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IL TESTAMENTO DI

GIOVANNI FALCONE

Un viaggio nel regno degli uomini d'onore.

Cosa Nostra vista con gli occhi del suo nemico più pericoloso.

A cura di Ignazio Angelo Pisanu


2

Nel 1991 Falcone è nominato direttore degli Affari Penali al ministero di Grazia e Giustizia a
Roma. Si allontana dunque da Palermo. Il 21 Giugno 1989 cinque candelotti di tritolo sono trovati
a pochi metri dalla casa dove trascorreva le vacanze.
‹‹È vero, non mi hanno ancora fatto fuori… Ma il mio conto con Cosa Nostra resta aperto. Lo
salderò solo con la mia morte, naturale o meno››. 1 Buscetta: ‹‹Cercheranno di uccidere me, poi
verrà il suo turno. Fino a quando ci riusciranno››. Come predispone gli interrogatori Falcone?
Il giudice non deve chiedere né dire mai troppo. I mafiosi vivono in un mondo dove è necessario
decifrare continuamente codici e messaggi. Falcone entra prepotentemente nell’universo di Cosa
Nostra. Per questo è schivo e avaro di parole. Ogni parola può avere una grande valenza.
L’ossatura di Cose di Cosa Nostra sono 20 interviste della giornalista francese Marcelle Padovani a
Giovanni Falcone. Nel saggio edito da Rizzoli emerge come il magistrato non perse mai la speranza
di una vittoria. Il ministero che dovrebbe sostenerlo è opaco. Le logiche della ‘politica politicante’,
il machiavellismo dei palazzi romani, non l’hanno mai fatto desistere dall’idea che lo stato ha i
mezzi per sconfiggere la mafia.
Nasce in una famiglia borghese e conservatrice che abita al cento di Palermo. Suo padre è
funzionario provinciale. Si vantava di non aver mai messo piede in un bar in tutta la vita. Sua
madre, donna molto religiosa, lo educa al cattolicesimo e lo introduce alla vita della chiesa. Da
ragazzino è afflitto da un dubbio: ‹‹sarà medico o magistrato››2? Fa domanda di iscrizione alla
facoltà di giurisprudenza di Palermo e all’accademia navale. Alla fine opta per l’università.
‹‹Appartengo a quella categoria di persone che pensa che ogni azione debba essere portata a
termine. Non mi sono mai chiesto se affrontare o no un certo problema ma come affrontarlo3››.
La formazione giovanile del giudice comprende diritto civile e penale, poi iniziò a occuparsi ai
processi contro la mafia. Pensava infatti: ‹‹e come può essere altrimenti, in Sicilia, con chi è
coerente con se stesso››4? E ancora: ‹‹La paura di morire mi accompagna ovunque. Ma come dice
Montaigne, diventa presto una seconda natura›› 5. Rispose sempre con sincerità e originalità alle
domande dei giornalisti. Curava la sua sicurezza pianificando, calcolando, evitando abitudini
ripetitive, evitando situazioni non monitor-abili e controllabili. Con i colleghi del pool antimafia
trascorreva i pomeriggi afosi d’agosto a scrivere i propri necrologi da pubblicare sul giornale di
Sicilia. La sua idea è che lo Stato è un entità reale e non immaginaria, dunque deve essere
preservato per il bene e la sicurezza comuni. Cercando di applicare la legge, Falcone diventa un
personaggio scomodo, un giudice che da fastidio, un eroe irritante.
1
Cose di Cosa Nostra, G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 2008, cit., p. 10.
2
Ivi cit., p. 14.
3
Ibidem cit., p. 14.
4
Ibidem cit., p. 14.
5
Ivi, cit., p. 15.
3

Falcone è un gran lavoratore, un faticatore con memoria da elefante. Sa sfruttare intelligentemente


la polizia. Organizza efficacemente la sua sicurezza personale. Si circonda di persone qualificate .
Non intraprende azioni, soprattutto poliziesche, se non è certo della vittoria. Pizza Connection, Iron
Tower, Pilgrim e maxiprocesso. Sono le azioni che dimostreranno l’efficacia del suo metodo. Nella
interviste ai mafiosi non è permesso nessun tu, nessun insulto, deve passare l’idea che essi si
trovano dinanzi allo Stato. Falcone è un siciliano immerso nella cultura mafiosa, ne conosce il
lessico e i simboli. Sa usare i gesti che spesso sostituiscono le parole. Anche se sono criminali,
impara a rispettare i mafiosi, tanto che questi nella maggioranza dei casi gli mostrano stima e
rispetto.

Signor giudice, non ho avuto il tempo di dirle addio. Desidero farlo ora. Spero che continuerà la
sua lotta contro la mafia con lo spirito di sempre. Ho cercato di darle il mio modesto contributo, senza
riserve e senza menzogne. Una volta ancora sono costretto a emigrare e non credo di tornare mai più in
Italia. Penso di avere il diritto di rifarmi una vita e in Italia non è possibile. Con la massima stima,
Antonino Calderone6.

Non sono pochi coloro che si chiedono se Cosa Nostra avesse ‘stregato’ Falcone.
In ogni caso è colui che meglio sa combatterla perché la conosce e la comprende. Allo stesso tempo
– strano per un fanatico dello stato – si erge a protezione dei pentiti a cui la mafia uccide mogli,
figli, parenti, amici, per vendetta. Lo stato fino al 16 Marzo 1991 – data di applicazione del decreto
legge finalizzato alla protezione dei collaboratori di giustizia e dei loro congiunti – non tutela
legalmente né effettivamente i pentiti a rischio di vendetta. Molti infatti, pur pentendosi, non
testimoniano per paura della reazione di Cosa Nostra. Un Falcone che si erge monumento dello
stato ma anche protettore dei diritti dell’uomo e custode della giustizia. Due capisaldi che neanche
lo Stato che con tanto fervore rappresenta può intaccare. Che cos’è la mafia per il giudice? È un
sistema economico che gestisce attività illecite per trarne profitto. È un’organizzazione criminale
che fa uso e abuso dei tradizionali valori siciliani. In un mondo dove il concetto di cittadinanza si
indebolisce o screma, il cittadino si trasforma in membro e soggetto di clan e famiglie. In questo
contesto l’associazione mafiosa ha un futuro assicurato. Cosa Nostra ha anche un contenuto
politico. Per i suoi ministri e i suoi adepti è un’alternativa al sistema democratico ma: che pericolo
rappresenta per la democrazia?

