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Veracruz
Veracruz © 2009
ISBN 978-88-04-59480-2
La pinaza uscì dal porto di Veracruz quando ormai stava per calare il
crepuscolo, e l'alta marea si gonfiava sotto la spinta di venti leggeri di
nordest. La vela aurica, issata a braccia, fu tesa dalle folate.
L'imbarcazione scivolò al largo, schivando i vascelli alla fonda. Incrociò
poco più tardi El Santo Espíritu, ma l'oscurità era scesa e non fu avvistata.
Pierre Bot accese un cero racchiuso nel suo abitacolo di ferro, subito
assediato da torme di insetti. Chiese a Petru Vinciguerra, che reggeva il
timone: «Insomma, cosa avete scoperto?».
«Ci sono vari fortilizi in città» rispose il corso. «La Caleta a nord, il
baluardo Santiago, il baluardo San José. Ben difesi e con una decina di
cannoni ciascuno. Ma, nel caso di un attacco da terra, risulterà decisiva La
Pólvora. È una costruzione quadrangolare, possente, ai margini meridionali
della città. Di cannoni ne ha sei, e una trentina di soldati di guarnigione.»
«Noi saremo molti di più.»
«Sì, ma la postazione è solida... Malgrado ciò, il vero nemico è un
altro.»
«Stai zitto, menagramo!» esclamò L'Esquelette da prora. «Risparmiaci le
tue litanie!»
Pierre Bot fece un gesto seccato. «Stai zitto tu, carcassa!» Si accostò a
Vinciguerra. «Parla liberamente. Chi sarebbe il nemico reale?»
Il corso parve rabbrividire. «Le malattie. Dietro Veracruz ci sono paludi
sconfinate. I loro miasmi assediano la periferia. Sono trasportati dalla
pioggerella costante e dal vento impetuoso. Quest'ultimo dovrebbe
purificare, e invece lorda. La città gronda infermità. Vi si muore a
grappoli.»
«Stai esagerando.» Bot fece spallucce. «Ho incontrato spagnoli in
perfetta salute.»
«Erano ricchi! I ricchi se la cavano sempre. Non così i disgraziati. La
bruma alternata al vento li uccide a poco a poco. Veracruz fu fondata dal
demonio...»
Pierre Bot manteneva il suo atteggiamento scettico. «A quanto ne so, fu
fondata da Hernán Cortés.»
«Sì, ed è questo che voglio dire. Fu cambiata tre volte di ubicazione, per
Occorsero due giorni per cancellare ogni traccia del massacro e per
modificare il più possibile l'aspetto dell'Intrépide. Una scritta dipinta a
poppa e ripetuta sotto il mascone di babordo identificava il brigantino-
goletta come Le Diligent. Furono dipinte di azzurro le impavesate, di rosso
i fregi. La vela aurica dell'albero maestro fu sostituita con una triangolare
(c'erano vele in abbondanza, sottocoperta). Per di più, dal trinchetto fu
rimosso l'alberetto, perché apparisse più basso.
Soddisfatto del lavoro, Pierre Bot convocò gli uomini a prora. «Ora
giurate, nel nome di Dio onnipotente, che non racconterete a nessuno
quanto è accaduto a bordo di questo legno.»
«Come faccio a giurare?» obiettò Ravenau de Lussan, beffardo come
sempre. «Io non credo in Dio.»
«Giurate egualmente» lo redarguì Pierre Bot. «Sarà Dio a colpirvi se gli
mentirete, che voi crediate in lui oppure no.»
Tutti giurarono, e alcuni fecero il segno della croce; poi ognuno corse ai
propri compiti. La nave non era grande, ma sei uomini per farla navigare
erano pochi, specie in mancanza di nostromo e di ufficiali. Per fortuna il
mare era calmo e la brezza costante e tranquilla. Dove si trovassero con
esattezza non era chiaro a nessuno. Il solo Macary aveva qualche
cognizione di astronomia e, se avesse avuto a disposizione un astrolabio,
avrebbe potuto determinare in via approssimativa la loro latitudine. Non
trovò però uno strumento del genere. Calcolò a occhio che si trovassero
circa a metà della rotta che univa Veracruz al campo marino di Campeche,
a nord dello Yucatán.
