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Giulio Palermo
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INDICE
INTRODUZIONE
PRIMA PARTE
CRONACA DEL GOLPE FINANZIARIO
2. LE SANZIONI ECONOMICHE
Il blitz degli Stati uniti e l'azione delle Nazioni unite
Fortune familiari e fondi governativi
6. L’AGGRESSIONE MILITARE
Gli obiettivi della guerra
Il ruolo dei paesi volenterosi
Il Trattato di amicizia Italia – Libia
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7. LA FINE DELLA GUERRA
L'assassinio di Gheddafi
La Banca mondiale e la ricostruzione
CONCLUSIONI
SECONDA PARTE
LA FINE DELLA GRANDE GIAMAHIRIA ARABA LIBICA
POPOLARE SOCIALISTA
9. GIAMAHIRIA E ANTI-IMPERIALISMO
La rivoluzione del 1969
La concezione socialista di Gheddafi
L’isolamento politico della Libia
I retroscena dell'affare Lockerbie
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12. LE ISTITUZIONI ECONOMICO-FINANZIARIE DELLA LIBIA
Il petrolio
La Banca centrale
L’Autorità libica di investimenti
La Libyan Arab foreign investment company
Libyan Arab African investment company
Libyan foreign bank
Banca Ubae
L'Arab banking corporation
CONCLUSIONI
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INTRODUZIONE
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valore di 1,3 miliardi di dollari), congelate su disposizione unilaterale del
governo americano.
Dietro l'accordo tra la Libia e le potenze occidentali, non c'è solo la
decisione da parte della Libia di consegnare i presunti responsabili di
attentati terroristici e di garantire il rispetto del diritto internazionale. La
Libia ha infatti continuato a dichiararsi estranea alle accuse mosse in
particolare da Stati uniti e Inghilterra. L'accordo è invece dettato soprattutto
da calcoli di natura economica. La fine dell'embargo segna infatti una svolta
decisiva nei rapporti economici e finanziari in Nord Africa. Per le imprese
occidentali si aprono nuove opportunità di investimento: la Libia, ricca di
petrolio di facile estrazione e di ottima qualità, diventa un interlocutore
privilegiato nelle strategie di approvvigionamento energetico in Europa e in
Africa; i capi di Stato e di governo dei paesi avanzati fanno a gara a stabilire
rapporti di amicizia anche personali con Gheddafi, pur di ottenere contratti
vantaggiosi per le imprese nazionali. Dal suo canto, il leader libico sfrutta
l'appetibilità economica del suo paese per promuovere obiettivi politici
interni e internazionali: crea un fondo sovrano per convogliare i proventi
delle esportazioni di petrolio verso programmi economici e sociali, espande
le partecipazioni finanziarie del governo libico in banche e imprese
straniere, rivendicando in alcuni casi il diritto a posizioni di controllo
strategico, condanna le forme vecchie e nuove di colonialismo, contesta il
carattere antidemocratico delle istituzioni internazionali, a cominciare dalle
Nazioni unite, critica l'operato di Banca mondiale e Fondo monetario
internazionale, che dipinge come strumenti imperialistici al servizio del
capitale occidentale, e sviluppa l’ambizioso progetto di costruire un’unione
economica e monetaria in seno all’Unione africana, come tappa
fondamentale del processo di unificazione del continente nero.
Da un lato, si aprono dunque nuove occasioni di profitto per il capitale
internazionale. Dall'altro, le esportazioni di petrolio e lo sviluppo dei
rapporti economici e finanziari internazionali garantiscono alla Libia i mezzi
economici per porsi alla guida del processo di unificazione africana. Proprio
nel 2011 era infatti previsto il lancio del Fondo monetario africano –
promosso sul piano sia politico che finanziario da Gheddafi – che oltre a
costituire una tappa significativa di questo processo, avrebbe
immediatamente ridimensionato il ruolo del Fondo monetario internazionale
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e della Banca mondiale nell’estorsione delle risorse africane a vantaggio dei
paesi occidentali.
L'attacco militare contro la Libia, in un quadro di generale instabilità
politica in Nord Africa e Medio Oriente, interrompe bruscamente questo
processo. Ma prima di esso, il sequestro delle attività finanziarie libiche da
parte dei paesi occidentali è già un atto volto a sovvertire il paese, eliminare
Gheddafi e smantellare la Giamahiria. Che senso avrebbe, infatti, congelare
la ricchezza finanziaria della Libia - presentata come ricchezza personale di
Gheddafi - se poi deve essere riconsegnata al suo legittimo leader? Il blitz
finanziario ha insomma una duplice valenza: primo, come strumento,
nell'ambito delle strategie di guerra per la conquista delle risorse del paese;
secondo, come fine, per impedire il finanziamento dei progetti politici di
Gheddafi - tra cui la creazione di un'unione economica e monetaria in Africa
- e assicurare che la ricchezza del paese finisca in mani fidate, fedeli agli
interessi occidentali.
La mia analisi si divide in due parti. Nella prima, ripercorro le rapide
tappe del processo di destabilizzazione della Libia e del golpe finanziario
avviato dagli Stati uniti e portato a termine con la complicità delle principali
potenze occidentali. Sia nel dibattito di quei mesi, sia in quanto rimane oggi
nella coscienza politica dei cittadini dei paesi aggressori, prevale una
dimensione quasi morale della necessità di una guerra alla potenza del male.
Resta invece poco della partita squisitamente finanziaria che si è giocata e
conclusa prima ancora che tuonassero i cannoni. E resta ancora meno degli
obiettivi economici effettivamente perseguiti dai paesi aggressori. Per
spiegare l'importanza della dimensione economica del conflitto, nella
seconda parte, discuto alcune tappe dello sviluppo storico della Libia, il
processo di riabilitazione internazionale e la strategia politica di Gheddafi in
Africa. In questi processi, più che nell'improvvisa scoperta della cattiveria di
Gheddafi da parte dei suoi nuovi partner commerciali, sono da ricercarsi le
cause della guerra alla Libia.
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PRIMA PARTE
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1. LA LIBIA E LA “PRIMAVERA ARABA”
La Primavera araba
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gennaio, i principali gruppi di opposizione al regime indicono il “giorno
della rabbia”: un appuntamento di piazza per dire basta al regime.
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mentre il leader libico denuncia i servizi di intelligence stranieri di essere i
veri animatori della protesta e i responsabili delle violenze sui manifestanti.
Sul fronte informativo, emergono presto manipolazioni, censure e
stravolgimenti dei fatti, che fanno sorgere dubbi sulla tesi dello
spontaneismo popolare, dell’inaudita violenza repressiva e delle intenzioni
solo morali di quanti vorrebbero un intervento a sostegno dei ribelli. Senza
citare alcuna fonte ufficiale e senza fornire riscontri video, giornali e
televisioni parlano subito di centinaia di morti e migliaia di feriti,
raccontano di Gheddafi asserragliato a Tripoli nei palazzi del regime, di
miliziani dal volto umano che difendono i propri nemici dal linciaggio delle
masse popolari e di un popolo che non rinuncia a manifestare contro il
proprio tiranno, nonostante la repressione di esercito e polizia. Tra le bufale
più vistose, le televisioni di mezzo mondo mandano in onda un video di una
manifestazione di piazza dispersa a colpi di arma da fuoco "dall'esercito
libico". Nelle immagini trasmesse, si vedono centinaia di persone
terrorizzate, in fuga dagli spari di cui non capiscono la provenienza, con due
di loro che cercano di trarre in salvo un ragazzo ferito. Il video integrale
prosegue tuttavia mostrando, tra la gente in fuga, alcuni manifestanti con le
bandiere verdi della Giamahiria ancora in mano.
Il lavoro capillare di denuncia e controinformazione, spesso favorito da
organi giornalistici russi (molte immagini e informazioni sono fornite in
esclusiva da Russia today, il canale satellitare a diffusione mondiale,
finanziato dall'agenzia di stampa di stato russa Ria Novosti), non induce
però alcun ripensamento da parte dei media occidentali e arabi – che
assumono anzi un ruolo espressamente partigiano – né intaccano il desiderio
interventista dei paesi occidentali.
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della quinta flotta americana.1 Oltre al ruolo logistico chiave giocato nelle
guerre in Iraq e in Afganistan, il Bahrain fa parte del Consiglio di
cooperazione del Golfo, l’organizzazione nata nel 1981 per volontà degli
Stati uniti e dell’Arabia saudita, comprendente Bahrain, Kuwait, Oman,
Qatar, Arabia saudita e Emirati arabi uniti (in sostanza, i dirimpettai
dell’Iran nel golfo persico). Il cambiamento di regime non è dunque il primo
obiettivo degli Stati uniti. All'immediata condanna da parte del Presidente
degli Stati uniti, Barack Obama, "dell'uso della violenza governativa contro
i manifestanti in Bahrain, Libia, Yemen e ovunque ciò accada",2 non segue
alcuna presa di posizione contro il governo del Re, ex-emiro, Hamad bin Isa
Al Khalifa e di suo zio, il principe Khalifa bin Salman Al Khalifa, primo
ministro dal 1971. Anzi, di fronte al montare della protesta, il 14 marzo,
Arabia Saudita e Emirati arabi inviano esercito e polizia ad aiutare il regime
amico nelle operazioni repressive.
La Libia è tutta un’altra storia e Gheddafi lo sa. Il 25 febbraio, il
Colonnello sente che l’intervento militare è vicino e non si fa certo illusioni
sulla scelta di campo occidentale: colbacco in testa, interviene alla piazza
Verde a Tripoli, gremita di gente e di bandiere verdi, e incita il popolo a
difendere il paese: “voi siete il frutto della rivoluzione, io sono solo uno di
voi, moriremo sul suolo della nostra Libia. ... Continueremo a combattere,
sconfiggeremo il nemico come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano!”
2. LE SANZIONI ECONOMICHE
Gli Stati uniti sono il primo paese a prendere misure concrete contro la
Libia. Il 25 febbraio impongono al paese dure sanzioni e, con decorrenza
immediata, congelano tutte le attività governative libiche detenute presso le
banche americane: 32 miliardi di dollari – il più imponente sequestro di
attività finanziarie straniere nella storia degli Stati uniti (nei mesi successivi,
la stima sarà corretta a 38 miliardi di dollari). La maggior parte dei fondi
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sequestrati risulta peraltro depositata presso un’unica banca, di cui però il
Tesoro americano non fornisce il nome.3
L’indomani, è il Consiglio di sicurezza dell’Onu a muoversi, approvando
la Risoluzione 1970, che deferisce Gheddafi alla Corte penale internazionale
e impone il congelamento delle attività finanziarie facenti capo a lui e a
cinque suoi figli, lasciando invece fuori i fondi governativi. Il 28 febbraio, il
Consiglio dell’Unione europea approva la risoluzione Onu, estendendo la
lista di persone fisiche da sanzionare (Decisione 2011/137/Pesc, che porterà
al Regolamento UE 204 del 2 marzo).
L’Inghilterra forza però per estendere le sanzioni anche alle autorità
monetarie del governo libico, secondo il modello statunitense, e il giorno
stesso approva l’Ordine 2011/548, con il quale congela 19 miliardi di dollari
di fondi governativi libici depositati oltremanica. Il 10 marzo, anche il
Consiglio dell’Unione europea si allinea all’asse anglo-americano,
includendo nel regime sanzionatorio le principali autorità monetarie libiche:
la Banca centrale, la Libyan Africa investment portfolio, la Libyan foreign
bank, la Libyan housing and infrastructure board e la Libyan investment
authority (Lia), il fondo sovrano alimentato dai proventi delle esportazioni
di petrolio (Decisione 7335). Come si legge sul sito ufficiale del Consiglio
europeo, "la decisione è adottata con una rapidità senza precedenti".4
Infine, il 17 marzo, anche l’Onu estende le sanzioni alle autorità
governative libiche e istituisce la cosiddetta no fly zone – l’interdizione dei
voli libici sui cieli del paese e l’autorizzazione per i paesi stranieri ad
imporne il rispetto “con tutti i mezzi necessari” (Risoluzione 1973),
interpretata dal “gruppo dei volenterosi” (così la stampa definisce le potenze
occidentali interventiste) come autorizzazione a passare alle vie militari per
regolare i conti con Gheddafi.
Ufficialmente, il congelamento delle attività finanziarie intende tagliare i
mezzi al leader libico – ormai unanimemente indicato come dittatore – ed
3Sanctions in 72 hours: How the U.S. pulled off a major freeze of Libyan assets,
Washington post, 23 march 2011.
