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interventi
Leggi e norme:
comando, messaggio e linguaggio
di Leonardo Rubino
Funzionario Regione Puglia, Specialista in Scienze delle autonomie costituzionali
La stratificazione normativa
(1) L’attribuzione della potestà regolamentare alla Giunta è stata sancita dall’art. 44 del nuovo
Statuto regionale (approvato dal Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 123 della Costituzione della
Repubblica italiana, in prima lettura con deliberazione n. 155 del 21 ottobre 2003 e confermato, in
seconda lettura, con deliberazione n. 165 del 3, 4 e 5 febbraio 2004).
(2) Le sedute parlamentari si protraggono di solito per ore e ore, scandite da un susseguirsi incessante
di dibattiti e votazioni, con le Camere ridotte in buona parte a puro “votificio”. Da questo incedere
interminabile, ora lento ora frenetico, deriva la famosa descrizione dell’attività parlamentare coniata
dall’on. Attilio Piccioni (Dc, Vicepresidente del Consiglio e Ministro nei Governi De Gasperi tra il
1948 e il 1953, Scelba, Fanfani, Leone e Moro, tra la metà degli anni ’50 e i primi anni ‘60): “ozio
senza riposo e fatica senza lavoro”.
(3) I promessi sposi, Storia Milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni
(“riproduzione fotolitografica della rarissima edizione... illustrata da Gonin, edita a Milano nel
1840 dalla Tipografia Guglielmini e Radaelli”), A. Mondadori, 1964, cap. III - Azzecca-garbugli a
Renzo, p. 53.
(4) Il primo Parlamento italiano, eletto nel gennaio 1861 (ci si riferisce ovviamente alla Camera,
dato che il Senato era di nomina regia), era formato da 443 deputati (di cui 85 nobili, 28 ufficiali,
una “farragine di codici nuovi e codici antichi; di leggi che derogano, abrogano e
rimettono in vigore questo o quell’altro provvedimento” e si presentano come un
“ammasso di legislazione ove il vecchio e il nuovo formano un intruglio da non
capirne un’acca”, per giunta avente come unico filo conduttore “di votar danari
a carico del popolo e a vantaggio di chi si trova avere il mestolo in mane” (5).
Inoltre, mentre intorno al 1880 il Parlamento approvava non più di duecento
leggi l’anno, appena 50 anni dopo si era pervenuti a duemila l’anno (6). Il pas-
saggio poi da società chiuse ed oligarchiche a società aperte e complesse, con
aumento di bisogni e, soprattutto, di aspettative, ha comportato un ulteriore
aumento di produzione normativa, ma troppe norme equivalgono, in fin dei
conti, a nessuna norma, ad assenza di legge e, quindi, al prevalere della legge
del più forte.
Già Montesquieu (7) ammoniva sulle conseguenze dell’eccessivo affollamento
legislativo, sottolineando che “le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie”,
determinando quello che potremmo definire uno “spreco del diritto” e quindi
quella “abbondanza di gride (di manzoniana memoria) in forma di legge” (8).
Norme comunemente ritenute anacronistiche rimangono comunque presenti
nell’ordinamento, come “un corpo morto che… ostacola il cammino dei corpi
ancora vivi” (9).
“La migliore dimostrazione che neppure” il legislatore è ormai in grado di
“controllare i mille rivoli in cui scorre il fiume delle leggi è costituita dal frequente
ricorso alle abrogazioni innominate, nonché ai rinvii generici o, per così dire,
aperti”. Per le abrogazioni innominate si utilizza solitamente la formula, inutile
e ridondante, “sono abrogate tutte le norme incompatibili con la presente legge”.
Eppure già “l’art. 15 delle preleggi (al codice civile) sancisce in via generale che la
72 tra avvocati, medici ed ingegneri) eletti da 239.583 votanti (170.567 i voti validi, su un totale di
circa 419.000 aventi diritto al voto, ossia meno del 2% della popolazione, pari all’epoca a 22.176.477
abitanti). Va ricordato che al momento della proclamazione – 17 marzo 1861 – il Regno d’Italia
non comprendeva ancora il Veneto, Mantova (dominazione austro-ungarica sino al 1866) e il
Lazio, territorio dello Stato Pontificio fino al 1870 (oltre, naturalmente, il Trentino-Alto Adige e il
Friuli Venezia Giulia, che entreranno a far parte dell’Italia nel 1918, alla fine della prima guerra
mondiale).
