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* Questo lavoro, iniziato nel corso della ricerca su « La società piemontese durante il fa
scismo. 1925-1940 », finanziata dal CNR e diretta dal prof. Guido Quazza, presso l’Istituto
di Storia della Facoltà di Magistero di Torino, costituisce una versione ampliata della comu
nicazione tenuta al convegno organizzato a Perugia il 5, 6, 7 dicembre 1975 dalla Consulta
regionale umbra per le celebrazioni del 30° della liberazione su « L ’Italia e l’Umbria dal
fascismo alla Resistenza: problemi e contributi di ricerca». Su questi temi l’autore sta per
pubblicare, presso l’editore Rosenberg e Selber di Torino, uno studio di più ampio respiro.
1 Cfr. sui problemi dell’« economia di guerra » di quel periodo, cfr. di A l b e r t o c a r a c c i o l o ,
La crescita e la trasformazione della grande industria durante la prima guerra mondiale, in
Lo sviluppo economico in Italia (a cura di G. Fuà) voi. I l i , Milano, 1969, pp. 184-239.
2 Su ciò cfr. c. g i n : , Problemi sociologici della guerra, Bologna, 1921, p. 203 e sgg.
3 Cfr. per l ’introduzione del sistema Taylor, R o d o l f o b a c h i , L ’Italia economica nell’anno
1920, Roma, 1921.
4 Cfr. e . t o n i o l o , La mobilitazione industriale in Italia, Milano, 1921, e A . c a r a c c i o l o ,
La crescita e la trasformazione della grande industria, cit., p. 235. In questi anni non a caso
acquista rilevanza l ’azione del Comitato scientifico tecnico per lo sviluppo e l’incremento del
l’industria italiana, presieduto a Milano dal senatore Colombo; l’importanza di tale organi
smo è giustamente sottolineata da a . c a r a c c i o l o , op. cit., p. 235.
5 Cfr. S i l v i o L e o n a r d i , Le macchine utensili e la loro industria, Milano, 1961, p. 54; e
di S i l v i o G o l z i o , L ’industria italiana dei metalli, Torino, 1943. Giustamente il Golzio affer-
4 Giulio Sapelli
Ma ancor più significative delle cifre sono le caratteristiche delle macchine im
portate; basterà ricordare la fresatrice automatica per ingranaggi; la fresatrice
per ingranaggi cilindrici Rhenania dello Schütte, caratterizzata dall’introduzione
del differenziale (di grande importanza per il rinnovamento dei criteri costrut
tivi della trasmissione dell’asse posteriore dell’automobile e delle lavorazioni- con
le macchine utensili); i torni automatici per i lavori alla sbarra, per filettare o
sagomare, dell’Höln-Deutz o ancora dello Schütte6. Uno dei dati essenziali del
mutamento tecnologico promosso dall’introduzione di tali macchinari, che costi
tuiranno per vent’anni, è bene tenerlo presente, uno dei punti più importanti
dell’ossatura fondamentale della meccanica italiana, è quello costituito dalla li
mitazione che così si viene a creare alla libera mobilità della forza lavoro all’in
terno del reparto: sono macchine che possono essere seguite, in coppia, da un
solo operaio e richiedono un’utensileria ausiliaria che può essere organizzata in
modo tale da favorire il controllo sull’operato del lavoratore limitandone l’auto
nomia professionale. Non a caso esse sono introdotte nel contesto del dispo
tismo militare instaurato nelle fabbriche nel corso della guerra.
Si può ben dire, perciò, che se dal punto di vista dello sviluppo economico ge
nerale del paese l’esperienza bellica fu « [...] negativ[a] e deviante rispetto ad
una ragionevole possibilità di sviluppi più cauti ma più sistematici » 7, essa fu
decisiva per l’introduzione dei metodi « scientifici » 8 di organizzazione del la
voro e per lo sviluppo tecnologico del nostro paese9.
Solo nell’immediato dopoguerra, quando i problemi della riconversione si fe
cero acuti ed emersero nuovamente i problemi di fondo del nostro sistema eco
nomico, iniziarono a delinearsi le difficoltà di promuovere un diffuso e continuo
— e non soltanto limitato e discreto — processo innovativo. Si assiste in que
gli anni, infatti, ad un processo complesso e non lineare: s’installano, in alcuni
settori merceologici, nuovi impianti, s’afferma un più razionale uso di quelli
già esistenti, si diffondono i metodi di cronometraggio Taylor, si sviluppano —
ancora soltanto sul piano teorico — interessanti analisi e codificazioni dei movi
menti e dei tempi che fanno già presagire, pur nella loro inevitabile rozzezza
(non si considerano le maggiorazioni, l’analisi dei movimenti è incompleta, ecc.),
l’applicazione del Methods — Time Measurement (MTM), sinonimo di una
assimilazione di pratiche e metodologie già in uso oltreoceano 10. Ma le impli
cazioni che più paiono urgenti ai direttori aziendali sono di ordine politico, es-
mava: « Si deve tenere presente che la guerra non è solo consumatrice di armi, ma di stru
menti di ogni tipo: motori, apparecchi di precisione, per trasporti, di macchine in genere »
pp. 60-61.
6 Cfr. su questi problemi la buona trattazione di Giovanni pannini, Costruzione di mac
chine, Milano, 1921, che può introdurre alla lettura del fondamentale lavoro di angelo ci-
n ise l l i , Macchine automatiche per la lavorazione dei metalli, Milano, 1925. Una esemplifi
cazione delle lavorazioni possibili con questi tipi di macchine si può trovare in aldo taberno,
Apparecchio ed attrezzo per fresatura, e Tornio Le Bond «Duplex », in «A ttività tecnica
d ’officina » (giornale degli ex-allievi della scuola per maestranze FIA T), rispettivamente 3 apri
le 1924 e luglio 1928.
7 Cfr. A. caracciolo, La crescita e la trasformazione della grande industria, cit., p. 238.
8 Per una discussione sui criteri storiografici utili per operare una distinzione e tentare
una definizione dell’organizzazione scientifica del lavoro, cfr. Giulio sa p e lli , Appunti per
una storia dell’organizzazione scientifica del lavoro in Italia, in « Quaderni di sociologia »
1976, n. 2-3, pp. 154-171.
5 Cfr. su questi temi quanto afferma Valerio castronovo in La storia economica (cap.
II della Parte seconda « Gli effetti della guerra »), in « Storia d ’Italia » voi. IV , Dall’unità
ad oggi, Torino, 1975, pp. 206-242.
