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La Comunicazione Interculturale - Balboni
La Comunicazione Interculturale - Balboni
Introduzione
La CI viene affrontata secondo 3 prospettive differenti:
1. Come Problema di comunicazione, secondo un taglio semiotico con attenzione ai meccanismi
comunicazione. Studi propensi a modellizzazione teorica, qui presi come punto di riferimento
scientifico
2. Problema pragmatico, operativo, effetto problematico nella comunicazione tra persone di
culture diverse che usano una lingua ponte. Enfasi sulla Misurazione della competenza
interculturale di una persona
3. Come aspetto della competenza comunicativa. La tradizione era votata più per la
competenza linguistica (grammatica) che sulla competenza comunicativa, che si trova invece
oggi nell’approccio comunicativo, insegnando a fare con la lingua e a porre attenzione al
contesto socio-culturale, come quale registro usare o quale tabù non affrontare. Bisogna
perseguire una competenza comunicativa interculturale e le abilità relazionali necessarie per
comunicare in eventi interculturali.
Glottodidattica - la scienza che studia l’educazione linguistica.
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Competenza comunicativa è un concetto che nasce nel 1967 con Hymes come model of
interaction, poi ripreso nell’approccio comunicativo all’insegnamento delle lingue. La
competenza comunicativa è una realtà mentale che si realizza come esecuzione nel mondo.
Nella mente ci sono 3 competenze che costituiscono il sapere la lingua: la competenza
linguistica, extralinguistica e contestuale (pragmalinguistica, sociolinguistica e interculturale.
Queste competenze mentali si traducono in azioni comunicative, nel saper fare lingua (le abilità
linguistiche). I testi orali e scritti sottostanno alle regole sociali, pragmatiche e culturali (questa è la
padronanza della lingua, il saper fare con la lingua). Pg. 22. Questo modello si presta a chiarire
cos’è la comunicazione interculturale. Nella mente le tre competenze rimangono le stesse. Così
per la parte mondo. La differenza sta nel raccordo tra le competenze mentali e ciò che agiamo nel
mondo, dove servono anche le abilità relazionali.
SAPERE LA LINGUA SAPER FARE LINGUA
SAPERE FARE
CON LA LINGUA
Le abilità relazionali vanno sviluppate modi cando la propria forma mentis in ordine alla
reazione emozionale di fronte ad azioni o cose o parole di altre culture che riteniamo spiacevoli e
sociale di fronte a quelle che percepiamo come offese, mancanze di attenzione etc. Saper
osservare, relativizzare, sospendere il giudizio, ascoltare attivamente, comunicare
emotivamente, negoziare i signi cati.
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parametri su cui far perno per valutare i problemi comunicativi interculturali. I più produttivi sono i
seguenti:
1. Formale vs informale
2. Polite vs impolite essere ben educati e anche adeguarsi alla situazione, con gentilezza e
rispetto sociale (io e te => you and I)
3. Forza mascherata vs esplicita, come una personalità troppo dominante che prevarica gli altri,
quindi gli imperativi, il verbo dovere, i gesti imperiosi della mano in alcuni contesi sono
esclusi. Direttività vs implicitezza per imperativi. Esplicito / implicito è regolato anche dal
genere del parlante (il maschio generalmente è più esplicito).
4. Politicamente corretto vs scorretto, parametro puramente culturale, in cui rientrano il rispetto
etnico, parità di genere, riferimenti all’orientamento sessuale, ad alcune professioni, a
situazioni di salute.
5. Argomenti di uso libero vs tabù, ci sono 3 tabù universali: eros, thanatos e sulle secrezioni del
corpo.
6. Cooperativo vs arroccato, atteggiamento delle persone
7. Cattivo vs brutto, una brutta figura, una brutta parola, azione non sono giudicate moralmente,
ma piuttosto esteticamente. In inglese è diverso, bad action, bad behaviour. In alcune culture
il giudizio avviene su un asse morale molto forte (buono-cattivo) che agli italiani appare
improprio.
