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“TEMPO E SPAZIO”

PROF.SSA ELVIRA MARTINI


Università Telematica Pegaso Tempo e spazio

Indice

1 IL PENSIERO UMANO: TEMPORALE E SPAZIALE --------------------------------------------------------------- 3


2 IDEE DEL TEMPO ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 5
3 RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO ------------------------------------------------------------------------------- 8
4 CORRELAZIONE SPAZIO-TEMPO ------------------------------------------------------------------------------------ 10
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ----------------------------------------------------------------------------------------------- 21

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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N.B. La presente lezione antologizza il Capitolo 3 – Parte terza, “Tempo e spazio”, pp. 129-

140, del testo di Ugo Fabietti, Elementi di Antropologia culturale, Milano, Mondadori, 2015.

All’interno del testo sono presenti, altresì, riferimenti bibliografici e approfondimenti

specifici sul tema oggetto della lezione.

1 Il pensiero umano: temporale e spaziale

Gli esseri umani hanno la percezione della trasformazione delle cose e della loro finitezza,

l’avvicendarsi di fenomeni quali il giorno e la notte, il sonno e la veglia, l’estate e l’inverno. Ma

essi riescono anche sperimentare la collocazione delle cose nel mondo e così il corpo diventa

rilevatore del posizionamento del soggetto che si autopercepisce nei confronti delle cose e degli altri

esseri umani.

In riferimento alla trasformazione delle cose e di sé, gli uomini percepiscono ciò che noi

chiamiamo tempo, mentre in riferimento al posizionamento del proprio corpo e delle cose rispetto

ad altri corpi, percepiscono ciò che noi chiamiamo spazio.

Secondo Kant, tempo e spazio sono categorie che costituiscono intuizioni a priori universali.

La percezione dello spazio e del tempo e la loro intuizione è una funzione primaria

dell’attività mentale, senza la quale non potremmo dare forma al pensiero; non potremmo fare nulla

senza spazio e tempo perché sono le dimensioni costitutive di qualunque modo di pensare.

Tuttavia, poiché le rappresentazioni del tempo e dello spazio differiscono da una cultura a

un’altra diventa fondamentale dal punto di vista antropologico capire cosa c’è di identico e cosa di

diverso. Tempo e spazio rivestono significati differenti in contesti culturali differenti.

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Durkheim e Mauss nel 1951 sostennero che tempo e spazio sono istituzioni sociali: lo stile

di pensiero predominante all’interno di una società influenzerebbe le valenze affettive, simboliche e

persino percettive che il tempo e lo spazio assumono in quel contesto.

Ad esempio se in una cultura prevale l’oralità le rappresentazioni del tempo e dello spazio

sarebbero legate maggiormente alla dimensione dell’esperienza piuttosto che a quella del

ragionamento astratto.

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2 Idee del tempo

Nel 1920 lo studioso svedese Nilsson sostenne che nelle società primitive il tempo era

concepito in maniera puntiforme.

In queste società i riferimenti temporali non corrispondo a frazioni di un flusso temporale

omogeneo e quantificabile (ore, minuti, secondi) ma a eventi naturali, sociali o fisiologici: due

raccolti fa (due anni fa), un sonno fa (un giorno fa). La nostra concezione di tempo quantizzabile e

misurabile è molto recente ed è legata all’idea di produttività cara al sociologo Weber (1982) agli

inizi del XX secolo. L’idea del “tempo è denaro” spiega molto bene la concezione di una vita

consacrata alla produzione di beni e al guadagno. Il tempo dedicato alla produzione quantificabile

dei beni diventa esso stesso un qualcosa da misurare. Ovviamente non è stato sempre così e non

sono mancate anche nella cultura episodi in cui il tempo aveva valenza diversa a seconda dello

stato d’animo del soggetto. Nelle campagne europee l’anno era diviso non tanto in mesi ma in

periodi di cultura (la vendemmia, la semina, l’aratura) e il giorno non in ore ma in indicatori sociali

(la pennichella, dopo la colazione, a notte fonda) .

