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La comunicazione interculturale - Balboni

Introduzione
La CI viene affrontata secondo 3 prospettive differenti:
1. Come Problema di comunicazione, secondo un taglio semiotico con attenzione ai meccanismi
comunicazione. Studi propensi a modellizzazione teorica, qui presi come punto di riferimento
scientifico
2. Problema pragmatico, operativo, effetto problematico nella comunicazione tra persone di
culture diverse che usano una lingua ponte. Enfasi sulla Misurazione della competenza
interculturale di una persona
3. Come aspetto della competenza comunicativa. La tradizione era votata più per la
competenza linguistica (grammatica) che sulla competenza comunicativa, che si trova invece
oggi nell’approccio comunicativo, insegnando a fare con la lingua e a porre attenzione al
contesto socio-culturale, come quale registro usare o quale tabù non affrontare. Bisogna
perseguire una competenza comunicativa interculturale e le abilità relazionali necessarie per
comunicare in eventi interculturali.
Glottodidattica - la scienza che studia l’educazione linguistica.

Cap 1 - La competenza comunicativa interculturale


Cosa significa saper comunicare in un ambiente interculturale?
1.1 Cosa significa comunicazione? - molte definizioni (linguista, semiologica, sociologica, mass
media, aziendale…) qui si adotta una definizione semplice: “comunicare significa scambiare
messaggi ef caci”. La comunicazione è un atto volontario. È uno scambio, mettere in comune. È
dialogica (monologica come in una conferenza, dove comunque si rivelano i feedback del
pubblico come sorrisi, postura e sguardi). I messaggi sono insiemi complessi di lingua verbale e
non verbale (gesti, grafici, icone, oggetti, indicatori di ruoli sociali, layout grafico…) il messaggio
orale viene creato in maniera cooperativa.
La comunicazione è ef cace quando ciascuno raggiunge il suo scopo.
Il contesto situazionale è dove gli eventi hanno luogo. Importante è il Setting (strada,
scuola, bar…) dove ci si vive, si comunica e si agisce in maniera diversa. Anche il tempo è
un elemento sottoposto alla cultura (la puntualità, il tempo è denaro…). Argomenti: tabù,
valori. Il ruolo dei partecipanti (gerarchia, segni di rispetto come gli inchini). Gli scopi dei
partecipanti, dichiarati e non, quindi impliciti, come alcune convenzioni sociali di buona
educazione. Atteggiamenti psicologici, sarcasmo, ironia, ammirazione, diffidenza. Atti
comunicativi (immediati) e mosse comunicative (livello strategico superiore). Testo
linguistico, quello che diciamo o scriviamo o trasmettiamo. Messaggi extralinguistici,
mimica facciale, le distanze interpersonali, vestiario, regali. Generi comunicativi e norme
sociali, ci sono eventi particolari gestiti secondo regole proprie di una cultura che non
possono essere ignorate.
1.2 un modello di competenza comunicativa interculturale
Modello deve includere tutte le possibili realizzazione del fenomeno descritto (aree critiche e fonti
di attrito tra persone culturalmente diverse), essere in grado di generare comportamenti (una
guida comportamentale), presentarsi in maniera gerarchizzata (approfondimenti per fenomeni
complessi, più particolari).

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Competenza comunicativa è un concetto che nasce nel 1967 con Hymes come model of
interaction, poi ripreso nell’approccio comunicativo all’insegnamento delle lingue. La
competenza comunicativa è una realtà mentale che si realizza come esecuzione nel mondo.
Nella mente ci sono 3 competenze che costituiscono il sapere la lingua: la competenza
linguistica, extralinguistica e contestuale (pragmalinguistica, sociolinguistica e interculturale.
Queste competenze mentali si traducono in azioni comunicative, nel saper fare lingua (le abilità
linguistiche). I testi orali e scritti sottostanno alle regole sociali, pragmatiche e culturali (questa è la
padronanza della lingua, il saper fare con la lingua). Pg. 22. Questo modello si presta a chiarire
cos’è la comunicazione interculturale. Nella mente le tre competenze rimangono le stesse. Così
per la parte mondo. La differenza sta nel raccordo tra le competenze mentali e ciò che agiamo nel
mondo, dove servono anche le abilità relazionali.
SAPERE LA LINGUA SAPER FARE LINGUA