Pierre Bot stava per ordinare di prendere terra in qualche isoletta, al fine
di rifornirsi di acqua e interrogare eventuali indigeni, quando dalla coffa
Vinciguerra lanciò il grido tanto atteso.
«Navi in avvicinamento! Sembrano quattro... sei... undici... No, molte di
più! Riconosco il La Francesa e il Le Hardi! Sono i nostri!»
Tutti, salvo Levert che era alla barra del timone, corsero a prua e
scrutarono il mare, coperto in quel punto di fuchi porporini, che si
aggrovigliavano alla chiglia. Occorse un paio di minuti perché la flotta
fosse in vista, ma lo spettacolo compensò la pena dell'attesa. Disposti su
Macary non aveva scampo. Gli rimaneva una sola possibilità. Impugnò
la sciabola, come se volesse sfidare tutti quegli uomini, e indietreggiò fino
alla merlatura. Quando la sua schiena toccò la pietra, gettò l'arma e, con un
balzo repentino, si lanciò nel vuoto.
Il tuffo lo portò in profondità e gli fece ingurgitare acqua salata, ma, con
moti scomposti delle braccia e delle gambe, riuscì a risalire in superficie.
Attorno alla sua testa si levarono zampilli, dovuti alle palle di moschetto
che grondavano dall'alto. Una mano callosa afferrò la sua, più delicata. Era
di Levert, che cercava di sollevarlo a bordo della scialuppa. Non fu facile,
Macary dovette dispiegare un'energia disperata. Riuscì infine a scalare il
bordo dell'imbarcazione, che oscillava pericolosamente sotto il suo peso.
Mezzo annegato, si lasciò cadere sul fondo della barca e prese a vomitare
l'acqua che aveva ingerito. I polmoni, a ogni respiro, gli infliggevano
dolori lancinanti.
Dall'alto degli spalti si continuava a fare fuoco, e Vinciguerra, che era ai
remi con Big Willy, lanciò un breve grido di dolore. Gli avevano graffiato
un fianco. Fu sostituito da Levert, che vogò con foga.
Macary, devastato dai conati, non capì molto di ciò che accadde in
seguito. Vide solo la scialuppa addentrarsi nel buio, verso gli incendi di
Veracruz. Poté lentamente mettersi seduto, inzuppato e dolorante. Proprio
in quel momento la barca toccava il molo, deturpato dai bombardamenti.
Chissà come riuscì ad alzarsi in piedi e a salire dei gradini scivolosi. Si
sentiva uno straccio bagnato, ai limiti delle forze.
Riacquistò lucidità solo quando si trovò nell'atrio del palazzo della
Contaduría, illuminato da migliaia di candele. Michel de Grammont stava
ricevendo dalle braccia robuste di Big Willy la carcassa esangue della
sorella. Il cavaliere, temuto in tutti i Caraibi per la sua crudeltà, piangeva
senza ritegno. Strinse quel corpo piagato, baciò a più riprese le guance di
carne sottile che modellavano il teschio della donna. Tentò di mantenerla
ritta, ma non ci riuscì. Infine l'adagiò su un divano, con la cautela riservata
a un gioiello pregiato. Cadde in ginocchio e le accarezzò le guance.
«Claire, sorellina, l'incubo è finito. È finito per sempre. Sei bella come
un tempo, sai? Non sei cambiata affatto. Quei preti maledetti hanno
Quando Macary, Levert e alcuni marinai di George Spurre - tra cui Big
Willy - giunsero al molo, la mattina del venerdì, la maggior parte degli
equipaggi era già a bordo delle navi. Il manipolo trasportava gli ultimi
oggetti religiosi sottratti alla cattedrale e alle altre chiese: le statue dei
serafini che avevano ornato un altare, una croce dorata, un reliquiario.
Lasciarono cadere i manufatti accanto ad altri arredi religiosi accumulati in
precedenza, esposti alla pioggia che aveva ripreso a cadere.
