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Coordinate: 40°50′57.08″N 14°15′17.

57″E

Cappella Sansevero
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Chiesa di Santa Maria della


«… la Cappella dei Sangro, ricolma di barocche Pietà
e stupefacenti opere d’arte …» Cappella Sansevero
Pietatella
(Benedetto Croce[3])

La cappella Sansevero (detta anche chiesa di Santa Maria


della Pietà o Pietatella) è tra i più importanti musei di Napoli.
Situata nelle vicinanze della piazza San Domenico Maggiore,
questa chiesa, oggi sconsacrata, è attigua al palazzo di famiglia
dei principi di Sansevero, da questo separata da un vicolo una
volta sormontato da un ponte sospeso che consentiva ai membri
della famiglia di accedere privatamente al luogo di culto.[4]

La cappella ospita capolavori come il Cristo velato di Giuseppe


Sanmartino, conosciuto in tutto il mondo per il suo velo Stato Italia
marmoreo che quasi si adagia sul Cristo morto, la Pudicizia di
Antonio Corradini e il Disinganno di Francesco Queirolo, ed è Regione Campania
nel suo insieme un complesso singolare e carico di Località Napoli
significati.[4][5] Essa ospita anche numerose altre opere di pregiata
Religione cattolica
fattura o inusuali,[4] come le macchine anatomiche, due corpi
(sconsacrata)[1]
totalmente scarnificati dove è possibile osservare, in modo molto
dettagliato, l'intero sistema circolatorio.[6] Titolare Santa Maria della
Pietà
Oltre ad essere stato concepito come luogo di culto, il mausoleo
Arcidiocesi Napoli
è soprattutto un tempio massonico carico di simbologie, che
riflette il genio e il carisma di Raimondo di Sangro, settimo Fondatore Alessandro di
principe di Sansevero, committente e allo stesso tempo ideatore Sangro
dell'apparato artistico settecentesco della cappella.[4] Stile Barocco napoletano
architettonico
Inizio 1593[2]
Indice costruzione
Cenni storici Completamento 1766[2]
Origini Sito web www.museosansev
Nel Seicento ero.it/ (http://www.m
Il Settecento useosansevero.it/)
Dall'Ottocento in poi
Cenni architettonici Museo della Cappella
Progetto iconografico Sansevero
Opere
Esame delle principali opere
1. Cristo velato
2. Monumento a Giovan Francesco di Sangro,
terzo principe
3. Decoro
4. Monumento a Paolo di Sangro, quarto
principe
5. Liberalità
6. Monumento a Giovan Francesco di Sangro,
primo principe
7. Zelo della Religione
8. Ritratto di Vincenzo di Sangro
9. Soavità del giogo coniugale
10. Altare di Santa Rosalia
11. Pudicizia
12. Monumento ad Alessandro di Sangro
13. Altare maggiore
La Pietà
Ubicazione
14. Disinganno
Stato Italia
15. Altare di Sant'Oderisio
Località Napoli
16. Sincerità
17. Dominio di sé stessi Indirizzo Via Francesco De Sanctis
18. Monumento a Paolo di Sangro, sesto 19/21
principe Caratteristiche
19. Educazione Tipo Arte, scultura
20. Monumento a Paolo di Sangro, secondo
principe
21. Amor divino
22. Monumento a Giovan Francesco di Sangro,
quinto principe
23. Monumento a Cecco de' Sangro
24. Volta: Gloria del Paradiso
25. Tomba di Raimondo di Sangro
Ritratto di Raimondo di Sangro
26. Pavimento labirintico
27. Macchine anatomiche
28. Sagrestia
Opere perdute e cenni economici
Sito web (http://www.museosansevero.it/)
Note
Annotazioni
Fonti
Bibliografia
Bibliografia di riferimento
Bibliografia di approfondimento
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni

Cenni storici

Origini
Leggende su Raimondo di Sangro[7][8]
Mentre una leggenda vuole che la chiesa sia stata
eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla
Nel tempo ha avuto origine
dea Iside, un'altra, riportata nel 1623 da Cesare
un gran numero di leggende
d'Engenio Caracciolo nel suo Napoli Sacra, narra
sulla Cappella Sansevero e
che un uomo, ingiustamente arrestato, veniva tradotto
sul suo ideatore, Raimondo
verso il carcere quando, transitando lungo il muro
di Sangro: i laboratori situati
della proprietà dei Sansevero, si votò alla Santa
nelle cantine del palazzo di
Vergine. Improvvisamente, parte del muro crollò,
famiglia, adiacente alla
rivelando un dipinto (quello posto nella cappella in
cappella, gli improvvisi
cima all'altare maggiore) proprio della Vergine
bagliori che ne scaturivano e
invocata, una pietà che darà poi il nome alla chiesa,
le invenzioni che lì avevano origine stimolavano
intitolata appunto a Santa Maria della Pietà.[9][10] La
infatti la fervida fantasia dei napoletani.
devozione dell'arrestato non fu riposta invano
giacché, poco tempo dopo, ne venne riconosciuta Alcune di queste leggende erano tutt'altro che
l'innocenza. Scarcerato, l'uomo, memore del lusinghiere: si dice, ad esempio, che il Principe
miracolo, fece restaurare la Pietà, disponendo che al «fece uccidere due suoi servi» per
suo cospetto ardesse per sempre una lampada in «imbalsamarne stranamente i corpi» (riferendosi
argento.[9] alle macchine anatomiche); «ammazzò [...]
nientemeno che sette cardinali» utilizzando la
Il luogo sacro divenne presto meta di pellegrinaggio
loro pelle e le loro ossa per realizzare delle
popolare e conseguente oggetto di invocazioni.
sedie; accecò lo scultore Giuseppe Sanmartino
Anche il duca di Torremaggiore, Giovan Francesco
per far sì che non fosse in grado di riprodurre
di Sangro[A 1], colpito da grave malattia si votò a
per altri un'opera straordinaria come il Cristo
questa Madonna e in seguito avendo recuperato la
velato; «entrava in mare con la sua carrozza e i
salute fece erigere la piccola cappella di Santa Maria
suoi cavalli [...] senza bagnare le ruote» e
della Pietà, comunemente detta la Pietatella.[9]
«riduceva in polvere marmi e metalli».
Secondo studi recenti, la vera origine della cappella
Un'altra leggenda riguarda invece le circostanze
sarebbe invece da far risalire all'omicidio, compiuto
della morte di Raimondo. La riporta Benedetto
nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590 da Carlo
Croce: «Quando sentì non lontana la morte,
Gesualdo da Venosa, in cui morirono Maria
provvide a risorgere, e da uno schiavo moro si
d'Avalos, moglie di Carlo Gesualdo, e l'amante di lei
lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una
Fabrizio Carafa, figlio di Adriana Carafa della Spina,
cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano
moglie in seconde nozze di Giovan Francesco di
a tempo prefisso; senonché la famiglia [...] cercò
Sangro e prima principessa di Sansevero. In
la cassa, la scoperchiò prima del tempo, mentre
conseguenza di questo evento luttuoso, la madre di
i pezzi del corpo erano ancora in processo di
Fabrizio Carafa avrebbe fatto edificare la cappella,
saldatura, e il principe, come risvegliato nel
pensandola come voto alla Madonna per la salvezza
sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito,
eterna dell'anima del figlio. A riprova di tale ipotesi,
gettando un urlo di dannato».
l'iscrizione in latino «Mater Pietatis», presente sulla
volta della Pietatella e contenuta in un sole raggiante,
rappresenterebbe il voto di dedica dell'edificio alla
Madonna.[11]
Qualunque sia stata la sua origine, è accertato che i La diceria più famosa riguarda infine
lavori edili per la costruzione della chiesetta gentilizia nuovamente il Cristo Velato, affermando che il
iniziarono nel 1593, come si deduce da alcune velo fosse in origine un vero tessuto, trasformato
polizze in possesso del Banco di Napoli. Già venti in marmo da Raimondo per mezzo di un
anni più tardi Alessandro di Sansevero (figlio di qualche misterioso processo alchemico.
Giovan Francesco), Patriarca di Alessandria e
Arcivescovo di Benevento, decise di ampliare la
preesistente, piccola costruzione, per renderla degna di accogliere le spoglie di tutti i di Sangro, come
testimoniato dalla lapide marmorea datata 1613 posta sopra l'ingresso principale dell'edificio.[9][12]

(LA) (IT)

«ALEXANDER DE SANGRO «ALESSANDRO DI SANGRO


PATRIARCHA ALEXANDRIAE PATRIARCA DI ALESSANDRIA
TEMPLVM HOC A DESTINÒ QUESTO TEMPIO ,
FUNDAMENTIS EXTRVCTVM INNALZATO DALLE
BEATAE VIRGINI FONDAMENTA ALLA BEATA
SIBI AC SVIS SEPVLCRVM VERGINE, A SEPOLCRO PER
ANNO DOMINI MDCXIII» SÉ E PER I SUOI NELL’ ANNO
DEL SIGNORE MDCXIII
[N.D.R. 1613]»

Nel Seicento

Dal momento che l'assetto del tempio gentilizio venne riorganizzato da Raimondo di Sangro nel Settecento,
ben poco rimane della Pietatella del XVII secolo. Il restauro settecentesco mantenne inalterate le dimensioni
perimetrali e quattro dei mausolei laterali. Oltre a ciò, dell'originale cappella seicentesca è rimasta solo la
decorazione policroma dell'abside e quattro statue.[9][13]

Grazie a documenti dell'epoca, tuttavia, ci è dato sapere che già nel Seicento la cappella disangriana doveva
essere caratterizzata da un elevato valore artistico. Basti pensare che Pompeo Sarnelli, nella sua Guida de'
forestieri, curiosi di vedere, e d'intendere le cose più notabili della regal città di Napoli, e del suo amenissimo
distretto, la descrisse come:[14][15][16]

«[...] grandemente abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le statue
di molti degni personaggi di essa famiglia co’ loro elogi»