SAPERE FARE
CON LA LINGUA

Le abilità relazionali vanno sviluppate modi cando la propria forma mentis in ordine alla
reazione emozionale di fronte ad azioni o cose o parole di altre culture che riteniamo spiacevoli e
sociale di fronte a quelle che percepiamo come offese, mancanze di attenzione etc. Saper
osservare, relativizzare, sospendere il giudizio, ascoltare attivamente, comunicare
emotivamente, negoziare i signi cati.

1.3 una filosofia di comunicazione interculturale


Costruire una competenza comunicativa NON significa abbandonare i propri valori e far propri
quelli del luogo in cui si espatria, ma significa accettare il fatto che i modelli culturali siano diversi
e non ci sia una gerarchia di valori a priori; sapere che esistono stereotipi e pregiudizi; conoscere
gli altri; rispettare le differenze; accettare che alcuni modelli culturali possono essere migliori dei
nostri. Ogni atteggiamento presuppone quelli precedenti e pone le basi per quelli seguenti.
Interculturalità ≠ multiculturalismo alla melting pot americano, che indica una situazione transitoria
e limitata nel tempo fino a quando non si raggiunge una omogeneizzazione culturale.
Interculturalità è un atteggiamento costante, che prende atto della ricchezza insita nella varietà, e
che non si propone una omogeneizzazione ma mira a permettere l’interazione più piena e fluida
possibile tra diverse culture. Ci sono dei problemi di filosofia della conoscenza, cioè legati ai

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parametri su cui far perno per valutare i problemi comunicativi interculturali. I più produttivi sono i
seguenti:
1. Formale vs informale
2. Polite vs impolite essere ben educati e anche adeguarsi alla situazione, con gentilezza e
rispetto sociale (io e te => you and I)
3. Forza mascherata vs esplicita, come una personalità troppo dominante che prevarica gli altri,
quindi gli imperativi, il verbo dovere, i gesti imperiosi della mano in alcuni contesi sono
esclusi. Direttività vs implicitezza per imperativi. Esplicito / implicito è regolato anche dal
genere del parlante (il maschio generalmente è più esplicito).
4. Politicamente corretto vs scorretto, parametro puramente culturale, in cui rientrano il rispetto
etnico, parità di genere, riferimenti all’orientamento sessuale, ad alcune professioni, a
situazioni di salute.
5. Argomenti di uso libero vs tabù, ci sono 3 tabù universali: eros, thanatos e sulle secrezioni del
corpo.
6. Cooperativo vs arroccato, atteggiamento delle persone
7. Cattivo vs brutto, una brutta figura, una brutta parola, azione non sono giudicate moralmente,
ma piuttosto esteticamente. In inglese è diverso, bad action, bad behaviour. In alcune culture
il giudizio avviene su un asse morale molto forte (buono-cattivo) che agli italiani appare
improprio.

1.4 si può insegnare e misurare la comunicazione interculturale?


No. Non si può insegnare per ragioni:
Qualitative - oggetto in continua evoluzione
Quantitative - esistono moltissime culture
Non si può insegnare la competenza, ma un modello di competenza comunicativa interculturale.
Si può insegnare ad osservarla, documentarla, descriverla.
Va costruita una cultura della comunicazione interculturale, che richiede lo sviluppo di abilità
relazionali, di atteggiamento interculturale, di una disponibilità alla differenza (dimensioni non
misurabili ma intuibili).

Cap. 2 - Problemi interculturali legati alla lingua, ai gesti, al corpo, agli oggetti
Viviamo in un immenso reticolo informativo (dà informazioni anche se non vogliamo darle) e
comunicativo (dà informazione che vogliamo dare).