In realtà il senso di un tempo non quantizzato, ma carico di significati speciali, è presente in

tutte le società che hanno bisogno di rievocare periodicamente l’atto considerato il fondamento

della propria esistenza: ne sono esempi il Natale o il Capodanno o il “ricominciamento” del tempo

nei calendari cinesi o maya.

In questo caso si parla di ciò che viene definito i miti dell’eterno ritorno (Eliade 1975).

Comparando differenti tradizioni e testi, egli dimostra la volontà nell'uomo arcaico di

tornare a quel tempo primordiale, quando il gesto sacro fu compiuto da dei, eroi o antenati.

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Eliade scrive che un ciclo cosmico contiene una Creazione, un’ Esistenza e un ritorno al

Caos e questo contiene la speranza di una rigenerazione totale del tempo. Ogni ciclo comincia in

modo assoluto, perché ogni passato e ogni storia sono stati definitivamente aboliti grazie a una

reintegrazione folgorante nel Caos.

L’etnografia è molto ricca di esempi relativi a come culture prive di pensiero cronometrico

collocano gli eventi nel tempo.

Tiv della Nigeria: collocano gli eventi nel tempo facendo riferimento all’organizzazione dei

mercati.

Un mercato è un ciclo di cinque giorni duranti i quali si svolge una fiera diversa. Se un Tiv

dice “due mercati fa” si riferisce con una certa precisione a un evento accaduto da un minimo di 6 a

un massimo di 10 giorni prima (Malinowski 1935).

Madagascar: si usano le case come riferimento di scansione giornaliera del tempo. Le case

malgasce sono posizionate tutte ella stessa direzione quindi a seconda di come si riflette il sole su di

esse, le persone possono collocare nel tempo azioni ed eventi (Bloch 1971).

Baulè (costa d’Avorio): qui il tempo lineare e misurabile è stato adattato alle categorie

temporali locali. Essi dicono “alle due” o “alle tre” per indicare la corrispondente posizione del Sole

e come fasce di durata, non come punti esatti della giornata (Pignato 1987).

Baluch (Pakistan meridionale): è uno di quei popoli che hanno adottato il sistema

calendariale e cronometrico degli apparati statali dominanti ma anche conservato forme tradizionali

e locali di scansione del tempo. Essi dividono l’anno in stagioni ma il giorno è scandito dall’alba,

dal sole alto, dal tramonto e da cinque momenti della preghiera musulmana indipendentemente dal

fatto che essi siano osservanti oppure no (Fabietti 1997).

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In linea generale, il tempo cronometrico, espressione di società organizzate sul piano

amministrativo, politico e produttivo, oggi tende a essere la rappresentazione del tempo dominante,

sebbene non esclusiva.

Esiste, infatti, un tempo non quantificabile, detto tempo qualitativo, che non è affatto

sconosciuto alle nostre società basate sul tempo quantizzato.

Ne sono esempi “quando erano giovani i miei nonni”, “quando eravamo all’asilo”, “quando

fioriscono i mandorli”, ecc…

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3 Rappresentazione dello spazio


Lo spazio non corrisponde sempre e ovunque allo spazio astratto dello geometria. Esso

infatti riveste speso valenze qualitative che lo rendono diversamente significante agli esseri umani.

Si pensi ai luoghi della Terrasanta nell’immaginario degli europei cristiani che per anni li hanno

immaginati come atmosfere suggestive (presepi, processioni) fino a cristallizzarli in immagini di

fatto diverse dai luoghi reali. Per questo i crociati diedero vita a un lavoro di riconoscimento di quei

luoghi che per poter soddisfare le aspettative degli europei cristiani furono ricostruiti e riadattati in

punti dello spazio che non erano gli stessi del Vangelo.

Lo spazio quindi costituisce spesso un elemento centrale per la memoria di un gruppo. È il

caso degli Zafimaniry del Madagascar le cui case sono poste a diverse altitudini e testimoniano

una vera e propria memoria sociale. La disposizione in senso altitudinale esprime la successione

delle generazioni che discendono da una coppia fondatrice della stirpe. La casa della coppia

primaria infatti è posta più in altro e dà vita a un villaggio che si snoda secondo un modello di

discesa progressiva verso i villaggi via via più giovani.

