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L’apocalisse sempre ha suscitato una grande fascino e timore per l’immagini che per questo
ha acquistato l’accezione moderna nelle lingue.
Il fascino viene accesso dalle immagini e dei simboli catastrofici. Altre volte ha una presa su
di noi perché è un linguaggio misterico che ti vuole portare oltre.
Assistiamo a una grande ripresa degli studi sull’Apocalisse.
Fino agli anni 70 era difficile trovare un corso sull’Apocalisse negli Atenei. Si è fatto negli
anni 80.
Ha aiutato molto la ricerca sul genere letterario, la teologia biblica (come scienza è sorta alla
fine del 1700).
Consigliato: l’introduzione di P. Bovati.
Dentro questo testo si nascondeva un grande patrimonio di ricchezza che doveva essere
svelato (Apocalisse). L’apokaypsis in una prospettiva cristiana vuole dire vangelo, si è
svelato il mistero di Dio.
La letteratura apocalittica nasce già in alcuni passi dell’AT a partire dal V sec. a.C. Gli
studiosi parlano di un’apocalittica giudaica (V a.C.) e una cristiana (II-III). Noi sappiamo che
sul finire del II sec la letteratura apocalittica era molto fiorente. Dopo Cristo assume una
connotazione pasquale.
Nell’AT il libro di Daniele è apocalittico non profetico. La maggior parte dei testi apocalittici
giudaici e cristiani sono apocrifi.
Gli studiosi adesso non preferiscono distinguere tra due bandi, fanno parte di un corpo unico
di apocalittica.
Ancora qualcuno pensa che l’apocalisse sia un testo enigmatico, perché ha un linguaggio
difficile come se fosse un codice segreto.
È stato maltrattato da alcuni gruppi eretici, millenaristi.
Già nel II sec era già accolto e conservato come un testo speciale dalle comunità cristiane,
loro si riconoscevano nell’apocalisse. Veniva letta e commentata in epoca patristica in epoca
pasquale. L’apocalisse è un continuo citare dell’AT. Si va da autori che riconosce 300/440
riprese fino a 3000. È un riprendere tutto l’AT per rileggerlo alla luce di Cristo.
Noi non capiamo l’Apocalisse perché non conosciamo la Scrittura.
I Padri la leggevano nella prospettiva giusta: la pasquale. Poi cominciano delle interpretazioni
allegoriche. E si comincia a perdere il riferimento alla Scrittura, si interpreta secondo la
propria strada.
Gioacchino da Fiori (s. XII) nel suo Enchiridion propone di intendere l’Apocalisse come una
vera e propria profezia intesa nell’accezione più comune: previsione del futuro. Dice che è
tutta una grande previsione che descrive le scansioni della storia della salvezza da quel
momento fino alla fine del mondo.
Da quel momento viene capito il libro come una raccolta di previsioni per il futuro.
Nasce un’interpretazione letterale che tradisce il suo genere letterario. Anche una lettura
fantasiosa.
Oggi abbiamo degli studi che cercano di riprendere la lettura della visione dell’Apocalisse
che si aveva nelle prime comunità cristiane. Se si riesce a capire il vissuto delle prime
comunità si riuscirà a capire il senso dell’Apocalisse.
Alcuni chiedono di studiare anche il contesto giudaico e giudeo-cristiano (immaginario
cosmico, mitologico che accompagnava la visione del tempo e della storia nel contesto
giudaico e limitrofe).
Altri dicono che ci vuole capire i miti greco-romani. Pedroli dice che è una posizione
esagerata.
Negli anni 80-90 si leggeva l’Apocalisse in una prospettiva escatologica. Si supera l’idea di
una previsione sul futuro e si pasa a una prospettiva teologica (l’eschaton).
Il testo dell’Apocalisse è ben documentato. È uno dei testi del NT ben documentato riguardo
ai codici e manoscritti.
Qualche problema deriva del fatto che non è riportata nel codice B, e il testo che ritroviamo
nel codice S non ha l’attendibilità che aspettiamo. Il codice privilegiato è senz’altro il codice
A.
La prima cosa da mettere in luce è porre la lettura dell’Apocalisse nel genere letterario a cui
appartiene: è una rivelazione.
Abbiamo lo schema tipico: sviluppo lineare nel tempo e nello spazio, abbiamo una storia che
sfocia nella Gerusalemme nuova.
Un documento pubblicato nel 1979 propone un decalogo per il quale un testo deve essere
identificato come apocalittico: Jensey Collins.
Un americano, dieci anni fa, ha messo in dubbio questo decalogo. La moderatrice di quel
simposio a Boston era la moglie di questo Collins e ha dato ragione a quell’americano.
a) Il simbolismo.
b) L’autore dell’Apocalisse si definisce come profeta. Definisce il suo scritto come parole di
profezia.