4 Il 21 marzo, il Consiglio UE allarga ulteriormente l’elenco di persone fisiche e giuridiche
sottoposte a regime sanzionatorio. Le nuove entità governative o a controllo statale messe
al bando sono: l’Economic and social development fund, la Libyan Arab African
investment company, la Gaddafi international charity and development foundation, la
Waatassimou foundation, la Libyan Jamahirya broadcasting corporation, la Revolutionary
guard corps, la National commercial bank, la Gumhouria bank e la Sahara bank.
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impedirgli di pagare truppe mercenarie per reprimere il suo popolo. Da
questo punto di vista, il congelamento è però uno strumento poco efficace,
visto che al governo libico restano i fondi detenuti in patria. Il governatore
della Banca centrale libica, Farhat Bengdara, subito schieratosi sul fronte
Anti-Gheddafi, pur sostenendo la necessità delle sanzioni, rivela infatti che
nelle casse della Banca centrale a Tripoli sono conservate 155 tonnellate di
oro e che ci sono inoltre diversi container pieni di dollari e altre valute
pregiate nascosti nel deserto.5
5 Dati più precisi in merito alle riserve delle banche centrali sono forniti dal World gold
council. Secondo questa fonte, nel primo trimestre del 2011, le riserve auree della Libia
ammontano a 143,82 tonnellate, per un valore di 6,7 miliardi di dollari, cui si devono
aggiungere le riserve valutarie estere, del valore di 106,9 miliardi di dollari, per un totale
di 113,6 miliardi di dollari.
6 Ordine esecutivo della Casa bianca n. 13566, del 25 febbraio.
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In effetti, fino alla sera prima della stesura dell’ordine esecutivo,
ufficialmente, il Tesoro americano aveva allertato le banche statunitensi solo
in relazione alle attività di un elenco di persone fisiche, giungendo a stimare
l’operazione in circa 100 milioni di dollari. Così scrive un alto funzionario
del Tesoro, nel pomeriggio del 25 febbraio: “la nostra stima è
completamente fuori misura, anche come ordine di grandezza; ci siamo
sbagliati di 29,7 miliardi” (equivalente al valore complessivo delle attività
della Lia e della Banca centrale libica depositate in banche americane).7
Più probabilmente, non si tratta di un grossolano errore di stima, ma di
un cambiamento negli obiettivi governativi o di semplici misure di
segretezza, imposte dalla delicatezza dell’operazione. Come rivela un
cablogramma reso noto da Wikileaks, gli Stati uniti avevano da tempo nel
mirino i fondi delle agenzie governative libiche, tanto che, il 20 gennaio
2010, mentre la diplomazia internazionale corteggiava il Colonnello alla
ricerca di contratti per le imprese nazionali, il presidente della Lia,
Mohamed Layas, aveva informato l’ambasciatore Usa a Tripoli
dell’ammontare delle attività libiche depositate presso banche statunitensi.
Nella maggior parte dei media, la notizia del congelamento dei fondi è
data in modo singolare: le attività sequestrate sono presentate come
appartenenti a Gheddafi e ai suoi più intimi collaboratori e, nei rari casi in
cui si menzionano la Banca centrale libica e le altre agenzie governative,
non è mai precisata la proporzione dei fondi ad esse sequestrate e quella
invece facente capo a Gheddafi e famiglia.
7 Robert O’Harrow Jr, James Grimaldi e Brady Dennis, Washington post, 25 febbraio
2011.
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formatasi all'indomani del sequestro dei fondi governativi libici da parte di
Stati uniti e Regno unito, non è affatto un gruppo politicamente omogeneo.
Presto emergono aspri contrasti tra i suoi stessi leader e rapporti particolari
con le potenze straniere, con avvicendamenti improvvisi e morti sospette.
L'entrata stessa nel Cnt non sembra affatto ispirata a principi di
autorganizzazione da parte di esponenti politici e militari critici nei
confronti del governo ufficiale, quanto piuttosto a pratiche cooptative
eterodirette. L'International crisis group - un'organizzazione non
governativa di fatto al servizio degli interessi occidentali - ricostruisce la
chiamata dei principali esponenti del Cnt, notando che non esiste una
procedura comune di designazione degli incarichi, ma evidenziando al
tempo stesso la capacità del Cnt, come istituzione, di arruolare e disfarsi
delle singole personalità sin dalla sua costituzione.8
Il Cnt dimostra subito di avere le idee chiare. Il 5 marzo, alla sua prima
riunione “ufficiale”, si proclama unico rappresentante legittimo della Libia.
La seconda riunione si tiene il 19 marzo, il giorno in cui l’Armée de l’air
francese, la United States Navy e la Royal air force britannica avviano i
bombardamenti su obiettivi militari e civili libici, interpretando in tal senso
l’obiettivo di proteggere i civili, sancito dall’Onu. L’ordine del giorno del
Cnt prevede tre punti: 1) analisi dell’evoluzione del conflitto, delle forme di
mobilitazione del popolo libico e dei rapporti internazionali e proposta di
rinvio di Gheddafi alla Corte penale internazionale; 2) istituzione della
Banca centrale di Bengasi, quale autorità monetaria della Libia; 3)
istituzione della Libyan oil company, come autorità di supervisione della
produzione di petrolio, con sede a Bengasi.
Nell’informazione internazionale, questo ruolo così esplicito della
finanza genera un certo imbarazzo. Cosa hanno a che fare la banca centrale
e l’agenzia del petrolio con i diritti umani e la democrazia? A quali interessi
rispondono queste iniziative? Le risposte ovviamente possono divergere, ma
un dato appare subito chiaro anche ai moralizzatori più convinti: il vero
8Popular protest in North Africa and the Middle East (v): Making sense of Libya Middle
East/North Africa report n.107, 6 june 2011.
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interlocutore del Cnt non è il popolo libico, ma il mondo della finanza
internazionale.
Le nuove istituzioni si dimostrano infatti subito operative: a fine marzo,
la nuova autorità del petrolio creata dal Cnt firma un accordo con il Qatar e,
dai primi di aprile, riprende le esportazioni di greggio in cambio di prodotti
petroliferi raffinati (secondo le dichiarazioni del portavoce del Cnt, Ali
Abdussalam Tarhouni, a fine marzo il Cnt può già assicurare la produzione
di 130.000 barili al giorno e conta di aumentare rapidamente la produzione
ed esportazione di petrolio nei mesi successivi); parallelamente, la nuova
banca centrale chiede che gli sia accreditata parte dei fondi sequestrati
all'estero, al fine di finanziare le operazioni di guerra e far fronte
all'emergenza umanitaria che secondo i ribelli e i maggiori media
internazionali attanaglierebbe il paese. Viceversa, in tema di difesa dei diritti
umani – il movente ufficiale dell’interventismo occidentale – il Cnt non si
dimostra l’alleato più affidabile. Al suo quinto comunicato, il 25 marzo, il
Cnt deve infatti scusarsi ufficialmente per gli “incidenti accaduti nei primi
giorni della rivoluzione e assicurare che questo non si ripeterà”.9
9 “Statement about the Treatment of Detainees and Prisoners”, 25 march 2011, The Libyan
Interim National Council – Official Website, www.ntclibya.org/english/announcements.
10Carlo Marroni, “A Bengasi nasce la banca centrale dei ribelli”, Sole 24 ore, 27 aprile
2011.
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politica affronterà lo sblocco dei fondi sequestrati con i suoi tempi, ma la
finanza vuole subito le sue garanzie.
In Italia, le principali società su cui si concentrano le partecipazioni del
governo libico sono Unicredit, Finmeccanica, Eni, Juventus e Ubae
(l’istituto bancario, con sede a Roma, controllato dalle autorità monetarie
libiche, nato nel 1972 per regolare i rapporti commerciali tra i due paesi e
commissariato da Bankitalia il 15 marzo 2011). In totale, le attività libiche
congelate in Italia ammontano a circa 7 miliardi di euro.
L’Italia merita un occhio di riguardo per il Cnt. In questo caso, è infatti il
presidente Jalil a spostarsi per discutere di finanza nei salotti che contano. In
aprile, abbandona il campo di battaglia e si reca a Roma, dove lo attendono i
rappresentanti di varie aziende, prima fra tutte Unicredit, che con la Libia ha
un rapporto privilegiato. Unicredit è infatti l’unica banca straniera con
licenza di operare nel paese nordafricano e, soprattutto, è detenuta al 7,5%
dalla Banca centrale libica e dalla Lia.11 Dal 2008, uno dei vice presidenti di
Unicredit, nonché membro del Comitato permanente strategico del gruppo
bancario, è Bengdara, governatore della Banca centrale libica dal marzo
2006 e uomo chiave della finanza di stato della Libia e dei suoi rapporti con
la finanza occidentale: presidente del Fondo libico per l'investimento interno
e lo sviluppo, Presidente della sede londinese dell'Arab Banking corporation
(banca internazionale controllata dalla Banca centrale libica), membro del
Consiglio d'amministrazione della Libyan investment authority (il fondo
sovrano libico) e del Consiglio supremo del petrolio e del gas della Libia.
Il voltafaccia di Bengdara nei confronti del governo di Gheddafi anticipa
addirittura le mosse della diplomazia internazionale. Fugge in Turchia il 21
febbraio, quando ancora non esistono rivendicazioni da parte di alcun
gruppo interno di rivoltosi, né risoluzioni internazionali contro la legittimità
del governo libico. Prima di fuggire prende però tutte le misure necessarie a
favorire il sequestro all’estero delle attività finanziarie delle agenzie
governative e della Banca centrale da lui diretta. Come egli stesso afferma, è
grazie alla sua azione se, nei giorni in cui la comunità internazionale inizia a
discutere del congelamento delle attività finanziarie del dittatore, viene
impedito il trasferimento in paesi non ostili dei fondi governativi libici,
11Carlo Marroni, “A Bengasi nasce la banca centrale dei ribelli”, Sole 24 ore, 27 aprile
2011.
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depositati per il 96% in banche europee e americane.12 Non a caso, sin dal
primo ordine esecutivo statunitense contro Gheddafi, i suoi familiari, gli
uomini di governo e le autorità libiche, Bengdara - il titolare dell'istituzione
su cui si concentrano le maggiori attenzioni - è escluso da ogni
provvedimento. Le sue dimissioni dalla guida della Banca centrale libica
arriveranno solo il 12 marzo 2011, dopo l'istituzione da parte del Cnt della
nuova autorità monetaria nazionale.
L’impegno di Bengdara a tutela degli interessi della finanza
internazionale prosegue anche fuori dei confini del paese. Mantiene innanzi
tutto la carica dirigenziale in Unicredit, ottenuta in forza della
partecipazione azionaria delle istituzioni governative libiche al capitale della
banca italiana, anche dopo che le istituzioni governative libiche sono
disconosciute dal mondo occidentale, private dei fondi accumulati e
sottoposte all'embargo internazionale. Dalla Turchia, annuncia poi la nascita
di un’associazione internazionale (non ufficiale) di banchieri libici, al fine di
fornire raccomandazioni finanziarie al nuovo governo del Cnt. La prima
riunione dell’associazione, composta di 40 membri provenienti da banche
internazionali, si tiene ad Istanbul il 16 luglio, il giorno dopo il
riconoscimento del Cnt da parte degli Stati uniti.
L’attenzione del Cnt per gli affari economici e finanziari va di pari passo
con il rapido credito ottenuto dai ribelli nelle relazioni internazionale. A soli
5 giorni dalla proclamazione di sovranità del Cnt, il 10 marzo, la Francia ne
riconosce la legittimità e subito dopo arrivano i riconoscimenti del Quatar
(28 marzo), delle Maldive (3 aprile) e dell’Italia (4 aprile).
A proposito della tempestività francese, il quotidiano Libération rivela
una lettera del 3 aprile, in cui il Cnt si impegna ad assegnare il 35% del
totale del greggio libico alla Francia, in cambio del riconoscimento francese
e del suo sostegno totale e permanente al Consiglio. La lettera è indirizzata
all’Emiro del Qatar, impegnato sin dalla nascita del Cnt nell’attività di
intermediazione con la Francia e con gli altri paesi della Coalizione.13
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Il 29 marzo, alla Conferenza di Londra, viene istituito il Gruppo di
contatto avente per scopo la gestione della transizione libica verso la
democrazia. Ne fanno parte i ministri degli esteri dei paesi della Coalizione
(tra le grandi potenze non ci sono quindi Russia e Cina), i segretari generali
di Onu, Nato e Organizzazione della conferenza islamica, l'ambasciatore
della Lega araba, l'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di
sicurezza dell'Unione europea e l'inviato speciale Onu per la Libia,
nominato con l'avvio delle ostilità nei confronti del governo legittimo del
paese.
