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atti dibattiti 89

interventi

Leggi e norme:
comando, messaggio e linguaggio
di Leonardo Rubino
Funzionario Regione Puglia, Specialista in Scienze delle autonomie costituzionali

Sempre più estesa la marea di norme che promana dalle molteplici


fonti di produzione (dall’Unione europera, allo Stato, dalle regioni
agli enti locali). Il messaggio legislativo contiene un comando,
ma mette in conto che non arrivi al destinatario. A differenza
degli atti amministrativi, per quelli legislativi non è prevista
la motivazione (pur incidendo su situazioni soggettive di un gran
numero di destinatari). Il linguaggio utilizzato per ‘confezionare’
le norme giuridiche risulta spesso ‘oscuro’ e incomprensibile
ai destinatari (il 66 % dei quali utilizza comunemente ed accede
al semplice ‘vocabolario di base’). La semplificazione e la chiarezza
del linguaggio. Il ‘burocratese’ come regno dell’antilingua (Italo
Calvino) e sinonimo del “gloglottare’ incomprensibile. Vicina
la “liberazione” dai paradossi della ‘commite’ e delle leggi finanziarie
dello Stato? Il federalismo fiscale introdotto “per sbaglio”
dal Parlamento nel 1995. L’ambiguità normativa, l’ocurità
del linguaggio e gli effetti sulla (in)certezza del diritto. Il processo
legislativo: dalla formazione della volontà alla approvazione
della norma, dalla comunicazione del messaggio all’interpretazione
ed alla applicazione. I disturbi della comunicazione ascrivibili
ad effetti di mascheramento, norme intruse, linguaggio burocratese,
uso di eufemismi, ecc. Le funzioni della pubblicazione: notorietà,
certezza ed efficacia. La presunzione di conoscenza, la conoscibilità
formale e la reale percezione dei messaggi legislativi. L’attività
legislativa delle regioni, anche a seguito della riforma del Titolo V
della Costituzione. La divulgazione legislativa come corollario
della potestà legislativa del consiglio regionale.

La stratificazione normativa

Le fonti di produzione normativa (Unione europea, Stato, regioni ed enti locali)


sono ormai numerose; da esse promana una marea sempre più estesa di norme

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(senza considerare l’“area vasta” delle fonti di “manipolazione” e interpretazione,


quali la Corte di Giustizia europea e la Corte Costituzionale).
Per citare un solo esempio, il consiglio regionale della Puglia, dal 1972 ad oggi,
in poco meno di quaranta anni di attività, ha varato qualcosa come 1.500 leggi
ed all’incirca 300 regolamenti (la produzione normativa regolamentare è sensi-
bilmente aumentata a partire dalla VIII legislatura – quinquennio 2005-2010 – in
virtù della attribuzione della relativa potestà in capo alla giunta regionale) (1).
A proposito della continua, inarrestabile produzione normativa, sorge spon-
taneo un interrogativo: perché ad ogni battito di ciglia si propugna l’esigenza
di una nuova legge? Perché quelle fino ad allora varate non sono mai sufficienti
o adeguate?
Come si spiega poi l’incongruenza in base alla quale nello Stato moderno le
norme nascono per limitare la discrezionalità del potere del sovrano e dei suoi
apparati e invece finiscono spesso con l’essere esse stesse fonte di discrezionalità,
se non addirittura talvolta di arbitrio?
E più leggi si approvano, più pare che crescano le complicazioni. La stratifica-
zione delle norme nel tempo provoca una barriera sempre più densa di incomuni-
cabilità e un ginepraio inestricabile: norme che si susseguono vertiginosamente,
continuamente e affannosamente “modificate ed integrate”.
Leggi (continuamente “sfornate” da Parlamento e assemblee regionali) (2) che
si susseguono come onde marine; la successiva si sovrappone alla precedente e
a sua volta è sovrastata da quella che segue (“grida fresca”, spesso riproduttiva
di disposizioni preesistenti, ancorché dimenticate, ed emanata allo scopo di
“far più paura”) (3).
Già le primissime norme varate dal Parlamento italiano eletto per la prima volta
nel gennaio del 1861 (4) erano state etichettate senza tanti complimenti come

(1)  L’attribuzione della potestà regolamentare alla Giunta è stata sancita dall’art. 44 del nuovo
Statuto regionale (approvato dal Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 123 della Costituzione della
Repubblica italiana, in prima lettura con deliberazione n. 155 del 21 ottobre 2003 e confermato, in
seconda lettura, con deliberazione n. 165 del 3, 4 e 5 febbraio 2004).
(2)  Le sedute parlamentari si protraggono di solito per ore e ore, scandite da un susseguirsi incessante
di dibattiti e votazioni, con le Camere ridotte in buona parte a puro “votificio”. Da questo incedere
interminabile, ora lento ora frenetico, deriva la famosa descrizione dell’attività parlamentare coniata
dall’on. Attilio Piccioni (Dc, Vicepresidente del Consiglio e Ministro nei Governi De Gasperi tra il
1948 e il 1953, Scelba, Fanfani, Leone e Moro, tra la metà degli anni ’50 e i primi anni ‘60): “ozio
senza riposo e fatica senza lavoro”.
(3)  I promessi sposi, Storia Milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni
(“riproduzione fotolitografica della rarissima edizione... illustrata da Gonin, edita a Milano nel
1840 dalla Tipografia Guglielmini e Radaelli”), A. Mondadori, 1964, cap. III - Azzecca-garbugli a
Renzo, p. 53.
(4)  Il primo Parlamento italiano, eletto nel gennaio 1861 (ci si riferisce ovviamente alla Camera,
dato che il Senato era di nomina regia), era formato da 443 deputati (di cui 85 nobili, 28 ufficiali,

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una “farragine di codici nuovi e codici antichi; di leggi che derogano, abrogano e
rimettono in vigore questo o quell’altro provvedimento” e si presentano come un
“ammasso di legislazione ove il vecchio e il nuovo formano un intruglio da non
capirne un’acca”, per giunta avente come unico filo conduttore “di votar danari
a carico del popolo e a vantaggio di chi si trova avere il mestolo in mane” (5).
Inoltre, mentre intorno al 1880 il Parlamento approvava non più di duecento
leggi l’anno, appena 50 anni dopo si era pervenuti a duemila l’anno (6). Il pas-
saggio poi da società chiuse ed oligarchiche a società aperte e complesse, con
aumento di bisogni e, soprattutto, di aspettative, ha comportato un ulteriore
aumento di produzione normativa, ma troppe norme equivalgono, in fin dei
conti, a nessuna norma, ad assenza di legge e, quindi, al prevalere della legge
del più forte.
Già Montesquieu (7) ammoniva sulle conseguenze dell’eccessivo affollamento
legislativo, sottolineando che “le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie”,
determinando quello che potremmo definire uno “spreco del diritto” e quindi
quella “abbondanza di gride (di manzoniana memoria) in forma di legge” (8).
Norme comunemente ritenute anacronistiche rimangono comunque presenti
nell’ordinamento, come “un corpo morto che… ostacola il cammino dei corpi
ancora vivi” (9).
“La migliore dimostrazione che neppure” il legislatore è ormai in grado di
“controllare i mille rivoli in cui scorre il fiume delle leggi è costituita dal frequente
ricorso alle abrogazioni innominate, nonché ai rinvii generici o, per così dire,
aperti”. Per le abrogazioni innominate si utilizza solitamente la formula, inutile
e ridondante, “sono abrogate tutte le norme incompatibili con la presente legge”.
Eppure già “l’art. 15 delle preleggi (al codice civile) sancisce in via generale che la

72 tra avvocati, medici ed ingegneri) eletti da 239.583 votanti (170.567 i voti validi, su un totale di
circa 419.000 aventi diritto al voto, ossia meno del 2% della popolazione, pari all’epoca a 22.176.477
abitanti). Va ricordato che al momento della proclamazione – 17 marzo 1861 – il Regno d’Italia
non comprendeva ancora il Veneto, Mantova (dominazione austro-ungarica sino al 1866) e il
Lazio, territorio dello Stato Pontificio fino al 1870 (oltre, naturalmente, il Trentino-Alto Adige e il
Friuli Venezia Giulia, che entreranno a far parte dell’Italia nel 1918, alla fine della prima guerra
mondiale).
Fonte dati sul primo Parlamento: http://www.tesionline.it/news/cronologia.jsp?evid=2883 e
‘Wikipedia, l’enciclopedia libera’ (http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale).
(5)  Brano tratto da I lavori del primo Parlamento Italiano (pubblicati il 16 luglio 1861) in ‘Memorie
per la storia de’ nostri tempi dal Congresso di Parigi nel 1856 ai primi giorni del 1863 (p. 62-64)’, di
Giacomo Margotti.
(6)  M. La Torre (consigliere di Stato), La divulgazione delle leggi, in “Rivista di diritto pubblico”,
I, 1939, p. 586.
(7)  C. L. de Montesquieu, De l’esprit des lois, 1748.
(8)  M. S. Giannini, Rapporto al Parlamento sullo ‘stato della pubblica amministrazione in Italia’,
marzo 1979.
(9)  M. Ainis, La legge oscura, come e perché non funziona, Laterza, 2002, p. 91.

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disposizione successiva incompatibile con la precedente ne determina l’abrogazione


(‘tacita’)” (10).
Spesso il lettore è costretto “a difficili ricerche di disposizioni precedenti che
vengono fatte salve, abrogate, oppure richiamate in vigore, mediante rinvii spesso
confusi ed a volte senza tener conto dell’esistenza di altre norme relative alla stessa
materia” (11).
L’inflazione legislativa è stata anche paragonata ad una “casa dotata di tanti
oggetti, ma tutti riposti alla rinfusa; sicché, quando serve uno di essi, la fatica e
l’incertezza di trovarlo si prospetta in termini così scoraggianti, che si preferisce
comprarne uno nuovo. In tal modo la quantità di oggetti che via via si accumulano
nella casa cresce a dismisura: parimenti cresce la difficoltà di reperirli”.
In questa continua sovrapposizione di norme “c’è sempre il pericolo che dal
sepolcro delle decine di migliaia di leggi e di provvedimenti aventi forza di legge
emanati dall’Unità d’Italia (1861) in poi (291.405 fino al 1988) e non applicati in
tempi recenti si levi improvviso il ricordo spettrale di alcuno di essi per colpire alle
spalle l’ignaro cittadino…” (12).
Un quadro desolatamente sconfortante, però non nuovo, anzi molto simile a quello
efficacemente tratteggiato da Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi” (13).
Eppure già Aristotele (nel IV sec. a.C.) era convinto che il numero delle leggi
non dovesse superare la “capienza dei muri cittadini o l’umana capacità di ri-
cordarle”.
Ventuno secoli dopo, essendo evidentemente l’argomento di perdurante attua-
lità, J.J. Rousseau aggiungeva che “qualunque Stato che abbia più leggi di quante

(10)  M. Ainis, ibid., p. 23.