10 Cfr. per un’introduzione critica al problema, ANNA anfossi, Prospettive sociologiche sul
l’organizzazione aziendale, Milano, 1971.
Organizzazione « scientifica » del lavoro durante il fascismo 5
11 Cfr. per un’analisi generale dei problemi dello sviluppo automobilistico G. pala - m . pala ,
Lo sviluppo dei trasporti, in Lo sviluppo economico italiano, a cura di G. Fuà, Milano,
1969, voi. I l i , pp. 337-379, soprattutto le figure XI 1 e XI 2.
15 Ci riferiamo all’opera di thorstein veblen , La teoria dell’impresa, Milano, 1970. La
prima edizione americana (The Theory of Business Entrerprise, New York) è del 1904.
16 Cfr. Mario fassio , L ’educazione commerciale nelle esigenze dei moderni traffici, Torino,
1920, p. 36.
Organizzazione « scientifica » dei lavoro durante il fascismo 7
17 Cfr. Mario fa ssio , Organizzazione industriale moderna - Principi di^ psicologia econo
mia e amministrazione industriale esaminati con metodo scientifico, Torino, 1922, p. 88.
L ’attribuzione sopra citata veniva confermata dall’autore stesso nell’intestazione preposta a
questa opera, la più interessante tra le sue. Su Mario Fassio cfr. V. castronovo, G. Agnelli,
cit., pp. 342-343.
18 Cfr. Pietro grifone, Il capitale finanziario in Italia, Roma, 1945, p. 57.
19 Come dimostra l’esperienza delle elezioni della Mutua interna FIA T a Torino, cfr. su ciò
v. castronovo, G. Agnelli, cit., p. 415 e sgg.; pierò melograni, Gli industriali e Mussolini -
Rapporti tra Confindustria e fascismo 1922-1929, Milano, 1972, pp. 122 e sgg.
20 Cfr. su ciò v. castronovo, op. cit., p. 415 e sgg. e G. sa pelli , Fascismo, grande industria
e sindacato. Il caso di Torino. 1929-1935, Milano, 1975, p. 95.
8 Giulio Sapelli
21 Cfr. Enrico corradini, Discorsi politici, 1902-1923, Firenze, 1923. Citiamo dal discorso:
Politica ed economia della nazione e delle classi, pronunciato dinanzi all’Associazione de
gli uomini d ’affari nel Teatro Grande in Brescia il 17 dicembre 1916.
22 Cfr. p. fiorentini, Ristrutturazione capitalistica e sfruttamento operaio in Italia negli
anni venti in « Rivista storica del socialismo », gennaio-aprile 1967, pp. 134-154 dove è ripor
tato in appendice lo statuto dell’EN IO S. Direttori della rivista dell’Ente erano Francesco
Mauro e Gino Olivetti. Per note ed informazioni sull’EN IO S cfr. di p. melograni, Gli indu
striali e Mussolini, cit., p. 269 e sgg. Un interessante approccio alla questione della « raziona
lizzazione » è nel bel saggio di Domenico preti , La politica agraria del fascismo. Note intro
duttive, in « Studi storici », 1973, n. 4, pp. 802-869 di cui diremo più avanti.
Organizzazione « scientifica » del lavoro durante ¡I fascismo 9
ma ben presente nel territorio nazionale e che investiva si può dire ogni settore
industriale: era il processo stesso di sviluppo delle forze produttive che im
poneva alla classe proprietaria una riflessione su di esso sulla base dei propri
specifici interessi.
Non v’è dubbio, del resto, che il processo provocato dalla svolta rappresentata
dalla « quota 90 » veniva ormai a definirsi come l’elemento di un confronto
obbligato per i dirigenti della grande industria e per tutte le componenti del
mondo industriale nel suo complesso. Quale che fosse il loro atteggiamento
dinanzi a tale decisione 23 non v’è dubbio ch’esso diede un’impronta fondamen
tale a tutte le discussioni e ad ogni tentativo di applicazione dei metodi del
l’organizzazione scientifica del lavoro.
Quest’ultima assumerà, infatti, (dinanzi alla variazione monetaria) maggiore im
portanza: aumentando il valore in oro della moneta, primo compito degli indu
striali era di contrastare un aumento del costo in oro dei prodotti e dei servizi.
In questo processo la razionalizzazione assumeva un valore particolare non do
vendo, le scelte ad essa riferite, sottoporsi a nessuna mediazione politica, come
era invece per altri elementi del costo di produzione (pressione fiscale, costo del
denaro, salari operai) per i quali occorreva affrontare trattative con gli uffici
governativi. Ogni mutamento in questo campo, invece, poteva essere immedia
tamente deciso ed effettuato dagli industriali eliminando improduttive perdite
di tempo, accrescendo la rapidità del sistema aziendale nell’adattarsi alle diverse
condizioni che via via si presentavano.
Indubbiamente questa azione, per potersi articolare a livello locale, doveva es
sere rivolta non solo verso la borghesia industriale, ma doveva pure legare a sé
anche quella schiera ancora esigua di tecnici della produzione organizzati nel
l’Associazione fascista dirigenti aziende industriali (AFDAI) — fondata nel
1926 — che costituivano il trait d ’union tra la proprietà e la struttura della
fabbrica24.
In quest’ambito, di riduzione dei costi e di crescente peso di determinati settori
delle leve intellettuali tecnico-scientifiche, grande importanza veniva attribuita
all’unificazione dei materiali industriali. Già nel primo dopoguerra il Comitato
generale per l’unificazione dell’industria meccanica aveva promosso alcune no
tevoli iniziative in questo campo, accentuando sempre più i suoi interessi, si
gnificativamente, sui problemi della razionalizzazione produttiva e del salario,
come stavano a dimostrare i brillanti articoli di Mario Signori apparsi sulla ri
vista dell’Associazione, « L ’industria meccanica » 2S, che aveva tra i suoi colla
boratori e consiglieri personalità come Giovanni Conti, Riccardo Falco, Ercole
Marelli, Camillo Olivetti, Pio Perrone, e che era diretta da Italo Locatelli, men
tre il Comitato aveva come presidente Giuseppe Monacelli. Soltanto dopo il
1926 la « questione dell’unificazione » assume quell’importanza centrale, nel
contesto dell’iniziativa industriale, che prima s’era ritrovata soltanto nelle affer
mazioni teoriche o di principio: nell’ottobre del 1926 Locatelli veniva chiamato
a rappresentare l’EN IO S nella Commissione dei costruttori edili creata per
23 Per una interpretazione complessiva e una discussione sulla storiografia cfr. di v. castro
novo, La storia economica, (il § 3 « Quota Novanta » del cap. I della Parte II I) cit., pp.