2.1 i problemi legati alla lingua


La componente linguistica di un evento comunicativo
2.1.1 problemi di comunicazione legati al suono della lingua
Tono della voce e interrompersi (in Inghilterra sarebbe indice di un litigio, in italia no) - ci viene
attribuita aggressività per la mimica facciale, il tono alto, i gesti, l’invasione dello spazio
dell’interlocutore e le interruzioni. Questi aspetti sono legati alle strategie di politeness e allo
status e quindi alla nozione di gerarchia. La sovrapposizione in molte culture non è accettata.
L’alta velocità di un madrelingua è segno di poco rispetto.
2.1.2 problemi di comunicazione legati alla scelta delle parole e degli argomenti.
Gli argomenti più o meno tabuizzati sono riferiti a parole con connotazione sessuale o
politicamente scorretti, o su stereotipi. In oriente la tolleranza per l’ambiguità p un valore
culturale, un tratto psicologico della comunità (le microlingue scientifico-professionali, sigle…). Si

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tende ad usare l’inglese per denotare una certa modernità adattando la pronuncia alle proprie
regole fonologiche.
2.1.3 problemi di comunicazione legati ad alcuni aspetti grammaticali.
Nel mondo c’è una diffusa e serena accettazione degli errori morfosintattici e si riscontra una
notevole empatia. Per esempio non si usa il futuro nella cultura araba perché è nella mani di Dio.
L’uso dell’imperativo varia da lingua a lingua. Uso dei superlativi e comparativi è delicato (molto
usati in una cultura ferocemente competitiva come negli USA). Il modo di costruire le forme
interrogative. In molte culture le domande chiuse (con risposta sì o no) può avere solo una
risposta affermativa anche se l’informazione è errata, per confermare lo status di chi pone la
domanda. Il modo di costruire le forme negative, per alcune culture non ci sono problemi a
rispondere no, per altre è praticamente impossibile.
2.1.4 problemi comunicativi legati alla struttura del testo
Costruzione paratattica, cioè basata sulla coordinazione tra tante frasi, ciascuna delle quali è
autonoma.
Costruzione ipotetica, cioè basata sulla subordinazione. Pronomi relativi, struttura verbale
complessa e la consecutio temporum.
Costruzioni parallele per le lingue arabo e iraniano.
2.1.5 problemi comunicativi di natura sociolinguistica
Titoli e appellativi, signore/a/ina, dott. Etc a questi si applica la political correctness.
Formale / informale. Abbandono del Lei a favore del tu.

2.2 problemi legati ai gesti e alle posture


Sono importanti perché le informazioni legate alla vista vengono elaborate prima di quelle
linguistiche. Siamo prima visti e poi ascoltati. Inoltre la maggior parte delle info che raggiunge la
corteccia cerebrale passa dall’occhio. Siamo più visti che ascoltati. Sulla base di quel che si vede
si decide se comunicare o no (ricco vs povero). L’informazione visiva prevale su quella linguistica
(strizzare l’occhio per far intendere il contrario di quanto appena detto).
2.2.1 la cinesica: comunicare con i gesti e le espressioni
Espressioni del viso. Controllate nel nord europa e in oriente, dove la mimica assume valore di
intenzionalità.
Il sorriso. Può essere diniego per un giapponese che non vuole offendere l’interlocutore che lo ha
invitato.
Gli occhi. Nei paesi arabi guardare negli occhi significa lanciare una sfida.
Le braccia e le mani. In oriente la stretta di mano è inusuale, soprattutto in giappone e corea. La
mano sinistra nei paesi arabi è impura, come inesistente.
Le gambe e i piedi.
Il sudore e il profumo, i rumori e umori corporei.
Rumori fatici. mhmh per indicare attenzione e partecipazione alla conversazione.
2.2.2 la prossemica: la distanza tra corpi come forma di comunicazione.
Distanza frontale -
Contatto laterale -
Il bacio - stanno scomparendo rapidissimamente.
Il luogo di lavoro come “Bolla” - spazio aperto o chiuso.
2.3 problemi legati agli oggetti
Oggetti come quelli che denotano statu symbol - indicatori di ricchezza, buzzurri o raffinati. Le
macchine, il denaro. Parlare del proprio stipendio è fuori luogo in Italia.
Indicatori di raffinatezza di gusti.