(11)  A. Pizzorusso, La pubblicazione degli atti normativi, Giuffrè, 1963, p. 203.
(12)  R. Borruso, Computer e diritto, Giuffrè, 1988, II, p. 103.
(13)  “Le leggi diluviavano, i delitti erano enumerati e particolareggiati con minuta prolissità; le
pene… esorbitanti… le procedure studiate soltanto a liberare il giudice di ogni cosa potesse essergli
d’impedimento a proferire una condanna… Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagione di ciò, quelle gride,
ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano altro che ad attestare ampollosamente
l’impotenza dei loro autori o, se producevano qualche effetto immediato, era principalmente d’aggiungere
molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da’ perturbatori e d’accrescere le violenze
e le astuzie di questi” (cap. I – incontro Don Abbondio-bravi di Don Rodrigo, pp. 20-21).
“… Perché, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo e nessuno è innocente…” (cap. III –
Azzecca-garbugli a Renzo, p. 56).
Sempre a proposito di leggi, in un’altra opera il Manzoni sottolinea che, per “raccogliere le leggi del
governo spagnolo della Lombardia si provvide in parte col ‘gridario’, ossia colla collezione e ristampa
in singoli libri delle gride, ordini, decreti d’ogni singolo governatore”.
“Il Manzoni riferisce (Compendio di tutte le gride, bandi ed ordini fatti e pubblicati nella città di Milano,
Milano, 1595): “La collezione che ho potuto vedere io va dal 1583 al 1589, e quindi dal 1633 al 1686.
Sono tanti volumetti dello stesso formato (in folio), quanti furono i governatori. Tuttavia quelle dal 5
settembre 1656 al 27 marzo 1686 hanno un titolo ed indice comune: ‘Gridario generale delle gride, bandi,
ecc. ecc.’” (A. Pertile, Storia del diritto italiano – dalla caduta dell’Impero Romano alla codificazione,
Utet, 1898, p. 467).

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i cittadini ne possano ricordare è uno Stato male ordinato e ogni uomo che non
conosca a memoria le leggi del suo Paese è un pessimo cittadino” (14).
L’idea che qualsiasi problema sia risolvibile solo per via legislativa, ossia “l’am-
bizione del diritto a colonizzare il mondo della vita” (15) ha indotto taluni autori a
ricorrere ad una metafora dissacrante nei confronti del legislatore, a proposito
del suo potere assoluto di varare norme: “date un martello a un bambino, e lui im-
mediatamente scoprirà che ogni cosa ha bisogno di venire presa a martellate” (16).
L’eccessivo “inquinamento legislativo”, unito alla sovrabbondanza di messaggi
legislativi spesso oscuri e contraddittori, finisce col conferire un alto “tasso di
clandestinità” alle norme ed una situazione di “inconoscibilità” delle stesse, da
cui deriva un’attenuazione della forza prescrittiva degli enunciati.

L’ignoranza della legge

L’obiettivo della legge è quello di trasmettere un messaggio, una informazione,


circa i comportamenti da tenere; il messaggio contiene un comando, ma la stessa
legge mette in conto che esso non pervenga al destinatario.
Una situazione patologica, generatrice a sua volta di un’altra condizione pa-
tologica: l’attenuazione del valore prescrittivo degli enunciati normativi, sancita
da una storica sentenza della Corte costituzionale (la n. 364 del 1988).
Con questa pronuncia, infatti, la Corte ha ridimensionato la portata dell’antica
massima secondo la quale, “la legge non ammette ignoranza”, nel senso che nes-
suno poteva addurre a sua discolpa l’ignoranza della legge. Secondo l’Alta Corte,
invece, l’“ignoranza inevitabile della legge penale” e la estesa “non conoscibilità
delle norme vigenti” (dovuta anche alla “assoluta oscurità del testo legislativo”)
possono ben costituire causa di giustificazione (17).

(14)  Fragments Politiques, 1750-1760, in Scritti Politici, ediz. ital. a cura di P. Alatri, Utet, 1970.
(15)  J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, 1981.
(16)  A. Kaplan, Some limitation on Rationality, in Aa.Vv., Racional Decision, a cura di C. J. Friedrich,
New York, 1964, p. 64
(17)  Secondo il principio classico del diritto romano, “Ignorantia juris non excusat”.
Con sentenza n. 364 del 23 ottobre 1988 la Corte Cost. ha ridimensionato la portata interpretativa
di tale concetto, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del codice penale nella parte in
cui non prevedeva la “scusabilità” dell’ignoranza inevitabile della legge (penale).
“Il principio di ‘riconoscibilità’ dei contenuti delle norme (penali)”, secondo la Corte, “rinvia alla
necessità che il diritto (penale)… sia costituito da norme non numerose, … chiaramente formulate… e
tali da poter essere percepite, anche in funzione di norme extra-penali, di civiltà, effettivamente vigenti
nell’ambiente sociale nel quale le norme penali sono destinate ad operare”.
Conseguentemente, “… l’oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto, nella quale venga a trovarsi
‘chiunque’… non può gravare sul cittadino…”.
Il “rapidissimo succedersi di ‘entrate in vigore’ di nuove leggi e di abrogazioni, espresse o tacite, di antiche

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La motivazione della legge

Com’è noto, in Italia (a differenza di quanto avviene presso gli organi comu-
nitari) per gli atti normativi aventi carattere generale non è prevista la motiva-
zione. Per gli atti amministrativi, invece, essa è imprescindibile e può costituire
‘elemento sintomatico’ di vizi connessi all’atto, con la conseguente facoltà di
attivare forme di tutela dinanzi agli organi giurisdizionali.
Di fronte però alla ormai eccessiva (e frammentata) produzione normativa si è
avviato da qualche tempo un interessante dibattito in dottrina circa l’opportunità
di introdurre la motivazione anche per gli atti normativi.
A sostegno di tale tesi, si ritiene infatti che “appare ben strano pretendere la
motivazione per atti che riguardano una o poche persone… e tollerare che restino
non motivati atti che riguardano l’intera collettività” (18).
La motivazione degli atti normativi può costituire peraltro un termometro del
livello di “trasparenza” tra istituzioni e cittadini.

Il linguaggio giuridico

Il linguaggio giuridico, essendo destinato a tradurre in testo comandi e pre-


cetti, non ha bisogno di “artifici retorici”, volti a rafforzarne l’efficacia. Metafore,
esemplificazioni, preamboli, descrizioni, ecc., dovrebbero pertanto essere banditi
dai testi giuridici (19).

disposizioni…” può peraltro determinare una mancanza di conoscenza delle leggi. Da tale situazione non
si può “far ricadere sul singolo tutte le colpe della predetta ignoranza. Ben è, invece, almeno possibile…
che lo Stato non abbia reso obiettivamente riconoscibili (o ‘prevedibili’) alcune leggi…”.
Tra le cause di impossibilità di conoscenza delle leggi da parte dei consociati, occorre considerare
la “(oggettiva) mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa” dovuta, ad es., alla “assoluta
oscurità del testo legislativo”.
Pare opportuno sottolineare che prima di questa storica sentenza dell’Alta Corte, la giurisprudenza
aveva invece affermato che il principio della “inescusabilità dell’ignoranza della legge penale” non era
“fondato sulla presunzione di conoscenza, spesso contraria alla realtà, ma sulla necessità che la legge
imperi egualmente su tutti i cittadini” (Cass., 18 maggio 1945, in “Riv. pen.”, 1945, p. 300; Cass., 26
novembre 1951, in “Giur. compl. cass. pen.”, 1951, III, p. 699).
In alcuni ordinamenti stranieri la possibilità di derogare al principio della ‘inescusabilità’
dell’ignoranza della legge penale risultava già un cinquantennio fa “accordata al giudice dall’art. 10
del codice penale della (ex) Jugoslavia” e “dall’art. 20 del codice penale svizzero” (A. Pizzorusso, La
pubblicazione degli atti normativi, cit., nota 11, p. 196).
(18)  G.U. Rescigno, Tecnica giuridica e comunicazione nel processo legislativo, in “Parlamenti
regionali”, 2004, n. 12, p. 30.
(19)  Esempi di testi normativi formulati con tecniche redazionali palesemente inappropriate sono
costituiti da due regolamenti della Regione Puglia, relativi ad incentivi a favore di imprese.
Il regolamento n. 25 del 21 novembre 2008 disciplina la “concessione di aiuti agli investimenti e allo
start-up di micro-imprese di nuova costituzione realizzate da soggetti svantaggiati”. L’art. 1 (oggetto

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Inoltre, a differenza degli altri linguaggi specialistici, che hanno una mera
funzione descrittiva della natura e delle cose, senza alcun potere di intervento
effettivo sulle entità descritte, il linguaggio giuridico ha l’immenso potere di
creare e/o modificare la realtà e di incidere sulla realtà delle persone (20).
Quanto alla lingua utilizzata per “confezionare” le norme, essa non costituisce
un mero veicolo della volontà legislativa, ma “il grande portone attraverso il quale
il diritto entra nella coscienza di ogni uomo. Le leggi della lingua sono immanenti
alle leggi giuridiche” (21).
Infatti il diritto non usa semplicemente, quanto “è un linguaggio, nel senso che
le proposizioni normative non sono mai scindibili dalle proposizioni linguistiche
che le rivelano all’esterno: se cambia la formula della legge, cambia la legge” (22).
In fin dei conti la legge è composta di parole (23), scritte per poter essere poi

e finalità) è così strutturato:


1. Uno degli ostacoli più significativi allo sviluppo economico della Regione è costituito da bassi livelli
di attività imprenditoriali ed in particolare dal numero delle imprese di nuova costituzione in costante
diminuzione.
2. Detto fenomeno è particolarmente grave nelle aree a maggior disagio socioeconomico in cui le imprese
sono penalizzate da svantaggi strutturali legati al contesto localizzativo.
3. D’altro canto negli ultimi anni gli aiuti alla creazione di nuove microimprese hanno rappresentato
una diffusa alternativa alla carenza di posti di lavoro; dette realtà imprenditoriali, inoltre, tendono a
consolidarsi e a irrobustirsi sui mercati.
4. Una efficace politica di sostegno alla nascita di nuove microimprese non deve, però, consentire che si
verifichino concentrazioni di imprese in settori caratterizzati da basse prospettive di crescita e modesta
redditività ancorché raggiungibile in un orizzonte temporale breve o in determinati territori, al fine di
evitare il rischio di spiazzamento delle imprese esistenti.
5. Con il presente regolamento… si intende agevolare la nascita di nuove imprese promosse da alcune
categorie di persone svantaggiate.
Il Regolamento regionale n. 26 (anch’esso del 21 novembre 2008) disciplina gli “… aiuti agli
investimenti delle Pmi nel risparmio energetico, nella cogenerazione ad alto rendimento e per
l’impiego di fonti di energia rinnovabile…”, proclamando all’art. 1 (oggetto e finalità):
1. La Regione Puglia individua nello sviluppo sostenibile il principale fattore su cui innestare politiche
di crescita e di ampliamento della base occupazionale.
2. Lo sviluppo sostenibile si basa, tra l’altro, sul miglioramento dell’efficienza energetica, sull’aumento
della quota di energia proveniente da fonti rinnovabili e sulla promozione del risparmio energetico.
3. Le piccole e medie imprese svolgono un ruolo importante nella creazione di posti di lavoro e, in
generale, di stabilità sociale e di dinamismo economico.
4. Le piccole e medie imprese trovano, tuttavia, difficoltà ad attuare investimenti volti alla tutela e al
miglioramento della qualità dell’ambiente in ragione dei possibili incrementi dei costi complessivi di
produzione.
5. Il presente regime di aiuto... ha per finalità la concessione alle piccole e medie imprese di aiuti
ambientali per investimenti volti al miglioramento del bilancio energetico dell’impresa.
(20)  A. Fioritto, La semplificazione del linguaggio amministrativo, in “Parlamenti regionali”, n.
12/2004, p. 62.
(21)  A. J. Merkl (1890-1970 – allievo di Kelsen, tra i redattori nel 1919 della Costituzione della
Repubblica austriaca), Das doppelte Rechtstanlitz, 1918, Il duplice volto del diritto, p. 125
(22)  M. Ainis, Linguisti e giuristi per il miglioramento del linguaggio normativo, in “Parlamenti
regionali”, 2004, n. 12, p. 69.
(23)  L’insieme delle parole, il “lessico” di una lingua, può essere paragonato, secondo Tullio De
Mauro, uno dei più insigni linguisti italiani, ad una grande sfera. “Nello strato più esterno si collocano
gli ‘hápax’ (dal greco antico “una volta sola”, usati in testi significativi, come ad esempio ‘Bornio’,
utilizzato una sola volta da Dante nella “Divina Commedia”) e i termini di linguaggi speciali (o

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lette: la “legge” è quindi un testo da “legge-re”. Ma quanto più le parole della “legge
da leggere” risultano fuori dalla comune comprensibilità, tanto più risulta diffi-
cile la loro connessione al relativo significato (24); in pratica le norme risultano
“appese così in alto da non poter essere lette” (25).
Eppure “chi la legge deve rispettare, per farlo dovrà prima capirla. Se è oscura,
ha il diritto di non capirla e non rispettarla” (26).
Né pare poi trascurabile la considerazione che la “qualità della legislazione” ha
effetti diretti sulla stessa “qualità della democrazia”. L’“oscurità” del linguaggio
normativo e l’indecifrabilità delle norme determinano anche uno svilimento
del ruolo delle assemblee legislative e la dilatazione del ruolo (oltre che degli
esecutori) degli interpreti (la cui attività di interpretazione, assurge a vera e
propria “tecnica integrativa del messaggio legislativo” (27). Le leggi “oscure” o

settoriali) che non escono fuori da libri, articoli, discorsi fatti da particolari categorie… e interlocutori
di una certa area ‘semantico-pragmatica’” (esempio: simplegico, utilizzato da un medico, monoide,
utilizzato da un matematico).
“Ci sono poi le parole di uno strato più interno della sfera del ‘lessico’. Sono le parole dei linguaggi speciali
o di aree locali, che però hanno una certa circolazione fuori dall’area di origine” (esempio: equazione,
penicillina, eclisse, affluente). “Queste parole costituiscono il ‘vocabolario comune’ di una lingua”.
“… Il ‘vocabolario comune’ ha al suo interno altri due strati concentrici più profondi. In primo luogo
viene quello che chiamiamo il ‘vocabolario di base’. Si tratta di quei vocaboli del ‘vocabolario comune’
i quali sono largamente noti ai componenti delle più svariate categorie di persone”. Tali vocaboli
(intorno ai 6.700) sono noti “alla generalità di coloro che hanno frequentato” fino alla terza media,
“scuola di base”.
“C’è infine il nucleo più interno della sfera lessicale di una lingua. è il ‘vocabolario fondamentale’…
sono le parole (circa 2.000) di massima frequenza nel parlare e nello scrivere… Queste sono le parole
note alla generalità degli italiani che abbiano fatto studi elementari” (T. De Mauro, Guida all’uso delle
parole, Editori Riuniti, pp. 104-109).
Tenuto conto che, nonostante i significativi progressi realizzati negli ultimi 50 anni, secondo i dati
del (14°) censimento generale Istat del 2001, solo l’8,3 % della popolazione (con oltre 15 anni) ha un
titolo di studio universitario (laurea o diploma) e meno del 29 % è munito di diploma (di maturità o
qualifica), si deduce che quasi i 2/3 (63,3 %) della popolazione ultraquindicenne hanno un livello di
scolarizzazione che nel migliore dei casi non supera la “scuola di base” (la terza media, per giunta
non frequentata nei primi banchi, specifica qualche esperto di comunicazione televisiva), con relativa
conoscenza del solo ‘vocabolario di base’.
(24)  “Per leggere è anzitutto necessario conoscere” certe parole. La lettura implica peraltro “attività
cerebrali non specifiche che vanno dall’attenzione, alla visione, alla memoria”. Per dare significato
alle parole è necessaria “la mobilitazione di un’area associativa in cui i simboli (le lettere) vengono
connessi ai significati della parole” (A. Oliveiro e A. Oliveiro Ferraris, Le età della mente, Rizzoli,
2005, pp. 152-153).
(25)  G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1821.
(26)  T. De Mauro, linguista.
(27)  V. Frosini, Il messaggio legislativo: tecnica e interpretazione, in Normative europee sulla tecnica
legislativa, Camera dei Deputati, 1988, pp. 49-50.
“Questa tecnica ha avuto le sue remote origini nell’arte divinatoria dei sacerdoti etruschi, la quale
serviva a tradurre il linguaggio misterioso degli dei, espresso coi simboli naturalistici del fulmine o del
volo degli uccelli (onde il nome di ‘aruspici’ attribuito ad essi in Roma) nel linguaggio degli uomini,
che era quello in cui si esprimevano i capi politici e militari. Il termine ‘interprete’ infatti deriva dalla
preposizione latina ‘inter’ e dal vocabolo indo-europeo ‘pret’ (parlare), e indica la funzione di chi sta
fra due parlanti e li mette in relazione fra loro”.
“… Il significato originario era però connesso alla funzione esercitata dagli aruspici, i quali stabilivano
la liceità o illiceità delle decisioni da prendere da parte (o in nome) della comunità, a seconda che esse

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ambigue alterano così la separazione dei poteri, in quanto giudici e funzionari


amministrativi diventano legislatori. La scarsa chiarezza delle norme comporta
così la fuga verso le “fonti oracolari del diritto” (28).
Non si comprende come mai per la redazione di un bilancio (fatto di cifre) ci
si rivolge ad un tecnico, mentre per scrivere un testo normativo (composto di
parole), “ognuno crede di essere in grado di usare la lingua al massimo delle sue
potenzialità” (29), con risultati non sempre all’altezza delle aspettative.
Il problema non può dirsi certo recente, se circa tre decenni orsono, pur ri-
levando che “non c’è mai stato un paradiso di certezze testuali per i cittadini”, si
sottolineava che “le cose sono cambiate in peggio, e ognuno di noi, non solo il
semplice cittadino, ma anche il professionista, il funzionario, lo stesso parlamen-
tare, incontra difficoltà crescenti. I problemi sono sempre e solo due: l’oscurità dei
testi e i problemi della divulgazione” (30).
Pertanto “la porta della legge rimane ancora oggi inesorabilmente chiusa: e non
soltanto per i più umili e incolti, bensì pure per gli stessi addetti ai lavori, per gli
avvocati, per gli uomini di legge… Dov’è situata la soglia che divide la legge chiara
da quella oscuramente formulata?” E cosa succede se si “oltrepassa questa so-
glia?” Ma soprattutto “come difendersi di fronte a normative irte di trabocchetti e
doppifondi, che sembrano fatte apposta per scoraggiare chi in buona fede intenda
rispettarle?” (31).
Non si tratta semplicisticamente di teorizzare leggi semplici, quanto esigere
“leggi chiare”; è anzitutto il tiranno – ammoniva Montesquieu – a voler “sem-

fossero conformi o no alla volontà manifestata dagli dei”.


