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Francesco Verde

REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS.


IL TEMPO IN EPICURO∗

Il concetto di tempo nelle filosofie ellenistiche non è stato og-


getto di particolare attenzione da parte degli interpreti, sebbene il
campo degli studi possa vantare la presenza – in numero piuttosto
limitato, però – di monografie e contributi importanti in merito.
Gli interessi degli studiosi, anche di recente, si sono dedicati mag-
giormente all’analisi dei caratteri e delle proprietà del tempo nei si-
stemi filosofici di Platone e, soprattutto, di Aristotele. Per questi
motivi, ferma restando l’importanza decisiva di questa nozione nelle
filosofie ellenistiche, lo scopo di questo saggio è l’esame dettagliato
del ruolo che il concetto di tempo ha avuto in Epicuro e nella tradi-
zione epicurea. Descrivere con esattezza i caratteri del tempo nel si-
stema di Epicuro di certo non è impresa facile per almeno due ordini
di motivi: per un verso, la scarsità delle fonti, per un altro, la com-
plessità della lettera di alcuni testi. L’esame delle proprietà del tem-
po epicureo, inoltre, può essere condotto, a mio parere, da almeno
due “prospettive”, che, se da un lato mantengono la loro debita di-


Questo contributo è la rielaborazione di una parte di uno studio più ampio dedi-
cato al tempo nel pensiero antico, risultato vincitore del “Premio Antonello Frajese
2007” conferito il 22 novembre 2007 dalla Facoltà di Filosofia (“Sapienza” – Università
di Roma). Al Prof. E. Spinelli va il mio più vivo ringraziamento per le indispensabili
indicazioni di cui ho tenuto conto nell’elaborazione di questo saggio. Ringrazio, inoltre, i
Proff. M. Erler, P.-M. Morel e il Dr. J. Warren per aver letto una prima stesura di questo
contributo e avermi fornito utili suggerimenti.

ELENCHOS
XXIX (2008) fasc. 1
BIBLIOPOLIS
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versità, dall’altro sono intrinsecamente connesse. La prima, per ri-


prendere un’espressione lucreziana, riguarda il sensus del tempo e la
percezione che ne abbiamo; la seconda prospettiva, invece, la sua “co-
stituzione”, ossia, la struttura fisica che, ovviamente, influisce sul
nostro modo di percepire lo svolgersi del tempo, condizionandolo
inevitabilmente. In questa sede intendo occuparmi della prima1, ri-
chiamando l’attenzione sui paragrafi 72-3 dell’Epistola a Erodoto, sul-
la sezione che Lucrezio dedica alla questione del tempo nel I libro del
De rerum natura (vv. 443-82) e considerando solo parzialmente il
PHerc. 1413, che contiene una trattazione epicurea del problema del
tempo sotto forma di dialogo, il che, dato lo stato frammentario del
papiro, contribuisce a rendere ancora più difficile la comprensione e
l’attribuzione delle differenti posizioni teoriche che si susseguono.
Un recente articolo di J. Warren 2 richiama finalmente l’atten-
zione sulla prima prospettiva, una questione a tratti ambigua3 e di
non facile soluzione, soprattutto, come si ripete, per la scarsità delle
fonti e delle testimonianze antiche. Il concetto di tempo in Epicuro4

1
Conto, tuttavia, di tornare sulla struttura fisica del tempo epicureo in un prossimo
contributo.
2
J. WARREN, Epicureans and the Present Past, «Phronesis», LI (2006) pp. 362-87.
3
Cfr. in proposito P.-M. MOREL, Les ambiguïtés de la conception épicurienne du temps,
«Revue philosophique de la France et de l’Étranger», CXCII (2002) pp. 195-211. Questo
interessante e perspicuo contributo rileva le ambiguità della nozione epicurea di tempo. Le
tre maggiori difficoltà individuate da Morel riguardano: (1) il carattere “oggettivo”/esterno
o “soggettivo”/intimo del tempo; (2) la conoscenza sensibile e/o razionale del tempo; (3)
l’unità del tempo, il cui carattere problematico dipende dalle sue differenti modalità di
comprensione, sensibile e razionale. Morel, chiarendo che sarebbe illusorio avere la prete-
sa di risolvere integralmente la questione, ritiene che tali difficoltà possano trovare una
risoluzione plausibile grazie alla teoria linguistica epicurea e sulla base della natura ac-
cidentale e secondaria del tempo legato agli eventi interni o esterni. In proposito D.
KONSTAN, Lucrezio e la psicologia epicurea, Milano 2007, p. 164 nota 18, usa l’espressione
“senso del tempo” in quanto crede che gli Epicurei fossero interessati alla percezione sog-
gettiva del tempo.
4
Per un primo orientamento cfr. A. LEVI, Il concetto di tempo nelle filosofie d’età elleni-
stica, «Rivista critica di storia della filosofia», VI (1951) pp. 209-16; A. BARIGAZZI, Il
concetto di tempo nella fisica atomistica, in Epicurea in memoriam Hectoris Bignone, Genova
1959, pp. 29-59; P.E. ARIOTTI, The Concept of Time in Later Antiquity, «International
Philosophical Quarterly», XII (1972) pp. 526-52; R. CANTARELLA-G. ARRIGHETTI, Il
libro ‘Sul tempo’ (PHerc 1413) dell’opera di Epicuro ‘Sulla natura’, «Cronache Ercolanesi», II
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risulta decisivo non solo per la corretta comprensione della fusiolog/iva


epicurea ma anche per definire meglio la posizione di Epicuro nei con-
fronti degli altri filosofi o scuole filosofiche che si sono occupati del
tempo, in primo luogo Platone, Aristotele e gli Stoici. Rispetto al V
e al IV secolo a.C. l’ellenismo è un’epoca in cui i dibattiti filosofici fra
le diverse scuole divengono centrali e quasi decisivi per la corretta
comprensione delle dottrine interne di una singola scuola e del loro
sviluppo teorico5.
Come spesso accade a chi si occupi di esaminare la filosofia di
Epicuro, le fonti per la ricostruzione della nozione di tempo non so-
no né molte né sempre di facile comprensione. Inserendosi nella
lunga tradizione filosofica per cui il tempo appartiene de iure alla

(1972) pp. 5-46, partic. pp. 8-12; G. BERNS, Time and Nature in Lucretius’ ‘De rerum natura’,
«Hermes», CIV (1976) pp. 477-92; R. SORABJI, Time, Creation and the Continuum. Theories
in Antiquity and the Early Middle Ages, London 1983, partic. pp. 371-7; M.L. SILVESTRE,
Democrito e Epicuro. Il senso di una polemica, Napoli 1985, pp. 97-108 (alle pp. 107-8 la stu-
diosa rileva l’originalità della trattazione epicurea del tempo a differenza delle altre dot-
trine atomistiche che Epicuro avrebbe ripreso quasi integralmente da Democrito); utili
indicazioni anche in C. BAILEY, Epicurus. The Extant Remains, Oxford 1926, pp. 241-4; E.
BIGNONE, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita, Roma 1964, pp. 104-5; J.
BOLLACK-M. BOLLACK-H. WISMANN, La lettre d’Épicure, Paris 1971, pp. 231-3; M.
CONCHE, Épicure. Lettres et Maximes, Paris 1987, pp. 170-6 e A. MACÉ, La vitesse de la pen-
sée. Sur la pensée épicurienne de la co-affection, «Les Cahiers Philøsophiques de Strasbourg»,
XV (2003) pp. 119-65, partic. pp. 152-7; per i testi e il relativo commento cfr. A.A.
LONG-D.N. SEDLEY, The Hellenistic Philosophers, Cambridge 1987, I, pp. 32-7 e II, pp. 25-
30 e S. LUCIANI, L’éclair immobile dans le plaine, philosophie et poétique du temps chez Lucrèce,
Louvain 2000.
5
Il caso più manifesto è il dibattito fra gli Stoici antichi e gli Accademici per cui
si rinvia ad A.M. IOPPOLO, Opinione e scienza. Il dibattito tra Stoici e Accademici nel III e nel II
secolo a.C., Napoli 1986; a tal proposito tornano utili le indicazioni di ID., Lo stoicismo anti-
co, «Paradigmi. Rivista di critica filosofica», XXI (2003) pp. 299-311, per cui gli esiti
più interessanti della ricerca storico-filosofica sull’ellenismo «sono scaturiti soprattutto
dall’attenzione che gli studiosi hanno prestato alla novità che caratterizza le filosofie
dell’età ellenistica […]: le scuole filosofiche ellenistiche non elaborano dottrine separa-
tamente le une dalle altre, ma discutono e polemizzano tra loro, talora in maniera anche
aspra, determinando una interazione e una continua evoluzione delle proprie dottrine»
(p. 306). Cfr. in riferimento al nostro tema già H. USENER, Epicurea, Lipsiae 1887 (rist.
Stuttgart 1966), p. 379, dove l’A. presenta la nozione epicurea di tempo in relazione ai
probabili dibattiti polemici con Senocrate e Stratone di Lampsaco.
94 FRANCESCO VERDE

scienza della natura6 (si pensi alla trattazione platonica del Timeo e a
quella più tecnica dei capitoli 10-4 nel IV libro della Fisica di Aristo-
tele), Epicuro dedica all’analisi di tale concetto i paragrafi 72 e 73
dell’Epistola a Erodoto, che conviene riportare per esteso:

«E certamente si deve in aggiunta riflettere fortemente anche su ciò:


non si deve investigare il tempo come si fa con le altre cose che ricer-
chiamo in un oggetto riferendoci alle prolessi che vediamo in noi
stessi, ma bisogna esaminare secondo un procedimento analogico
quella stessa evidenza in base alla quale diciamo molto o poco tempo,
riconducendone la nozione in modo conforme [a quella evidenza]. E
non bisogna mutare le espressioni quasi ve ne fossero di migliori,
ma bisogna servirsi di quelle già esistenti rispetto a quello [scil. il
tempo], né si deve predicare qualche altra cosa di esso, come se pos-
sedesse la stessa essenza di questa peculiare realtà – e infatti alcuni
fanno anche questo – ma soprattutto bisogna applicare a esso il ra-
gionamento solo in base a ciò a cui connettiamo ciò che gli è proprio
e a cui lo commisuriamo» 7.

«E infatti ciò non necessita di dimostrazione, ma di ragionamento


applicativo per il fatto che connettiamo ai giorni e alle notti e alle lo-
ro parti, così come alle affezioni e all’assenza di affezioni, e agli stati di
movimento e a quelli di quiete, un peculiare accidente, dal momen-
to che esso stesso, d’altronde, lo concepiamo come relativo a queste
cose, ragion per cui lo denominiamo tempo. (Dice ciò anche nel II
libro Sulla natura e nella Grande epitome)» 8.