Fonte dati sul primo Parlamento: http://www.tesionline.it/news/cronologia.jsp?evid=2883 e
‘Wikipedia, l’enciclopedia libera’ (http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale).
(5) Brano tratto da I lavori del primo Parlamento Italiano (pubblicati il 16 luglio 1861) in ‘Memorie
per la storia de’ nostri tempi dal Congresso di Parigi nel 1856 ai primi giorni del 1863 (p. 62-64)’, di
Giacomo Margotti.
(6) M. La Torre (consigliere di Stato), La divulgazione delle leggi, in “Rivista di diritto pubblico”,
I, 1939, p. 586.
(7) C. L. de Montesquieu, De l’esprit des lois, 1748.
(8) M. S. Giannini, Rapporto al Parlamento sullo ‘stato della pubblica amministrazione in Italia’,
marzo 1979.
(9) M. Ainis, La legge oscura, come e perché non funziona, Laterza, 2002, p. 91.
i cittadini ne possano ricordare è uno Stato male ordinato e ogni uomo che non
conosca a memoria le leggi del suo Paese è un pessimo cittadino” (14).
L’idea che qualsiasi problema sia risolvibile solo per via legislativa, ossia “l’am-
bizione del diritto a colonizzare il mondo della vita” (15) ha indotto taluni autori a
ricorrere ad una metafora dissacrante nei confronti del legislatore, a proposito
del suo potere assoluto di varare norme: “date un martello a un bambino, e lui im-
mediatamente scoprirà che ogni cosa ha bisogno di venire presa a martellate” (16).
L’eccessivo “inquinamento legislativo”, unito alla sovrabbondanza di messaggi
legislativi spesso oscuri e contraddittori, finisce col conferire un alto “tasso di
clandestinità” alle norme ed una situazione di “inconoscibilità” delle stesse, da
cui deriva un’attenuazione della forza prescrittiva degli enunciati.
(14) Fragments Politiques, 1750-1760, in Scritti Politici, ediz. ital. a cura di P. Alatri, Utet, 1970.
(15) J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, 1981.
(16) A. Kaplan, Some limitation on Rationality, in Aa.Vv., Racional Decision, a cura di C. J. Friedrich,
New York, 1964, p. 64
(17) Secondo il principio classico del diritto romano, “Ignorantia juris non excusat”.
Con sentenza n. 364 del 23 ottobre 1988 la Corte Cost. ha ridimensionato la portata interpretativa
di tale concetto, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del codice penale nella parte in
cui non prevedeva la “scusabilità” dell’ignoranza inevitabile della legge (penale).
“Il principio di ‘riconoscibilità’ dei contenuti delle norme (penali)”, secondo la Corte, “rinvia alla
necessità che il diritto (penale)… sia costituito da norme non numerose, … chiaramente formulate… e
tali da poter essere percepite, anche in funzione di norme extra-penali, di civiltà, effettivamente vigenti
nell’ambiente sociale nel quale le norme penali sono destinate ad operare”.
Conseguentemente, “… l’oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto, nella quale venga a trovarsi
‘chiunque’… non può gravare sul cittadino…”.
Il “rapidissimo succedersi di ‘entrate in vigore’ di nuove leggi e di abrogazioni, espresse o tacite, di antiche
Com’è noto, in Italia (a differenza di quanto avviene presso gli organi comu-
nitari) per gli atti normativi aventi carattere generale non è prevista la motiva-
zione. Per gli atti amministrativi, invece, essa è imprescindibile e può costituire
‘elemento sintomatico’ di vizi connessi all’atto, con la conseguente facoltà di
attivare forme di tutela dinanzi agli organi giurisdizionali.
Di fronte però alla ormai eccessiva (e frammentata) produzione normativa si è
avviato da qualche tempo un interessante dibattito in dottrina circa l’opportunità
di introdurre la motivazione anche per gli atti normativi.
A sostegno di tale tesi, si ritiene infatti che “appare ben strano pretendere la
motivazione per atti che riguardano una o poche persone… e tollerare che restino
non motivati atti che riguardano l’intera collettività” (18).
La motivazione degli atti normativi può costituire peraltro un termometro del
livello di “trasparenza” tra istituzioni e cittadini.