Appartengono alla fase seicentesca della cappella il monumento al primo principe di Sansevero Giovan
Francesco di Sangro, realizzato probabilmente da Giacomo Lazzari nella prima metà del XVII secolo e
collocato nella seconda cappella laterale sulla sinistra;[17] la statua del secondo principe Paolo di Sangro, di
incerta attribuzione e situata nella prima nicchia sulla destra;[18] il monumento a Paolo di Sangro quarto
principe di Sansevero che si trova nella prima nicchia sulla sinistra, opera del 1642 di Bernardo (o Bernardino)
Landini e Giulio Mencaglia;[19][20] e il monumento al Patriarca di Alessandria Alessandro di Sangro, situato nel
lato sinistro della cappella nei pressi dell'altare e opera di un artista ignoto.[21]

Il Settecento
La sistemazione seicentesca della cappella fu stravolta a partire dagli anni '40 del Settecento, quando il principe
Raimondo di Sangro iniziò ad ampliarla e a commissionare diverse opere d'arte con cui arricchirla, al fine di
creare un luogo che testimoniasse la grandezza del suo casato.[13]

Negli anni successivi, il principe Raimondo ingaggiò artisti di fama internazionale quali Giuseppe Sanmartino,
Antonio Corradini, Francesco Queirolo e Francesco Celebrano: è in questo periodo che vennero realizzati
capolavori come il Cristo velato, il Disinganno e la Pudicizia. Raimondo impiegò buona parte delle sue
sostanze, e in più occasioni dovette anche contrarre dei debiti, per portare a compimento la realizzazione della
cappella. Era un committente generoso, ma anche molto esigente e spesso dirigeva personalmente i lavori,
affinché le opere corrispondessero pienamente al ruolo che era stato loro stabilito all'interno del grande
progetto iconografico della cappella. In alcuni casi, fu lo stesso Principe a realizzare anche i materiali utilizzati,
come per il cornicione sopra gli archi delle cappelle laterali o per i colori dell'affresco sulla volta.[13]

Alla fine dei lavori, all'esterno della porta laterale della Pietatella fu posta una lapide, che riporta la data del
1767.

«Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi


omaggio alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla
Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero don Raimondo
di Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei
suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste
di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei
defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati»

(L'iscrizione presente sulla porta laterale della Cappella Sansevero[13][22])

Il trio d'eccellenza della Cappella è composto


dal Cristo velato, dalla Pudicizia e dal
Disinganno,[23] tre opere d'arte volute da
Raimondo di Sangro quando pose mano
all'ampliamento e arricchimento del tempio. Il
Principe voleva farne, infatti, una struttura
maestosa che celebrasse degnamente la gloria
del casato dei di Sangro.[13]

Dall'Ottocento in poi

La notte tra il 22 e il 23 settembre 1889, a causa di un'infiltrazione d'acqua, crollò il ponte che collegava il
mausoleo dei Sansevero con il vicino palazzo di famiglia. A causa di quest'evento, che interessò anche parte
della cappella e del palazzo signorile, oltre al camminamento andarono persi gli affreschi sotto il gariglione[A 2]
e il disegno labirintico del pavimento della cappella.[2][24]
I restauratori si trovarono nell'impossibilità di ripristinare la
pavimentazione originale, seriamente danneggiata, e nel 1901
optarono per ripavimentare la cappella in cotto napoletano, mentre lo
stemma dei di Sangro al centro del pavimento fu realizzato con smalti
giallo e azzurro che riprendono i colori del casato.

In seguito alla sua trasformazione in polo museale nell'Ottocento la


cappella, oltre ad accogliere quotidianamente un consistente numero
di turisti, cominciò ad essere anche utilizzata come spazio per eventi e
concerti.[2] Tra le iniziative del 2013 è possibile ad esempio citare: La cappella nell'Ottocento: si notino
le varie statue, e il Cristo velato
la rassegna MeravigliArti, con cui la Pietatella ha ospitato posto ai piedi della Pudicizia.
eventi di letteratura, musica e teatro e a un'installazione di L'autore dello scatto è il fotografo
arte contemporanea;[25] tedesco Giorgio Sommer.
La recita Paolo Borsellino, essendo stato (liberamente
tratta dall'opera di Ruggero Cappuccio), dove un gruppo di
attori ha ricordato Falcone e Borsellino, i due magistrati palermitani considerati eroi simbolo
della lotta alla criminalità organizzata.[26]

A testimonianza dell'alto grado di attrattività che il monumento continua a dimostrare, nel 2013 TripAdvisor ha
assegnato alla Pietatella il Travellers Choice Attractions 2013, sulla base delle segnalazioni effettuate sul sito
da utenti provenienti da tutto il mondo. La cappella, quindi, è risultata essere il museo italiano più apprezzato
dagli utenti del portale, davanti a mete più tradizionali come i Musei Vaticani o la Galleria degli Uffizi di
Firenze. Nella speciale classifica dedicata ai siti museali europei, guidata dal Museo del Louvre e del British
Museum, la cappella si è invece classificata al nono posto assoluto.[27][28]

Cenni architettonici
La facciata della cappella, che si apre sulla stretta via
Francesco de Sanctis, appare semplice e sobria nelle
sue linee, caratteristiche tipiche del principio del
XVII secolo in cui è ancora vivo lo spirito
classicheggiante.[29] È possibile accedere all'interno
tramite il grande portale al centro della facciata,
sormontato dallo stemma della famiglia di Sangro e
dove si trova la lapide di marmo che ricorda i lavori
di Alessandro di Sangro, oppure usufruendo della
porticina laterale che si affaccia su calata San
Severo.

La chiesetta, tipica espressione del barocco


La facciata della L'ingresso della cappella. Si napoletano, è di forma rettangolare ed è costituita da
cappella domina via noti la dedica di Alessandro una navata unica, verosimilmente risalente al
Francesco de Sanctis, de' Sangro, iscritta sulla lapide 1593.[30] Lungo le pareti laterali otto archi a tutto
stradina appena dietro di marmo posta sopra al sesto, quattro per lato, introducono altrettante
la più grande piazza portone. cappellette laterali, mentre un ulteriore grande arco
San Domenico separa l'area del presbiterio, situata in fondo alla
Maggiore chiesa e occupata dall'altare maggiore.[31] Al centro
dei due lati lunghi, rispettivamente a sinistra e destra
di chi entra, si aprono la porta laterale di cui si è già
detto e l'accesso alla sacrestia e alla cosiddetta cavea sotterranea.[13]
Al di sopra degli archi l'intera lunghezza della cappella è percorsa da un cornicione, realizzato con un mastice
ideato dal principe Raimondo, al di sopra del quale si diparte la volta a botte, completamente affrescata dal
dipinto realizzato da Francesco Maria Russo conosciuto come Gloria del Paradiso.[32] Alla base della volta,
subito sopra il cornicione, si aprono le sei finestre strombate che forniscono luce alla cappella.[13][33]

Tutte le opere d'arte contenute all'interno della struttura, ad eccezione di quattro, furono commissionate da
Raimondo di Sangro, e a lui si doveva anche la pavimentazione settecentesca, costituita da un intarsio
marmoreo bianco e nero simboleggiante un labirinto;[24] alla loro realizzazione hanno contribuito autori come
Francesco Celebrano, Antonio Corradini, Francesco Queirolo e Giuseppe Sanmartino.[34]

Infine, al di sopra della porta maggiore, è collocata una piccola tribuna, dalla quale partiva il passaggio di
collegamento tra la cappella e il Palazzo di Sangro, finemente stuccato, andato distrutto nel citato crollo del
1889.[35]

Progetto iconografico

«L'opera ha un significato e il suo


significato può essere nascosto, così
l'opera d'arte diviene simbolo ...[37]»

L'elemento più notevole della Cappella Sansevero è


senza dubbio il suo corredo di statue, il quale segue un
progetto iconografico attentamente studiato e voluto da
Raimondo di Sangro e del quale gli artisti che
lavorarono alle diverse opere furono spesso meri
esecutori.[38][39]

Elemento portante di tale progetto sono le dieci statue


denominate Virtù, addossate ad altrettanti pilastri, di cui
nove dedicate alle consorti di nove membri della
famiglia Sansevero e una - il Disinganno - dedicata ad
Antonio di Sangro, padre del principe Raimondo.

All'interno delle cappelle laterali e inframmezzati alle Questa lettera, cifrata con il codice rosacrociano,
statue delle Virtù si trovano invece i monumenti funebri contiene informazioni per capire il significato delle
di diversi principi e altri esponenti celebri della casata, sculture, e il progetto iconografico ideato da
compresi lo stesso Raimondo di Sangro e suo figlio Raimondo. La decriptazione è opera della
Vincenzo, che al momento della realizzazione delle professoressa Clara Miccinelli, che ha decifrato il
opere erano ancora in vita. La funzione principale della documento col codice tratto da Das Lehrsysrem des
Cappella Sansevero era infatti quella di cappella Ordens des Gold und Rosenkreuzer.[36]
sepolcrale della famiglia di Sangro e l'intenzione di
Raimondo era quella di onorare il proprio casato ed
esaltare le virtù e le glorie dei suoi esponenti.[37]

Nell'impianto statuario, e in particolare nelle raffigurazioni delle Virtù, è inoltre possibile notare una serie di
significati allegorici, spesso riferiti al mondo della massoneria, di cui Raimondo di Sangro era Gran maestro.