La casa originaria è una sorta di luogo sacro carico di valenze affettive e religiose

Lo spazio è anche una dimensione che, per poter essere vissuta, deve essere addomesticata.

Entrare nello spazio significa entrare in contatto con un mondo noto (tranquillità e sicurezza)

ma anche con un mondo ignoto (paura e sconcerto).

Ecco allora che nella cultura umana c’è sempre la necessità di concepire un luogo dello

spazio come punto di riferimento e di sicurezza. Gli esseri umani si sentono al sicuro in luoghi noti

e controllabili, punti di riferimento o luoghi cari alla memoria di una comunità laica o religiosa che

sia (Remotti-Scarduelli-Fabietti 1989).

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La disposizione delle cose o delle persone nello spazio fisico può assumere una vasta

gamma di significati sociologici nelle diverse culture. Si pensi al gineceo, la parte della casa nella

Grecia antica riservata alle donne oppure all’haram, tipico del mondo musulmano, destinato al

medesimo scopo. I caffè in gran parte dell’Europa rurale sono stati per molto tempo un ritrovo

riservato ai soli maschi. In Madagascar la parte nord della casa è riservata agli anziani. Speciali

abitazioni sono riservate agli uomini scapoli in Nuova Guinea a in Amazzonia, così come ripari

appositamente costruiti sono riservati alle donne al loro primo ciclo mestruale perché ritenute

impure.

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4 Correlazione spazio-tempo

Il rapporto tra tempo e spazio ha sempre suscitato grande interesse e molti dibattiti nel

tentativo si spiegarne misteri, analogie e differenze.

Tra i molti studiosi l’antropologo Hallpike sviluppò una teoria della differenza tra tempo

operatorio e concezione preoperatoria del processo temporale.

La fonte dei suoi studi fu Piaget e la sua distinzione tra pensiero operatorio (mette in

relazione il tempo e lo spazio come se fossero variabili dipendenti) e pensiero preoperatorio (dove

manca questa coordinazione). Quest’ultimo è tipico del mondo infantile dove non è facile stabilire

una relazione tra durata, successione e simultaneità (coordinazione della velocità relativa).

Basandosi su alcuni altri studi di psicologia cognitiva dimostranti l’incapacità per alcuni

marocchini preletterati di coordinare tempo e spazio e quindi di percepire il concetto di simultaneità

, Hallpike estese la presenza del pensiero preoperatorio a tutte le società che non erano in possesso

di una concezione lineare e misurabile di tempo e spazio: i popoli primitivi ne sono l’esempio, il cui

pensiero fondato sulla concretezza non riesce a riflettere in maniera conoscitiva se quanto non sia

espressione diretta dell’esperienza.

Un eccezione del ragionamento di Hallpike ci proviene dagli studi di Gregory Forth, il quale

scoprì che i Rindi dell’Isola di Sumba in Indonesia, pur non possedendo una nozione di tempo

misurabile sono perfettamente in grado di coordinare durata, successione e simultaneità.

I Rindi praticano le corse di cavalli alle quali partecipano cavalli di diversa grandezza. Gli

animali devono percorrere una pista circolare in senso antiorario il cui traguardo si trova nel punto

X.

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D è il punto di partenza dei cavalli più piccoli che dovranno correre fino a X; C è il punto di

partenza di cavalli più grandi che dovranno fare il giro completo (fino a C) e quindi il tratto X+C.

Da B partono i cavalli ancora più grandi che dovranno ritornare a B comprendendo il tratto X+B.

Da A partano i cavalli di grandezza superiore a tutti gli altri che dovranno ritornare in A coprendo

anche X+A (vedi Figura 1).

Figura 1 – Lo schema delle corse dei cavalli presso i Rindi

I cavalli partano tutti dallo stesso punto e percorrono lunghezze diverse poiché i Rindi sono

perfettamente consapevoli del fatto che i cavalli più grandi sono anche più forti, resistenti e veloci e

pertanto la gara in tal modo risulta sicuramente più equilibrata.

