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Plotino Su Pensiero Estensione e Percezi
Plotino Su Pensiero Estensione e Percezi
Plotino su pensiero,
estensione e percezione sensibile:
un dualismo “cartesiano”?*
di Riccardo Chiaradonna
5.1
Idealismo e filosofia greca: il caso di Plotino
* Desidero ringraziare Sara Magrin, che ha letto una prima versione di questo contributo,
per le osservazioni e i suggerimenti.
riccardo chiaradonna
Berkeley per quanto riguarda lo statuto della materia; a sua volta, l’interpreta-
zione di Sorabji è stata discussa e, in alcuni casi, criticata. Non è ovviamente
possibile soffermarsi qui sull’intero dossier relativo all’idealismo nell’antichi-
tà, ma solo su alcuni aspetti relativi alla posizione di Plotino. Burnyeat esclude
che si possa attribuire a Plotino una posizione idealistica in senso moderno
adducendo due ragioni: a) per Plotino la materia è realmente indipendente
dalla forma, come un’oscurità preesistente che è illuminata; b) anche se in
alcuni passi controversi Plotino sembra ascrivere una forma di autoconoscen-
za all’Uno, sarebbe comunque fuorviante identificare la sua filosofia con un
«monismo della mente» (ivi, pp. 16-8). Tuttavia, in questo più che in altri casi,
la sua discussione è apparsa suscettibile di approfondimento (cfr. Emilsson,
1996, p. 249, n. 47; Dillon, 1990; Emilsson, 2010; Kalligas, 2011): i) Plotino non
concepisce la materia come un principio indipendente, ma come generata da
cause sovrasensibili (la cui individuazione è comunque controversa); ii) ele-
menti per leggere Plotino in senso idealistico si trovano non tanto nella con-
cezione dell’Uno, quanto in quella dell’Intelletto (Nous), il secondo principio
della gerarchia plotiniana nel quale coincidono l’essere e il tipo di pensiero
più elevati e “archetipi”. È un tratto caratterizzante della filosofia di Plotino
aver identificato l’essere primario con atti di pensiero: una tesi, questa, che
si basa in ultima analisi sulla concezione di dio come «pensiero di pensiero»
elaborata da Aristotele (Metaph. xii) e che sembra poter essere legittimamente
interpretata in senso idealistico. Plotino, d’altronde, sostiene che tutte le cose,
in qualche modo, aspirano alla contemplazione teoretica (theôria) (iii 8, 1.1-8).
Se non proprio come un monismo della mente à la Berkeley, una simile po-
sizione filosofica può essere almeno caratterizzata come un «monismo dello
spirituale» (Emilsson, 1996, p. 249, n. 47).
Il dibattito non si è limitato a questi temi: la discussione di Burnyeat ha
infatti suscitato alcune reazioni volte a dimostrare che i punti caratterizzan-
ti della soggettività cartesiana (T1-T3) possono essere ritrovati in Plotino. In
primo luogo, si è osservato (Emilsson, 1988, pp. 145-8; 1991) che a Plotino può
ascriversi la tesi T3 secondo cui il corpo è concepito come qualcosa di esterno
. Si possono trovare ampi riferimenti a questo dibattito in Emilsson (2010, pp. 67-8). Cfr.,
in particolare, Sorabji (1983, pp. 287-96).
. Per una sintetica discussione, con rinvii bibliografici, cfr. Chiaradonna (2009, pp. 158-62).
. I trattati di Plotino sono citati secondo l’edizione di Henry, Schwyzer (1964-82).
. Emilsson (2010, p. 70) chiarisce ulteriormente questa lettura, distinguendo la posizione
di Plotino da quella che egli ascrive a Berkeley (per Plotino il mondo sensibile esiste del tutto
indipendentemente da noi e dai nostri sensi), ma leggendo comunque in senso idealistico la
dottrina plotiniana in accordo a cui il mondo sensibile è una immagine dipendente da principi
intelligibili (per Emilsson i principi intelligibili – e lo stesso Uno, anche se con importanti qua-
lificazioni – possono essere detti “mentali”; cfr. anche Kalligas, 2001).
5. plotino su pensiero, estensione e percezione sensibile
. Secondo Burnyeat nessun filosofo antico perviene a formulare questa posizione. Ciò
varrebbe anche per gli Scettici, secondo i quali non è possibile attingere la conoscenza delle
cose “esterne”. Nella formulazione moderna, “esterno” significa esterno alla mente, mentre in
Sesto Empirico significa semplicemente esterno a sé, il soggetto conoscente (cfr. am vii 167).