Con la riorganizzazione della corporazione degli aruspici voluta nel 47 d.C. dall’Imperatore Claudio,
si determinò la “trasformazione dell’arte divinatoria etrusca nel diritto augurale di Roma, con la
istituzione degli ‘augures publici’ e di quelli municipali, perché la funzione attribuita agli aruspici non
fu più quella di predire il fato, come era presso gli etruschi, ma divenne quella di consulenti giuridici per
stabilire la legittimità, sotto forma religiosa e rituale, delle decisioni collettive. Il momento conoscitivo
si convertiva così in quello operativo, come poi avvenne con l’attività svolta dai giureconsulti”.
(28)  M. Ainis, La legge oscura, cit., p. 114.
“Ibis redibis non morieris (o peribis) in bello” è il responso dato dalla Sibilla ad un soldato recatosi a
consultarla prima di partire per il fronte. La frase ambigua (sibillina) offre una duplice interpretazione,
a seconda della punteggiatura utilizzata. Se si inserisce la virgola prima di “non” (Ibis, redibis, non
morieris in bello) significa “Andrai, ritornerai e non morirai in guerra”; il semplice spostamento della
virgola dopo “non” (Ibis, redibis non, morieris in bello) ne stravolge completamente il significato:
“andrai, non ritornerai e morirai in guerra”).
(29)  M. A. Cortelazzo, La collaborazione tra giuristi e linguisti – possibili sinergie formative, in
“Parlamenti regionali”, 2004, n. 12, p. 59.
(30)  S. Rodotà, intervento al Convegno promosso da Sabino Cassese presso l’Accademia dei Lincei,
su Il linguaggio della divulgazione, Roma, 1983, pp. 53-54, (rif. in “Oscurità e ambiguità: enunciati
di normative” di Marina Riccucci, Manuale di Scrittura amministrativa, Roma, Agenzia delle entrate,
Ufficio della comunicazione interna, 2003, cap. I, pp. 43-56).
(31)  M. Ainis, La legge oscura, cit., p. X.

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plificare le leggi” (32). Necessariamente discipline relative a questioni tecniche e


complesse devono essere redatte con un linguaggio appropriato; ciò che appare
“indigeribile” è il ricorso a costruzioni linguistiche contorte, che denotano scarsa
attitudine comunicativa dei redattori dei testi, nonché scarsa considerazione del
“pubblico” di riferimento, ossia i destinatari delle norme. Memorabile e di grande
efficacia risulta la rappresentazione del linguaggio ‘burocratese’ (33) data da Italo
Calvino: “regno dell’antilingua”, “ove la lingua viene uccisa”, vi è “la fuga di fronte
a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato” ed anche l’inserimento
di nuove parole è destinato a tingersi del “colore del nulla” (34).
In inglese il gergo burocratico (35) e il linguaggio pomposo vengono indicati
con la parola “gobbledygook” (gloglottare), termine onomatopeico che imita il
verso del tacchino, sinonimo di un blaterale incomprensibile (36).
Prefigurando un parallelismo tra “consumatore di prodotti” e “consumatore
di informazioni-destinatari di leggi”, taluno ritiene la legge “oscura” un “prodotto
normativo ‘difettoso’ che dovrebbe essere non solo disapplicato, ma potrebbe essere
anche fonte di responsabilità per l’inutile attività svolta…” (37). Si pone così l’in-

(32)  De l’Esprit des lois, cit.


(33)  “Il burocratese: una forma della mente”: infatti “se gli oggetti, pur essendo muti, sono eloquenti
rispetto alla persona che li ha scelti e collocati in un certo modo, analogamente le parole, pur riferendosi
in maniera esteriore a concetti noti a tutti, dicono tra le righe come pensa la persona che le pronuncia
o le scrive, e rivelano i presupposti in base ai quali, più o meno consapevolmente, sta comunicando
con noi” (A. Lucchini, a cura di, La magia della scrittura, Sperling & Kupfer, 2005, p. 94).
(34)  “Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde
alle domande un po’ balbettando, ma attento a tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza
una parola di troppo: ‘Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei
fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente
che la bottiglieria di sopra era stata scassinata’”.
Ascoltata la deposizione, il brigadiere così la trascrive:
“Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire
l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un
quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento
del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli, nell’intento di consumarlo
durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio
soprastante’”. (I. Calvino, L’antilingua, in “Il Giorno”, 3 febbraio 1965, ripubblicato in Una pietra
sopra, Einaudi, 1980, pp. 122-126).
(35)  Il termine “burocratie” deve la sua origine all’economista francese Vincent de Gournay intorno
al 1759: risulta formato da due elementi di lingue diverse, il francese ‘bureau’ (ufficio) e il greco
‘kratìa’ (potere), sul modello di ‘aristocratie’ e ‘démocratie’. In Italia si diffonde alla fine del ‘700 tra
gli economisti e si afferma nell’800 (A. Lucchini, a cura di, La magia della scrittura, cit., p. 91).
(36)  Per la lotta al “gobbledyook” è attivo sin dal 1979 un gruppo di pressione indipendente, il “plain
language compaign”. Anche a seguito delle sollecitazioni della “compaign” il Governo britannico
(guidato dalla Thatcher) intraprese negli anni ’80 una vasta politica di semplificazione, con la
completa revisione della modulistica, che portò alla eliminazione di 36.000 moduli inutili ed alla
riformulazione di altri 38.000.
(37)  V. Zeno-Zencovich, Diritto ad essere informati quale elemento del rapporto di cittadinanza, in
“Diritto dell’informazione e dell’informatica”, 2006, n. 1, p. 7.

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terrogativo circa i rimedi approntati dall’ordinamento, oltre che per il contenuto


delle norme, anche per il “modo” in cui esse sono scritte.
Partendo dal presupposto che “la norma è diretta al cittadino” e che quindi
l’ordinamento non può frapporre una “barriera di incomprensione fra sé e i cit-
tadini”, qualche autorevole commentatore si spinge ad ipotizzare finanche “una
nuova figura sintomatica del vizio di eccesso di potere: l’illegittimità per ambiguità
testuale” (38).

“Commite” e leggi finanziarie

Probabilmente tra i più fulgidi esempi di “leggi oscure” possiamo annoverare


le “leggi finanziarie” (39), che da tre decenni catalizzano per mesi l’attività autun-
nale di Governo, Parlamento, organizzazioni, lobbies, mass-media, per sfociare
nel rituale di fine anno che, per numero di commi di cui si compongono, ha
acquisito via via i contorni di un “mostro con centinaia di teste” (40).
Una situazione davvero paradossale, se si pensa che la numerazione dei com-
mi, progettata come rimedio per migliorare la comprensibilità delle norme,
ha finito per essere utilizzata in modo “abnorme” (41).

(38)  A. Fioritto, La semplificazione del linguaggio amministrativo, cit., p. 67.


(39)  L’introduzione della ‘legge finanziaria’ (recante “disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale” di riferimento) è da ascrivere alla riforma della struttura della decisione di
bilancio, sancita dalla legge dello Stato n. 468 del 5 agosto 1978.
Presso la Commissione bilancio del Senato pare in dirittura d’arrivo una nuova riforma (presentata
dal Governo) per la semplificazione della “manovra”. Il progetto di legge prevede l’abolizione della
‘finanziaria’, così come è stata finora concepita, e la sua sostituzione con una più agile “legge di
stabilità”, accompagnata non più dalla “Relazione previsionale e programmatica”, ma da una semplice
nota tecnico-illustrativa. In questa prospettiva le cosiddette “norme di sviluppo”, cui è attribuita
la responsabilità della lievitazione mostruosa dei testi e la frammentazione in centinaia di commi,
sarebbero inserite in separati “collegati”.
(40)  Se nei primi anni del terzo millennio aveva destato stupore (ormai non più scandalo, dato il
veloce grado di assuefazione che aveva caratterizzato i lavori parlamentari) la ‘finanziaria 2004’ – la
n. 350 del 24 dicembre 2003 – che aveva sventagliato circa 500 commi in quattro articoli, l’anno
successivo si perviene a 572 commi, seguiti da un modesto incremento con la ‘finanziaria 2006’
(legge n. 266 del 23 dicembre 2005), formata da un articolo e 612 commi.
L’esito elettorale non proprio bipolare uscito dalla competizione politica della primavera 2006,
dopo aver prodotto un’esplosione di ministri e sottosegretari (in totale 102) porta in regalo, come
panettone di fine anno, la ‘finanziaria 2007’ (legge n. 296 del 27 dicembre 2006) composta, a mo’
di bomba a frammentazione, di un articolo e ben 1.364 commi. L’anno successivo la ‘finanziaria
2008’ (legge n. 244 del 24 dicembre 2007) risulta composta da tre articoli, ognuno però composto
all’incirca di 400 commi.
La più che solida maggioranza parlamentare uscita dalle urne nella primavera 2008, unita
all’anticipazione (e suddivisione) estiva della manovra economica, partoriscono la legge finanziaria
2009 (legge n. 203 del 22 dicembre 2008) contenuti in soli 4 articoli, per un totale di 70 commi.
(41)  L’idea di numerare i commi per garantire una migliore leggibilità e comprensibilità del testo
risulta presentata per la prima volta in Italia dalla Commissione di studio presieduta da Barettoni-

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100 ATTI DIBATTITI INTERVENTI LA FINANZA LOCALE 11-12/2009

Federalismo fiscale per sbaglio

L’assenza di una virgola in una norma (art. 1, legge n. 549 del 1995) ha in-
consapevolmente anticipato il futuro “federalismo fiscale” e determinato uno
spazio considerevole di intervento degli enti locali in termini di autonomia
impositiva.
Secondo la predetta legge i comuni avrebbero potuto “deliberare agevolazioni
sui tributi di loro competenza, fino alla totale esenzione per gli esercizi commerciali
e artigianali situati in zone precluse al traffico a causa dello svolgimento di lavori
per la realizzazione di opere pubbliche che si protraggono per oltre sei mesi” (42).
La presenza di una seconda virgola dopo la parola ‘esenzione’ avrebbe limitato
la portata della norma ai soli esercizi commerciali e artigianali. Grazie all’assenza
della virgola i comuni ebbero campo libero nel decidere i margini di applicazione
dei tributi, fuorché la loro soppressione (consentita unicamente per gli esercizi
commerciali e artigianali).