La tesi di Hallpike secondo la quale la mancanza di un’idea di tempo quantizzabile sarebbe

implicitamente connessa con un pensiero preoperatorio sembrerebbe dunque almeno in questo caso

smentita.

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Approfondimento

Organizzazione sociale dello spazio

di Arnaldo Bagnasco

1.Premessa

Il rapporto con lo spazio e il tempo sono costitutivi del modo di essere della società. Gli

uomini costruiscono case, fabbriche e templi, fondano Stati e città, e in ogni caso ne fissano i

confini, ricorrendo a porte, sbarre, mura, valli: ma questa organizzazione sociale dello spazio è

soltanto la traccia visibile di una realtà più profonda ed essenziale, ossia l'organizzazione sociale

nello spazio. La società si organizza - nel senso che 'prende forma' - nello spazio e nel fare questo

organizza, modifica, dà forma allo spazio stesso. Le due forme di organizzazione si implicano a

vicenda. La sociologia contemporanea si fa carico del problema dell'organizzazione sociale nello

spazio distinguendo due fondamentali condizioni di interdipendenza fra le persone, definite

rispettivamente dalla compresenza e dalla separazione fisica. Luhmann separa analiticamente

interazione e società come sistemi sociali con proprietà distinte, riservando per l'interazione "il

criterio delimitativo della presenza fisica" (v. Luhmann, 1984; tr. it., p. 635). Boudon distingue i

sistemi di interazione, che riguardano proprietà emergenti dall'interazione diretta di attori

compresenti, dai sistemi di interdipendenza, nei quali le azioni di ciascun individuo si riflettono

sugli altri senza interazione diretta (v. Boudon, 1991). Giddens distingue a sua volta l'integrazione

sociale - che riguarda le interconnessioni, ovvero la reciprocità di pratiche fra attori compresenti -

dall'integrazione sistemica, che riguarda la reciprocità di pratiche fra persone fisicamente assenti,

basate su meccanismi e legami sociali diversi. A suo giudizio, ciò che ha reso possibile, al di là

delle società tribali, una maggiore ampiezza dell'organizzazione spazio-temporale delle società è

stato soprattutto lo sviluppo delle città (v. Giddens, 1984).

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La struttura del presente articolo si ispira ai concetti appena richiamati. Il cap. 2 sarà

dedicato agli spazi dell'interazione e si articolerà in due paragrafi per così dire speculari: il primo

dedicato alle proprietà delle forme di interazione in rapporto allo spazio, il secondo agli spazi

organizzati per l'interazione. Il successivo capitolo tratterà invece il passaggio dall'interazione

all'organizzazione di spazi sociali più estesi, vale a dire alle città, mentre l'ultimo capitolo si

occuperà degli spazi della società.

2. Gli spazi dell'interazione

a) Compresenza e interazione: gruppi, comportamenti collettivi, reti, incontri

L'interazione sociale è il processo nel quale due o più persone agiscono orientando

reciprocamente e in sequenza le loro azioni. Nell'interazione si coordinano le attività, si scambiano

informazioni e si influenzano aspettative e comportamenti. L'interazione in situazioni di

compresenza - l'interazione in senso stretto, definita anche diretta o situata - ha proprietà particolari,

collegate anzitutto alle risorse di comunicazione a disposizione di chi interagisce e dunque

indirettamente allo spazio. La comunicazione infatti può essere veloce e può rapidamente

riorientarsi; è affidata alla parola, ma anche ai gesti, agli accenti, agli sguardi. Proprio per questo è

meno precisa, ma più densa e duttile di quella indiretta fra persone che interagiscono fra loro, ma

comunicando a distanza, per lettera ad esempio, o anche per telefono. I caratteri indicati (come altri

ugualmente collegati al corpo e alla sua presenza nello spazio) derivano, come si è detto, da

proprietà fisiche e sono condizioni importanti della strutturazione dell'interazione. Quest'ultima,

tuttavia, per essere descritta e compresa richiede altri e specifici strumenti analitici. Al riguardo, la

sociologia mette anzitutto a disposizione i concetti di gruppo e di ruolo. Ruolo è l'insieme di

comportamenti che coloro i quali occupano una determinata posizione sociale tipicamente si

aspettano da parte di coloro i quali ne occupano un'altra (v. Linton, 1936). Un gruppo è un insieme