267-276.
24 Sui rapporti tra l’Associazione e l ’EN IO S confronta Notizie e commenti, in « Organiz
zazione scientifica del lavoro » (d’ora in poi indicata OSL), settembre 1928, dove sono ripor
tati dati e notizie sulla diffusione della rivista dell’Ente tra i tecnici e i dirigenti industriali.
25 Cfr. Mario signori, La questione del salario, in « L ’industria meccanica », 1922, n. 3.
10 Giulio Sapelli
31 Cfr. Adriano Olivetti , L ’introduzione dei sistemi moderni in una azienda inefficiente, in
O SL, settembre 1926.
32 Cfr. Misurazione del lavoro degli impiegati, in O SL, gennaio 1929.
33 Cfr. Roberto malinverni, Amministrazione dello Stato ed economia libera, in « Rivi
sta di politica economica », ottobre 1925 e La razionalizzazione dell’Amministrazione statale,
in O SL, novembre 1928.
12 Giulio Sapelli
processo già in corso in altri paesi: negli Stati Uniti l’introduzione dell’ejficiency
negli uffici statali datava da molto tempo, ed in essi si introdussero, già nel
1890, le macchine per statistica tipo Mollerikt; in Francia nel 1922 fu istituita
una commissione governativa per apportare riforme ai pubblici servizi; in Ger
mania era da tempo in vigore un ente pubblico per lo studio dei processi di
razionalizzazione dei principali settori amministrativi dello stato.
L ’arretratezza che poteva essere verificata sul piano del confronto con altre
esperienze europee, risulta ancor più nella sua specificità, solo se si pensa al
fatto che questa efficienza che tutto doveva permeare, trovava profondi ostacoli
nella sua attuazione per la permanenza di vasti settori burocratici per nulla
inclini a rinunciare alle loro codificate prerogative, irrobustite dalla forza d ’iner
zia e di conservazione che tenacemente le teneva abbarbicate a specifici privilegi.
Il regime, infatti, aveva una delle sue più forti basi di consenso proprio in que
sto apparato statale, fino a farsene condizionare in larga parte dei suoi atti am
ministrativi e politici ed a trovare in esso, unitamente alla borghesia industriale,
uno dei punti di forza del suo sistema di potere34.
Ma non può essere ipotizzato un processo di disincentivazione delle istanze in
novative fondato sul contrasto tra mondo dell’industria ed apparato statale o
tantomeno, come vedremo, tra il quadro istituzionale e quelle che si definisco
no le « esigenze capitalistiche ». Senza dubbio i contrasti e gli obiettivi momenti
di contraddizione, per quel che riguarda il primo dei due aspetti della questione,
esistono ed esistevano. Ma di per sé non sarebbero stati sufficienti a spiegare
il corso degli avvenimenti ed a segnare le sorti della diffusione dell’organizza
zione scientifica del lavoro in Italia. Contrasti e contraddizioni esistevano al
l’interno stesso del fronte industriale ed erano essi che costituivano, in ultima
istanza, i condizionamenti più decisivi del processo innovativo. I termini della
questione s’esplicitarono già nel corso della Conferenza economica internazionale
di Praga organizzata nell’ottobre del 1928 dall’Unione internazionale delle as
sociazioni per la Società delle Nazioni, quando il direttore dei Servizi di ricer
ca del Bureau International du travail, nel corso del suo discorso attaccò fron
talmente la politica industriale del gruppo dirigente della Confederazione gene
rale fascista dell’industria italiana. Dopo aver affermato che « il y a une inter
dépendance absolue entre les faits economiques, et les faits sociaux », prose
guiva ricordando le frasi pronunciate da Gino Olivetti, segretario della Confin-
dustria e membro del Consiglio d’amministrazione del B IT e della Camera di
commercio internazionale, in merito alle questioni della razionalizzazione: « Il
y a une organisation international du travail — aveva detto Olivetti — qui
veut, e je ne m’en plains pas, hausser le niveau de travailleurs [...] Réflechissez31
à ceci: il y a de pays qui n’ont que cette ressource: la main d’ouvre en sura
bondance, et qui n’ont pas de matières premières, de combustible. Vous de
mandez que ces pays, dans le prix de revient, fasse figurer la rémunération
du travail humain au même niveau que dans les autres pays plus riches et
disposant de touts les éléments necessaires pour la vie économique [...] ». Que
sta posizione, secondo il direttore dei Servizi di ricerca del BIT, non poteva
non precludere la via a quelle ch’erano le condizioni essenziali per la raziona
lizzazione dei processi produttivi e, più in generale, delle relazioni industriali
nel loro complesso, quelle cioè ch’egli sintetizzava in questa affermazione:
Il y a intérêt à assurer une bonne organisation de la paix sociale de la manière a rendre
possible une bonne organisation economique, ou celle ci demande une production abondant,
une production à bon marché e des facilités d ’achat. Il y a intérêt pour chaque pays à avoir
un marché intérieur composé des clients qui avent de l ’argent. Pour conséquent, cette élé
vation du niveau de vie des travailleurs implique la stabilisation de la production écono
mique et de son exportation [ . . . ] 35.
Ma porre questi problemi, voleva dire, di fatto, porre il problema del grande
esempio proposto in quei tempi dal più potente paese dell’imperialismo mon
diale: dagli Stati Uniti d’America. Voleva dire porre all’ordine del giorno, in
somma, il problema dell’« americanismo ». Non v’è dubbio, infatti che già al
l’inizio degli anni venti, e poi con tanta più forza negli anni della grande crisi,
e sempre più fortemente quando l’esperienza del New Deal apparirà agli occhi
degli industriali (al di là della retorica fascista che in esso vedeva un’applica
zione americanizzata del credo corporativo), come un diverso modo di risolvere
il problema del mercato e del controllo sulla forza-lavoro, il mito dell’America
cresce e si diffonde nel nostro paese, quasi un miraggio di un armonioso supe
ramento delle contraddizioni.
