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IL MARTIRIO

NELLA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN,


DALLA PRIMA GUERRA DEL GOLFO
ALLA CRISI SIRIANA
R AFFAELE M AURIELLO

Il martirio, considerato caratteristico dell’Islam, nello shi‘ismo come strumento d’interazione socio-
politica appare, invece, nuovo e legato alla rivoluzione islamica in Iran e alla successiva guerra con
l’Iraq. Questo saggio ne analizza il ruolo nella Repubblica, attraverso lo studio della sua
(poli)valenza dalla rivoluzione fino alla recente crisi siriana. Vengono approfonditi, in particolare,
due fenomeni paradigmatici: il martirio come formulato da Soleimani – generale dei Guardiani
della Rivoluzione – antidoto, cioè, alla paura nelle forze speciali e nei foreign fighters inviati dall’Iran
nei conflitti legati alla guerra contro l’Isis e i murales dei martiri della guerra Iraq-Iran, che
caratterizzano lo spazio pubblico delle città, in particolare della capitale Teheran.

IRAQ , CONFINE CON LA SIRIA – NOVEMBRE 2017 – PARLA IL GENERALE

erché il loro Dio rende vittorioso il popolo iraniano? Perché

«P
oggi Dio dà la vittoria alla Repubblica islamica? Io sono con-
vinto che queste vittorie diventeranno giorno dopo giorno più
grandi e più ampie. Anche se gli Stati Uniti o l’Arabia Saudita
volessero fare qualcosa, non possono fare nulla. Questa è la
volontà divina, e loro non sono assolutamente nulla davanti alla volontà divina. [La ri-
sposta] è perché questo popolo è pronto all’abnegazione. Merita la vittoria. La vittoria
è legata al merito. Oggi noi abbiamo questa capacità sia nella nostra Guida (Rahbar1) –
la quale oggi senza pretese è pronta a servire tutto il mondo musulmano – che in un

1. Si riferisce al vali-ye faqih, il giurisperito musulmano che, secondo la velayat-e faqih, la teoria del potere politico
elaborata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, guida lo stato islamico.

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RAFFAELE MAURIELLO I L M A R T IR I O NEL L A REP U BBL I C A I SL A M IC A DEL L’IR A N

