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57″E
Cappella Sansevero
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Cenni storici
Origini
Leggende su Raimondo di Sangro[7][8]
Mentre una leggenda vuole che la chiesa sia stata
eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla
Nel tempo ha avuto origine
dea Iside, un'altra, riportata nel 1623 da Cesare
un gran numero di leggende
d'Engenio Caracciolo nel suo Napoli Sacra, narra
sulla Cappella Sansevero e
che un uomo, ingiustamente arrestato, veniva tradotto
sul suo ideatore, Raimondo
verso il carcere quando, transitando lungo il muro
di Sangro: i laboratori situati
della proprietà dei Sansevero, si votò alla Santa
nelle cantine del palazzo di
Vergine. Improvvisamente, parte del muro crollò,
famiglia, adiacente alla
rivelando un dipinto (quello posto nella cappella in
cappella, gli improvvisi
cima all'altare maggiore) proprio della Vergine
bagliori che ne scaturivano e
invocata, una pietà che darà poi il nome alla chiesa,
le invenzioni che lì avevano origine stimolavano
intitolata appunto a Santa Maria della Pietà.[9][10] La
infatti la fervida fantasia dei napoletani.
devozione dell'arrestato non fu riposta invano
giacché, poco tempo dopo, ne venne riconosciuta Alcune di queste leggende erano tutt'altro che
l'innocenza. Scarcerato, l'uomo, memore del lusinghiere: si dice, ad esempio, che il Principe
miracolo, fece restaurare la Pietà, disponendo che al «fece uccidere due suoi servi» per
suo cospetto ardesse per sempre una lampada in «imbalsamarne stranamente i corpi» (riferendosi
argento.[9] alle macchine anatomiche); «ammazzò [...]
nientemeno che sette cardinali» utilizzando la
Il luogo sacro divenne presto meta di pellegrinaggio
loro pelle e le loro ossa per realizzare delle
popolare e conseguente oggetto di invocazioni.
sedie; accecò lo scultore Giuseppe Sanmartino
Anche il duca di Torremaggiore, Giovan Francesco
per far sì che non fosse in grado di riprodurre
di Sangro[A 1], colpito da grave malattia si votò a
per altri un'opera straordinaria come il Cristo
questa Madonna e in seguito avendo recuperato la
velato; «entrava in mare con la sua carrozza e i
salute fece erigere la piccola cappella di Santa Maria
suoi cavalli [...] senza bagnare le ruote» e
della Pietà, comunemente detta la Pietatella.[9]
«riduceva in polvere marmi e metalli».
Secondo studi recenti, la vera origine della cappella
Un'altra leggenda riguarda invece le circostanze
sarebbe invece da far risalire all'omicidio, compiuto
della morte di Raimondo. La riporta Benedetto
nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590 da Carlo
Croce: «Quando sentì non lontana la morte,
Gesualdo da Venosa, in cui morirono Maria
provvide a risorgere, e da uno schiavo moro si
d'Avalos, moglie di Carlo Gesualdo, e l'amante di lei
lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una
Fabrizio Carafa, figlio di Adriana Carafa della Spina,
cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano
moglie in seconde nozze di Giovan Francesco di
a tempo prefisso; senonché la famiglia [...] cercò
Sangro e prima principessa di Sansevero. In
la cassa, la scoperchiò prima del tempo, mentre
conseguenza di questo evento luttuoso, la madre di
i pezzi del corpo erano ancora in processo di
Fabrizio Carafa avrebbe fatto edificare la cappella,
saldatura, e il principe, come risvegliato nel
pensandola come voto alla Madonna per la salvezza
sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito,
eterna dell'anima del figlio. A riprova di tale ipotesi,
gettando un urlo di dannato».
l'iscrizione in latino «Mater Pietatis», presente sulla
volta della Pietatella e contenuta in un sole raggiante,
rappresenterebbe il voto di dedica dell'edificio alla
Madonna.[11]
Qualunque sia stata la sua origine, è accertato che i La diceria più famosa riguarda infine
lavori edili per la costruzione della chiesetta gentilizia nuovamente il Cristo Velato, affermando che il
iniziarono nel 1593, come si deduce da alcune velo fosse in origine un vero tessuto, trasformato
polizze in possesso del Banco di Napoli. Già venti in marmo da Raimondo per mezzo di un
anni più tardi Alessandro di Sansevero (figlio di qualche misterioso processo alchemico.
