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Le modalità di gestione del settore culturale nel nostro paese è foriera di uno
dei più grandi paradossi italiani: se da un lato abbiamo la fortuna di custodire un
patrimonio unico ed irriproducibile di storia, arte e cultura1, unico e vero valore
aggiunto rispetto agli altri paesi industriali, dall’altra abbiamo assistito per anni ad
una incapacità di tutelarlo e valorizzarlo adeguatamente, in quanto manifestazione
delle radici e dell’identità nazionali da un lato, e ricchezza e risorsa economica
dall’altro.
Arte e cultura sono sempre stati considerati nel nostro paese dei beni meritori,
cioè dei beni in sé, in virtù della loro capacità di contribuire al soddisfacimento di
bisogni, sebbene non primari, indispensabili per una corretta crescita intellettuale e il
raggiungimento di importanti fini sociali, come il miglioramento della qualità della
vita, l’aumento del benessere sociale, l’arricchimento intellettuale, valoriale e
estetico.
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Secondo il censimento Istat, al 31 dicembre 1995 l’Italia può vantare 3790 musei e istituzioni similari, 29 siti
dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, contro i 25 della Francia, i 22 della Spagna, i 20 della Germania e i 18
del Regno Unito, per un patrimonio culturale che nel suo complesso può essere stimato in circa un milione di miliardi di
lire (Beatrice Fabbretti, “Lo “stato dell’arte”: consistenza e gestione dei beni culturali”, in Economia della Cultura, n. 3,
1999, pp. 359 – 368).
2
L’articolo 9 della Costituzione recita “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela
il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della Nazione”. Secondo l’articolo 98 del Decreto Legislativo n. 490 del 29
ottobre 1999, intitolato “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”, “i beni
culturali indicati nell’art. 54 sono destinati al godimento pubblico”. L’articolo 54 rinvia a sua volta agli articoli 822 e
824 del Codice Civile e stabilisce che “i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province e ai comuni
costituiscono il demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico e sono assoggettati al regime proprio del demanio
pubblico”. Quindi, come sostiene Arcella (Stefano Arcella, La gestione dei Beni Culturali. Fruizione, valorizzazione e
promozione del patrimonio culturale italiano, Finanze e Lavoro, Napoli, 2000), è la demanialità di questi beni che
costituisce il titolo giuridico che fonda e legittima la loro fruizione pubblica.
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Materiale didattico – Modulo n. 8
concretizzazione della cultura e dell’identità di una nazione, nonché come i segni più
tangibili del suo passato. Come tali, le istituzioni pubbliche sono chiamate a
presidiare e garantire la loro “intrinseca vocazione a una fruibilità universale”3. Allo
stesso tempo però l’agire pubblico in campo culturale è stato caratterizzato da una
costante tensione tra spinte centriste da un lato e federaliste dall’altro, conclusasi solo
agli inizi degli anni ’90, quando anche il settore in oggetto è stato coinvolto dal
processo di riforma della pubblica amministrazione. In particolare, la legge n. 59 del
1997, la cosiddetta Bassanini 1, prevedendo la ridistribuzione delle funzioni
amministrative fra lo Stato e gli Enti territoriali, ha attribuito estese competenze in
materia di gestione dei beni culturali agli Enti Locali, e in particolare ai Comuni e
alle Province.
In realtà è solo con il decreto legislativo 112 del 1998 che si è fatta maggiore
chiarezza in questo processo di ridefinizione delle competenze in materia e,
soprattutto, accanto alle tradizionali attività di tutela e gestione dei beni culturali, è
stata riconosciuta equa dignità e importanza alle attività di valorizzazione e
promozione, fino a quel momento rimaste in secondo piano.
La funzione gestionale viene affidata agli Enti Locali, che hanno il compito di
svolgere “ogni attività diretta ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali,
concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e di valorizzazione”.
3
Anna Wiezemann, La comunicazione istituzionale nel settore artistico-culturale, in “Economia della Cultura”, n. 4,
2003, pp. 499-512
4
Anna Wizemann, La comunicazione per l’arte e la cultura, in Stefano Rolando (a cura di), “La comunicazione di
pubblica utilità 2”. Società, economia, cultura, , Milano, 2004, p. 401
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Materiale didattico – Modulo n. 8
di tali beni, stimolando l’interessamento del pubblico con iniziative sia di carattere
didattico sia di taglio più divulgativo” Si tratta di una vera e propria rivoluzione che
interessa le politiche culturali del nostro Paese, a lungo dominate da un’ottica
protezionista e conservatrice, che ha relegato di fatto i concetti di fruizione e
accessibilità ad un ruolo del tutto secondario. La valorizzazione e la promozione del
patrimonio storico e artistico divengono così riconosciute funzioni complementari in
vista della produzione dell’esperienza culturale e quindi in vista dell’effettiva
soddisfazione del diritto dei cittadini all’accesso a questi beni.