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di persone che interagiscono continuativamente, cooperando fra di loro in riferimento a un sistema

di ruoli che le collega. L'interazione nei gruppi, in particolare nei piccoli gruppi, può essere

descritta con riferimento ai ruoli, che saranno anche un tramite per riportare l'interazione ai caratteri

e al funzionamento del sistema sociale complessivo: il comportamento atteso corrisponde infatti,

nel modello funzionalista, a norme introiettate nel processo di socializzazione, che a loro volta

fanno riferimento a valori istituzionalizzati nella società (v. Parsons, 1951). In alcuni casi la

comprensione di un'interazione in un gruppo sarà estremamente facilitata dall'adozione di un'analisi

condotta in termini di ruoli degli attori, specie se si tratta di contesti per i quali valgono regole

molto chiare e fortemente condivise. Non va dimenticato, tuttavia, che l'uso del concetto di ruolo

risulta utile a patto di tenere presente che gli individui si riferiscono generalmente in modo

differente agli stessi valori e che entrano in interazione con scopi diversi, il che li spinge a

contrattare o a confliggere con gli altri. In sostanza: nell'interazione gli attori utilizzano i ruoli per

loro scopi e strategie. Un grande gruppo - un'azienda, per esempio, o un'organizzazione

amministrativa - stabilisce un sistema di relazioni per l'interazione diretta di una persona con il

piccolo gruppo dei colleghi di reparto o di ufficio, e indiretta con il resto dell'organizzazione. In

questo senso, il ruolo organizzativo fa da tramite fra interazione diretta e indiretta, ovvero fra

interazione e società.

Non tutte le interazioni si svolgono in gruppi. Al riguardo, lo studio dell'organizzazione

sociale nello spazio può fare riferimento a tre altri oggetti analitici: i comportamenti collettivi, le

reti di relazioni e gli incontri. Comportamento collettivo è il comportamento di un insieme di

persone sottoposte allo stesso stimolo, che reagiscono interagendo fra loro senza avere a

disposizione - come nei gruppi - uno schema di ruoli predefinito. Le reazioni della folla e le

manifestazioni di panico sono due esempi di comportamento collettivo che prendono forma spesso

e tipicamente in luoghi pubblici (v. Turner 1964). Il panico, come reazione a un pericolo grave e

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immediato, scatena una specie di regressione sociale che conduce gli individui a reagire

violentemente e comunque irrazionalmente nel tentativo di non subire danni: come tale è un

fenomeno di disorganizzazione sociale. Una folla invece reagisce a uno stimolo sviluppando

sentimenti comuni, e a volte intraprendendo azioni collettive. Si distingue da quello della folla un

altro comportamento collettivo, quello del pubblico, dove si formano in modo più ordinato opinioni

diverse. Nella folla e nel pubblico sono tipicamente in atto due diversi meccanismi dell'interazione

faccia-a-faccia: rispettivamente la reazione circolare per cui una reazione osservata anche negli altri

risulta rafforzata, e la interazione interpretativa, per cui un messaggio riceve una risposta diversa

che può modificare l'opinione di partenza. Le reti (social networks) costituiscono ulteriori forme di

relazione per l'interazione diretta (v. Piselli 1995). Rovesciando il punto di vista rispetto all'idea di

ruolo, l'attenzione è posta sugli individui e non sul sistema. Si osserva allora che ogni individuo

dispone di - e continuamente tesse - una sua rete di relazioni, che lo mette in contatto con ambiti

sociali diversi. La rete permette di osservare non come gli individui obbediscono ai loro ruoli, ma

come utilizzano i loro repertori di ruoli, e come perseguono le loro strategie, non all'interno di un