Sesto Empirico può opporre la cosa esterna agli umori che modificano la percezione di essa
(ph i 102), oppure al medio attraverso cui è percepita (ph i 124-127). Sembra chiaro, pertanto,
che la linea tracciata non divide, in modo cartesiano, la mente e ogni altra cosa al di fuori
di essa (incluso il corpo proprio dello scettico). Di conseguenza, “esterno” nell’uso di Sesto
Empirico non implica che ci sia una rottura tra le cose esterne e un mondo interno, soggettivo
di cose apparenti. Non c’è, conclude Burnyeat, nessun testo in cui Sesto concepisce il corpo
dello scettico come “esterno” secondo il senso familiare nel dibattito epistemologico moderno
(Burnyeat, 1982, pp. 28-9).
. Lascio da parte la questione di stabilire se in Plotino si possa trovare una prima for-
mulazione dell’idea di spazio geometrico: cfr. in proposito il capitolo di V. De Risi in questo
volume.
. L’anima è il soggetto di attività cognitive e secondo Plotino non solo il pensiero è non
riducibile a processi corporei, ma è un’attività che non ha bisogno di un corpo, ed è propria
precisamente di quelle entità che sono prive di corpo (in proposito cfr. King, 2009, dove la
posizione di Plotino è distinta da quella di Aristotele).
riccardo chiaradonna
5.2
Corpi, estensione, natura
5. plotino su pensiero, estensione e percezione sensibile
Questo universo qui […] è contenuto da forme dal principio alla fine: in primo luogo
la materia dalle forme degli elementi, poi altre forme sulle forme e poi di nuovo anco-
ra altre; sicché è anche difficile trovare la materia nascosta sotto molte forme. Poiché
anch’essa è una qualche infima forma (eidos ti eschaton) (v 8, 7.18-22).
riccardo chiaradonna
. Wildberg (2009, p. 136) mostra bene come le due prospettive, agli occhi di Plotino, non
si contraddicano: la materia è sì identificata con l’oscurità, ma in effetti è la stessa illuminazione
che crea l’oscurità e la definisce: l’oscurità non è altro che assenza di luce. Analogamente, è il
suono che crea il silenzio e, in generale, tutti gli stati negativi sono costituiti necessariamente
dalla loro controparte positiva.
. Emilsson (2010, p. 74) ha avvicinato la posizione di Plotino alle concezioni contem-
poranee che pongono un dualismo di proprietà tra il fisico e il mentale, pur ritenendo che
il mentale dipenda dal fisico e non possa essere considerato come una sostanza autonoma.
Ovviamente, in Plotino i termini della questione sono rovesciati: è il fisico a dipendere e a
essere determinato dal mentale, non l’inverso. Secondo questa lettura, le proprietà fisiche sa-
rebbero dunque analoghe a proprietà emergenti. Sebbene molto interessante, l’interpretazione
di Emilsson rimane, a mio parere, parziale, perché non dà conto del gradualismo metafisico
di Plotino. Il mondo fisico non è solo caratterizzato da proprietà emergenti, ma da un grado
di realtà inferiore rispetto alle sue cause intelligibili. Nel suo contributo in questo volume, De
Risi propone un’altra spiegazione della distinzione plotiniana tra “fenomeni” e cause idea-
li, facendo ricorso alla distinzione tra contenuto oggettivo e carattere modale: «il contributo
proprio della materia sensibile consiste in questo capovolgimento categoriale, secondo il quale
certi definiti contenuti rappresentativi si riorganizzano in un sistema concettuale differente e in
diverse relazioni reciproche. Il quale è un contributo modale e strutturale, ma non oggettivo»
(cfr. infra, pp. 155-6).
. Per approfondimenti rinvio ancora a Emilsson (2010).
5. plotino su pensiero, estensione e percezione sensibile
atti di pensiero sono sempre associati alle entità che ne costituiscono il con-
tenuto (ossia le forme). Per questo, il dualismo di pensiero ed estensione può
sempre essere riformulato, nella terminologia plotiniana, come un dualismo di
forma ed estensione corporea, e la tesi secondo cui tutto ciò che esiste si iden-
tifica, in ultima analisi, con atti “mentali” o con i contenuti di essi può essere
ricondotta all’idea secondo cui tutto ciò che esiste è forma.