Si fece loro incontro Petru Vinciguerra. Il corso, che sereno non era mai,
sembrava più inquieto del consueto. Afferrò Macary per la manica.
«Hubert, ti devo parlare da solo.»
«Adesso? È così urgente?»
«Sì, lo è.»
Macary indicò all'altro l'arcata d'ingresso di un magazzino. «Cosa c'è?»
chiese, quando furono al riparo.
Vinciguerra aveva gli occhi sbarrati. Il sudore gli imperlava la fronte,
per quanto non facesse per nulla caldo. «Io faccio dei sogni...» esordì.
«Tutti ne facciamo.»
«Ma i miei sono dei sogni particolari... Per farla breve, il cavaliere De
Grammont è impazzito. Da quando ha ritrovato la sorella, messa in quelle
condizioni, ha perso la sua lucidità. Non ha rispetto per la religione,
bestemmia con violenza inaudita...»
«Lo ha sempre fatto.»
«... commette crudeltà gratuite. Sfida Dio, si crede pari a lui, si erge ad
antagonista. Seguendo i suoi ordini, navigheremo verso la maledizione e la
disgrazia. È questo che sogno da molte notti. Prima ci uccideremo tra noi,
poi voleremo incoscienti alla morte.»
«La morte di De Grammont?» chiese Macary.
«No, la morte di tutti noi.» Vinciguerra, angosciato, si torse le dita. «So
che non puoi capirmi. Io sono un mazzeru, o, per meglio dire, un
murtulaghjiu. Mio padre e mio nonno lo erano, e lo sono anch'io. Di notte
esco dal corpo e vedo la morte degli altri. A volte riesco a patteggiare che
sia rinviata, e questa volta ci ero quasi riuscito. Ma gli oltraggi alla fede, i
sacrilegi, gli atti disumani, la follia dell'ammiraglio stanno per fare saltare
Poche ore dopo che le ceneri di Pedro Estrada ebbero smesso di fumare,
in cima alla piramide, Macary ebbe modo di constatare tutto il credito di
cui doña Junot-Vergara ormai godeva sulla Isla de Sacrificios, grazie alle
cure prestate all'infelice Claire. Era l'ora della cena e un cuoco, un bretone
di nome Auguste Le Braz, stava arrostendo carni di porco selvatico per i
marinai a terra. Aveva già battuto una bistecca di cavallo con agrumi
destinata alla malata, e faceva bollire in una larga pentola una tartaruga,
per ricavarne brodo e carne riservati a comandanti e ufficiali.
Mentre Macary osservava la preparazione, Retexar avvicinò il cuoco.
«Cosa servi agli ostaggi?» chiese a Le Braz.
«Lo stesso che servo agli uomini. Cerdo asado.»
«L'ammiraglio vuole però che doña Gabriela mangi tartaruga, e che non
abbia rhum, bensì vino bianco. Ne hai?»
«Una sola bottiglia» rispose il bretone. «Il resto è a bordo.»
«Vada a lei, ai capi basterà il rosso.»
Il cuoco strizzò l'occhio. «Il cavaliere De Grammont è proprio
innamorato...»
«No! Non capisci nulla!» esclamò Retexar incollerito. «E tu, grassone,
fai il tuo lavoro e tappati la bocca, altrimenti sarai tu stesso a essere
bollito!»
Macary aveva intuito che, da parte di De Grammont, non c'era traccia
d'amore nei confronti di Gabriela. Solo una vaga fascinazione iniziale, che
le aveva procurato alcuni vantaggi. Se le cose stavano cambiando, era
unicamente per le premure che la dama riservava a Claire. Macary aveva
ancora qualche speranza di cercare le sue grazie senza entrare in
competizione con l'ammiraglio.
Attese che il cuoco togliesse dalla pentola carne e brodo di tartaruga, e
ne riempisse alcune ciotole di metallo. Quando Le Braz consegnò il cibo a
Trou-Flou, assieme a una bottiglia di Chablis, si fece avanti.