gruppo, ma muovendosi fra gruppi: così, l'individuo può far valere nell'interazione all'interno di un

gruppo risorse che trova in un altro, può fare da mediatore fra due diverse reti, tenendole separate,

può stabilire relazioni fra persone prima appartenenti a reti diverse: le reti di relazione stabiliscono

dunque, nel senso indicato, altri contesti strutturati di interazione. Osservare l'interazione di rete è

particolarmente utile nelle società complesse e in mutamento, dove le aspettative di ruolo non sono

ben definite e non ci si trova di fronte a una cultura omogenea. La possibilità di 'pendolare' fra una

società urbana in formazione e la società tribale di origine, lontana nella campagna, utilizzando reti

di relazione tenute distinte, è stata per esempio osservata dagli antropologi come una risorsa di

integrazione nel nuovo contesto. Come i ruoli in un gruppo, anche le reti mettono in connessione

interazioni dirette e indirette dispiegandosi nello spazio. Considerare l'estensione delle reti di

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relazioni nello spazio può condurre a osservazioni sorprendenti sull'organizzazione sociale. Una

ricerca ha selezionato alcune persone nell'area di Boston e ha chiesto ad altre scelte a caso nel resto

degli Stati Uniti di provare a stabilire un contatto con le prime utilizzando solamente una catena di

individui, che a due a due si conoscevano fra loro: in media sono stati necessari solo 5,5

intermediari (v. Milgram 1969).

Un incontro (encounter) è una unità elementare di interazione focalizzata. Questa "si verifica

quando le persone si mettono effettivamente d'accordo per dirigere momentaneamente l'attenzione

su un unico fuoco conoscitivo e visivo, come in una conversazione, in una partita a scacchi, e nel

caso di un compito eseguito in comune in una cerchia ristretta di collaboratori faccia-a-faccia"

(Goffman, 1961; tr.it., pp.34). Gli incontri sono microstrutture sociali, analizzabili in quanto tali

esclusivamente per le loro proprietà collegate alla compresenza. Si potrebbe anche dire che sono le

unità formali elementari dell'ordine dell'interazione. Gruppi e reti individuano strutture di relazioni

sociali che possono costituire contesti di interazione. Gli incontri, invece, sono in essenza

interazioni situate, in questo essendo anche, per il rapporto con lo spazio, relativamente più simili a

molti tipici comportamenti collettivi. Un gruppo persiste nel tempo, mentre un incontro si apre e si

chiude. Le relazioni sociali riguardano il 'posizionamento' degli individui in uno spazio sociale,

l'interazione situata degli incontri riguarda il 'posizionamento' in contesti spazio-temporali di

attività. L'interazione situata richiede disciplina delle emozioni e un relativo disimpegno dalle

attività che esulano dal quadro dell'incontro nel quale si generano identità e ruoli situati ( il ruolo

per esempio di presidente di una riunione, o di un mediatore che si offre in un litigio per strada),

validati nella stessa interazione da una rappresentazione espressiva coerente. Le determinazioni

strutturali esterne sono filtrate negli incontri attraverso 'regole di trasformazione', le quali

consentono un coinvolgimento e un accordo spontanei che si realizzano secondo modalità in parte

sottratte al controllo cosciente. Negli incontri le persone tendono a esprimere tatto (vale a dire

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consenso latente) e fiducia reciproca, che consentono le routines della vita quotidiana, alla base

della riproduzione sociale e del senso di sicurezza individuale. L'interazione della vita quotidiana

attraverso incontri è dunque cruciale per l'organizzazione sociale complessiva. Le sue regole e i suoi

rituali (ordine nel prendere la parola, modi di aprire e chiudere un incontro, forme per compensare

un esito sgradevole per un partecipante, strategie per evitare di far 'perdere la faccia' e così via)

esprimono attenzione agli altri e rispetto nei loro confronti; per loro mezzo si realizza un continuo

monitoraggio reciproco, si riparano i guasti del tessuto sociale e si conserva la fiducia fra le

persone. Si tratta della "meccanica più intima della riproduzione sociale" (v. Giddens, 1984; tr.it., p.