I. Violenze

6
Ivi, cit., p. 17.
4

La forza della Mafia trae origine dal monopolio della violenza. Per esercitare la violenza sono
necessarie armi e le organizzazioni malavitose ne posseggono in grandi quantità. Le armi usate da
Cosa Nostra possono dare molti indizi a chi studia e combatte gli uomini d’onore. La vecchia
Lupara di origine contadina sta passando di moda: Kalashnikov, Bazooka e lanciagranate entrano di
prepotenza nell’arsenale delle famiglie mafiose. Questo è un evidente segnale della pericolosità e
della straordinaria capacità di adattamento di una mafia che non teme la modernizzazione ma anzi
la comprende e la sfrutta a suo vantaggio. Carlo Alberto Dalla Chiesa e il boss Salvatore Inzerillo
perirono falciati da raffiche di Kalashnikov.
La Mafia usa solo armi da fuoco o anche altri mezzi?
Indiscrezioni interne all’organizzazione riferiscono di un episodio avvenuto durante la ‘grande
guerra’ di mafia7, nel Novembre del 1982. Il boss Rosario Riccobono della famiglia di Partanna
Mondello perì – con tutto il suo stato maggiore – durante un banchetto a causa di un
avvelenamento. In uno dei tanti interrogatori a Tommaso Buscetta, Giovanni Falcone chiese al
pentito delucidazioni sul presunto avvelenamento di Riccobono e dei suoi compari. Buscetta,
implacabile, rispose: ‹‹Ma lei crede davvero che i mafiosi siano così ingenui? Che un boss come
Riccobono si porti dietro a un incontro tutto il suo stato maggiore››. 8 L’affermazione di Buscetta è
pregna di significato. Il ‘boss dei due mondi’ intese spiegare chiaramente come il veleno non sia
un’arma tipicamente usata dalla mafia e che questo tipo di attentati non siano ricorrenti. Quel che è
certo è che Riccobono non morì di morte naturale, che anche i suoi collaboratori più stretti furono
assassinati quasi simultaneamente e che i Corleonesi furono mandanti ed esecutori della strage. La
straordinaria abilità di questi ultimi portò la polizia sulla cattiva strada: Buscetta fu ritenuto il
responsabile del delitto e le forze dell’ordine si misero, sbagliando, sulle sue tracce.
Si sbaglierebbe se si pensasse che la mafia uccide più o meno crudelmente a seconda della gravità
della colpa di chi deve essere punito. Il metodo preferito resta la Lupara Bianca. Uccidere col
metodo della Lupara Bianca vuol dire compiere un omicidio in maniera discreta e silenziosa,
preferibilmente senza spargimento di sangue. Questa prassi prevede solitamente lo strangolamento
della vittima in un luogo appartato. Come spiega il pentito Francesco Marino, ci vogliono tanti
uomini e tanta forza per strangolare un uomo e spesso il supplizio dura più di dieci minuti.
Un altro metodo diffuso e l’incaprettamento. Il malcapitato viene legato con le mani e i piedi stretti
dietro la schiena - proprio come si lega un capretto – e con la corda stretta intorno al collo in modo
che si strangoli da solo nel tentativo di liberarsi. Per quanto possa sembrare assurdo questa non è
una tecnica che ha come scopo l’uccidere cruentemente. L’incaprettamento permette infatti di
7
Si tratta della seconda guerra di mafia che contrappose i corleonesi al boss palermitano Stefano Bontate. Il
conflitto insanguinò la Sicilia nel biennio 1981-1983 e si concluse con la vittoria dei corleonesi.
8
Cose di Cosa Nostra, G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 2008, cit., p. 25.
5

trasportare facilmente il cadavere nel portabagagli di un’automobile. A volte Cosa Nostra compie
omicidi spettacolari e truculenti, come quello del cantante Pino Marchese, trovato morto con i
testicoli mozzati e inseriti in bocca. Quale fu la colpa di Marchese? L'aver intrattenuto una relazione
con la moglie di un uomo d'onore. In ogni caso la mafia quando deve uccidere lo fa nel modo più
discreto e pragmatico possibile. L’imperativo categorico è quello di non lasciare prove, di agire
nell’ombra, di nascondere mandanti e omicidi, di evitare una diffusione di notizie. Proprio per
questo, e non per crudeltà, spesso i cadaveri dei morti son sciolti nell'acido, bruciati, coperti con la
calce viva o seppelliti in boschi e campagne. Come spiega il giudice Falcone la Mafia non uccide
mai gratuitamente. L’assassinio rappresenta ‘l’extrema ratio’, l’ultima soluzione attuabile quando le
misure intimidatorie e preventive non bastano più. Un uomo d’onore non può sottrarsi all’ordine di
uccidere se vuole restare in vita. Il codice non scritto di Cosa Nostra è fondato sulla logica
dell’obbedienza: chi riceve un ordine dall’organizzazione deve eseguirlo senza batter ciglio. Chi fa
bene il suo compito ha una carriera assicurata. Eppure qualcuno rappresentò l’eccezione alla regola:
il boss Antonino Salamone, riuscì (con uno stratagemma) a evadere l’ordine di uccidere Buscetta.

Secondo Buscetta, uno ce l'ha fatta a disobbedire, un grande capomafia, Antonino Salamone. Un
gran furbacchione, Antonino. Sessantenne, era stato il rappresentante della famiglia di San Giuseppe Iato
e capo- mandamento. Da tempo residente in Brasile è […]. Antonino Salamone era legatissimo a
Buscetta. Ed ecco: decisa l'eliminazione di Buscetta, che cosa fa Cosa Nostra? Si rivolge a Salamone,
dato che non si è mai così ben serviti come dagli intimi della vittima designata.
Siamo nel gennaio 1982. Alcuni uomini d'onore telefonano a don Antonino a Sao Paulo per comunicargli,
a nome della Commissione, l'ordine di eliminare Buscetta. Salamone ci pensa un attimo e fissa un
appuntamento a Parigi, per discutere del problema, con Alfredo Bono, indicato quale uomo d'onore di
primo piano da molti pentiti. Ma mentre Bono lo aspetta nella capitale francese, lui va in Calabria a
trovare don Stilo, un prete processato per appartenenza alla 'ndrangheta , e ad Africo si fa arrestare da un
sottufficiale dei carabinieri al quale raccomanda: “Maresciallo, non dica che mi sono costituito, dica che
mi ha arrestato. Ci farà una gran bella figura”.
In Italia Salamone era ricercato per avere abbandonato il soggiorno obbligato, reato minore per il quale il
Brasile non avrebbe mai concesso l'estradizione. Si reca quindi in Italia con la precisa intenzione di farsi
arrestare e avere la scusa per non eseguire l'ordine di Cosa Nostra. E questo mentre un personaggio di
primo piano lo aspetta a Parigi.
Buscetta, un individuo dal canto suo estremamente enigmatico, dice di Salamone: “È una sfinge. Nessuno
riesce a capire quel che pensa. E troppo sottile”. In ogni caso è uno dei pochissimi uomini d'onore che sia
riuscito a sottrarsi a un ordine di Cosa Nostra senza lasciarci la pelle. Resta comunque il fatto che, una
volta ottenuti gli arresti domiciliari dalla Corte di Assise, si è affrettato a prendere il largo, segno evidente
che teme Cosa Nostra più della giustizia italiana9.

