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Si distinguono tre gradi di ostilità verso gruppi diversi: etnocentrismo, xenofobia e razzismo, una
distinzione convenzionale, perché non c'è una demarcazione netta fra i fenomeni, ma più che altro
intrecci e interconnessione.
L'etnocentrismo non s'accompagna per forza alla xenofobia o al razzismo. L'etnocentrismo per
molte società si manifesta nei riti, nei miti e nei nomi che si danno le popolazioni. Etnocentrismo
per l'antropologia è l'inclinazione a considerare il proprio gruppo di appartenenza come il centro del
mondo e la propria cultura come la migliore, la più autentica, la più umana, l'unica possibile.
Levi-Strauss definisce l'etnocentrismo una sorta di egocentrismo collettivo: l'antropologia sostiene
che non è possibile pensare “ai noi” senza pensare “agli altri”, e fa si che si tracci un confine
simbolico o reale. Lanternari distingue la divisione tra etnocentrismo come attitudine spesso
inconsapevole e l'etnocentrismo come vera e propria ideologia.
La xenofobia che sarebbe meglio nominare eterofobia: paura dell'altro da sé condivide con il
razzismo e la paura, l'ostilità verso l'alterità, il metissage, il contatto.
Xenofobia è paura dello straniero, è chiusura agli altri, nutrita da pregiudizi e stereotipi; favoriti in
alcuni periodi di crisi economica e la paura del declassamento o della perdita del lavoro che porta
l'antipatia o il rifiuto dei lavoratori immigrati come scrive Weber.
La propaganda politica e mediatica alimenta la xenofobia: argomenti come “ci rubano il lavoro”,
“diffondono malattie”, “provocano insicurezza”, assieme all'utilizzo di lessico svalorizzante e
zoologico come “clandestini” “extracomunitari”, “invasione”, “orda”, “piaga” placa così l'ansia e
l'insicurezza collettiva. La xenofobia è spesso un modo di nominare la crisi d'identità che
attraversano i gruppi sociali, rafforza le barriere tra noi e loro, fra cristiani e musulmani: si
costruisce l'identità etnica per opposizione alle identità degli altri, spesso a quelle più vicine come ci
insegna l'antropologia. Sono i meccanismi capitalistici e della società neoliberale a nutrire il senso
d'insicurezza e fobia tramite la precarizzazione del lavoro, lo smantellamento dello stato sociale,
l'indebolimento della socialità e l'individualismo dilagante. E' raro che la xenofobia non è
accompagnata dal razzismo.
2- Dalla discriminazione alla segregazione.
In Italia si è cominciato ad avere coscienza del fenomeno migratorio solo di recente: i primi gruppi
di lavoratori immigrati da paesi non occidentali avviene negli anni '60, ma è dagli anni '80 che
l'Italia ha cessato di essere esportatore di manodopera per diventare importatore di forza lavoro.
Una ricerca di Laura Balbo mostra che nel 1989 la maggioranza degli italiana non percepiva il
flusso migratorio come fenomeno stabile e ne aveva consapevolezza sulla presenza degli immigrati:
in quell'anno si incrina il mito degli italiani brava gente, fondato sulla rimozione della memoria
dell'antisemitismo e della feroce esperienza coloniale: il 25 agosto è ucciso a Villa Literno un
rifugiato sudafricano, Masslo soccombe alla violenza razzista; si segna il punto di svolta con il
primo grande corteo contro il razzismo che si svolgerà a Roma e la nascita di associazioni volte a
contrastare il razzismo e a difendere i diritti dei migranti e delle minoranze, in anni scanditi di
scanditi di atti, aggressioni contro cittadini stranieri, anni in cui l'emergenza immigrazione
raggiunge picchi con la guerra del Golfo e l'inizio dell'equazione: arabo-terrorista-mussulmano.
E' in questo clima che il centrosinistra nel '98 concepisce la Turco Napolitano, un testo della legge
prima avanzato poi ha perso i caratteri più innovativi ed egualitarie, condizionato da un clima di
allarmismo dopo 3 episodi di cronaca, porterà la legge ad istituire i Cpt e la carta di soggiorno che
difficile da ottenere introduce la distinzione tra regolari-buoni-meritevoli e irregolari-cattivi.
Il razzismo così diventa definitivamente con legge Bossi-Fini, che rende più restrittive le leggi
subordinando il permesso di soggiorno al permesso di lavoro: “contratto di soggiorno” rendendo il
migrante pura merce-lavoro alla mercé del padrone e in una situazione di perenne precarietà
aggravata dal ricatto del rischio di internamento ed espulsione.
Ha ragione Balibar quando dice che non siamo molto lontani da una situazione coloniale, dove
l'impossibilità per i non-comunitari di accedere alla sfera pubblica, ai diritti e il confinamento ai
ghetti, mira ad impedire la socializzazione e la conquista di libertà individuali come collettive.
4- La logica del campo:internamento e segregazione