I testi riportati risulterebbero poco chiari se non si facesse rife-


rimento ai paragrafi immediatamente precedenti in cui Epicuro trat-
ta delle qualità dei corpi. Al paragrafo 68 si dice che ogni corpo pos-

6
Tale connessione è messa a tema da G.J. WHITROW, The Natural Philosophy of
Time, London-Edinburgh 1961.
7
EPIC. ep. Hrdt. 72. Pur tenendo conto dell’edizione più recente (M. MARCOVICH,
Diogenis Laertii Vitae Philosophorum, Stutgardiae et Lipsiae 1999, pp. 733-64), la tradu-
zione dell’Epistola a Erodoto è stata condotta sull’edizione di P. VON DER MÜHLL, Epicuri
Epistulae tres et Ratae Sententiae a Laertio Diogene servatae. Accedit Gnomologium Epicureum
Vaticanum, Lipsiae 1922, pp. 5-27. Dove non espressamente indicato la traduzione è da
considerarsi mia.
8
EPIC. ep. Hrdt. 73.
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siede alcune qualità come la forma, il colore e la grandezza o il peso


che, per l’appunto, sono predicabili di ogni corpo (è chiaro che qui
Epicuro si sta riferendo tanto ai corpi atomici quanto a quelli com-
posti, sebbene solo i secondi hanno il colore). Ogni corpo possiede
una propria forma, una grandezza e dunque anche un peso particola-
re9. Confutando lo “scetticismo” democriteo10 per cui le “qualità se-
condarie” dei corpi non esistono ma la pienezza dell’essere è ascrivibi-
le solo agli atomi11, Epicuro nega che tali qualità non abbiano alcuna
realtà. Epicuro è portato ad attribuire alle “qualità secondarie” una
realtà ontologica inferiore, come si vedrà, perché spinto dalle strin-
genti norme epistemologiche della sua canonica, la prima parte del
suo sistema filosofico; ciascuno, infatti, fa esperienza degli aggregati
in unione con le loro “qualità secondarie” ma nessuno vede un corpo,
per così dire, “separabile” da tali qualità. La norma dell’evidenza per-
cettiva (ejnavrgeia), quindi, fa sì che tali qualità abbiano realtà onto-
logica, sebbene esse non possiedano una realtà indipendente dall’ag-

9
Cfr. ivi, 54.
10
Sulle probabili influenze dello “scetticismo” atomistico riconducibile soprattut-
to ai discepoli di Democrito (in particolare Metrodoro di Chio e Nausifane) mi limito a
rinviare oltre a M. ISNARDI PARENTE, I democritei e l’antiscetticismo di Epicuro, in ID., Filoso-
fia e scienza nel pensiero ellenistico, Napoli 1991, pp. 149-69 e P.M. HUBY, Epicurus’ Attitu-
de to Democritus, «Phronesis», XXIII (1978) pp. 80-6, anche a J. WARREN, Epicurus and
Democritean Ethics: An Archaeology of ‘Ataraxia’, Cambridge 2002, pp. 193-200, partic. p.
197 e la nota 16 per ulteriori rinvii, che crede che le argomentazioni lucreziane contro lo
scetticismo (IV 469 sgg.) testimonierebbero l’avversione di Epicuro nei confronti
dell’intera tradizione democritea (Metrodoro, Anassarco, Nausifane); più in generale cfr.
M. GIGANTE, Scetticismo e Epicureismo. Per l’avviamento di un discorso storiografico, Napoli
1981 e anche F. DECLEVA CAIZZI, Pirrone e Democrito. Gli atomi: un “mito”?, «Elenchos», V
(1984) pp. 5-23.
11
67 A 7 D.-K.; cfr. anche 67 A 32; 68 A 49; B 9; B 11; B 125 D.-K. Per il commen-
to delle testimonianze e dei frammenti cfr. il volume di F. JÜRSS-R. MÜLLER-H.
GÜNTHER SCHMIDT, Griechische Atomisten. Texte und Kommentare zum materialistischen
Denken der Antike, Leipzig 1973, e l’edizione di C.C.W. TAYLOR, The Atomists: Leucippus
and Democritus, Toronto 1999. In proposito cfr. T. GANSON, Democritus against Reducing
Sensible Qualities, «Ancient Philosophy», XIX (1999) pp. 201-15, e il recente contributo
di R. PASNAU, Democritus and Secundary Qualities, «Archiv für Geschichte der Philoso-
phie», LXXXIX (2007) pp. 99-121 che critica l’identità/scambiabilità fra le qualità de-
mocritee e le qualità secondarie delle scienze sperimentali del XVII secolo: le qualità di
Democrito, infatti, sono esclusivamente per convenzione.
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gregato cui ineriscono e si accompagnano. Secondo Epicuro, pertan-


to, le “qualità secondarie” di un corpo esistono, hanno realtà ma la
loro esistenza è sempre relativa al corpo cui esse appartengono.
Tali “qualità” sono, dunque, realtà esistenti perché effettiva-
mente e distintamente percepite12, nonostante il loro statuto onto-
logico non sia mai indipendente: le “qualità secondarie” esistono solo
se esiste un aggregato. Queste, inoltre, non possiedono, insiste Epi-
curo, la natura del complesso cui sono legate né quella degli atomi che
costituiscono l’aggregato, eppure sono ben percepibili grazie all’evi-
denza sensibile: le “qualità”, pertanto, non hanno le medesime caratte-
ristiche ascrivibili, invece, ai principia naturae, gli atomi e il vuoto.
Dopo questa sezione inerente le qualità dei corpi, Epicuro tratta
del tempo; evidentemente non è un caso che la trattazione del tempo
segua quella dei “caratteri secondari” degli aggregati. Secondo il filo-
sofo, infatti, il tempo ha uno statuto ontologico simile a quello delle
“qualità secondarie”: se tali qualità hanno realtà, anche il tempo, si-
mile a loro, avrà realtà, anche se, proprio come nel caso delle qualità,
si tratterà sempre di una realtà ontologica “derivata” e relativa, che
non possiede esistenza autonoma. Alla luce di queste considerazioni,
i paragrafi 72 e 73 dell’Epistola a Erodoto risultano più chiari. Epicu-
ro inizia la trattazione del tempo rilevando la sua specificità: il tempo
non è un oggetto indagabile come tutti gli altri di cui abbiamo an-
ticipazione o prolessi. A tal proposito risulta di profondo interesse
l’obiezione di P.-M. Morel, secondo il quale «le fait que nous puis-

12
Sulla natura degli accidenti nel pensiero epicureo e sul fatto che gli accidenti
non siano meno reali di ciò cui sono relativi cfr. l’importante testimonianza dell’epicureo
POLISTR. de contem. XXIII-XXVI Indelli, verosimilmente una “risposta” agli attacchi da
parte scettica, su cui ci si limita a rinviare oltre che all’edizione di G. INDELLI, Polistrato.
Sul disprezzo delle opinioni popolari, Napoli 1978, pp. 138-40 e 178-82, anche a M. ISNARDI
PARENTE, L’epicureo Polistrato e le categorie, «La Parola del Passato», XXVI (1971) pp. 280-
9 e G. STRIKER, The Ten Tropes of Aenesidemus, in M.F. BURNYEAT (ed.), The Skeptical Tra-
dition, Berkeley-Los Angeles-London 1983, pp. 95-115. Il passo, pur avendo come fine
privilegiato questioni etiche, è utile anche da un punto di vista gnoseologico non solo per
apprendere il particolare uso di categorie accademiche da parte epicurea ma soprattutto
perché testimonia come Polistrato, da buon epicureo, intenda escludere, in base al ricorso
all’esperienza, la pretesa degli avversari di attribuire la non esistenza ai concetti relativi.
Cfr. infra, nota 41.
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sions parler du temps en général semble en outre s’opposer à cette


absence de prolepse du temps» 13. L’obiezione mossa da Morel è senza
dubbio condivisibile; Epicuro in ep. Hrdt. 72 afferma che noi to;n
polu;n h] ojlivgon crovnon ajnafwnou'men: il fatto stesso che possiamo dire
“molto” o “poco” tempo o che ne abbiamo un’evidenza (aujto; to;
ejnavrghma) non potrebbe che essere la “garanzia” dell’esistenza della
prolessi del tempo, malgrado questa risulti in qualche modo generi-
ca o superficiale. La prolessi è legata al linguaggio, dato che ogni no-
stra espressione o semplicemente denominazione è connessa a un’an-
ticipazione precedente: non posso esprimere il termine “pietra” se
prima non ne ho fatto un’esperienza tale da riconoscere l’oggetto
“pietra” ogni qual volta ne incontri una o da ricordarlo, anche quan-
do non sia effettivamente presente14. Una risposta plausibile a questa
acuta osservazione, sebbene non elimini del tutto l’ambiguità di
fondo, è fornita proprio dal testo di ep. Hrdt. 72. Epicuro dice che
ajnavgonte" ejpi; ta;" blepomevna" par∆ hJmi'n aujtoi'" prolhvyei", non si de-
ve investigare il tempo «riferendoci alle prolessi che vediamo in noi
stessi»; il filosofo non si limita a dire genericamente che il tempo
non vada esaminato sulla base delle semplici prolessi ma che non va-
da ricercato sulla base delle prolessi che vediamo in noi stessi
(blepomevna" par∆ hJmi'n aujtoi'"): perché Epicuro è spinto a fare questa
precisazione? È probabile che la ragione si trovi nel fatto che del
tempo non possediamo una prolessi dentro di noi proprio perché
esso è relativo alle cose; se il sensus del tempo è, come dirà Lucrezio,
rebus ab ipsis è forse lecito credere che non sarà possibile averne
un’anticipazione che “vediamo in noi stessi”. Ciò non significa affatto
che Epicuro teorizzi due tipi di prolessi, l’una interna, l’altra esterna:
la prolessi deriva sempre da un atto percettivo esterno, eppure nel
caso del tempo il filosofo sente la necessità di fornire tale precisazio-
ne15. Se il tempo è connesso a ciò che è fuori di noi, non potremmo

