni che
governano il flusso. Dunque in definitiva ad un’onda (positiva o negativa) di pressione (cioè di
energia elastica) è intrinsecamente associata la corrispondente onda di velocità (cioè di energia

cinetica) e di spostamento (cioè di trasporto di massa). Nei condotti dei motori si hanno onde

totalmente asimmetriche:
Il motore aspira una certa massa d’aria e poi chiude le valvole, non la ributta fuori. Espelle
gas di scarico e poi chiude le valvole, non li riaspira. Queste onde asimmetriche
trasportano dunque in se stesse contemporaneamente e globalmente, pressioni, velocità,
masse ed energia.

Termino qui sperando di aver sufficientemente dimostrato l’utilità tratta dall’efficienza di


un’ottima accordatura, ai fini di una erogazione e di una potenza totale ottimale.

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