«Porto io a doña Junot-Vergara la sua razione» disse. Strappò le
vettovaglie dalle mani del mozzo. «L'ammiraglio pretende riguardo.
Conviene che sia un ufficiale a servirle la cena.»
Il cuoco lo guardò in tralice, ma non osò obiezioni, e nemmeno frasi
Macary trovò sulla tolda frotte di marinai che correvano su e giù, come
accadeva sempre nell'imminenza di uno sbarco. Retexar stava dicendo
qualcosa a Trou-Flou ed era distratto, ma lui i comandi da impartire li
conosceva. Ordinò di serrare le vele alte e di caricare da basso i fiocchi.
Subito dopo, mentre l'ancora calava, fece imbrogliare le gabbie con i
caricamezzi. Salì poi sul parrocchetto con il maestro d'ascia, a terzarolare.
Dal ponte, il primo ufficiale gli lanciò uno sguardo d'approvazione.
Il Le Hardi e gli altri vascelli si misero alla fonda in un tratto di mare
poco distinguibile da una palude, grigio quanto il cielo serale solcato da
nubi. Nessuna nave esponeva la Jolie Rouge. Forse era il motivo per cui
dal polverín non provenivano reazioni, al momento. L'intero piccolo
abitato sembrava deserto. Non un passante, non una traccia di fumo,
nessun segno di vita. Se non fosse stato per poche barche ormeggiate sulla
rada battuta da schiume sporche, Coatzacoalcos sarebbe sembrata una città
fantasma.
Mentre Macary scendeva dal parrocchetto, provò uno strano disagio. Si
accorse di non essere il solo. I movimenti dell'equipaggio erano svogliati,
lontani dal dinamismo abituale. Ci volle un tempo doppio del solito per
mettere a mare le scialuppe, e ancora più tempo per riempirle. Macary,
sulla iole assieme a Retexar, notò che anche il suo superiore era turbato.
«Qualcosa non va» mormorò il primo ufficiale. «Troppo silenzio a terra.
Persino gli uccelli tacciono. Almeno ci sparassero una cannonata. Tanta
monotonia non la reggo.»
Macary non commentò. Cercò con lo sguardo la barcaccia che portava a
riva De Grammont, sua sorella, Exquemeling e Gabriela. La vide persa tra
le molte scialuppe che si erano staccate dai vascelli all'ancora. Aveva
innalzato una vela latina, forse per vincere meglio la resistenza del mare
oleoso e quasi opaco. Stava approdando accanto a un agglomerato di
mangrovie, da cui fuggivano scimmie multicolori.
Macary aiutò a trarre la propria scialuppa in secco e seguì gli altri verso
l'abitato. Si trovò casualmente affiancato a Petru Vinciguerra. Sulle prime
non si parlarono, ma poi il corso gli disse, con accento lamentoso: «A
Veracruz mi hai picchiato senza ragione. Adesso ammetterai che
E così i Fratelli della Costa furono ancora una volta per mare, mentre i
viveri cominciavano a scarseggiare e gli equipaggi a innervosirsi. L'acqua
invece non mancava, per fortuna: a Coatzacoalcos ne avevano fatto
abbondante provvista. Mancava solo lo spirito, fiaccato dalla città infetta e
dal rinvio interminabile della spartizione dei tesori di Veracruz, ogni
giorno procrastinata.
In compenso - se agli avventurieri ne fosse importato qualcosa - la flotta
stava veleggiando in un tratto di oceano calmo e bellissimo. De Grammont
aveva ordinato di costeggiare lo Yucatán in direzione est. Contava di
raggiungere la Isla Mujeres, al largo di Cancún: un altro dei tanti rifugi dei
filibustieri dei Caraibi. Un lembo di terra piatto stupefacente per splendore,
coperto di palme e di buganvillee, circondato da acque abbastanza
trasparenti da permettere di scorgere banchi di pesci dalle forme insolite e
dai colori smaglianti. Il grigiore di Veracruz e di Coatzacoalcos sembrava
lasciato alle spalle, assieme ai cieli nuvolosi e alle paludi infette.