13
P.-M. MOREL, Les ambiguïtés de la conception épicurienne du temps, cit., p. 203.
14
Cfr. DIOG. LAERT. X 33, che sottolinea come il carattere distintivo della prolessi
rispetto all’“a-razionalità” della sensazione sia la memoria.
15
Credo che l’espressione di Epicuro «[le] prolessi che vediamo in noi stessi» sia
una precisazione di non poco conto, soprattutto in un compendio di fisiologia dove ogni
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certamente averne un’anticipazione dentro di noi. Del tempo, di con-


seguenza, non abbiamo una prolessi dentro di noi ma, solo successi-
vamente, potremmo averne una, connettendolo alle cose: questo è il
motivo per cui possiamo dire “molto” o “poco” tempo16.
Ritornando al testo dell’Epistola a Erodoto, la precisazione di
Epicuro è molto importante perché evidenzia non solo la particolari-

termine viene, per così dire, misurato e centellinato. In effetti, tutte le prolessi sono dentro
di noi, sebbene la loro origine sia esterna; a tal proposito occorre rilevare che il tempo, co-
me si legge in ep. Hrdt. 73, è legato non solo agli eventi esterni ma anche a quelli interni,
quali le affezioni e la loro assenza, benché per le affezioni valga il medesimo discorso del-
le prolessi: anche l’origine delle affezioni, infatti, è esterna. Con ciò, tuttavia, non si inten-
de sostenere una doppia tipologia di prolessi, ma solo richiamare l’attenzione su quella
che sembra essere una opportuna specificazione da parte di Epicuro; d’altronde, è signifi-
cativo che tale espressione compaia qui e non altrove. A ogni modo, trattandosi di un
punto estremamente delicato, la questione rimane aperta. Su questi aspetti così come sul-
lo status e l’attività della prolessi cfr. P.-M. MOREL, Method and Evidence: on Epicurean Pre-
conception, «Proceedings of the Boston Area Colloquium in Ancient Philosophy», XXIII
(2007) pp. 25-48 e la successiva discussione di D. KONSTAN, Commentary on Morel, «ivi»,
pp. 49-55.
16
Il che non elimina del tutto l’ambiguità della teoria epicurea messa in luce da
Morel. Resta fermo che qualora non si trovasse una risposta plausibile alla giusta obiezio-
ne di Morel, le attuali conoscenze circa la gnoseologia epicurea andrebbero senz’altro rivi-
ste e magari aggiornate: è assurdo, infatti, che Epicuro cada in una contraddizione così
palese nel dire che del tempo non abbiamo prolessi eppure siamo in grado di esprimerne
verbalmente la durata. Inoltre Morel rileva le ragioni, ampiamente condivisibili,
dell’assenza di una definizione (e dunque di prolessi) di tempo: «L’absence de définition
et de prolepse n’est donc pas l’expression d’une situation d’échec, et cela pour deux raisons:
parce qu’il est dans la nature du temps de ne pas avoir d’unité substantielle, mais aussi
parce que cette absence ne remet pas en cause la fonction pragmatique du mot qui dési-
gne la chose» (Les ambiguïtés de la conception épicurienne du temps, cit., p. 210). Sul concetto di
prolessi in Epicuro si rimanda almeno ad A.A. LONG, Aisthesis, Prolepsis and Linguistic
Theory in Epicurus, «Bulletin of the Institute of Classical Studies», XVIII (1971) pp. 114-
33; A. MANUWALD, Die Prolepsislehre Epikurs (“Habelts Dissertationsdrucke, Reihe
Klassische Philosophie”, XV), Bonn 1972; cfr. anche E. ASMIS, Epicurus’ Scientific Method,
Ithaca-London 1984, partic. pp. 61-80; D. GLIDDEN, Epicurean Prolepsis, «Oxford Studies
in Ancient Philosophy», III (1985) pp. 175-217 (non sembrerebbe, tuttavia, condivisibi-
le la ragione dell’assenza di prolessi proposta da Glidden alle pp. 210-1: «There cannot
then be a prolepsis of time, because time as such represents a cognitive creation as opposed
to a persistent condition regularly experienced in nature»); molto equilibrate le indicazioni
di J. HAMMERSTAEDT, Il ruolo della PROLHYIS epicurea, in G. GIANNANTONI-M.
GIGANTE (a cura di), Epicureismo greco e romano, Atti del Congresso Internazionale (Napoli
19-26 maggio 1993), Napoli 1996, pp. 221-37.
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tà di un “oggetto” come il tempo ma soprattutto perché chiarisce


come questo non possa essere ricercato come un quid di cui abbiamo
anticipazione o prolessi: il tempo, dunque, non è un oggetto (mal-
grado esista) e come tale non ne possediamo alcuna prolessi. Ogni
ricerca deve sempre prendere le mosse da una prolessi più o meno
distinta17; il fatto che possediamo un’anticipazione di un qualsiasi
oggetto x sta a indicare, per l’appunto, che x è un oggetto. Ciò po-
trebbe sembrare molto generico eppure torna utile considerare l’alto
valore gnoseologico che Epicuro attribuisce alla prolessi; questa, in-
fatti, è una nozione, un concetto anticipatorio formatosi in virtù di
sensazioni percettive reiterate. Per questo la prolessi a differenza della
sensazione è dotata di memoria; mentre la sensazione è a[logo", ossia
“muta” perché “non ricorda”18, l’anticipazione invece è proprio la
memoria di più sensazioni che abbiamo frequentemente percepito.
Avere una prolessi di un oggetto x significa riconoscerne i caratteri
essenziali esclusi i quali l’oggetto in questione risulterebbe indi-
scriminato rispetto agli altri.
Se del tempo non c’è prolessi significa che esso non è un ogget-
to indagabile come tutti gli altri (partendo appunto da una nozione
anticipatoria) e che esso non possiede dei caratteri propri ed essenzia-
li. Radicalizzando ulteriormente l’affermazione epicurea, il fatto che
del tempo non si abbia prolessi indica che non è possibile esperire il
tempo in se stesso, riconoscendone alcuni caratteri propri. Eppure
l’esistenza del tempo è comunemente ammessa, per questo motivo
Epicuro sostiene che il tempo vada pensato in analogia al significato
generico che si dà alla parola “tempo”, per cui spesso diciamo “molto
tempo” o “poco tempo”; di conseguenza, è necessario considerare il
tempo analogamente alle consuete espressioni usate per indicarne il
17
Cfr. in proposito EPIC. ep. Hrdt. 37-8 e SEXT. EMP. adv. math. I 57 (= 255 Us.) do-
ve Sesto riferisce che, escludendo la prolessi dal sistema gnoseologico, non sarebbe possibi-
le attuare nessuna ricerca (ou[te zhtei'n) o sollevare alcuna aporia (ou[te ajporei'n); cfr. an-
che SEXT. EMP. adv. math. XI 21 (= ibid.), il relativo commento di E. SPINELLI (a cura di),
Sesto Empirico. Contro gli etici, Napoli 1995, pp. 176-9 e R. BETT (ed.), Sextus Empiricus.
Against the Ethicists, Oxford 1997, pp. 64-5. In merito cfr. ancora DIOG. LAERT. X 33 e
anche CLEM. ALEX. strom. II 4, 16-7 (= ibid.).
18
DIOG. LAERT. X 31.
100 FRANCESCO VERDE

trascorrere. Se del tempo non è possibile avere alcuna prenozione, è,


tuttavia, possibile considerarlo per analogia. L’analogia occupa un
posto centrale e decisivo all’interno del sistema epicureo così come
nella tradizione epicurea (basti pensare, infatti, al De signis filode-
meo19): il filosofo di Samo è infatti il primo che in età ellenistica ri-
scopre il valore gnoseologico ed euristico del metodo analogico, già
esplorato da Aristotele. L’analogia è un procedimento metodologico-
inferenziale i cui caratteri sono stati conservati da Filodemo di Gada-
ra proprio nel De signis; l’analogia presuppone che i fenomeni empi-
ricamente percepibili siano segni (shmei'a) incontrovertibili da cui
inferire ciò che è nascosto alla sensazione ossia ciò che è non evidente
(to; a[dhlon)20. Come è noto, non è possibile inferire dai fenomeni
sensibili qualunque cosa ma solo ciò che, non essendo evidente, non
sia da essi smentito: il vuoto, ad esempio, è un “oggetto” non perce-
pito dai sensi eppure necessario per il movimento degli atomi; per-
tanto, a partire dal moto degli aggregati che percepiamo, è possibile
inferire l’esistenza del vuoto che, per l’appunto, non è smentito (oujk

19
Per la descrizione della metodologia semiotica epicurea cfr. EPIC. ep. Hrdt. 58-9;
ep. Pyth. 85-8; DIOG. LAERT. X 32, e PHILOD. de sign. XXXIV 29-XXXVI 17 De Lacy; sul
metodo dell’analogia fondato sulla oJmoiovth" (somiglianza) e non sulla mera ajnaskeuhv
(rimozione) cfr. de sign. XI 32-XII 31 De Lacy. Cfr. inoltre D. SEDLEY, On Signs, in J. BARNES-
J. BRUNSCHWIG-M. BURNYEAT-M. SCHOFIELD (eds), Science and Speculation, Cambridge
1982, pp. 239-72; G. MANETTI, Le teorie del segno nell’antichità classica, Milano 1987, pp.
161-200; J. BARNES, Epicurean Signs, «Oxford Studies in Ancient Philosophy», suppl.
(1988) pp. 91-134; A.A. LONG, Reply to Jonathan Barnes, ‘Epicurean Sign’, «ivi», pp. 135-
44; E. ASMIS, Epicurus’ Scientific Method, cit., partic. pp. 175-211; ID., Epicurean Semiotics,
in G. MANETTI (ed.), Knowledge through Signs. Ancient Semiotic Theories and Practices, Bolo-
gna 1996, pp. 155-85; J. ALLEN, Epicurean Inferences. The Evidence of Philodemus ‘De Signis’,
in J. GENTZLER (ed.), Method in Ancient Philosophy, Oxford 1998, pp. 306-49; ID., Inference
from Signs. Ancient Debates about the Nature of Evidence, Oxford 2001, partic. pp. 195-241; G.
MANETTI, Philodemus’ ‘De Signis’: An Important Ancient Semiotic Debate, «Semiotica. Journal of
the International Association for Semiotic Studies», CXXXVIII (2002) pp. 279-97.
20
Cfr. EPIC. ep. Pyth. 87; 97 e 104. Si considerino anche le indicazioni di D.
SEDLEY, The Inferential Foundations of Epicurean Ethics, in G. GIANNANTONI-M. GIGANTE
(a cura di), Epicureismo cit., pp. 313-39, partic. pp. 313-6 che rileva come le argomenta-
zioni dell’Epistola a Erodoto seguano uno schema esplicativo di carattere inferenziale rav-
visabile anche nella parte etica del sistema.
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 101

ajntimartuvrhsi") ma anzi confermato21 (ejpimartuvrhsi") dal movimen-


to degli aggregati.
In tal caso, il tempo deve essere considerato in analogia22 con la
vox populi che reputa il trascorrere del tempo “molto” o “poco”. L’at-
taccamento di Epicuro alle espressioni verbali comuni23 ma chiare è
testimoniato anche dall’ouverture dell’Epistola a Erodoto24 in cui il filo-
sofo invita il suo interlocutore a rimanere saldamente connesso al si-
gnificato proprio e fondamentale delle espressioni verbali25 (fqovggoi),
affinché non nascano equivoci o interminabili dimostrazioni ai danni