Federalismo fiscale e logorrea normativa

In un clima di speranzose attese, malcelati timori o distaccato scetticismo,


nel maggio 2009 (43) il “federalismo fiscale” ha avuto un primo sigillo parlamen-
tare, con l’affidamento della “delega al Governo… in attuazione dell’art. 119 della
Costituzione”.
Una prima lettura del lunghissimo testo (28 pagine in Gazzetta Ufficiale, 14.272
parole, 83.592 caratteri – spazi esclusi – e 235 paragrafi) suggerirebbe l’idea che
la logorrea legislativa abbia trovato il suo paradiso. Si pensi che, soltanto per in-
dicare “oggetto e finalità” (art. 2), sono state necessarie non meno di 2.394 parole:
un proclama interminabile, sintomo evidente di acuta incontinenza normativa.
E c’è dell’altro: i “principi e criteri guida” attraverso i quali il Parlamento ha in-
teso vincolare (si fa per dire) il Governo, nella emanazione dei decreti attuativi,
si dilungano per otto pagine, ben 3.861 parole, 22.409 caratteri (al netto degli
spazi) e 63 paragrafi.
Se questi sono i “principi”, è lecito interrogarsi sulla consistenza dell’alluvione

Arleri (punto 7.7 della relazione presentata al Parlamento il 17 giugno 1981), riportata in Aa.Vv.,
Fattibilità ed applicabilità delle leggi, Rimini, 1983.
(42)  M. Ainis, La legge oscura…, cit., p. 145.
(43)  Legge n. 42 del 5 maggio 2009.

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normativa che dovrebbe sommergerci nel giro di due anni, ossia i tempi previsti
per l’esercizio del potere delegato da parte del Governo.
“Una panacea”, ha esclamato con onesta baldanza qualche giureconsulto,
prevedendo il diluvio del contenzioso prossimo venturo tra i diversi livelli di
governo per l’interpretazione delle chilometriche disposizioni.

La certezza del diritto e il diritto alla certezza

L’ambiguità normativa e l’oscurità del linguaggio hanno effetti diretti sulla


“certezza del diritto”, aspetto cruciale della “cittadinanza” e rovescio della medaglia
del “diritto alla certezza”, ossia del diritto alla prevedibilità delle decisioni e alla
codificazione di comportamenti, anzitutto della pubblica amministrazione (44).
La ‘certezza del diritto’ è la condizione preliminare, il pre-requisito strumentale
all’esercizio dei diritti. Il ‘diritto alla certezza’ investe la cognizione delle norme
vigenti (quante sono, e quali sono da ritenersi abrogate o superate?).
Il problema della certezza del diritto “corrisponde al bisogno umano di fondare
la coesistenza sopra un complesso di regole stabili e non caduche, durature e non
provvisorie” e garantire la “difesa contro l’arbitrio”. Infatti “lo Stato dispotico per
prima cosa spezza la catena della certezza”. Quindi “il diritto o è certo o non è” (45)
e la norma “deve essere certa, altrimenti tradisce la sua missione” (46).
Senza la certezza, “l’azione non è garantita”, “si dissolve il mondo sociale come
unità di valori e di voleri… e rimane o una realtà di frammenti, o una realtà di
indistinzione” (47).

Congruenza fini, mezzi e risorse

È pur vero che l’atto normativo, in quanto anche messaggio politico finalizzato
al consenso, è fatto di simboli e richiami a valori, volti a suscitare emozioni e
sentimenti, evocare suggestioni, attivare passioni e stimolare mobilitazione di
interessi (o quantomeno allertare convenienze).

(44)  Per garantire “armonia reciproca tra le disposizioni” e la loro rispondenza “alle esigenze
della certezza del diritto”, la Costituzione svedese (art. 18) prevede un apposito ‘Consiglio per la
legislazione’.
(45)  N. Bobbio, La certezza del diritto è un mito?, in “Riv. internaz. fil. diritto”, 1951, pp. 150-151.
(46)  L. De Oñate, La certezza del diritto, rist. Roma, 1950, p. 177.
(47)  S. Pugliatti, Conoscenza, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 1963, IX, p. 57.

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102 ATTI DIBATTITI INTERVENTI LA FINANZA LOCALE 11-12/2009

Ma per una prima, seppur approssimativa, valutazione di un testo normativo


che fonda la propria esecuzione su risorse economiche, appare utile partire
dalla “coda”, la norma finanziaria: al di là dei proclami (contenuti nel primo
articolo, spesso sinonimo di manifesto programmatico), rappresenta la cartina
di tornasole del “tasso di effettività” attribuito alla legge.
Ulteriori elementi di valutazione possono poi derivare da una comparazione
tra finalità sbandierate, strumenti, modalità e mezzi apprestati per conseguire
gli obiettivi previsti.

Processo legislativo, legge e messaggio

Per grandi linee il processo legislativo consta di cinque fasi (48):


– formazione volontà (politica);
– formulazione linguistica del testo;
– comunicazione del messaggio;
– interpretazione;
– applicazione.
Si tratta di fasi tra esse correlate, ognuna delle quali è subordinata alla pre-
cedente.
Il percorso compreso tra la formazione della volontà (politica) e la formula-
zione del testo può essere assimilato alla fasi del concepimento, gestazione e
nascita.
Con la “nascita” del testo e la sua formulazione linguistica, la legge si presenta
come un “documento composto di parole scritte”, il cui contenuto è il ‘messaggio
legislativo’, avente ‘valore prescrittivo’ (positivo o negativo, quali i divieti).
Quanto alla fase successiva, la comunicazione, va ricordato che, per essere effi-
cace, il messaggio deve contenere una direttiva chiara, univoca, come una freccia
diretta al suo bersaglio. Il messaggio costituisce un “atto di comunicazione” e
quindi di “relazione” tra il soggetto produttore (il legislatore) ed una pluralità di
destinatari (i soggetti obbligati), suddivisi in due categorie: coloro che hanno
l’obbligo di “osservarlo” e coloro che hanno il compito di “farlo osservare”, ossia
di vigilare affinché i primi ne rispettino le prescrizioni.
Al pari di ogni “atto di comunicazione”, il flusso comunicativo tra autore del

(48)  V. Frosini, Il messaggio legislativo…, cit., p. 13.

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messaggio legislativo e suoi destinatari può essere influenzato da “fattori di


disturbo” che alterano la simbiosi comunicativa.
Tra le varie ipotesi di elementi distorsivi possiamo enumerare:
1) non idoneità del testo del messaggio a produrre conoscenza (a causa di limiti
nella redazione dello stesso od oscurità nel linguaggio utilizzato);
2) mancato o parziale ricevimento del messaggio da parte dei destinatari per
limiti dovuti alla trasmissione o sovrabbondanza di messaggi (con l’effetto, nel
secondo caso, del reciproco annullamento e della cosiddetta reciproca ‘canni-
balizzazione’);
3) mancata concretizzazione delle finalità del messaggio per mancanza di mez-
zi, strumenti e risorse (insufficiente o inidonea organizzazione amministrativa,
inadeguatezza stanziamento finanziario, avversioni palesi o sotterranee, ecc.).

Disturbi della comunicazione

Tra le cause qui accennate di disturbo del flusso comunicativo, vi è quella


della scarsa chiarezza del testo normativo, dovuta talvolta a volontari “effetti di
mascheramento”, all’uso della tecnica delle cosiddette “norme intruse”, altre volte
ad oscurità lessicali proprie del linguaggio ‘burocratese’, o all’uso di eufemismi,
volti con un largo giro di parole ad evitare parole “impronunciabili”:
1) rientrano nel primo caso i cosiddetti “titoli muti”, ossia “sprovvisti di valenza
informativa” (49), quali ad esempio “abrogazione articolo…”, oppure “modifica-
zione comma...”, ecc., nonché i “rinvii” numerici ad altre fonti normative.
2) Le cosiddette “norme intruse” vengono ‘infilate’ (di soppiatto) nel corso
dell’approvazione di testi che poco o nulla hanno a che fare con l’oggetto della
“intrusione” e sono finalizzate a conseguire “utilità” mirate e particolari, evitando
nel contempo pubblica riprovazione.
Il fenomeno non può certo ritenersi recente, dato che già nell’anno 98 a. C.
la legge “Cacilia Didia” vietava di inserire in una proposta di legge disposizioni
tra esse eterogenee (50). In alcuni ordinamenti stranieri vige l’espresso divieto di
introdurre norme estranee all’argomento in discussione (51).
3) Magistrali ‘performance’ del linguaggio burocratese sono ad esempio co-
stituite dagli “effetti letterecci” (per indicare cuscini e lenzuola delle camere

(49)  M. Ainis, La legge oscura, cit., p. 5.


(50)  V. Frosini, Il messaggio legislativo…, cit., p. 17
(51)  Costituzione greca – art. 74.

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d’albergo), le “crisi comiziali” (disturbi epilettici), i “diritti irrefragabili” (diritti il


cui esercizio prescinde da ‘atti permissivi’ dell’amministrazione, quali permessi,
autorizzazioni, ecc.).
Degna di inserimento nel “bestiario della comunicazione” risulta la micidiale
miscela di oscurantismo lessicale e burocratese confezionata da una “ministra”
in carica nella primavera del 2008 (52), la quale, magnificando i provvedimenti
adottati dal proprio Governo, esaltò quelli destinati agli “incapienti”. L’espressione
provocò probabilmente un sussulto di attenzione negli assonnati telespettatori
notturni, fino ad allora sprofondati nell’andamento soporifero della trasmissione:
una gran parte di essi, infatti, non avendo capito alcunché del provvedimento
in questione, ritenne di poter rientrare comunque tra i beneficiari, in qualità di
“non-capenti” il concetto espresso.
4) L’uso di eufemismi ricorre spesso nel diritto di famiglia; pur di esorcizzare la
parola “divorzio”, il legislatore, in preda ad un vero e proprio “terrore semantico”,
ha preferito parlare di “scioglimento del matrimonio per accertata impossibilità
di mantenere o ricostituire la comunione spirituale e materiale tra i coniugi”; nella
pur secolarizzata società del terzo millennio per la legge italiana i contraccettivi
non sono altro che i “mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte
in ordine alla procreazione responsabile”.
Ancora: le norme (statali e regionali) sulla caccia tendono a espungere que-
sta parola, comunemente usata da milioni di persone, siano essi appassionati,
che acerrimi antagonisti della pratica sportiva. Le norme disciplinano così il
“prelievo venatorio” o, ancor più maliziosamente, la “tutela della fauna selvatica
omeoterma” (53).
Infine, diversi milioni di italiani che vivono lungo le coste del nostro Paese
(ma non solo essi), sono puerilmente convinti di gustare cozze a tonnellate,
senza rendersi conto di privarsi del piacere sublime di poter dire di rimpinzarsi
di “molluschi eduli lamellibranchi”, di cui le leggi statali e regionali disciplinano
l’allevamento a tutela della pubblica igiene.
Sul fronte opposto si segnala lo zelo pedagogico della legge n. 276 del 5 maggio
1966, la quale precisava che “la parola visibile, quando applicata ai fanali, significa
visibile in una notte oscura con atmosfera chiara”. A sua volta l’Unione europea,
per non essere da meno, ha disciplinato finanche la lunghezza delle banane e dei

(52)  On. Livia Turco, nel corso di una puntata di “Porta a Porta”.
(53)  Sono definiti “omeotermi” gli animali (quali la selvaggina) la cui temperatura corporea non è
influenzata dalla temperatura esterna, a differenza della fauna “ectoterma”, quali anfibi e rettili, con
temperatura del corpo dipendente da quella esterna.