Il linguaggio giuridico
disposizioni…” può peraltro determinare una mancanza di conoscenza delle leggi. Da tale situazione non
si può “far ricadere sul singolo tutte le colpe della predetta ignoranza. Ben è, invece, almeno possibile…
che lo Stato non abbia reso obiettivamente riconoscibili (o ‘prevedibili’) alcune leggi…”.
Tra le cause di impossibilità di conoscenza delle leggi da parte dei consociati, occorre considerare
la “(oggettiva) mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa” dovuta, ad es., alla “assoluta
oscurità del testo legislativo”.
Pare opportuno sottolineare che prima di questa storica sentenza dell’Alta Corte, la giurisprudenza
aveva invece affermato che il principio della “inescusabilità dell’ignoranza della legge penale” non era
“fondato sulla presunzione di conoscenza, spesso contraria alla realtà, ma sulla necessità che la legge
imperi egualmente su tutti i cittadini” (Cass., 18 maggio 1945, in “Riv. pen.”, 1945, p. 300; Cass., 26
novembre 1951, in “Giur. compl. cass. pen.”, 1951, III, p. 699).
In alcuni ordinamenti stranieri la possibilità di derogare al principio della ‘inescusabilità’
dell’ignoranza della legge penale risultava già un cinquantennio fa “accordata al giudice dall’art. 10
del codice penale della (ex) Jugoslavia” e “dall’art. 20 del codice penale svizzero” (A. Pizzorusso, La
pubblicazione degli atti normativi, cit., nota 11, p. 196).
(18) G.U. Rescigno, Tecnica giuridica e comunicazione nel processo legislativo, in “Parlamenti
regionali”, 2004, n. 12, p. 30.
(19) Esempi di testi normativi formulati con tecniche redazionali palesemente inappropriate sono
costituiti da due regolamenti della Regione Puglia, relativi ad incentivi a favore di imprese.
Il regolamento n. 25 del 21 novembre 2008 disciplina la “concessione di aiuti agli investimenti e allo
start-up di micro-imprese di nuova costituzione realizzate da soggetti svantaggiati”. L’art. 1 (oggetto
Inoltre, a differenza degli altri linguaggi specialistici, che hanno una mera
funzione descrittiva della natura e delle cose, senza alcun potere di intervento
effettivo sulle entità descritte, il linguaggio giuridico ha l’immenso potere di
creare e/o modificare la realtà e di incidere sulla realtà delle persone (20).
Quanto alla lingua utilizzata per “confezionare” le norme, essa non costituisce
un mero veicolo della volontà legislativa, ma “il grande portone attraverso il quale
il diritto entra nella coscienza di ogni uomo. Le leggi della lingua sono immanenti
alle leggi giuridiche” (21).
Infatti il diritto non usa semplicemente, quanto “è un linguaggio, nel senso che
le proposizioni normative non sono mai scindibili dalle proposizioni linguistiche
che le rivelano all’esterno: se cambia la formula della legge, cambia la legge” (22).
In fin dei conti la legge è composta di parole (23), scritte per poter essere poi
lette: la “legge” è quindi un testo da “legge-re”. Ma quanto più le parole della “legge
da leggere” risultano fuori dalla comune comprensibilità, tanto più risulta diffi-
cile la loro connessione al relativo significato (24); in pratica le norme risultano
“appese così in alto da non poter essere lette” (25).
Eppure “chi la legge deve rispettare, per farlo dovrà prima capirla. Se è oscura,
ha il diritto di non capirla e non rispettarla” (26).
Né pare poi trascurabile la considerazione che la “qualità della legislazione” ha
effetti diretti sulla stessa “qualità della democrazia”. L’“oscurità” del linguaggio
normativo e l’indecifrabilità delle norme determinano anche uno svilimento
del ruolo delle assemblee legislative e la dilatazione del ruolo (oltre che degli
esecutori) degli interpreti (la cui attività di interpretazione, assurge a vera e
propria “tecnica integrativa del messaggio legislativo” (27). Le leggi “oscure” o
settoriali) che non escono fuori da libri, articoli, discorsi fatti da particolari categorie… e interlocutori
di una certa area ‘semantico-pragmatica’” (esempio: simplegico, utilizzato da un medico, monoide,
utilizzato da un matematico).