Giovan Francesco), Patriarca di Alessandria e
Arcivescovo di Benevento, decise di ampliare la
preesistente, piccola costruzione, per renderla degna di accogliere le spoglie di tutti i di Sangro, come
testimoniato dalla lapide marmorea datata 1613 posta sopra l'ingresso principale dell'edificio.[9][12]
(LA) (IT)
Nel Seicento
Dal momento che l'assetto del tempio gentilizio venne riorganizzato da Raimondo di Sangro nel Settecento,
ben poco rimane della Pietatella del XVII secolo. Il restauro settecentesco mantenne inalterate le dimensioni
perimetrali e quattro dei mausolei laterali. Oltre a ciò, dell'originale cappella seicentesca è rimasta solo la
decorazione policroma dell'abside e quattro statue.[9][13]
Grazie a documenti dell'epoca, tuttavia, ci è dato sapere che già nel Seicento la cappella disangriana doveva
essere caratterizzata da un elevato valore artistico. Basti pensare che Pompeo Sarnelli, nella sua Guida de'
forestieri, curiosi di vedere, e d'intendere le cose più notabili della regal città di Napoli, e del suo amenissimo
distretto, la descrisse come:[14][15][16]
«[...] grandemente abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le statue
di molti degni personaggi di essa famiglia co’ loro elogi»
Appartengono alla fase seicentesca della cappella il monumento al primo principe di Sansevero Giovan
Francesco di Sangro, realizzato probabilmente da Giacomo Lazzari nella prima metà del XVII secolo e
collocato nella seconda cappella laterale sulla sinistra;[17] la statua del secondo principe Paolo di Sangro, di
incerta attribuzione e situata nella prima nicchia sulla destra;[18] il monumento a Paolo di Sangro quarto
principe di Sansevero che si trova nella prima nicchia sulla sinistra, opera del 1642 di Bernardo (o Bernardino)
Landini e Giulio Mencaglia;[19][20] e il monumento al Patriarca di Alessandria Alessandro di Sangro, situato nel
lato sinistro della cappella nei pressi dell'altare e opera di un artista ignoto.[21]
Il Settecento
La sistemazione seicentesca della cappella fu stravolta a partire dagli anni '40 del Settecento, quando il principe
Raimondo di Sangro iniziò ad ampliarla e a commissionare diverse opere d'arte con cui arricchirla, al fine di
creare un luogo che testimoniasse la grandezza del suo casato.[13]
Negli anni successivi, il principe Raimondo ingaggiò artisti di fama internazionale quali Giuseppe Sanmartino,
Antonio Corradini, Francesco Queirolo e Francesco Celebrano: è in questo periodo che vennero realizzati
capolavori come il Cristo velato, il Disinganno e la Pudicizia. Raimondo impiegò buona parte delle sue
sostanze, e in più occasioni dovette anche contrarre dei debiti, per portare a compimento la realizzazione della
cappella. Era un committente generoso, ma anche molto esigente e spesso dirigeva personalmente i lavori,
affinché le opere corrispondessero pienamente al ruolo che era stato loro stabilito all'interno del grande
progetto iconografico della cappella. In alcuni casi, fu lo stesso Principe a realizzare anche i materiali utilizzati,
come per il cornicione sopra gli archi delle cappelle laterali o per i colori dell'affresco sulla volta.[13]
Alla fine dei lavori, all'esterno della porta laterale della Pietatella fu posta una lapide, che riporta la data del
1767.
Dall'Ottocento in poi
La notte tra il 22 e il 23 settembre 1889, a causa di un'infiltrazione d'acqua, crollò il ponte che collegava il
mausoleo dei Sansevero con il vicino palazzo di famiglia. A causa di quest'evento, che interessò anche parte
della cappella e del palazzo signorile, oltre al camminamento andarono persi gli affreschi sotto il gariglione[A 2]
e il disegno labirintico del pavimento della cappella.[2][24]
I restauratori si trovarono nell'impossibilità di ripristinare la
pavimentazione originale, seriamente danneggiata, e nel 1901
optarono per ripavimentare la cappella in cotto napoletano, mentre lo
stemma dei di Sangro al centro del pavimento fu realizzato con smalti
giallo e azzurro che riprendono i colori del casato.
A testimonianza dell'alto grado di attrattività che il monumento continua a dimostrare, nel 2013 TripAdvisor ha
assegnato alla Pietatella il Travellers Choice Attractions 2013, sulla base delle segnalazioni effettuate sul sito
da utenti provenienti da tutto il mondo. La cappella, quindi, è risultata essere il museo italiano più apprezzato
dagli utenti del portale, davanti a mete più tradizionali come i Musei Vaticani o la Galleria degli Uffizi di
Firenze. Nella speciale classifica dedicata ai siti museali europei, guidata dal Museo del Louvre e del British
Museum, la cappella si è invece classificata al nono posto assoluto.[27][28]
Cenni architettonici
La facciata della cappella, che si apre sulla stretta via
Francesco de Sanctis, appare semplice e sobria nelle
sue linee, caratteristiche tipiche del principio del
XVII secolo in cui è ancora vivo lo spirito
classicheggiante.[29] È possibile accedere all'interno
tramite il grande portale al centro della facciata,
sormontato dallo stemma della famiglia di Sangro e
dove si trova la lapide di marmo che ricorda i lavori
di Alessandro di Sangro, oppure usufruendo della
porticina laterale che si affaccia su calata San
Severo.
Tutte le opere d'arte contenute all'interno della struttura, ad eccezione di quattro, furono commissionate da
Raimondo di Sangro, e a lui si doveva anche la pavimentazione settecentesca, costituita da un intarsio
marmoreo bianco e nero simboleggiante un labirinto;[24] alla loro realizzazione hanno contribuito autori come
Francesco Celebrano, Antonio Corradini, Francesco Queirolo e Giuseppe Sanmartino.[34]
Infine, al di sopra della porta maggiore, è collocata una piccola tribuna, dalla quale partiva il passaggio di
collegamento tra la cappella e il Palazzo di Sangro, finemente stuccato, andato distrutto nel citato crollo del
1889.[35]
Progetto iconografico
All'interno delle cappelle laterali e inframmezzati alle Questa lettera, cifrata con il codice rosacrociano,
statue delle Virtù si trovano invece i monumenti funebri contiene informazioni per capire il significato delle
di diversi principi e altri esponenti celebri della casata, sculture, e il progetto iconografico ideato da
compresi lo stesso Raimondo di Sangro e suo figlio Raimondo. La decriptazione è opera della
Vincenzo, che al momento della realizzazione delle professoressa Clara Miccinelli, che ha decifrato il
opere erano ancora in vita. La funzione principale della documento col codice tratto da Das Lehrsysrem des
Cappella Sansevero era infatti quella di cappella Ordens des Gold und Rosenkreuzer.[36]
sepolcrale della famiglia di Sangro e l'intenzione di
Raimondo era quella di onorare il proprio casato ed
esaltare le virtù e le glorie dei suoi esponenti.[37]
Nell'impianto statuario, e in particolare nelle raffigurazioni delle Virtù, è inoltre possibile notare una serie di
significati allegorici, spesso riferiti al mondo della massoneria, di cui Raimondo di Sangro era Gran maestro.