9
Ivi, cit., p. 29.
6

Nella stragrande maggioranza dei casi un uomo d’onore che riceve l’ordine di uccidere, uccise.
Senza incertezze e indecisioni, senza compassione e con sangue freddo. La Lupara Bianca è un
metodo pragmatico, sicuro ed efficace ma presenta delle problematiche. È difficile avvicinare le
vittime e attirarle in luoghi non sospetti. Gli uomini d’onore sanno benissimo come funziona Cosa
Nostra e pertanto sono molto diffidenti e prudenti. Spesso a eseguire gli omicidi son amici o
addirittura parenti della vittima. Non son rari i casi in cui un fratello strangola suo fratello o un
uomo il suo migliore amico. Lo sdegno che queste azioni possono generare nei cittadini comuni non
produce lo stesso effetto nella mente e nell’animo degli uomini d’onore. ‹‹Nel mio sangue solo io
posso mettere mano››10. Queste parole pronunciate dal boss Salvatore Contorno presentano una
strana interpretazione del concetto di onore. Contorno commentava l’omicidio di Pietro Marchese,
sgozzato in carcere per ordine del cognato Filippo Marchese. Contorno getta disonore sul mandante
dell’omicidio, che non ebbe il coraggio di compiere in prima persona il suo dovere.
Prendendo parte attiva agli omicidi si dimostrano forza e coraggio. Non è un caso che il 6 Agosto
1985 tutta la Cupola partecipò all’omicidio di Ninni Cassarà. Non è una banale espressione di
sadismo: in ballo ci sono popolarità, consenso, prestigio. La violenza non è mai gratuita ne
compiuta a cuor leggero, è semplicemente dovere, un dovere necessario. L’uomo d’onore non è
sfiorato da alcun senso di colpa. Le stragi fini a se stesse non son approvate da Cosa Nostra, chi le
compie perde prestigio all’interno dell’organizzazione. A volte però le stragi sono necessarie.
L’esempio citato da Falcone è quello dell’imboscata del Dicembre 1969, passata alla storia come
‘strage di viale Lazio’. A perdere la vita furono Michele Cavataio e quattro dei suoi fedelissimi.
Qual era la colpa di Cavataio? Durante la prima guerra di mafia11 fu abilissimo nel diffondere voci
che accusavano i fratelli La Barbera della famiglia di Palermo centro di numerosi omicidi. In realtà
fu lo stesso ‘Cobra’12 a compiere quei delitti scatenando il grave conflitto inter-mafioso e
sollecitando la grande repressione poliziesca che quasi cancellò Cosa Nostra. Nel 1969, calmatesi le
acque, Cavataio cercò di entrare nella nuova Commissione. La bramosia del boss gli costò la vita: le
famiglie egemoni all’interno dell’organizzazione capirono il tranello del Cobra e a viale Lazio, gli
uomini di Stefano Bontate, vestiti da poliziotti, colpirono a morte Cavataio e il suo stato maggiore.
Pare che alla strage di viale Lazio – consumatasi il 10 Dicembre 1969 a Palermo – prese parte anche
il corleonese Bernardo Provenzano.
Michele Cavataio, Salvatore Inzerillo, Ninni Cassarà, Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Cosa Nostra colpì le sue vittime più illustri nel momento della giornata in cui risultavano più
vulnerabili. L’omicidio diviene spettacolare solo se necessario. L’attentato fallito ai danni di
10
Ivi, cit., p. 31.
11
Conflitto tra famiglie mafiose consumatosi tra il 1962 e il 1963.
12
‘Cobra’ è il nomignolo di Michele Cavataio.
7

Falcone fu uno dei rari casi di insuccesso di un attentato, forse per eccesso di esuberanza o per
sopravvalutazione della propria abilità omicida. Gli attentati non si improvvisano: Cosa Nostra
compie sempre indagini dettagliate, prepara ‘scientificamente’ i suoi crimini.
Con Falcone gli omicidi inter-mafiosi vengono letti con una chiave diversa. Se in passato venivano
liquidati come scontri tra bande rivali, ora si capisce che sono atti di potere. Sono cioè azioni mirate
al mantenimento dell’ordine in seno all’organizzazione. Cosa Nostra è una società con il suo
ordinamento giuridico e chi viola le regola sa che perderà la vita, sempre e comunque. Il concetto è
chiaro ma va rafforzato: si uccide solo se necessario. A detta di Falcone, quando la violenza è
all’ordine del giorno significa che Cosa Nostra è instabile, che deve ancora prevalere sulla
criminalità locale, mentre quando uccide saltuariamente vuol dire che è padrona, che ha la
situazione sotto controllo. Non a caso le zone con meno delitti sono le stesse nelle quali si registra
una nutrita presenza mafiosa. Falcone ha respirato aria di mafia fin da bambino. Durante la sua
infanzia – come tutti – vedeva la mafia come qualcosa di onnipotente, onnipresente e inattaccabile.
Decifrando i codici di Cosa Nostra, capendo le sue regole, prendendo spunto dalla smania per i
dettagli che la contraddistingue e studiando la sua subcultura (che altro non è che esasperazione dei
valori tipici della Sicilia) e evitando di ripetere gli errori veniali compiuti in passato dalla
magistratura, il giudice palermitano riuscì a conoscere Cosa Nostra nelle sue grandi linee e giunse
all’incontro con Tommaso Buscetta con le spalle rafforzate da quattro anni di lavoro enorme.
Falcone aveva capito che non bisogna formulare accuse vaghe ma presentarsi agli interrogatori con
accuse precise, chiare e distinte.

Prima di lui non avevo – non avevamo – che un’idea superficiale del fenomeno mafioso. Con lui
abbiamo iniziato a guardarvi dentro. Ci ha fornito numerosissime conferme sulla struttura, sulle tecniche
di reclutamento, sulle funzioni di Cosa Nostra. Ma soprattutto ci ha dato una chiave di lettura essenziale,
un linguaggio, un codice. È stato per noi come un professore di lingue che ti permette di andare dai turchi
senza parlare con i gesti13.

Falcone spiega appunto come Buscetta sia stato importante per aver mostrato un metodo prima
ancora che per l’aver dato rivelazioni. Quello che passerà alla storia come “Teorema Buscetta” o
“Teorema Falcone” prevede una grande accumulazione di dati e informazioni da ottenere con
indagini ampie, lunghe. Indagini effettuate partendo dal generale e solo dopo calando nel particolare
per definire i dettagli. Prima di agire – spiega Falcone – è necessario raccogliere un’infinità di dati e
informazioni, avere le idee chiare su chi si e per quale ragione si vuole accusare. Il commissario
Boris Giuliano per esempio perse la vita perché fu coraggioso ma poco attento e metodico. Giuliano

13
Cose di Cosa Nostra, G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 2008, cit., p. 41.
8

‹‹è morto anche perché procedeva alla cieca, senza rendersi conto del pericolo che correva
muovendosi su un terreno poco noto. (…) per mancanza di informazioni, Giuliano si era introdotto
nella tana del lupo senza sapere cosa faceva il lupo. Con impegno professionale profondo e
coraggio grandissimo, sollevando però soltanto un piccolo lembo del sipario che nascondeva una
realtà ben più complessa››14. Con Falcone, a partire dal processo Spatola del 1979, prendono le
mosse anche le prime indagini bancarie.

II. Messaggi e messaggeri

L’uomo d’onore vive di gesti segni e messaggi. La loro interpretazione è una delle sue attività
quotidiane. La diffidenza siciliana evolve in parossismo15 nella subcultura mafiosa.
Falcone tiene a sottolineare come negli interrogatori i mafiosi esigano rispetto. Nel 1980 Frank
Coppola, appena arrestato, venne punzecchiato da un magistrato romano: ‹‹Signor Coppola, cos'è
la mafia?›› Il vecchio boss, che non è nato ieri ci pensa su e ribatte: ‹‹Signor giudice, tre magistrati
oggi vorrebbero diventare procuratore della Repubblica16. Uno è intelligentissimo, il secondo gode
dell'appoggio dei partiti del governo, il terzo è un cretino, ma solo lui otterrà il posto. Vede signor
giudice, questa è la mafia [...]››17.
Anche negli appellativi è necessario prestare attenzione. È offensivo per un mafioso essere
chiamato ‘signore’. Un uomo d’onore, se importante, vuole essere chiamato ‘Zio’ o ‘Don’
altrimenti ‘dottore’, ‘commendatore’, ‘ingegnere’. Dire ad esempio ‘il signor Greco’ o ‘il signor
Falcone’ nel linguaggio mafioso equivale a non riconoscere il ruolo dell’interessato. Lo stesso
Falcone esige essere chiamato giudice, per rimarcare la sua autorità all’interno dello stato. Lo stesso
Buscetta interrogato nel 1984 a Brasilia, risponderà in tono amichevole: ‹‹Signor giudice, per
rispondere a domande del genere non basterebbe tutta la notte››18.
I dialoghi tra Buscetta e Falcone furono sempre, come evidente già dalle prime battute, un reciproco
scambio di messaggi in codice. Sta alla preparazione e alla bravura del giudice interpretare il tutto e
contestualizzare. L’uomo d’onore ha una smania per i dettagli che raggiunge un livello patologico.
Un altro problema che complica le indagini dell’antimafia è quello della scarsa collaborazione della
popolazione civile. Cosa Nostra impone la propria giustizia e i cittadini comuni spesso accolgono