Col New Deal, invece, e di ciò s’inizia ora ad aver consapevolezza, veniva a
compiersi il processo di consunzione dell’età liberale e della società fondata sul
mercato autoregolato, estremo limite d’una profonda trasformazione iniziata
molti anni prima.36 Ciò che conta, comunque, è sottolineare che il mito ame
ricano fu un riflesso ed una manifestazione insieme del mutamento sociale che
iniziava a delinearsi col diffondersi del capitalismo di consumo, dell’instaurarsi
della società di massa e del « formarsi di oligarchie in seno alle molteplici forme
— per dirla con Michels — di democrazia » 37*. Introducendo quel volume tanto
importante per la nostra storia letteraria, ch’è Americana. Raccolta di narratori
dalle origini ai nostri giorni, edito da Bompiani a cura di Elio Vittorini, Emilio
Cecchi così sintetizzava efficacemente questo mutamento dell’orientamento del-
l’immaginario collettivo: « L ’inizio della guerra 1914-1918 trovò i lettori di tut
to il mondo a testa china sui romanzi russi. E l’inizio della nuova guerra, nel
1939, li ha trovati a testa china sulle novelle e sui romanzi americani » 3S.
Ma per l’élite industriale italiana, rigidamente vincolata dalle condizioni strut
turali del paese e talmente composita da non essere in grado di esprimere, mol
35 Cfr. Union Internationale des association pour la Societé des Nations, Conférence Eco-
nomique Internationale Organisée sous la haute protection de M.T.G. Masaryk, Prague,
1928, p. 65 e sgg.
36 Ci riferiamo qui ai problemi sollevati da KARL polany ne La grande trasformazione, To
rino, 1975. Sulla « grande depressione » e i problemi delle civiltà industriali cfr. di ernesto
galli della loggia, Verso gli anni '30: qualità e misure di una transizione, in « Belfagor »,
1974, n. 9, pp. 489-509.
37 Cfr. Roberto m ic h els , L ’organizzazione del partito politico, Bologna, 1966, p. 523.
33 Cfr. e . cecchi, Introduzione a Americana. Raccolta di narratori dalle origini ai nostri
giorni, a cura di E. Vittorini, Milano, 1943, p. IX.
14 Giulio Sapelli
profitto capitalistico, con le conseguenze che tutto ciò aveva all’interno del
lo stesso luogo di produzione. Nelle fabbriche, infatti, anche se nel 1928
s’era fondata su iniziativa della FIA T la Società per la diffusione del sistema
Taylor proprio tale sistema, tipicamente americano, non s’introdusse, nonostan
te la gran confusione che ancor oggi è presente sulla fortuna del « taylorismo in
Italia ». Non a Taylor si guardava ma a Bedaux, non alla politica degli alti
salari e del controllo capitalistico dispoticamente laico e consumistico, non alla
creazione d’una « società corporata » fondata sul condizionamento degli indi
vidui sull’onda d’una modernizzazione dilagante come già s’affermava in Ame
rica: in Italia si era, invece, soltanto ai prodromi d ’una simile impresa che si
compie solo ora, nonostante che nel fascismo — basti pensare a Massimo Fovel
ed alla polemica tanto istruttiva che dal carcere Gramsci instaurò con lui —
fossero presenti forze che auspicavano simili scelte48. All’interno del luogo di
produzione si decantavano invece le arretratezze italiane e in quel contesto,
fortemente condizionato dalle caratteristiche del nostro sistema industriale, si
esplicitava chiaramente il rifiuto all’introduzione del sistema Taylor e alla diffu
sione del « fordismo ».
Ci avviciniamo così a cogliere il vero carattere che il processo di razionalizza
zione avrà in quel periodo soprattutto nelle piccole e medie industrie italiane
che costituivano il tessuto connettivo del sistema economico: limitazione di
ogni procedimento che presupponesse un forte investimento in capitale fisso,
rifiuto di ogni riorganizzazione del ciclo di lavorazione sulla base di una piani
ficazione a lunga scadenza (per via dell’instabilità dei mercati), adozione di
quelle misure tecnico-pratiche intese a ridurre la manodopera, ad eliminare
completamente i tempi morti. L ’adozione del sistema Bedaux, nelle piccole e
grandi imprese, inoltre, segnava la distintiva particolarità del processo di razio
nalizzazione in Italia, dove la dittatura dispotica sulla forza lavoro faceva del
salario una variabile dipendente su cui scaricare tutte le difficoltà del processo
di accumulazione capitalistico, che si vedeva così nella possibilità di risolvere
i problemi dell’innalzamento della produttività grazie all’accentuazione dello
sfruttamento del lavoro salariato piuttosto che sul rinnovamento tecnologico. È
indubbio che una simile « via alla razionalizzazione » era la più praticabile per
le piccole e medie e la più immediatamente profittevole (anche se non l’unica)
percorsa dalle grandi imprese.
Solo se si riflette sul carattere di cottimo lineare rallentato del Bedaux si riesce,
infatti, ad individuare dove si celava l’interesse aziendale che giustificava la
sua applicazione. Il Bedaux è basato sul fatto che la percentuale di cottimo è
proporzionale al rendimento secondo un coefficiente di proporzionalità minore
di 1 (4/5) e il lavoro supplementare derivante dall’incentivazione viene così
ricompensato di meno del lavoro a economia, anche quando la paga di riferi
mento corrisponde a quella fissa. « Il Bedaux — si diceva inoltre, e questo è
l’elemento fondamentale — s’inoltra soltanto nel campo dei sistemi di lavora
zione, considerati alla stregua dei mezzi e dei procedimenti usati, per portare
a miglioramenti tecnici d’impianto. Egli (sic) si limita quindi a portare le mae
stranze tutte al migliore grado di rendimento fisico, indipendentemente dal
modo in cui questo rendimento è utilizzato » 49. Il metodo di organizzazione
della prestazione lavorativa veniva così assunto nella sua accezione più speci
fica e più funzionale: in un regime di instabilità dei tassi di sviluppo produt
tivo il legame tra diffusione degli investimenti e razionalizzazone dello sfrutta
mento poteva far gravare sui bilanci ammortamenti e spese che potevano esse
re evitate puntando invece solo su una variabile: quella del rendimento e del
la produttività sulla base dell’intensificazione del lavoro operaio. Il regime di
dittatura politica — con la conseguente distruzione degli organismi di autodi
fesa di classe dei lavoratori e la pianificazione del licenziamento e della riassun
zione in condizioni stabilite solo dall’azienda — poteva assurgere a sostituto effi
cace e flessibile dell’investimento in capitale fisso.