5.3
Epistemologia e percezione:
realismo o anti-realismo?
Non occorre che la capacità di percepire propria dell’anima sia tale da apprendere gli
oggetti sensibili; piuttosto, occorre che lo sia delle impronte prodotte dalla percezio-
ne nel vivente; queste sono già realtà intelligibili (Τὴν δὲ τῆς ψυχῆς τοῦ αἰσθάνεσθαι
δύναμιν οὐ τῶν αἰσθητῶν εἶναι δεῖ, τῶν δὲ ἀπὸ τῆς αἰσθήσεως ἐγγιγνομένων τῷ
ζῴῳ τύπων ἀντιληπτικὴν εἶναι μᾶλλον· νοητὰ γὰρ ἤδη ταῦτα: i 1, 7.9-12).
Sono distinti due momenti diversi nella percezione (tou aisthanesthai dunamis;
aisthêsis): a) le impronte prodotte dagli oggetti sensibili nel vivente (ossia nel
corpo animato che percepisce, in breve: negli organi di senso); b) la capacità
di percepire dell’anima (che è un principio incorporeo), capacità che (osserva
Plotino) non si esercita in rapporto agli oggetti sensibili stessi, ma in rapporto
alle impronte di essi prodotte nel vivente e che sono «già» (êdê) entità intel-
ligibili. Per i sostenitori della lettura realistica della teoria plotiniana della
percezione (Emilsson), queste linee pongono un effettivo problema e l’unica
via d’uscita è sostenere che la «capacità di percepire» propria dell’anima sia
riccardo chiaradonna
in realtà cosa diversa dalla sensazione, e includa processi di tipo superiore (la
memoria e la ragione discorsiva) che effettivamente implicano l’apprensione
non sensibile di rappresentazioni mentali. Per quanto autorevolmente soste-
nuta (cfr. Emilsson, 2007, p. 129), questa interpretazione non mi sembra plau-
sibile. È possibile che un simile uso largo del termine aisthêsis si trovi in altri
luoghi plotiniani, ma è molto difficile includere in questa lista il passo prima
citato, per il semplice fatto che tou aisthanesthai dunamis e aisthêsis vi sono
usati nello spazio di sole due linee (la prima formula è riferita alla capacità
dell’anima, la seconda alla percezione del vivente) e non mi pare plausibile
ammettere uno slittamento semantico così forte in uno spazio tanto breve
senza che niente lo segnali. Inoltre, nel seguito del capitolo Plotino richiama
le capacità proprie del pensiero discorsivo, caratterizzandole con i termini
di dianoiai, doxai e noêseis: tutte espressioni che si riferiscono in modo non
equivoco al pensiero discorsivo e rispetto ai quali è opportuno distinguere sia
la «capacita di percepire» dell’anima sia la «percezione» del vivente. A mio
parere, è preferibile sostenere che queste formule indichino due momenti
distinti (uno collegato al corpo, l’altro all’anima) di un medesimo processo
(quello, appunto, della percezione). Si è anche osservato che, in base alle linee
citate, le impronte degli oggetti sensibili nel vivente verrebbero a essere pro-
blematicamente considerate da Plotino come «già intelligibili»: anche questa
affermazione è stata giudicata singolare, perché identificherebbe la percezio-
ne con l’apprensione di realtà intelligibili e finirebbe dunque per contrastare
con l’usuale dualismo plotiniano tra aisthêta e noêta. Tuttavia neanche questa
osservazione è insormontabile: come si è notato a proposito di v 8, 7, Plotino
può guardare lo stesso fenomeno (il mondo dei corpi) secondo prospettive
tanto diverse da apparire contraddittore, almeno a una prima analisi; non è
dunque impossibile ammettere che le stesse entità che possiamo descrivere
come aisthêta, nella misura in cui sono diverse dagli intelligibili, possano tut-
tavia essere descritte come noêta se considerate come degradazioni dell’intel-
ligibile e integralmente dipendenti da esso. A mio avviso, l’affermazione di i 1,
7 può essere letta come un riferimento al particolare modo di esistenza che le
forme sensibili assumono una volta interiorizzate nell’anima (cfr. infra).