Cap. 2 - Problemi interculturali legati alla lingua, ai gesti, al corpo, agli oggetti
Viviamo in un immenso reticolo informativo (dà informazioni anche se non vogliamo darle) e
comunicativo (dà informazione che vogliamo dare).
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tende ad usare l’inglese per denotare una certa modernità adattando la pronuncia alle proprie
regole fonologiche.
2.1.3 problemi di comunicazione legati ad alcuni aspetti grammaticali.
Nel mondo c’è una diffusa e serena accettazione degli errori morfosintattici e si riscontra una
notevole empatia. Per esempio non si usa il futuro nella cultura araba perché è nella mani di Dio.
L’uso dell’imperativo varia da lingua a lingua. Uso dei superlativi e comparativi è delicato (molto
usati in una cultura ferocemente competitiva come negli USA). Il modo di costruire le forme
interrogative. In molte culture le domande chiuse (con risposta sì o no) può avere solo una
risposta affermativa anche se l’informazione è errata, per confermare lo status di chi pone la
domanda. Il modo di costruire le forme negative, per alcune culture non ci sono problemi a
rispondere no, per altre è praticamente impossibile.
2.1.4 problemi comunicativi legati alla struttura del testo
Costruzione paratattica, cioè basata sulla coordinazione tra tante frasi, ciascuna delle quali è
autonoma.
Costruzione ipotetica, cioè basata sulla subordinazione. Pronomi relativi, struttura verbale
complessa e la consecutio temporum.
Costruzioni parallele per le lingue arabo e iraniano.
2.1.5 problemi comunicativi di natura sociolinguistica
Titoli e appellativi, signore/a/ina, dott. Etc a questi si applica la political correctness.
Formale / informale. Abbandono del Lei a favore del tu.
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Indicatori di successo sociale e aziendale - telefono cellulare, lo status aziendale, la macchina blu,
etc.
Indicatori di rispetto e gentilezza: oggetti che si offrono. Non si regalano orologi in Cina perché è
un memento mori ed ha una pronuncia simile alla parola fine, conclusione.
Un oggetto particolare: il biglietto da visita.
Il vestiario come linguaggio. La formalità dell’abbigliamento è essenziale per comunicare il
rispetto.
2.4 problemi pragmatici: le mosse comunicative
Mosse up (assunte da chi vuole prendere il controllo della situazione - attaccare, dissentire e
rimproverare. Costruire e incoraggiare. Esporsi, parlare di sé, da non confondere con il vanto.
Ordinare e proporre. Riassumere, verificare la comprensione.) e down (abbandonare, rimandare.
difendersi. Giustificarsi e lamentarsi. scusarsi. .
Ci sono anche mosse ambivalenti in Italia come: cambiare argomento, domandare per chiedere
info o aiuto o per ricevere una risposta affermativa. Ironizzare. Interrompere e sdrammatizzare.
Tacere.
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3.7.2 la telefonata.
L’apertura e la chiusura di una telefonata. Presentarsi non è così ovvio in oriente. Far attendere o
lasciar squillare a lungo in giappone è una scortesia.
3.7.3 riunione formale, lavoro di gruppo.
Problemi interculturali sono nella fissazione e nella espressione dei ruoli gerarchici e sociali, e nella
sequenza in devono avvenire alcuni momenti della riunione. I problemi di ordine generale sono:
a. Modo per mascherare o evidenziare la gerarchia. Leadership chiara che si esprime nella
posizione al tavolo, che non avviene in Svezia.
b. Gestione del tempo e dei ruoli relazionali, il capo apre e dà la parola.
c. Ricorso a storielle, aneddoti ecc. per rompere il ghiaccio. In germania è ritenuto inopportuno.
d. Aderenza all’ordine del giorno. Tedeschi e scandinavi sì. Il rinvio è una scelta culturalmente
inaccettabile. I mediterranei sono talvolta troppo flessibili.
Un lavoro di equipe è un evento la cui sequenza standard prevede 4 fasi:
a. Fase del caos. Storm phase.
b. Fase delle regole. Appunti, report, lucidi, raccolta dati.
c. Fase del lavoro. Gestione del tempo - sintesi e concisione degli americani vs gusto dell’analisi
e approfondimento degli europei.
d. Presentazione dei risultati. Si veda 3.7.5
3.7.4 il cocktail party, il pranzo e la cena.