La ristrettezza e le dimensioni largamente speculative del mercato finanziario
impedivano agli industriali di attuare, del resto, una trasformazione degli im
pianti tale che rendesse possibile il completo sviluppo dell’organizzazione scien
tifica del lavoro: solo grazie al ricorso al capitale straniero, effettuato da alcune
industrie (FIAT, seta artificiale, idroelettriche), questa potè inizialmente affer
m arsi50. Naturalmente questo non vuol dire la fine e la paralisi di ogni inno
vazione industriale. Ma essa si esercitava non tanto sul terreno della modifica
zione radicale della struttura impiantistica dell’apparato produttivo, anche se
importanti progressi si realizzarono nel settore delle macchine utensili, quanto
piuttosto su quello dell’organizzazione dell’erogazione della forza lavoro, giun
gendo in questo campo a risultati, questi sì, veramente anticipatori. Basti pen
sare all’introduzione degli uffici di analisi dei tempi e dei metodi, che sconvol
geva la stessa struttura autoritaria del reparto di produzione. La vecchia man
sione del capo infatti si riduceva a puro e semplice controllo dispotico della
forza lavoro per assicurare il rispetto degli ordini emanati dall’ufficio tempi. Al
capo subentravano i tecnici preposti all’organizzazione della produzione nell’in
dustria che potevano allora distinguersi in tre categorie: a) tecnici superiori;
b) analisti addetti all’ufficio tempi per il controllo delle lavorazioni (Time study
man); c) cronometristi specializzati nella « misurazione del rendimento del
l’operaio » 51.
Occorre subito dire, però, che tali processi si generalizzavano soltanto nelle gran
di aziende, quelle della produzione in grande serie e che, ancor oggi — nono
stante le ricerche che si son fatte in questo campo — le esemplificazioni sono
assai scarse, sulla base della documentazione disponibile, del processo in atto
nelle industrie. La stessa carenza delle fonti, però, è significativa e il suo vertere
essenzialmente sul rinnovamento dei processi tecnici e dei metodi di intensifi
cazione della prestazione lavorativa, mancando una diffusa applicazione della
concezione integrale della razionalizzazione (che va dalla riduzione dei costi
della produzione agli uffici, alla vendita, alla formazione della forza-lavoro), ri
vela alcuni sintomi precisi di arretratezza. Il livello dell’elaborazione e della spe
rimentazione poteva già dirsi ben strutturato ma ancora, nella generalità della
situazione industriale, alquanto separato dal momento dell’applicazione e va
lorizzazione del progetto.
50 Una brillante analisi di questo problema si trova, ancor oggi, nell’articolo di angelo
tasca ,La rivalutazione della lira e i prestiti americani, in «S tato O peraio», 1927, n. 3, pp.
356-366, riportato, in parte, nell’antologia a cura di LUCIO villari , Il capitalismo italiano
del novecento, Bari, 1972, pp. 172-179.
51 Cfr. lorenzo benzi , Organizzazione del Reparto Utensileria. Cenni sui metodi seguiti
per organizzare il lavoro in un reparto utensileria e sui sistemi di retribuzione della manodo
pera, Torino, 1931, p. 12. Si tratta di una interessante esemplificazione di concrete realizza
zioni che avevano luogo « in un importante stabilimento torinese ».
18 Giulio Sapelli
industriali nei confronti di una manodopera esuberante, a basso costo e ormai « discipli
nata » 55.
Non v’è dubbio, del resto, e ciò è evidente nel caso dell’ENIO S, che la grande
crisi assestò un duro colpo alle istanze innovative e fu l’elemento forse decisivo
del ridimensionamento dei programmi « razionalizzatori », che riacquistarono
forza e vigore, però, con la ripresa impressa all’industria italiana dall’avventura
etiopica, in un contesto via via sempre più fortemente condizionato dall’esi-
genze dell’economia di guerra, che diverranno determinanti.
Occorre evitare, infatti, facili schematismi, e sottolineare quelli che sono gli
elementi essenziali del fenomeno che vedono, unitamente alla limitazione e al
ridimensionamento dell’ipotesi razionalizzatrice, una applicazione ristretta di ri
forme tecnico-organizzative limitate al rapporto uomo-macchina ed alla piani
ficazione su scala di reparto, con la formazione d ’una élite tecnica nell’ambito
aziendale sotto l’esclusivo controllo padronale. Questo garantì, indubbiamente,
l ’accumulazione d ’un patrimonio di conoscenze sul problema in oggetto ed as
sicurò la diffusione del sistema Bedaux56 nella produzione di serie e non di
serie, salvo quando (negli anni più duri della crisi) poteva essere messa in
forse la stessa pianificazione del lavoro su scala di reparto, per la precarietà
delle commesse e della congiuntura57. Tutto ciò non era che la cristallizza
zione di un processo che se in parte rimaneva inespresso, per alcuni versi, in
vece, come sopra abbiamo detto, trovava applicazione nonostante la crisi eco
nomica.
Senza tali precedenti esperienze non si sarebbe certo intrapresa quella realiz
zazione di grande importanza, alla luce dei problemi qui analizzati, attuata dal
l’industria italiana prima della seconda guerra mondiale, dopo la grande crisi:
la FIAT Mirafiori. Accanto ad essa non si può dimenticare l’esperienza degli sta
bilimenti Olivetti di Ivrea, dove s’affermò la più « razionale » integrazione della
forza-lavoro in un contesto ambientale favorevole all’eliminazione dei conflitti
sociali ed alla creazione d ’una mentalità aziendalistica, mentre la razionalizzazio
ne delle operazioni e il rinnovo dei macchinari consentì un netto aumento della
produttività58. E similmente non può essere sottovalutato ciò che rappresentava
in potenza lo stabilimento siderurgico di Cornigliano, prototipo d ’un program
ma d’ammodernamento interrotto dagli eventi bellici e che rimane una delle
55 Cfr. Domenico preti , La politica agraria del fascismo, cit., in « Studi Storici », 1973,
n. 4, pp. 822-829.
56 Cfr. le cifre ricavate da Mario montagnana sulla base dei dati statistici resi noti da Ugo
Clavenzani, Segretario generale delle confederazioni dei sindacati fascisti deH’industria nel
l ’aprile 1933. (Numero indice = 100 nel 1927).
Indice delle aziende in cui si lavora col sistema Bedaux in Italia
1927 . . . . 100 1929 . . . . 566 1931 . . . . 1.032
_________ 1928 . . . . 300______________ 1930 . . . . 766______________ 1932 . . . . 1.332_________
in m . montagnana, Il sistema Bedaux e la classe operaia, p. 429, in « Lo stato operaio »,
a. V II, n. 7, luglio 1933, pp. 428-431.