Malgrado lo scenario, non c'era allegria a bordo del Le Hardi. Nel
quadrato di poppa languiva Claire de Grammont, ormai prossima a spirare.
La sua respirazione faticosa sembrava dilatarsi all'intero brigantino,
rallentarne i ritmi di lavoro, spegnerne gli umori. Il cavaliere passava ore
presso il capezzale della sorella, tenendole la mano. Exquemeling era
disperato: i rimedi che aveva escogitato prolungavano l'agonia, senza
riuscire a scongiurarne l'esito fatale. Dal quadrato emanava tristezza, e si
propagava a tutti. Nemmeno le altre navi della flotta ne erano immuni. Si
navigava lenti, privi di entusiasmo.
Philippe Callois, il primo ufficiale del La Francesa, venne a bordo del
Le Hardi per scambiare qualche opinione sulla rotta. Fu accolto da Macary
e gli disse: «Che cos'è questo clima da funerale? Il Le Hardi sta
impestando di mestizia l'armata intera. Non importa che abbiamo le stive
gonfie di ricchezze. Hanno la meglio i mugugni».
«Signore» rispose Macary «un nostro marinaio, Petru Vinciguerra, lo
aveva pronosticato. Siamo condizionati dalla morente. Viviamo attimo per
attimo i suoi spasimi. È la sorella dell'ammiraglio. Mi pare logico che sia
così.»
John Cox emise un rutto potente e chiamò una servetta. «Basta vino!
Quello che avete è disgustoso. Passo alla birra, e così i miei amici. Portane
tre caraffe, per iniziare saranno sufficienti. E bicchieri per tutti!»
L'inglese soffocò uno sbadiglio e si appoggiò col gomito sul tavolo,
reggendo il mento con la mano. «Tristan, immagino che per sbarcare qua
abbiate avuto i vostri problemi.»
«Proprio così. Abbiamo dovuto lasciare le navi al largo, e approdare con
una lancia.»
«Ti spiego io perché. Gli spagnoli hanno capito l'antifona e adesso
hanno anche loro dei corsari. Il peggiore si chiama Juan Corso e ha per
alleato un veneziano, Giorgio Nicola. Comandano due navi leggere dal
nome simile, El León Coronado ed El León. Si riferiscono alla bandiera
della repubblica di Venezia, per cui fingono di combattere. Ci hanno già
assaliti due volte. Ecco perché il governatore accoglie solo navi dalla
provenienza più che certa.»
La servetta aveva portato la birra. Tristan ne assaggiò la schiuma,
imperlandosi i baffi. «Corso non so chi sia, e con Venezia non abbiamo
rapporti. Siamo quelli della Tortuga, vecchi alleati vostri. Non è
sufficiente?»
Cox ruttò di nuovo. «Alleati? E chi lo sa? Dipende da ciò che decidono
in Europa i parrucconi.» Mandò giù una sorsata di birra da strozzare un
bue. Non tossì nemmeno. Batté sul tavolo il boccale di ferro. «Tristan,
piantala con la politica. Né io né tu ne capiamo un accidente. Guarda
piuttosto quanti bei culi abbiamo attorno. Approfittane, si campa una volta
sola.»
Tristan fece girare lo sguardo sul locale, che era in effetti il tempio
stesso della prostituzione, e offriva un intero campionario di carni
scoperte, da quelle avvizzite a quelle fresche e rosee. Alzò le spalle. «Non
siamo qui per questo, John. Non hai sentito di Veracruz?»
Cox sobbalzò, tanto che versò un po' di birra. «Non dirmi che c'eri anche
tu!... Ma sì, adesso capisco perché siete qui! Se ne parla per tutti i
Caraibi!» Una gran risata gli fece tremolare la pappagorgia, carezzata da
un pizzo setoloso precocemente ingrigito. Afferrò per la vita due delle
Il mercato degli schiavi di Petit-Goâve non era così animato come quelli
dell'Avana o di Curaçao, né offriva uomini e donne di qualità tali da
invogliare all'acquisto. Anche i compratori, radunati sotto una larga tenda
rossa tesa fra gli alberi, non erano abbastanza facoltosi da permettersi
compere generose. Si trattava in prevalenza di piantatori di tabacco, di
bucanieri, di filibustieri ritirati che si erano conquistati un po' di terra, una
casetta e una posizione per qualche verso rispettabile.