I problemi possono sollevarsi per
a. La puntualità nell’arrivare e nel lasciare un party o una cena
b. Inizio del pasto
c. Linguaggi legati all’alcol
d. Conclusione del pasto
e. Postura
3.7.5 il monologo pubblico: conferenza, presentazione dei risultati di un gruppo.
I punti delicati possono essere:
a. La presentazione dell’oratore - europei dati essenziali, gli americani ricorrono a una vera e
propria laudatio dell’ospite.
b. Inizio della relazione. Americani inglesi e turchi fanno battute che possono suonare fuoriluogo
agli europei.
c. Dimostrazione di attenzione, con sorrisi e annuire di continuo per occidentali, per orientali è
rimanere impassibili.
d. Struttura degli interventi. Schematicità e organizzazione per punti per evitare digressioni.
Italiani e spagnoli tendono la lanciarsi in serie di digressioni a braccio per arricchire
l’intervento mentre risultano disorientanti per i nordici e anglosassoni.
e. Esibizione vs understatement dei risultati. Rapporto tra l’esplicitezza nel presentare i risultati
positivi e l’understatement, cioè l’implicitezza, il sottinteso. Per il modello americanizzato si
predilige l’esplicito, ma per tedeschi si consiglia una certa implicitezza basata sul principio a
buon intenditor poche parole….
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una esplicita dimensione processuale. L’incontro con l’altro non è mai un incontro con una
cultura ma con una persona che interpreta e agisce una cultura. È necessario un buon
relativismo.
4.1 la giusta distanza nella comunicazione interculturale
Il dare per scontato può ostacolare o rendere difficile la comunicazione interculturale. Si utilizzano
competenze comunicative diverse che possono risultare inefficaci, inopportune o fuorvianti in altri
contesti. Epitteto: “Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini
formulano sui fatti”. Lo sguardo interculturale prima che essere uno sguardo verso l’altro, è uno
sguardo verso e dento se stessi. È il guardare se stessi mentre si guarda l’altro, cercando di
vedere entrambi dalla medesima distanza.
4.2 etnocentrismo, pregiudizio, stereotipo
La consapevolezza di se stessi e dei propri condizionamenti spesso inconsci sono la base per lo
sviluppo delle abilità relazionali. I meccanismi più rilevanti nel creare problematiche sono:
l’etnocentrismo, il pregiudizio e lo stereotipo. Sono inconsapevolmente introiettati fin da bambini
ed è pericolosa la loro rigidità e fissità. Le culture non vanno mai intese come unitarie, immobili e
pure. Sono somma e sottrazione di tutti gli elementi che le hanno attraversate nel tempo. pp.
137-138.
4.2.1 l’etnocentrismo
Tendenza che pone il proprio popolo al centro del mondo e giudica le altre culture secondo le
categorie e gli schemi (ritenuti validi in assoluto) della propria cultura.
4.2.2 il pregiudizio e lo stereotipo
Le loro funzioni per le persone e gruppi sociali. Ci possono servire ed aiutare per ridurre i
potenziali effetti negativi sulla comunicazione e sulla relazione. Il pregiudizio è il massimo livello di
generalità, di giudizio che precede l’esperienza, da intendersi più o meno errato, orientato in
senso favorevole o sfavorevole, riferito a fatti eventi o persone e gruppi. In senso più specifico
pregiudizio è considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono
ad un determinato gruppo sociale. Non si limita solo alle valutazioni ma a volte orienta
concretamente l’azione dei confronti dell’oggetto preso in considerazione.