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Indicatori di successo sociale e aziendale - telefono cellulare, lo status aziendale, la macchina blu,
etc.
Indicatori di rispetto e gentilezza: oggetti che si offrono. Non si regalano orologi in Cina perché è
un memento mori ed ha una pronuncia simile alla parola fine, conclusione.
Un oggetto particolare: il biglietto da visita.
Il vestiario come linguaggio. La formalità dell’abbigliamento è essenziale per comunicare il
rispetto.
2.4 problemi pragmatici: le mosse comunicative
Mosse up (assunte da chi vuole prendere il controllo della situazione - attaccare, dissentire e
rimproverare. Costruire e incoraggiare. Esporsi, parlare di sé, da non confondere con il vanto.
Ordinare e proporre. Riassumere, verificare la comprensione.) e down (abbandonare, rimandare.
difendersi. Giustificarsi e lamentarsi. scusarsi. .
Ci sono anche mosse ambivalenti in Italia come: cambiare argomento, domandare per chiedere
info o aiuto o per ricevere una risposta affermativa. Ironizzare. Interrompere e sdrammatizzare.
Tacere.

Cap 3. Problemi di comunicazione dovuti a valori culturali.


Software mentale - l’insieme dei valori della cultura di appartenenza.
3.1. problemi comunicativi legati al concetto di tempo
L’inizio della giornata (per noi è l’alba, per africani e asiatici è la notte)
La linea del tempo è una retta per le culture cristiane ebraiche e islamiche, ma per quelle indiane
e buddiste è un cerchio. In Hindi ieri e domani si dicono con la stessa parola che significa anche
tempo.
a. Tempo come corda o come elastico. Sempre tesa nel mondo occidentale, in oriente finito il
lavoro da compiere si rilassa come un elastico che si tende all’occorrenza.
b. Il concetto di puntualità e di tempo come potere. Chi fa attendere deve sapere se sta
comunicando, cioè vuole raggiungere uno scopo e usa l’attesa obbligata come linguaggio, se
sta informando, cioè facendo capire involontariamente che di quell’appuntamento non gliene
interessa niente - e sono entrambe offese, con tutte le conseguenze del caso - oppure se sta
malgrado tutto affrettandosi a concludere ciò che l’ha bloccato per poter poi rispettare
l’appuntamento.
c. Il tempo è danaro. Naturale in una cultura industriale.
d. Il tempo strutturato: la scaletta, l’ordine del giorno, l’agenda dei lavori.
e. Tempo monocronico e policronico. Popoli che usano un unico tempo alla volta e lo dedicano
a fare una unica cosa e popoli che hanno più tempi in parallelo, ciascuno dedicato ad una
attività.
f. Orrore del tempo vuoto, del silenzio. Small talk
g. Il tempo futuro e il tempo passato. Alcune culture di origine nomade in molte repubbliche ex
sovietiche concepiscono con difficoltà il passato e il futuro, perché la vita si snoda soprattutto
nel presente.
3.2 problemi comunicativi legati al concetto di pubblico e privato.
Sul piano comunicativo i problemi tra spazio pubblico e privato emergono soprattutto nella
gestione del tavolo comune durante un lavoro di gruppo, una riunione ecc.
3.3 problemi comunicativi legati alla gerarchia, al rispetto, allo status.
I paesi scandinavi sono a livelli molto bassi di distanza gerarchica, che raggiunge il minimo in
Austria. Come si esprime e si comunica la distanza gerarchica?
a. Trasparenza vs opacità. In oriente è l’anziano ad essere il capo, nei paesi occidentali molto
competitivi non è così ovvio.