All'interno del progetto del principe Raimondo le Virtù vogliono rappresentare le tappe di un cammino
spirituale, paragonabile a quello dell'iniziato massone, che conduca ad una migliore conoscenza e al
perfezionamento di sé. Parte integrante di questo percorso è il pavimento labirintico, che rappresenta le
difficoltà del cammino che porta alla conoscenza.[24][38]
La quasi totalità delle Virtù è stata modellata secondo le norme iconografiche stabilite da Cesare Ripa nella sua
Iconologia, opera particolarmente apprezzata da Raimondo che, tra l'altro, ne finanziò una riedizione in cinque
volumi. Esse però non seguono totalmente il modello classico, ma vi introducono alcune novità, ognuna delle
quali con un preciso significato.[38]
Nella rappresentazione della Pudicizia - opera dedicata a Cecilia Gaetani, la madre di Raimondo di Sangro -
ad esempio la figura femminile velata è vista come un riferimento alla dea egizia Iside, che rivestiva un ruolo
importante nella scienza iniziatica. Sempre nella stessa statua la lapide spezzata fa riferimento alla morte
prematura della nobildonna, mentre l'incensiere ai piedi della statua ricorda quelli utilizzati durante le cerimonie
massoniche. Il ramo di quercia che sembra fuoriuscire dal basamento della scultura è forse un rimando
all'albero della conoscenza, mentre un'altra interpretazione lo vede come l'albero della vita.[23][37][38][40]
La cuspide di piramide che si può notare alle spalle della Liberalità, della Soavità del giogo coniugale, della
Sincerità e dell'Educazione è un elemento comune nelle raffigurazioni funebri dell'epoca e simboleggia la
gloria dei principi.[41]
Un significato legato alla massoneria è visibile anche nel monumento a Cecco di Sangro. La curiosa
raffigurazione del guerriero, situato proprio al di sopra della porta di ingresso della cappella, che, armato, esce
da una bara, ha portato alla sua interpretazione come quella del guardiano del tempio massonico. Il tema della
risurrezione, che si ritrova anche nel Cristo velato, nella Deposizione alle spalle dell'altare maggiore e nel
bassorilievo della Pudicizia è inoltre uno dei temi più ricorrenti nella cappella.[42]
Elemento centrale della rappresentazione moderna, il Cristo velato nelle intenzioni del Principe doveva essere
collocato nella «cavea sotterranea», insieme ai futuri sepolcri dei Sansevero, e illuminato da lampade perpetue
di ideazione del principe Raimondo. È probabile però che l'opera non sia mai stata portata all'interno della
cavea.[43]
Opere
La Cappella Sansevero è un concentrato di opere
scultoree e pittoriche, e la prima che si nota appena
entrati nell'edificio è l'affresco che ne orna il soffitto,
noto come Gloria del Paradiso o il Paradiso dei
Sangro, opera del poco conosciuto pittore Francesco
Maria Russo che, come riportato nell'affresco stesso, lo
realizzò nel 1749. Di esso colpisce, a distanza di due
secoli e mezzo dalla realizzazione, la brillantezza dei
colori, anche in questo caso dovuti all'inventiva di
Raimondo di Sangro e alla sua pittura definita
«oloidrica».[32][44][45]
Fotografia della Cappella dall'alto
L'affresco del soffitto termina, in corrispondenza delle
finestre, con sei medaglioni monocromi, in verde, con i
Santi protettori del Casato: San Berardo di Teramo, San Berardo cardinale dei Marsi, Santa Filippa Mareri,
San Oderisio, San Randisio e Santa Rosalia[46].
Al di sotto di questi, in corrispondenza degli archi delle sei cappelle più vicine all'altare, sono presenti sei
medaglioni marmorei, opera di Francesco Queirolo, con le effigi di sei cardinali originari della famiglia di
Sangro.[47]
Per l'impianto statuario, il Principe chiamò lo scultore Antonio Corradini, veneto e massone, che riuscì però a
ultimare solo le statue della Pudicizia (dedicata alla madre prematuramente scomparsa del principe
Raimondo),[23] del Decoro e il monumento dedicato a Paolo di Sangro sesto principe di Sansevero, oltre a
lasciare alcuni bozzetti per altre opere. Tra queste figura il Cristo velato, la cui realizzazione passò poi a
Giuseppe Sanmartino.
Con riferimento alla planimetria a lato, le opere principali sono così identificabili:
Altre statue
Altre opere
La numerazione fa riferimento all'elenco e alla cartina che sono stati presentati sopra.