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cetrioli, nonché consentito l’utilizzo delle camicie da notte durante il giorno. A


conferma poi che tutto il mondo è paese, secondo un pignolo regolamento della
Pensylvania, gli idranti vanno controllati un’ora prima di ogni incendio; a sua
volta la municipalità di San Francisco ha espressamente vietato di utilizzare i
coriandoli una seconda volta e lo Stato dell’Oklahoma punisce gli automobilisti
responsabili di incidenti mortali che fuggono senza aver fornito le loro genera-
lità alle vittime. In Kansas, invece, nel caso in cui due treni si incrocino sullo
stesso binario, nessuno può ripartire prima che sia ripartito l’altro. Infine a
Seattle portare a spasso armi di grosso calibro è assolutamente normale, ma è
vietato nasconderne sul proprio corpo una di lunghezza superiore ad un metro
e mezzo (54).

La pubblicizzazione

L’alba della civiltà giuridica è segnata dal passaggio dalle norme orali al testo
scritto (55). L’ulteriore salto si è realizzato con la “pubblicizzazione” delle norme:
“si considera ‘pubblico’ ciò che è reso palese, accessibile, notorio, di pubblica ra-
gione, di pubblico dominio e così via” (56).
Anticamente in Cina era prassi comune occultare le leggi penali; solo a partire
dal VI sec. a.C. le leggi furono riprodotte su vasi di ferro.
A Babilonia le leggi inserite nel “Codice di Hammurabi”, primo grandioso
esempio di codificazione scritta, erano riportate su grandi pietre poste presso
le porte di ogni città, perché ognuno potesse leggerle. Presso gli Ateniesi le
leggi erano incise su cera, pietra, quercia, rame e affisse a colonne esposte alla
pubblica vista.
Nell’antica Roma, prima di procedere all’approvazione di una legge,

(54)  Gli esempi sono tratti da M. Ainis, La legge oscura, cit., pp. 11-17-61.
(55)  Per scrittura “si intende un insieme di segni riportati con qualsiasi mezzo tecnico (incisioni,
rilievi, colori, impressi con scalpello, stilo, penna o matita o a macchina) su un supporto (sia esso
costituito, come storicamente si è verificato in successione di tempo, da tavolette di argilla, legno, lastre
di pietra, bronzo, cuoio, papiro, pergamena e infine – ma solo infine si badi! – dalla carta) in modo
tale da poter essere letti anche a distanza di tempo…, favorendo così la riflessione (quando si scrive si
riflette molto di più di quando si parla) e consentendo la documentazione” (R. Borruso, Computer e
diritto, cit., I, pp. 41-42).
A proposito poi del trasferimento del testo scritto, secondo Vittorio Frosini, prima dell’uso del
computer, “occorreva trasferire anche il supporto su cui lo scritto era impresso”; con il computer,
invece, “lo scritto ‘può viaggiare’ automaticamente da un supporto all’altro, fermi rimanendo questi
ultimi come per effetto di un processo di ‘smaterializzazione’ prima e di ‘rigenerazione’ poi” (R. Borruso,
Computer e diritto, ibid., I, p. 103 - nota 6).
(56)  S. Pugliatti, La trascrizione. La pubblicità in generale, I, tomo I, in Trattato di diritto civile e
commerciale, cit.

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si ricorreva talvolta all’“elogium legis” (57); una volta approvata, essa ve-
niva promulgata ( 58) e, quindi, mostrata per tre giorni consecutivi di
mercato (59).
Durante il Medioevo la pubblicizzazione delle norme era assicurata da bandi
e ‘gride’ (60), resi noti attraverso pubblici banditori (antesignani dei moderni
mass-media).
Negli anni successivi alla Rivoluzione francese l’efficacia delle leggi fu subor-
dinata, oltre che alla pubblicazione sul “Bullettin des lois” di cui si dirà più in-
nanzi, alla lettura pubblica “à son de trompe ou de tambour”, ossia con “modalità

(57)  Nel Senato romano prima della approvazione di una legge, nel caso in cui fossero stati rilevati
dubbi e contrarietà al suo varo, il relatore interveniva nuovamente per perorarne in modo accorato
le ragioni e sostenerne la necessità. Tale “elogium” mirava a convincere i dubbiosi e i contrari, al
fine di ottenerne il consenso. Non vi si ricorreva, invece, nel caso in cui sulla legge vi fosse già un
consenso unanime (fonte: dott. Ivano Pontoriero, dottore di ricerca in Diritto Romano presso la
facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, che si ringrazia per le notizie).
L’istituto dell’“elogium legis” viene fatto risalire a metà dell’epoca repubblicana (509-27 a.C.) ed in
particolare ai tempi di Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.). Ma la prassi continuò anche nel periodo imperiale,
compreso tra il 27 a.C. (primo anno del principato di Ottaviano, cui venne conferito dal Senato il
titolo di Augusto), il 395 d.C. (morte di Teodosio I e suddivisione in Impero Romano d’Occidente
e Impero Romano d’Oriente) e 476 d.C. (deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore
d’occidente, ad opera di Odoacre).
Com’è noto, l’Impero Romano d’Oriente sopravvisse per un altro millennio, allorquando (1453)
Costantinopoli cadde e fu distrutta dagli Ottomani.
(58)  In età repubblicana (509-27 a.C.) il potere di promulgazione spettava al Senato. Nel periodo
imperiale, compreso tra il 27 a.C., il 395 d.C. e 476 d.C. la promulgazione divenne atto monocratico,
emanato nella forma del decreto dell’Imperatore. Nel nostro ordinamento l’atto di promulgazione
è stato sussunto nella forma del decreto del Presidente della Repubblica.
(59)  Probabilmente trae origine da questa prassi la disposizione del Testo unico della legge comunale
e provinciale del 1915 e 1934, che prevedeva la pubblicazione all’albo pretorio nei giorni di festività
e mercato delle delibere di Giunta e Consiglio.
(60)  Grida: “bando, così detto dal gridare che faceva il banditore pubblicandolo” (G. Rezasco, Dizionario
del linguaggio italiano storico ed amministrativo, Le Monnier, 1881, rist. anast. Forni ed., 1966, p.
500).
Il termine deriva quindi dall’antica consuetudine di rendere noti i provvedimenti dell’autorità pubblica
attraverso pubblici banditori. “Solo nel ducato di Milano il termine assunse un significato più tecnico,
riferito a leggi e ordinanze di polizia, che è poi il significato manzoniano” (prof. Gianfranco Liberati,
docente di Storia del diritto, Università di Bari, dip. Istituzioni, Amministrazione e Libertà, che
si ringrazia anche per le indicazioni bibliografiche – G. Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano
storico ed amministrativo, e A. Pertile, Storia del diritto italiano – dalla caduta dell’Impero romano
alla codificazione, cit.).
I provvedimenti erano “gridati” in luoghi pubblici, in modo da favorirne la conoscenza da parte
della popolazione, all’epoca per lo più analfabeta: si consideri ad esempio che, in occasione del
“Censimento generale” della popolazione del 31 dicembre 1861, svolto poco dopo la proclamazione
del Regno d’Italia – 17 marzo 1861 – gli analfabeti costituivano il 78% del totale della popolazione,
con valori pari all’84% per le femmine e al 72% per i maschi (con punte del 90-91% nel Mezzogiorno,
ove l’analfabetismo femminile toccava la vetta del 95%). A livello nazionale, su una popolazione
complessiva di 22.176.477 abitanti, sapevano leggere e scrivere solo 3.884.245 persone, mentre la
quota degli analfabeti sfiorava i 17 milioni (per l’esattezza 16.999.701) – Fonte: nostre elaborazioni
su dati Istat.

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divulgative capillari che richiedevano la scrupolosa collaborazione delle autorità


periferiche” (61).
In Inghilterra, invece, alla fine del ‘700 le leggi erano trascritte su pergamena
e inviate allo sceriffo di ogni Contea per essere “proclamate”.
Nella repubblica partenopea (1799) il problema della conoscenza del messaggio
legislativo fu affrontato con la stampa dei “catechismi rivoluzionari”, l’insegna-
mento dell’educazione civica nelle scuole e finanche con rappresentazioni del
teatro delle marionette (62). Nell’esperienza tedesca dell’800 e ‘900 il rapporto tra
norme, pubblicazione, efficacia e conoscenza ha risentito profondamente delle
drammatiche vicende storico-politiche di quel Paese.
Intanto va dato atto degli influssi illuministi nella prima codificazione del 1794 (63)
che “subordinava l’entrata in vigore degli atti normativi alla effettuazione di appro-
priate operazioni divulgative” (64).
Secondo la Costituzione prussiana, al Capo dello Stato, titolare del supremo
potere statale (65), spettava (attraverso la ‘sanzione’) elevare la proposta del Par-
lamento al rango di legge, che diveniva però tale solo con la pubblicazione; in
assenza di questa la sanzione era revocata e la legge eliminata. Con la Costituzio-
ne di Weimar del 1919 l’ordine di pubblicazione fu attribuito al Parlamento e in
dottrina si confrontavano due concezioni della pubblicazione: l’una, attributiva
di un potere divulgativo, l’altra di carattere certificativo. Si contrapponevano così
il principio della pubblicazione materiale (con spiccata valenza divulgativa) e
quello della pubblicazione formale (con valore certificativo).
Nella prima ipotesi i singoli si sarebbero limitati ad un atteggiamento pura-
mente ricettivo; la pubblicazione formale prefigurava i mezzi di cognizione, la
cui valenza divulgativa sarebbe stata “subordinata al compimento… di atti positivi
di natura comunicativa”, da parte degli interessati (66).
Successivamente con l’ascesa al potere del nazismo e la scomparsa della divisio-
ne dei poteri si giunse ad ammettere i decreti segreti, ossia l’efficacia vincolante
dei decreti del Fuhrer indipendentemente dalla pubblicazione.
In ogni caso va dato atto che “l’idea che l’efficacia degli atti normativi andasse
subordinata al compimento di attività… pubblicitarie”, anche se non era nuova,
può farsi risalire “all’istituzione del primo periodico ufficiale: il ‘bullettin des lois

(61)  A. D’Atena, La pubblicazione delle fonti normative, Cedam, 1974, p. 78.