14
Ivi, cit., p. 43.
15
Esasperazione di un sentimento, di uno stato d’animo, condizione di forte eccitazione: essere nel (o giungere al, o
raggiungere il) p. dell’ira, del furore, della passione. Cit. Vocabolario online Treccani, alla voce
http://www.treccani.it/vocabolario/parossismo/
16
Cose di Cosa Nostra, G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 2008, cit., p. 43.
17
Ivi, cit., p. 50.
18
Ivi, cit., p. 51.
9

con scherno le iniziative intraprese dallo stato per combattere l’organizzazione. Negli interrogatori
boss e soldati, con aneddoti spavaldi e con vena sarcastica, schernivano l’inquirente senza fornire
alcuna indicazione utile alla giustizia. Pian piano il rapporto con la magistratura è cambiato. Un
tempo valeva la regola non scritta della totale mancanza di collaborazione, del comportamento
distaccato e apparentemente servile. Far scorrere il tempo senza collaborare, resistere in silenzio e
uscire di prigione per riabbracciare Cosa Nostra con una veste di maggior prestigio. Questa era la
regola ma non ora, in piena guerra di mafia. Ora i mafiosi son più propensi alla collaborazione tanto
che lo stesso Michele Greco, catturato nel 1986 dopo sei anni di latitanza, chiese scusa a Falcone
per il suo comportamento scorretto durante in primo interrogatorio nel 1980, pur non trattenendo
una battuta carica di significato: ‹‹Lei fa un mestiere pericoloso signor giudice; io al suo posto, la
scorta me la porterei pure al gabinetto››19.
Falcone visse dei momenti difficili al tribunale di Palermo. Fu perfino accusato di sostenere la causa
della fazione perdente della seconda guerra di mafia e di sfruttare la magistratura e le forze dello
Stato per combattere i corleonesi e rimettere al loro posto i vecchi boss egemoni. Accuse
provenienti da lettere anonime attribuite dai giornali a un certo ‘Corvo’. È in questo periodo
difficile che si consuma il fallito attentato ai danni del giudice. L’atteggiamento di Falcone nei
confronti delle testimonianze dei collaboratori di giustizia è diffidente ma allo stesso tempo nessuna
dichiarazione è data per falsa a priori: ‹‹Dica pure ciò che vuole ma tenga presente che questo
interrogatorio sarà il suo calvario perché cercherò in ogni modo di farla cadere in contraddizione››20.
In ogni caso bisogna trattare i mafiosi con franchezza e rispetto. Non bisogna mai dimenticare che
sono uomini d’onore. L’uomo d’onore ha l’obbligo di dire la verità; può mentire su frivolezze o
fatti di poco conto ma non può coprirsi di disonore falsificando avvenimenti importanti. Negli
interrogatori di Mannoia e Buscetta non di rado i due tacevano. Il silenzio era un escamotage per
evitare la menzogna. ‹‹Dottore, stia tranquillo, se le dico che non mi ricordo qualcosa la prego di
non insistere, perché il fatto è che non posso ricordarmene›› 21. Buscetta godeva di grande prestigio
nell’organizzazione. Seppur pentito, e dunque ‘infame’ 22, era stato vittima di un torto inammissibile
e inconcepibile nello schema culturale di Cosa Nostra: gli erano stati ammazzati due figli che non
erano uomini d’onore. Il figlio di un uomo d’onore ucciso – se ancora non lo è – non può diventare
un uomo d’onore. La motivazione è semplice: il ragazzo vorrà conoscere le ragioni dell’omicidio
del padre e interrogherà altri uomini d’onore. Questi, non potendo mentire, sarebbe costretto ad
affermare scomode verità, mettendo a rischio la stabilità all’interno della famiglia.
19
Ivi, cit., p. 56.
20
Ivi, cit., p. 59.
21
Francesco Marino Mannoia in ibidem, cit., p. 59.
22
Termine dispregiativo usato da Cosa Nostra per indicare chi da informazioni sull’organizzazione al di fuori di essa e
in particolare a tutti i collaboratori di giustizia.
10

Quella dei pentiti è una posizione delicata. Cosa Nostra scaglia la sua vendetta contro di loro e
contro parenti, amici, congiunti. Accusando altri il collaboratore di giustizia rischia la sua vita e
quella di tante altre persone. Buscetta perderà 11 parenti, Contorno addirittura 35 e nonostante tutto
continuerà a collaborare. Tutti questi individui hanno il diritto di essere protetti dallo Stato. Falcone
tiene tantissimo a questo principio. Difenderà i pentiti di fronte a uno stato che non vuole
proteggerli, almeno fino alla legge del 16 Marzo 1991. Mannoia fin da subito volle avere a che fare
solo con Falcone e Di Gennaro e lo disse chiaramente quando la sua compagna si presentò ai
magistrati per ‘trattare’ il suo pentimento. Mannoia si fida solo di loro. Dopo tre mesi qualcuno
viene a sapere della collaborazione e il ‘chimico della mafia’ perde in rapida successione madre,
sorella e zia ma lui reagisce da uomo e continua a collaborare. Era killer di Stefano Bontate ma,
sconfitto nella guerra di mafia, applico alla lettera l’antico proverbio ‹‹calati, juncu, ca passa la
china››23 e raffinò eroina in tranquillità fino al 1985, in attesa della sua vendetta. Mannoia è un
personaggio schietto, non antipatico, inquietante e coerente allo stesso tempo. È il pentito ad aver
più incuriosito Falcone. Perché gran parte dei pentiti vogliono avere a che fare con il solo Falcone?
Perché è uno dei pochi a rispettarli, a capire i loro tormenti e – soprattutto – a capire i codici di Cosa
Nostra: ‹‹Conosco a fondo l’anima siciliana. Da una inflessione di voce, da una strizzatina d’occhi,
capisco molto di più che da lunghi discorsi”. E ancora: “Ho imparato a riconoscere l’umanità anche
nell’essere apparentemente peggiore; ad avere un rispetto reale, e non solo formale, per le opinioni
altrui››24. Nulla meglio delle sue parole può rendere l’idea di come Falcone seppe calarsi dentro
Cosa Nostra, di come intuì l’intrinseco legame tra l’organizzazione e lo spirito siciliano, di come
seppe capirla e studiarla come se fosse anch’egli un uomo d’onore.

Conoscendo gli uomini d'onore ho imparato che le logiche mafiose non sono mai sorpassate né
incomprensibili. Sono in realtà le logiche del potere, e sempre funzionali a uno scopo. Ho imparato ad
accorciare la distanza tra il dire e il fare. Come gli uomini d'onore. In certi momenti, questi mafiosi mi
sembrano gli unici esseri razionali in un mondo popolato da folli. Anche Sciascia sosteneva che in Sicilia
si nascondono i cartesiani peggiori...
Nei momenti di malinconia mi lascio andare a pensare il destino degli uomini d'onore: perché mai degli
uomini come gli altri, alcuni dotati di autentiche qualità intellettuali, son costretti a inventarsi un'attività
criminale per sopravvivere con dignità25?