1. Cristo velato
Invenzioni di Raimondo di Sangro[48][49]
L'opera più celebre della Cappella Sansevero è senza
dubbio il Cristo velato, posto al centro della navata
centrale. Originariamente la statua doveva essere
scolpita da Antonio Corradini, già autore della
Pudicizia, del Decoro e della statua dedicata al sesto
principe di Sansevero Paolo di Sangro. Corradini
però morì nel 1752 senza riuscire a completare
l'opera, ma realizzandone solo un bozzetto in
terracotta.[51]
La prima opera che si incontra partendo da sinistra non appena entrati nella cappella è il monumento funebre
dedicato al terzo principe di Sansevero, Giovan Francesco di Sangro, morto a soli quarant'anni a causa di una
malattia durante una spedizione militare in Africa. Esso raffigura un angelo alato, intento a piangere sulla
lapide che ricorda le doti militari del dedicatario, le cui lacrime sembrano cadere nell'acquasantiera a forma di
conchiglia posta alla base dell'opera. La sua attribuzione non è sicura e alcuni studiosi lo ritengono opera di
Francesco Celebrano, ma la teoria più accreditata ne ritiene autore Antonio Corradini.[55]
3. Decoro
(LA) (IT)
Sulla sinistra della porta di ingresso della cappella si trova la statua del Decoro, realizzata da Antonio Corradini
tra il 1751 e il 1752 e dedicata a Isabella Tolfa e Laudomia Milano, consorti del terzo principe di Sansevero
Giovan Francesco di Sangro.[58]
L'opera raffigura un giovane seminudo, con i fianchi cinti da una pelle di leone. Al suo fianco si trova una
piccola colonna sulla quale poggia la testa mozzata di un leone, a simboleggiare la supremazia dello spirito
umano sulla natura selvaggia. Sulla colonna al di sotto della testa dell'animale è incisa la frase latina «Sic floret
decoro decus» (così la bellezza rifulge per decoro). Ai piedi il giovinetto indossa due diverse calzature: al
sinistro un coturno e al destro un più semplice zoccolo. Secondo alcuni studiosi questo particolare allude al
duplice rapporto con il mondo divino e quello sotterraneo, mentre secondo altri vuole significare che decoro e
contegno devono essere rispettati indipendentemente dalla propria estrazione sociale.[56][58]
In origine il basamento era corredato di un bassorilievo, raffigurante l'episodio biblico di Susanna tentata dai
vecchioni, che fu però rimosso nel 1755 e sostituito da un'iscrizione.[56][59]
5. Liberalità
Analogamente a quanto accade nelle rappresentazioni di Soavità del giogo coniugale, Sincerità ed
Educazione, alle spalle della statua è collocata la faccia di una piramide, al di sopra della quale si trova un
medaglione con il ritratto della dedicataria dell'opera.[41][62]
Nella seconda cappella sulla sinistra si trova il monumento dedicato al primo principe di Sansevero Giovan
Francesco di Sangro, fondatore secondo la tradizione del nucleo originale della cappella. Il monumento fu
commissionato da di lui figlio Alessandro di Sangro nella prima metà del XVII secolo e fu probabilmente
realizzato dallo scultore fiorentino Giacomo (o Jacopo) Lazzari, anche se alcuni studiosi lo attribuiscono
invece a Michelangelo Naccherino. Il principe, valoroso soldato, è ritratto con indosso l'armatura e la spada
appesa al fianco, mentre con la mano destra regge una lancia; un elaborato elmo è poggiato ai suoi piedi.
Come nel caso del monumento al quarto principe Paolo di Sangro, la statua e il sarcofago sono circondati da
una cornice di marmi policromi.[17]
Situato tra la seconda e la terza cappella sulla sinistra, lo Zelo della Religione è in memoria a Ippolita del
Carretto e Adriana Carafa della Spina, consorti del primo principe di Sansevero e fondatore della cappella
Giovan Francesco di Sangro, ricordate per la loro fede.[63]
La paternità dello Zelo è stata per lungo tempo attribuita
prima ad Antonio Corradini e poi al Queirolo; alcuni
documenti recuperati negli archivi del Banco di Napoli
hanno infine permesso di riconoscerne l'autore in
Fortunato Onelli, un artista partenopeo alle dipendenze
del Celebrano. Una carta del 1767 testimonia che
Onelli non riuscì a terminare il lavoro nei tempi
promessi e fu necessario ingaggiare altri artisti più
esperti per finirlo e correggere alcune
imperfezioni.[63][64]
Lo Zelo della Religione; sullo sfondo si intravede il
ritratto di Vincenzo di Sangro Questa Virtù, che esalta la devozione delle due donne, è
incarnata da un uomo in età avanzata che regge con la
mano sinistra una lampada simbolo della verità e
nell'altra una piccola frusta. Mentre con questo strumento punisce il sacrilegio, con il piede il vecchio calpesta
alcuni serpenti, simbolo dell'eresia, che fuoriescono da un libro. Il gruppo scultoreo è completato da tre putti: i
due più in alto, posti al di sopra di un capitello, reggono un grande medaglione con i ritratti delle due
dedicatarie, mentre il terzo è intento a bruciare con un fiaccola altri libri eretici.[63][65]
L'opera raffigura una donna in stato di gravidanza e vestita alla maniera degli antichi romani con alle spalle il
lato di una piramide. La mano destra alzata porta due cuori in fiamme, simbolo dell'amore profondo e
reciproco che dovrebbe esistere tra due coniugi; la mano sinistra regge invece un giogo coperto di piume, a
simboleggiare una dolce obbedienza. Ai piedi della donna un angioletto sorregge un pellicano, animale che
nella iconografie medievale simboleggiava il sacrificio di Cristo sulla croce e che per questo è associato alla
Carità.[68][69]
Nella quarta cappelletta sul lato sinistro del mausoleo, tra le statue della Pudicizia e della Soavità del giogo
coniugale, si trova l'altare di Santa Rosalia, opera eseguita dal Queirolo per ricordare la santa più famosa della
famiglia: Rosalia, figlia di Sinibaldo dei conti dei Marsi e Di Sangro. Rosalia è oggi soprattutto ricordata per
essere la patrona di Palermo, città che l'ha voluta insignire di tale titolo dopo che, secondo la tradizione, era
stata salvata da lei dalla peste scoppiata nel 1624.[71]
Lo stile semplice e raffinato, privo delle esasperazioni tipiche dell'architettura barocca, utilizzato dal Queirolo
per quest'opera fu particolarmente apprezzato da Antonio Canova quando questi visitò la cappella. La
composizione vede Santa Rosalia in preghiera, inginocchiata su un cuscino e con la testa cinta dalla corona di
rose tipica della sua iconografia. La santa poggia su un basamento sul quale è inserita una lapide
commemorativa in marmo rosso, ai lati del quale due angioletti completano il monumento.[71]
11. Pudicizia
Con tutta probabilità la statua è anche un'allegoria alla sapienza, con un riferimento alla velata Iside, dea egizia
della fertilità e della scienza iniziatica; questa associazione è fortificata dal fatto che secondo una tradizione
nell'antichità nella medesima posizione in cui fu collocata la Pudicizia si trovava proprio una statua dedicata
alla dea Iside. Va inoltre ricordato che il Corradini, oltre ad aver collaborato con Raimondo di Sangro
nell'ideazione del significato iconografico della cappella, era a sua volta affiliato alla massoneria e doveva
quindi essere bene a conoscenza della simbologia delle opere a cui lavorò.[23][73]
La Pietà
Il dipinto della Pietà è collocato al centro di una cornice di angeli in stucco di Paolo Persico situata al di sopra
della Deposizione e dell'altare maggiore, posizione in cui fu voluta da Raimondo di Sangro. In precedenza
infatti essa si trovava immediatamente sopra l'altare, al posto della Deposizione.