. Secondo Sara Magrin (per litt.), questa conclusione non è giustificata e si deve invece
ammettere che aisthêsis sia usato in due accezioni diverse. Plotino afferma che la capacità di
percepire dell’anima non è percezione di cose sensibili, per poi aggiungere che è piuttosto
rivolta alle impronte prodotte dalla percezione. Dato che gli oggetti percepiti sono diversi (sen-
sibili che producono impronte vs le impronte stesse) sembra necessario postulare l’esistenza di
due tipi di percezione. A mio avviso, più che uno slittamento semantico nell’uso del termine
aisthêsis è preferibile ammettere che la percezione sia unica (da qui l’uso dello stesso termine),
ma includa due momenti distinti: uno collegato al corpo, l’altro all’anima.
5. plotino su pensiero, estensione e percezione sensibile
riccardo chiaradonna
. Se il superamento del dubbio scettico non è una via per arrivare alla conoscenza dell’In-
5. plotino su pensiero, estensione e percezione sensibile
cezione, che può fallire in virtù del fatto di essere rivolta non a sé stessa (non
è quindi auto-validante) ma a oggetti esterni. Sicuramente Plotino si serve di
argomenti scettici; tuttavia, niente indica che egli concepisse la sua dottrina
dell’Intelletto come una risposta allo scetticismo. Il peculiare contesto argo-
mentativo di v 5, 1-2 (volto a illustrare il carattere proprio della conoscenza
intellettuale attraverso il contrasto con la conoscenza discorsiva e con la per-
cezione) spiega anche perché in questa sezione Plotino enfatizzi più di quanto
non faccia altrove (cfr., in particolare, iv 4, 23; v 3, 2.1-10; 3.1-9) il carattere
inevitabilmente difettoso della percezione e l’impossibilità di attingere con
sicurezza, per suo tramite, la conoscenza degli oggetti esterni. Come accade
frequentemente nelle Enneadi (l’esempio più celebre riguarda le discussione
del Nous, del quale Plotino può sottolineare caratteri opposti a seconda che lo
paragoni con l’Uno o con i gradi più bassi della realtà), lo specifico contesto
argomentativo dà conto delle affermazioni di v 5, 1.
Vi è poi un altro ordine di considerazioni. Emilsson (1996, p. 222; 2007,
p. 132) ha contestato che il termine eidôlon in v 5, 1.18 indichi l’impressione
soggettiva di oggetti esterni; “immagine” sarebbe inteso invece in senso onto-
logico e indicherebbe la forma sensibile e non sostanziale, la quale, secondo
Plotino, è immagine dell’essenza reale di un oggetto (cfr. v 5, 2.6-7). Se questa
interpretazione fosse vera, in v 5, 1.5-19 Plotino non starebbe facendo allusione
alla differenza tra impressioni soggettive e oggetti esterni, ma alla differenza
tra le immagini sensibili e le loro essenze, sostenendo che la percezione non
coglie l’essenza degli oggetti, ma solo la loro forma esterna e non sostanziale,
immanente ai corpi. La sensazione non riguarda ciò che una cosa è, ossia il
suo logos essenziale di natura intelligibile, ma solo l’attività esterna di tale
principio formativo. Anche secondo Emilsson Plotino supererebbe, con la
telletto, ci si può chiedere allora come essa sia accessibile a noi. La risposta di Plotino ha una
struttura simile all’argomento ontologico e passa per la sua dottrina dell’anima individuale, una
parte della quale (quella che in v 1, 11.6 chiama «Nous in noi») appartiene sempre al mondo
intelligibile e ne condivide la condizione cognitiva (anche se noi non ne siamo ordinariamente
coscienti). In v 3, 8.41-44 Plotino suggerisce che, se noi abbiamo conoscenza dell’Intelletto e ne
parliamo, ciò può avvenire soltanto perché l’Intelletto è causa in noi (ossia nella nostra anima)
della conoscenza di esso. In breve: secondo Plotino il semplice fatto che noi possiamo pensare
una natura come quella dell’Intelletto garantisce a) che questa natura esiste; b) che vi è in noi
una facoltà omogenea a questa natura, mediante la quale condividiamo il suo tipo di pensiero e
di esistenza. Per un’analisi più approfondita di questo argomento, che presenta alcune parziali
analogie con la iii Meditazione di Descartes, cfr. Chiaradonna (2008).