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b. Permeabilità vs impermeabilità. Rispettare l’ordine gerarchico.


c. Esplicitezza vs implicitezza. In italia è implicita, non esibita.
Perdere la faccia in alcune culture è un vero dramma, oriente, africa, america latina. In Turchia o
Grecia un dirigente italiano che accetta critiche, che ammette errori può perdere la faccia ed
essere ritenuto debole. Così il professore che familiarizza troppo con gli studenti.
Politically correct: differenze di genere
orientamento sessuale (cameratismo machista ancora diffuso in Italia)
colore della pelle
disabilità (handicappati -> disabili -> diversamente abili)
professione (netturbini -> operatori ecologici)
3.4 problemi comunicativi legati al concetto di famiglia
In india per i cugini e fratelli si usa lo stesso termine! “È vero che il guru può essere più
importante di dio, ma una madre è più importante di dieci guru…”
3.5 problemi comunicativi legati al concetto di onestà, lealtà, fair play.
Corruzione.
3.6 problemi comunicativi legati al mondo metaforico.
La mente di un occidentale è orientata concettualmente in senso verticale. Gli opposti sono
collocati uno in alto, l’altro in basso. In asia gli opposti, ying e Yang sono posti in orizzontale, sono
sullo stesso piano, iscritti dentro un cerchio che per definizione geometrica non ha alto o basso.
(Matriarcato).
L’equazione serpente = male (una persona viscida, strisciante, dalla lingua biforcuta, gelida e
infida, non vale in asia, dove i serpenti simboleggiano la bellezza, la grazia, l’eleganza dei
movimenti e la purezza.
3.7 problemi interculturali legati alle grammatiche degli eventi comunicativi.
Ogni genere (barzelletta, lettera, conferenza…) ha delle proprie regole. La conoscenza di tali
regole e dei generi permette ai destinatari di capire che si tratta di una barzelletta e non di una
storia vera, di una conferenza e non di una conversazione ecc. che permette loro di sapere
esattamente cosa aspettarsi, come sarà strutturato quel testo, quale varietà di lingua verrà usata e
….
3.7.1 il dialogo
Ha sempre un duplice livello - il messaggio che udiamo, e un meta-messaggio che contiene delle
istruzioni implicite su come il messaggio base deve essere interpretato. Essi vanno decodificati
contemporaneamente e in tempo reale. Ci sono regole linguistiche, sociolinguistiche, relazionale
e sociali. Ovvero regole culturali. Se le culture sono diverse c’è un alto rischio che il meta-
messaggio non passi,
a. Il passaggio dal formale all’informale. Registro informale tra colleghi di grado più o meno
equivalente.
b. Il passaggio dai convenevoli o dal discorso generico al business. In oriente, nel nord africa e
sud america i convenevoli hanno un ruolo essenziale e anche il solo comprimerli può risultare
offensivo.
c. I turni di parola. Sono legate alle posizione relazionali up/down e alle nozioni culturalmente
delicatissime di gerarchia, di status, di faccia da salvare.
d. Le interruzioni. Per snellire la comunicazione, o per collaborare, per dare un dato nuovo, o per
maleducazione.
e. Le pause e il silenzio. Scandinavi e balcanici apprezzano le pause e tendono a irritarsi del
cicaleccio qualsiasi, dello small talk.
f. La conclusione di un incontro. Convenevoli molto semplici per europei e americani. Per gli
orientali invece hanno convenevoli più estesi, gli arabi mettono tutto nelle mani di dio.