La datazione e l'autore del dipinto sono ignoti: probabilmente fu realizzata da un manierista napoletano del
'500 prima del 1590. A tale data risale infatti la prima testimonianza della sua esistenza, con il miracolo della
sua apparizione all'uomo erroneamente portato in carcere. Più che per la sua qualità artistica, l'importanza
dell'opera risiede nel suo significato per la cappella. Secondo la tradizione infatti è in segno di riconoscenza
verso la Madonna raffigurata nel dipinto che il principe Giovan Francesco di Sangro iniziò la costruzione della
cappella, dedicata a Santa Maria della Pietà.[78]
14. Disinganno
Nella composizione marmorea l'uomo è aiutato a liberarsi dalla rete del peccato da un putto, simbolo
dell'intelletto umano, che con la mano destra indica il globo terrestre, simbolo della mondanità, adagiato ai suoi
piedi. L'elemento della fede attraverso cui è possibile liberarsi dagli errori commessi è rappresentato dalla
bibbia aperta appoggiata al globo e dal bassorilievo sul basamento del pilastro, che raffigura l'episodio biblico
di Gesù che dona la vista al cieco.[79][82]
Lo storico Giangiuseppe Origlia nella sua Istoria dello studio di Napoli afferma che il Disinganno è, come
iconografia, «tutta d'invenzione del Principe, e nel suo genere totalmente nuova». In essa è possibile rilevare
anche riferimenti alla massoneria, come il fatto che durante le iniziazioni per entrare nella loggia gli aspiranti
erano inizialmente bendati e in seguito era loro permesso di aprire gli occhi e comprendere la verità.
L'elemento che maggiormente colpisce della scultura è sicuramente la fitta rete, completamente in marmo,
prova della maestria del Queirolo. La composizione è completata da una lapide in cui Antonio di Sangro è
indicato come esempio della «fragilità umana, cui non è concesso avere grandi virtù senza vizi».[79]
Nell'ultima cappella laterale sulla destra, di fronte all'altare di Santa Rosalia, si trova il monumento dedicato a
Sant'Oderisio, cardinale e trentanovesimo abate dell'abbazia di Montecassino, uno dei santi protettori della
famiglia di Sangro. L'opera fu realizzata da Francesco Queirolo nel 1756, risultando quindi coeva all'altare di
Santa Rosalia.[83]
La statua raffigura Sant'Oderisio inginocchiato su un cuscino di porfido, accanto al quale è posato il cappello
cardinalizio. Il santo appare in atteggiamento mistico e con i lineamenti particolarmente espressivi. La bravura
del Queirolo è inoltre notabile nella realizzazione delle vesti.[83][84]
16. Sincerità
Situata sul quarto pilastro sul lato destro della cappella, tra l'altare di Sant'Oderisio e il passaggio che conduce
alla sacrestia, la statua rappresentante la Sincerità è dedicata a Carlotta Gaetani, moglie di Raimondo di
Sangro. Essa fu realizzata dal Queirolo, che si basò probabilmente su un modello in creta del Corradini.[60][85]
L'opera raffigura una donna di bell'aspetto, vestita con una semplice tunica, che regge con la mano sinistra un
cuore - classico simbolo di amore e carità - e con la destra un caduceo. La presenza di quest'ultimo elemento è
un esempio di come la simbologia voluta da Raimondo di Sangro, pur seguendo per molti aspetti l'iconografia
classica, se ne discosti per altri dettagli. Il caduceo infatti è estraneo alle raffigurazioni canoniche della Sincerità
ma è uno dei simboli del dio Hermes, considerato fondatore dell'ermetismo. Simboleggia pace e ragione e, in
alchimia, l'unione degli opposti cioè di zolfo e mercurio.[85][86]
La composizione è completata da un amorino, forse opera di Paolo Persico, in compagnia di due colombe
simbolo di purezza e fedeltà. L'opera è addossata alla faccia di una piramide, in cima alla quale si trova il
medaglione con il ritratto della dedicataria, appena abbozzato dal momento che al momento della sua
realizzazione Carlotta Gaetani era ancora in vita.[85]
19. Educazione
(LA) (IT)
Realizzata dal Queirolo nel 1753, l'Educazione raffigura una donna che impartisce i suoi insegnamenti a un
ragazzino, il quale tiene in mano il De officiis di Cicerone, opera ritenuta fondamentale per imparare i doveri
che un uomo onesto deve rispettare.[91]
La composizione è dedicata alle due mogli di Paolo di Sangro secondo principe di Sansevero, Girolama
Caracciolo e Clarice Carafa di Stigliano, ed è addossata a una piramide, in cima alla quale si trova il
medaglione con i ritratti delle due nobildonne.[91]
L'opera ha ricevuto critiche generalmente negative da parte degli storici dell'arte, che la ritengono la meno
riuscita tra le creazioni del Queirolo presenti nella cappella; in essa l'artista non sarebbe riuscito a infondere