All'interno del progetto del principe Raimondo le Virtù vogliono rappresentare le tappe di un cammino
spirituale, paragonabile a quello dell'iniziato massone, che conduca ad una migliore conoscenza e al
perfezionamento di sé. Parte integrante di questo percorso è il pavimento labirintico, che rappresenta le
difficoltà del cammino che porta alla conoscenza.[24][38]
La quasi totalità delle Virtù è stata modellata secondo le norme iconografiche stabilite da Cesare Ripa nella sua
Iconologia, opera particolarmente apprezzata da Raimondo che, tra l'altro, ne finanziò una riedizione in cinque
volumi. Esse però non seguono totalmente il modello classico, ma vi introducono alcune novità, ognuna delle
quali con un preciso significato.[38]

Nella rappresentazione della Pudicizia - opera dedicata a Cecilia Gaetani, la madre di Raimondo di Sangro -
ad esempio la figura femminile velata è vista come un riferimento alla dea egizia Iside, che rivestiva un ruolo
importante nella scienza iniziatica. Sempre nella stessa statua la lapide spezzata fa riferimento alla morte
prematura della nobildonna, mentre l'incensiere ai piedi della statua ricorda quelli utilizzati durante le cerimonie
massoniche. Il ramo di quercia che sembra fuoriuscire dal basamento della scultura è forse un rimando
all'albero della conoscenza, mentre un'altra interpretazione lo vede come l'albero della vita.[23][37][38][40]

La cuspide di piramide che si può notare alle spalle della Liberalità, della Soavità del giogo coniugale, della
Sincerità e dell'Educazione è un elemento comune nelle raffigurazioni funebri dell'epoca e simboleggia la
gloria dei principi.[41]

Un significato legato alla massoneria è visibile anche nel monumento a Cecco di Sangro. La curiosa
raffigurazione del guerriero, situato proprio al di sopra della porta di ingresso della cappella, che, armato, esce
da una bara, ha portato alla sua interpretazione come quella del guardiano del tempio massonico. Il tema della
risurrezione, che si ritrova anche nel Cristo velato, nella Deposizione alle spalle dell'altare maggiore e nel
bassorilievo della Pudicizia è inoltre uno dei temi più ricorrenti nella cappella.[42]

Elemento centrale della rappresentazione moderna, il Cristo velato nelle intenzioni del Principe doveva essere
collocato nella «cavea sotterranea», insieme ai futuri sepolcri dei Sansevero, e illuminato da lampade perpetue
di ideazione del principe Raimondo. È probabile però che l'opera non sia mai stata portata all'interno della
cavea.[43]

Opere
La Cappella Sansevero è un concentrato di opere
scultoree e pittoriche, e la prima che si nota appena
entrati nell'edificio è l'affresco che ne orna il soffitto,
noto come Gloria del Paradiso o il Paradiso dei
Sangro, opera del poco conosciuto pittore Francesco
Maria Russo che, come riportato nell'affresco stesso, lo
realizzò nel 1749. Di esso colpisce, a distanza di due
secoli e mezzo dalla realizzazione, la brillantezza dei
colori, anche in questo caso dovuti all'inventiva di
Raimondo di Sangro e alla sua pittura definita
«oloidrica».[32][44][45]
Fotografia della Cappella dall'alto
L'affresco del soffitto termina, in corrispondenza delle
finestre, con sei medaglioni monocromi, in verde, con i
Santi protettori del Casato: San Berardo di Teramo, San Berardo cardinale dei Marsi, Santa Filippa Mareri,
San Oderisio, San Randisio e Santa Rosalia[46].

Al di sotto di questi, in corrispondenza degli archi delle sei cappelle più vicine all'altare, sono presenti sei
medaglioni marmorei, opera di Francesco Queirolo, con le effigi di sei cardinali originari della famiglia di
Sangro.[47]

Per l'impianto statuario, il Principe chiamò lo scultore Antonio Corradini, veneto e massone, che riuscì però a
ultimare solo le statue della Pudicizia (dedicata alla madre prematuramente scomparsa del principe
Raimondo),[23] del Decoro e il monumento dedicato a Paolo di Sangro sesto principe di Sansevero, oltre a
lasciare alcuni bozzetti per altre opere. Tra queste figura il Cristo velato, la cui realizzazione passò poi a
Giuseppe Sanmartino.

Con riferimento alla planimetria a lato, le opere principali sono così identificabili:

«Unicum» della cappella

1. Cristo velato, Giuseppe


Sanmartino;
27. Macchine anatomiche,
Giuseppe Salerno;

Statue delle Virtù

3. Decoro, Antonio Corradini;


5. Liberalità, Francesco
Queirolo;
7. Zelo della Religione,
Fortunato Onelli.
9. Soavità del giogo coniugale,
Paolo Persico;
11. Pudicizia, Antonio Corradini;
14. Disinganno, Francesco
Queirolo;
16. Sincerità, Francesco
Queirolo;
17. Dominio di sé stessi,
Francesco Celebrano;
19. Educazione, Francesco
Queirolo;
21. Amor divino, autore ignoto.

Altre statue

2. Monumento a Giovan Francesco di Sangro, terzo principe, Antonio Corradini;


4. Monumento a Paolo di Sangro, quarto principe, Bernardo Landini e Giulio Mencaglia;
6. Monumento a Giovan Francesco di Sangro, primo principe, Giacomo Lazzari;
10. Altare di Santa Rosalia, Francesco Queirolo;
12. Monumento ad Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, autore ignoto;
15. Altare di Sant'Oderisio, Francesco Queirolo;
18. Monumento a Paolo di Sangro, sesto principe, Antonio Corradini;
20. Monumento a Paolo di Sangro, secondo principe, forse Giacomo Lazzari;
22. Monumento a Giovan Francesco di Sangro, quinto principe, Francesco Celebrano.
23. Monumento a Cecco de' Sangro, Francesco Celebrano;

Altre opere

8. Ritratto di Vincenzo di Sangro, Carlo Amalfi;


13. Altare maggiore. Angeli di Paolo Persico, La Deposizione di Francesco Celebrano e La Pietà
di autore ignoto.
24. Gloria del Paradiso, Francesco Maria Russo;
25. Tomba di Raimondo di Sangro, Francesco Maria Russo;
26. Pavimento labirintico, Francesco Celebrano;
28. Sagrestia.

Esame delle principali opere

Di seguito viene riportata la descrizione delle opere principali.

La numerazione fa riferimento all'elenco e alla cartina che sono stati presentati sopra.

1. Cristo velato
Invenzioni di Raimondo di Sangro[48][49]
L'opera più celebre della Cappella Sansevero è senza
dubbio il Cristo velato, posto al centro della navata
centrale. Originariamente la statua doveva essere
scolpita da Antonio Corradini, già autore della
Pudicizia, del Decoro e della statua dedicata al sesto
principe di Sansevero Paolo di Sangro. Corradini
però morì nel 1752 senza riuscire a completare
l'opera, ma realizzandone solo un bozzetto in
terracotta.[51]

Raimondo fu quindi costretto ad affidarsi al talento di


Giuseppe Sanmartino, che ebbe così l'opportunità di L'elegante carrozza marittima mentre solca le onde di gran
realizzare «una statua di marmo scolpita a grandezza carriera, con tanto di cavalli e cocchiere.
naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo
morto, coperto da un sudario trasparente realizzato Rinomato come scienziato e sperimentatore, nel
dallo stesso blocco della statua». Giuseppe corso della sua vita Raimondo di Sangro diede
Sanmartino, in ogni caso, tenne poco conto dei la luce a numerose invenzioni, con cui spesso
bozzetti precedentemente disegnati da Corradini, di dilettava a stupire i propri contemporanei.
ripartendo quindi con un nuovo progetto.[51][52] Molte di esse sono andate perdute, anche
perché il Principe non amava descrivere i
Si trattava di un Cristo, sdraiato su un materasso, con dettagli delle sue creazioni, ma sono ricordate in
il capo sorretto da due cuscini e inclinato testi settecenteschi o attraverso gli scambi
lateralmente, il cui corpo è ricoperto da un velo che epistolari tra Raimondo e i suoi amici.[50] Tra le
aderisce perfettamente alle forme del viso e al corpo invenzioni più famose è possibile citare:
stesso, tanto che sono visibili le ferite del martirio. Al
lato si trovano gli strumenti del supplizio: una Il palco pieghevole, realizzato per una esibizione
realistica corona di spine, una tenaglia e dei chiodi, nel cortile del Collegio Romano dei Gesuiti dove
uno dei quali sembra quasi pizzicare il velo del Raimondo, ancora diciannovenne, stava
sudario. studiando nel 1729;[48]
Il lume perpetuo (o lampada eterna), una
È proprio il velo l'elemento della statua più notevole lampada in grado di bruciare per tre mesi senza
e che meglio evidenzia l'abilità dello scultore. consumarsi. Sebbene l'opera non fu mai vista da
Analogamente a quanto avviene con la Pudicizia del alcun testimone, Raimondo la descrive
Corradini, il velo copre il corpo, senza però celarlo; accuratamente in una lettera mandata all'amico
Sanmartino riuscì però a imprimere al panno una Giovanni Giraldi;[48]
plasticità e un movimento che si discostano dai più La carrozza marittima, una carrozza con tanto di
rigidi canoni del maestro veneto. Il velo aderisce alle cavalli grazie alla quale stupì i suoi concittadini
nel 1770 solcando le acque del Golfo di Napoli
senza bisogno di remi; in realtà i cavalli erano di
ferite del corpo del Cristo e al costato scavato, sughero e la carrozza si muoveva grazie a un
mettendone ancora più in luce, anziché nasconderle, sistema di pale a forma di ruote.[48]
il dolore e la sofferenza.[51][53] Una macchina idraulica, con la quale sarebbe
stato possibile far arrivare l'acqua a notevoli
La fama di alchimista e inventore che ha altezze senza l'aiuto di animali;[48]
accompagnato Raimondo di Sangro ha fatto nascere Le gemme artificiali, praticamente indistinguibili
la leggenda che l'incredibile trasparenza del velo sia dalle vere pietre preziose;[48]
dovuta al fatto che si tratterebbe in realtà di una vera La stampa simultanea a più colori: avendo
stoffa, misteriosamente trasformata in marmo per creato un laboratorio tipografico nel palazzo di
mezzo di qualche processo chimico di invenzione del famiglia era riuscito a scoprire (come descrive
Principe. In realtà una attenta analisi non lascia dubbi una fonte settecentesca) «un nuovo modo
sul fatto che l'opera sia stata realizzata interamente in d’imprimere a una sola tirata di torchio, e a un
marmo, e questo è anche confermato da alcune lettere medesimo tempo, qualsivoglia figura sì d’uomini,
come di fiori, e d’ogni altra cosa variamente
dell'epoca a firma del principe di Sangro, nelle quali
colorita».[48]
egli afferma che il sudario è stato «realizzato dallo
stesso blocco della statua».[54]

2. Monumento a Giovan Francesco di Sangro, terzo principe

La prima opera che si incontra partendo da sinistra non appena entrati nella cappella è il monumento funebre
dedicato al terzo principe di Sansevero, Giovan Francesco di Sangro, morto a soli quarant'anni a causa di una
malattia durante una spedizione militare in Africa. Esso raffigura un angelo alato, intento a piangere sulla
lapide che ricorda le doti militari del dedicatario, le cui lacrime sembrano cadere nell'acquasantiera a forma di
conchiglia posta alla base dell'opera. La sua attribuzione non è sicura e alcuni studiosi lo ritengono opera di
Francesco Celebrano, ma la teoria più accreditata ne ritiene autore Antonio Corradini.[55]

3. Decoro
(LA) (IT)

«Sic floret decoro decus» «Così la bellezza rifulge per decoro.»