57 Significativo a questo proposito quanto si diceva in un « rapporto comunista » da To
rino nel luglio del 1930: « Da notare l’impossibilità tecnica di introdurre il sistema Bedaux
data la situazione irregolare e instabile della produzione, la quale col sistema Bedaux deve
essere regolata e cronometrata in base ad un piano uniforme e sistematico di produzione fino
alle ultime unità di base della fabbrica con termini di tempo fissi. Infatti sinora i vari ten
tativi svolti all’Aeronautica, alla Fiat, alla SPA sono falliti ed hanno suscitato un forte mo
vimento di resistenza e di malcontento negli operai ». Cfr. Pietro secchia , L ’azione del
partito comunista in Italia durante il fascismo 1926-1932, Milano, 1970, pp. 336-337.
" Cfr. sull’Olivetti, bruno caizzi, Camillo e Adriano Olivetti, Torino, 1962.
Organizzazione « scientifica » del lavoro durante il fascismo 21
grandi conquiste del capitalismo del nostro paese59, in misura ben maggiore
di quanto non si possa dire per la Terni60.
Ma sono soprattutto le innovazioni realizzate nel grande complesso automobi
listico che ci interessano ai fini del nostro discorso. I due obiettivi finali che
in questo settore si dovevano realizzare erano:
eliminare ogni trasporto passivo del materiale in lavorazione, dalla fase della materia greggia
o del pezzo di magazzino al prodotto finito; e « aggiornare » la produttività media dell’ope
raio e del macchinario con una disposizione « allargata » anziché « elevata », che assicurasse
un maggior grado di agibilità ad ogni macchina o gruppo di macchine e facilitasse il con
trollo sui tempi e sulle modalità di lavoro61.
Per far ciò la sistemazione dei reparti e delle catene fu ordinata secondo nuovi
criteri, superando l’impostazione dei piani sovrapposti, ormai in contrasto con
10 sviluppo della produzione in serie e della lavorazione alle linee. L ’intreccio
tra autoritarismo nella fabbrica, coercizione politica in tutta la società civile e
ampliamento del mercato internazionale di un determinato tipo di merce, con
sentiva lo sviluppo di un processo innovativo, fortemente atipico, e concentrato
in determinati settori industriali. Tuttavia proprio nelle particolarità di queste
esperienze erano riflesse istanze più generali di razionalizzazione della produ
zione che avevano trovato possibilità di sperimentazione e destato energie an
ticipatrici.
Un analogo processo si verificava in quegli anni per quanto riguardava la for
mazione della forza lavoro, del « capitale vivo », fonte di privata ricchezza e
strumento di produzione. Da questo punto di vista si può ben dire che assi
stiamo, durante il periodo fascista, alla sovrapposizione di due fenomeni o di
due svolgimenti storici dell’innovazione tecnologica e dell’introduzione dei nuo
vi metodi di lavoro. Da un lato s’assiste infatti all’affermazione di un processo
che potrebbe definirsi grazie al più generale concetto marshalliano di « perfe
zionamento tecnico », laddove non si prendono « in considerazione quelle econo
mie che possono risultare da nuove importanti invenzioni » e s’intende tutto
ciò che « si può attendere naturalmente... dall’adattamento delle idee esisten
ti » 62. Se si esclude il concetto di « naturale mutamento » e se ne introduce uno
più comprensivo delle cause e dei riflessi sociali insiti nel fenomeno, la defini
zione di Marshall è assai utile ai nostri fini, in special modo per quel che ri
guarda le piccole e medie imprese. D ’altro canto, tuttavia, siamo anche in pre
senza, nel corso di questi anni, dell’affermazione di un vero e proprio processo
innovativo che interessa le grandi imprese che costituiranno il nuovo « blocco
di comando » dell’industria italiana, e che può ben essere compreso rifacendosi
al concetto schumpeteriano di innovazione63. La trasformazione del macchina
rio è, in questo caso, un processo che va di pari passo con quello fondato sulla
modifica dell’utilizzazione di quello esistente e del rapporto uomo-macchina
e dello sviluppo di nuovi settori merceologici. In sostanza, perciò:
11 fascismo non corrispose ad una fase prolungata di ristagno economico [...] Di fatto la
59 C fr. Oscar sinigaglia , The future of thè Italian Iron and Steel Industry in « Banca
N azio n ale d el L av o ro , Q u arterly R e v ie w » , gennaio 1948.
60 C fr. franco bonelli , Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. L a Lernt dal 18X4
al 1962, T o rin o, 1975, p p . 194-196 e 242-244.
61 C fr. v. castronovo, Giovanni Agnelli, cit., p. 552.
62 C fr. i. marshall , Principi di economia politica, (a cura di A . C am polon go), T o rin o,
1972, lib ro V , cap. X I I , § 3 ; la citazione è a p. 623.
63 C fr. J oseph A. Schumpeter , Teoria dello sviluppo economico, in particolare il cap. Il
fenomeno fondamentale dello sviluppo economico, Firenze, 1971.
22 Giulio Sapelli
Alla fine della seconda guerra mondiale l’arretratezza dell’industria italiana, nei
confronti dei più potenti sistemi economici e soprattutto di quello americano,
era manifesta per quanto riguardava la meccanizzazione, la dimensione delle
aziende e il peso relativo dei vari settori merceologici. Se negli Stati Uniti l’im
piego della forza motrice non interessava, negli anni quaranta, che il 3% degli
esercizi con più di cinque addetti, in Italia la percentuale saliva al 50% con
temporaneamente al permanere, sino all’immediato dopoguerra, di una situa
zione che vedeva i settori più tradizionali e a più bassa produttività, con im
prese di piccole dimensioni, (alimentari, tessili, abbigliamento, cuoio, legno,
mobilio) concorrere alla formazione del 34,5 per cento (nel 1951) del pro
dotto industriale6S. Tuttavia il quadro cambia in misura assai notevole se si
esamina la situazione del settore meccanico. Non v’è dubbio che la produttività
del lavoro è lontana dal raggiungere il livello degli Stati Uniti e della stessa
Gran Bretagna, che nel 1937, posta a 100 la produttività del settore meccani
co italiano, raggiungevano gli indici, rispettivamente di 539 e 201 689 e che ancora
nello stesso periodo il parco macchine utensili usate dal settore con più di
quindici anni di vita segnava delle percentuali oscillanti tra il 30 e il 60 per
cento del totale70. Ma tale situazione muterà, come abbiamo visto, nel corso
della guerra ed in ogni caso già durante il fascismo s’affermeranno quei settori
produttori di beni competitivi con l’estero che saranno i principali protagonisti
del processo di razionalizzazione e che interesseranno in modo pressoché esclu
sivo le grandi imprese. Pensiamo appunto ad alcuni beni strumentali quali le
macchine da ufficio e i mezzi di trasporto ed al fatto (una caratteristica pecu
liare della meccanica italiana di quegli anni), che nel 1939 l’incidenza della
produzione dei beni strumentali rispetto ai beni di consumo era assai elevata: il
76,8 per cento del valore aggiunto proveniva da questo settore, mentre nello
stesso anno, gli Stati Uniti facevano registrare il 61,6 per cento71. Proprio le
limitate dimensioni del mercato nazionale e il peso crescente della domanda
pubblica, soprattutto militare, nei confronti di quella dei consumi durevoli, fa
voriva questo processo, che veniva configurandosi come uno dei tratti distintivi
(insieme a quello della crescita produttiva combinata con un sottoutilizzo co
stante 72) dell’industria e dell’economia italiana, favorendo la formazione di un
« dualismo » infrasettoriale che durerà, nella sostanza, sino ai nostri giorni.