Tra le maggiori potenze economiche, al riconoscimento da parte di
Francia e Italia, seguono, in ordine cronologico, quelli di Spagna (8 giugno),
Australia (9 giugno), Germania (13 giugno), Canada (14 giugno), Stati uniti
e Giappone (15 luglio), Regno unito (27 luglio), Russia (1° settembre), Cina
(12 settembre) e India (17 settembre); il Brasile non ha riconosciuto
ufficialmente il Cnt. Infine, è la volta degli organismi internazionali: l'11
settembre il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine
Lagarde, annuncia che il numero di paesi che hanno riconosciuto la
legittimità del Cnt è sufficiente, secondo le regole del Fondo,
all'ufficializzazione del nuovo soggetto libico, il 16 settembre arriva il voto
favorevole dell'Assemblea generale delle Nazioni unite (con l'opposizione di
17 paesi, tra cui Repubblica democratica del Congo, Guinea equatoriale,
Venezuela, Nicaragua e Cuba, e l'astensione di 15 paesi) e, il 20, il
riconoscimento da parte dell’Unione africana. Dei paesi Nato, solo l’Islanda
non ha riconosciuto la legittimità del Cnt, anche se sia il Brasile che
l’Islanda hanno votato favorevolmente in sede Onu.
All’interno dell’Onu, il Cnt è riconosciuto ufficialmente da 104 paesi.
Cuba e i paesi dell’Alba (l’Alleanza bolivariana per le americhe,
comprendente paesi caraibici e dell’America latina) si sono invece espressi
apertamente contro il Cnt, criticando duramente l’aggressione Nato e i suoi
tratti imperialistici. Nella stessa direzione si è espressa la maggior parte dei
paesi della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale, organizzazione
anch’essa con obiettivi anticolonialisti.
Il fatto stesso che all’Onu si sia seguita la via del voto, invece che quella
del consenso, auspicata fino all’ultimo dalle potenze occidentali, è legato
all’intervento del presidente venezuelano Hugo Chavez. In una lettera
inviata all’Onu, Chavez sostiene infatti che la guerra alla Libia calpesti il
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diritto internazionale e accusa gli Stati uniti di aver pianificato l’aggressione
militare da tempo. Ma la solidarietà di Chavez al leader libico non produce
alcuna reazione a catena. La Libia è sempre più isolata, anche all’interno
dell’Unione africana. Ormai Gheddafi è a capo di un governo senza finanze
e chi si schiera con lui corre gli stessi rischi. Significativa, da questo punto
di vista, la decisione di Chavez, il 18 agosto, di ordinare – contro tutte le
resistenze incontrate a livello diplomatico e finanziario – alla Banca
d’Inghilterra e ad un gruppo di banche private statunitensi, europee,
canadesi e svizzere di rimpatriare immediatamente 11 miliardi di dollari in
lingotti d’oro del governo venezuelano da anni depositati nei loro forzieri.
Il processo di riconoscimento internazionale del Cnt si accompagna ad
una crescente istituzionalizzazione anche interna. Nel mese di maggio, il
Cnt ha già una vera e propria struttura di governo. Secondo il rapporto
dell'International crisis group del 6 giugno 2011, accanto ai responsabili per
area territoriale, il Cnt comprende infatti un Comitato esecutivo che più che
un'avanguardia per la conquista del potere sembra un organo volto a gestire
la ricostruzione e il governo del paese alla fine del conflitto. Con una certa
lungimiranza, il Cnt ha già indicato i nomi dei responsabili di tutti i settori
di intervento governativo: affari internazionali, interni, economia, finanza e
petrolio, ricostruzione e infrastrutture, giustizia e diritti umani, media,
salute, lavoro e affari sociali, trasporti e comunicazioni, ambiente, cultura,
affari religiosi e istruzione.
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semplicemente, tra le forze anti-Gheddafi, tanto in patria quanto all'estero, è
ancora in corso la partita riguardante la struttura e la composizione del
nuovo soggetto libico e, soprattutto, i suoi rapporti con le potenze straniere.
Parlare di una molteplicità di organizzazioni, in quest'ottica, è solo un modo
per riconoscere che questo contenitore istituzionale deve ancora essere
concretamente riempito di uomini e poteri.
Presidente del Cnt, sin dalla sua costituzione, è Mustafa Abdel Jalil, ex
giudice e, dal 2007, ministro della giustizia libico, noto all'Occidente per la
fermezza con cui, in qualità di Presidente della Corte d'Appello di Tripoli,
aveva trattato il caso delle "infermiere bulgare". I suoi rapporti con
Gheddafi si inaspriscono nel gennaio 2010, quando rassegna le dimissioni in
segno di protesta per l'illegittima detenzione di 300 prigionieri politici
appartenenti al Libyan islamic fighting group. Le sue dimissioni sono però
rigettate da Gheddafi, che sostiene che i prigionieri sono in realtà esponenti
di Al-Qaida. Il 21 febbraio 2011, al crescere delle tensioni internazionali nei
confronti del governo libico, Jalil si schiera apertamente sul fronte
antigovernativo, assumendone subito dopo la guida.
In aprile firma, a nome del Consiglio rivoluzionario, un accordo con
l'Inghilterra, con cui la Libia assume la piena responsabilità dell'attentato di
Lockerbie e delle azioni dell’Ira e si impegna a pagare 10 milioni di dollari
per ogni vittima dell'organizzazione indipendentista irlandese, la quale
secondo l'accordo firmato da Jalil sarebbe una semplice emanazione del
terrorismo libico.
Il 20 ottobre, con l'uccisione di Gheddafi diventa Capo di Stato. Nel
dicembre 2012 è incriminato dalla magistratura della nuova Repubblica
libica per abuso di potere e attentato all'unità nazionale nel quadro delle
indagini sulla morte di Abdel Fatah Yunes.
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novembre. Al suo posto subentra Abdulharim El-Kib, ingegnere da lungo
tempo in esilio negli Stati uniti.
L’incarico di maggior prestigio e potere spetta tuttavia a Ali Abdussalam
Tarhouni, economista libico. Nel 1973, a ventidue anni, viene privato della
nazionalità libica e condannato a morte in contumacia, a suo dire, per il suo
attivismo politico nel movimento studentesco, in lotta per ottenere maggiori
libertà e democrazia. Si rifugia negli Stati uniti, dove prosegue gli studi e
diventa docente di microeconomia all’università di Washington, Seattle (la
microeconomia è un insegnamento base nelle facoltà di economia e fa parte
dell'impostazione teorica neoclassico-neolibersita). Secondo le sue
dichiarazioni, a causa del suo impegno in favore della democratizzazione
della Libia, nel 1981, viene incluso nella lista dei dissidenti libici da colpire
all'estero.
A differenza dei suoi colleghi di dipartimento, non presenta tratti
scientifici rilevanti: assente dalla banca dati Econlit - la più vasta raccolta di
pubblicazioni economiche selezionate sulla base di criteri piuttosto ampi -
sul sito dell’università gli vengono accreditate solo due pubblicazioni, su
una rivista decisamente di second’ordine. Non svolge inoltre alcun incarico
in istituzioni economiche o finanziarie, né ha esperienze operative in
materia di politica economica.
Ai primi di marzo, dopo un'assenza di trentotto anni dal suo paese nativo,
lascia gli Stati uniti e rientra in Libia, attraverso la frontiera con l'Egitto.
Oltre al manuale di microeconomia, Tarhouni porta con sé un buon
pacchetto di contatti. Il 23 marzo, è nominato Ministro delle finanze e del
petrolio nel governo del Cnt, l'unica persona, a questo stadio, alla guida di
un ministero effettivamente operativo nel governo di transizione. Il giorno
stesso del suo insediamento, dichiara ai giornalisti che i soldi non sono più
un problema per i ribelli, visto che potranno contare sui fondi custoditi nelle
sedi della Banca centrale di Bengasi e di altre città nelle mani degli insorti.
L'Inghilterra ha inoltre promesso di consegnare ai ribelli 1,4 miliardi di
dinari - equivalenti a circa 1,1,miliardi di dollari - in banconote, stampate
inizialmente per conto del governo di Gheddafi.14 Subito dopo, avvia i
negoziati per lo sblocco dei fondi governativi congelati all'estero, ottenendo
rapidi risultati. Nelle sue parole, la guerra (appena iniziata) crea una serie di
14Kareem Fahim, "Rebel insider concedes weaknesses in Libya", New York times, 23
march 2011.
!23
emergenze cui il nuovo governo del Cnt deve rispondere con urgenza. A tal
fine, chiede quindi lo sblocco dei fondi della Lia sotto sequestro per
consentire l'acquisto di benzina, medicine, beni alimentari e pagare gli
stipendi ai dipendenti pubblici.15
Il 25 maggio è alla testa del gruppo di scassinatori che svaligiano la sede
di Bengasi della Banca centrale libica, impossessandosi di circa mezzo
miliardo di dollari in contanti: "Mettiamola così: abbiamo rapinato la nostra
stessa banca" è la sua risposta ai giornalisti del Washington Post.16
Ai primi di ottobre, pochi giorni dopo la dichiarazione della Segretaria di
Stato americana Hillary Clinton di voler sbloccare i fondi libici sotto
sequestro, vola negli Stati uniti per discutere le modalità dello sblocco.
Il 23 ottobre, sostituisce Jibril nella funzione di primo ministro ad
interim. Il suo impegno al guida del nuovo governo dura però solo un mese:
il 22 novembre viene sostituito alla guida del ministero delle finanze e del
petrolio e, due giorni dopo, deve cedere anche la carica di primo ministro, a
vantaggio di Abdel Rahim Al-Kib, il quale resterà in carica fino al 14
novembre 2012, per essere poi sostituito da Ali Zeidan.
Un altro importante tassello dei nuovi rapporti tra la Libia e le potenze
occidentali è costituito da Shukri Ghanem. Direttore della ricerca all'Opec, a
Vienna, dal 1993 al 2001, Ghanem ricopre importanti posizioni nel governo
libico: ministro dell'economia dal 2001 al 2003 e primo ministro dal 2003 al
2006; nel 2006, assume la direzione della National oil corporation, che
mantiene fino al 2009, e del ministero del petrolio. Nel 2011, in seguito ai
rivolgimenti interni e internazionali, fugge prima in Tunisia e poi in Italia,
senza mai dimettersi formalmente dalla carica di ministro. L'8 aprile 2011
gli Stati uniti aggiungono il suo nome all'elenco delle persone fisiche
oggetto dei provvedimenti sanzionatori emanati attraverso l'ordine esecutivo
n. 13566 del 25 febbraio. Il primo giugno, da Roma, dichiara di essersi unito
al fronte dei ribelli. Venti giorni dopo, gli Stati uniti rimuovono le sanzioni
nei suoi confronti. Considerato dall'occidente l'uomo delle riforme nel
processo di riabilitazione internazionale della Libia, nel febbraio 2004, era
stato al centro di aspre polemiche per l'intervista rilasciata alla Bbc in cui
aveva negato esplicitamente ogni responsabilità o colpa del suo paese negli
!24
attentati attribuiti alla Libia, affermando che la scelta di pagare una
compensazione monetaria alle famiglie delle vittime, dal punto di vista della
Libia, era solo un modo "per comprare la pace", alla luce dei problemi e dei
danni economici provocati dalle sanzioni.
Il 29 aprile 2012 il suo corpo è ritrovato sulle rive del Danubio, nei pressi
di Vienna.
!25
previsto per lui un incarico all'interno delle strutture da loro predisposte,
sotto la direzione di Yunes.17 Il 2 aprile, nelle nuove vesti di capo militare
delle forze armate ribelli, Haftar è al centro di aspre polemiche interne al
Cnt: aerei Nato bombardano infatti "per errore" un convoglio di milizie
ribelli, provocando morti e feriti. L'incidente rimane senza spiegazione
ufficiali, ma è chiaro che qualcosa non va nel coordinamento militare delle
potenza straniere e delle milizie locali. Il Cnt decide dunque di scaricare
Hatfar e nominare nuovamente Yunes al comando delle forze armate. Questi
cambiamenti nell'organigramma militare sono tuttavia solo formali e
rimangono oscuri a molti combattenti impegnati nelle azioni contro le forze
leali a Gheddafi. In realtà, l'invio stesso di Haftar in Libia suggerisce la
presenza di una seconda struttura distinta dal Cnt, il che solleva anche la
questione dei rapporti che le due strutture avrebbero dovuto intrattenere.
Notizie contrastanti riportano che Yunes viene arrestato a luglio da una
fazione interna al Cnt, a Brega, città portuale a est di Bengasi, saldamente
nelle mani degli insorti, e tradotto a Bengasi. Il mandato d'arresto è firmato
da Ali al-Issawi, responsabile delle questioni interne del Cnt. Yunes è
accusato di fare il doppio gioco e di aver mantenuto in realtà contatti
privilegiati con Gheddafi. Il 28 luglio il suo corpo è ritrovato bruciato con
evidenti segni di tortura.