(Iscrizione incisa sulla colonna[56][57])

Sulla sinistra della porta di ingresso della cappella si trova la statua del Decoro, realizzata da Antonio Corradini
tra il 1751 e il 1752 e dedicata a Isabella Tolfa e Laudomia Milano, consorti del terzo principe di Sansevero
Giovan Francesco di Sangro.[58]

L'opera raffigura un giovane seminudo, con i fianchi cinti da una pelle di leone. Al suo fianco si trova una
piccola colonna sulla quale poggia la testa mozzata di un leone, a simboleggiare la supremazia dello spirito
umano sulla natura selvaggia. Sulla colonna al di sotto della testa dell'animale è incisa la frase latina «Sic floret
decoro decus» (così la bellezza rifulge per decoro). Ai piedi il giovinetto indossa due diverse calzature: al
sinistro un coturno e al destro un più semplice zoccolo. Secondo alcuni studiosi questo particolare allude al
duplice rapporto con il mondo divino e quello sotterraneo, mentre secondo altri vuole significare che decoro e
contegno devono essere rispettati indipendentemente dalla propria estrazione sociale.[56][58]

In origine il basamento era corredato di un bassorilievo, raffigurante l'episodio biblico di Susanna tentata dai
vecchioni, che fu però rimosso nel 1755 e sostituito da un'iscrizione.[56][59]

4. Monumento a Paolo di Sangro, quarto principe


Situato nella prima cappella sulla sinistra, il monumento a Paolo di
Sangro, quarto principe di Sansevero, è una delle quattro statue
presenti nella cappella provenienti dalla sua sistemazione seicentesca.
Esso fu realizzato nel 1642 da Bernardo Landini e Giulio Mencaglia e
raffigura il dedicatario nelle vesti di un cavaliere in armatura, con la
spada legata al fianco e l'elmo poggiato a terra ai suoi piedi. La
nicchia in cui si trova la statua è decorata da una serie di marmi
policromi, che contribuiscono a rendere l'opera la più suggestiva tra le
quattro precedenti l'intervento di Raimondo di Sangro, mentre ai lati
del sarcofago posto sotto la statua è possibile notare due maschere e
alla sua base due piccoli busti di leone che recano un teschio e una
clessidra, a testimoniare la caducità della vita.[19][20]

5. Liberalità

Collocata sul pilastro che fiancheggia, sulla sinistra, la prima cappella


di sinistra, la Liberalità è dedicata a Giulia Gaetani dell'Aquila
d'Aragona, moglie del quarto principe di Sansevero.[41][60] La statua
venne citata dallo storico Giangiuseppe Origlia nel 1754, il che
permette di stabilire come anche questa scultura rientrasse nel gruppo
di opere portate a termine dal Queirolo nei suoi primi due anni di
permanenza a Napoli. Il monumento al quarto principe
Paolo di Sangro come raffigurato
La scultura rappresenta una figura femminile coperta da un morbido
sulla Guida di Pompeo Sarnelli.
drappeggio in marmo. Con la mano sinistra la donna sorregge una
grande cornucopia, caratteristico simbolo di generosità, che riversa a
terra oro e ricchezze; nella mano destra stringe invece un compasso e alcune monete, simbolo di equilibrio e
nuovamente di generosità. Per terra a fianco della donna, in posizione simmetrica rispetto alla cornucopia, si
trova un'aquila, emblema di forza e temperanza.[41][61][62]

Analogamente a quanto accade nelle rappresentazioni di Soavità del giogo coniugale, Sincerità ed
Educazione, alle spalle della statua è collocata la faccia di una piramide, al di sopra della quale si trova un
medaglione con il ritratto della dedicataria dell'opera.[41][62]

6. Monumento a Giovan Francesco di Sangro, primo principe

Nella seconda cappella sulla sinistra si trova il monumento dedicato al primo principe di Sansevero Giovan
Francesco di Sangro, fondatore secondo la tradizione del nucleo originale della cappella. Il monumento fu
commissionato da di lui figlio Alessandro di Sangro nella prima metà del XVII secolo e fu probabilmente
realizzato dallo scultore fiorentino Giacomo (o Jacopo) Lazzari, anche se alcuni studiosi lo attribuiscono
invece a Michelangelo Naccherino. Il principe, valoroso soldato, è ritratto con indosso l'armatura e la spada
appesa al fianco, mentre con la mano destra regge una lancia; un elaborato elmo è poggiato ai suoi piedi.
Come nel caso del monumento al quarto principe Paolo di Sangro, la statua e il sarcofago sono circondati da
una cornice di marmi policromi.[17]

7. Zelo della Religione

Situato tra la seconda e la terza cappella sulla sinistra, lo Zelo della Religione è in memoria a Ippolita del
Carretto e Adriana Carafa della Spina, consorti del primo principe di Sansevero e fondatore della cappella
Giovan Francesco di Sangro, ricordate per la loro fede.[63]
La paternità dello Zelo è stata per lungo tempo attribuita
prima ad Antonio Corradini e poi al Queirolo; alcuni
documenti recuperati negli archivi del Banco di Napoli
hanno infine permesso di riconoscerne l'autore in
Fortunato Onelli, un artista partenopeo alle dipendenze
del Celebrano. Una carta del 1767 testimonia che
Onelli non riuscì a terminare il lavoro nei tempi
promessi e fu necessario ingaggiare altri artisti più
esperti per finirlo e correggere alcune
imperfezioni.[63][64]
Lo Zelo della Religione; sullo sfondo si intravede il
ritratto di Vincenzo di Sangro Questa Virtù, che esalta la devozione delle due donne, è
incarnata da un uomo in età avanzata che regge con la
mano sinistra una lampada simbolo della verità e
nell'altra una piccola frusta. Mentre con questo strumento punisce il sacrilegio, con il piede il vecchio calpesta
alcuni serpenti, simbolo dell'eresia, che fuoriescono da un libro. Il gruppo scultoreo è completato da tre putti: i
due più in alto, posti al di sopra di un capitello, reggono un grande medaglione con i ritratti delle due
dedicatarie, mentre il terzo è intento a bruciare con un fiaccola altri libri eretici.[63][65]

8. Ritratto di Vincenzo di Sangro

Il ritratto di Vincenzo di Sangro, olio su rame del pittore sorrentino Carlo


Amalfi, è stato a lungo erroneamente identificato come un'immagine del
principe Raimondo. Grazie a numerose fonti, tuttavia, è stato possibile
determinare che si tratta invece di Vincenzo, figlio primogenito di
Raimondo.

L'opera è adagiata su una bara ed è circondata da un apparato decorativo


composto da cinque putti: tre di essi sono intenti a sorreggere il ritratto
mentre gli altri due reggono un grosso mantello in stucco posto dietro di
esso. Contrariamente a quanto fatto per altri membri della famiglia, il
ritratto non è accompagnato da alcuna iscrizione celebrativa o biografica.
La bara e le decorazioni risalgono certamente a prima del 1766, mentre è
incerto quando sia stato eseguito il ritratto; la datazione più accreditata è
per la metà degli anni 1770, quando Vincenzo, nato nel 1743, aveva
circa 30 anni. Il dipinto venne rubato nel 1990 durante i lavori di restauro
della cappella, ma è stato recuperato nel luglio dell'anno seguente e Ritratto di Vincenzo di Sangro,
ricollocato sulla «porta piccola» della cappella gentilizia, sua sede opera del pennello di Carlo
originale.[66][67] Amalfi. Vincenzo, la persona
ritratta nel dipinto, è stato a lungo
Il ritratto testimonia l'abilità artistica di Carlo Amalfi, autore anche di un erroneamente identificato con il
ritratto del padre Raimondo. Il giovane principe è ritratto di tre quarti, padre Raimondo.
abbigliato in parrucca e redingote. Il petto è attraversato trasversalmente,
da destra verso sinistra, da una fascia rossa, probabilmente l'insegna da
cavaliere dell'Ordine di San Gennaro. Tale elemento consentirebbe di far risalire il ritratto al periodo dopo il
1776, anno in cui a Vincenzo fu assegnato tale riconoscimento. Alla sinistra di Vincenzo si intravedono alcuni
libri e un elmo, indicanti le doti militari e la cultura del Principe. Vincenzo ebbe infatti una brillante carriera
militare nell'Esercito delle Due Sicilie, avanzando fino al grado di generale, e a partire dal 1772 fu gentiluomo
di camera di re Ferdinando IV.[66]

9. Soavità del giogo coniugale


La Soavità del giogo coniugale (anche nota come Benevolenza o Amor coniugale)[68] fu dedicata da
Raimondo di Sangro a Gaetana Mirelli, moglie di suo figlio Vincenzo, quando ella era ancora giovane. È per
questa ragione che il profilo di donna presente nel medaglione è poco più che abbozzato, pratica che si era
soliti usare quando si ritraevano persone ancora viventi. Una ricevuta di pagamento ha permesso di scoprire
che lo scultore Paolo Persico ricevette centosessanta ducati per la realizzazione dell'opera.[69][70]