. Come sottolinea Emilsson (1996, p. 225), questa attività esterna non si può a sua volta
presentare come l’attività interna della forma corporea la quale produrrebbe, come attività
esterna a sé, la forma percepita. Secondo Plotino la forma sensibile è «morta» e incapace di
generare alcunché: cfr. iii 8, 2.30-32.
riccardo chiaradonna
. La teoria plotiniana dei giudizi percettivi ha suscitato un notevole dibattito, relativo alla
struttura proposizionale della percezione e alla possibilità di formulare simili giudizi indipen-
dentemente dalla ragione discorsiva. La trattazione di riferimento è, ancora una volta, quella
di Emilsson (1988, pp. 121-5 e passim). Per una discussione della lettura di Emilsson, cfr. Remes
(2007, p. 145, n. 75). Per maggiori approfondimenti rinvio ancora a Chiaradonna (2012).
5. plotino su pensiero, estensione e percezione sensibile
riccardo chiaradonna
. Nella ricostruzione di Magrin (2010), questa tesi viene attribuita a Plotino sulla base
principalmente di iii 6, 12.22-27. Tuttavia, la sua lettura di queste linee non mi sembra accetta-
bile (per le ragioni considerate da Magrin, 2010, p. 263, n. 42; cfr. Chiaradonna, 2012).
5. plotino su pensiero, estensione e percezione sensibile
vivente, impronte che sono «già intelligibili». Che queste linee suscitino dei
problemi è indubbio, ma non costituiscono da sole una base sufficiente per
attribuire a Plotino una concezione rappresentazionalistica della percezione.
Plotino propone qui la sua consueta partizione tra la componente corporea
e la componente psichica della percezione: la prima è un’affezione, la secon-
da no (cfr. iv 4, 23.20). Certamente, in questo caso egli sembra andare oltre,
poiché esclude che la parte “psichica” della percezione apprenda gli oggetti
sensibili: essa è invece rivolta a impronte interne al vivente e «già intelligibili».
Tuttavia, esattamente come nel caso di v 5, 1-2 è possibile pensare che il modo
particolare in cui è spiegata la percezione dipenda dal peculiare contesto del
passo, destinato a dimostrare come l’anima (una natura intelligibile) sia alla
base dei processi che si producono nel vivente (nel corpo animato). Secondo
Plotino noi, ossia la nostra anima, non siamo separati dal vivente, il quale non
va concepito come se fosse un corpo a sé stante a cui si aggiunge l’anima: la
natura del vivente, infatti, è tale proprio in virtù della presenza dell’anima,
come un corpo illuminato da una luce che scaturisce dall’anima (i 1, 7.4-5).
Di conseguenza, i processi che hanno luogo nel vivente sono sì corporei ma,
in qualche modo, già riconducibili all’anima (cfr. i 1, 7.5-6). In un simile con-
testo, è abbastanza prevedibile che le impronte prodotte nel vivente in base
alla sensazione siano dette «già intelligibili», ed è altrettanto prevedibile che
la percezione e gli oggetti sensibili “esterni” siano separati più di quanto non
accada altrove.
Inoltre, come osservato da Perler (2000, pp. 115, 119), una posizione vera-
mente rappresentazionalistica implica non solo che vi siano degli intermediari
tra la mente e gli oggetti esterni, ma che questi intermediari, le specie nella
mente, siano oggetti interni tali da stabilire un velo tra la mente e la realtà
esterna. Questo non sembra affatto il caso dei tupoi menzionati in i 1, 7. Come
si è già notato Plotino sottolinea che la percezione è diretta verso gli oggetti
esterni stessi, non verso rappresentazioni mentali (ad esempio, cfr. v 3, 2.3-4).