Secondo le dichiarazioni rilasciate a caldo da Jalil in conferenza stampa,
Yunes sarebbe stato ucciso dagli uomini di Gheddafi e il capo del gruppo
responsabile di questa azione sarebbe stato immediatamente arrestato. I
membri della tribù degli Obeide, intervenuti alla conferenza stampa con le
armi in pugno, sostengono invece che Yunes sia stato vittima di un
complotto interno al Cnt, orchestrato proprio da Jalil. Pochi giorni dopo, la
formazione militare di Bengasi "17 febbraio" chiede le dimissioni di Ali al-
Issawi e di Jalal al Dgheili, ministro della difesa del Cnt, il quale, proprio la
mattina del 28 luglio aveva firmato un contrordine all'arresto di Yunes, poi
inspiegabilmente ritirato.
Quali che siano le ragioni dell'omicidio di Yunes, la sua uscita di scena
nei giorni caldi del conflitto allontana la possibilità di una mediazione col
governo di Gheddafi e fa tramontare il disegno del generale di sciogliere le
varie milizie ribelli per formare un unico esercito nazionale, lasciando di
17Bahrampour Tara, "Libyan rebels struggle to explain rift", Washington post, 3 aprile
2011.
!26
fatto Haftar a capo delle forze armate ribelli. Ma le ripercussioni della sua
morte riguardano anche gli assetti futuri della Libia, spianando la strada a
Jalil proprio quando i successi militari contro le forze leali a Gheddafi
aprono la corsa alla leadership della nuova Libia.
I due passi, un po’ inusuali, della politica del neonato Cnt si dimostrano
presto tutt’altro che azzardati: petrolio e finanza sono infatti i principali
terreni di intesa con la Coalizione. Le due nuove istituzioni, la Banca
centrale di Bengasi e la Libyan oil company, apparentemente scatole vuote
senza significato nel quadro di una sollevazione popolare auto-organizzata,
si rivelano invece ottimi strumenti per consentire al capitale internazionale
di sfruttare la situazione. Grazie ad essi, è possibile instaurare nuovi rapporti
commerciali con la Libia e reindirizzare la produzione di petrolio, aggirando
la supervisione della Banca centrale di Libia e della Libyan national oil
corporation, ripartire i contratti per la ricostruzione e accreditare ai ribelli,
sotto opportune condizioni, i fondi sequestrati al governo libico.
Il 29 marzo, il Cnt conquista alcuni pozzi petroliferi chiave della
Cirenaica e, con il consenso del Tesoro americano, avvia la ripresa
dell’estrazione e della vendita del petrolio sui mercati internazionali. Subito
dopo, prende il via il processo per trasferire al Cnt parte dei fondi libici
congelati all’estero e finanziare le spese più urgenti. La procedura di
sblocco tuttavia è irta di ostacoli: sia perché alcuni paesi in seno al
Consiglio di sicurezza dell’Onu non hanno ancora riconosciuto il Cnt, sia
perché Russia e Cina, in qualità di membri permanenti del Consiglio
possono esercitare il diritto di veto se insoddisfatte in merito alla
destinazione dei fondi.
!27
perdere: a poche settimane dall’inizio del conflitto, sono già 3,6 milioni le
persone bisognose di assistenza umanitaria. La cifra, se vera,
corrisponderebbe al 64% della popolazione residente, pari, secondo l’ultimo
censimento del 2006, a 5,6 milioni di persone, compresi i cittadini stranieri.
Forse un po' esagerata ma utile a mostrare con chiarezza quali sono le
intenzioni. La soluzione per lo sblocco dei fondi è infatti approvata senza
indugi. Alla sua seconda riunione, il 4 maggio a Roma, il Gruppo di contatto
istituisce un fondo temporaneo, il “Temporary financing mechanism”, con
sede in Qatar, finalizzato a finanziare le spese di breve periodo del Cnt. La
richiesta del Cnt è di 3 miliardi di dollari (che sarà poi innalzata a 5
miliardi), necessari a sostenere le spese di guerra, alleviare le condizioni
della popolazione e acquistare armi e medicine dall’occidente. Alla terza
riunione, che si tiene il 10 giugno in Qatar, i paesi della Coalizione si
accordano tuttavia sulla cifra di un miliardo.
Intanto però gli Stati uniti hanno fretta di fornire liquidità agli alleati sul
campo di battaglia. Il 25 agosto, la Commissione per le sanzioni istituita
presso il Consiglio di sicurezza dell’Onu – dopo due settimane di pressioni
statunitensi e inglesi sul Sud Africa, membro temporaneo del Consiglio,
legato da rapporti di amicizia e riconoscenza verso Gheddafi sin dai tempi
della lotta all’apartheid – approva la richiesta statunitense di sbloccare un
miliardo e mezzo di dollari di fondi congelati negli Stati uniti. Un terzo di
questa cifra è destinato alle compagnie petrolifere straniere chiamate a
fornire energia al paese e al Cnt, un altro terzo va alle organizzazioni
umanitarie internazionali e i restanti 500 milioni sono messi a disposizione
del Cnt tramite le procedure del Temporary financing mechanism.
Il 31 agosto, a pochi giorni dal riconoscimento ufficiale del Cnt da parte
dell’Inghilterra, lo sblocco dei fondi assume tratti anche tangibili: scortato
dalla Royal air force, atterra a Bengasi un aereo con a bordo 280 milioni di
dinari libici (circa 220 milioni di dollari), appena sbloccati dall’Onu, su
richiesta inglese. Le banconote fanno parte di un ordinativo di 1,86 miliardi
di dinari inviato dal governo di Gheddafi alla società tipografica inglese De
la rue – specializzata nella produzione di banconote per molte banche
centrali – bloccato nel mese di marzo, in seguito alle sanzioni internazionali.
A ricevere la preziosa consegna è Qassem Azzoz, il primo governatore della
Banca centrale di Bengasi, la nuova istituzione che non ha ancora ricevuto il
riconoscimento Onu e che non ha certo i mezzi per vigilare sul sistema
!28
bancario, intervenire sui mercati finanziari e gestire la politica monetaria -
come fanno le tradizionali banche centrali - ma che in queste circostanze si
dimostra comunque utile.
L'intervento dell'Onu
!29
riprendere la produzione di petrolio, ricostruire e rafforzare le infrastrutture
civili, potenziare il sistema bancario, favorire gli scambi commerciali con
l’estero. In mancanza di un parere negativo della Commissione entro cinque
giorni lavorativi, l’autorizzazione si considera accordata.
6. L’AGGRESSIONE MILITARE
!30
carisma politico è ormai solo frutto della storia, come guida della
rivoluzione e del riscatto arabo e africano. La presa di posizione europea è
dunque una condanna squisitamente politica ma non intende suggerire
alcuna via d'uscita pacifica al leader libico, il quale non può certo dimettersi
da posizioni istituzionali che non ha.
!31
Il Trattato di amicizia Italia – Libia
!32
internazionali, da avviarsi tramite notifica scritta all’altra parte.19 Solo dopo
tre mesi dalla ricezione della notifica (a parte casi di particolare urgenza), se
non sono sollevate obiezioni dall’altra parte, è possibile adottare le misure
relative alla sospensione del trattato (art. 65). La comunicazione di
sospensione deve essere inoltre firmata dal capo dello stato, dal capo del
governo o da altro rappresentante dello stato investito dei pieni poteri (art.
67).
Le dichiarazioni dei ministri italiani, benché solo orali ed estranee alle
procedure della diplomazia, hanno però ripercussioni militari ed
economiche decisive. Prima ancora di attendere l’autorizzazione Onu alla
guerra, le basi militari Usa e Nato sul territorio italiano possono infatti
avviare i preparativi bellici, lasciando intendere senza infingimenti quali
siano le intenzioni degli Stati uniti e dei loro alleati, con o senza l’avallo
delle Nazioni unite. Il messaggio è diretto soprattutto a Russia e Cina, i due
paesi con diritto di veto all’Onu, maggiormente danneggiati dall’opzione
militare. Da aprile poi all’appoggio logistico, si aggiungono le prime
missioni dei Tornado dell’Aeronautica militare – quegli stessi aerei che il
popolo libico aveva conosciuto durante le cerimonie per la firma del
Trattato di amicizia con l’Italia, pentita dei peccati coloniali, e che tornano
ora a solcare i cieli del paese, non più per lasciarsi dietro la scia tricolore,
ma per sganciare bombe e missili aria-superficie.
La scelta di sospendere il trattato risponde inoltre a precisi obiettivi
economici. L’Italia non vuole perdere i contratti ottenuti dalle imprese
nazionali grazie al riavvicinamento diplomatico con la Libia di Gheddafi.
Poco importa chi prenderà il potere, l’importante è riprendere appena
possibile i rapporti commerciali e finanziari ottenuti all’epoca della dittatura
del Colonnello.
Nella sua visita a Roma, il 15 dicembre 2011, il leader del Cnt, Jalil e il
primo ministro italiano Monti affermano di voler riattivare il Trattato di
amicizia tra i due paesi. L’Italia si impegna a scongelare fondi libici per un
valore di 600 milioni di euro.
19 Convenzione sul diritto dei trattati, Vienna, 23 maggio 1969. Legge italiana di ratifica:
n. 112, del 12 febbraio 1974.
!33
7. LA FINE DELLA GUERRA
Lo sblocco dei fondi a favore del Cnt costituisce solo il primo passo
formale delle potenze occidentali nella costruzione dei nuovi assetti
finanziari della Libia post-Gheddafi. L'assoggettamento economico del
paese, lo sfruttamento delle sue risorse e la sua ricollocazione nel quadro
internazionale richiedono ora la chiusura della partita militare e l'uscita di
scena definitiva del dittatore, possibilmente prima che possa rivelare le
verità scomode in merito ai rapporti con il mondo politico e finanziario
occidentale.
L'assassinio di Gheddafi
!34
umano. Deve essere ricordato come un despota codardo ed egoista e
nient'altro.
Come ormai d’uso, l’annuncio ufficiale della fine della guerra non segna
veramente la fine degli scontri armati, i quali anzi proseguono in molte
regioni del paese. Ma apre formalmente la fase dei contratti e della
ricostruzione. Le bombe e i missili dei paesi volenterosi, che servivano a
proteggere il popolo libico dai bombardamenti delle truppe di Gheddafi,
hanno infatti colpito anche ospedali, scuole, università, case, strade, la rete
idrica – la colossale opera voluta da Gheddafi per rifornire di acqua potabile
il paese, nota come Grande fiume artificiale – le centrali elettriche, le
stazioni radio e televisive, i pozzi di petrolio e le sedi della Banca centrale,
creando una grave emergenza umanitaria, con scarsità alimentari, idriche e
sanitarie.
A differenza di altre "guerre umanitarie", la distruzione sistematica delle
risorse libiche non suscita nemmeno il consueto dibattito circa la totale
inefficienza degli attacchi mirati, precisi e chirurgici, andati forse fuori
bersaglio, o l'attenta pianificazione degli obiettivi civili, come premessa per
la ricostruzione tramite capitali stranieri. Il tempo stringe, la popolazione è
sfinita en senza inutili chiacchiere, la parola passa alla diplomazia
finanziaria, alla Banca mondiale e al Fondo monetario per il coordinamento
delle operazioni di ricostruzione.
!35
monetario internazionale, la Banca mondiale interverrà poi in aiuto del
sistema bancario e fornirà il proprio supporto alla preparazione del piano di
programmazione economica e finanziaria del paese (Press Release No:
2012/064/MENA).
La fine della guerra segna anche la fine della Banca centrale di Bengasi.
La missione di questa istituzione - nata nel contesto dell'espropriazione
dello stato libico della sua ricchezza estera quando è ancora in corso la
Resistenza delle forze fedeli a Gheddafi e alla Giamahiria - si può ormai
considerare riuscita. Il dittatore è stato rimosso e le istituzioni economico-
finanziarie istituite dai guerriglieri per sostenere la "Rivoluzione" non hanno
più motivo di esistere. Al contrario, si tratta ora di normalizzare rapidamente
i rapporti economici, mettere le mani anche sulle ricchezze dello Stato libico
custodite in patria - certamente più consistenti di quelle investite all'estero -
e consentire ai nuovi proprietari della Libia di riprendere a fare affari.