nella scultura, dominata dalla massiccia e rigida figura dell'istitutrice, la grazia si cui si era dimostrato capace
nel Disinganno. Anche se, come osservato dalla studiosa Marina Causa Picone «non mancano particolari
ispirati e vibranti, come il libro aperto in mano al fanciullo, che riporta a quella stessa materia viva e densa dei
libri del Disinganno».[91][92]
Il monumento funebre a Paolo di Sangro secondo principe di Sansevero, che occupa la prima cappella laterale
sulla destra, fa parte del gruppo di statue seicentesche e fu commissionato nella prima metà del XVII secolo dal
quarto principe della casata. La statua, dai toni rigidi e severi, raffigura il dedicatario - che si distinse per le sue
doti militari al servizio di Filippo III di Spagna - in piedi vestito come un centurione romano mentre tiene con
la mano destra una lancia spezzata; ai suoi piedi si trova un elmo piumato. La somiglianza con il monumento
dedicato al padre Giovan Francesco hanno fatto ipotizzare che autore anche di quest'opera potesse essere
Giacomo Lazzari, ma non esiste alcuna conferma al riguardo.[18]
Essa è situata sul lato destro della cappella, addossata alla parete di ingresso, e fu particolarmente apprezzata
dallo storico ottocentesco Leopoldo Cicognara, probabilmente perché nella sua semplicità è una delle opere
più ortodosse e più conformi ai canoni neoclassici del tempio.[93]
La prima opera che si incontra sulla destra dell'ingresso è il monumento dedicato a Giovan Francesco di
Sangro, quinto principe di Sansevero. La sua attribuzione non è sicura: la tesi più accreditata la identifica come
opera di Francesco Celebrano, ma alcuni critici sono più orientati verso Francesco Queirolo. Essa rappresenta
una grande angelo alato appoggiato a una lapide, che stringe nella mano sinistra una fiaccola rivolta verso il
basso, in segno di lutto. Ai piedi dell'angelo si trova un'acquasantiera a forma di conchiglia, che forma una
sorta di parallelismo con il medesimo elemento presente nel monumento dedicato al terzo principe di Sangro,
situato alla sinistra dell'ingresso. La dedica sulla lapide ricorda la fedeltà di Giovan Francesco alla corona
spagnola e indica come data della sua morte il 1618. In realtà il principe morì nel 1698 e la data errata è dovuta
a una svista dello scalpellino oppure di un successivo restauratore.[95]
Realizzato nel 1766, il monumento a Cecco de' Sangro è collocato al di sopra dell'ingresso principale del
tempio. L'ideazione e la realizzazione del sepolcro sono da ascrivere a Francesco Celebrano, probabilmente
ispiratosi a un precedente modello del Queirolo.[42]
Una lunga iscrizione spiega il significato della curiosa scena rappresentata, che raffigura un guerriero armato e
con indosso l'armatura mentre esce da una cassa: durante la campagna delle Fiandre di Filippo II di Spagna, di
cui Cecco di Sangro era ufficiale, per riuscire a conquistare la rocca di Amiens egli si sarebbe finto morto e
fatto chiudere dentro una bara, dove rimase per due giorni. Uscendo quindi dalla cassa era riuscito a cogliere di
sorpresa i nemici, impadronendosi infine della rocca.[42][96]
Al di sopra di Cecco un'aquila stringe tra gli artigli alcune folgori, simbolo di forza e virtù guerriera, mentre ai
lati della cassa vi sono due ippogrifi, simbolo di cura, che sembrano sorvegliare la scena. In questa
composizione, oltre al desiderio di Raimondo di Sangro di celebrare i propri antenati, è possibile leggere anche
diversi significati legati alla massoneria: la posizione della scultura proprio al di sopra della porta di accesso fa
sì che Cecco di Sangro sia visto come una sorta di guardiano del tempio, mentre la figura che - rediviva - esce
dalla bara è un chiaro riferimento al tema della morte e della resurrezione.[42][96]
L'affresco che copre l'intera volta della cappella, conosciuto come Gloria del Paradiso o Paradiso dei di
Sangro, fu realizzato da Francesco Maria Russo nel 1749 e risulta essere una delle prime opere commissionate
per la cappella da Raimondo di Sangro.[32][97]
Si hanno poche notizie certe di Francesco Maria Russo,
che risulta sconosciuto a Napoli prima dei suoi lavori al
servizio del principe di Sangro. È possibile che abbia
studiato a Roma e che si sia trasferito in seguito nella
città partenopea. È certo che avesse già lavorato per
Raimondo di Sangro nel 1743, affrescando
l'antisagrestia della Cappella del Tesoro di San
Gennaro.[32][98]
Sembra che per il suo affresco il Russo abbia utilizzato dei colori preparati appositamente da Raimondo di
Sangro, che appaiono ancora vivi e intensi dopo più di due secoli e mezzo pur non essendo mai stati restaurati.