Le impronte provenienti dagli oggetti sensibili nel vivente di cui si parla in i
1, 7 sembrano coincidere con le qualità percepite di iv 4, 23, le quali sono per
un aspetto identiche alle qualità che esistono nell’oggetto corporeo, per un
altro aspetto diverse. La diversità riguarda il modo d’essere delle qualità, che
nell’anima esistono senza la materia, ma non il loro contenuto oggettivo, che è
identico nell’anima e nell’oggetto percepito. Per quanto riguarda il suo conte-
nuto, la qualità percepita non è una rappresentazione interna e non stabilisce
un velo tra l’anima e il mondo esterno: la stessa qualità (ad esempio il colore
rosso) che è esemplificata dal corpo materiale percepito è colta dall’anima nel
suo modo d’essere immateriale (“già intelligibile”, per usare le parole di i 1,
7.12). L’essere rivolta a impronte già intelligibili è dunque compatibile con una
riccardo chiaradonna
5.4
Conclusione:
dualismo, monismo e causalità
5. plotino su pensiero, estensione e percezione sensibile
verle), Plotino ritiene che i principi e ciò che deriva da essi siano entità di genere
diverso (cfr. D’Ancona, 1992; 2009). L’esempio più famoso di questa concezione
sta nella dottrina plotiniana dell’Uno superiore all’essere e al pensiero, che è
principio di ogni cosa proprio perché non è niente di ciò che deriva da esso.
D’altra parte, lo stesso schema si ripresenta ai livelli inferiori della realtà, fino
all’antitesi tra il corpo e i suoi principi intelligibili (l’anima, la natura, i logoi).
Ciò spiega perché, in contesti diversi, Plotino può sottolineare sia l’irriducibile
diversità, sia il legame sussistente tra i corpi e i loro principi. Vi è poi un altro
aspetto, strettamente collegato a questa, nella sua concezione della causalità.
Esso consiste nell’affermare che il grado più basso (i corpi) non può essere uti-
lizzato come una via d’accesso per conoscere il grado più alto (gli intelligibili):
facendo così, infatti, si trasferiscono indebitamente al grado superiore i caratteri
propri del grado inferiore di realtà (cfr. in particolare vi 5, 2, su cui cfr. Chiara-
donna, 2009, pp. 34-8). D’altra parte, una conoscenza adeguata dei principi in sé
stessi permette di cogliere le realtà che ne derivano come espressione depoten-
ziata di cause superiori: il modo apparentemente contraddittorio in cui Plotino
si esprime circa la natura dei sensibili può essere ricondotto a questa duplicità
di prospettive interne alla concezione della causalità.
Come si è detto, niente lascia pensare che Plotino guardi le qualità per-
cepibili come semplici apparenze soggettive: esse sono caratteri realmente
esistenti e prodotti dai principi formali intelligibili (cfr. vi 3, 15.24-38). D’altra
parte, Plotino insiste sull’eterogeneità di questi principi rispetto alle qualità
corporee che ne dipendono, e – in particolare – sottolinea che i principi sono
privi di attributi fondamentali degli oggetti concreti ed estesi. Con questo egli
non nega realtà agli attributi che determinano l’esistenza concreta dei corpi
né intende ridurli ad apparenze soggettive. Tuttavia, le qualità sensibili sono
concepite come l’espressione ultima e depotenziata di principi il cui modo
d’essere è incomparabile a quello delle realtà generate da essi. Più di ogni
altro filosofo antico, Plotino separa così la struttura degli oggetti concreti dai
principi che sono a fondamento di essa. Questa tesi è una delle più controin-
tuitive della sua metafisica, ma anche una delle più interessanti. In rapporto
alla critica di Galeno agli atomisti, James Hankinson ha recentemente espres-
so un’interessante considerazione:
In una casa [...] ogni cosa che ha forma deve essere costituita da parti che a loro volta
hanno forma, anche se non necessariamente le stesse forme. Una simile asserzione si
accorda evidentemente con il senso comune. La sua plausibilità risiede nella difficoltà
concettuale di supporre che le parti di qualcosa che ha una forma possano essere in
sé senza forma: la forma dell’intero, infatti, appare ovviamente essere una funzione
dell’aggregato della forma delle sue parti (più altre condizioni supplementari). Ma la
riccardo chiaradonna
domanda cruciale è: quanto a fondo può andare l’analisi? I Quark non hanno forma;
e il “senso comune” si è dimostrato una guida notoriamente cattiva per conseguire
la verità fisica a livello microscopico [...]. Tuttavia, questo non era ovvio all’epoca di
Galeno, come mostra il modo in cui gli atomisti scelsero le loro qualità fondamenta-
li: grandezza, forma, resistenza, solidità, movimento e (forse) peso – tutte proprietà
ordinarie di oggetti di grandezza media. L’idea che esista un mondo fondamentale
di oggetti con proprietà radicalmente distinte da ogni proprietà manifesta a livello
percettivo avrebbe colpito tutti gli antichi [...] come assurda (Hankinson, 2009, pp.
237-8).
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