La cancellazione della Banca centrale libica - istituita nel 1951 e ormai
pienamente inserita tanto nel sistema finanziario arabo, quanto in quello
occidentale - per lasciare spazio alla nuova Banca centrale di Bengasi non è
nemmeno pensabile: significherebbe cancellare sessanta anni di rapporti
economici e finanziari e azzerare tutti i rapporti stabiliti da banche e imprese
occidentali con la finanza libica. Gli stessi uomini della Banca centrale e del
fondo sovrano siedono ormai da anni nei consigli d'amministrazione di
importanti compagnie occidentali ed è anche grazie al contributo di alcuni di
loro se l'espropriazione finanziaria della Libia si è potuta realizzare con
efficacia e rapidità. Le compagnie occidentali, poi, per quanto ansiose di
riprendere a gestire i fondi congelati, non hanno alcuna intenzione di
intestare a uno sparuto gruppo di rivoltosi senza nome i pacchetti azionari
sotto sequestro e le posizioni dirigenziali nei propri consigli
d'amministrazione.
Senza tanto clamore, la Banca centrale di Bengasi esce quindi di scena.
Dopo essere stata istituita in modo a dir poco anomalo, essere stata
!36
immediatamente riconosciuta e corteggiata dalle potenze aggreditrici e aver
ricevuto fondi dalla finanza internazionale, la Banca centrale di Bengasi
perde ora ogni diritto di rappresentanza dello Stato libico, senza nemmeno
quel colpo di penna in luogo segreto che ne aveva sancito la nascita.
Il problema istituzionale è di una certa rilevanza ma non suscita alcun
approfondimento da parte dei tutori del nuovo ordine internazionale, né da
parte della stampa. Resta il fatto che dapprima il mondo occidentale ha
rinnegato la legittimità del governo libico e riconosciuto nel Cnt e nelle sue
istituzioni militari ed economiche il suo unico interlocutore, fornendogli
mezzi finanziari e l'appoggio degli eserciti più potenti del mondo; subito
dopo, in vista della chiusura della campagna militare, deve però riconoscere
la legittimità delle istituzioni di cui intende assumere il controllo. Sulla carta
restano quindi due banche centrali, quella della Libia, che ha ancora in
mano tutte le attività finanziarie detenute in patria, e quella di Bengasi, che
non ha in mano praticamente niente, se non una promessa di accreditamento
delle risorse sequestrate all'estero e quanto concesso dai paesi aggressori
durante le fasi di guerra.
Dal punto di vista pratico, i termini del problema sono però semplici:
dopo essersi impossessate delle attività depositate all'estero, le potenze
conquistatrici vogliono ora mettere le mani sulle ricchezze rimaste in Libia,
formalmente intestate alle "vecchie" istituzioni libiche. Curiosamente
quindi, senza dilungarsi in inutili cerimonie istituzionali ed eventuali
passaggi di consegne, il nuovo istituto d'emissione con sede a Bengasi
smette di operare, senza peraltro aver mai stampato un biglietto né coniato
una moneta nel corso della sua breve esistenza. Ormai il vecchio Rais non
c'è più e la finanza occidentale può quindi restituire alla Libia la sua Banca
centrale con i dovuti ricambi nelle posizioni di potere.
Come se niente fosse, la Banca centrale libica ridiventa l'autorità
monetaria del paese e sparisce rapidamente ogni traccia della fase di
transizione in cui i suoi poteri erano stati esautorati e trasferiti alla
fantomatica Banca centrale di Bengasi. Sul sito internet della Banca
centrale, che si è subito sostituito al vecchio sito dell'era Gheddafi, la Banca
centrale stessa preferisce lasciare nel vago la dinamica dei suoi
avvicendamenti interni: dopo la direzione di Bengdara, il cui mandato
sarebbe terminato il 17 febbraio 2011 (anche se Bengdara dichiara
fieramente che il suo operato è proseguito almeno fino a marzo), sono
!37
indicati alla sua successione prima Qassem Azzoz (il governatore della
Banca centrale di Bengasi che, in pieno conflitto armato, ritira il container
di dinari libici inviati dall'Inghilterra) e poi Saddek Elkaber (proveniente
dall'Arab banking corporation, che dal dicembre 2010 è controllata dalla
Banca centrale libica con il pacchetto di maggioranza assoluta). A differenza
degli altri governatori, nel loro caso non è fornita alcuna indicazione circa le
date di inizio e fine mandato.
Accanto a Elkaber, nell'immediato "dopoguerra", la guida delle
istituzioni finanziarie libiche è affidata a Ali Mohammed Salem Hebri,
unico vicegovernatore della Banca centrale e Presidente temporaneo della
Lia (durante il conflitto, il Cnt conferma Layas alla presidenza della Lia).
Ma si tratta di una fase transitoria.
Nel luglio 2013, con un gesto inusuale, il neonato Parlamento, il General
national congress, lancia un invito internazionale a presentare nuove
candidature per le posizioni di governatore e vice governatore della Banca
centrale, riducendo di fatto a due anni il mandato quinquennale di Elkaber e
Hebri (due mesi prima aveva approvato una legge che esclude dai pubblici
uffici i dirigenti in carica durante il governo di Gheddafi).
La Libia democratica
!38
bucate, senza un centesimo e con tanti debiti proprio nei confronti dei
“liberatori”.
Si apre così formalmente il processo di scongelamento dei fondi sotto
sequestro. Ma si tratta di un processo lento e tortuoso. Il paese è distrutto,
politicamente instabile e impossibilitato a riprendere le attività produttive ed
estrattive. Nel nuovo assetto internazionale, non c’è alcuna fretta di
rimettere in piedi la Libia e restituire al popolo libico le ricchezze sotto
sequestro. Per la nuova Libia democratica si prospettano invece anni di caos
e soprusi, nell’ambito dei quali il controllo della finanza da parte
dell’Occidente costituisce una leva cruciale del governo a distanza degli
equilibri politici interni e delle scelte economiche del paese.
***
CONCLUSIONI
Dopo soli 32 giorni dalle prime sparute protesta di piazza, sulla Libia
cadono già le bombe dell’occidente. La guerra sul campo è lunga, si sa. Ma
sul piano finanziario, la partita è già risolta. In appena dieci giorni, la Libia è
privata della ricchezza accumulata in anni di esportazioni di petrolio
dall’azione congiunta della politica e della finanza. Mancano ormai solo gli
eserciti: Gheddafi è un dittatore e, per il bene del popolo libico, devono ora
scattare i bombardamenti. Qui i tempi necessariamente rallentano: ci
vogliono mesi per distruggere le infrastrutture e le basi produttive dello
Stato libico. E ci vorranno anni per ricostruirle. Ben inteso, con capitali
occidentali e prestiti del Fondo monetario internazionale e della Banca
mondiale, sempre pronti ad aiutare i paesi in difficoltà.
Esistono molte prove che Francia, Stati uniti e Inghilterra avevano
uomini sul campo ben prima delle manifestazioni di metà febbraio. È noto
anche che molte delle violenze attribuite al governo di Gheddafi sono state
in realtà deliberatamente commesse dai ribelli e dai servizi di intelligence
occidentali. Quello che stenta ad emergere nel dibattito politico e che ho
cercato di evidenziare in questo libro, è l’attenta pianificazione del golpe
!39
finanziario, realizzato dai paesi occidentali con la collaborazione di uomini
di fiducia in posizioni chiave dell’apparato finanziario libico.
La dinamica del conflitto parla da sé: mentre la comunità internazionale
sequestra i fondi governativi libici, nasce in Libia un nuovo soggetto, di
composizione in parte segreta, che non ha rapporti con le masse popolari,
ma con ottimi legami internazionali sul piano politico, militare, economico e
finanziario. A 12 giorni dall'avvio della campagna contro il governo libico,
l’occidente ha in mano le risorse della Libia e un interlocutore sul campo da
porre alla guida del paese. E subito dopo, senza alcuna evidenza che i ribelli
che si nascondono dietro la sigla del Cnt siano in grado di assicurare un
controllo almeno parziale del territorio, e nel pieno delle polemiche che li
investono per le violazioni dei diritti umani, scatta la gara nella comunità
internazionale per riconoscere la legittimità del nuovo “governo” ribelle.
Saranno poi la guerra e le bombe a completare l’espropriazione della
Libia. Ma i disegni interni e internazionali di Gheddafi sono ormai
tramontati. In Africa, non c’è posto per paesi sovrani irrispettosi delle
gerarchie finanziarie, né tanto meno per organizzazioni africane che possano
scansare le politiche del Fondo monetario e della Banca mondiale. Pochi
ordini esecutivi d’urgenza, giustificati da un’emergenza umanitaria senza
fondamento, e il primo esportatore di petrolio del continente, nonché primo
finanziatore dell'Unione africana, diventa un paese senza sovranità e senza
finanze. Un paese creditore, con una Banca centrale di Stato, capace di
controllare qualsiasi investimento straniero e con una sovrabbondanza di
capitali derivante dalle esportazioni, deve ora ricorrere all'indebitamento. Se
il popolo libico si lamentava perché vedeva solo le briciole dei proventi
della vendita del petrolio e degli interessi maturati dalle attività finanziarie
investite all’estero, ora dovrà abituarsi a nuove condizioni: perché il petrolio
non gli appartiene più e gli interessi dovrà pagarli, non più riscuoterli.
Al di là dei proclami morali dei vincitori, l'esito del conflitto è duplice.
Sul fronte interno, la Libia perde la sua autonomia: i successori di Gheddafi
sono decisi fuori dalla Libia, dall’asse politico-finanziario che pone le sue
condizioni sulla destinazione dei fondi sotto sequestro. Nei rapporti
internazionali, si interrompe il tentativo della Libia di accreditarsi come
attore politico internazionale e con esso, si interrompe il processo di
unificazione africana, attraverso la creazione di istituzioni economiche e
monetarie proprie, non assoggettate agli interessi del capitale internazionale.
!40
La situazione è dunque di nuovo sotto controllo: l'opera restauratrice è
terminata e le potenze occidentali possono ora dedicarsi alla tappa
successiva delle loro strategie di espansione economico-militare.
!41
SECONDA PARTE
!42
9. GIAMAHIRIA E ANTI-IMPERIALISMO
20 La concezione politica di Gheddafi, la critica della democrazia solo formale dei paesi
occidentali, il piano di riforme economiche e sociali e il nuovo ordinamento dello Stato
libico sono esposti da Gheddafi stesso nel Libro verde: http://www.mathaba.net/gci/
theory/gb.htm.
!43
La concezione socialista di Gheddafi
***
!44
tuttavia toccati i fondi libici all’estero derivanti dall’esportazione di petrolio,
né vengono poste restrizioni all’importazione di petrolio libico, misure che
avrebbero danneggiato gravemente i maggiori paesi europei (nel 1991, le
esportazioni di petrolio costituiscono l’85% delle esportazioni totali della
Libia e incidono in modo significativo sulle importazioni di Italia, Spagna,
Germania e Francia).21
Accanto alle sanzioni economiche, gli Stati uniti mettono in campo
azioni di vario tipo contro la Libia e il suo leader: dalle restrizioni alla
circolazione delle persone, alle provocazioni e agli attacchi militari, fino
all’assassinio dei familiari del leader rivoluzionario. Le ragioni ufficiali
dell'ostilità statunitense nei confronti del “paese canaglia” per eccellenza
sono cambiate nel corso dei quaranta anni di governo di Gheddafi: il
supporto al terrorismo internazionale, la produzione di armi di distruzione di
massa e, più di recente, la violazione dei diritti umani. Ma con o senza
l'Onu, le iniziative statunitensi contro la Libia riflettono maggiormente i
mutevoli equilibri economici internazionali e i rapporti con i paesi alleati
che non il rispetto del diritto internazionale.
21 Dati presi dall’International trade statistics yearbook 1995, United nations 1996.
!45
e guida missilistica in dotazione a soli cinque incrociatori nella marina
statunitense); la sua traiettoria, infine, sebbene chiaramente ascendente
(l'aereo era decollato da soli sette minuti ed era già oltre quota 7000 metri),
sarebbe stata mal interpretata dal comandante della Vincennes, il capitano
William Rogers (noto per l'aggressività della sua strategia militare e
protagonista già in passato di "incresciosi incidenti", l'ultimo dei quali
avvenuto solo un mese prima, in acque territoriali iraniane, quando aveva
aperto il fuoco contro alcune piccole navi militari iraniane). Di qui, il fatale
errore di valutazione di Rogers, che ordina il lancio di due missili terra-aria
contro il velivolo civile, uccidendo tutte le persone a bordo.
Le indagini sulla tragedia di Lockerbie prendono quindi immediatamente
la pista della rivalsa iraniana. Secondo gli Stati uniti, l'Iran avrebbe peraltro
offerto 10 milioni di dollari per finanziare un'azione di rappresaglia. La
notizia non trova ovviamente alcuna conferma ufficiale da parte delle
autorità iraniane ma è chiaro che queste ultime non sono disposte ad
accettare la ricostruzione americana dell'"incidente". Secondo Tehran, si è
trattato di un atto deliberato, a coronamento di provocazioni, violazioni
sistematiche delle acque territoriali e attacchi contro obiettivi militari,
condotti come supporto all'Irak nella "guerra imposta", iniziata nel
settembre 1980 con l'invasione irachena dei territori iraniani. Oltre a
disporre di una sofisticata tecnologia di bordo, perfettamente funzionante, le
autorità iraniane notano che la Vincennes era supportata da altre due navi
militari, che avevano correttamente identificato l'aereo iraniano come civile.