IV. Cosa Nostra

23
Tradotto: “calati giunco, finché passa la piena del fiume”.
24
Cose di Cosa Nostra, G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 2008, cit., p. 68.
25
Ivi, cit., p. 72.
11

Gli adepti giurano su immagini sacre. Il tutto può sembrare banale ma è una cosa seria.
Si giura di non desiderare donna d’altri e difendere i deboli. Rituale di iniziazione. Il candidato è
portato in una stanza insieme al rappresentante della famiglia e altri uomini d’onore. Il
rappresentante illustra le regole dell’organizzazione e ne svela il nome. L’organizzazione non si
chiama mafia ma Cosa Nostra. Avverte che si è ancora in tempo per desistere ed elenca le regole
cui dovrà sottostare il nuovo uomo d’onore: non desiderare donna d’altri, non rubare, non sfruttare
la prostituzione, non uccidere altri uomini d’onore se non sotto l’ordine di Cosa Nostra o in caso di
assoluta necessità, non parlare di Cosa Nostra al di fuori di essa, non presentarsi mai da soli ad altri
uomini d’onore ma farsi accompagnare da un altro uomo d’onore che presenterà la nuova
conoscenza con queste parole: ‹‹quest’uomo è la stessa cosa›› oppure: ‹‹quest’uomo è cosa
nostra››26 . A questo punto i futuri uomini d’onore devono scegliere un padrino tra i presenti.
Giuramento, inizia con una domanda: “con che mano spari”?
Viene fatta un incisione sul dito. Il sangue viene versata sull’immaginetta dell’Annunziata, patrona
di Cosa Nostra. ”Possa io bruciare come brucia quest’immagine” (in caso di trasgressione dalle
regole).
Per pungere l’indice si usa una spina d’arancio amaro, spilla d’oro o spilla qualsiasi. Il capofamiglia
o rappresentante spiega la gerarchia della famiglia, della provincia e di Cosa Nostra nel suo
insieme. Alla fine il neo affiliato viene assegnato a un capo-decina. Cosa Nostra è una facoltà a
numero chiuso. Non tutti possono accedere. Tra i requisiti spiccano il valore, la capacità di
compiere azioni violente e di uccidere a sangue freddo. Inoltre è necessario essere di sesso maschile
e possibilmente avere parenti mafiosi e nessun parente in magistratura o polizia. La struttura di
Cosa Nostra è verticale e gerarchica. La ‘famiglia’ è la cellula base di Cosa Nostra. Il capofamiglia
o rappresentante è eletto a scrutinio segreto e dopo le trattative tra i soldati della famiglia stessa,
elegge un vice e dei consiglieri. Il ‘capo-decina’ è invece un membro di raccordo tra soldato e
capo. I ‘soldati’ o ‘uomini d’onore’ sono i membri delle famiglie. Spesso diventano influenti e
prestigiosi pur rimanendo tutta la vita soldati.
I valori base della famiglia sono sangue, onore, fedeltà e amicizia. La famiglia può avere d 50 a 400
membri, controlla un territorio e ha giurisdizione su di esso. Il ‘capo provincia’, detto
rappresentante provinciale, viene eletto dai capo famiglia della provincia. C’è l’eccezione di
Palermo dove più famiglie (tre) concentrate in un territorio sono controllate da un capo
mandamento che allo stesso tempo è membro della Cupola, la commissione provinciale.

26
Cit. Antonino Calderone da verbale dell’interrogatorio di Antonino Calderone, giudice Debaq, Marsiglia, 9 Aprile
1987, p. 8. Tratto da http://archiviopiolatorre.camera.it/img-repo/fondo_zupo/Sez._I_serie_0001_Vol_022.pdf
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Commissione regionale: organo di governo esecutivo di Cosa Nostra. Chiamata anche ‘Regione’ è
composta dai rappresentanti provinciali, risolve conflitti interprovinciali, emana decreti, vota leggi,
prende decisioni strategiche. La ‘Regione’ fu istituita nel 1975 su iniziativa di Giuseppe Calderone,
capo della famiglia di Catania. Calderone – fratello del collaboratore di giustizia Antonino –
divenne dunque il ‘segretario’ della prima commissione regionale e favorì l’emanazione della prima
‘legge regionale di Cosa Nostra’ che proibiva i sequestri di persona. La legge era finalizzata a porre
fine ai sequestri legati all’estorsione, di cui facevano largo uso i corleonesi di Luciano Leggio.
Gli uomini d’onore controllano anche gruppi criminali esterni a Cosa Nostra ma funzionali ad essa.
Un esempio sono i malviventi napoletani. Il contrabbando di sigarette che arrivano nel porto della
città partenopea è gestito da Cosa Nostra, i proventi son divisi tra siciliani e napoletani secondo
regole rigorose e prestabilite che tutti rispettano. Il problema di Cosa Nostra è sottovalutato. C’è
una straordinaria capacità di adattamento e mimetismo nella società (civile). Agilità nell’uso della
violenza e gran numero di affiliati. Vedere sempre una mafia vecchia buona e una vecchia cattiva
rappresenta un grave errore di valutazione. A mio avviso, lo stesso Buscetta negli anni 50 era ‘homo
novus et horribilis’ mentre ora è il vecchio sostenitore della mafia buona contrapposta ai corleonesi.
La mafia si modernizza. Il cambiamento è legato alle attività economiche. 1974-1977: le famiglie di
Porta Nuova Brancaccio e Pagliarelli gestiscono i traffici internazionali di eroina. Dagli anni ’70 si
fa un salto di qualità. Si gestiscono appalti e subappalti, tangenti e attività commerciali. Sembra che
le istituzioni non vogliono capire che la mafia è una e indivisibile. In questi anni inoltre, i migliori
giudici combattono le Brigate Rosse. La seconda guerra di Mafia sembra avere una genesi
economica, legata al traffico di droga. In realtà è il culmine di un quindicennio di tensioni tra
Palermo e le periferie. Il ruolo egemone del capoluogo all'interno di Cosa Nostra è ormai messo in
discussione e prende il via quello che è un conflitto di potere. La guerra porterà all'ascesa dei
Corleonesi e alla loro brutale vendetta sulle famiglie perdenti. Il 7 Marzo 1978 a Caracas muore
Salvatore Greco Chiticheddu e il 16 dello stesso mese Giuseppe di Cristina uccide Madonia. Dopo
un tentativo di collaborazione con la polizia anche Madonia cade vittima di un attentato. A fine
Settembre trova la morte Giuseppe Calderone (fratello del collaboratore di giustizia Antonino) e
poco dopo Gaetano 'Tano' Badalamenti è 'posato' dalla sua famiglia e si trova costretto a fuggire.
Stefano Bontate vive ormai armato e in perenne allerta ma anch'egli perirà nel 1981. La tattica dei
corleonesi è brutale. Spesso un omicidio viene rimandato – anche di anni – in modo da far calare
l'attenzione della vittima e colpire quando ormai crede di essere al sicuro. Interrogato sulle mafie
'extra-siciliane' Buscetta si mostra alquanto vago e superficiale. Sulla Camorra: ‹‹non parlo di
buffoni››. Sulla 'Ndrangheta: ‹‹è sicuro, signor giudice, che davvero esista››?
13