popolo che realmente ha mostrato di essere devoto: alla propria Giuro su Dio che se mi fai diventare martire intercederò per te”. Noi
gente, al proprio paese, alla propria scuola giuridica (madhhab; che oggi siamo qui dobbiamo anche fare attenzione. Dobbiamo di-
cioè lo shi‘ismo) e all’islam. Voi siete parte di ciò. Oggi voi por- stinguere il permesso e il proibito. Dobbiamo fare attenzione alla
tate lo stendardo di questo movimento. Siete stati scelti da Dio vita delle persone. Non possiamo prendere possesso della casa
per questo compito. Lo stendardo è nelle vostre mani. Adempite della gente così. [Quando] preghiamo dobbiamo prestare atten-
bene questo dovere (haqq, letteralmente ‘diritto’). A Khaybar2, il zione. Questo luogo è il luogo delle cose raccomandabili ma non
nobile Profeta diede la spada in mano a qualcuno che poteva obbligatorie. Questo luogo è il luogo della preghiera della notte.
adempiere bene questo dovere (haqq), quello era il Principe dei Questo è il punto più vicino a Dio. Quando l’imam Khomeini diffuse
Credenti (‘Ali, il terzo imam shi‘ita, cugino e genero di Mao- il suo messaggio per i pellegrini in pellegrinaggio alla Mecca disse:
metto). Egli sradicò la porta di Khaybar. Quando sradicò la porta, “O voi che siete seduti di fronte alla Casa di Dio (la Ka‘ba), ascol-
la sua mano non era più forte di quella di chiunque altro, che fa tatemi, o voi che siete seduti di fronte alla Casa di Dio, pregate per
a braccio di ferro per vedere quanto è forte. Quella era la forza coloro che sono in piedi saldi di fronte ai nemici di Dio [...] L’obiet-
della fede del Principe dei Credenti. Ciò che in guerra rendeva tivo dell’imam [Khomeini] era mostrare la grandezza del jihad
vittorioso il Profeta era la fede [...] Oggi guardate agli Stati Uniti. (guerra permessa dallo ius belli dell’Islam)”».
Il volume delle forze degli Usa arriva a più di un milione di sol- A parlare è il maggior generale Qassem Soleimani, capo delle Forze
dati. Bene, questa forza militare, con tutte le possibilità che ha d’élite dei Guardiani della Rivoluzione, le Forze Qods (Gerusa-
[a disposizione], quando non ha la forza della fede e viene in Iraq, lemme). Il video3 lo mostra di profilo fra un gruppo di combattenti,
per i propri militari prende dei vestiti per bambini e li prepara resi non identificabili. Siamo nelle prime linee della guerra della
per i grandi e glieli mette addosso cosicché questi non abban- Repubblica islamica dell’Iran (RI dell’Iran) contro il Daesh, durante
donino i tank [scappando] dalla paura. E tuttavia voi, con quello la vittoriosa campagna per la ‘liberazione’ della città siriana di al-
che avete e con il vostro armamento leggero, voi vi siete riempiti Bukamal, nel governatorato di Deir ez-Zor, al confine con l’Iraq.
di gloria. Perché? Perché non avete paura di perdere la vita. Ma Pur conoscendo l’arabo, Soleimani si rivolge ai combattenti in per-
non avere paura di perdere la vita non significa non essere orga- siano, peraltro piuttosto colloquiale, ricco di espressioni idiomati-
nizzati. Non significa che operiamo senza essere organizzati. No, che e di riferimenti al credo shi‘ita. Probabilmente sta indirizzando
significa che operiamo essendo organizzati e tuttavia non ab- il suo discorso a un uditorio in toto o, in gran parte, persofono.
biamo paura della morte. Siamo organizzati, mostriamo coraggio, Negli stessi giorni in cui viene diffuso il video, il generale scriverà
operiamo con attenzione, teniamo in conto il nemico e pren- una lettera all’ayatollah ‘Ali Khamenei annunciandogli ufficial-
diamo in considerazione tutto, però non abbiamo paura di per- mente e pubblicamente la definitiva vittoria della guerra contro
dere la vita. Guardate, quando qualcuno minaccia di ucciderci, Daesh, riconoscendo il ruolo fondamentale di «tutti i comandanti
per noi è come se ci desse una medaglia [...] Mi viene in mente e i combattenti senza nome di questo teatro [di guerra] e le migliaia
quello scritto del nostro martire ‘Ali Mohammadi. Lui nel suo di martiri e reduci di guerra per la difesa del Santuario iraniani, ira-
taccuino scrisse: “Oh fratello arabo che tu mi cerchi e io ti cerco. cheni, siriani, libanesi, afghani e pakistani...»4.

2. Si riferisce alla battaglia di Khaybar, combattuta nel 628 d.C. fra musulmani ed
ebrei stanziati nell’omonima oasi, a 150 chilometri da Medina. ‘Ali ebbe un ruolo 3. La ripresa, in persiano e con sottotitoli in arabo, dura 4’14’’ ed è intitolata Discorso
importante nella battaglia a partire da quando, guarito dall’oftalmia – che gli del comandante delle Forze al-Qods dei Guardiani della Rivoluzione islamica alle forze miste nei
aveva in precedenza impedito di prendere parte ai combattimenti – dallo stesso combattimenti per la liberazione di al-Bukamal (Kalima li-q ’id Quww t al-Quds fi Haras ath-
Profeta, si diresse al campo di battaglia per prendere parte alla conquista del- Thawra al-Isl miyya li-l-quww t al-mush raka fi ma‘ rik tahrir al-Buk mal); è reperibile sul
l’ultima fortezza, quella di al-Qamus, portando lo stendardo del Profeta, che que- profilo Youtube di al-I‘lam al-Harbi al-Markazi, pubblicato il 26 novembre 2017
st’ultimo gli aveva affidato. Avendo perso il suo scudo, ‘Ali sradicò una delle porte <www.youtube.com/watch?v=GQEBnbXT_R M> [28-03-2018].
del muro di cinta che proteggeva la fortezza usandola come protezione. Le fonti 4. Lettera del maggior generale Soleimani alla Guida della Rivoluzione: A titolo di soldato incaricato
raccontano che la porta era talmente pesante che ci vollero otto uomini per ri- annuncio a Sua Eccellenza la fine di Daesh (in persiano), «Alef.ir» 21 novembre 2017
metterla nei cardini. <www.alef.ir/news/3960830043.html> [28-03-2018].