La tesi dell'incidente e dell'errore umano o tecnologico non sta quindi in
piedi e, se anche fosse vera, non sottrarrebbe comunque gli Stati uniti dalle
loro responsabilità nel quadro del diritto internazionale.
L'Iran porta quindi il caso alla Corte internazionale di giustizia delle
Nazioni unite, dove tuttavia gli Stati uniti insistono sulla tesi dell'errore.
Errore di cui però rifiutano di scusarsi e che valgono anzi all'intero
equipaggio della Vincennes decorazioni e promozioni da parte del governo
americano. In un articolo sul Newsweek, l'allora vicepresidente degli Stati
uniti, George Bush, in piena campagna elettorale, dichiara: "Gli Stati uniti
non chiederanno mai scusa. Mai. Non mi interessa quali siano i fatti". Pochi
mesi dopo, l'equipaggio della Vincennes riceve il Combat action ribbon -
onorificenza riservata ai membri della marina con grado inferiore o uguale a
quello di capitano - per l'impegno attivo nella missione nel golfo e, nel
!46
1990, l'ormai presidente Bush insignisce Rogers della Legion of merit -
decorazione assegnata, indipendentemente dal grado militare, per condotte
particolarmente meritorie nello svolgimento di missioni e incarichi - per il
suo servizio presso la Vincennes.
Il caso si chiude nel 1996, con un accordo monetario tra Iran e Stati uniti
che sospende il procedimento in corso alla Corte internazionale di giustizia.
L'accordo prevede il versamento da parte del governo di Washington di 132
milioni di dollari, a beneficio delle famiglie delle vittime iraniane (300.000
dollari per le vittime che percepivano un reddito, 150.000 per gli altri,
inclusi i bambini, mentre per le vittime di altre nazionalità gli Stati uniti
conducono trattative separate) e a copertura del costo dell'aereo (circa 70
milioni). Anche in questa occasione il governo americano nega ogni
responsabilità, affermando che si tratta di una donazione (non proprio in
linea con gli indennizzi fissati per le vittime americane di Lockerbie) ex
gratia: un gesto spontaneo, non dovuto. A differenza dell'attentato di
Lockerbie, sebbene in questo caso non esistano dubbi in merito ai
responsabili del crimine internazionale, nessun paese invoca sanzioni contro
gli Stati uniti presso il Consiglio di sicurezza: applicare le procedure della
sicurezza internazionale contro un paese con diritto di veto sarebbe solo una
provocazione formale.
Poi è la volta della Siria. I primi nomi che trapelano dall'inchiesta
scozzese-statunitense riguardano infatti due esponenti del Comando
generale del Fronte popolare di liberazione della Palestina, con forti legami
con i servizi segreti siriani.
Nel 1990 tuttavia lo scenario mediorientale cambia radicalmente con la
decisione americana di attaccare l'Irak. Il casus belli è fornito dall'invasione
del Kuwait da parte dell'Irak nell'agosto 1990. A questo fine, gli Stati uniti
mettono in piedi una larga coalizione, all'interno della quale è cruciale il
ruolo della Siria, e nel gennaio 1991 sferrano l'attacco all'Irak. L'operazione
Tempesta nel deserto.
Solo nel 1991, a più di tre anni dall'attentato, Stati uniti e Scozia indicano
la pista libica. Senza fornire alcuna prova e senza l’avallo della comunitàà
internazionale scattano dunque le sanzioni unilaterali contro la Libia e, in
breve, la storia della responsabilità libica dell’attentato diventa la versione
ufficiale dei media, nonostante le ripetute smentite dei presunti responsabili.
!47
Nel 2011, infine, mentre il trio volenteroso Stati uniti - Francia -
Inghilterra guida l'attacco alla Libia, trapelano esplicite responsabilità della
Cia nell'attentato di Lockerbie. Ma l'attenzione mediatica à ormai tutta
incentrata sulle dinamiche di guerra e sulla demonizzazione di Gheddafi. Al
punto che, sui giornali, la notizia è offuscata dalla dichiarazione del nuovo
primo ministro del Cnt che, pur senza fornire alcun elemento concreto,
dichiara di avere finalmente le prove del coinvolgimento personale di
Gheddafi come mandante della strage di Lockerbie.
!48
Nel frattempo, Gheddafi intensifica i rapporti economici con Cina e
Russia e sviluppa i contatti politici con i paesi europei maggiormente
interessati al petrolio libico. La strategia cinese di espansione economica in
Africa, in particolare, assegna grande importanza agli accordi bilaterali con i
paesi produttori di petrolio, come fonte di approvvigionamento energetico
sul continente. Nel caso della Libia, sono soprattutto le importazioni di
petrolio dai pozzi della Cirenaica a dominare i rapporti commerciali tra i
due paesi. Le esportazioni cinesi in Libia, come in molti altri paesi africani,
riguardano invece principalmente le infrastrutture, le telecomunicazioni e il
trasferimento tecnologico.
In questo contesto, gli Stati uniti perdono gran parte degli interessi
economici derivanti dall'isolamento politico della Libia, il quale rischia a
questo punto di andare interamente a beneficio delle economie emergenti e
dei rivali storici degli Stati uniti. La Libia ha ormai rapporti di amicizia e
collaborazione economica con il Venezuela di Hugo Chavez – il paese con
le maggiori riserve petrolifere al mondo – e assume dunque un ruolo
strategico anche all'interno dell'Opec. A livello politico, Gheddafi svolge
inoltre, in diverse occasioni, un importante ruolo di mediazione in Africa e
sviluppa rapporti solidali nei riguardi dei paesi di ispirazione socialista.
La linea dura delle sanzioni unilaterali perde dunque di efficacia nei
confronti di un paese geograficamente lontano e orientato verso nuovi
partner commerciali. Ma più in generale, sono gli equilibri economici in
Africa, con la rapida ascesa della Cina, a rimettere in discussione il ruolo
della Libia e i suoi rapporti con gli Stati uniti e i paesi del Vecchio
continente.
Sta di fatto che, nel 2004, la diplomazia statunitense cambia
atteggiamento nei riguardi della Libia: dapprima consentendo la fine del
regime sanzionatorio in sede Onu, poi rimuovendo anche le sanzioni
unilaterali Usa.
!49
attribuiti alla Libia, quest'ultima si rivolge alla comunità internazionale
chiedendo a sua volta il risarcimento delle vittime di una cospirazione
internazionale ai suoi danni.
Il caso riguarda cinque infermiere bulgare e un medico palestinese
accusati di per aver deliberatamente infettato col virus dell'Hiv (l'agente
responsabile dell'Aids) più di 400 bambini ricoverati nell'ospedale
pediatrico El Fatih di Bengasi, nel 1998. Secondo l'accusa, i sei imputati
avrebbero agito nel quadro di un'operazione coordinata dalla Cia e dal
Mossad. Secondo la versione della difesa, supportata da prestigiosi medici
occidentali, le accuse sarebbero invece prive di fondamento e l'epidemia
sarebbe addirittura precedente all'arrivo in Libia del personale incriminato.
Il processo presso il Tribunale del popolo di Tripoli si apre il 7 febbraio
2000 e, dopo una lunga procedura, il 6 maggio 2004, porta alla condanna a
morte degli imputati. Il caso riceve ampia visibilità mediatica ed è
accompagnato da iniziative diplomatiche dell'Unione europea e, in
particolare, della Francia, volte a trovare una soluzione politica al problema.
Il 19 dicembre 2006, il ricorso in appello, esaminato dalla Corte suprema di
Tripoli, si chiude tuttavia con la conferma della colpevolezza degli imputati.
Con l'entrata ufficiale della Bulgaria nell'Unione europea, a partire dal 1°
gennaio 2007, aumentano le pressioni internazionali per la liberazione dei
prigionieri e l'Unione europea domanda formalmente la riapertura del caso.
La richiesta è accolta dalla Libia ma, l'11 luglio 2007, la Corte suprema
giunge alla medesima conclusione di colpevolezza e conferma nuovamente
la pena. L'ultima speranza di liberare i prigionieri diventa quindi la grazia:
coerentemente con i precetti islamici, la legge libica prevede infatti che
possano essere accordate misure di clemenza a condizione che le vittime
accettino una compensazione finanziaria a riparazione del danno subito e
che rinuncino alla richiesta di esecuzione dei condannati.
Riprendono dunque vigore le trattative politiche nella ricerca di una
soluzione economica. Già nel 2005, Tripoli e Sofia, sotto l'egida dell'Unione
europea, si erano accordate per istituire un fondo internazionale a beneficio
dei bambini contaminati dal virus, senza tuttavia arrivare ad un'intesa
sull'ammontare dei versamenti.
Le famiglie dei bambini contaminati chiedono 10 milioni di dollari
ciascuna, la stessa cifra fissata dalle autorità anglosassoni come indennizzo
per le vittime degli attentati terroristici attribuiti alla Libia. Il negoziato si
!50
chiude tuttavia fissando il risarcimento a circa un decimo di quanto richiesto
(461 milioni di dollari in tutto).
A seguito dell'accordo, il 24 luglio 2007, la condanna a morte degli
imputati è commutata in ergastolo e le cinque infermiere e il medico (che il
19 giugno ha accettato la cittadinanza bulgara, potendo così beneficiare
della difesa dell'Unione europea) sono estradati in Bulgaria. Appena tornati
in patria, a bordo dell'aereo presidenziale francese, accompagnati dalla first
lady Cécilia Sarkozy, dal segretario generale francese Claude Guean e dalla
commissaria europea Benita Ferrero-Waldner, i sei ergastolani sono graziati
dal Presidente della Repubblica Georgi Parvanov.
Nel lungo negoziato, oltre all'impegno diretto della Francia e dell'Unione
europea risultano decisivi anche il Qatar e la disponibilità a contribuire al
fondo per le famiglie delle vittime da parte dei principali paesi occidentali,
tra cui gli Stati uniti e l'Inghilterra. Sul piano dei risarcimenti, il caso si
chiude con le dichiarazioni contraddittorie del presidente francese Nicolas
Sarkozy, che nega ogni versamento da parte della Francia e dell'Unione
europea, e della commissaria europea Ferrero-Waldner che, il giorno stesso
del rilascio dei prigionieri, assicura che l'Unione europea ha già pagato la
sua quota.
Il risultato politico per la Libia è comunque indubbio: al di là della
quantificazione del danno e della ripartizione delle quote tra i paesi
impegnati nella trattativa, le autorità libiche ottengono una riparazione
finanziaria proprio dai paesi e dalle istituzioni internazionali che, dalla fine
degli anni Novanta, avevano posto come condizione per la riabilitazione
della Libia nella comunità internazionale il pagamento dei danni alle vittime
degli attentati terroristici che i paesi occidentali stessi avevano attribuito alla
Libia.
Sebbene apparentemente slegati, l'affare Lockerbie e quello delle
infermiere bulgare rappresentano due casi simmetrici nelle trattative
diplomatiche per il reintegro economico della Libia nelle relazioni
internazionali. Sul piano giuridico, in entrambi i casi, esistono forti dubbi
sulla correttezza delle procedure seguite e sul reale fondamento delle
accuse. Nei due casi, le trattative si chiudono infatti con il rifiuto delle parti
di assumere la responsabilità politica dei crimini a loro attribuiti. La
pacificazione dei rapporti è tuttavia resa possibile dalla scelta della
!51
diplomazia internazionale di condurre la trattativa in termini essenzialmente
economici.
***
***
!52
l'assedio israeliano di Gaza ai campi nazisti e per aver difeso la legittimità
della resistenza del popolo palestinese. Dopo lo scoppio delle ostilità contro
la Libia, il 5 marzo 2011, Gheddafi lo nomina rappresentante permanente
alle Nazioni unite, in sostituzione dell'ambasciatore Abdel Rahman
Shalgham, una delle prime figure di spicco a tradire il suo governo,
nominato il medesimo giorno emissario all'Onu da parte del Cnt.22
Accanto alla Presidenza dell'Assemblea generale dell'Onu, nel 2009, la
Libia ottiene anche la presidenza dell'Unione africana. Dal 2 febbraio 2009
al 31 gennaio 2010, l'Unione è infatti guidata direttamente da Gheddafi, il
quale forza per un'accelerazione nel processo di integrazione economica e
politica del continente nero e per una maggior peso politico dell'Unione
africana nel contesto delle istituzioni internazionali.