Probabilmente Buscetta intendeva dire come la mafia calabrese fosse subordinata a Cosa Nostra.
Forse Buscetta intendeva dire che 'ndrangheta e Camorra hanno strutture meno gerarchizzate e
meno organizzate di Cosa Nostra. Finché prevarrà questa linea non potranno essere pericolose tanto
quanto i colleghi siciliani. Le mafie dell'Est e dei paesi dell'ex Urss gestiscono il mercato dell'eroina
appoggiandosi agli agguerriti criminali dei Balcani. Non esiste comunque una struttura paragonabile
a Cosa Nostra. Cosa Nostra a stelle e strisce è sempre stata una struttura autonoma. Si è evoluta in
un territorio diverso dalla Sicilia adottando nuovi modelli culturali. In Sicilia si sfruttano i mercati
illegali ma anche quelli legali. Il traffico di droga non è gestito direttamente dall'organizzazione ma
si sviluppa attraverso iniziative private dei singoli uomini d'onore. Si disdegna lo sfruttamento di
gioco d'azzardo e prostituzione. In America lo sfruttamento dei casinò e delle Escort di lusso genera
un business da migliaia di dollari. Al contrario della madrepatria il traffico di droga è proibito –
anche se spesso si chiudono due occhi – e si naviga solo in mercati illegali. È da ricordare una
famosa riunione tenutasi nel marzo del 1957 all'hotel Las Palmas di Palermo nella quale i boss
americani consigliarono ai palermitani di creare – come già avevano fatto loro – una commissione
centralizzata che comprendesse i rappresentanti di tutte le famiglie. Già all'epoca le due mafie sono
autonome. Nel 1974 Carmelo Cuffaro – un uomo d'onore di Agrigento – in un colloquio con il boss
canadese Paul Violi, chiede di potersi trasferire oltreoceano e agire in Canada. Violi spiega a
Cuffaro come ormai non basti più essere siciliani per essere accolti nelle cosche del nuovo mondo.
Anche i siciliani devono essere valutati e sottoposti a controllo. Una delle più grandi paure di
Falcone è che le mafie mondiali possano coalizzarsi assumendo una direzione comune e strutture
simili. Che imparino a sfruttare i tradizionali canali dell'immigrazione. Questa sarebbe un'enorme
catastrofe. A oggi i problemi linguistici e gestionali – si pensi a un uomo d'onore che solitamente si
esprime in dialetto palermitano dialogare con un criminale di Hong Kong – escludono quest'ipotesi.
In dieci anni di lavoro Falcone e i suoi collaboratori hanno accumulato una grande esperienza e
acquisito uno stratosferico bagaglio culturale. Senza il loro lavoro (forse) la struttura
dell'organizzazione, le modalità d'azione e il suo particolare modo di pensare non sarebbero venuti a
galla. Nelle indagini è necessario non trascurare nulla e nessuno. Sospettare anche degli
insospettabile. Grazie a questa metodologia d'azione è emerso il ruolo dei colletti bianchi. Si tratta
di personaggi apparentemente agenti nella sfera della legalità ma che in realtà riciclano denaro
sporco per conto di Cosa Nostra. Per quanto riguarda le testimonianze, all'epoca della stesura del
libro la più recente è quella di Francesco Marino Mannoia. Le dichiarazioni di 'u Chimmicu,
rilasciate nel 1990 devono essere sfruttate al meglio ed entro un paio di anni, altrimenti si
riveleranno inutili. Cosa Nostra cambia continuamente, si adatta alle trasformazioni e dunque anche
i magistrati devono aggiornarsi se vogliono combatterla efficacemente.
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V. Profitti e perdite

Una delle attività 'tradizionali' della mafia è l'estorsione. Un tempo quando si chiedeva 'il pizzo' si
spiegava come questo servisse per garantire la protezione dell'attività o dell'impresa di diretti
interessati e per altri scopi come ad esempio quello di mantenere le famiglie degli uomini d'onore
incarcerati. L'estorsione non è praticata esclusivamente per un tornaconto monetario ma è
finalizzata al rafforzamento del controllo economico della famiglia sul territorio nel quale agisce.
Inoltre pagare il pizzo senza opporsi in alcun modo al sopruso significa riconoscere l'autorità della
famiglia. Prima dell'ascesa dei corleonesi chi pagava il pizzo otteneva in cambio una reale
protezione. Mannoia e Antonino Calderone raccontano di come Cosa Nostra combattesse la piccola
delinquenza. Con i vari Liggio, Riina e Provenzano il rapporto con la piccola criminalità locale
cambia. Alle vittime dell'estorsione non si garantisce più protezione e queste spesso si trovano
costrette a dover versare quote sia a Cosa Nostra che a varie – spesso più di una – bande di
delinquenti estranee all'organizzazione. Perché? Questa strategia è frutto di una precisa scelta dei
corleonesi ed è finalizzata a creare confusione nelle città. Destabilizzare Palermo e Catania è una
manovra utile per concentrare il potere nelle periferie. Inoltre coinvolgendo altri gruppi criminali si
confonde la polizia e diventa più facile sviare le indagini.
Al tempo di Buscetta, Badalamenti e Bontate, con i proventi dell'estorsione la mafia finanziava de
diarie, pagava gli stipendi alla sua manovalanza, agli spacciatori, ecc. Ora la richiesta di grosse
tangenti va diminuendo ed è un segnale tutt'altro che positivo. Ciò vuol dire che Cosa Nostra sta
entrando prepotentemente nel mercato legale.
Il mafioso imprenditore tende a monopolizzare il mercato, cancellare la concorrenza e controllare
anche i fornitori. Come ci riesce? Usando i metodi che meglio conosce e meglio sa sfruttare: la
violenza e l'intimidazione. Il mafioso sfruttando i proventi derivanti dal contrabbando di sigarette e
dal narcotraffico entra senza debiti nel mercato e diventa imprenditore. Gli uomini d'onore spesso
sono grandi lavoratori. Michele Greco era un esperto di agraria e si prese cura in prima persona
delle sue terre. Gli Inzerillo, gli Spatola e i Teresi furono abilissimi imprenditori edili. Spatola
addirittura era un venditore di latte e fu denunciato perché allungava il latte con l'acqua. Tutto
questo non è positivo: i mafiosi all'ingresso nel mercato legale non smettono di essere mafiosi e
continuano ad agire in conformità al proprio ruolo. Perché personaggi così duttili e intelligenti
delinquono? La risposta è semplice. Con la violenza è più facile emergere. In Sicilia non basta
essere capaci e intelligenti per fare carriera. Per quanto uno possa essere geniale serve la spintarella,
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la conoscenza giusta. La Sicilia è il regno del clientelismo e Cosa Nostra ne estremizza i valori.
All'interno delle gerarchie di Cosa Nostra esiste una certa meritocrazia.
Come funziona il narcotraffico? Come già detto, Cosa Nostra non se ne occupa direttamente ma
lascia libertà d'azione ai suoi adepti. Negli anni '80 i Cuntera e i Caruana muovendosi tra Stati Uniti
e Venezuela controllano gran parte del traffico di eroina diretto verso gli U.S.A. In principio la
mafia non produceva (guardiani, campieri e gabellotti di inizio secolo vendevano un servizio non
dei beni) ora prima con il tabacco, poi con la droga, si fa il salto di qualità che permette di entrare
nel mercato legale passando per una via privilegiata e comoda. Negli anni che vanno dal 1983 al
1985 gli uomini d'onore gestiscono l'80% del traffico di eroina mondiale in collaborazione con tanti
'non mafiosi' e con tanti 'non italiani'. Nel mondo dei narcotici il lavoro è parcellizzato e ci sono
numerosi specialisti: ci sono gli acquirenti. Questi sfruttando le tradizionali rotte e alcuni contatti
legati al contrabbando di sigarette si importa morfina-base dal Medio Oriente, mantenendo rapporti
diretti con i produttori. Ci sono poi i chimici: nei laboratori, siti in Sicilia ma anche sulla penisola,
avviene la raffinazione della morfina-base. A occuparsene sono tecnici, anche stranieri, che
accettano quest'impiego anche perché corrono rischi tutto sommato modesti in rapporto alla paga.
La distribuzione (lo spaccio) della mercanzia – in Italia e all'estero – è affidato a pusher e
malviventi locali non di rado estranei al circuito di Cosa Nostra.
Se nel 1985 Cosa Nostra gestiva il 30% del traffico di eroina del pianeta nel 1991 la percentuale si è
contratta fino a raggiungere il 5%. Cosa Nostra è stata sostituita dai Cartelli colombiani, da
portoricani, turchi, curdi, armeni e cinesi. Al traffico dei narcotici spesso si affianca quello di armi.
Che informazioni si possono ottenere analizzando la droga sequestrata?
Conoscendo le tecniche di raffinazione della morfina-base si può risalire al luogo d'origine. Se la
droga è già raffinata il lavoro diventa più difficile. Spesso però la raffinazione è un marchio di
fabbrica che permette l'identificazione del 'raffinatore'. Per citare un esempio 'u Chimmicu Mannoia
usava una particolare tecnica per ingannare gli acquirenti sul grado di purezza dell'eroina che
produceva. Un'altra importante fonte di reddito di Cosa Nostra è la speculazione sui contributi a
fondo perduto, anche ai danni della UE (es. contributi per la distruzione degli agrumi in eccesso).