“Ci sono poi le parole di uno strato più interno della sfera del ‘lessico’. Sono le parole dei linguaggi speciali
o di aree locali, che però hanno una certa circolazione fuori dall’area di origine” (esempio: equazione,
penicillina, eclisse, affluente). “Queste parole costituiscono il ‘vocabolario comune’ di una lingua”.
“… Il ‘vocabolario comune’ ha al suo interno altri due strati concentrici più profondi. In primo luogo
viene quello che chiamiamo il ‘vocabolario di base’. Si tratta di quei vocaboli del ‘vocabolario comune’
i quali sono largamente noti ai componenti delle più svariate categorie di persone”. Tali vocaboli
(intorno ai 6.700) sono noti “alla generalità di coloro che hanno frequentato” fino alla terza media,
“scuola di base”.
“C’è infine il nucleo più interno della sfera lessicale di una lingua. è il ‘vocabolario fondamentale’…
sono le parole (circa 2.000) di massima frequenza nel parlare e nello scrivere… Queste sono le parole
note alla generalità degli italiani che abbiano fatto studi elementari” (T. De Mauro, Guida all’uso delle
parole, Editori Riuniti, pp. 104-109).
Tenuto conto che, nonostante i significativi progressi realizzati negli ultimi 50 anni, secondo i dati
del (14°) censimento generale Istat del 2001, solo l’8,3 % della popolazione (con oltre 15 anni) ha un
titolo di studio universitario (laurea o diploma) e meno del 29 % è munito di diploma (di maturità o
qualifica), si deduce che quasi i 2/3 (63,3 %) della popolazione ultraquindicenne hanno un livello di
scolarizzazione che nel migliore dei casi non supera la “scuola di base” (la terza media, per giunta
non frequentata nei primi banchi, specifica qualche esperto di comunicazione televisiva), con relativa
conoscenza del solo ‘vocabolario di base’.
(24) “Per leggere è anzitutto necessario conoscere” certe parole. La lettura implica peraltro “attività
cerebrali non specifiche che vanno dall’attenzione, alla visione, alla memoria”. Per dare significato
alle parole è necessaria “la mobilitazione di un’area associativa in cui i simboli (le lettere) vengono
connessi ai significati della parole” (A. Oliveiro e A. Oliveiro Ferraris, Le età della mente, Rizzoli,
2005, pp. 152-153).
(25) G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1821.
(26) T. De Mauro, linguista.
(27) V. Frosini, Il messaggio legislativo: tecnica e interpretazione, in Normative europee sulla tecnica
legislativa, Camera dei Deputati, 1988, pp. 49-50.
“Questa tecnica ha avuto le sue remote origini nell’arte divinatoria dei sacerdoti etruschi, la quale
serviva a tradurre il linguaggio misterioso degli dei, espresso coi simboli naturalistici del fulmine o del
volo degli uccelli (onde il nome di ‘aruspici’ attribuito ad essi in Roma) nel linguaggio degli uomini,
che era quello in cui si esprimevano i capi politici e militari. Il termine ‘interprete’ infatti deriva dalla
preposizione latina ‘inter’ e dal vocabolo indo-europeo ‘pret’ (parlare), e indica la funzione di chi sta
fra due parlanti e li mette in relazione fra loro”.
“… Il significato originario era però connesso alla funzione esercitata dagli aruspici, i quali stabilivano
la liceità o illiceità delle decisioni da prendere da parte (o in nome) della comunità, a seconda che esse
L’assenza di una virgola in una norma (art. 1, legge n. 549 del 1995) ha in-
consapevolmente anticipato il futuro “federalismo fiscale” e determinato uno
spazio considerevole di intervento degli enti locali in termini di autonomia
impositiva.
Secondo la predetta legge i comuni avrebbero potuto “deliberare agevolazioni
sui tributi di loro competenza, fino alla totale esenzione per gli esercizi commerciali
e artigianali situati in zone precluse al traffico a causa dello svolgimento di lavori
per la realizzazione di opere pubbliche che si protraggono per oltre sei mesi” (42).
La presenza di una seconda virgola dopo la parola ‘esenzione’ avrebbe limitato
la portata della norma ai soli esercizi commerciali e artigianali. Grazie all’assenza
della virgola i comuni ebbero campo libero nel decidere i margini di applicazione
dei tributi, fuorché la loro soppressione (consentita unicamente per gli esercizi
commerciali e artigianali).