21
Cfr. LUCR. I 334-90 e SEXT. EMP. adv. math. VII 211-6 = 247 Us. e VIII 329-31 =
272 Us. Sulla metodologia epicurea della convalida inferenziale cfr. poi D.J. FURLEY,
Knowledge of Atoms and Void in Epicureanism, in J.P. ANTON-G.L. KUSTAS (eds), Essays in
Ancient Greek Philosophy, Albany (N.Y.) 1971, pp. 607-19; M.F. BURNYEAT, The Origins
of Non-Deductive Inference, in J. BARNES-J. BRUNSCHWIG-M. BURNYEAT-M. SCHOFIELD
(eds), Science and Speculation, cit., pp. 193-238; J.P. DUMONT, Confirmation and Disconfirma-
tion, ivi, pp. 273-303; E. ASMIS, Epicurus’ Scientific Method, cit., partic. pp. 141-71 e ora A.
GIGANDET, La connaissance: principe et méthode, in A. GIGANDET-P.-M. MOREL (éds.), Lire
Épicure et les épicuriens, Paris 2007, pp. 73-98, partic. pp. 90-8.
22
Il medesimo processo analogico vale anche per l’esistenza degli atomi. Gli atomi
come il vuoto sono realtà non evidenti; l’evidenza sensibile non smentisce l’esistenza di
“elementi” insecabili e inalterabili, infatti, se questi non esistessero, al momento della
distruzione dell’aggregato atomico, nulla persisterebbe e il tutto non potrebbe essere né
eterno (come invece si legge ai paragrafi iniziali dell’Epistola a Erodoto (38-9) dove viene
enunciato il “principio di conservazione”) né esistente come invece testimonia la sensa-
zione (cfr. anche LUCR. II 751-4 e più in generale I 503-634). In merito cfr. ancora le uti-
li indicazioni di D.J. FURLEY, Knowledge of Atoms and Void in Epicureanism, cit. e di G.
BETEGH, Epicurus’ Argument for Atomism, «Oxford Studies in Ancient Philosophy», XXX
(2006) pp. 261-84. Epicuro, inoltre, si serve dello stesso metodo anche nel caso dei mi-
nimi atomici (ep. Hrdt. 58-9) che infatti vengono inferiti dai minimi sensibili.
23
Cfr. anche PHerc. 1413, 5 V (= 37, 20 Arr.).
24
EPIC. ep. Hrdt. 37; cfr. ancora DIOG. LAERT. X 31.
25
L’invito epicureo (già ascrivibile a Metrodoro di Lampsaco) a considerare positi-
vamente il linguaggio ordinario è probabilmente in diretta polemica con i “dialettici”
che per i loro argomenti capziosi ed eristici si servivano di parole il cui senso oltrepassava
il significato ordinario; in proposito G. GIANNANTONI, La polemica antimegarica nel
XXVIII libro ‘Della Natura’ di Epicuro, «Cronache Ercolanesi», XIII (1983) pp. 15-9; E.
SPINELLI, Metrodoro contro i dialettici?, «ivi», XVI (1986) pp. 29-43; A. TEPEDINO
GUERRA, Il contributo di Metrodoro di Lampsaco alla formazione della teoria epicurea del linguag-
gio, «ivi», XX (1990) pp. 17-25 e ID., Metrodoro ‘Contro i Dialettici’?, «ivi», XXII (1992)
pp. 119-22.
102 FRANCESCO VERDE

della chiarezza e della “non equivocabilità” del linguaggio26. In pro-


posito Epicuro non solo invita a non cambiare espressioni per indi-
care il tempo ma soprattutto a non inventarne delle altre perché non
sarebbero migliori di quelle già usate27. Ciò significa che il tempo
non è un oggetto o un fatto che possa essere descritto linguistica-
mente con efficienza e precisione scientifica; tanto vale, allora, conti-
nuare a usare in maniera non equivoca le espressioni comuni. Il
tempo, insomma, non è descrivibile linguisticamente, non possiede
delle espressioni che gli si adeguino con precisione perché non pos-
siede dei caratteri propri e indipendenti: per questo motivo Epicuro
insiste nel ribadire la necessità di considerare il tempo non a partire
da se stesso ma da ciò a cui lo connettiamo (sumplevkomen) e in base a
cui lo commisuriamo28 (parametrou'men). In ciò si potrebbe indivi-
duare una critica alquanto velata alla nozione stoica di tempo, per cui
esso si configura come una grandezza pensabile di per se stessa che

26
Sull’importanza della correttezza dei mezzi espressivi risultano significative le
indicazioni proposte da A. D’ANGELO, Epicuro. Peri; crovnou (PHerc. 1413): nuove letture,
in I. ANDORLINI-G. BASTIANINI-M. MANFREDI-G. MENCI (a cura di), Atti del XXII
Congresso Internazionale di Papirologia (Firenze 23-29 agosto 1998), Firenze 2001, I, pp.
321-9, partic. pp. 327-8. Sulla teoria linguistica epicurea in relazione alla prolessi cfr. le
proposte di A.A. LONG, Aisthesis, Prolepsis and Linguistic Theory in Epicurus, cit., contestate
poi da D.K. GLIDDEN, Epicurean Semantics, in SUZHTHSIS. Studi sull’epicureismo greco e
romano offerti a Marcello Gigante, Napoli 1983, pp. 185-226.
27
Sembrerebbe qui piuttosto significativa l’influenza di Prassifane di Mitilene,
probabile maestro di Epicuro (DIOG. LAERT. X 13), che non solo dava importanza allo eu\
gravfein ma invitava a non creare nuove parole a danno della chiarezza espositiva. In me-
rito cfr. M. CAPASSO, Prassifane, Epicuro e Filodemo. A proposito di Diog. Laert. X 13 e Philod.
‘Poem.’ V IX 10-X 1, «Elenchos», V (1984) pp. 391-415, e G. MILANESE, ‘Lucida carmina’.
Comunicazione e scrittura da Epicuro a Lucrezio, Milano 1989, pp. 42-54. Il libro XXVIII del
Peri; fuvsew" è una particolare testimonianza della “filosofia del linguaggio” epicurea
dove si riscontra ancora il rifiuto delle novità linguistiche (in particolare 17, I-II = 31, 11-
12 Arr.); in proposito cfr. D. SEDLEY, Epicurus. On Nature Book XXVIII, «Cronache Ercola-
nesi», III (1973) pp. 5-83, partic. pp. 17-34 e G. LEONE, Rileggendo il XXVIII libro ‘Della
natura’ di Epicuro: riflessioni e proposte, «ivi», XXXIII (2003) pp. 159-64. Sulla terminologia
epicurea tornano utili le indicazioni di K. KLEVE, Zur epikureischen Terminologie, «Symbo-
lae Osloenses», XXXVIII (1963) pp. 25-31.
28
Sul rapporto fra tempo e misura torna utile il riferimento al PHerc. 1413, 7 II (=
37, 25 Arr.), 9 I (= 37, 31 Arr.) e 9 V (= 37, 35 Arr.).
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 103

non necessita di alcun riferimento ad altro29. Secondo la dossografia


di Enneadi III 7 30, Plotino, esaminando la posizione di Aristotele, rife-
risce che affermare che il tempo sia misura del movimento non indi-
ca cosa sia il tempo, ma solo ciò in base a cui esso si concepisce, esat-
tamente come fa Epicuro che, appunto, non definisce cosa sia essen-
zialmente il tempo ma solo ciò grazie a cui può essere concepito31.
Il tempo, inoltre, non avendo alcun carattere che gli apparten-
ga essenzialmente, non è un quid che possa venire dimostrato o defi-
nito32 ma è necessario considerarlo a partire da ciò da cui “deriva”, os-
sia dai fenomeni; il tempo in Epicuro possiede, quindi, un carattere
derivato e relativo ai fenomeni da cui dipende in modo ineluttabile.
Le espressioni “molto tempo” o “poco tempo” sono stricto sensu piut-
tosto “irrisorie”; a differenza di quanto pensava Stratone di Lampsa-
co33, scolarca del Liceo succeduto a Teofrasto, non esiste una quantità

29
Ma cfr. i caveat dell’ormai classico studio di D.J. FURLEY, Lucretius and the Stoics,
«Bullettin of the Institute of Classical Studies», XIII (1966) pp. 13-33. Per un primo
orientamento sulla nozione stoica di tempo cfr. V. GOLDSCHMIDT, Le système stoïcien et
l’idée de temps, Paris 1989, e R. SALLES, On the Individuation of Time and Events in Orthodox
Stoicism, in Metaphysics, Soul and Ethics in Ancient Thought, Oxford 2005, pp. 95-116.
30
Più in particolare cfr. PLOT. enn. III 7 [45] 7, 17-27; per il commento cfr. W.
BEIERWALTES, Plotin. Über Ewigkeit und Zeit (Enneade III 7), Frankfurt a.M. 1981, partic.
p. 215 e più in generale F. FERRARI-M. VEGETTI (a cura di), L’eternità e il tempo (Enneade
III 7), Milano 1991, partic. pp. 144-6. Sull’influenza dell’epistemologia epicurea su Plo-
tino (partic. in enn. V 5 [32]) cfr. L.P. GERSON, Plotinus and Epicurean Epistemology, in D.R.
GORDON-D.B. SUITS (eds), Epicurus: His Continuing Influence and Contemporary Relevance,
Rochester 2003, pp. 69-80; più in generale cfr. M. TORTORELLI GHIDINI, L’ambigua pre-
senza di Epicuro in Plotino, in G. GIANNANTONI-M. GIGANTE (a cura di), Epicureismo cit.,
pp. 987-97.
31
A tal proposito D. PULIGA, CRONOS e QANATOS in Epicuro, «Elenchos», II
(1983) pp. 235-60, partic. p. 247 ravvisa nell’espressione kai; ga;r tou'to poiou'siv tine"
dell’Epistola a Erodoto (72) un riferimento abbastanza esplicito ad Aristotele.
32
È nota, infatti, l’avversione epicurea nei confronti della definizione in diretta po-
lemica anti-aristotelica; non è quindi corretto attribuire a Epicuro una “definizione” di
tempo, come a ragione osserva P.-M. MOREL, Les ambiguïtés de la conception épicurienne du
temps, cit., p. 208 e nota 1, per gli ulteriori rinvii bibliografici; del resto, l’espressione “ac-
cidente di accidenti” attribuita all’epicureo Demetrio Lacone non deve essere considerata
stricto sensu tanto una definizione quanto un’interpretazione del concetto epicureo di
tempo. Cfr. infra, nota 59.
33
Il confronto fra la nozione epicurea di tempo e quella di Stratone di Lampsaco è
un tema di forte interesse; sulla base di SIMPL. coroll. de temp. in Aristot. phys. 789, 33 Diels
104 FRANCESCO VERDE

