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Piccola e media impresa

Le piccole e medie imprese o PMI sono aziende le cui dimensioni rientrano entro certi


limiti occupazionali e finanziari prefissati. Per questa ragione, e anche per le oggettive
difficoltà di attrarre capitali, Stati e Regioni di solito mettono in atto politiche di sostegno
verso la PMI.
È importante considerare che le piccole e medie imprese si comportano talvolta in modo
decisamente diverso da quelle di dimensioni maggiori, sia per la diversa tipologia di
organizzazione (talvolta le PMI sono ancora gestite direttamente dal proprietario), sia per
la limitata disponibilità di capitali e le conseguentemente differenti politiche gestionali.

PMI in Europa[modifica | modifica wikitesto]


L'abbreviazione PMI (o SME in inglese) è diffusa soprattutto nell'Unione europea e nelle
organizzazioni internazionali, quali la Banca Mondiale, le Nazioni Unite ed il WTO. In altri
paesi è usata l'abbreviazione SMB, "Small or Medium sized Business".
Ciascuno stato membro dell'UE ha tradizionalmente utilizzato una propria definizione di
PMI. Per esempio, in Italia, il limite era 250 impiegati che salivano a 500 in Germania e
scendevano a 100 in Belgio. Oggi, invece, l'Unione europea ha uniformato il concetto di
PMI come segue:

Fatturato Totale di bilancio


Tipo Occupati (Milioni di €) (Milioni di €)

(ULA)

oppur
Media impresa < 250 e ≤ 50 ≤ 43
e
Piccola oppur
< 50 e ≤ 10 ≤ 10
impresa e
oppur
Micro impresa < 10 e ≤2 ≤2
e

PMI negli Stati Uniti[modifica | modifica wikitesto]


Negli Stati Uniti non esiste una definizione condivisa di PMI. Di solito è determinata in
funzione del settore industriale di appartenenza. Alle gare per molti contratti governativi,
soprattutto nell'ambito dei servizi e di edilizia minore, sono chiamate a concorrere
specificatamente delle PMI.

Definizione PMI[modifica | modifica wikitesto]


Già con la Raccomandazione 96/280/CE del 3 aprile 1996, la Commissione
europea volle sottolineare la necessità di definire le PMI in modo preciso ed unitario. La
difformità dei criteri utilizzati per definire le PMI e, di conseguenza, la molteplicità di
definizioni utilizzate a livello unitario e a livello nazionale sarebbe potuta diventare fonte
di incoerenza. Il programma aveva lo scopo di aumentare il coordinamento tra le
iniziative dell'Unione a favore delle PMI, con quelle intraprese a livello nazionale. In un
mercato unico senza frontiere interne le imprese devono essere oggetto di politiche
basate su regole comuni, se si considera, infatti, la forte interazione tra le misure di
sostegno nazionali e dell'Unione a favore di questa categorie di imprese (per
esempio, fondi strutturali e di ricerca), è fondamentale evitare che l'Unione sviluppi
progetti mirati al sostegno di una determinata categoria di PMI, mentre gli Stati membri
guardino verso altre.
L'utilizzo della stessa definizione da parte della Commissione, degli Stati membri,
della Banca europea degli investimenti (BEI) e dal Fondo europeo per gli
investimenti (FEI) ha reso possibile aumentare la coerenza e l'efficacia delle politiche
indirizzate alle PMI e ha limitato il conseguente rischio di distorsione della concorrenza.
Così la Commissione raccomandò l'adozione di quattro criteri per l'identificazione di
questa categoria di imprese: numero dei dipendenti, fatturato, totale di bilancio e
indipendenza, nonché le soglie di 50 e 250 dipendenti, rispettivamente per le piccole e
medie imprese.
Con la Raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003, la Commissione ha
provveduto ad aggiornare le regole sulla base delle quali un'impresa può essere definita
PMI, con decorrenza dal 1º gennaio 2005. Come in quella precedente (96/280/CE), che
non risultava più adeguata alla corretta determinazione della classe dimensionale delle
imprese destinatarie di aiuti pubblici, il criterio del numero degli occupanti svolge un ruolo
principale, in quanto uno dei più significativi; tuttavia per poter comprendere al meglio
l'impresa, sotto un'ottica di risultati e di posizionamento rispetto ai concorrenti, svolge un
ruolo altrettanto importante il criterio finanziario. Questo criterio prevede l'analisi sia del
fatturato che del totale di bilancio, che rispecchia la ricchezza generale dell'impresa; la
necessità di prendere in considerazione entrambi i valori nasce dalle differenze di
fatturato che vi sono tra i diversi settori.
La nuova raccomandazione oltre ad essere andata a modificare i parametri finanziari di
identificazione di una PMI, ha voluto anche meglio definire le microimprese, che
svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo imprenditoriale e nella creazione di posti
si lavoro, aggiungendo ai limiti sul numero dei dipendenti, anche quelli sul fatturato o sul
totale dell'attivo dello Stato patrimoniale. Si può notare come le variazioni, che sono state
apportate, sono tutt'altro che trascurabili; infatti consentono ad un gran numero di
imprese di entrare a far parte di questa categoria oggetto di agevolazioni e di attenzioni
provenienti, come già sottolineato, sia da organismi dell'Unione europea sia nazionali.
Ora vediamo come l'Allegato 1/2 della raccomandazione prevede che vengano suddivise
le PMI:

 media impresa, quando il numero dei dipendenti è inferiore a 250, quando il


fatturato annuo non supera i 50 milioni di Euro o il totale dell'attivo dello Stato
Patrimoniale non supera i 43 milioni di Euro.
 piccola impresa, quando il numero di dipendenti è inferiore a 50, quando il
fatturato annuo o il totale dell'attivo dello Stato Patrimoniale annuo non superino i 10
milioni di Euro.
 microimpresa, quando il numero dei dipendenti è inferiore a 10, quando il
fatturato annuo o il totale dell'attivo dello Stato Patrimoniale annuo non superino i 2
milioni di Euro.
Altra importante modifica apportata al documento da parte della Commissione, riguarda
la nozione di indipendenza. Mentre in quello precedente (96/280/CE) venivano
considerate imprese indipendenti "quelle il cui capitale o i cui diritti di voto non sono
detenuti per 25% o più da una sola impresa, oppure, congiuntamente, da più imprese
non conformi alle definizioni di PMI o di piccola impresa, secondo i casi", la nuova
definizione prevede che non sia considerata "autonoma", ai fini della determinazione dei
parametri dimensionali, "l'impresa collegata" e "l'impresa associata". Per quanto riguarda
quest'ultima, si intende quella il cui 25% del capitale o dei diritti di voto è in mano, da sola
o insieme a una o più imprese collegate; soglia che può essere raggiunta o superata
qualora siano presenti le categorie di investitori, specificate nell'Allegato 1/3 della
raccomandazione 1442 , che in particolare riguardano il settore pubblico e istituzionale.
L'eccezione vale però solo se gli stessi investitori non sono individualmente o
congiuntamente collegati all'impresa e se non intervengono direttamente o
indirettamente nella gestione dell'impresa.
In riferimento allo stesso Allegato vengono definite come "imprese collegate" le imprese
tra le quali intercorre una delle relazioni di seguito elencate:

1. "un'impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di


un'altra impresa";
2. "un'impresa ha diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del
consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza";
3. "un'impresa ha il diritto di esercitare un'influenza dominante su un'altra impresa in
virtù di un contratto concluso con quest'ultima oppure in virtù di una clausola
dello statuto di quest'ultima";
4. "un'impresa azionista o socia di un'altra impresa controllata da sola, in virtù di un
accordo stipulato con altri azionisti o soci dell'impresa, la maggioranza dei diritti
di voto degli azionisti o soci di quest'ultima".
Più volte è stato sollevato, dalla stessa categoria d'imprese, il problema che le nuove
regole, soprattutto per quanto riguarda il calcolo del capitale col metodo IRB (Internal
Rating Based), avrebbero probabilmente causato un'eccessiva onerosità nella
concessione dei crediti alle PMI. È per questo che il Comitato di Basilea ha permesso un
abbattimento del requisito patrimoniale sugli impieghi retail del 25%; quindi alle imprese,
a parità di condizioni, sarà richiesto un prezzo inferiore del denaro, in quanto la banca
stessa affronterà un costo inferiore, dovuto al minor assortimento di capitale previsto. Il
Comitato, basandosi sulle differenze che esistano all'interno della categoria, ha
individuato due differenti portafogli: corporate e retail. Per essere incluse nel portafoglio
retail il Comitato di Basilea ha stabilito che i crediti devono soddisfare i seguenti quattro
criteri :

 il criterio della destinazione: l'esposizione deve essere nei confronti di una o più
persone fisiche e/o garantita da una o più persone fisiche. In questa categoria
rientrano anche le imprese di piccole dimensioni.
 il criterio della tipologia: i crediti e linee di credito rotativi (per esempio: carte di
credito e scoperti di conto), prestiti personali e contratti di leasing con vincolo di
durata (come i finanziamenti rateali, mutui per l'acquisto o il leasing di autoveicoli e
crediti al consumo), facilitazioni e aperture di credito a favore di piccole imprese. I
titoli, come obbligazioni e azioni, quotati o meno in mercati ufficiali, sono
espressamente esclusi da questa categoria. I mutui ipotecari sono esclusi nella
misura in cui sono ammessi al trattamento riservato ai crediti garantiti da ipoteca su
immobili residenziali;
 il criterio del frazionamento: l'autorità di vigilanza deve assicurarsi che il
portafoglio retail sia diversificato in misura sufficiente a ridurre i rischi, l'esposizione
aggregata verso una controparte non può essere superiore allo 0,2% nel portafoglio
retail complessivo;
 il criterio dell'esposizione massima: l'esposizione massima aggregata nei
confronti di una singola controparte non può eccedere la soglia massima di 1 milione
di Euro.
In alternativa, l'esposizione è considerata corporate e il requisito patrimoniale richiesto
gode di uno "sconto" in funzione della dimensione aziendale: più il fatturato è vicino a 5
milioni, più lo "sconto" sarà elevato; viceversa, più il fatturato si avvicina ai 50 milioni, più
lo sconto sarà inferiore.
C'è da aggiungere che nel diritto del lavoro italiano, è esperibile la seguente distinzione
(soprattutto ai fini del collocamento dei lavoratori disabili): - fino a 15 dipendenti - da 15 a
35 dipendenti - da 35 a 50 dipendenti - con più di 50 dipendenti.

Diffusione[modifica | modifica wikitesto]
Il rapporto tra PMI e grandi aziende o multinazionali varia da paese a paese e
caratterizza il sistema economico-produttivo di ciascun paese: l'Italia ad esempio è nota
per essere un paese con una forte diffusione di PMI rispetto a grandi aziende con
implicazioni sul suo assetto economico (vedi economia italiana). Questo fattore spesso è
considerato una debolezza intrinseca (minore stabilità economica) rispetto ad altri paesi
con componente maggiore presenza di grandi imprese/industrie che regolano la
competitività a livello internazionale.
Piccole e medie aziende soffrono spesso la concorrenza di grandi aziende e
multinazionali, necessitando anch'esse del ricorso al credito da parte degli istituti
bancari per promuovere i propri investimenti per ricerca e sviluppo o altri
progetti finanziari, ricorso che però spesso è valutato più rischioso dagli istituti di credito
e quindi concesso da questi meno favorevolmente e frequentemente.

PMI e occupazione[modifica | modifica wikitesto]


In Italia le PMI coprono l'80% dell'occupazione[1] e, almeno tra il 2002 e il 2010, in UE
hanno sostenuto il ruolo più importante nella crescita dell'occupazione in Europa[2].

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