Lo stereotipo generalmente è l’insieme delle caratteristiche che si associano a una certa categoria
di oggetti, in senso più specifico è l’insieme coerente e abbastanza rigido di credenze negative
che un certo gruppo condivide rispetto a un altro gruppo o categoria sociale. Si caratterizza per
l’ampiezza di condivisione, omogeneità percepita del gruppo bersaglio, la relativa rigidità e
resistenza al mutamento. Lo stereotipo può essere concepito come il nucleo cognitivo del
pregiudizio. Rispecchia anche la necessità psicologica di semplificare la realtà, attraverso la
categorizzazione. Altro elemento è legato ai processi inferenziali (di deduzione)tra dati espliciti e
dati impliciti che spingono la persona a creare dei collegamenti predittivi tra tratti soggettivi
rilevabili immediatamente e caratteristiche più stabili, profonde e invisibili dell’interlocutore. Lo
stereotipo tende ad utoriprodursi e alimentarsi attraverso un processo che viene comunemente
chiamato della profezia che si autoavvera: siamo portati inconsapevolmente a interpretare i
segnali comunicativi dell’altro notando maggiormente quelle caratteristiche che confermano le
aspettative preventive.
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fa riferimento alle like skills definite dall’OMS (organizzazione mondiale della sanità) come abilità/
capacità che ci permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al quale
possiamo affrontare afficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana. Balboni le sintetizza
in una classificazione (che va dall’antropologia, alla psico.sociologia e alla pedagogia
interculturale. Le abilità relazionali fondamentali sono:
- saper osservare (decentrarsi e straniarsi)
- Saper relativizzare
- Saper sospende il giudizio
- Saper ascoltare attivamente
- Saper comprendere emotivamente (empatizzare ed exotopizzare)
- Saper negoziare i significati
5.1 saper osservare
L’incontro con l’altro non è mai neutro.
Ognuno porta con sé esperienze pregresse, idee, proiezioni, concezioni estetiche, valori che
condizionano lo sguardo nel momento del contatto. Si aggiunga l’effetto primacy secondo cui la
prima impressione è fondamentale e determina l’evoluzione del rapporto. Se è pregiudiziale la
comunicazione sarà già falsata in partenza.
L’osservazione attiva dovrebbe ridurre o eliminare tali problematiche che comprometterebbero la
comunicazione. Si sviluppano quindi:
- la capacità di decentramento, distaccarsi dai propri ruoli o dai comportamenti abituali. Bisogna
trovare una posizione “terza”.
- La capacità di straniamento, cioè un distacco emotivo rispetto alla situazione osservata. Gli
errori culturali possono condizionare molto più di quelli linguistico-grammaticali
compromettendo la comunicazione proprio perché investono emozioni e chiamano in causa
valori e credenze tanto profonde quanto poco consapevoli.
Queste capacità vanno allenate con una costante opera di decostruzione della propria verità, che
è sempre parziale e mai definitiva.
Bisogna avere alcune attenzioni al fine di limitare la possibilità di proiettare le proprie categorie
sulle culture osservate.
5.2 saper relativizzare
Bisogna avere consapevolezza della parzialità del nostro sguardo rispetto alla realtà. Ma non
basta, si deve trasformare in costante atteggiamento di ricerca di un dialogo volto sia alla
chiarezza nell’attribuzione di signi cati condivisi ai comportamenti, sia alla comprensione di
cosa essi significano all’interno del paradigma valoriate dell’altro. Differenza tra cultura (Way of
life) e civiltà (way of thinking), tra le risposte di cultura ai bisogni di natura (vestirsi, mangiare,
ripararsi) e i valori irrinunciabili (pena di morte, infibulazione, lavoro minorile che possono porre
problemi).
5.3 saper sospendere il giudizio
5.4 saper ascoltare attivamente
L’ascolto attivo implica il passaggio da un atteggiamento del tipo giusto-sbagliato, io ho ragione-
tu torto, amico-nemico, vero-falso, normale-anormale, ad un altro in cui si assume che
l’interlocutore sia intelligente e che dunque bisogna mettersi nelle condizioni di capire com’è che
comportamenti e azioni che ci sembrano irragionevoli che ci disturbano per lui sono totalmente
ragionevoli e razionali…l’ascolto attivo è una serie di comportamenti, un processo relazionale
complesso che richiede il ricorso alla autoconsapevolezza emozionale e alla gestione creativa dei
conflitti.
È favorito dalla consapevolezza che:
a. Le lingue parlate condizionano i modi di pensare (Sapir e Whorf sono agli estremi)
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