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3.7.2 la telefonata.
L’apertura e la chiusura di una telefonata. Presentarsi non è così ovvio in oriente. Far attendere o
lasciar squillare a lungo in giappone è una scortesia.
3.7.3 riunione formale, lavoro di gruppo.
Problemi interculturali sono nella fissazione e nella espressione dei ruoli gerarchici e sociali, e nella
sequenza in devono avvenire alcuni momenti della riunione. I problemi di ordine generale sono:
a. Modo per mascherare o evidenziare la gerarchia. Leadership chiara che si esprime nella
posizione al tavolo, che non avviene in Svezia.
b. Gestione del tempo e dei ruoli relazionali, il capo apre e dà la parola.
c. Ricorso a storielle, aneddoti ecc. per rompere il ghiaccio. In germania è ritenuto inopportuno.
d. Aderenza all’ordine del giorno. Tedeschi e scandinavi sì. Il rinvio è una scelta culturalmente
inaccettabile. I mediterranei sono talvolta troppo flessibili.
Un lavoro di equipe è un evento la cui sequenza standard prevede 4 fasi:
a. Fase del caos. Storm phase.
b. Fase delle regole. Appunti, report, lucidi, raccolta dati.
c. Fase del lavoro. Gestione del tempo - sintesi e concisione degli americani vs gusto dell’analisi
e approfondimento degli europei.
d. Presentazione dei risultati. Si veda 3.7.5
3.7.4 il cocktail party, il pranzo e la cena.
I problemi possono sollevarsi per
a. La puntualità nell’arrivare e nel lasciare un party o una cena
b. Inizio del pasto
c. Linguaggi legati all’alcol
d. Conclusione del pasto
e. Postura
3.7.5 il monologo pubblico: conferenza, presentazione dei risultati di un gruppo.
I punti delicati possono essere:
a. La presentazione dell’oratore - europei dati essenziali, gli americani ricorrono a una vera e
propria laudatio dell’ospite.
b. Inizio della relazione. Americani inglesi e turchi fanno battute che possono suonare fuoriluogo
agli europei.
c. Dimostrazione di attenzione, con sorrisi e annuire di continuo per occidentali, per orientali è
rimanere impassibili.
d. Struttura degli interventi. Schematicità e organizzazione per punti per evitare digressioni.
Italiani e spagnoli tendono la lanciarsi in serie di digressioni a braccio per arricchire
l’intervento mentre risultano disorientanti per i nordici e anglosassoni.
e. Esibizione vs understatement dei risultati. Rapporto tra l’esplicitezza nel presentare i risultati
positivi e l’understatement, cioè l’implicitezza, il sottinteso. Per il modello americanizzato si
predilige l’esplicito, ma per tedeschi si consiglia una certa implicitezza basata sul principio a
buon intenditor poche parole….

Cap 4 - problemi interpretativi del modello e alcuni concetti di riferimento.


p. 133
La classificazione per stati, culture e modelli culturali non sono regole fisse ma indicazioni generali
di tipo conoscitivo con lo scopo di favorire esemplificando una visione di insieme delle diverse
culture. Osservare è una strategia per gestire in modo dinamico la relazione che è creativa in
quanto non preordinata su schemi fissi ed immobili. Si affianca alla dimensione conoscitiva anche