Arleri (punto 7.7 della relazione presentata al Parlamento il 17 giugno 1981), riportata in Aa.Vv.,
Fattibilità ed applicabilità delle leggi, Rimini, 1983.
(42) M. Ainis, La legge oscura…, cit., p. 145.
(43) Legge n. 42 del 5 maggio 2009.
normativa che dovrebbe sommergerci nel giro di due anni, ossia i tempi previsti
per l’esercizio del potere delegato da parte del Governo.
“Una panacea”, ha esclamato con onesta baldanza qualche giureconsulto,
prevedendo il diluvio del contenzioso prossimo venturo tra i diversi livelli di
governo per l’interpretazione delle chilometriche disposizioni.
È pur vero che l’atto normativo, in quanto anche messaggio politico finalizzato
al consenso, è fatto di simboli e richiami a valori, volti a suscitare emozioni e
sentimenti, evocare suggestioni, attivare passioni e stimolare mobilitazione di
interessi (o quantomeno allertare convenienze).
(44) Per garantire “armonia reciproca tra le disposizioni” e la loro rispondenza “alle esigenze
della certezza del diritto”, la Costituzione svedese (art. 18) prevede un apposito ‘Consiglio per la
legislazione’.
(45) N. Bobbio, La certezza del diritto è un mito?, in “Riv. internaz. fil. diritto”, 1951, pp. 150-151.
(46) L. De Oñate, La certezza del diritto, rist. Roma, 1950, p. 177.
(47) S. Pugliatti, Conoscenza, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 1963, IX, p. 57.
(52) On. Livia Turco, nel corso di una puntata di “Porta a Porta”.
(53) Sono definiti “omeotermi” gli animali (quali la selvaggina) la cui temperatura corporea non è
influenzata dalla temperatura esterna, a differenza della fauna “ectoterma”, quali anfibi e rettili, con
temperatura del corpo dipendente da quella esterna.
La pubblicizzazione
L’alba della civiltà giuridica è segnata dal passaggio dalle norme orali al testo
scritto (55). L’ulteriore salto si è realizzato con la “pubblicizzazione” delle norme:
“si considera ‘pubblico’ ciò che è reso palese, accessibile, notorio, di pubblica ra-
gione, di pubblico dominio e così via” (56).
Anticamente in Cina era prassi comune occultare le leggi penali; solo a partire
dal VI sec. a.C. le leggi furono riprodotte su vasi di ferro.
A Babilonia le leggi inserite nel “Codice di Hammurabi”, primo grandioso
esempio di codificazione scritta, erano riportate su grandi pietre poste presso
le porte di ogni città, perché ognuno potesse leggerle. Presso gli Ateniesi le
leggi erano incise su cera, pietra, quercia, rame e affisse a colonne esposte alla
pubblica vista.
Nell’antica Roma, prima di procedere all’approvazione di una legge,
(54) Gli esempi sono tratti da M. Ainis, La legge oscura, cit., pp. 11-17-61.
(55) Per scrittura “si intende un insieme di segni riportati con qualsiasi mezzo tecnico (incisioni,
rilievi, colori, impressi con scalpello, stilo, penna o matita o a macchina) su un supporto (sia esso
costituito, come storicamente si è verificato in successione di tempo, da tavolette di argilla, legno, lastre
di pietra, bronzo, cuoio, papiro, pergamena e infine – ma solo infine si badi! – dalla carta) in modo
tale da poter essere letti anche a distanza di tempo…, favorendo così la riflessione (quando si scrive si
riflette molto di più di quando si parla) e consentendo la documentazione” (R. Borruso, Computer e
diritto, cit., I, pp. 41-42).
A proposito poi del trasferimento del testo scritto, secondo Vittorio Frosini, prima dell’uso del
computer, “occorreva trasferire anche il supporto su cui lo scritto era impresso”; con il computer,
invece, “lo scritto ‘può viaggiare’ automaticamente da un supporto all’altro, fermi rimanendo questi
ultimi come per effetto di un processo di ‘smaterializzazione’ prima e di ‘rigenerazione’ poi” (R. Borruso,
Computer e diritto, ibid., I, p. 103 - nota 6).
(56) S. Pugliatti, La trascrizione. La pubblicità in generale, I, tomo I, in Trattato di diritto civile e
commerciale, cit.
si ricorreva talvolta all’“elogium legis” (57); una volta approvata, essa ve-
niva promulgata ( 58) e, quindi, mostrata per tre giorni consecutivi di
mercato (59).