propria del tempo; ciononostante è preferibile continuare a usare


queste espressioni che l’uso comune ha ormai consolidato. Epicuro è
del parere che l’analisi del tempo non inizi da se stesso ma a partire
da ciò cui è connesso; noi siamo abituati a connettere il tempo ai
giorni, alle notti e alle loro parti34, così come alcuni accidenti quali il
moto, la quiete o alcune affezioni dipendono esplicitamente dall’ag-
gregato atomico. Sembrerebbe molto difficile non individuare in tal
senso una critica abbastanza esplicita alla posizione di Platone e Ari-
stotele; essi consideravano il tempo in stretta connessione con il mo-
vimento. Secondo Platone, stando alla definizione tradizionale messa
in discussione da R. Brague in un ormai classico contributo35, il tem-
po è un’immagine mobile36, mentre secondo Aristotele è il numero
del movimento secondo il prima e il poi37; per Stratone il tempo è mi-
sura del moto e della quiete, stando alla notizia di Sesto Empirico38.
Epicuro, invece, non solo considera il moto e la quiete come accidenti
degli aggregati atomici e come tali non necessari, ma considera il
tempo a partire dai fenomeni cui esso è relativo; già Plotino aveva in-

(= fr. 76 Wehrli) non si esclude che Stratone abbia in mente proprio la nozione epicurea
di tempo secondo la quale è necessario commisurare il tempo in base al giorno e alla not-
te cui, solitamente, lo connettiamo. La possibile relazione fra la posizione di Stratone e
quella epicurea era già stata messa in rilievo da E.G. SCHMIDT, Straton-Zitate bei Damas-
kios, «Museum Helveticum», XIX (1962) pp. 218-22, partic. pp. 221-2 (in merito alla
natura del tempo che si evince dal par. 62 dell’Epistola a Erodoto) e da E. MONTANARI,
Una polemica fisica in Epicuro, «Prometheus», V (1979) pp. 124-36 (circa la velocità degli
atomi di cui si tratta al paragrafo 60).
34
Cfr. SEXT. EMP. pyrrh. hyp. III 137 e adv. math. X 238-47; 181 (= p. 352 Us.) e
219 (= 294 Us.). Cfr. anche AET. I 22, 5 (318, 19-21 Diels).
35
R. BRAGUE, Pour en finir avec “le temps image mobile de l’éternité” (Platon, ‘Timée’, 37
d), in Du temps chez Platon et Aristote, Paris 1982, pp. 11-71.
36
PLAT. Tim. 37 C-38 C.
37
ARISTOT. phys. D 11. 219 b 1-2; tra la ricca bibliografia in merito ci si limita a
segnalare, oltre i “classici” P.F. CONEN, Die Zeittheorie des Aristoteles, München 1964;
J.M. DUBOIS, Le temps et l’instant selon Aristote, Paris 1967, e V. GOLDSCHMIDT, Temps
physique et temps tragique chez Aristote. Commentaire sur le Quatrième livre de la ‘Physique’ (10-
14) et sur la ‘Poetique’, Paris 1982, i titoli più recenti: E. CAVAGNARO, Aristotele e il tempo.
Analisi di ‘Physica’, IV 10-14, Bologna 2002; U. COOPE, Time for Aristotle, Oxford 2005 e
L. RUGGIU, Tempo della fisica e tempo dell’uomo. Parmenide, Aristotele, Agostino, Venezia
2007, partic. pp. 65-227.
38
SEXT. EMP. adv. math. X 177.
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 105

dividuato acutamente il fatto che se per Aristotele il tempo è misura


del movimento e, quindi, in un certo qual modo, il movimento “de-
riva” da esso, in Epicuro è il tempo a derivare dal movimento.
Dopo aver considerato la posizione di Epicuro nell’Epistola a
Erodoto, occorre esaminare un altro testo, centrale e decisivo per la
comprensione del problema del tempo nell’epicureismo, la trattazio-
ne fornita da Lucrezio nel primo libro del De rerum natura; come già
riscontrato per i paragrafi 72-3 dell’Epistola a Erodoto, anche il brano
lucreziano presenta non poche difficoltà interpretative, per questo
conviene riportarlo per intero:

«Ma fare e subire non può alcuna cosa senza corpo, né offrire/luogo
può alcuna cosa, tranne lo spazio vuoto e libero./Dunque, oltre il
vuoto e i corpi, non si può lasciare nel novero/delle cose nessuna ter-
za natura esistente per se stessa,/né tale che cada in alcun tempo sot-
to i nostri sensi,/né tale che qualcuno possa giungervi col ragionare
della mente./Infatti tutte le cose che hanno un nome, o le troverai
proprietà/di queste due cose o vedrai che sono loro acciden-
ti./Proprietà è ciò che in nessun caso si può disgiungere/e separare
senza un distacco distruttore: tale è la pesantezza/per i sassi, il calore
per il fuoco, la liquidità per l’acqua,/la tangibilità per tutti i corpi,
l’intangibilità per il vuoto./Al contrario, servitù, povertà e ricchez-
za,/libertà, guerra, concordia, e tutte le altre cose di cui/l’arrivo e la
partenza lasciano incolume la natura della cosa,/siamo soliti chiamar-
le, come è naturale, accidenti./Anche il tempo non esiste per sé, ma
dalle cose stesse/deriva il senso di ciò che si è svolto nel tempo,/poi
di ciò che è presente, infine di ciò che segue più tardi./E bisogna ri-
conoscere che nessuno avverte il tempo per sé,/separato dal movi-
mento e dalla placida quiete delle cose./Ancora, quando dicono che
“il ratto della Tindaride” e “il soggiogamento delle genti troiane in
guerra” esistono, bisogna badare/che per avventura non ci costringa-
no a riconoscere che queste cose/esistano per sé, poiché quelle genera-
zioni di uomini, di cui queste/ furono accidenti, le tolse via, irrevo-
cabile, l’età già passata./Giacché qualunque cosa si sarà compiuta,
potrà essere detta/accidente, in un caso †…†, in un altro delle re-
gioni stesse./Infine, se non fosse esistita la materia delle cose,/né il
luogo e lo spazio in cui tutte le cose si svolgono,/giammai il fuoco
dell’amore, suscitato dalla bellezza della Tindaride,/divampando pro-
fondo nel frigio petto di Alessandro,/avrebbe acceso le famose batta-
glie della crudele guerra,/né di nascosto ai Troiani il ligneo cavallo
avrebbe/incendiato Pergamo col notturno parto dei Greci;/sì che tu
106 FRANCESCO VERDE

puoi ben vedere che gli avvenimenti, tutti, senza/eccezione, non sus-
sistono per sé, né esistono così come i corpi,/né si può dire che siano
allo stesso modo in cui sussiste il vuoto;/ma piuttosto sono tali che
giustamente puoi chiamarli accidenti/dei corpi e del luogo in cui
tutte le cose si svolgono» 39.

Anche nel brano lucreziano40, la trattazione del tempo è succes-


siva a quella delle “qualità secondarie”, il che fa pensare che il poeta
segua scrupolosamente la struttura argomentativa dell’Epistola a Ero-
doto. Lucrezio riferisce molto chiaramente che oltre al vuoto e ai cor-
pi, ossia agli atomi, nessun’altra realtà è per se, ossia ha esistenza au-
tonoma, indipendente e non relativa ad altro41. Solo gli atomi e il
vuoto hanno una condizione ontologica piena e autonoma in quanto
la loro esistenza non dipende da alcunché se non da loro stessi. Si
giunge a tale conclusione sulla base dell’evidenza percettiva: il poeta
asserisce, infatti, che una terza natura che abbia i caratteri di ciò che è
per se non solo non è percepibile ma non la si può neppure inferire;
ciò si spiega perché i caratteri peculiari degli atomi e del vuoto sono
l’eternità e l’immutabilità che non si ritrovano certamente nella na-
tura sensibile degli aggregati in cui tutto muta, si genera e si cor-
rompe. Tutto ciò che esiste sensibilmente in natura, continua Lucre-
zio, ha un nome e qualunque cosa abbia nome sarà o proprietà

39
LUCR. I 443-82 (trad. Giancotti).
40
Per il commento puntuale del testo lucreziano cfr. G. NECK, Das Problem der
Zeit im Epikureismus, Diss., Heidelberg 1964, e per l’interpretazione del tempo descritto
da Lucrezio come legato al movimento e al divenire cfr. J. BOLLACK-M. BOLLACK, Temps,
comme devenir (Lucrèce I 464-482), in SUZHTHSIS cit., pp. 309-27; cfr. anche le utili osser-
vazioni di S. LUCIANI, L’éclair immobile dans le plaine, philosophie et poétique du temps chez Lu-
crèce, cit.
41
Come già ricordato (cfr. supra, nota 12) l’epicureo Polistrato distingueva i kata;
th;n ijdivan fuvsin legovmena dai prov" ti, servendosi della distinzione categoriale propria
dell’Accademia fra kaq∆ auJtov e prov" ti già, tuttavia, ravvisabile in Platone (soph. 255 C-
D); non si può escludere, dunque, che questo schema categoriale attribuibile a Senocrate
(fr. 95 Isnardi Parente) e in forma più complessa a Ermodoro (fr. 7 I. P.) abbia influenzato
le dottrine del Giardino e sia plausibilmente ravvisabile dietro il per se lucreziano. Per un
primo orientamento cfr. H.J. KRÄMER, Platonismus und hellenistische Philosophie, Berlin-
New York 1971, pp. 75-96, e M. ISNARDI PARENTE, Studi sull’Accademia platonica antica,
Firenze 1979, pp. 71-132.
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 107

(coniunctum) o accidente42 (eventum) degli atomi e del vuoto; è interes-


sante come Lucrezio (e con ogni probabilità già Epicuro) leghi
l’aspetto esistenziale a quello linguistico per cui ciò che ha un nome
esiste nella natura sensibile e come tale non potrà che essere una
proprietà o un accidente degli atomi e del vuoto43.
Coniuncta (i sumbebhkovta di ep. Hrdt. 40 e 68) sono le proprietà
delle cose da cui queste ultime non possono mai essere disgiunte,
pena l’esistenza stessa della cosa: la pesantezza per i sassi o il calore
per il fuoco sono proprietà indissolubili dalle cose cui ineriscono –
ma sempre non necessarie o autonome; infatti, pur rimanendo vero
che eliminando il calore verrà meno anche il fuoco, esso rimane una
proprietà connessa al fuoco e quindi da esso ontologicamente dipen-
dente. Eventa (i sumptwvmata di ep. Hrdt. 40, 64, 67, 70, 73) sono,
invece, gli accidenti considerati come caratteri del tutto non necessa-
ri, eliminando i quali non si intacca minimamente lo status ontologi-
co, la natura degli oggetti cui ineriscono44. La schiavitù, la ricchezza,
la povertà, la pace o la guerra sono “fatti” accidentali del tutto non
necessari che, appunto, «lasciano incolume la natura della cosa».