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una esplicita dimensione processuale. L’incontro con l’altro non è mai un incontro con una
cultura ma con una persona che interpreta e agisce una cultura. È necessario un buon
relativismo.
4.1 la giusta distanza nella comunicazione interculturale
Il dare per scontato può ostacolare o rendere difficile la comunicazione interculturale. Si utilizzano
competenze comunicative diverse che possono risultare inefficaci, inopportune o fuorvianti in altri
contesti. Epitteto: “Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini
formulano sui fatti”. Lo sguardo interculturale prima che essere uno sguardo verso l’altro, è uno
sguardo verso e dento se stessi. È il guardare se stessi mentre si guarda l’altro, cercando di
vedere entrambi dalla medesima distanza.
4.2 etnocentrismo, pregiudizio, stereotipo
La consapevolezza di se stessi e dei propri condizionamenti spesso inconsci sono la base per lo
sviluppo delle abilità relazionali. I meccanismi più rilevanti nel creare problematiche sono:
l’etnocentrismo, il pregiudizio e lo stereotipo. Sono inconsapevolmente introiettati fin da bambini
ed è pericolosa la loro rigidità e fissità. Le culture non vanno mai intese come unitarie, immobili e
pure. Sono somma e sottrazione di tutti gli elementi che le hanno attraversate nel tempo. pp.
137-138.
4.2.1 l’etnocentrismo
Tendenza che pone il proprio popolo al centro del mondo e giudica le altre culture secondo le
categorie e gli schemi (ritenuti validi in assoluto) della propria cultura.
4.2.2 il pregiudizio e lo stereotipo
Le loro funzioni per le persone e gruppi sociali. Ci possono servire ed aiutare per ridurre i
potenziali effetti negativi sulla comunicazione e sulla relazione. Il pregiudizio è il massimo livello di
generalità, di giudizio che precede l’esperienza, da intendersi più o meno errato, orientato in
senso favorevole o sfavorevole, riferito a fatti eventi o persone e gruppi. In senso più specifico
pregiudizio è considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono
ad un determinato gruppo sociale. Non si limita solo alle valutazioni ma a volte orienta
concretamente l’azione dei confronti dell’oggetto preso in considerazione.
Lo stereotipo generalmente è l’insieme delle caratteristiche che si associano a una certa categoria
di oggetti, in senso più specifico è l’insieme coerente e abbastanza rigido di credenze negative
che un certo gruppo condivide rispetto a un altro gruppo o categoria sociale. Si caratterizza per
l’ampiezza di condivisione, omogeneità percepita del gruppo bersaglio, la relativa rigidità e
resistenza al mutamento. Lo stereotipo può essere concepito come il nucleo cognitivo del
pregiudizio. Rispecchia anche la necessità psicologica di semplificare la realtà, attraverso la
categorizzazione. Altro elemento è legato ai processi inferenziali (di deduzione)tra dati espliciti e
dati impliciti che spingono la persona a creare dei collegamenti predittivi tra tratti soggettivi
rilevabili immediatamente e caratteristiche più stabili, profonde e invisibili dell’interlocutore. Lo
stereotipo tende ad utoriprodursi e alimentarsi attraverso un processo che viene comunemente
chiamato della profezia che si autoavvera: siamo portati inconsapevolmente a interpretare i
segnali comunicativi dell’altro notando maggiormente quelle caratteristiche che confermano le
aspettative preventive.

Cap. 5 - le abilità relazionali


Oltre alle conoscenze sugli stereotipi, pregiudizi e l’etnocentrismo è necessario poster delle
strategie di processo governate da abilità. Bisogna andare oltre la conoscenza della cultura altra e
entrare in quel territorio di mezzo costituito da ciò che avviene nel dinamico processo di
transculturazione. Bisogna attuare quelle capacità di ascolto attivo, attenzione, avvicinamento. Si

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fa riferimento alle like skills definite dall’OMS (organizzazione mondiale della sanità) come abilità/
capacità che ci permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al quale
possiamo affrontare afficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana. Balboni le sintetizza
in una classificazione (che va dall’antropologia, alla psico.sociologia e alla pedagogia
interculturale. Le abilità relazionali fondamentali sono:
- saper osservare (decentrarsi e straniarsi)
- Saper relativizzare
- Saper sospende il giudizio
- Saper ascoltare attivamente
- Saper comprendere emotivamente (empatizzare ed exotopizzare)
- Saper negoziare i significati
5.1 saper osservare
L’incontro con l’altro non è mai neutro.
Ognuno porta con sé esperienze pregresse, idee, proiezioni, concezioni estetiche, valori che
condizionano lo sguardo nel momento del contatto. Si aggiunga l’effetto primacy secondo cui la
prima impressione è fondamentale e determina l’evoluzione del rapporto. Se è pregiudiziale la
comunicazione sarà già falsata in partenza.
L’osservazione attiva dovrebbe ridurre o eliminare tali problematiche che comprometterebbero la
comunicazione. Si sviluppano quindi:
- la capacità di decentramento, distaccarsi dai propri ruoli o dai comportamenti abituali. Bisogna
trovare una posizione “terza”.
- La capacità di straniamento, cioè un distacco emotivo rispetto alla situazione osservata. Gli
errori culturali possono condizionare molto più di quelli linguistico-grammaticali
compromettendo la comunicazione proprio perché investono emozioni e chiamano in causa
valori e credenze tanto profonde quanto poco consapevoli.
Queste capacità vanno allenate con una costante opera di decostruzione della propria verità, che
è sempre parziale e mai definitiva.
Bisogna avere alcune attenzioni al fine di limitare la possibilità di proiettare le proprie categorie
sulle culture osservate.
5.2 saper relativizzare
Bisogna avere consapevolezza della parzialità del nostro sguardo rispetto alla realtà. Ma non
basta, si deve trasformare in costante atteggiamento di ricerca di un dialogo volto sia alla
chiarezza nell’attribuzione di signi cati condivisi ai comportamenti, sia alla comprensione di
cosa essi significano all’interno del paradigma valoriate dell’altro. Differenza tra cultura (Way of
life) e civiltà (way of thinking), tra le risposte di cultura ai bisogni di natura (vestirsi, mangiare,
ripararsi) e i valori irrinunciabili (pena di morte, infibulazione, lavoro minorile che possono porre
problemi).
5.3 saper sospendere il giudizio
5.4 saper ascoltare attivamente
L’ascolto attivo implica il passaggio da un atteggiamento del tipo giusto-sbagliato, io ho ragione-
tu torto, amico-nemico, vero-falso, normale-anormale, ad un altro in cui si assume che
l’interlocutore sia intelligente e che dunque bisogna mettersi nelle condizioni di capire com’è che
comportamenti e azioni che ci sembrano irragionevoli che ci disturbano per lui sono totalmente
ragionevoli e razionali…l’ascolto attivo è una serie di comportamenti, un processo relazionale
complesso che richiede il ricorso alla autoconsapevolezza emozionale e alla gestione creativa dei
conflitti.
È favorito dalla consapevolezza che:
a. Le lingue parlate condizionano i modi di pensare (Sapir e Whorf sono agli estremi)