Si vedeva un passo di “testimone”: dalla Torah ai profeti, ai sapienti e alla fine agli
apocalittici con lo scopo di far riuscire il popolo a seguire la Torah. Poiché noi non siamo
capaci di seguire la Parola, ci vuole un intervento divino. E questo è capitato nel Vangelo,
Dio è intervenuto.
C’è una possibilità di leggere questo in chiave storica al di fuori del cristianesimo? Certo,
l’apocalittica giudaica.
Quanto Gesù e i suoi respiravano questo clima apocalittico del primo secolo?
Quanto la letteratura qumramica sa di apocalittico?
Che tipo di comunità viveva a Qumran?
Noi come chiesa siamo debitori di questo pensiero molto di più di quanto pensiamo.
L’Apocalisse presenta anche un genere epistolare. Si pensa che potrebbe essere anche una
grande lettera rivolta a qualcuno secondo il pensiero della prima comunità cristiana.
Tra l’autore e i destinatari si capisce che c’è un intreccio molto forte, una reciprocità
profonda.
Non possiamo, invece, definirla una lettera secondo quanto abbiamo in mente il genere
epistolare perché mancano elementi essenziali.
È anche un testo visionario (genere letterario a sé stante).
Ci sono tanti richiami liturgici. L’Apocalisse più che un testo da leggere è un testo da
celebrare.
Possiamo fare un elaborato di 5-6 pagine: una sintesi su quello che ci ha colpito. Può essere
una recensione su articolo o un testo, un contributo sull’apocalisse.
Struttura dell’Apocalisse
Pedroli:
1,1-3 prologo
22,6-21 epilogo
La lingua e lo stile
Ha uno sfondo ebraico-aramaico. Ci sono anche degli errori grammaticali nel greco e questo
ha colpito gli studiosi.
Ο ην: “el era”. Manca un relativo o un participio.
Manca concordanza tra generi.
Per questo qualcuno ha pensato che l’Apocalisse sia una traduzione dall’aramaico o
dall’ebraico.
Ma quando si fa la retro-traduzione qualcosa non va perché è stata pensata in greco.
Il greco dell’Apocalisse è un bel greco, l’autore lo conosce bene, si muove nel greco come
uno di madrelingua.
Cita molto speso l’AT, e quando andiamo al testo che prende notiamo che ha davanti LXX e
TM, e dipende del suo scopo usa uno o l’altro.
Ha una terminologia colta. Ci sono parole che ricorrono poche volte in tutta la letteratura
greca, una terminologia molto precisa.
Riguardo alla mancanza di concordanza di generi: una parola la concorda male e poi bene.
Quindi sa molto bene il greco, sa concordare le parole. Queste anomalie sembrano che siano
fatte a posta. L’autore appositamente crei delle anomalie grammaticali. E non vengono
correte dalle comunità.
A quale scopo? Sembra che per lui la lingua sembra molto stretta e deve strapparla per
esprimere quello che vuole trasmettere. La lingua non basta per quello che deve comunicare.
Lui crea anche delle immagini e dei termini che non trovi mai, crea degli hapax. Immagini
che non sono rappresentabili.
Usa il genere letterario delle visioni. Non sono delle cose che lui ha visto, sono dei concetti
che dobbiamo decodificare.
Il contesto dell’Apocalisse è la celebrazione sinagogale. La didaché è come la gemella
dell’apocalisse in quanto a un contesto celebrativo.
Perché usa un linguaggio simbolico e non quello normale? Un linguaggio univoco è limitato,
chiuso. Lo svantaggio del linguaggio simbolico è che è difficile, devi decodificarlo, ma il
vantaggio è che è un linguaggio aperto, illimitato nel suo significato. Per questo per parlare di
Dio la Scrittura (la teologia) usa questo linguaggio.
(Il colore verde è simbolo della morte, della brevità della vita; il rosso è simbolo del male
perché fa perdere la vita, il sangue. Il nero è il colore dell’ingiustizia. Il bianco è il colore
della morte naturale, è il colore della risurrezione. È a capo degli altri cavalli).
Ugo Vanni scrisse: “L’autore dell’Ap un eminente ebreo che incontra Gesù”.
Clemente Alessandrino dice che Gv scrisse l’Ap.
Anche nell’ambito patristico ci sono le voci discordanti.
Una terza posizione diche che l’autore venga identificato come un profeta di una comunità
nel contesto del paolinismo.
Una quarta posizione: nell’ambito della pseudonimia apocalittica. È un modo per accreditare
lo scritto e anche un modo per ispirarsi, per farlo parlare ancora nella situazione nostra.
Una lettura secondo gli occhi di Dio nel contesto de la teologia giovannea per leggere la
situazione degli anni 100-110.
L’autore di certo è una persona colta. Che sia collocato in contesto ellenistico è molto
probabile. Si muove bene nella cultura greca ed ebraica.
Conosce molto bene la Scrittura attraverso citazioni esplicite, allusioni, richiami. Non si fa
problema a rielaborare la Scrittura.