42
G. VERBEKE, Le statut ontologique du temps selon quelques penseurs grecs, in ‘Zetesis’.
Album amicorum E. de Stryker, Antwerpen-Utrecht 1973, pp. 188-205 mette bene in luce
come l’accidente in Epicuro abbia sempre carattere “corporeo” proprio perché la sua esi-
stenza è costantemente connessa al corpo cui è legato.
43
Cfr. EPIC. ep. Hrdt. 40. Cfr. pure ARISTOT. an. post. A 4. 73 a 34-b 4 dove Aristo-
tele descrive i due modi per cui si può dire che una proprietà appartiene “per sé” a una
cosa. Sulla distinzione lucreziana fra coniuncta ed eventa risultano ancora significative le
indicazioni di C. GIUSSANI, Studi lucreziani, Torino 1896, pp. 27-38 e di C. PASCAL, Stu-
dii critici sul poema di Lucrezio, Roma-Milano 1903, pp. 16-27.
44
In proposito cfr. senz’altro D. SEDLEY, Epicurean Anti-Reductionism, in J. BARNES-
M. MIGNUCCI (eds), Matter and Metaphysics. Fourth Symposium Hellenisticum, Napoli 1988,
pp. 295-327, partic. pp. 303-16. Sebbene – come a ragione sottolinea M. CONCHE, Épicu-
re. Lettres et Maximes, cit., p. 164 – Epicuro affermi al paragrafo 70 dell’Epistola a Erodoto
di usare l’espressione sumptwvmata secondo l’accezione comune (perseguendo, quindi, la
metodologia linguistica giustificata all’inizio dell’epistola ai paragrafi 37-8), sembra
innegabile la provenienza aristotelica di tale terminologia (il che vale ovviamente anche
per i sumbebhkovta). A tal proposito è lo stesso M. CONCHE, ivi, p. 169, considerando il
passo di ARISTOT. phys. B 8. 198 b 37-199 a 3, a esporre la differenza concettuale fra il
suvmptwma aristotelico e quello epicureo. Cfr. le utili osservazioni di J.-F. BALAUDÉ (éd.),
Livre X, in M.-O. GOULET-CAZÉ (éd.), Diogène Laërce. Vie et doctrines des philosophes illustres,
Paris 1999, pp. 1196-7, che confermano il retroterra genuinamente aristotelico.
108 FRANCESCO VERDE

Dopo la trattazione delle proprietà e degli accidenti, Lucrezio si


occupa del tempo; il tempo non appartiene alla categoria di ciò che è
per se ma dalle cose empiricamente percepibili deriva la collocazione e
il senso di quanto si svolge nel tempo. Di conseguenza non è il
tempo a svolgere la funzione di stabilire il senso, la condizione, la
“data” di quanto si svolge e trascorre, ma solo a partire dai fenomeni
risulta comprensibile la temporalità di quanto si genera e diviene nel
presente, nel passato e nel futuro. Tale conclusione, riferisce Lucre-
zio, è riscontrabile grazie alla mera percezione: proprio come Epicuro
ribadisce al paragrafo 73 dell’Epistola a Erodoto, nessuno percepisce
empiricamente il tempo di per se stesso45, ma esso è sempre legato,
al movimento o alla quiete delle cose46. Fin qui Lucrezio ha riportato
con estrema fedeltà la posizione di Epicuro; subito dopo inizia un’ul-
teriore trattazione, sempre dedicata al tempo, di cui non abbiamo
notizia né negli scritti epicurei rimasti né nei frammenti del PHerc.
1413, il che significa probabilmente che o è un’aggiunta chiarifica-
trice apportata dal poeta o una parte del Peri; fuvsew" (o di qualche
altro scritto) di cui non abbiamo notizia. Lucrezio, in questa sezione
che va dal v. 464 al v. 482 47, riporta alcuni esempi di avvenimenti o
di fatti “interpretati” alla luce della nozione epicurea di tempo. La
trattazione lucreziana mira a chiarire come non sia il tempo a deter-
minare la condizione di passato, presente o futuro di un evento ma
accada esattamente il contrario: dall’evento passato, presente o futuro
deriva il sensus, la coscienza48 della temporalità. Il rapimento di Elena
da parte di Paride o la vittoria degli Achei su Troia49 sono eventi
45
Il che, come già detto, vale per gli Stoici; cfr. SEXT. EMP. adv. math. X 218 (= S.V.F.
II 331).
46
Cfr. ARISTOT. phys. D 11. 219 a 1-10. Sulle analogie e differenze fra la nozione di
tempo aristotelica e quell’epicurea cfr. D. PULIGA, CRONOS e QANATOS in Epicuro, cit.
47
Il testo è stato filologicamente discusso in una breve ma utile nota da K.
WELLESLEY, Lucretius I. 469-470, «The Classical Review», XIII (1963) pp. 16-7.
48
Così traduce sensus E. FLORES, Titus Lucretius Carus. De rerum natura, I: Libri I-III,
Napoli 2002, p. 77.
49
D.J. FURLEY, Lucretius and the Stoics, cit., partic. pp. 13-4, nega esplicitamente
che gli esempi o le conclusioni cui giunge Lucrezio possano essere considerate polemiche
nei confronti degli Stoici o di qualche altra scuola filosofica antica. Chiara e sintetica la
spiegazione di A.A. LONG-D.N. SEDLEY, The Hellenistic Philosophers, cit., I, p. 37: «Now
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 109

leggendari e quasi mitologici ascrivibili comunemente al passato;


non è certo un caso che Lucrezio citi esempi alquanto leggendari e
non storici: la sua è un’opera poetica che come tale esige de iure rife-
rimenti letterari50. Il rapimento di Elena o la guerra di Troia sono
eventi di cui Lucrezio non nega affatto l’esistenza ma ribadisce che
non sono eventi ascrivibili a ciò che è per se51: gli atomi e il vuoto, di-
fatti, sono immutabili ed eterni, mentre il ratto della Tindaride o la
vittoria achea sulle genti troiane sono eventi cancellati dalla iam prae-
terita aetas, dall’età ormai passata52. Gli eventi del passato, pertanto,
sono dei coniuncta, degli accidenti non necessari che non hanno alcun
carattere di immutabilità o eternità proprio perché non esistono più

facts about the past certainly exist: it is, after all, a fact that the Greeks conquered the Tro-
jans. But they can hardly exist as attributes of per se entities, since the per se entities in
question – Agamemnon, Helen etc. – themselves no longer exist. It follows that facts
about the past must themselves exist as per se entities».
50
Cfr. in proposito almeno A. RONCONI, Appunti di estetica epicurea, in Miscellanea
di studi alessandrini in memoria di Augusto Rostagni, Torino 1963, pp. 7-25; C.J. CLASSEN,
Poetry and Rethoric in Lucretius, «Transactions of the American Philological Association»,
XCIX (1968) pp. 77-118; P.H. SCHRIJVERS, Horror ac divina voluptas. Études sur la poétique
et la poésie de Lucrece, Amsterdam 1970; A. GRILLI, Lucrezio tra poesia e filosofia, «Annali
del Liceo classico G. Garibaldi di Palermo», XIV-XVI (1977-79) pp. 197-216, ed E.
ASMIS, Rhetoric and Reason in Lucretius, «American Journal of Philology», CIV (1983) pp.
36-66. Più in generale e per gli ulteriori rinvii bibliografici ci si limita a rinviare al vo-
lume collettaneo curato da D. OBBINK (ed.), Philodemus and Poetry: Poetic Theory and Prac-
tice in Lucretius, Philodemus, and Horace, New York 1995 (acutamente discusso ed esami-
nato da G. ARRIGHETTI, Gli epicurei, la poesia e Lucrezio, «Athenaeum», LXXXVI (1998)
pp. 13-33) e al recente G. ARRIGHETTI, Gli epicurei: la riflessione sulla letteratura, la biogra-
fia, in Poesia, poetiche e storia nella riflessione dei Greci. Studi, Pisa 2006, pp. 315-459, partic.
pp. 315-95.
51
Probabilmente non è azzardato credere che nella negazione di necessità a un
evento passato risieda una critica forse già epicurea al kurieuvwn lovgo" di Diodoro Crono (ri-
portato da EPICTET. dissert. II 19, 1-5 = S.S.R. II F 24); sulla relazione fra Diodoro ed Epicuro
cfr. l’utile e dettagliato D. SEDLEY, Diodorus Cronus and Hellenistic Philosophy, «Proceedings
of the Cambridge Philological Society», CCIII (1977) pp. 74-120; N. DENYER, The Ato-
mism of Diodorus Cronus, «Prudentia», XIII (1981) pp. 33-45, e ID., Time and Modality in Dio-
dorus Cronus, «Theoria», XLVII (1981) pp. 31-53; J. VUILLEMIN, Nécessité ou contingence:
l’aporie de Diodore et les systèmes philosophiques, Paris 1984, partic. pp. 61-89 e 206-8.
52
Cfr. in merito l’utile osservazione di A. GIGANDET, Les principes de la physique, in
A. GIGANDET-P.-M. MOREL (éds.), Lire Épicure et les épicuriens, cit., pp. 49-71, secondo la
quale «le temps […] ne possède pas plus de réalité en soi que les événements auxquels il
est inhérent» (p. 57).
110 FRANCESCO VERDE

al momento presente, il che è evidentemente registrato dalla sensa-


zione. L’età ormai passata ha cancellato gli eventi trascorsi che non
erano altro che accidenti di “generazioni di uomini”: gli eventi sono
del tutto accidentali, infatti se non esistessero né gli atomi né il vuo-
to nulla sarebbe mai potuto accadere. La necessaria condicio sine qua
non di ogni fatto o evento risiede esclusivamente nella relazione che
questi intrattengono con gli atomi e il vuoto; così il ratto della Tin-
daride non sarebbe mai avvenuto e la guerra troiana non si sarebbe
mai potuta combattere se non fossero da sempre esistiti i primordia
rerum, gli atomi e il vuoto.
La questione si complica quando si tenta di comprendere due
versi la cui interpretazione risulta estremamente controversa; Lucrezio
riferisce come «Giacché qualunque cosa si sarà compiuta, potrà essere
detta/accidente in un caso †…†, in un altro delle regioni stesse53».
Subito dopo Lucrezio sostiene che se non fosse esistita la materia delle
cose, ossia gli atomi, non sarebbero esistiti né i luoghi né gli spazi in
cui gli eventi accadono, né l’amore avrebbe spinto Paride a rapire Ele-
na, né gli Achei avrebbero incendiato Troia: ogni avvenimento non
possiede i caratteri propri degli atomi e del vuoto; per questo è possi-
bile definirli accidenti dei corpi e del luogo in cui si svolgono.
Ritornando ai vv. 469-70, come suggerisce il contributo di J.
Warren 54, è possibile interpretare il passo in due modi. Il primo
modo corrisponde a una lettura “non presentista”55 secondo la quale
il poeta si limiterebbe a riferire che tutte le cose avvengono in luoghi
ben precisi; ogni evento, dunque, è accidente delle terre (ammessa la
plausibilità della lectio <terris>)56 e delle regioni in cui si svolge. La

