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Durer
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Albrecht Dürer fu una stella straniera in un firmamento tutto italiano: il
Rinascimento. Secondo Erasmo da Rotterdam, Dürer era da ritenere superiore
addirittura al mitico pittore greco Apelle. Che sia vero o no, il suo capolavoro è un
inno alla forza che affascinerà anche Leonardo Sciascia per il suo penultimo romanzo
“Il cavaliere e la morte”.
Il cavaliere indomito, sicuro della sua grande forza morale e spirituale, va verso il
suo destino, probabilmente la Gerusalemme celeste.
Il Ritter düreriano è fiero, una macchina di carne, armatura e spiritualità,
accompagnato dal suo poderoso cavallo con cui l’artista fa riferimento alla mitologia
nordica: il cavallo infatti è associato al sole, considerato l’espressione di virtù
spirituali e guerriere, segnate dalla luce. Il cane, simbolo di intelligenza e fedeltà,
segue i due verso il loro destino.
I compagni del loro cammino sono esseri inquietanti: nientemeno che la morte e
il diavolo. La prima, non ancora nella conosciuta simbologia del teschio con la falce,
guarda ridendo il cavaliere con in mano una clessidra, simbolo della caducità della
vita, ed è una sorta di doppione del cavaliere, anche lei in sella ad un cavallo. Il
diavolo invece ha il viso di diversi animali: un maiale, tratti del viso e zoccoli di un
caprone, orecchie da lupo e un corno e rappresenta tutti gli istinti più perversi e
diabolici dell’animo umano, dell’uomo senza virtù e fede.
Il cavaliere deve essere un esempio per noi, che continua ad andare avanti senza
fermarsi o dubitare, con un forte spirito cristiano e sicuro del volere di Dio. Lui non
ha paura perché ha fede. Un uomo che non osa nella vita è un vigliacco e bisogna
arrendersi al mistero della vita andando dritti per la propria strada, qualunque essa
sia, sicuri che l’amore di Dio è con noi.
Ogni volta che abbiamo imboccato una strada percorriamola senza paura per gli
ostacoli e senza ripensamenti.
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