Nella gestione dei problemi della comunità l’autore dell’apocalisse è molto conservatore,
invece Paolo è molto aperto.
Esempio: la carne immolata agli idoli. Paolo accetta di mangiarla, invece per l’autore
dell’Apocalisse dice che guai a chi la mangia. Questo ci porta alla questione del canone che a
seconda del contesto vengono ispirate due posizioni differenti. Quindi l’autore è molto legato
alla tradizione giudeo-cristiana.
La data di composizione
Alcuni lo collocano prima del 70. (Verger). Lui punta sull’anno 69. Percepiamo che la
situazione sta scoppiando. Si appoggiano sui cc.17-18. Qui si fa capire che tutto sta per
crollare (idea del tempio).
Ci sono dei problemi: Roma viene associata a Babilonia e viene chiamata così soltanto dopo
il 70. Si abbina la seconda distruzione del tempio alla prima fatta dai babilonesi. Tutto è alla
luce di quello accaduto nel 70.
La tradizione patristica: Ireneo dice che le visioni dell’Ap sono da collocare verso la fine del
regno di Domiziano (95-96). Poi dobbiamo dare un tempo per la redazione: quindi 110 in poi.
Alcuni dicono vicino al tempo di Traiano. È una posizione tardiva (130).
La lettura interna ed esterna la colloca negli anni 115-120.
Se si ammette un vincolo con il QV, allora devi collocare l’Ap dopo il QV.
Pedroli: chi colloca l’Ap negli anni 60 è perché non considera la sua portata teologica e la sua
continuità nell’ambito giovanneo.
Interpretare l’Apocalisse
C’è stata un’interpretazione letterale e molto realistica. È durata a lungo e ha creato dei
problemi.
Oggi il contesto liturgico viene considerato quello ideale per interpretare l’Apocalisse. Una
prospettiva pasquale, battesimale, eucaristica. Una lettura che scaturisce dalla celebrazione.
Si serve del genere letterario e del simbolismo per creare qualcosa di nuovo che è una lettura
pasquale della storia.
Maccabei e Enoch sono stati nell’ultima “lotta” per entrare nel canone. Maccabei è entrato
per il tema della preghiera per i defunti.
C’è una chiave simbolica legata al cosmo. Tutti gli elementi del cosmo vengono presi e viene
dato a loro un nuovo significato.
La terza parte del creato che cade, si oscura è la parte segnata dal male. Lo stesso con la terza
parte degli uomini, non è che muoiano tanti, anzi che la parte segnata dal male nell’uomo che
deve cadere. È una purificazione.
Simbolismo legato agli animali (teriomorfo). Si basa sulla forma degli animali ma con un
significato differente.
Gli animali hanno qualcosa di misterioso. Nell’Ap essi si muovono tra la terra e il cielo.
Sentono l’influsso dall’alto e si muovono nel contesto dal basso.
Sono qualcosa al di sotto della trascendenza ma al di sopra del livello terreno.
Il simbolismo dell’Apocalisse
Un’altra chiave simbolica è quella numerica. Nella tradizione semitica i numeri diventavano
veicoli per conoscere la volontà di Dio.
Alcuni numeri hanno un valore simbolico in una cultura.
Le tribù di Israele sono 12: 4x3 la perfezione dell’universalità. 12 anche gli apostoli. Così si
pone in continuità la prima alleanza con quella nuova.
Nella letteratura greca non c’è una sequenza così bella delle pietre preziose.
Qualcuno postula che le pietre hanno un ordine per riflettere di più la luce. Così se tu sei più
vicino a Cristo rifletti più luce.
Il 1000. Vuole dire che la realtà che descrive si trova sul piano di Dio.
I punti cardinali vengo chiamati così Nord Est Ovest Sud. L’unico parallelo si trova in
Ezechiele LXX che parla del Tempio. Quindi il vero e nuovo tempio è la Gerusalemme del
Cielo.
Il 6 è simbolo della mancanza.
3 tempi e mezzo è un tempo provvisorio, passa presto.
La bestia si maschera come agnello ma la sua parola la tradisce.
La Cristologia dell’Apocalisse
La parola Gesù compare soltanto 9 volte poi ci sono dei titoli: Figlio di Dio, dell’Uomo,
Kyrios Kyrion e Basileus Basileuon (2x), La parola di Dio (c.19).
Anche titoli con participi sostantivati: “il vivente”, “colui che viene”, “colui che vince”, “il
primo e l’ultimo”, “l’alfa e l’omega”(ogni passo della storia è in mano di Cristo)
Il Gesù dell’Apocalisse è un Gesù passionale. Si presenta nelle lettere come un amato che si
rivolge alle chiese come la sua amata.
Abbiamo espressioni di sorpresa, di gioia, espressioni travolgenti, di premura, di affetto: “non
ti preoccupare”. A volte ha delle espressioni taglienti che ricordano il Dio geloso.