53
LUCR. I 469-70.
54
Cfr. J. WARREN, Epicureans and the Present Past, cit., partic. pp. 372-7.
55
Occorre segnalare che la lettura “non presentista” di Warren non è “anti-
presentista”; essa deve essere considerata semplicemente un’interpretazione che non ri-
chiede un riferimento al presente.
56
In proposito cfr. ancora le condivisibili indicazioni di K. WELLESLEY, Lucretius I.
469-470, cit., che è del parere che con terris e regionibus ipsis il poeta intenda significare
tutta la terra e i luoghi specifici dove sono accaduti gli eventi; sui vari tentativi di riem-
pimento della lacuna del v. 469 si rinvia alle utili indicazioni di F. GIANCOTTI, Lucrezio.
La natura, Milano 2000, pp. 430-1; E. FLORES, Titus Lucretius Carus. De rerum natura cit., p.
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 111

seconda modalità di lettura è invece espressamente “presentista”: Lu-


crezio non solo informa che ogni accadimento si svolge in spazi e
luoghi di cui esso è accidente ma che tali eventi possono essere con-
siderati “presenti” in quanto accidenti di luoghi e regioni che tutto-
ra esistono. A differenza di tutta una letteratura secondaria che opta-
va per la seconda modalità interpretativa (“presentista”), Warren
asserisce che in realtà non sussiste fra le due interpretazioni alcuna
contraddizione ma che entrambe sono plausibili e compatibili: ogni
evento accade in un luogo, che magari esiste tuttora, di cui esso è
accidente. Una delle questioni più complicate cui fornire una rispo-
sta è chiedersi la ragione per cui Lucrezio, dopo aver descritto il ratto
della Tindaride o il soggiogamento dei Troiani in guerra, inserisca la
nozione di luogo.
Come riferisce Sesto Empirico57, Demetrio Lacone, un epicureo
illustre menzionato da Diogene Laerzio58, interpreta il tempo epicu-
reo come «accidente di accidenti» 59 (suvmptwma sumptwmavtwn). Tale
“descrizione” è letteralmente confermata anche dalla dossografia anti-
ca; Aezio riferisce che «Epicuro dice che [il tempo] è accidente di acci-
denti e che è una conseguenza del movimento» 60: il termine suvmptwma

76, propone di colmare la lacuna con certis rinviando a III 617.


57
SEXT. EMP. adv. math. X 219 = 294 Us.; utili le osservazioni proposte in merito da
P.-M. MOREL, Les ambiguïtés de la conception épicurienne du temps, cit., p. 211: «La formule de
Démétrius Lacon, si nous la comprenons de la manière la plus radicale, nous apporte fina-
lement la clé de l’énigme: c’est précisément parce que le temps n’est qu’un “accident
d’accidents”, et qu’il n’est rien par soi, que je peux être dans un état continu de bonheur,
sans avoir à présupposer l’existence objective d’un unique temps continu». Per la conte-
stualizzazione della polemica di Sesto Empirico (adv. math. X 238-47) ci si permette di
rimandare a F. VERDE, La “sostanza” del tempo: linee di una polemica scettica antica, «Bolletti-
no della Società Filosofica Italiana», CXC (2007) pp. 21-34.
58
DIOG. LAERT. X 26; per un primo orientamento bibliografico su Demetrio cfr.
C. ROMEO-E. PUGLIA, Demetrio Lacone, in SUZHTHSIS cit., pp. 529-49.
59
Sesto Empirico riferisce che Demetrio Lacone interpreta (ejxhgei'tai) la nozione
epicurea di tempo; ci troviamo, quindi, di fronte a un’esegesi la cui fedeltà letterale al
concetto epicureo di tempo rimane quanto meno problematica. Cfr. anche V. DE FALCO,
L’epicureo Demetrio Lacone, Napoli 1923, p. 18; sulla “fedeltà” dossografica sestana nei con-
fronti del pensiero di Epicuro e della tradizione epicurea cfr. E. SPINELLI, Sesto, Epicuro e
gli epicurei, «Studi italiani di filologia classica», IX (1991) pp. 219-29.
60
AET. I 22, 5 (318, 19-21 Diels = 294 Us.): ∆Epivkouro" suvmptwma ãsumptwmavtwnÃ,
112 FRANCESCO VERDE

farebbe pensare a un uso specifico connesso alla nozione di tempo o


comunque a un uso tecnico61 anche all’interno della tradizione epicu-
rea. Il tempo, dunque, è accidente di accidenti perché è relativo ai
fenomeni che a loro volta sono accidenti degli atomi e del vuoto; alla
luce di ciò si comprende, allora, la ragione dello “slittamento” lucre-
ziano. Ogni evento temporale, come il ratto della Tindaride o
l’incendio di Troia62, accade sempre in un luogo, in uno spazio, in
una regione: ogni evento è accidente del luogo in cui si compie –
luogo che, tuttavia, non esisterebbe se non ci fossero gli atomi e il
vuoto. È chiaro, inoltre, che i luoghi tuttora esistenti rappresentano
una costante memoria degli accadimenti passati, così come il sito
della città di Troia è la memoria storica della guerra ivi combattuta.
Il problema, tuttavia, sta nello stabilire il “valore veritativo”
degli eventi ormai passati, ossia come sia possibile risalire tramite la
memoria dalla visione di un luogo a un evento ormai passato e, alla
luce della stringente gnoseologia epicurea, stabilire la veridicità degli
eventi passati e di quelli futuri. In effetti l’epistemologia epicurea
sembra possedere caratteri genuinamente “presentisti”63; il primo
canone o norma gnoseologica è per Epicuro la sensazione (ai[sqhsi")
che testimonia l’esistenza reale dell’oggetto dalla cui superficie si di-
staccano continuamente i simulacri. Se un individuo percepisce in
questo momento un dato oggetto x, questo non solo esiste realmen-
te perché percepito, ma la sensazione avrà un valore veritativo di
gran lunga superiore alla percezione di un evento y effettivamente
esistito ma passato e dunque non più presente. Secondo Epicuro,
così come per gli Stoici antichi, un evento o una proposizione ri-
guardante il passato è vera solo se la condizione presente è tale che
l’evento passato sarebbe potuto accadere effettivamente; un evento

tou'to d∆ ejsti; parakolouvqhma kinhvsew".


61
Cfr. infatti EPIC. ep. Hrdt. 40, 64, 67, 70 e 73; per gli ulteriori rinvii cfr. M.
GIGANTE-W. SCHMID, H. Usener. Glossarium Epicureum, Roma 1977, pp. 628-9.
62
Per l’esempio della città di Troia cfr. anche ARISTOT. phys. D 13. 222 a 24 e sgg.
63
Questo è un carattere che accomuna la filosofia di Epicuro a quella degli Stoici
antichi secondo i quali la sensazione e la rappresentazione non avendo memoria del pas-
sato o premonizione del futuro operano esclusivamente nella dimensione del presente
(cfr. ad esempio S.V.F. II 509 e 879).
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 113

futuro sarà vero solo se rispetterà la condizione presente64; il fatto che


una donna partorirà fra un anno è un evento futuro poco probabile
se si considera che al presente la donna è sterile. La verità di un even-
to, quindi, è pur sempre legata al presente; il che non significa che
dei versi lucreziani precedenti si debba dare una lettura “presenti-
sta”, in quanto le due interpretazioni risultano senz’altro compatibi-
li: il passato è tale in se stesso, non solo rispetto al presente, ed è
tanto conoscibile quanto inalterabile.
Inoltre, riflettendo attentamente su tali questioni, si potrebbe
andare ben oltre la mera compatibilità delle due letture interpretati-
ve proposte; la soluzione è offerta da Lucrezio stesso. Qualunque e-
vento accada in luoghi, spazi o regioni sarà accidente di quel luogo
in cui è avvenuto; il fatto, poi, che questo luogo esista ancora non
implica affatto che la concezione epicurea sia esclusivamente “presen-
tista”. È infatti possibile (di qui la compatibilità proposta da War-
ren) che un evento x accada nel passato in un luogo z e che il mede-
simo evento x sia fondato sul presente per la sua conoscibilità: ciò,
tuttavia, non provoca nei confronti del passato alcuna “diminuzione
ontologica”: il passato esiste ed è inalterabile, seppure non necessa-
rio, a causa del suo carattere di accidentalità in virtù del quale diffe-
risce da ciò che è per se.
La trattazione della nozione epicurea di tempo non può esimer-
si dal considerare, seppure brevemente, il PHerc. 1413 65 dedicato al
tempo, dove è forse possibile individuare ulteriori soluzioni ai pro-
blemi posti sia dall’Epistola a Erodoto che dal De rerum natura66. Il
64
Su questo aspetto ricostruibile in buona parte grazie alla testimonianza cicero-
niana del De fato e per gli ulteriori rinvii bibliografici ci si limita a rinviare ai recenti D.
SEDLEY, Verità futura e causalità nel ‘De fato’ di Cicerone, in C. NATALI-S. MASO (a cura di),
La catena delle cause. Determinismo e antideterminismo nel pensiero antico e in quello contemporaneo,
Amsterdam 2005, pp. 241-54, e R.W. SHARPLES, “Sed haec hactenus: alia videamus”, ‘De
fato 20’, «Lexis», XXV (2007) pp. 53-68.
65
Per una prima comprensione del papiro cfr. H. STECKEL, s.v. Epikuros, in RE,
SupplBd. XI (1968) coll. 617-8, e G. ARRIGHETTI, Epicuro. Opere, Torino 1973, pp. 647-
67. Cfr. anche A. BARIGAZZI, Il concetto di tempo nella fisica atomistica, cit., ma soprattutto
R. CANTARELLA-G. ARRIGHETTI, Il libro ‘Sul tempo’ cit.; per alcune letture innovative del
papiro cfr. l’utile contributo di A. D’ANGELO, Epicuro. Peri; crovnou cit.
66
Cfr. M. ISNARDI PARENTE, CRONOS EPINOOUMENOS e CRONOS OU
114 FRANCESCO VERDE

PHerc. 1413 si presenta sotto forma di dialogo fra interlocutori le cui


sembianze sono difficilmente ricostruibili; è probabile che un interlo-
cutore sposi la teoria epicurea del tempo mentre uno o più interlocu-
tori tentino di confutarla appellandosi forse ad altre teorie del tempo.
In una sezione del papiro si legge:

«quando noi diciamo che voi pensate il tempo che non viene pensa-
to, il tempo in quanto accidente di un certo tipo di rappresentazio-
ne...» 67

e poco più sotto:

«...ricercano ad un tempo quante volte riguardo a [...] è necessario


cogliere distintamente il tempo concepito come non conoscibile con
i sensi e quello che si accompagna [agli accidenti] ...» 68.