Durante il Medioevo la pubblicizzazione delle norme era assicurata da bandi
e ‘gride’ (60), resi noti attraverso pubblici banditori (antesignani dei moderni
mass-media).
Negli anni successivi alla Rivoluzione francese l’efficacia delle leggi fu subor-
dinata, oltre che alla pubblicazione sul “Bullettin des lois” di cui si dirà più in-
nanzi, alla lettura pubblica “à son de trompe ou de tambour”, ossia con “modalità
(57) Nel Senato romano prima della approvazione di una legge, nel caso in cui fossero stati rilevati
dubbi e contrarietà al suo varo, il relatore interveniva nuovamente per perorarne in modo accorato
le ragioni e sostenerne la necessità. Tale “elogium” mirava a convincere i dubbiosi e i contrari, al
fine di ottenerne il consenso. Non vi si ricorreva, invece, nel caso in cui sulla legge vi fosse già un
consenso unanime (fonte: dott. Ivano Pontoriero, dottore di ricerca in Diritto Romano presso la
facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, che si ringrazia per le notizie).
L’istituto dell’“elogium legis” viene fatto risalire a metà dell’epoca repubblicana (509-27 a.C.) ed in
particolare ai tempi di Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.). Ma la prassi continuò anche nel periodo imperiale,
compreso tra il 27 a.C. (primo anno del principato di Ottaviano, cui venne conferito dal Senato il
titolo di Augusto), il 395 d.C. (morte di Teodosio I e suddivisione in Impero Romano d’Occidente
e Impero Romano d’Oriente) e 476 d.C. (deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore
d’occidente, ad opera di Odoacre).
Com’è noto, l’Impero Romano d’Oriente sopravvisse per un altro millennio, allorquando (1453)
Costantinopoli cadde e fu distrutta dagli Ottomani.
(58) In età repubblicana (509-27 a.C.) il potere di promulgazione spettava al Senato. Nel periodo
imperiale, compreso tra il 27 a.C., il 395 d.C. e 476 d.C. la promulgazione divenne atto monocratico,
emanato nella forma del decreto dell’Imperatore. Nel nostro ordinamento l’atto di promulgazione
è stato sussunto nella forma del decreto del Presidente della Repubblica.
(59) Probabilmente trae origine da questa prassi la disposizione del Testo unico della legge comunale
e provinciale del 1915 e 1934, che prevedeva la pubblicazione all’albo pretorio nei giorni di festività
e mercato delle delibere di Giunta e Consiglio.
(60) Grida: “bando, così detto dal gridare che faceva il banditore pubblicandolo” (G. Rezasco, Dizionario
del linguaggio italiano storico ed amministrativo, Le Monnier, 1881, rist. anast. Forni ed., 1966, p.
500).
Il termine deriva quindi dall’antica consuetudine di rendere noti i provvedimenti dell’autorità pubblica
attraverso pubblici banditori. “Solo nel ducato di Milano il termine assunse un significato più tecnico,
riferito a leggi e ordinanze di polizia, che è poi il significato manzoniano” (prof. Gianfranco Liberati,
docente di Storia del diritto, Università di Bari, dip. Istituzioni, Amministrazione e Libertà, che
si ringrazia anche per le indicazioni bibliografiche – G. Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano
storico ed amministrativo, e A. Pertile, Storia del diritto italiano – dalla caduta dell’Impero romano
alla codificazione, cit.).
I provvedimenti erano “gridati” in luoghi pubblici, in modo da favorirne la conoscenza da parte
della popolazione, all’epoca per lo più analfabeta: si consideri ad esempio che, in occasione del
“Censimento generale” della popolazione del 31 dicembre 1861, svolto poco dopo la proclamazione
del Regno d’Italia – 17 marzo 1861 – gli analfabeti costituivano il 78% del totale della popolazione,
con valori pari all’84% per le femmine e al 72% per i maschi (con punte del 90-91% nel Mezzogiorno,
ove l’analfabetismo femminile toccava la vetta del 95%). A livello nazionale, su una popolazione
complessiva di 22.176.477 abitanti, sapevano leggere e scrivere solo 3.884.245 persone, mentre la
quota degli analfabeti sfiorava i 17 milioni (per l’esattezza 16.999.701) – Fonte: nostre elaborazioni
su dati Istat.