L'opera raffigura una donna in stato di gravidanza e vestita alla maniera degli antichi romani con alle spalle il
lato di una piramide. La mano destra alzata porta due cuori in fiamme, simbolo dell'amore profondo e
reciproco che dovrebbe esistere tra due coniugi; la mano sinistra regge invece un giogo coperto di piume, a
simboleggiare una dolce obbedienza. Ai piedi della donna un angioletto sorregge un pellicano, animale che
nella iconografie medievale simboleggiava il sacrificio di Cristo sulla croce e che per questo è associato alla
Carità.[68][69]

10. Altare di Santa Rosalia

Nella quarta cappelletta sul lato sinistro del mausoleo, tra le statue della Pudicizia e della Soavità del giogo
coniugale, si trova l'altare di Santa Rosalia, opera eseguita dal Queirolo per ricordare la santa più famosa della
famiglia: Rosalia, figlia di Sinibaldo dei conti dei Marsi e Di Sangro. Rosalia è oggi soprattutto ricordata per
essere la patrona di Palermo, città che l'ha voluta insignire di tale titolo dopo che, secondo la tradizione, era
stata salvata da lei dalla peste scoppiata nel 1624.[71]

Lo stile semplice e raffinato, privo delle esasperazioni tipiche dell'architettura barocca, utilizzato dal Queirolo
per quest'opera fu particolarmente apprezzato da Antonio Canova quando questi visitò la cappella. La
composizione vede Santa Rosalia in preghiera, inginocchiata su un cuscino e con la testa cinta dalla corona di
rose tipica della sua iconografia. La santa poggia su un basamento sul quale è inserita una lapide
commemorativa in marmo rosso, ai lati del quale due angioletti completano il monumento.[71]

11. Pudicizia

La Pudicizia (anche detta Pudicizia velata) è dedicata a Cecilia


Gaetani dell'Aquila d'Aragona, madre di Raimondo di Sangro,
che morì nel dicembre del 1710, meno di un anno dopo la
nascita del figlio.[23][72]

La statua fu realizzata da Antonio Corradini, già autore del


Decoro, del monumento al sesto principe di Sansevero Paolo di
Sangro e dei bozzetti in creta di molte delle altre opere, delle
quali aveva studiato l'iconografia insieme al principe
Raimondo; l'artista, tuttavia, morì nel 1752, anno di
realizzazione della Pudicizia, come è testimoniato da una lapide
posta alla base dell'opera che riporta la scritta «dum reliqua
huius templi ornamenta meditabatur[A 3]».[23]

La scultura raffigura una donna completamente coperta da un


velo semitrasparente, cinta in vita da una ghirlanda di rose, che
ne lascia intravedere le forme e in particolare i tratti del viso.
Essa è considerata il capolavoro del Corradini (già autore in
passato di altre figure velate), del quale è elogiata l'abilità nel
modellare il velo che aderisce con naturalezza al corpo della La Pudicizia
donna.
La composizione è carica di significati: la lapide spezzata sulla quale la figura appoggia il braccio sinistro, lo
sguardo come perso nel vuoto e l'albero della vita che nasce dal marmo ai piedi della statua simboleggiano la
morte prematura della principessa Cecilia. Il tema della vita e della morte è ripreso dal bassorilievo del pilastro
su cui poggia la statua, raffigurante l'episodio biblico conosciuto come Noli me tangere, nel quale Gesù risorto
dice alla Maddalena di non cercare di trattenerlo.[23][72][73][74]

Con tutta probabilità la statua è anche un'allegoria alla sapienza, con un riferimento alla velata Iside, dea egizia
della fertilità e della scienza iniziatica; questa associazione è fortificata dal fatto che secondo una tradizione
nell'antichità nella medesima posizione in cui fu collocata la Pudicizia si trovava proprio una statua dedicata
alla dea Iside. Va inoltre ricordato che il Corradini, oltre ad aver collaborato con Raimondo di Sangro
nell'ideazione del significato iconografico della cappella, era a sua volta affiliato alla massoneria e doveva
quindi essere bene a conoscenza della simbologia delle opere a cui lavorò.[23][73]

12. Monumento ad Alessandro di Sangro

Il Patriarca di Alessandria Alessandro di Sangro, autore dell'ampliamento seicentesco della cappella, è


ricordato da un monumento funebre, realizzato da un artista ignoto intorno alla metà del XVII secolo, posto in
una nicchia alla sinistra dell'altare maggiore. Al di sopra del sarcofago si trova un ovale con un semplice
mezzobusto di Alessandro vestito in abiti religiosi. L'insieme è fiancheggiato da due colonnine in marmo
colorato, che reggono un architrave sulla quale si trovano due angioletti. Il sarcofago poggia su un basamento,
sempre in marmo, con una dedica che ricorda la carriera ecclesiastica di Alessandro.[21]

13. Altare maggiore

L'altorilievo marmoreo della Deposizione, che si trova al di sopra


dell'altare maggiore, è considerato dalla critica il capolavoro di
Francesco Celebrano, che probabilmente si ispirò a un modellino in
creta precedentemente preparato dal Corradini. Realizzato tra il 1762
e il 1768, è l'unico esempio di altorilievo ritrovabile sugli altari
maggiori delle chiese partenopee.[75][76]

L'opera raffigura l'episodio della deposizione di Cristo dalla croce:


alcune figure, tra le quali emergono Maria e la Maddalena assistono
affrante mentre il corpo di Gesù viene adagiato a terra; sotto di loro
due putti sorreggono il sudario, sul quale risalta un'immagine metallica
del volto di Cristo. Al di sotto del piano dell'altare altri due putti
scoperchiano una bara, ormai vuota. Il talento del Celebrano emerge
dalla drammaticità dell'intera scena, che riunisce insieme uno stile
tardo-barocco con elementi caratteristici dell'arte seicentesca
napoletana, che sembra voler fuoriuscire dagli spazi in cui è stata
confinata.[75][76][77]
L'Altare maggiore
La composizione dell'altare è completata lateralmente da due angeli in
stile barocco realizzati da Paolo Persico, autore anche della cornice di
angeli in stucco che circonda il dipinto della Pietà.[68]

La Pietà

Il dipinto della Pietà è collocato al centro di una cornice di angeli in stucco di Paolo Persico situata al di sopra
della Deposizione e dell'altare maggiore, posizione in cui fu voluta da Raimondo di Sangro. In precedenza
infatti essa si trovava immediatamente sopra l'altare, al posto della Deposizione.
La datazione e l'autore del dipinto sono ignoti: probabilmente fu realizzata da un manierista napoletano del
'500 prima del 1590. A tale data risale infatti la prima testimonianza della sua esistenza, con il miracolo della
sua apparizione all'uomo erroneamente portato in carcere. Più che per la sua qualità artistica, l'importanza
dell'opera risiede nel suo significato per la cappella. Secondo la tradizione infatti è in segno di riconoscenza
verso la Madonna raffigurata nel dipinto che il principe Giovan Francesco di Sangro iniziò la costruzione della
cappella, dedicata a Santa Maria della Pietà.[78]

14. Disinganno

«... l’ultima pruova ardita, a cui può la scultura in


marmo azzardarsi.»

(Giangiuseppe Origlia, Istoria dello Studio di Napoli (1753-54):


ovviamente, il riferimento è alla virtuosistica esecuzione della
rete. [79][80])

Il Disinganno è, insieme alla Pudicizia e al Cristo velato, una delle tre


opere principali della cappella, riportate nelle guide artistiche già negli
anni immediatamente seguenti la loro realizzazione. L'opera del
Queirolo è dedicata ad Antonio di Sangro, padre del principe
Raimondo e raffigura un uomo che si libera da una rete,
simboleggiante il peccato da cui era oppresso: in seguito alla morte
della giovane moglie, avvenuta solo un anno dopo la nascita del
figlio, il duca Antonio condusse infatti una vita disordinata e dedita ai
vizi viaggiando in tutta Europa, mentre il giovane Raimondo era stato
affidato al nonno paterno Paolo di Sangro.[81]
Il Disinganno
Ormai anziano, Antonio di Sangro tornò però a Napoli e, pentito dei
peccati commessi, abbracciò la fede e si dedicò a una vita
sacerdotale.[61][79]

Nella composizione marmorea l'uomo è aiutato a liberarsi dalla rete del peccato da un putto, simbolo
dell'intelletto umano, che con la mano destra indica il globo terrestre, simbolo della mondanità, adagiato ai suoi
piedi. L'elemento della fede attraverso cui è possibile liberarsi dagli errori commessi è rappresentato dalla
bibbia aperta appoggiata al globo e dal bassorilievo sul basamento del pilastro, che raffigura l'episodio biblico
di Gesù che dona la vista al cieco.[79][82]

Lo storico Giangiuseppe Origlia nella sua Istoria dello studio di Napoli afferma che il Disinganno è, come
iconografia, «tutta d'invenzione del Principe, e nel suo genere totalmente nuova». In essa è possibile rilevare
anche riferimenti alla massoneria, come il fatto che durante le iniziazioni per entrare nella loggia gli aspiranti
erano inizialmente bendati e in seguito era loro permesso di aprire gli occhi e comprendere la verità.
L'elemento che maggiormente colpisce della scultura è sicuramente la fitta rete, completamente in marmo,
prova della maestria del Queirolo. La composizione è completata da una lapide in cui Antonio di Sangro è
indicato come esempio della «fragilità umana, cui non è concesso avere grandi virtù senza vizi».[79]

15. Altare di Sant'Oderisio

Nell'ultima cappella laterale sulla destra, di fronte all'altare di Santa Rosalia, si trova il monumento dedicato a
Sant'Oderisio, cardinale e trentanovesimo abate dell'abbazia di Montecassino, uno dei santi protettori della
famiglia di Sangro. L'opera fu realizzata da Francesco Queirolo nel 1756, risultando quindi coeva all'altare di
Santa Rosalia.[83]
La statua raffigura Sant'Oderisio inginocchiato su un cuscino di porfido, accanto al quale è posato il cappello
cardinalizio. Il santo appare in atteggiamento mistico e con i lineamenti particolarmente espressivi. La bravura
del Queirolo è inoltre notabile nella realizzazione delle vesti.[83][84]