(62)  V. Frosini, Il messaggio legislativo…, cit., p. 42.
(63)  Par. 10 e 11 dell’Einleitung all’Allgmeines Landrecht für die Königlich-Preußischen Staaten, in “La
pubblicazione delle fonti normative” – sezione seconda – l’esperienza tedesca, nota 20, p. 96, cit.
(64)  A. D’Atena, La pubblicazione delle fonti normative, cit., p. 196.
(65)  Staatsgewalt.
(66)  A. D’Atena, op, cit., p. 113.

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de la Republique’, avvenuta in Francia nel corso della Rivoluzione Francese” del


1789.
“… Soltanto con l’istituzione del ‘bullettin des lois’, infatti, si introdusse un nesso
di necessaria dipendenza tra l’acquisto di efficacia degli atti-fonte e la loro conse-
gna in mezzi documentali, suscettibili di assicurare, tanto la tempestiva, generale
divulgazione, quanto la durevole ostensibilità”.
“… L’idea garantista, sottostante all’istituto, era quella che nessuno potesse essere
vincolato da norme giuridiche che non aveva avuto la possibilità di conoscere. La
conoscenza del diritto assunse quindi il significato di uno degli interessi fonda-
mentali dello Stato” e “al compimento di attività volta a produrla si subordinò”
l’efficacia degli atti normativi.
Va peraltro aggiunto che nella concezione del tempo era implicito ritenere che
“tra le norme giuridiche e le loro formulazioni letterali vi fosse piena coincidenza
e che, quindi, alla divulgazione delle seconde dovesse necessariamente conseguire
la diffusione della conoscenza delle prime” (67).
In Italia il codice albertino del 1848 aveva subordinato l’entrata in vigore di
leggi e regolamenti all’affissione in ogni comune. La successiva riforma del 1854,
pur mantenendo l’istituto della pubblicazione nei comuni, ancorò l’entrata in
vigore al decorso dei termini di vacatio. Stessa impostazione fu poi mantenuta
con il codice civile del 1865 e con il regolamento del 1909 (e successivamente
con il codice civile del 1942). Le affissioni comunali furono poi soppresse con
il r.d. 6 luglio 1922, n. 1040.
Venendo ai nostri giorni, va rilevato che le città contemporanee, anziché un
unico centro di aggregazione, hanno un sistema policentrico, per il quale un
sistema “a rete”, quale la divulgazione telematica, può rappresentare una risposta
efficace al bisogno di “produrre conoscenza”.

Altre forme di pubblicità

Mentre nel caso della comunicazione o della notifica l’autore del messaggio si
attiva per farlo pervenire effettivamente nella disponibilità del destinatario, nel
caso della pubblicazione “l’autore si limita a porre l’oggetto in una situazione tale
che i destinatari possano, attivandosi, acquisirne la conoscenza”(68).
Rispetto alle altre misure di conoscenza (es. comunicazione, notifica), la pub-

(67)  A. D’Atena, La pubblicazione delle fonti normative, ibid. pp. 65-72.


(68)  V. Ottaviano, La comunicazione degli atti amministrativi, Giuffrè, 1953, p. 248.

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blicazione ha un carattere statico, si rivolge a destinatari indeterminati e vuole


creare una “situazione oggettiva di conoscibilità”.

Le funzioni della pubblicazione

La pubblicazione (69) della norma (Gazzetta Ufficiale della Repubblica o Bol-


lettino Ufficiale della Regione) ha una plurima funzione:
– notorietà (renderne nota l’esistenza ai suoi destinatari, diffonderne il con-
tenuto);
– certezza (che il testo pubblicato corrisponde a quello varato dall’organo
legislativo, attestando così il contenuto dell’attività pubblica);
– efficacia (decorrenza termini per produrne l’entrata in vigore, immediata o
differita dopo la vacatio legis).
La pubblicazione degli atti normativi consiste quindi “in un complesso di at-
tività che permettono di fissare il testo dell’atto da pubblicare, ponendolo in vario
modo a disposizione dei cittadini ed attribuendo ad esso quel certo carattere di
autenticità che è destinato ad assumere” (70).
La pubblicità “esprime l’idea di una attività tendente a ‘diffondere qualcosa’.
Ovviamente ciò che si mira a diffondere è la ‘conoscenza’: quindi può dirsi be-
nissimo che l’attività pubblicitaria si esplica al fine di produrre una conoscenza
(diffusa, in modo tale che possa qualificarsi) pubblica. Variando di poco quest’ul-
tima formula, si dirà ancora che quella attività tende a produrre una conoscenza
del pubblico” (71).
In senso giuridico le “attività pubblicitarie” rispondono “all’esigenza di divul-
gare gli atti… in modo da rendere in varia misura probabile, e comunque almeno
possibile, la loro conoscenza da parte degli interessati; in ciò consiste la causa di
esse e quindi anche della pubblicazione degli atti normativi” (72).
La pubblicazione “induce una situazione di onere” da parte del destinatario.
Dalla conoscenza di quanto viene pubblicato gli deriva “il vantaggio di poter evitare
conseguenze dannose che potrebbero riverberarsi sulla sua situazione giuridica” o
di “poter cogliere opportunità di operarne l’arricchimento” (73).

(69)  La pubblicazione attiene alla fase cosiddetta “integrativa di efficacia” di un atto.


(70)  A. Pizzorusso, La pubblicazione degli atti normativi, cit., p. 41.
(71)  S. Pugliatti, La trascrizione. La pubblicità in generale, I, cit.
(72)  A. Pizzorusso, La pubblicazione degli atti normativi, cit, p. 53.
(73)  A. Meloncelli, Pubblicazione, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 1962, XXXVII, p. 928.

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è però da escludere che “si possa parlare di obbligo del destinatario di informarsi
di quanto sia pubblicato” (74).
Più che al comune cittadino, però, Gazzetta Ufficiale della Repubblica e Bollet-
tino Ufficiale della Regione paiono destinati per lo più ad operatori (a sostegno
di una siffatta ipotesi può essere utile rammentare ad esempio che sia nell’Im-
pero prussiano che in quello cinese la raccolta delle leggi era inviata a tutti gli
interpreti, gli esecutori delle leggi, nonché – in Cina – ai mandarini).
“Effetto (e fine) dell’impiego” degli strumenti pubblicitari comunemente utiliz-
zati è “la realizzazione non già della conoscenza del diritto, ma di una presunzione
di conoscenza, se non, addirittura, di una finzione” (75).
Dall’originario ruolo assegnato alla “conoscenza”, si è giunti nel corso del tempo
a sistemi che, più o meno apertamente, prescindono da essa: l’antico legame
efficacia-conoscenza sopravvive nella forma della “presunzione”.
In proposito si sostiene quindi che “i teorici del diritto hanno fatto ricorso alla
formula… della conoscibilità, invece che della conoscenza effettiva della legge…
senza che questo artificioso espediente riesca però a risolvere la questione di fondo”:
come produrre (un ragionevole grado di) conoscenza effettiva (76).
Non da oggi si ammette infatti che “in pratica la divulgazione delle leggi è…
un pio desiderio, o una menzogna convenzionale”… e “non si comprende come al
cittadino possano essere inflitte sanzioni… se lo Stato… non muove un dito per
divulgare la legge stessa” (77).
Va ricordato che le pubbliche letture, comprese quelle “à son de trompe ou de
tambour” tendevano a promuovere un certo grado di conoscenza anche tra gli
illetterati.

Dalla conoscibilità alla conoscenza

Approvata la (ennesima) legge e ripetuta in coda ad essa la rituale litania che


“è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare”, quali strumenti,
iniziative, attività reali si apprestano oggi per promuoverne la conoscenza, farla
metabolizzare e “vivere” nella consapevolezza dei soggetti a cui essa è rivolta?
Certo oggi sorrideremmo, ad esempio, se fosse riproposta l’idea di divulgare

(74)  A. Meloncelli, ibid.


(75)  A. D’Atena, La pubblicazione delle fonti normative, cit., p. 20.
(76)  V. Frosini, Il messaggio legislativo, cit., p. 46.
(77)  M. La Torre, La divulgazione delle leggi, cit., p. 589.