Proprio quest’ultima osservazione può essere l’inizio d’una riflessione e di un
approfondimento di questi problemi che miri soprattutto non tanto a definire
le dimensioni dei fenomeni innovativi e dello sviluppo tecnologico operando
secondo un’ottica di settore che unifica grandi e piccole imprese, aziende capaci
d ’introdurre e praticare la produzione in grande serie e aziende ancora caratte
Potrà stupire non trovare in questo nostro lavoro alcun accenno, che non sia
un semplice richiamo, alle conseguenze che l’introduzione dell’organizzazione
scientifica del lavoro ebbe sulla classe operaia durante il periodo fascista, tema
ch’è d ’indubbio interesse75. Ma in queste nostre osservazioni e riflessioni s’è
voluto, soprattutto, portare alla luce il processo di diffusione dell’organizzazione
scientifica per quanto concerne il versante imprenditoriale, ovvero quello della
« consapevolezza dell’intervento capitalistico » che potè esprimersi, durante il
fascismo, in condizioni che sono sì specifiche ma anche caratterizzanti l’intera
storia dell’affermazione delle nuove forme di organizzazione del lavoro nel no
stro paese. Una delle condizioni imprescindibili della nascita (prima guerra
mondiale), della iniziale diffusione (durante il fascismo) e del « decollo » di
queste (anni ’50), fu senza alcun dubbio il rafforzamento del controllo mono-
cratico nell’azienda e nei confronti dei pubblici poteri in merito alla utilizza
zione della forza-lavoro, realizzato o attraverso la « militarizzazione » o grazie
al dispotismo più assoluto nell’ambito di una dittatura borghese antiparlamen
tare oppure, ancora, grazie alla repressione « anticomunista » e alla discriminazio
ne più intransigente. Non v’è dubbio che, da questo punto di vista, l’esperienza
fascista s’inserisce in una sorta di scelta storico-generale della direzione impren
ditoriale del nostro paese che trova sì peculiari elementi di permanenza o di
ricorrenza, ma nel contempo connota tutte le diversità strutturali (o almeno
73 C fr. su ciò Giorgio mori, Per una storia dell’industria durante il fascismo, in « Stu d i
s to r ic i» , gennaio-m arzo 1971, p p . 3-35 e v. castronovo, Il potere economico e il fascismo,
nel volum e collettaneo, a cura di guido quazza, Fascismo e società italiana, T o rin o , 1972,
pp . 45-87.
71 Si pen si ad esem pio alle serie statistich e elab orate da paolo ercolani, in Documenta
zione statistica di base, tav. X I I 4. 17, in aa.vv., Lo sviluppo economico in Italia, a cura
d i G . F u à, p. 4 4 7 ; d a ornello vitali in La stima degli investimenti, tav. X I I I , in op. cit.,
p . 500 e in La formazione del capitale, tav. I l i 4 , in op. cit., p. 107.
75 C fr. di m assimo ilardi, Ristrutturazione aziendale e classe operaia sotto il fascismo:
/a società Terni, in « I l m ovim ento di liberazione in I t a l i a » , luglio-settem bre 1973, n. 112 e
di g. sapelli , Fascismo, cit. la Parte seconda.
Organizzazione « scientifica » del lavoro durante il fascismo 25
quelle che esistono) dell’esperienza italiana rispetto a quella degli altri paesi.
Pensiamo, infatti, al problema dell’investimento, tanto importante per la nostra
analisi, e al suo legame con i problemi delle lotte operaie.
Nel ventennio tra le due guerre mondiali (e negli Stati Uniti in alcuni settori in
dustriali anche prima della guerra 1914-1918), anche durante la grande crisi,
la produttività ha, su scala mondiale, un aumento prima inusitato u . Il mecca
nismo classico di espansione della produzione fondato soprattutto sull’amplia
mento della massa dei salariati entra in crisi: non si tratta soltanto della riper
cussione dei mutamenti avvenuti nel settore del mercato capitalistico, ma pure
nei rapporti tra le classi. Il meccanismo dell’armata industriale di riserva a cui
il padronato si era tradizionalmente affidato per mantenere disciplinate e a
buon mercato le forze del lavoro si scontra con la forza del movimento organiz
zato dei lavoratori, che è in grado di difendere i salari nella massima parte dei
settori industriali più avanzati. Da allora gli investimenti passano, oltre che
all’estensione, anche all’approfondimento del capitale (miglioramento dell’attrez
zatura tecnica, progressi nell’organizzazione del lavoro, maggiore selezione della
manodopera): lo scopo della tecnologia capitalistica diviene sempre più quello
del risparmio del lavoro7677, confermando la legge generale dell’evoluzione tec
nica, per cui le innovazioni che s’affermano e soppiantano le altre nella società
capitalistica sono quelle che permettono un aumento progressivo della pro
duttività78*. Ma questa tendenza all’aumento della produttività può in parte tro
vare, per delle cause storico-sociali, dei fattori sostitutivi. Nel senso, cioè, che
pur non bloccando questo processo, ne limitano l’ascesa impedendone la diffusa
generalizzazione, restringendolo a quei settori industriali che meno risentono del
la mancata solvibilità della domanda interna (settori che producono per l’espor
tazione e lo stato) e riescono soprattutto a garantirsi l’imprescindibile condizio
ne della stabilità della produzione in grande serie. L ’esempio classico è costi
tuito dai mutamenti nella forma del dominio politico della borghesia, quale può
essere il fascismo, con la conseguente distruzione dei sindacati operai fondati
sull’autonomia di classe, il blocco dei salari, l’abbassamento drastico del livello
di vita delle masse, la ricostituzione su larga scala dell’armata industriale di
riserva.