Dopo aver polemizzato con chi intende il tempo in maniera as-


soluta e “cosmologica”, il filosofo descrive la sua teoria riferendosi a
una nozione di tempo legata alla rappresentazione (fantasiva)69 che
segue ogni esperienza, di contro all’assolutezza ontologica di un
“tempo cosmologico” legato magari al moto dei cieli. All’interno di
tale polemica Epicuro attribuisce al tempo che intende confutare il
carattere di essere ouj noouvmeno", non pensato. Lo ouj noouvmeno"
crovno" sarebbe il tempo che non si può pensare perché legato “onto-
cosmologicamente” all’assolutezza dell’intero universo e che dunque
non ha alcun rapporto con l’esperienza sensibile; in breve, secondo il
filosofo – coerentemente con il contenuto dei paragrafi 72 e 73

NOOUMENOS in Epicuro, pap. herc. 1413, «La Parola del Passato», XXXI (1976) pp. 168-75.
67
PHerc. 1413, 6 I (= 37, 23 Arr. e trad.).
68
PHerc. 1413, 10 VIII (= 37, 44 Arr. e trad.).
69
Cfr. SEXT. EMP. adv. math. X 181; anche nel PHerc. 1413 (9, I 1-4 = 37, 31 Arr.)
Epicuro afferma che il tempo sia «rappresentazione che misura ogni movimento»
(fantas[iv-][a t]iv" ejstin oJ crovno" [ki]n≥hvsew" pavsh" ka[ta]metrhtikhv); cfr. F. CAUJOLLE-
ZASLAWSKY, Le temps épicurienne est-il atomique?, «Les Études philosophiques», III (1980)
pp. 285-306, partic. pp. 295-8 e P.-M. MOREL, Les ambiguïtés de la conception épicurienne du
temps, cit., pp. 201-4.
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 115

dell’Epistola a Erodoto e con le informazioni ricavabili da Lucrezio –,


non è possibile concepire un tempo assoluto.
Poco dopo Epicuro applica al tempo due ulteriori espressioni
ejpinoouvmeno" e parepovmeno"; se la ricostruzione papirologica è cor-
retta, sembrerebbe evidente che il tempo ouj noouvmeno" sia differente
da quello ejpinoouvmeno"70. A sua volta la seconda parte del papiro già
citata confermerebbe che il tempo ejpinoouvmeno" sia diverso da quello
parepovmeno"71, il tempo derivato e relativo che si accompagna ai fe-
nomeni. La questione si complica quando si tenta di comprendere
l’accezione di ejpinoouvmeno" che Epicuro attribuisce al tempo; tutto
farebbe pensare che il tempo ejpinoouvmeno", ovvero un tempo pensa-
to (e dunque non assoluto ossia “non pensato”), non sia quello che
Epicuro confuta lungo le sezioni testuali del PHerc. 1413 riportate
sopra. Se è vero che Epicuro rifiuta il concetto di un tempo non pen-
sato (ouj noouvmeno"), è possibile che questo sia davvero il tempo assolu-
to, del tutto indipendente da qualunque calcolo o commisurazione,
proprio perché non appartiene alla sfera della percepibilità. A differen-
za del tempo ouj noouvmeno", dal papiro, come ripeto, sembrano ricavabili
due ulteriori “tipologie” di tempo, quello pensato (ejpinoouvmeno" o
ejpinohqeiv")72 e quello relativo ai fenomeni (parepovmeno") che a loro si
accompagna. Non si può escludere che si tratti effettivamente di due
diverse concezioni di tempo; il prefisso ejpiv del tempo ejpinoouvmeno" o
ejpinohqeiv" potrebbe alludere a un tempo la cui pensabilità sia legata a
una sorta di “applicazione” connessa al processo analogico73 e “orienta-
ta” al materiale della sensazione. Sebbene non sia questa la sede adatta
per approfondire lo studio e l’interpretazione complessiva del papiro,
è plausibile credere che il PHerc. 1413 non solo non confligga con la
posizione dell’Epistola a Erodoto e dei versi lucreziani ma che, anzi,

70
Di diverso avviso R. CANTARELLA-G. ARRIGHETTI, Il libro ‘Sul tempo’ cit., p. 42.
71
Cfr. SEXT. EMP. adv. math. X 219.
72
PHerc. 1413, 11 II (= 37, 47 Arr.).
73
Nella terminologia tecnica epicurea il prefisso ejpiv sembra indicare quasi sem-
pre l’“applicazione” al materiale percepito; sul significato del prefisso ejpiv in Epicuro cfr.
in modo paradigmatico H. WIDMANN, Beiträge zur Syntax Epikurs, Stuttgart-Berlin
1935, pp. 210-3.
116 FRANCESCO VERDE

fornisca importanti conferme. In polemica con chi ammette un


tempo oggettivo, assoluto e dunque “non pensato”, Epicuro presen-
ta, da un lato, una nozione di tempo legata ai fenomeni (e dunque alla
fantasiva), il tempo parepovmeno", dall’altro, un tempo “pensato”
(ejpinoouvmeno") in analogia74 con quell’evidenza (ejnavrghma) in base alla
quale diciamo “molto” o “poco” tempo.
La posizione cronologica degli eventi non deriva da un tempo
assoluto all’interno del quale si iscrive ciò che accade, ma, come ri-
corda Aezio, il tempo è una conseguenza (parakolouvqhma) del mo-
vimento, deriva dalle cose stesse: dai fenomeni consegue la loro posi-
zione temporale75. Il passato è tale non perché esista un tempo
assoluto la cui prima parte sia passata, quella successiva presente e
quella ancora ulteriore futura ma perché esso deriva dagli accadimen-
ti che ora non sono più, la cui non esistenza è testimoniata dai sensi.
Quando Lucrezio scrive che «Qualunque cosa si sarà compiuta,
potrà essere detta/ accidente, in un caso †…†, in un altro delle re-
gioni stesse» mette chiaramente in luce come ogni avvenimento sia
accidente del luogo in cui avviene che, a sua volta, è accidente dei
primordia rerum. Il tempo, pertanto, deriva dagli eventi e solo a par-
tire da questi è possibile considerare un dato evento passato, presen-
te o futuro; pur ammettendo la comprovata plausibilità di una let-
tura “presentista” e “non presentista” del passo lucreziano, è neces-
sario considerare con attenzione proprio il fatto che quando in
Epicuro si parla di passato, presente o futuro non si tratta di “date”
cronologiche assolute: la loro posizione è tale solo perché sussiste alle
loro spalle un evento.
Non si dà passato se non come relativo a un dato fenomeno. In
termini epicurei è quindi possibile affermare che la distruzione di
Corinto sia un evento passato accaduto, accidentale (eventum) perché

74
D. PULIGA, CRONOS e QANATOS in Epicuro, cit., p. 251 nota 41, dissente dalla
duplicità concettuale relativa alla nozione di tempo proposta da M. ISNARDI PARENTE,
CRONOS EPINOOUMENOS cit., alla luce del PHerc. 1413.
75
Condivisibile a questo riguardo la puntualizzazione di G. BERNS, Time and Nature
in Lucretius’ ‘De rerum natura’, cit., p. 477: «The two distinguishable aspects of time are: 1) its
dependence on motion and rest of things, and 2) its dependence on human perception».
REBUS AB IPSIS CONSEQUITUR SENSUS. IL TEMPO IN EPICURO 117

non necessario (seppure sia passato e quindi certo) e conoscibile, sia


perché esiste un luogo (Corinto) di cui l’avvenuta distruzione è acci-
dente, sia perché il carattere della passata distruzione di Corinto de-
riva effettivamente dalla sua avvenuta distruzione. Questo evento ha
il carattere di passato proprio perché al presente esso non si dà all’evi-
denza percettiva: ciò non significa che il passato si fonda esclusivamen-
te sul presente ma che ogni collocazione temporale non è mai assoluta
ma sempre derivata e relativa76, il che costituisce l’indubbia originalità
del concetto epicureo di tempo nell’ambito del pensiero antico.

“Sapienza” – Università di Roma

76
La questione è chiaramente collegata all’anti-determinismo epicureo per cui si
rimanda per un primo inquadramento almeno a D. SEDLEY, Epicurus’ Refutation of Deter-
minism, in SUZHTHSIS cit., pp. 11-51; D.J. FURLEY, Two Studies in the Greek Atomists,
Study I: Indivisible Magnitudes, Study II: Aristotle and Epicurus on Voluntary Action, Prince-
ton-New Jersey 1967, partic. pp. 159-237 e soprattutto al recente studio di F.G. MASI,
Epicuro e la filosofia della mente. Il XXV libro dell’opera ‘Sulla Natura’, Sankt Augustin 2006,
per le varie implicazioni e difficoltà teoriche. Sull’argomento cfr. anche le indicazioni di
F. FERRARI, La falsità delle asserzioni relative al futuro: un argomento epicureo contro la mantica in
Plut. ‘Pyth. orac’ 10, in M. ERLER-R. BEES (Hrsgg.), Epikureismus in der späten Republik und
der Kaiserzeit (Akten der 2. Tagung der Karl-und-Gertud-Abel-Stiftung vom 30. Sep-
tember-3. Oktober 1998 in Würzburg), Stuttgart 2000, pp. 149-63, che considera di
matrice epicurea l’argomentazione di Boeto contro la verità delle asserzioni relative al
futuro riportata da Plutarco (pyth. orac. 10, 398 F-399 A) e ancora J. WARREN, Epicureans
and the Present Past, cit., partic. pp. 377-84.

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