16. Sincerità

Situata sul quarto pilastro sul lato destro della cappella, tra l'altare di Sant'Oderisio e il passaggio che conduce
alla sacrestia, la statua rappresentante la Sincerità è dedicata a Carlotta Gaetani, moglie di Raimondo di
Sangro. Essa fu realizzata dal Queirolo, che si basò probabilmente su un modello in creta del Corradini.[60][85]

L'opera raffigura una donna di bell'aspetto, vestita con una semplice tunica, che regge con la mano sinistra un
cuore - classico simbolo di amore e carità - e con la destra un caduceo. La presenza di quest'ultimo elemento è
un esempio di come la simbologia voluta da Raimondo di Sangro, pur seguendo per molti aspetti l'iconografia
classica, se ne discosti per altri dettagli. Il caduceo infatti è estraneo alle raffigurazioni canoniche della Sincerità
ma è uno dei simboli del dio Hermes, considerato fondatore dell'ermetismo. Simboleggia pace e ragione e, in
alchimia, l'unione degli opposti cioè di zolfo e mercurio.[85][86]

La composizione è completata da un amorino, forse opera di Paolo Persico, in compagnia di due colombe
simbolo di purezza e fedeltà. L'opera è addossata alla faccia di una piramide, in cima alla quale si trova il
medaglione con il ritratto della dedicataria, appena abbozzato dal momento che al momento della sua
realizzazione Carlotta Gaetani era ancora in vita.[85]

17. Dominio di sé stessi


La cavea sotterranea[43]
Il Dominio di sé stessi, situato in corrispondenza del
terzo pilastro del lato destro della cappella, è dedicato
La cavea sotterranea doveva essere nelle
a Geronima Loffredo, moglie del sesto principe di
intenzioni del Principe un tempietto ipogeico
Sansevero Paolo di Sangro e nonna paterna del
dall'alto valore simbolico, ubicato a mezza
principe Raimondo. Esso fu scolpito da Francesco
altezza rispetto alla navata della cappella. Ivi il
Celebrano basandosi su un precedente progetto del
Principe voleva collocare infatti le spoglie dei
Queirolo, che non aveva potuto completarlo di
suoi discendenti, che sarebbero state riposte
persona avendo interrotto i suoi rapporti lavorativi
all'interno di casse marmoree.
con il Principe. Per questo motivo nel 1767 il
Celebrano firmò l'opera come «sculptor» ma non Raimondo descrive minuziosamente il suo
come «inventor».[87] progetto nei suoi scambi epistolari con
l'accademico della Crusca Giovanni Giraldi e
La composizione raffigura un uomo vestito alla
con il fisico Jean Antoine Nollet: il tempio
maniera degli antichi romani che tiene al guinzaglio
avrebbe dovuto avere forma ovale - come
un leone, sottomesso ai suoi piedi. Ciò vuole indicare
effettivamente è stato realizzato e «mostrerà di
come l'intelletto e la forza d'animo possono prevalere
essere scavato in una roccia, e prenderà
sulle passioni e sull'istinto, come nel caso di
bastantissimo lume da una cupola, nella quale
Geronima, che viene descritta come «mai abbattuta
saranno aperte alcune finestre». Il perimetro
dal destino ostile né troppo esaltata da quello
avrebbe dovuto essere «diviso in otto arcate con
propizio». Il tema del controllo delle proprie passioni
altrettanti pilastri» in modo che gli archi
è inoltre un elemento importante dell'ideologia
potessero ospitare i sepolcri per i futuri membri
massonica. L'opera è completata da due putti e da un
del casato.
medaglione con il ritratto della dedicataria.[87][88]
Al centro del piccolo tempio Raimondo voleva
Raimondo di Sangro non rimase molto soddisfatto
traslare il Cristo velato, rischiarandolo con due
dal lavoro del Celebrano, che forse si era distaccato
«lampade eterne» di sua invenzione. Le
troppo dal bozzetto del Queirolo, tanto che nel suo
intenzioni del Principe sono ricordate da una
testamento indicò che avrebbe voluto che l'opera lapide di marmo situata nella cavea, ma è
fosse rifatta.[87] probabile che il capolavoro del Sanmartino non
vi sia mai stato.
18. Monumento a Paolo di Sangro, sesto Il progetto, per ragioni ignote, non fu mai portato
principe a termine, né da Raimondo di Sangro né dal
figlio che ereditò tutti i suoi beni. All'interno del
Nella seconda cappella sulla destra si trova il percorso museale, la cavea ospita le due
monumento a Paolo di Sangro, sesto principe di macchine anatomiche, ovvero gli scheletri di un
Sansevero, commissionato dal nipote Raimondo ad uomo e una donna totalmente scarnificati.
Antonio Corradini e realizzato nel 1742. L'opera è
semplice e priva di simbologie nascoste ed è
costituita da un mezzobusto in marmo del dedicatario, ritratto con una vistosa parrucca e con le insegne delle
importanti cariche politiche da lui ricoperte.[89]

19. Educazione
(LA) (IT)

«Educatio et disciplina mores faciunt» «L’educazione e la disciplina formano i


costumi»

(Motto presente sul basamento del deposito[90])

Realizzata dal Queirolo nel 1753, l'Educazione raffigura una donna che impartisce i suoi insegnamenti a un
ragazzino, il quale tiene in mano il De officiis di Cicerone, opera ritenuta fondamentale per imparare i doveri
che un uomo onesto deve rispettare.[91]

La composizione è dedicata alle due mogli di Paolo di Sangro secondo principe di Sansevero, Girolama
Caracciolo e Clarice Carafa di Stigliano, ed è addossata a una piramide, in cima alla quale si trova il
medaglione con i ritratti delle due nobildonne.[91]

L'opera ha ricevuto critiche generalmente negative da parte degli storici dell'arte, che la ritengono la meno
riuscita tra le creazioni del Queirolo presenti nella cappella; in essa l'artista non sarebbe riuscito a infondere
nella scultura, dominata dalla massiccia e rigida figura dell'istitutrice, la grazia si cui si era dimostrato capace
nel Disinganno. Anche se, come osservato dalla studiosa Marina Causa Picone «non mancano particolari
ispirati e vibranti, come il libro aperto in mano al fanciullo, che riporta a quella stessa materia viva e densa dei
libri del Disinganno».[91][92]

20. Monumento a Paolo di Sangro, secondo principe

Il monumento funebre a Paolo di Sangro secondo principe di Sansevero, che occupa la prima cappella laterale
sulla destra, fa parte del gruppo di statue seicentesche e fu commissionato nella prima metà del XVII secolo dal
quarto principe della casata. La statua, dai toni rigidi e severi, raffigura il dedicatario - che si distinse per le sue
doti militari al servizio di Filippo III di Spagna - in piedi vestito come un centurione romano mentre tiene con
la mano destra una lancia spezzata; ai suoi piedi si trova un elmo piumato. La somiglianza con il monumento
dedicato al padre Giovan Francesco hanno fatto ipotizzare che autore anche di quest'opera potesse essere
Giacomo Lazzari, ma non esiste alcuna conferma al riguardo.[18]

21. Amor divino


La statua chiamata Amor divino è dedicata a Giovanna di Sangro, moglie del quinto principe di Sansevero
Giovan Francesco di Sangro. Non è certo da chi sia stata realizzata: l'affinità di stile con alcune delle altre Virtù
fa pensare che sia opera di Francesco Queirolo, ma alcune similitudini con il Decoro hanno fatto ipotizzare che
essa sia basata su un bozzetto del Corradini.[93] La scultura raffigura un giovane semicoperto da un mantello
che con la mano destra alza al cielo un cuore in fiamme, una simbologia già incontrata nella Soavità del gioco
coniugale per indicare un amore profondo. In questo caso un'iscrizione sul basamento dell'opera spiega che si
tratta dell'amore per Dio di Giovanna di Sangro.[93][94]

Essa è situata sul lato destro della cappella, addossata alla parete di ingresso, e fu particolarmente apprezzata
dallo storico ottocentesco Leopoldo Cicognara, probabilmente perché nella sua semplicità è una delle opere
più ortodosse e più conformi ai canoni neoclassici del tempio.[93]

22. Monumento a Giovan Francesco di Sangro, quinto principe

La prima opera che si incontra sulla destra dell'ingresso è il monumento dedicato a Giovan Francesco di
Sangro, quinto principe di Sansevero. La sua attribuzione non è sicura: la tesi più accreditata la identifica come
opera di Francesco Celebrano, ma alcuni critici sono più orientati verso Francesco Queirolo. Essa rappresenta
una grande angelo alato appoggiato a una lapide, che stringe nella mano sinistra una fiaccola rivolta verso il
basso, in segno di lutto. Ai piedi dell'angelo si trova un'acquasantiera a forma di conchiglia, che forma una
sorta di parallelismo con il medesimo elemento presente nel monumento dedicato al terzo principe di Sangro,
situato alla sinistra dell'ingresso. La dedica sulla lapide ricorda la fedeltà di Giovan Francesco alla corona
spagnola e indica come data della sua morte il 1618. In realtà il principe morì nel 1698 e la data errata è dovuta
a una svista dello scalpellino oppure di un successivo restauratore.[95]

23. Monumento a Cecco de' Sangro

Realizzato nel 1766, il monumento a Cecco de' Sangro è collocato al di sopra dell'ingresso principale del
tempio. L'ideazione e la realizzazione del sepolcro sono da ascrivere a Francesco Celebrano, probabilmente
ispiratosi a un precedente modello del Queirolo.[42]

Una lunga iscrizione spiega il significato della curiosa scena rappresentata, che raffigura un guerriero armato e
con indosso l'armatura mentre esce da una cassa: durante la campagna delle Fiandre di Filippo II di Spagna, di
cui Cecco di Sangro era ufficiale, per riuscire a conquistare la rocca di Amiens egli si sarebbe finto morto e
fatto chiudere dentro una bara, dove rimase per due giorni. Uscendo quindi dalla cassa era riuscito a cogliere di
sorpresa i nemici, impadronendosi infine della rocca.[42][96]