Il Principe non rimase però soddisfatto dall'opera del Russo e lasciò indicato nel suo testamento di fare
riaffrescare la volta della cappella dal miglior artista disponibile, desiderio che non fu però realizzato dal figlio
Vincenzo.[32][97]
La tomba di Raimondo di Sangro si trova in una nicchia all'ingresso del passaggio che conduce alla sacrestia.
Essa fu realizzata nel 1759, quando il Principe era quindi ancora in vita, da Francesco Maria Russo,
probabilmente basandosi su un progetto dello stesso Raimondo.[99][100]
Di aspetto semplice e sobrio, l'opera è composta da una grande lapide in marmo rosa con l'elogio del principe
Raimondo al di sopra del quale si trova una cornice di marmo con il ritratto del dedicatario. Il dipinto è
sormontato da un grande arco decorato con armi, libri, strumenti scientifici e altri emblemi commemorativi
delle glorie militari e scientifiche di Raimondo di Sangro.[99]
L'elemento più notevole del monumento è probabilmente l'elogio funebre, che ricorda le onorificenze ricevute
e i titoli nobiliari di cui poteva fregiarsi e allo stesso tempo esalta le sue doti di scienziato e sperimentatore e il
suo ruolo di committente e ideatore della cappella.[99][101][102] La scritta sulla lapide di marmo non è incisa ma
in rilievo, come in rilievo è anche la decorazione con grappoli d'uva e motivi vegetali sul perimetro della
lapide. La precisione della decorazione marmorea fa pensare che non sia stato usato lo scalpello, ma sarebbe
invece stata realizzata tramite un composto di solventi chimici di invenzione del principe Raimondo. Le scritte
di colore bianco dovevano in origine risaltare molto sul colore rosa della lastra di marmo, ma questa
colorazione appare ormai sbiadita.[99][103]
Il ritratto di Raimondo di Sangro fu realizzato da Carlo Amalfi, che dipingerà in seguito, con la stessa tecnica
dell'olio su rame, anche il ritratto di suo figlio Vincenzo. La sua datazione non è sicura: mentre la cornice
marmorea che lo circonda fu realizzata insieme al resto del monumento funebre del 1759, il dipinto potrebbe
risalire a qualche anno più tardi.[104]
«Così laddove al tempo della mia morte non si trovasse già di tutto punto finito e piantato il
pavimento della riferita chiesa, che io sto attualmente facendo finire, voglio e
premurosamente incarico al citato mio erede universale e primogenito che senza
intermissione ne faccia continuare il lavoro fino all'intero suo compimento, e questo
coll'assistenza precisamente e colla direzione di don Francesco Celebrano, il quale è
colui che sin da principio ne ha diretta la difficile e intralciata esecuzione ...»
La cappella mostra una pavimentazione in cotto napoletano con al centro un grande stemma in smalti giallo e
azzurri raffigurante l'emblema della famiglia di Sangro. Il progetto di Raimondo di Sangro prevedeva invece
un motivo labirintico realizzato con una linea continua di marmo bianco formante una serie di croci gammate
tutte collegate tra loro e alternate con quadrati concentrici. Intorno alla linea continua erano incastrate delle
tarsie marmoree di varie sfumature, che davano alle croci e ai quadrati un effetto prospettico.[24]
Nel progetto di Raimondo è evidente la presenza di significati legati al mondo massonico: il labirinto indica
infatti il percorso, carico di difficoltà, che l'iniziato deve compiere per raggiungere la conoscenza, mentre le
svastiche rappresenterebbero il movimento cosmico e i quadrati i quattro elementi.[24]
Della realizzazione di questo pavimento Raimondo di Sangro incaricò Francesco Celebrano, che vi lavorò a
partire dalle metà degli anni '60 del XVIII secolo. Il lavoro risultò difficoltoso e probabilmente Raimondo non
riuscì a vederlo ultimato prima della sua morte ma quasi certamente fu portato a termine. Nel settembre 1889
però una infiltrazione d'acqua causò un crollo nel Palazzo di Sangro e nell'adiacente cappella, compromettendo
tra le altre cose il pavimento di quest'ultima. Il lavoro del Celebrano doveva essere pesantemente danneggiato,
tanto che i restauratori decisero di rimuovere completamente il labirinto e realizzare la nuova pavimentazione
in cotto napoletano. Del pavimento originale sono sopravvissuti una serie di frammenti, oltre a una litografia
ottocentesca che riporta il motivo labirintico.[24]
Il grado di precisione raggiunto nella rappresentazione di arterie, vene e capillari, unito alla fama di alchimista
di Raimondo di Sangro, è tale che fino all'età contemporanea si è ritenuto che si trattasse effettivamente di
tessuti viventi, la cui conservazione fosse stata ottenuta attraverso un misterioso procedimento alchemico.
Secondo la leggenda, citata già nella guida settecentesca e tramandata tra gli altri anche da Benedetto
Croce,[6][109] Raimondo avrebbe fatto iniettare nel sistema circolatorio di due dei suoi servi una sostanza
speciale di sua creazione, la quale avrebbe «metallizzato» i vasi sanguigni permettendo la loro conservazione
nei tempo.[6]
«[...] fece uccidere due suoi servi, un uomo e una donna, e imbalsamarne stranamente i
corpi in modo che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie e le vene.»