Con queste premesse, il 23 settembre 2009, Gheddafi si presenta per la
prima volta all'Assemblea generale delle Nazioni unite, dove tiene un
discorso dai toni duri nei confronti del colonialismo e delle istituzioni
internazionali che dovrebbero garantire la pace nel mondo. L'intervento di
Gheddafi è preceduto da quello di Obama, presidente degli Stati uniti, il
quale abbandona l'aula, assieme al Segretario di Stato americano Illary
Clinton, prima che Gheddafi prenda la parola.
Il discorso di Gheddafi si apre proprio con un attacco all'Onu, alla sua
struttura organizzativa e al suo modo di operare. "Questa non è infatti una
riunione ordinaria … stiamo per mettere le Nazioni unite sotto processo, la
vecchia organizzazione non ci sarà più e ne emergerà una nuova". Secondo
il capo rivoluzionario alla guida dell'Unione africana, gli articoli della Carta
!53
delle Nazioni unite che definiscono il modus operandi dell'Onu
contraddicono apertamente i principi di uguaglianza tra nazioni sanciti nel
preambolo. I seggi permanenti di Stati uniti, Russia, Francia, Regno unito e
Cina presso il Consiglio di sicurezza, cui si collega l'ulteriore privilegio del
diritto di veto, violano apertamente i principi di uguaglianza e non sono
dunque riconosciuti come legittimi dalla Libia. Il ruolo solo consultivo
dell'Assemblea delle Nazioni unite - che comprende 192 paesi - e la
concentrazione dei poteri decisionali all'interno del Consiglio di sicurezza -
formato da soli 15 paesi - offendono la democrazia e l'uguaglianza.
Le superpotenze usano il diritto di veto solo per difendere i loro interessi.
Da quando esistono l'Onu e il Consiglio di sicurezza, osserva Gheddafi,
"sessantacinque guerre di aggressione hanno avuto luogo senza che le
Nazioni unite facessero nulla per impedirle. Altre otto enormi e feroci
guerre, le cui vittime ammontano a circa due milioni, sono state intraprese
dagli Stati membri che godono di poteri di veto. I paesi che vorrebbero farci
credere che cercano di mantenere la sovranità e l'indipendenza dei popoli, in
realtà usano la forza di aggressione contro i popoli". Il Consiglio di
sicurezza, nella sua storia, "non ha fornito sicurezza, ma solo terrore e
sanzioni".
La proposta concreta è quindi di riformare l'Onu attraverso il voto a
maggioranza dell'Assemblea generale, senza tener conto di alcun altro
organo, e rendere il Consiglio di sicurezza un semplice organo esecutivo
dell'Assemblea generale. Un ribaltamento totale nei rapporti tra i due
organismi, ispirato al modello dell'Unione africana, in cui tutti i poteri
decisionali si concentrano nell'Assemblea - composta dai capi di stato e di
governo di tutti i paesi dell'Unione - e a questa rispondono il Consiglio di
pace e di sicurezza e ogni altro Consiglio o Comitato dell'Unione. Parlando
a nome degli esclusi, Gheddafi afferma che "allo stato attuale, il Consiglio
di sicurezza è la sicurezza del feudalesimo, un feudalesimo politico per
coloro che hanno seggi permanenti, che proteggono e che usano contro di
noi. Non dovrebbe essere chiamato Consiglio di Sicurezza, ma Consiglio
del Terrore". Gheddafi invita quindi a "non rispettare le regole e le
risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite perché, nella sua
forma attuale, è antidemocratico, dittatoriale e ingiusto". Le sue "risoluzioni
sono utilizzate esclusivamente contro di noi e non contro le superpotenze
che hanno i seggi permanenti e il diritto di veto".
!54
La sede stessa dell'Onu andrebbe trasferita. Gli Stati uniti sono nel
mirino dei terroristi e hanno tutto il diritto di prendere le misure di sicurezza
che ritengono. Tuttavia, diverse delegazioni hanno incontrato problemi a
causa delle restrizioni unilaterali imposte dagli Stati uniti e dei criteri
discrezionali utilizzati per il rilascio del visto: "se un paese ha problemi con
gli Stati uniti, questi pongono restrizioni ai movimenti dei delegati come se
si fosse a Guantanamo". Esistono molti posti sicuri al mondo e il quartier
generale delle Nazioni unite potrebbe essere spostato a rotazione in paesi
che non hanno relazioni ostili con nessuno, come la Libia o l'Austria. Anche
in questo caso, secondo Gheddafi, è sufficiente che l'Assemblea generale -
unico organo veramente democratico in seno all'Onu - voti una simile
proposta e che la maggioranza assoluta si esprima in modo favorevole.
Il secondo tema dell'intervento di Gheddafi riguarda il colonialismo.
Secondo le stime che riporta, i danni causati dalle potenze coloniali nei
confronti dell'Africa ammontano a 777.000 miliardi di dollari. Solo la
compensazione di questi danni, accompagnata dall'assunzione della
responsabilità politica del colonialismo, può disincentivare le potenze
coloniali dal commettere nuovi crimini. L'Italia ha già offerto ufficialmente
le sue scuse per la colonizzazione della Libia, ha promesso di non attaccare
il popolo libico da terra, aria o mare e ha accettato di pagare 250 milioni di
dollari l'anno, per 20 anni, per costruire un ospedale che curi le vittime delle
mine lasciate sul suolo libico durante la seconda guerra mondiale.
L'intervento di Gheddafi prosegue con la critica delle aggressioni
imperialistiche perpetrate dalle potenze occidentali con o senza l'avallo
dell'Onu, con la denuncia delle violazioni dei diritti umani da parte dei paesi
che si vorrebbero garanti della pace nel mondo e con la richiesta di aprire
specifiche inchieste sui crimini commessi. Gheddafi ricorda, in particolare,
la guerra di Corea, in cui si è sfiorato l'uso di armi nucleari; l'attacco di
Israele, Francia e Regno unito all'Egitto, colpevole di voler nazionalizzare il
canale di Suez; la guerra del Vietnam, in cui gli Stati uniti in 12 giorni
sganciarono più bombe che durante la seconda guerra mondiale; l'invasione
di Panama e la reclusione del suo presidente, divenuto scomodo agli Stati
uniti; l'aggressione di Grenada, la minuscola isola nei Caraibi, attaccata in
forze dal più potente esercito del mondo per aver intrapreso una svolta
socialista poco gradita agli Stati uniti; il bombardamento della Somalia; le
guerre di disgregazione dell'ex Iugoslavia, un paese costruito su principi
!55
socialisti e pacifici; la guerra in Iraq, la madre di tutti i mali, costata la vita a
un milione e mezzo di iracheni e al loro presidente, impiccato da uomini
mascherati in un contesto di evidente violazione del diritto internazionale,
dopo lo scandalo delle torture compiute dalle truppe americane nel carcere
di Abu Ghraib; la guerra ai Talebani in Afganistan, in nome della caccia a
Bin Laden, presunto responsabile degli attentati contro obiettivi statunitensi,
il quale tuttavia non è né talebano né afgano. Su tutte queste vicende, vicine
e lontane, le Nazioni unite dovrebbero avviare specifiche inchieste e
individuare le responsabilità dei paesi aggressori.
L'intervento di Gheddafi si chiude ricordando che la presidenza libica
dell'Assemblea è l'occasione per avviare una vera "transizione da un mondo
pieno di crisi e di tensioni verso un mondo in cui l'umanità, la pace e la
tolleranza possano prevalere … Non è nostra abitudine cercare il
compromesso quando si tratta del destino dell'umanità, delle lotte del Terzo
mondo e delle cento piccole nazioni che dovrebbero vivere sempre in pace".
Il lungo discorso del leader rivoluzionario non è affatto una mera
dichiarazione di principio. Subito dopo prende infatti la parola il presidente
della Repubblica dell'Uganda, il quale prima di entrare nel merito del suo
intervento, fa propria la proposta di riforma dell'Onu, insistendo, in
particolare, sui criteri di rappresentanza all'interno del Consiglio di
sicurezza e sulla necessità di un ruolo maggiore dell'Unione africana.
Ma la presidenza annuale dell'Assemblea generale delle Nazioni unite e il
sostegno africano e di molti altri paesi non sono sufficienti a portare a
termine un processo di riforma avviato da anni, in cui si intrecciano tuttavia
interessi divergenti da parte delle grandi potenze. Queste ultime sono infatti
intenzionate soprattutto ad allargare il Consiglio di sicurezza, nella ricerca
di equilibri internazionali a loro favorevoli, e non hanno alcun interesse nei
confronti di una democratizzazione reale di questo organismo, né di una
partecipazione paritetica di tutte le nazioni alla causa della pace nel mondo.
Nonostante la presidenza della Libia, l'Assemblea generale non riesce a
portare in votazione alcun progetto compiuto di riforma del Consiglio di
sicurezza. Al discorso di fine mandato, il 13 settembre 2010, Treki ribadisce
con forza l'urgenza di una riforma, insistendo - anche se con toni
indubbiamente più diplomatici - proprio sugli argomenti sviluppati da
Gheddafi. Ma deve cedere il testimone al suo successore accontentandosi di
un risultato solo politico, non anche normativo.
!56
Si chiude così la presidenza libica dell'Assemblea generale dell'Onu:
l'atteggiamento politico della Libia nei rapporti con le grandi potenze è più
chiaro che mai e i paesi interessati alla democratizzazione delle istituzioni
internazionali hanno un referente disposto ad esporsi in prima linea. Ma il
Consiglio di sicurezza resta nelle mani dei cinque grandi, pronto per essere
utilizzato, dopo pochi mesi, proprio contro la Libia. Se, en passant, nel suo
discorso alle Nazioni unite, Gheddafi aveva ipotizzato, per assurdo, un
attacco libico contro la Francia, come esempio evidente della necessità di un
intervento Onu in difesa del paese aggredito, di lì a breve sarà proprio la
Francia a premere sull'acceleratore di un'aggressione militare, non solo
ipotetica, contro la Libia. E se Gheddafi si indignava per il trattamento
riservato al presidente dell'Irak, torturato, processato senza tutele e
giustiziato davanti al mondo da uomini senza volto, i ribelli e le forze di
pace dell'Onu riserveranno a lui ben altra fine, privandolo persino di un
processo e di un funerale.
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L'impennata dei prezzi agricoli degli anni 2000, indicata da molti analisti
come una delle cause economiche della Primavera araba, è un fenomeno che
non tocca direttamente il popolo libico. Anzi, l'alto prezzo del petrolio che
accompagna l'impennata dei prezzi agricoli aumenta significativamente il
valore delle esportazioni, generando ampi avanzi di bilancio nei conti dello
Stato e facilitando il compito del governo di sovvenzionare i beni e i servizi
ritenuti essenziali. Ma vediamo, con l'ausilio dei dati disponibili, come si
presentava la Libia alla vigilia dell'insurrezione e dei bombardamenti.
Secondo i dati della Banca africana di sviluppo, della Commissione
dell'Unione africana e della Commissione economica per l'Africa, nel 2010,
il prodotto interno lordo (Pil) della Libia era pari a 69,82 miliardi di
dollari.23 Con una popolazione di circa sei milioni e mezzo di abitanti, il Pil
procapite risultava pari a 10.987 dollari, il secondo in Africa, dietro la
Guinea equatoriale (17.684 dollari), ben al disopra della media africana di
1.669 dollari. Come termine di paragone rispetto ai paesi africani che hanno
dato il via alle rivolte del 2011, la Tunisia e l'Egitto nello stesso periodo
avevano un Pil procapite pari a 4.330 e 2.656 dollari rispettivamente.
Sul fronte dell'inflazione, negli anni 2000, la Libia è l'unico paese
africano a non sperimentare alcun aumento significativo dei prezzi. Ponendo
pari a 100, l'indice dei prezzi al consumo del 2000, nel 2010 l'indice libico è
pari a 100,2 contro una media nell'intero continente di 211,7 (in Tunisia ed
Egitto l'indice è pari a 139,2 e 219,6 rispettivamente).
Le finanze pubbliche della Libia erano particolarmente solide. Nel 2010,
l'avanzo di bilancio (la differenza tra entrate dello stato e spesa pubblica) era
pari al 10,7 per cento del Pil, secondo solo a quello del Congo, pari a 42,1
per cento del Pil. La maggior parte dei paesi africani aveva invece un saldo
di bilancio negativo, con un deficit per l'intero continente pari al 3,5 per
cento del Pil complessivo.24
Nei rapporti con l'estero, nel 2010, la Libia presentava un forte surplus
delle esportazioni sulle importazioni, con un attivo di bilancia commerciale
pari al 32,9 per cento del Pil (la media africana era del 2,8 per cento).