70).

Gruppi, comportamenti collettivi, incontri, reti individuano contesti o forme dell'interazione

diretta, modi della microorganizzazione sociale nello spazio. Passeremo ora a considerare - in modo

altrettanto generale e astratto - la speculare organizzazione dello spazio per l'interazione.

b) Spazi appropriati: luoghi, non luoghi, luoghi altri

L'osservazione mostra facilmente che l'attività umana è regionalizzata, vale a dire si

organizza a seconda dei suoi contenuti in porzioni diverse di spazio. La società stessa appare

dunque regionalizzata in differenti ambiti locali, zone dedicate a specifici tipi di interazione (v.

Giddens, 1984). La più elementare e generalizzata forma di regionalizzazione deriva dal fatto che,

per una corretta gestione dell'interazione, le persone distinguono luoghi e momenti in cui si

espongono ad altri da luoghi e momenti di vita privata, nei quali si isolano. Questa proprietà

dell'interazione è probabilmente un universale culturale, che si ritrova in tutte le società. La

metafora teatrale, che distingue attività e luoghi di ribalta e di retroscena, costituisce dunque un

modo fondamentale di analisi dell'organizzazione sociale nello spazio, ma anche dello spazio (v.

Goffman, 1959).

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Sulla ribalta ci si rappresenta agli altri, interpretando ruoli, fornendo ma anche lasciando

trasparire involontariamente informazioni su noi stessi e le nostre intenzioni. Si tratta per quanto

possibile di azioni controllate e formali, che corrispondono ad attese reciproche di etichetta e

appropriatezza socialmente definite. Al retroscena il pubblico non ha accesso; qui l'attore si toglie la

maschera del ruolo e il suo comportamento diventa informale, si prepara alla rappresentazione del

sé e ricostituisce le risorse psicologiche e di altro tipo per la rappresentazione. La casa è nel suo

insieme e tipicamente luogo di retroscena, ma al suo interno possiamo distinguere ulteriori

regionalizzazioni. La camera da letto, il bagno, la cucina sono luoghi di retroscena; la stanza di

soggiorno o la sala da pranzo sono invece luoghi di ribalta. Utilizzare modelli di interazione tipici

del retroscena in un luogo di ribalta, o scegliere come ribalta un tipico luogo di retroscena

compromette la rappresentazione del sé nell'interazione, ma in certi casi può far parte di una

strategia non convenzionale che, per esempio, rischia una apertura più familiare con una persona:

invitare a pranzo in cucina può avere questo significato. Altre volte, mostrare il retroscena può voler

significare che non si nasconde niente. Lo studio attento della rappresentazione del sé nelle

dinamiche di ribalta e retroscena, così come delle tecniche per uscire di scena senza compromettere

future interazioni o gestire complesse rappresentazioni di una 'compagnia', mette in luce condizioni

dell'interazione tanto decisive quanto spesso non adeguatamente valutate. La loro importanza

emerge con lo studio delle situazioni in cui la distinzione fra ribalta e retroscena è negata, come

nelle istituzioni totali: un ospedale psichiatrico o un carcere. Molte patologie del sé e molti

comportamenti reattivi degli internati sono interpretabili proprio come difficoltà e tentativi di

ricostituire un retroscena da parte di chi è costantemente obbligato ad una ribalta (v. Goffman,

1961).

La differenziazione funzionale delle attività a seconda dei diversi ambiti istituzionali implica

anche, di solito, una differenziazione spaziale, e costituisce un secondo principio di

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regionalizzazione: la casa è distinta dalla fabbrica, la scuola dal tribunale, e così via.

Differenziazione funzionale e spaziale si sono affermate progressivamente come parte del processo

di modernizzazione. Un luogo è un ambito locale con funzioni specializzate che organizzano

l'interazione, il quale incorpora ordinariamente anche elementi simbolici. In un luogo, in presenza

di elementi simbolici condivisi, le persone si orientano su interpretazioni sintonizzate e la loro

interazione può esprimere significativi livelli di integrazione (v. Mela, 1996).