Del resto, nella città non approdavano le grandi navi negriere, dedite a
un traffico regolare, provenienti dall'Inghilterra, da Genova, dall'Olanda o
da Venezia, solite battere l'Africa per comperare dai mercanti arabi carne
umana in buone condizioni. I venditori di Petit-Goâve erano
essenzialmente pirati d'ogni risma che avevano sottratto gli schiavi a
qualche villaggio costiero, oppure a un galeone caduto nelle loro mani,
all'interno dell'area circoscritta dei Caraibi. Gente che non si preoccupava
delle condizioni di salute dei prigionieri, né si curava che avessero un buon
aspetto.
In effetti, tra gli africani in attesa alla base del palco, Enriqueta - o
Reina, o come diavolo si chiamava - era l'unica che spiccava per la
bellezza. I suoi compagni di sventura, tra cui non figuravano né bianchi né
indigeni, erano in maggioranza sdentati, malnutriti, malaticci, troppo
giovani o troppo anziani. Nemmeno un carico fresco proveniente dal porto,
appena fatto scendere dal Le Hardi, dal Neptune e dalle altre navi dei
Fratelli della Costa, offriva uno spettacolo migliore. Spinti a frustate da
Henri Du Val, da Gueule-de-Femme, da Marcel Rouff, da Bamba, quegli
schiavi mostravano, col loro passo lento e con le loro piaghe, tutte le
sofferenze patite a partire da Veracruz, nelle sentine umide in cui erano
stati ammucchiati.
Macary si guardò attorno. «L'unica maniera per parlare con calma è
scendere allo scalo e trovare un luogo tranquillo dove sederci.»
«Sì, ma facciamo in fretta!» supplicò Gabriela. «Tra poco Reina sarà
venduta!»
«C'è tempo, è ancora indietro nella fila.» Macary afferrò la donna per il
braccio nudo, e ancora una volta quel contatto gli diede un brivido. Era
Quando Macary, poco più tardi, giunse al mercato degli schiavi, si rese
subito conto che Enriqueta non era lì. Si rivolse a uno degli astanti, un
anziano piantatore di tabacco dai lunghi favoriti bianchi.
«È già stata venduta una negra molto giovane, di bellezza insolita?»
L'altro lo contemplò e sorrise. «Amico, non vi sareste mai potuto
permettere un bocconcino del genere. Ha raggiunto una quotazione
pazzesca: cinquecento scudi. Normalmente, a Petit-Goâve si tratta per
molto meno.»
«Dunque avete capito di chi parlo!»
«Sì, certo. Di negrette non ce n'erano altre. La vostra l'ha comperata il
capitano di una nave inglese, il Sea Master.»
«È ancora qua?»
«Non credo, ma ho altro a cui badare.»
Ciò valeva anche per Macary, che si allontanò. Viveva in una curiosa
apnea del pensiero, in cui affioravano tracce larvate di dolore e di
rammarico, ma anche intenzioni appena espresse di dimenticare, quando
fosse stato possibile. La pietà era assente, perché Gabriela era morta senza
chiedere pietà. E tuttavia non riusciva a trovare in quel suicidio una rivalsa
ai propri rancori. Per qualche mese il corpo di lei aveva alimentato le sue
fantasie. Quel corpo giaceva in fondo al mare. Cosa restava? Un senso di
vuoto, ma poco altro. La donna, si rese conto, gli era rimasta del tutto
inconoscibile. Quanto più aveva offerto se stessa, tanto più si era negata.
Ne erano prova gli esercizi spirituali cui si dedicava in segreto: chi mai
avrebbe potuto desumerli, da come si comportava?
Si imbatté in De Grammont, che scendeva dalla collina, furioso. Era in
compagnia di Exquemeling e del capitano Grognier. «Macary, non salite