Per questo il ripristino della democrazia borghese, la riorganizzazione di un
sindacato e di un movimento operaio di classe, interverranno, nel secondo do
poguerra, in Italia, soprattutto a partire dagli anni ’60, come elementi nuovi, di
propulsione dello stesso meccanismo di accumulazione capitalistica e determi
neranno in misura totalmente diversa di quanto non fosse nel ventennio ditta
toriale, l’influenza del fattore-lavoro sulla dinamica dello sviluppo19. Soprat
tutto (come abbiamo prima ricordato) quando, superate le discriminazioni e la
repressione aziendale, il movimento sindacale acquista (insieme all’estensione
dell’autonomia di classe ad alcuni settori di esso prima ingabbiati in una logica
di subordinazione) in vigore ed in autorevolezza a partire dalla contestazione
dell’organizzazione del lavoro.
Ma per quel che riguarda il rapporto tra la classe operaia e organizzazione del
lavoro durante il ventennio fascista basterà accennare in questa sede ad alcune
considerazioni di merito che sono sia indicazioni di lavoro, sia frutto di inda
gini già compiute e in corso di definizione 80. Innanzitutto la nascita, durante
quegli anni, del fenomeno della dequalificazione professionale affermatosi - con
l’o.s.d.l. e che è oggi all’attenzione degli studiosi e motivo di contestazione tra
organizzazioni sindacali e imprenditoriali. La realtà è nota a tutti: lo sviluppo
della parcellizzazione delle operazioni lavorative ha prodotto da un lato il de
classamento degli operai qualificati e specializzati con l’aumento dei manovali
specializzati, dall’altro la creazione di una nuova gerarchia professionale, che
soltanto nel dopoguerra troverà la sua istituzionalizzazione con l’estensione del
le « paghe di classe » 81. Problemi, questi, che sono esplosi ai giorni nostri in un
dibattito acceso sull’elaborazione delle strategie sindacali dirette a ricostruire
nuovi profili professionali modificando l’organizzazione del lavoro82. L ’espe
rienza fascista rappresenta, a questo riguardo, un campo d ’indagine che lo stu
dioso deve affrontare avvalendosi di schemi interpretativi precisi, meno appros
simativi di quanto oggi comunemente non sia, sotto la spinta di talune ipotesi
politiche. Occorre riconoscere, cioè, il carattere non lineare e non diffuso dei
processi sopra ricordati per meditare, invece, su quali siano state le caratteristi
che propriamente politico-istituzionali di questi, ovvero sul non fedele rispec
chiamento dei ritmi dello sviluppo tecnologico e della realtà operaia nelle nor
mative contrattuali. Possiamo ricordare qui, come esempio, la questione della
classificazione dei metallurgici (ma uguale discorso è da farsi per le altre cate
gorie): se si confrontano le declaratorie dell’accordo sancito tra l’AMMA e la
FIOM nel 1920 con quello ratificato nel 1928 su scala nazionale e un anno
dopo provincia per provincia, secondo una logica — spezzata soltanto alcuni
anni fa — d ’instaurazione delle cosiddette « gabbie salariali », si notano note
voli differenze. Alla classificazione: operai qualificati di prima, seconda e terza
categoria; manovali comuni; apprendisti dai 16 ai 20 anni; si sostituisce quella:
operai specializzati; operai qualificati; manovali specializzati (operai comuni);
manovali comuni; apprendisti dai 18 ai 20 anni e dai 16 ai 18, con ulteriori
divisioni tra le donne e i minori di anni 18 83.
Occorre sottolineare, a questo punto, che l’obiettivo che si volle raggiungere
da parte imprenditoriale fu quello di realizzare per questa via (oltreché con le
riduzioni salariali ufficialmente stabilite dall’alto) un sostanziale abbassamento
del monte salari, anche se, soprattutto nelle piccole e medie imprese, ma non
solo in queste, alla nuova classificazione non corrispondeva affatto una così dif
fusa caduta del livello sociale della qualificazione e della professionalità real
mente posta in essere nel luogo di produzione. In tal modo, però, ci si precosti
tuì la via per garantire un quadro normativo rigido e predeterminato che le im-
84 Abbiamo discusso di questi problemi in Gli industriali torinesi e la lotta di classe 1945-
1947 di prossima pubblicazione in un volume collettaneo a cura dell’Istituto milanese di
storia della resistenza e del movimento operaio di Sesto San Giovanni.
85 Cfr. di sante de sanctis l ’intervento contenuto negli Atti del VII Convegno nazionale
di psicologia sperimentale e di psicotecnica, Torino, 1930 e La psicologia delle vocazioni, in
«R ivista di psicologia», 1919, n. 1.
86 Cfr. su questi temi g. sa pelli , Appunti per una storia dell’organizzazione scientifica, cit.
87 Cfr. su questi temi il nostro Fascismo, cit., p. 200 e sgg. e di agostino gemelli i lavori
fondamentali L ’habilité manuelle. Recherches sur sa nature, in « Journal de psycologie »,
1929, n. 2, e Recherches sur le diagnostic de l’habilité manuelle, in « Revue de la Science
du travail », 1929, n. 3, che suscitarono vasto interesse soprattutto in rapporto alle ricerche
di Henry Wallon, pioniere di questi studi.
88 Cfr. vera zamagni, La dinamica dei salari nel settore industriale. 1921-1939, in « L ’eco
nomia italiana », cit., pp. 530-549.
89 Si giunse, del resto, a sancire contrattualmente quella ch’era una pratica costante, forma
lizzando norme che prima del fascismo non si riscontravano applicate e definite su cosi vasta
scala, quali la liceità della perquisizione degli operai all’uscita della fabbrica, il divieto di
organizzare collette di qualsiasi natura, la più ampia disponibilità della direzione aziendale
sull’orario di lavoro e le pratiche di licenziamento. Articoli di questo tenore sono riscontrabili
in tutti i contratti firmati durante il periodo fascista, soprattutto in quelli provinciali. Da
questo punto di vista ricostruire le serie storiche della contrattazione per categorie e per
zone significherebbe compiere un passo innanzi importante nella storia dei lavoratori du
rante il fascismo, ma una simile impresa è ostacolata da una infinità di carenze delle nostre
istituzioni scientifiche e da robuste resistenze di natura burocratica.
Per un primo inquadramento, cfr. a cura di Ernesto Cirio L ’amministrazione del personale
nelle aziende industriali, Milano, 1941.