Mentre nel caso della comunicazione o della notifica l’autore del messaggio si
attiva per farlo pervenire effettivamente nella disponibilità del destinatario, nel
caso della pubblicazione “l’autore si limita a porre l’oggetto in una situazione tale
che i destinatari possano, attivandosi, acquisirne la conoscenza”(68).
Rispetto alle altre misure di conoscenza (es. comunicazione, notifica), la pub-
è però da escludere che “si possa parlare di obbligo del destinatario di informarsi
di quanto sia pubblicato” (74).
Più che al comune cittadino, però, Gazzetta Ufficiale della Repubblica e Bollet-
tino Ufficiale della Regione paiono destinati per lo più ad operatori (a sostegno
di una siffatta ipotesi può essere utile rammentare ad esempio che sia nell’Im-
pero prussiano che in quello cinese la raccolta delle leggi era inviata a tutti gli
interpreti, gli esecutori delle leggi, nonché – in Cina – ai mandarini).
“Effetto (e fine) dell’impiego” degli strumenti pubblicitari comunemente utiliz-
zati è “la realizzazione non già della conoscenza del diritto, ma di una presunzione
di conoscenza, se non, addirittura, di una finzione” (75).
Dall’originario ruolo assegnato alla “conoscenza”, si è giunti nel corso del tempo
a sistemi che, più o meno apertamente, prescindono da essa: l’antico legame
efficacia-conoscenza sopravvive nella forma della “presunzione”.
In proposito si sostiene quindi che “i teorici del diritto hanno fatto ricorso alla
formula… della conoscibilità, invece che della conoscenza effettiva della legge…
senza che questo artificioso espediente riesca però a risolvere la questione di fondo”:
come produrre (un ragionevole grado di) conoscenza effettiva (76).
Non da oggi si ammette infatti che “in pratica la divulgazione delle leggi è…
un pio desiderio, o una menzogna convenzionale”… e “non si comprende come al
cittadino possano essere inflitte sanzioni… se lo Stato… non muove un dito per
divulgare la legge stessa” (77).
Va ricordato che le pubbliche letture, comprese quelle “à son de trompe ou de
tambour” tendevano a promuovere un certo grado di conoscenza anche tra gli
illetterati.
La divulgazione legislativa
Corollario della potestà legislativa esclusiva del consiglio appare la non trascu-
rabile funzione della “divulgazione legislativa”, cosiddetta ‘divulgazione seconda-
ria’, funzione strumentale, correlata all’attività dell’Assemblea regionale, volta a
perseguire l’obiettivo della “conoscibilità” sostanziale delle leggi; si differenzia
dalla semplice “informazione” (che privilegia la notizia-spot), in quanto richiede
una complessa attività di “decodificazione” del messaggio normativo (e quindi
di “decifrazione” del contenuto della norma).
Una ‘connessione virtuosa’ tra comunicazione pubblica e scienze giuridiche,
un mix di competenze volto a rendere chiari precetti legislativi assai spesso
sinonimi di oscurantismo lessicale e tecnicismo per addetti ai lavori.
Alla comunicazione legislativa è affidato l’impegnativo compito di tradurre
le forme giuridiche in concetti chiari (non superficialmente semplici) rivolti ai
destinatari delle norme, i “cittadini regionali” (singoli, associati, organizzati per
categorie, professioni, interessi, passioni, ecc.).
Una prateria sterminata, finora sostanzialmente inesplorata, ma banco di prova
per un consiglio regionale costituzionalmente autonomo nell’esercizio della sua
esclusiva potestà legislativa, ma “immerso” nella comunità rappresentata e nel
territorio di riferimento.
Comunità regionale come fonte di legittimazione del consiglio, ma anche ti-
tolare del diritto alla certezza delle norme; attività legislativa del consiglio non
sinonimo di “stratificazione geologica” di norme sovrapposte e non conosciute,
ma circuito di produzione, se non di certezza, almeno di (più ampia) conoscenza
del dritto e motore di consapevolezza condivisa sulla convenienza al rispetto
delle norme, in funzione dei benefici comuni.
Appendice
Nel complesso delle norme (81) varate nel giugno 2009 dal Parlamento nazionale
(81) Legge statale n. 69 del 18 giugno 2009, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività, nonché in materia di processo civile”, (G.U., s.o. n. 95 del 19 giugno 2009).