Al di sopra di Cecco un'aquila stringe tra gli artigli alcune folgori, simbolo di forza e virtù guerriera, mentre ai
lati della cassa vi sono due ippogrifi, simbolo di cura, che sembrano sorvegliare la scena. In questa
composizione, oltre al desiderio di Raimondo di Sangro di celebrare i propri antenati, è possibile leggere anche
diversi significati legati alla massoneria: la posizione della scultura proprio al di sopra della porta di accesso fa
sì che Cecco di Sangro sia visto come una sorta di guardiano del tempio, mentre la figura che - rediviva - esce
dalla bara è un chiaro riferimento al tema della morte e della resurrezione.[42][96]

24. Volta: Gloria del Paradiso

L'affresco che copre l'intera volta della cappella, conosciuto come Gloria del Paradiso o Paradiso dei di
Sangro, fu realizzato da Francesco Maria Russo nel 1749 e risulta essere una delle prime opere commissionate
per la cappella da Raimondo di Sangro.[32][97]
Si hanno poche notizie certe di Francesco Maria Russo,
che risulta sconosciuto a Napoli prima dei suoi lavori al
servizio del principe di Sangro. È possibile che abbia
studiato a Roma e che si sia trasferito in seguito nella
città partenopea. È certo che avesse già lavorato per
Raimondo di Sangro nel 1743, affrescando
l'antisagrestia della Cappella del Tesoro di San
Gennaro.[32][98]

L'elemento centrale del grande affresco, nel quale è


possibile notare un'ispirazione allo stile di Francesco
Solimena, è la colomba dello Spirito Santo, circondata
da una serie di angeli e altre figure e da un impianto
La volta, nota anche come Gloria del Paradiso, architettonico che sembra proseguire la decorazione
venne dipinta da Francesco Maria Russo con colori delle finestre situate alla base della cupola. Tra una
sgargianti, che hanno resistito alla patina del tempo finestra e l'altra si trovano sei medaglioni in toni di
non presentando alcuna forma di sbiadimento.[32] verde raffiguranti i sei santi protettori dei di Sangro
mentre al di sopra del presbiterio, separato dal resto
della cappella da un grande arco a tutto sesto, è
disegnata una piccola cupola.[32][97]

Sembra che per il suo affresco il Russo abbia utilizzato dei colori preparati appositamente da Raimondo di
Sangro, che appaiono ancora vivi e intensi dopo più di due secoli e mezzo pur non essendo mai stati restaurati.
Il Principe non rimase però soddisfatto dall'opera del Russo e lasciò indicato nel suo testamento di fare
riaffrescare la volta della cappella dal miglior artista disponibile, desiderio che non fu però realizzato dal figlio
Vincenzo.[32][97]

25. Tomba di Raimondo di Sangro

La tomba di Raimondo di Sangro si trova in una nicchia all'ingresso del passaggio che conduce alla sacrestia.
Essa fu realizzata nel 1759, quando il Principe era quindi ancora in vita, da Francesco Maria Russo,
probabilmente basandosi su un progetto dello stesso Raimondo.[99][100]

Di aspetto semplice e sobrio, l'opera è composta da una grande lapide in marmo rosa con l'elogio del principe
Raimondo al di sopra del quale si trova una cornice di marmo con il ritratto del dedicatario. Il dipinto è
sormontato da un grande arco decorato con armi, libri, strumenti scientifici e altri emblemi commemorativi
delle glorie militari e scientifiche di Raimondo di Sangro.[99]

L'elemento più notevole del monumento è probabilmente l'elogio funebre, che ricorda le onorificenze ricevute
e i titoli nobiliari di cui poteva fregiarsi e allo stesso tempo esalta le sue doti di scienziato e sperimentatore e il
suo ruolo di committente e ideatore della cappella.[99][101][102] La scritta sulla lapide di marmo non è incisa ma
in rilievo, come in rilievo è anche la decorazione con grappoli d'uva e motivi vegetali sul perimetro della
lapide. La precisione della decorazione marmorea fa pensare che non sia stato usato lo scalpello, ma sarebbe
invece stata realizzata tramite un composto di solventi chimici di invenzione del principe Raimondo. Le scritte
di colore bianco dovevano in origine risaltare molto sul colore rosa della lastra di marmo, ma questa
colorazione appare ormai sbiadita.[99][103]

Ritratto di Raimondo di Sangro

Il ritratto di Raimondo di Sangro fu realizzato da Carlo Amalfi, che dipingerà in seguito, con la stessa tecnica
dell'olio su rame, anche il ritratto di suo figlio Vincenzo. La sua datazione non è sicura: mentre la cornice
marmorea che lo circonda fu realizzata insieme al resto del monumento funebre del 1759, il dipinto potrebbe
risalire a qualche anno più tardi.[104]

Il ritratto, privo di significati iconografici, raffigura semplicemente il


principe Raimondo, ormai in età avanzata, con indosso una corazza.
Esso è l'unico dipinto del Principe sopravvissuto fino al giorno d'oggi.
È certo che alcuni anni prima Carlo Amalfi avesse realizzato un altro
ritratto andato perduto, di cui fortunatamente è sopravvissuta una
incisione settecentesca di Ferdinando Vacca. Essa mostra un ritratto
giovanile di Raimondo di Sangro con il petto attraversato dalla fascia
dell'Ordine di San Gennaro, onorificenza che aveva ottenuto nel
1740.[104]

Diversamente dalle altre opere della cappella, compreso il ritratto di


Vincenzo di Sangro realizzato solo pochi anni dopo e con la
medesima tecnica, il ritratto sulla tomba di Raimondo di Sangro
appare rovinato. Inevitabilmente questo dettaglio ha alimentato le già
molte leggende esistenti intorno alla figura del Principe, facendo
nascere la diceria che il ritratto sarebbe stato maledetto. Più
prosaicamente il cattivo stato di conservazione dell'opera è
probabilmente dovuto solo alla sua collocazione: al di sopra del Un ritratto giovanile di Raimondo di
monumento funebre si trova infatti un lucernario in vetro che nel Sangro, settecentesca acquaforte di
corso dei secoli è risultato insufficiente a garantire un'adeguata Ferdinando Vacca copia di un dipinto
protezione dagli agenti atmosferici.[104] di Carlo Amalfi

26. Pavimento labirintico

«Così laddove al tempo della mia morte non si trovasse già di tutto punto finito e piantato il
pavimento della riferita chiesa, che io sto attualmente facendo finire, voglio e
premurosamente incarico al citato mio erede universale e primogenito che senza
intermissione ne faccia continuare il lavoro fino all'intero suo compimento, e questo
coll'assistenza precisamente e colla direzione di don Francesco Celebrano, il quale è
colui che sin da principio ne ha diretta la difficile e intralciata esecuzione ...»

(Le disposizioni testamentarie di Raimondo di Sangro sulla misteriosa pavimentazione labirintica[105])

La cappella mostra una pavimentazione in cotto napoletano con al centro un grande stemma in smalti giallo e
azzurri raffigurante l'emblema della famiglia di Sangro. Il progetto di Raimondo di Sangro prevedeva invece
un motivo labirintico realizzato con una linea continua di marmo bianco formante una serie di croci gammate
tutte collegate tra loro e alternate con quadrati concentrici. Intorno alla linea continua erano incastrate delle
tarsie marmoree di varie sfumature, che davano alle croci e ai quadrati un effetto prospettico.[24]

Nel progetto di Raimondo è evidente la presenza di significati legati al mondo massonico: il labirinto indica
infatti il percorso, carico di difficoltà, che l'iniziato deve compiere per raggiungere la conoscenza, mentre le
svastiche rappresenterebbero il movimento cosmico e i quadrati i quattro elementi.[24]

Della realizzazione di questo pavimento Raimondo di Sangro incaricò Francesco Celebrano, che vi lavorò a
partire dalle metà degli anni '60 del XVIII secolo. Il lavoro risultò difficoltoso e probabilmente Raimondo non
riuscì a vederlo ultimato prima della sua morte ma quasi certamente fu portato a termine. Nel settembre 1889
però una infiltrazione d'acqua causò un crollo nel Palazzo di Sangro e nell'adiacente cappella, compromettendo
tra le altre cose il pavimento di quest'ultima. Il lavoro del Celebrano doveva essere pesantemente danneggiato,
tanto che i restauratori decisero di rimuovere completamente il labirinto e realizzare la nuova pavimentazione
in cotto napoletano. Del pavimento originale sono sopravvissuti una serie di frammenti, oltre a una litografia
ottocentesca che riporta il motivo labirintico.[24]

27. Macchine anatomiche

Le due cosiddette macchine anatomiche, custodite all'interno della


cavea, sono uno dei maggiori punti di interesse della cappella. Si tratta
degli scheletri di due individui, un uomo e una donna, completamente
scarnificati e allestiti in posizione eretta. Al di sopra di ciascun
scheletro è fedelmente riprodotto, fino nei particolari più minuti,
l'intero sistema circolatorio.[6] Secondo la tradizione più nota essi
furono realizzati dal medico palermitano Giuseppe Salerno[106] intorno
al 1763, sotto la direzione dello stesso Raimondo di Sangro, seguendo
un procedimento a tutt'oggi non completamente chiarito.[6][107]
Secondo un recente saggio del docente napoletano Sergio Attanasio
invece il principe di Sangro non sarebbe direttamente intervenuto
nella realizzazione dei due corpi, ma li avrebbe acquistati da Giuseppe Le due bacheche con le Macchine
Salerno quando erano già completati.[108] Anatomiche

Queste strane creazioni furono descritte con dovizia di particolari per


la prima volta già nella Breve Nota, una guida settecentesca al Palazzo di Sangro e all'adiacente cappella, che
riporta l'esistenza anche del «corpicciuolo d'un feto» con tanto di placenta. Questa terza «macchina» è rimasta
visibile fino agli ultimi decenni del XX secolo, quando fu rubata. Le macchine si trovavano inizialmente nel
cosiddetto Appartamento della Fenice del Palazzo di Sangro, e furono portate nella cavea della cappella solo
anni dopo la morte di Raimondo di Sangro.[6]

Il grado di precisione raggiunto nella rappresentazione di arterie, vene e capillari, unito alla fama di alchimista
di Raimondo di Sangro, è tale che fino all'età contemporanea si è ritenuto che si trattasse effettivamente di
tessuti viventi, la cui conservazione fosse stata ottenuta attraverso un misterioso procedimento alchemico.
Secondo la leggenda, citata già nella guida settecentesca e tramandata tra gli altri anche da Benedetto
Croce,[6][109] Raimondo avrebbe fatto iniettare nel sistema circolatorio di due dei suoi servi una sostanza
speciale di sua creazione, la quale avrebbe «metallizzato» i vasi sanguigni permettendo la loro conservazione
nei tempo.[6]

«[...] fece uccidere due suoi servi, un uomo e una donna, e imbalsamarne stranamente i
corpi in modo che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie e le vene.»