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le leggi tramite manifesti murali, in modo che “moltissimi cittadini… si ferme-


rebbero a leggere, imparerebbero ed… ubbidirebbero” (78).
La “possibilità di (procurarsi la) conoscenza” si realizza “mediante un’inizia-
tiva e un’attività legittimata dall’esistenza di un diritto soggettivo (del cittadino)
a cui corrisponde un obbligo da parte dell’organo o soggetto preposto al pubblico
servizio” (79).
D’altronde l’intasamento del circuito delle pubblicazioni in Gazzetta Ufficiale e
sui Bollettini Ufficiali e il sovraccarico (“overload”) di informazioni oltre la soglia
di comune “percepibilità” dei messaggi accentuano la scarsa conoscenza delle
norme, che non si rivelano idonee a modellare i comportamenti sociali.
Intanto va sottolineato che la conoscenza del diritto consta di una doppia
attività:
– diffusione del testo e, soprattutto, del messaggio legislativo (da parte degli
organi istituzionali);
– sforzo di informarsi (da parte del cittadino).
Quanto alla prima attività, la diffusione del testo letterale è ora facilitata dall’uso
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Rimane invece aperto il problema della illustrazione “di servizio” dei contenuti
reali di una legge, degli effetti (immediati e non, diretti e collaterali) delle nor-
me approvate (magari a fine dicembre, per entrare in vigore il primo gennaio
successivo), dell’impatto (adempimenti, oneri, tempo, ecc.) provocato sulla vita
quotidiana di cittadini, imprese, associazioni, ecc. (in Francia, per es., è stato
istituito un servizio di consulenza giuridica per i cittadini) (80).
Andare oltre la “conoscibilità” (astratta e teorica) presuppone l’avvio di attività
volte a produrre “conoscenza” sostanziale (‘divulgazione secondaria’), fornendo
tra l’altro “filtri selettivi” per la “decodifica” del messaggio legislativo, con prime
sommarie informazioni e successivi approfondimenti suddivisi per categorie di
destinatari, canali di trasmissione e linguaggi adeguati.
Altro che la risibile (e, purtroppo, assai frequente) enfasi con cui sono infarciti
tanti trionfalistici resoconti che (in puro stile Min.Cul.Pop. o Corea del Nord,
ognuno opti per la latitudine propagandistica preferita) si limitano ad esaltare la
“grande soddisfazione espressa” da presidenti, assessori o consiglieri in occasione
dell’approvazione di leggi e norme varie!
Che dire poi del frequente equivoco lessicale tra proposta, disegno di legge e

(78)  M. La Torre, La divulgazione delle leggi, ibid., p. 588.


(79)  S. Pugliatti, Conoscenza, in Enciclopedia del diritto, IX, Giuffrè, 1961, p. 129.
(80)  Legge n. 647 del 1991 – “Aide à l’accès au droit et à la consultation”.

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legge, con disinvolta miscelazione di differenti concetti giuridici, quali iniziativa


legislativa, norma adottata e testo vigente (o della distanza siderale tra l’imme-
diata eseguibilità degli atti amministrativi e l’urgenza accordata per l’entrata in
vigore di una legge, senza termini ordinari di vacatio)?

L’attività legislativa delle regioni

Nel contesto del “modello istituzionale policentrico” delineato dalla Costituzio-


ne, il “potere legislativo” (potestà) conferito alle regioni (art. 117) costituisce un
potere tipico della “sovranità” originaria dello Stato.
Il ruolo costituzionale delle regioni affonda infatti la propria peculiarità nella
potestà legislativa, ossia la titolarità a varare norme di rango primario.
La potestà legislativa (nelle diverse ipotesi di legislazione esclusiva e concor-
rente) costituisce l’architrave delle funzioni regionali e differenzia le regioni dal
complesso del sistema delle autonomie.
Nelle regioni la riforma del Titolo V della Costituzione ha sì dato avvio alla
modifica della forma di governo (rapporto tra gli organi, quali presidente, re-
gione, giunta e consiglio), ma ha mantenuto inalterata la titolarità esclusiva del
consiglio in merito alla potestà legislativa, esplicata entro il perimetro consiliare
(Aula e commissioni permanenti).
Il potere di iniziativa legislativa spettante alla giunta (peraltro condiviso con
consiglieri regionali, enti locali associati e numero qualificato di elettori) rappre-
senta un mero potere di impulso per l’avvio del procedimento legislativo (vero
è però che una parte rilevante delle leggi varate dal consiglio porta l’impronta
originaria dell’esecutivo).
Alla giunta spetta il residuo (ma non residuale in termini di ampiezza) potere
attuativo, comprensivo della “nuova” titolarità (come si è accennato in apertura) a
varare norme di carattere regolamentare, previo “passaggio” (del testo adottato in
prima lettura) nella commissione consiliare, competente ad esprimere un parere
nei successivi 30 giorni (dopodiché il regolamento è approvato dall’esecutivo in
via definitiva e pubblicato sul Bollettino Ufficiale).
L’atto di promulgazione (e la successiva pubblicazione sul Bollettino Ufficiale),
attribuito al presidente della regione, si connota come un segmento procedi-
mentale “a contenuto vincolato”, volto esclusivamente alla verifica formale della
regolarità del procedimento, ma privo del potere di entrare nel merito delle norme

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varate (manca infatti ogni potere di sindacabilità in qualche modo riconducibile


o assimilabile a quello attribuito al Presidente della Repubblica).

La divulgazione legislativa

Corollario della potestà legislativa esclusiva del consiglio appare la non trascu-
rabile funzione della “divulgazione legislativa”, cosiddetta ‘divulgazione seconda-
ria’, funzione strumentale, correlata all’attività dell’Assemblea regionale, volta a
perseguire l’obiettivo della “conoscibilità” sostanziale delle leggi; si differenzia
dalla semplice “informazione” (che privilegia la notizia-spot), in quanto richiede
una complessa attività di “decodificazione” del messaggio normativo (e quindi
di “decifrazione” del contenuto della norma).
Una ‘connessione virtuosa’ tra comunicazione pubblica e scienze giuridiche,
un mix di competenze volto a rendere chiari precetti legislativi assai spesso
sinonimi di oscurantismo lessicale e tecnicismo per addetti ai lavori.
Alla comunicazione legislativa è affidato l’impegnativo compito di tradurre
le forme giuridiche in concetti chiari (non superficialmente semplici) rivolti ai
destinatari delle norme, i “cittadini regionali” (singoli, associati, organizzati per
categorie, professioni, interessi, passioni, ecc.).
Una prateria sterminata, finora sostanzialmente inesplorata, ma banco di prova
per un consiglio regionale costituzionalmente autonomo nell’esercizio della sua
esclusiva potestà legislativa, ma “immerso” nella comunità rappresentata e nel
territorio di riferimento.
Comunità regionale come fonte di legittimazione del consiglio, ma anche ti-
tolare del diritto alla certezza delle norme; attività legislativa del consiglio non
sinonimo di “stratificazione geologica” di norme sovrapposte e non conosciute,
ma circuito di produzione, se non di certezza, almeno di (più ampia) conoscenza
del dritto e motore di consapevolezza condivisa sulla convenienza al rispetto
delle norme, in funzione dei benefici comuni.

Appendice

Nel complesso delle norme (81) varate nel giugno 2009 dal Parlamento nazionale

(81)  Legge statale n. 69 del 18 giugno 2009, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività, nonché in materia di processo civile”, (G.U., s.o. n. 95 del 19 giugno 2009).

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per la semplificazione, la competitività e lo sviluppo sono contenute alcune


disposizioni volte, nelle intenzioni del legislatore, ad invertire la rotta in materia
di qualità della normazione e divulgazione normativa. In questo contesto
alcune disposizioni affrontano alcune delle criticità qui tratteggiate:
– chiarezza dei testi normativi;
– semplificazione della legislazione;
– pubblicazione telematica di atti e provvedimenti amministrativi.
Le norme in oggetto intervengono inoltre a modificare nuovamente in modo
significativo la legge 241/1990 sul procedimento e l’accesso.
Più in dettaglio l’obiettivo annunciato relativo alla chiarezza normativa ruota
intorno a:
a) obbligo per il legislatore di indicazione espressa delle norme che si intedono
sostituire, modificare o abrogare;
b) divieto dei cosiddetti “rinvii muti”, ma specificazione della “materia alla
quale le disposizioni fanno riferimento o il principio… che esse intendono
richiamare”.
Al fine di rafforzarne la valenza, alle suddette disposizioni viene conferito il
rango di “principi generali per la produzione normativa”.
Per codici e testi unici si prevede poi un aggiornamento periodico, e comunque
“almeno ogni sette anni”.
Altro obiettivo annunciato è quello della “semplificazione della legislazione”.
È prevista la individuazione delle “disposizioni legislative statali, pubblicate
anteriormente al 1° gennaio 1970” (anche se successivamente modificate) “delle
quali si ritiene indispensabile la permanenza in vigore”.
Vengono quindi specificate le norme destinate in ogni caso a rimanere in vi-
gore: codice civile, penale, procedura civile e penale, navigazione, disposizioni
preliminari e d’attuazione, testi unici, ordinamento di organi costituzionali
e con rilevanza costituzionale, magistrature, avvocatura dello Stato e riparto
giurisdizione, disposizioni tributarie e di bilancio, adempimenti alla normativa
comunitaria, ratifica ed esecuzione trattati internazionali.
Nei tempi previsti da un analitico crono-programma le altre disposizioni
saranno abrogate.
Sono anche escluse dalla permanenza in vigore le disposizioni oggetto di
abrogazione tacita o implicita, nonché “le disposizioni che abbiano esaurito la
loro funzione, siano prive di effettivo contenuto normativo o siano comunque
obsolete”.

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LA FINANZA LOCALE 11-12/2009 ATTI DIBATTITI INTERVENTI 115

Altra innovazione significativa introdotta riguarda la pubblicazione di atti e


provvedimenti.
“A far data dal 1° gennaio 2010 gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedi-
menti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la
pubblicazione”.
Come già accennato, la pubblicazione telematica può costituire un ausilio
importante ad una migliore conoscibilità degli atti.
Il complesso delle innovazioni introdotte (più propriamente annunciate) ap-
pare costituire una significativa presa d’atto, da parte del legislatore, della non
ulteriore percorribilità dei vecchi sentieri della sovrapposizione e stratificazione
caotica della normativa, così esiziale per l’effettività delle norme.
Siamo, ovviamente, solo alla fase preliminare ed alle battute d’avvio di quella
che si annuncia come una fase nuova.
Saranno i successivi atti, a cominciare dal rispetto dell’analitico crono-
programma minuziosamente dettagliato, a dare il senso e lo spessore reale a
quella che si annuncia come intenzione di voler operare un’autentica rivoluzione
copernicana.
Non si può però non rilevare che, a fronte delle buone intenzioni, già il prin-
cipio della tanta agognata “chiarezza degli atti normativi” pare vistosamente
vacillare.
Nel testo in cui si articola, infatti, la legge 69/2009 abbonda di oscuri richiami
a leggi e norme non specificate, prive di una limpida e chiara specificazione
dell’oggetto cui le disposizioni fanno riferimento.
E così la “chiarezza normativa”, così tanto evocata, rischia di restare un’Araba
fenice.

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