VI. Potere, poteri

‹‹All'estero si chiedono sbalorditi come mai lo Stato non è ancora riuscito a debellare la mafia. Se lo
chiedono e ce lo chiedono››27. In realtà Falcone sa bene la risposta. Il potere di Cosa Nostra ha
generato una struttura impermeabile alle indagini. È come una religione, ha la sua cultura, un suo

27
Cose di Cosa Nostra, G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 2008, cit., p. 149.
16

substrato ideologico. Poi – continua Falcone – l'Italia è uno stato giovane, debole e decentrato. Non
può combattere la mafia come farebbero Francia, Regno Unito o gli States. Il bel paese viene da
Ventennio e da una repubblica mono-partitica (DC). Dall'alba dell'Unità, il potere ha bisogno di
alleati e così si generano coalizioni occasionali. Le opposizioni finiscono per nutrirsi di stereotipi.
Questo schema vale anche nella lotta alla mafia. Le opposizioni spesso liquidano il problema con
frasi di questo genere: contro la mafia non si può fare niente finché al potere ci saranno questi
uomini con questo governo. Lo Stato lotta contro la mafia ciclicamente. Nel senso che in reazione a
stragi e in periodi caldi vota leggi speciali e crea istituzioni particolari alle quali aliena la
responsabilità dell'antimafia (e degli insuccessi nella lotta). Per citare un esempio, ‘l'Alto
Commissariato per la lotta alla mafia’ è stato creato dopo il delitto Dalla Chiesa. Nella maggior
parte dei casi i processi contro i mafiosi si concludevano con la rimessa in libertà degli associati.
Nel 1982 con la legge Rognoni-La Torre è introdotto il reato di associazione a delinquere di stampo
mafioso. Nel 1989 invece è introdotto un nuovo codice di procedura penale di tipo accusatorio.
Questo prevede la formazione della prova nel pubblico dibattimento, come nei processi
anglosassoni. Il nuovo modo di agire complica non poco le procedure, dato che informazioni e
molti indizi sono difficilmente acquisibili (e spendibili) in pubblico dibattimento. In ogni caso la
legge Rognoni-La Torre è importante perché permette di intaccare – tramite perquisizioni – la
ricchezza dei mafiosi. Il magistrato può ricorrere a misure di prevenzione patrimoniali e personali
qualora, pur in assenza di prove schiaccianti, il sospetto di appartenenza alla mafia appaia fondato e
in attesa di prove specifiche per eventuali delitti commessi. Si sbaglia se si continua a sostenere la
tesi che vede Cosa Nostra come figlia di arretratezza e sottosviluppo. La mafia è un parassita dello
sviluppo. Solo annientando la mafia lo sviluppo può intraprendere un cammino di ascesa proficua al
benessere sociale. L'Italia come affronta Cosa Nostra? Con leggi tampone che intensificano la
repressione quando esplode la violenza. Dopodiché tutto cade nel dimenticatoio e si abbassa
nuovamente la guardia. Spesso le leggi antimafia non sono sorrette da volontà politica, né da
adeguate strutture e tantomeno da personale qualificato. Questa la grande accusa di Falcone. Per il
giudice palermitano la lotta alla malavita organizzata deve poggiare su due cardini personificati dal
binomio professionalità-sicurezza. Sono necessari due accorgimenti base. In primis bisogna
intraprendere azioni repressive solo quando si è certi di ottenere un risultato. In caso contrario il
mafioso sarà rimesso in libertà e il magistrato screditato, curare nel dettaglio la propria sicurezza
personale. È necessario inoltre evitare le trappole e non fare della lotta alla mafia una questione
personale. Rocco Chinnici perì – nonostante la sua professionalità – perché non curo a pieno la
propria sicurezza. Ninni Cassarà non trascurò né il primo né il secondo aspetto. Morì perché tradito
e per l'abilità di Cosa Nostra nel colpire e ordire trappole. Carlo Alberto Dalla Chiesa non ebbe il
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tempo di agire concretamente. Riuscì solo a chiedere maggiori risorse per finanziare la guerra. ‹‹È
stato scritto che mi spostavo da un bunker all'altro, dal Palazzo di giustizia alle carceri e dalle
carceri alla mia prigione personale: casa mia››28.
Nonostante le critiche per la sua prudenza ai limiti dell'ossessione, il giudice precisa come non
essere prudente e attento ai dettagli sarebbe come regalare la propria vita alla mafia. La vita dei
membri del Pool è dura. La sveglia suona puntuale all'alba e si passano le prime ore del giorno a
studiare i dossier per poi recarsi in tribunale e tornare nella casa-bunker solo in tarda sera. Nel 1985
Falcone e Borsellino redassero il provvedimento del maxiprocesso nell'isola dell'Asinara
(Sardegna). Per il giudice la vittoria di questi dieci anni di lotta è l'aver dimostrato che quella contro
Cosa Nostra è una guerra, con successi e sconfitte e con il sangue dei suoi morti. La vittoria è anche
l'aver dimostrato che si possono portare in tribunale e processare gli uomini d'onore e che lo stato ha
tutta la forza per farlo. Perché Dalla Chiesa fu ucciso? Non per la quantità di notizie che possedeva
ma per la sua determinazione e la volontà di ottenere risultati, usando tutte le forze a disposizione. Il
generale perì anche per la forza del suo passato. Fu infatti decisivo nella lotta al terrorismo, arrestò
capi delle Brigate Rosse come Curcio e Franceschini. Indagò sull'omicidio Rizzotto e collaborò con
Boris Giuliano – anch'egli ucciso da Cosa Nostra – per tentare di capire i legami tra Cosa Nostra e
alta finanza. Negli anni '70 indagando del delitto del giornalista Mauro De Mauro e di Pietro
Scaglione, stilò il rapporto dei 11429 dove compaiono i nomi di Frank Coppola , dei Greco e di
Tommaso Buscetta. Di fatto Dalla Chiesa fu ucciso senza scorta. Chi rappresenta lo stato in terra
nemica deve essere invulnerabile. A detta di Falcone serve un pubblico ministero coordinato. Molte
indagini, soprattutto nella lotta al traffico di droga , coinvolgono più procure della repubblica. Per
Falcone qui si innesta un problema di coordinamento e servirebbe un sistema più centralizzato.
Questo però sarebbe impossibile se il pubblico ministero rimane separato dagli altri organi dello
Stato. Falcone ricorda come il vecchio giurista Piero Calamandrei si dimostrò favorevole alla
possibilità che un procuratore della Corte di Cassazione possa partecipare alle riunioni del
Consiglio dei ministri a titolo consultivo. Per quanto concerne i rapporti tra mafia e politica è utile