Secondo uno studio contemporaneo, invece, l'eccezionale reticolato vascolare è il frutto di una ricostruzione
effettuata con diversi materiali, tra cui filo di ferro, seta, coloranti e cera d'api. Gli scheletri e i teschi sono
invece vere ossa umane.[111]
28. Sagrestia
Sulla destra della cappella e collegata a questa da un corridoio, si trova il locale un tempo destinato a sagrestia
e dove sono collocati i monumenti funebri di due membri ottocenteschi della famiglia di Sangro. In seguito alla
trasformazione in museo della cappella, anche la sagrestia è diventata parte integrante del percorso museale e
ospita alcune opere della sistemazione seicentesca della cappella e alcune lastre del pavimento labirintico
sopravvissute ai danni del 1889.[112]
Nelle vetrine sono conservati alcuni strumenti di laboratorio, scoperti
durante i lavori di restauro che hanno interessato la cappella tra il 1987 e
il 1990 e probabilmente di proprietà di Raimondo di Sangro. È mostrata
anche la copia di un'incisione settecentesca realizzata dall'incisore
napoletano Giuseppe Aloia raffigurante la cosiddetta carrozza marittima,
l'invenzione con cui il principe di Sangro stupì i suoi contemporanei
facendo loro credere di avere inventato una carrozza in grado di
camminare sull'acqua.[112]
La Sacrestia, che funge inoltre da bookshop dell'attuale allestimento museale, ospita talvolta esposizioni
temporanee di opere d'arte e materiale d'archivio inerente alla famiglia Di Sangro.
Nel 2020 i proprietari hanno acquistato un ritratto del principe Raimondo De Sangro realizzato da Francesco
De Mura. La sua collocazione sarà la sacrestia.
Alcuni documenti conservati negli archivi del Banco di Napoli hanno permesso anche di scoprire come al
tempo furono commissionate ed eseguite per la cappella anche altre opere, andate però perdute.
In modo particolare, due pagamenti corrisposti agli stuccatori Carlo Barbiero e Domenico Palazzo confermano
che l'arco che collegava la cappella con il vicino Palazzo di Sangro, crollato nel 1889, era finemente decorato:
«Banco del Salvatore, giornale copiapolizze, matr. 1412, partita di 34 ducati, estinta il 9 giugno
1759. A Gennaro Tibet D. 34. E per esso a Carlo Barbiero e Domenico Palazzo, insigni mastri
stuccatori, a compimento di ducati 200 et in conto delli lavori di stucco che stanno facendo
sopra l'arco, che dal palazzo del principe di San Severo passa alla di lui Chiesa gentilizia. E
detti li paga con ordine di detto signore e di proprio denaro d'esso suddetto.»
«Banco di Santa Maria del Popolo, giornale copiapolizze, matr. 1541, partita di 20 ducati,
estinta il 9 agosto 1759. A don Gennaro Tibet D. 20. E per esso alli mastri stuccatori Carlo
Barbiero e Domenico Palazzo a compimento di ducati 165,17 per quanto importano i lavori di
stucco da essi fatti di pastiglia colorata nelle facce esterne della fabbrica, che sostiene il
gariglione sito tra il palazzo e la cappella gentilizia del principe di San Severo in vigore
dell'apprezzo fattone dall'ingegnere don Vincenzo di Bisogno con sua relazione de 3 agosto
caduto, atteso i mancanti ducati 145,17 l'hanno detti mastri ricevuti in più partite e in vari tempi,
restando con detto pagamento intieramente sodisfatti senza aver altro che pretendere da detto
principe di San Severo, in nome del quale e di suo proprio denaro da esso si fa detto
pagamento.»[35]
Alcune altre polizze indicano che lo scultore Giorgio Marmorano ricevette dei pagamenti per alcune opere
eseguite nella cappella, che però non è stato possibile identificare con certezza. È probabile che si sia trattato di
decorazioni marmoree.[35]
Note
Annotazioni
1. ^ Alcune fonti considerano Giovan (o Gian) Francesco di Sangro il primo principe di
Sansevero, e in questo modo Raimondo di Sangro, l'autore della riorganizzazione
settecentesca della cappella, risulterebbe essere il settimo principe della casata (vedi (IT, EN)
Monumento a Giovan Francesco di Sangro, Museo della Cappella Sansevero. URL consultato il
23 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 7 luglio 2018).). Altre fonti sostengono invece che il primo
principe fu Paolo di Sangro, figlio di Giovan Francesco. Questa seconda ipotesi è supportata
dal fatto che in alcuni documenti Giovan Francesco è chiamato duca di Torremaggiore e non
principe (vedi Nappi, p. 2 e Albero genealogico della famiglia Sansevero, Istituto Banco di
Napoli (archiviato dall'url originale il 15 ottobre 2013).).
2. ^ Il termine gariglione, citato più volte nelle polizze inerenti ai pagamenti eseguiti per la
cappella (vedi Nappi, pp. 55, 56, 60), è probabilmente l'italianizzazione del francese "carillon"
(vedi Dizionario portatile e di pronunzia francese-italiano e italiano-francese, 1802.). Al di sopra
del ponte di collegamento tra la cappella e il palazzo signorile doveva infatti trovarsi un
campanile con un tempietto ottagonale, che aveva la funzione di «conservar le campane di una
specie di gariglione» (vedi Giuseppe Sigismondo, p. 20).
3. ^ La frase «dum reliqua huius templi ornamenta meditabatur» è traducibile come «mentre
meditava sugli altri ornamenti di questo tempio».
Fonti
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Bibliografia
Bibliografia di riferimento
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Breve Nota di quel che si vede in Casa del Principe di Sansevero D. Raimondo di Sangro
nella Città di Napoli - Nell'anno 1767 -, Ristampa: Colonnese Editore, Napoli, 1989.
Voci correlate
Chiese di Napoli
Di Sangro
Raimondo di Sangro
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