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b. La cultura d’appartenenza condiziona la modalità di comunicazione e apprendimento o


relazione.
c. Diverse culture attribuiscono differenti valori ai codici.
I messaggi in uscita e in entrata (riassumere, riformulare, parafrasare, rispecchiare…) devono
essere chiariti qualora ci fossero potenziali dubbi.
5.5 saper comunicare emotivamente
Risorse emotive che vanno nella direzione dell’altro e del proprio io. Riconoscere le proprie
emozioni, dare loro un nome, ascoltarle cercandone i legami più o meno consapevoli con il
proprio vissuto sono parte di un processo fondamentale per gestirle e per poterle utilizzare come
uno strumento dialettico costruttivo. Occorre osservare le emozioni e interrogarle sul come e sul
perché agiscono in quella situazione. Bisogna allo stesso modo tenere conto delle emozioni
dell’altro. La comunicazione emotiva prevede la capacità di decentrarsi attraverso due concetti:
a. L’empatia, partecipare attivamente allo stato emozionale dell’interlocutore.
b. L’exotopia, la capacità di riconoscersi diversi dagli altri e di riconoscere la loro diversità. L’altro
è portatore di una prospettiva autonoma, altrettanto sensata della nostra e non riducibile alla
nostra.
5.6. saper negoziare i significati
Il processo di spiazzamento che si verifica nella disponibilità ad esporsi viene definito transitivi
cognitiva. Crea una sorta di permeabilità relazionale e comunicativa che ci permette di accogliere,
accettare parzialmente o rifiutare quanto sta dicendo l’interlocutore. Il concetto di creolizzazione
integra l’idea generica di meticciamento o di ibridazione aggiungendo un aspetto creativo
proprio dell’incontro: come le lingue creole sono lingue pidgin martirizzate, la creolizzazione
introduce un’idea di creatività e di imprevedibilità propria di quello che la comunicazione è
sempre: una costruzione di significati originali tra persone che interpretano delle culture. La
cultura di appartenenza è quella categoria di fondo di cui prendere coscienza e su cui costruire
poi le relazioni. È una costruzione soggettiva, un’autopercezione del proprio originale modo di
vivere, che si costruisce nell’intersoggettività, nella relazione con gli altri. Accorgerci di noi stessi e
dei nostri paradigmi scontati è il primo grande obiettivo per guardare meglio gli altri e noi stessi
attraverso gli altri.
Sospendere il giudizio è un buon metodo quando emotivamente ci sentiamo a disagio in modo
tale da non attribuire significati aprioristici al comportamento altrui.

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