evidenziare che la mafia è più antica dei partiti del dopoguerra; questi non hanno saputo
sconfiggerla, finendo per esserne influenzati. La mafia non è direttamente interessata al mondo
politico. La mafia vuole lucrare indirizzando la spesa pubblica a proprio vantaggio. Scoraggia le
leggi dannose per il suo giro d'affari e sollecita l'applicazione di decreti favorevoli. Vuole
28
Ivi, cit., p. 158.
29
Il rapporto dei 114 è un elenco di vecchi e nuovi mafiosi. Il dossier fu stilato nel 1974 in relazione alle indagini
sull’omicidio del giornalista Mauro de Mauro – il quale sosteneva di essere venuto a conoscenza di notizie
importanti legate all’omicidio del democristiano Enrico Mattei – e del procuratore Pietro Scaglione. Il rapporto
portò all’arresto di decine di boss. Dalla Chiesa introdusse anche misure di confino – nelle isole di Lampedusa,
Linosa e dell’Asinara – per colpire i mafiosi che non riusciva a far incarcerare.
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amministrazioni comunali docili che non controllino più di tanto eventuali regolarità in appalti e
subappalti e che non neghino concessioni edilizie. Quando si parla di connubio mafia-politica si
pensa a Cosa Nostra e alla Democrazia Cristiana. È però sbagliato affermare che i mafiosi fossero
democristiani. Gli uomini d'onore sono estranei alle fazioni. Un'importante conferma di questa
teoria la da Antonino Calderone. Il boss catanese racconta come Giuseppe Di Cristina, uomo
d'onore di Riesi, si stancò del mancato appoggio della DC – che non seppe alleggerire le misure di
sorveglianza e pubblica sicurezza – e si rivolse così ad Aristide Gunnella del Pri. Così alle elezioni
comunali di Riesi i repubblicani presero “una valanga di voti” per dirla alla Calderone. Non è la
politica a imporre condizioni a Cosa Nostra ma viceversa. L'organizzazione è interessata alla
propria sopravvivenza e al suo portafoglio. Gestire la politica non è il suo mestiere. Salvatore Greco
era chiamato con ironia “il senatore” per la sua passione politica. Nel 1987 Cosa Nostra volle
mandare un messaggio alla DC. Dirottò voti tradizionalmente destinati ai democristiani
indirizzandoli verso partiti ostili alla magistratura come PS e Partito Radicale. La colpa dei
democristiani era quella di non aver saputo bloccare il lavoro del pool antimafia.
L'ultima parte del libro è dedicata alla così detta “teoria del terzo livello”.
Gli omicidi eccellenti di Cosa Nostra (Mattarella, La Torre, Reina, Dalla Chiesa) hanno indotto
qualcuno a ipotizzare che dietro le mafie esiste un 'supercomitato'. Un gruppo di massoni, politici,
uomini dell'alta finanza, banchieri e industriali che controllerebbe Cosa Nostra impartendo direttive
alla Cupola. Per Falcone quest'ipotesi è totalmente infondata. Queste ipotesi – poi smentite anche da
testimonianze raccolte dal giornale La Repubblica – sono originate da un’errata interpretazione di
un rapporto sui delitti mafiosi stilato dallo stesso Falcone e da Turone. I due magistrati elencano tre
tipi di delitti. I delitti di I livello sono essenziali e legati al mondo dello spaccio, del contrabbando,
dell'estorsione e dei sequestri. Sono una delle ragioni d'essere di Cosa nostra. Quelli di II livello,
non sono essenziali, puniscono uomini d'onore che non rispettano le regole di Cosa Nostra. Servono
per imporre il rispetto delle norme interne all'organizzazione. I delitti di III livello sono gli omicidi
eccellenti e straordinari. Questo tipo di delitti non sono ne di I ne di II livello e dunque
rappresentano una categoria a se. Perché non si è riusciti a scoprire i mandanti degli omicidi di III
livello? Una politica affarista che stipula accordi con una mafia imprenditrice non favorisce di certo
indagini che diventano sempre più problematiche. Inoltre non bisogna dimenticare la portata storica
del fenomeno mafioso: Cosa Nostra gioca un ruolo da protagonista in tutti gli avvenimenti
importanti della storia siciliana, a partire dallo sbarco alleato. Inoltre è innegabile che alcuni uomini
politici si accordarono con l'organizzazione per eliminare personaggi scomodi per entrambe le
compagini. I politici siciliani – ma non solo loro – spesso conoscono la mafia in maniera molto
19

superficiale e non colgono a pieno la pericolosità del fenomeno. Chi si impegna contro Cosa Nostra
spesso si trova isolato. Reina, La Torre e Mattarella morirono per questo.

Il condizionamento dell'ambiente siciliano, l'atmosfera globale, hanno grande rilevanza nei delitti
politici: certe dichiarazioni, certi comportamenti vengono a individuare la futura vittima senza che la
stessa se ne renda nemmeno conto. […] Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un
gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di
sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere 30.

Parole profetiche. Una profezia con fondamento storico e una coerenza imposta dalla preparazione e
dall’esperienza. Lo stato non è riuscito a proteggere il suo servitore più fedele. Falcone ha pagato il
suo debito col sangue. Il suo sangue, quello di sua moglie e della sua scorta. Ma con i caratteri di
quel sangue è stato scritto che Cosa Nostra non è più l’organizzazione inattaccabile di un tempo, è
stato scritto per sempre che c’è stato un prima e c’è un dopo, che il maxiprocesso è una data
periodizzante, che nulla sarà mai come prima. Quel sangue deve dare la forza per non interrompere
la guerra, deve insegnare che non bisogna mai sottovalutare la mafia ed evolversi insieme a lei.
È necessario convincersi che si può sempre fare qualcosa.

Bibliografia
- Cose di Cosa Nostra. Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani. Bur Saggi
1991 . (Testo principale).
- John Dickie. Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana. Laterza 2006. (Per approfondimenti
sulla seconda guerra di mafia e l’ascesa dei corleonesi).
- E Leggio spaccò in due Cosa Nostra. La Repubblica.it. Articolo del 10/03/1984 tratto
dall’archivio. (Per comprendere meglio le dinamiche interne a Cosa Nostra durante la
seconda guerra di mafia e oltre).
- Francesco Viviano. Delitti politici. Fu solo Cosa Nostra. La Repubblica.it. Articolo del
13/04/1995 tratto dall’archivio. (A conferma della smentita della cosiddetta tesi del terzo
livello).

Ignazio Angelo Pisanu.

30
Cose di Cosa Nostra, G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 2008, cit., p. 171.
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