In contrapposizione ai luoghi, sono stati definiti non luoghi particolari e caratteristici ambiti

locali, presenti nelle città contemporanee, come le stazioni, gli aeroporti, i supermercati. Ambiti

anonimi di interazione funzionale, essi sono "uno spazio che non crea identità né singola né

relazionale, che [...] non integra nulla, autorizza solo [...] la coesistenza di individualità distinte,

simili e indifferenti le une alle altre" (v. Augé, 1992; tr.it., p.101). I non luoghi sono in realtà ambiti

non residuali della regionalizzazione attuale, forse non ancora sufficientemente esplorati per se

stessi. Il termine individuerebbe comunque i connotati spaziali delle condizioni di esistenza nella

postmodernità.

Se i non luoghi appaiono come una relativa novità, un altro tipo di luoghi è presente in tutte

le società: in forme diverse, queste sembrano avere bisogno di definire e realizzare luoghi per così

dire esterni all'organizzazione sociale e alle sue regioni. Foucault (v., 1967) usa il termine luoghi

altri (eterotopie) per indicare ambiti locali e pratiche ad essi correlate, che sembrano nuovamente

riferirsi a una specie di universale culturale. Si tratta di luoghi fuori da tutti i luoghi, i quali tuttavia,

a differenza dei luoghi altri delle utopie, esistono effettivamente e stanno in rapporto con tutti gli

altri luoghi, in un modo che insieme li rappresenta, contesta e rovescia. Nelle società primitive i

luoghi altri prendono la forma di eterotopie di crisi, luoghi privilegiati, sacri o vietati, riservati a

persone in situazione appunto critica rispetto alla società in cui vivono: adolescenti, donne nel

periodo mestruale, partorienti, vecchi. Queste forme sussistono, anche se vanno scomparendo: un

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esempio era in passato il viaggio di nozze, il quale permetteva che la deflorazione di una ragazza

avvenisse 'in nessun luogo', in un luogo altro per esempio una camera d'albergo. Oggi si sono

piuttosto sostituite le eterotopie di deviazione, dove sono isolate le persone devianti rispetto alla

media: case di riposo, cliniche psichiatriche, prigioni.

L'organizzazione sociale dello spazio comprende un'altra divisione ricorrente e rilevante fra

luoghi pubblici e luoghi privati. I primi - come le piazze, le strade, i parchi - assicurano una

possibilità di accesso e di fruizione in linea di principio eguali per tutti, oppure vincolate al

pagamento di un servizio (cinematografi, musei, bar) ma in modo formalmente non discriminante.

Negare la possibilità di accesso a un luogo pubblico a una categoria di persone richiede sempre una

difficile giustificazione, e spesso è attaccabile come violazione di un diritto fondamentale. I luoghi

privati come le abitazioni, al contrario, sono definiti proprio dal diritto dei proprietari di regolarne

l'accesso degli altri in modo discrezionale. Il rapporto fra luoghi pubblici e privati cambia nel

tempo, così come le condizioni della loro esistenza e fruibilità.

Un'ultima distinzione permette di scorgere un limite alla definizione dei luoghi come

organizzatori dell'interazione sociale. Si tratta della dinamica che agisce in direzione della

sostituzione di uno spazio di luoghi con uno spazio di flussi (v. Castells, 1989; v. Mela, 1996,

p.158). In certa misura, per alcune funzioni la localizzazione è diventata indifferente e i mezzi di

comunicazione consentono reti di relazione che connettono in tempo reale persone fisicamente

distanti. L'allargamento di uno spazio di flussi è certo una realtà. Tuttavia, flussi crescenti di

persone, di merci, di messaggi non escludono la condensazione di interazioni in punti specifici dello

spazio. Sfidati dai flussi, i luoghi permangono. Cruciali per l'organizzazione sociale restano, a

questo riguardo, le città, luoghi nello spazio fisico dove si stabilisce la connessione fra interazione

diretta e indiretta, e ora anche fra spazio dei luoghi e spazio dei flussi.

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