!58
Considerando anche i redditi netti (la differenza tra i redditi percepiti sugli
investimenti all'estero e i redditi pagati sugli investimenti stranieri in patria)
e i trasferimenti correnti, la Libia risultava il paese africano con il maggiore
attivo nella bilancia delle partite correnti rispetto al Pil, pari al 28,4 per
cento, contro una media africana dello 0,5 per cento.
I risultati economici della Libia si accompagnavano a progressi
importanti anche sul piano sociale. Nel periodo 2007-09, il tasso di
alfabetizzazione giovanile (riguardante la popolazione di età compresa tra i
15 e i 24 anni), era pari a 99,9 per cento, il più alto in Africa (media
africana: 73,5 per cento). Il tasso di mortalità infantile, nel 2010, era pari a
16,9 per 1000, il più basso nel continente, dietro a quello delle Mauritius
(pari al 14,0 per mille), con una media africana pari a 78,6 per mille.25
Anche considerando la mortalità nei primi 5 anni di vita, la Libia presentava
il secondo dato più basso (18,3 per mille), dietro le Mauritius (17,0 per
mille), con una media continentale del 127,2 per mille. La mortalità materna
nel 2008 era infine pari a 64,0 per 100.000, superiore solo a quella delle
Mauritius (36,0 per 100.000) e della Tunisia (60.0 per 100.000), con una
media africana pari a 530,2 per 100.000.
Anche i dati delle Nazioni unite evidenziano la peculiarità libica in
Africa. Nel 2010, l'indice di sviluppo umano – che sintetizza diversi indici
di durata di vita, condizioni sanitarie, istruzione e qualità della vita – era
infatti pari 0,770 (contro una media dei paesi arabi pari a 0,639 e una media
mondiale pari a 0,679), un valore che collocava la Libia al 54° posto
mondiale, unico stato africano nel gruppo dei paesi ad alto indice di
sviluppo umano. Nel 2011, tuttavia, a seguito degli scontri interni e
dell'intervento esterno in nome dei diritti umani, la Libia è già scivolata al
64° posto, con un indice pari a 0,760 e una perdita di dieci punti sull'anno
precedente (in tutto il mondo, solo altri tre paesi sperimentano una
regressione nel valore dell'indice: la Grecia, il Madagascar e la Costa
d'Avorio, ciascuno dei quali perde un punto rispetto al 2010).26
!59
Corruzione e scontri di potere nel governo libico
***
Le risorse idriche
***
***
!60
Libia si accompagna a forti surplus commerciali, derivanti dalle
esportazioni di petrolio, accompagnati da altrettanto ingenti avanzi nel
bilancio dello stato, essendo quest'ultimo proprietario dell'industria
petrolifera.
Nella gestione di un paese con queste caratteristiche, il problema di
politica economica si presenta in termini simmetrici rispetto a quanto accade
nei paesi indebitati. La Libia non conosce problemi di debito pubblico, né
ha un mercato dei titoli di stato. Semmai, storicamente, la Libia ha dovuto
gestire un "problema" di credito pubblico. Infatti, il sistema di tassi di
interesse, che nei paesi indebitati tende a generare un circolo vizioso con la
necessità di ricorrere a nuovi indebitamenti per pagare gli interessi sul
debito, nel paesi creditori produce invece un circolo virtuoso, con nuove
entrate di carattere finanziario (in forma di interessi, dividendi e altre rendite
finanziarie) che si aggiungono a quelle derivanti dalle esportazioni. In Libia
non esistono quindi i consueti problemi di collocamento dei titoli del debito
pubblico che attanagliano i paesi occidentali semplicemente perché non
esiste il debito pubblico.
In queste condizioni, il vero problema consiste nel far fruttare i capitali
ottenuti dalla vendita del petrolio, garantirsi un'adeguata rendita finanziaria
e indirizzare i proventi della rendita petrolifera e finanziaria verso progetti
economici utili a fini politici interni e internazionali. Questa è la
caratteristica fondamentale attorno alla quale si è strutturato il sistema
economico-finanziario della Liba.
Trattandosi inoltre di un paese di ispirazione socialista, le istituzioni
bancarie e finanziarie sono tutte di proprietà dello stato e la loro politica è
subordinata alle disposizioni del Ministero della pianificazione economica.
Solo negli anni recenti, in particolare a partire dal 2007, la Libia ha avviato
la privatizzazione di alcune banche commerciali, incontrando subito
l'interesse delle grandi banche internazionali. A differenza della maggior
parte dei paesi capitalistici, lo stato libico ha però mantenuto il pieno
controllo della Banca centrale e delle altre istituzioni finanziarie di interesse
nazionale, nonché una gestione pianificata e centralizzata dell'economia.
!61
Il petrolio
***
La Banca centrale
***
!62
esportazioni petrolifere. Le entrate della Lia sono infine alimentate, di anno
in anno, da una quota dei proventi delle esportazioni petrolifere, oltre che
dagli interessi e dai dividendi maturati sui fondi investiti sui mercati
internazionali.
In linea con una tendenza globale che si è affermata tra molti fondi
sovrani a partire dagli anni 2000, la Lia non guarda solo al rendimento
finanziario ma opera in modo strategico acquisendo partecipazioni in
banche e imprese economicamente e politicamente rilevanti, pretendendo
anche un'adeguata rappresentanza negli organi decisionali. In effetti,
l'abbassamento dei tassi d'interesse a livello mondiale a partire dal 2000 ha
portato molti fondi sovrani ad abbandonare la politica quasi passiva di
acquisto dei titoli di stato come piazzamento puramente finanziario dei
propri fondi, in favore di una politica più attiva espressamente definita sulla
base di obiettivi politici oltre che economici.
Nel 2008, la Lia è tra i primi firmatari dei Santiago principles, un
insieme di principi voluti dal Gruppo di lavoro internazionale dei fondi
sovrani (International working group of sovereign wealth funds) in
collaborazione col Fondo monetario internazionale per garantire particolari
criteri di investimento, di contabilità e di trasparenza nella gestione dei
fondi sovrani. In qualità di agenzie governative, infatti, i fondi sovrani
rispondono unicamente alle esigenze strategiche nazionali e non sono
soggetti ad alcun obbligo internazionale, come avviene invece per i fondi
privati. Per questo, l'adesione a standard internazionali di comportamento
non può che avvenire su base volontaria. Nel caso della Libia, la scelta di
sottoscrivere i Santiago principles e di rendere note le principali scelte
allocative è soprattutto frutto della volontà di accreditarsi come interlocutore
affidabile nei circoli finanziari internazionali. Una scelta tutt'altro che
dovuta, adottata solo da una minoranza di paesi, anche perché la maggior
parte dei fondi sovrani di una certa consistenza, per ragioni di sicurezza e di
efficacia delle proprie strategie finanziarie, non rende noti i dettagli dei
propri investimenti esteri, né i propri partner finanziari.
Nel documento ufficiale di istituzione dei Santiago priciples, il Gruppo
internazionale di lavoro descrive la Lia come un ente con l'autorità, le
infrastrutture e i capitali necessari a conseguire il suo mandato, consistente
nel realizzare investimenti a beneficio dello stato libico e dei suoi cittadini.
La gestione del fondo sovrano, prosegue il rapporto, è affidata a manager di
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reputazione internazionale: accanto ai rappresentanti governativi - tra cui, il
Primo ministro, il Governatore della Banca centrale e il Ministro della
pianificazione - la direzione del fondo è affidata ad esperti finanziari libici e
a consulenti stranieri. Sul piano della trasparenza, il rapporto si rallegra
infine della decisione di pubblicare un rapporto annuale, in arabo e in
inglese, sulle scelte finanziarie del fondo.27
Con lo scoppio delle ostilità contro la Libia, nel 2011, il giudizio della
comunità internazionale sulla trasparenza della Lia si ribalta. Nelle
principali sedi politiche e negli organi di informazione, il fondo sovrano
libico è dipinto come inefficiente, poco incline ad uniformarsi alla logica
della finanza internazionale e governato da interessi politici - se non
addirittura dagli interessi personali di Gheddafi - invece che da puri obiettivi
di massimizzazione della rendita finanziaria. Addirittura, la mancanza totale
di trasparenza e l'intreccio di interessi personali in seno agli organi
decisionali della Lia impedirebbero alla direzione stessa di conoscere con
precisione la destinazione degli investimenti effettuati.
La società Prequin, specializzata nell'analisi dei fondi sovrani, nel
rapporto del 2012 presenta la Lia come uno dei fondi sovrani meno
trasparenti al mondo, dovendo però riconoscere che la Lia è tra gli 11 fondi
sovrani, sui 64 esistenti, che forniscono pubblicamente, almeno in parte, dati
sulle proprie partecipazioni in società quotate.
La scarsa trasparenza di questi giganti della finanza mondiale è
comunque un dato da tenere presente quando si operano confronti
internazionali o quando si voglia stimare il loro valore complessivo e l'esatta
collocazione dei loro investimenti. Secondo le stime fornite da Prequin, nel
2011, i fondi della Lia avevano un valore di circa 70 miliardi di dollari, che
la collocavano al quattordicesimo posto nella classifica mondiale dei fondi
sovrani (preceduta da due fondi degli Emirati arabi uniti, tre fondi cinesi,
due di Singapore e i fondi di Norvegia, Hong Kong, Kuwait, Russia, Qatar e
Australia) e al primo posto in Africa.28 A seguito del conflitto, del sequestro
dei fondi governativi e della nuova gestione imposta dopo lo sblocco a
beneficio del Cnt, nel 2012, la Lia, in netta controtendenza rispetto agli altri
!27 Sovereign wealth funds: Generally accepted principles and practices, "Santiago
principles", International working group of sovereign wealth funds, October 2008.
28 Prequin sovereign wealth fund review, New york: Prequin Ltd, 2011.
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fondi sovrani, ha tuttavia già perso più del 7% del suo valore, attestandosi
sui 65 miliardi di dollari, e scivolando al secondo posto in Africa. Al primo
posto sale infatti il fondo sovrano algerino, il Revenue regulation fund, del
valore stimato di 70 miliardi di dollari (con un aumento del 17% rispetto al
2011), il quale tuttavia non fornisce alcun dato circa l'allocazione per
settore, per tipo di investimento o per area geografica.29
Nel caso della Lia, secondo i dati del rapporto Preqin 2012, circa 11,8
miliardi di dollari sono collocati in partecipazioni azionarie, 9,7 miliardi in
obbligazioni (per lo più in titoli del debito pubblico statunitense) e 4
miliardi in derivati e hedge fund. L'immobiliare costituisce un altro settore
importante di investimento (soprattutto in Inghilterra), di cui tuttavia
Prequin non è in grado di fornire stime precise. Una quota significativa dei
fondi della Lia, pari a 29,5 miliardi di dollari, è infine tenuta in forma
liquida. A livello geografico, il 65% degli investimenti della Lia si indirizza
in Nord Africa, il 20% in Asia e il 15% in Europa e Nord America. Tra i
paesi europei, i principali destinatari dei fondi della Lia sono l'Italia e
l'Inghilterra.30
Accanto all'obiettivo di far fruttare i fondi accantonati di anno in anno
grazie alle esportazioni di petrolio, la gestione della Lia persegue obiettivi
sociali ed economici interni e internazionali: partecipa, assieme alla Banca
centrale, alle strategie di sviluppo economico dei paesi più vicini
politicamente alle scelte libiche e al processo di unificazione economica
africana, investe per conto del governo nell’agricoltura, nell’immobiliare,
nelle infrastrutture e nel petrolio e gestisce vari fondi con obiettivi mirati,
come l’Economic and Social Development Fund, che opera contro la
povertà.
29 Prequin sovereign wealth fund review, New york: Prequin Ltd, 2012.
30 Con questa distribuzione geografica, il valore complessivo dei fondi della Lia congelati
in America e in Europa dovrebbe essere di circa 9,75 miliardi (il 15% di 65 miliardi). È
inoltre improbabile che
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13. IL RIASSETTO INTERNAZIONALE
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CONCLUSIONI
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LA CONQUISTA DELLA LIBIA: CRONOLOGIA
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10 marzo: il Consiglio dell’Unione europea estende il regime
sanzionatorio ai fondi governativi.
27 marzo: gli Stati uniti cedono il comando delle operazioni belliche alla
Nato.
29 marzo: il Cnt chiede che una parte dei fondi governativi libici sotto
sequestro all'estero sia accreditata alla Banca centrale di Bengasi e,
parallelamente, con il consenso Usa e un accordo col Qatar, riprende la
vendita di petrolio sui mercati internazionali.
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27 luglio: il Regno unito riconosce la legittimità del Cnt.
16 settembre: voto favorevole delle Nazioni unite alla legittimità del Cnt.
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