(Benedetto Croce, Scritti di storia letteraria e politica[110])

Secondo uno studio contemporaneo, invece, l'eccezionale reticolato vascolare è il frutto di una ricostruzione
effettuata con diversi materiali, tra cui filo di ferro, seta, coloranti e cera d'api. Gli scheletri e i teschi sono
invece vere ossa umane.[111]

28. Sagrestia

Sulla destra della cappella e collegata a questa da un corridoio, si trova il locale un tempo destinato a sagrestia
e dove sono collocati i monumenti funebri di due membri ottocenteschi della famiglia di Sangro. In seguito alla
trasformazione in museo della cappella, anche la sagrestia è diventata parte integrante del percorso museale e
ospita alcune opere della sistemazione seicentesca della cappella e alcune lastre del pavimento labirintico
sopravvissute ai danni del 1889.[112]
Nelle vetrine sono conservati alcuni strumenti di laboratorio, scoperti
durante i lavori di restauro che hanno interessato la cappella tra il 1987 e
il 1990 e probabilmente di proprietà di Raimondo di Sangro. È mostrata
anche la copia di un'incisione settecentesca realizzata dall'incisore
napoletano Giuseppe Aloia raffigurante la cosiddetta carrozza marittima,
l'invenzione con cui il principe di Sangro stupì i suoi contemporanei
facendo loro credere di avere inventato una carrozza in grado di
camminare sull'acqua.[112]

Nella sagrestia è conservata dal 2005 anche la Madonna con Bambino,


quadro realizzato dal romano Giuseppe Pesce nel 1757 e del quale per
secoli si erano perse le tracce.[112] Il dipinto fu commissionato da
Raimondo di Sangro per farne dono a Carlo di Borbone e in esso spicca
in modo particolare la vivacità dei colori. Nel realizzarlo Pesce utilizzò
delle tempere a cera di invenzione di Raimondo di Sangro, che rivendica Madonna con Bambino, quadro
la paternità della sua creazione nella dedica a Carlo di Borbone scritta sul realizzato dal pittore romano
retro dell'opera:[113] Giuseppe Pesce nel 1757.

«All'augustissimo Carlo, re delle Due Sicilie e di


Gerusalemme, infante di Spagna, duca di Parma e
Piacenza, gran principe ereditario di Toscana, inclito
protettore delle belle arti, suo signore, Raimondo di
Sangro, principe di S. Severo, primo inventore della
dipintura colle cere colorate a tempera, questo primo
saggio dona, dedica e consagra.[113]»

La Sacrestia, che funge inoltre da bookshop dell'attuale allestimento museale, ospita talvolta esposizioni
temporanee di opere d'arte e materiale d'archivio inerente alla famiglia Di Sangro.

Nel 2020 i proprietari hanno acquistato un ritratto del principe Raimondo De Sangro realizzato da Francesco
De Mura. La sua collocazione sarà la sacrestia.

Opere perdute e cenni economici

Per poter completare le opere nella Cappella Sansevero e portare


avanti i suoi studi scientifici, in diverse occasioni Raimondo di
Sangro dovette fare ricorso a dei prestiti. Nonostante la famiglia
di Sangro fosse decisamente benestante, infatti, egli dovette far
fronte, oltre alle forti spese necessarie alla cappella, alla cattiva
amministrazione e ai debiti contratti dal padre Antonio durante
gli anni sregolati della sua vita.[114][115]

Ricerche svolte negli archivi del Banco di Napoli, in particolare


Fede di credito di cinquanta ducati, dallo studioso Eduardo Nappi, hanno permesso di trovare
rilasciata il 16 dicembre 1752 a Raimondo diverse decine di note di credito e di scoprire che in alcuni
di Sangro, principe di Sansevero e girata momenti i creditori del principe Raimondo erano più di un
lo stesso giorno allo scultore Giuseppe centinaio. È interessante notare che tali prestiti erano concessi
Sanmartino (Napoli 1720-Napoli 1793) in con tassi di interesse che talvolta arrivavano al 5 o 6 per cento.
conto del Cristo velato. Recto e verso.
Spesso il Principe non fu in grado di restituire i debiti nei tempi previsti, portando gli interessi ad accumularsi.
La maggior parte dei numerosi debiti fu saldata a partire dal 1765, utilizzando una parte della dote che Gaetana
Mirelli dei Principi di Teora aveva portato con sé per il matrimonio con Vincenzo di Sangro, figlio primogenito
di Raimondo.[114][116]

Alcuni documenti conservati negli archivi del Banco di Napoli hanno permesso anche di scoprire come al
tempo furono commissionate ed eseguite per la cappella anche altre opere, andate però perdute.

In modo particolare, due pagamenti corrisposti agli stuccatori Carlo Barbiero e Domenico Palazzo confermano
che l'arco che collegava la cappella con il vicino Palazzo di Sangro, crollato nel 1889, era finemente decorato:

«Banco del Salvatore, giornale copiapolizze, matr. 1412, partita di 34 ducati, estinta il 9 giugno
1759. A Gennaro Tibet D. 34. E per esso a Carlo Barbiero e Domenico Palazzo, insigni mastri
stuccatori, a compimento di ducati 200 et in conto delli lavori di stucco che stanno facendo
sopra l'arco, che dal palazzo del principe di San Severo passa alla di lui Chiesa gentilizia. E
detti li paga con ordine di detto signore e di proprio denaro d'esso suddetto.»
«Banco di Santa Maria del Popolo, giornale copiapolizze, matr. 1541, partita di 20 ducati,
estinta il 9 agosto 1759. A don Gennaro Tibet D. 20. E per esso alli mastri stuccatori Carlo
Barbiero e Domenico Palazzo a compimento di ducati 165,17 per quanto importano i lavori di
stucco da essi fatti di pastiglia colorata nelle facce esterne della fabbrica, che sostiene il
gariglione sito tra il palazzo e la cappella gentilizia del principe di San Severo in vigore
dell'apprezzo fattone dall'ingegnere don Vincenzo di Bisogno con sua relazione de 3 agosto
caduto, atteso i mancanti ducati 145,17 l'hanno detti mastri ricevuti in più partite e in vari tempi,
restando con detto pagamento intieramente sodisfatti senza aver altro che pretendere da detto
principe di San Severo, in nome del quale e di suo proprio denaro da esso si fa detto
pagamento.»[35]

Alcune altre polizze indicano che lo scultore Giorgio Marmorano ricevette dei pagamenti per alcune opere
eseguite nella cappella, che però non è stato possibile identificare con certezza. È probabile che si sia trattato di
decorazioni marmoree.[35]

Note

Annotazioni
1. ^ Alcune fonti considerano Giovan (o Gian) Francesco di Sangro il primo principe di
Sansevero, e in questo modo Raimondo di Sangro, l'autore della riorganizzazione
settecentesca della cappella, risulterebbe essere il settimo principe della casata (vedi (IT, EN)
Monumento a Giovan Francesco di Sangro, Museo della Cappella Sansevero. URL consultato il
23 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 7 luglio 2018).). Altre fonti sostengono invece che il primo
principe fu Paolo di Sangro, figlio di Giovan Francesco. Questa seconda ipotesi è supportata
dal fatto che in alcuni documenti Giovan Francesco è chiamato duca di Torremaggiore e non
principe (vedi Nappi, p. 2 e Albero genealogico della famiglia Sansevero, Istituto Banco di
Napoli (archiviato dall'url originale il 15 ottobre 2013).).
2. ^ Il termine gariglione, citato più volte nelle polizze inerenti ai pagamenti eseguiti per la
cappella (vedi Nappi, pp. 55, 56, 60), è probabilmente l'italianizzazione del francese "carillon"
(vedi Dizionario portatile e di pronunzia francese-italiano e italiano-francese, 1802.). Al di sopra
del ponte di collegamento tra la cappella e il palazzo signorile doveva infatti trovarsi un
campanile con un tempietto ottagonale, che aveva la funzione di «conservar le campane di una
specie di gariglione» (vedi Giuseppe Sigismondo, p. 20).
3. ^ La frase «dum reliqua huius templi ornamenta meditabatur» è traducibile come «mentre
meditava sugli altri ornamenti di questo tempio».
Fonti
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Breve Nota di quel che si vede in Casa del Principe di Sansevero D. Raimondo di Sangro
nella Città di Napoli - Nell'anno 1767 -, Ristampa: Colonnese Editore, Napoli, 1989.

Voci correlate
Chiese di Napoli
Di Sangro
Raimondo di Sangro

Altri progetti
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la_Sansevero_(Naples)?uselang=it)

Collegamenti esterni

Sito ufficiale, su museosansevero.it.


Lino Lista, I Veli di Marmo di Raimondo di Sangro, Principe di San Severo, su cartesio-
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Rino Mastropaolo, Breve guida alla Cappella Sansevero, su Napoli da vivere, 3 ottobre 2012.
Cappella Sansevero , su Napolitudine.
VIAF (EN ) 125584006 (https://viaf.org/viaf/125584006) · LCCN (EN ) n87847586 (http://
Controllo di
id.loc.gov/authorities/names/n87847586) · WorldCat Identities (EN ) lccn-n87847586 (h
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