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Anche se è difficile fornire dati certi, alcuni studi indicano che, RIVOLUZIONE E MARTIRIO IN IRAN
dal gennaio del 2012 allo stesso mese del 2018, il numero dei
foreign fighters shi‘iti morti in Siria sia arrivato a 1106: 112 ira- Nel suo studio sull’islamismo e la morte durante il primo decennio
cheni, 153 pakistani e 841 afghani5. In termini di difensori del di vita della RI dell’Iran, Farhad Khosrokhavar afferma che il martirio
Santuario, a questi vanno aggiunti 1213 libanesi e 535 iraniani, ha, in diversi momenti, ricoperto vari ruoli nel paese6. Innanzitutto,
che non possono essere definiti foreign fighters in quanto nel egli ne distingue due tipi fondamentali: il martirio tradizionale, carat-
caso dei libanesi – verosimilmente integrati nelle fila di Hezbol- terizzato da uno shi‘ismo comunitario e da una visione archetipa del-
lah – si tratta di forze in larga parte ‘regolari’, prima dispiegate l’imam Hussein7, come modello trascendente e inimitabile; quello
al confine fra Libano e Siria e poi a fianco delle forze siriane, e rivoluzionario (o shi‘ista), nel quale l’immagine di Hussein diviene
nell’altro, di membri delle Forze Qods formalmente chiamate a immanente e imitabile in atto e non più solo sul piano simbolico-ri-
sostenere l’esercito di Damasco sulla base di reciproci accordi tuale. Rispetto al secondo, poi, Khosrokhavar identifica tre sottoca-
di cooperazione militare. Anche gli iracheni rappresentano un tegorie8: quello rivoluzionario propriamente detto, nel quale non si
caso caratteristico in quanto, pur essendo forze irregolari, sono cerca la morte a tutti i costi ma la si riconosce come possibile conse-
in gran parte presenti nel quartiere di Sayyida Zeinab della ca- guenza della lotta contro lo stato pahlavi e contro l’ingiustizia; quello
pitale siriana, a difesa dell’omonimo santuario-mausoleo. Nel del periodo unanimista9, nel quale si tenta di salvare la rivoluzione e
caso degli afghani e dei pakistani, essi sono organizzati in due la sua utopia, dove il martirio è inteso come abnegazione e sacrificio;
gruppi specifici – la Divisione Fatemiyoun e la Brigata Zeina- quello del periodo della rottura dell’unanimismo (o martirio-dimis-
biyoun – a guida iraniana. Con buona probabilità, è a combat- sione), quando – in conseguenza del crollo dell’utopia rivoluzionaria
tenti iraniani e afghani che si rivolge Soleimani, parlando della – i giovani martiri non sono più caratterizzati dall’abnegazione per la
vittoria a portata di mano – e la storia gli darà ragione – ma causa rivoluzionaria quanto da un intenso desiderio (nichilista) di mo-
anche della eventualità della morte. rire in sé e per sé. Khosrokhavar qualifica questa terza sottocategoria
Nel discorso dell’atto ufficiale il rapporto con essa è uno degli come ‘martiropata’ e il tipo di shi‘ismo che la causa come ‘mortifero’.
elementi fondamentali che caratterizza i combattenti da lui gui- Questa tendenza sarebbe prevalente, in particolar modo, dal secondo
dati rispetto agli altri e al nemico. I suoi, infatti, non cercano la al quinto e anche nel sesto anno della rivoluzione10.
morte, e anche se sanno che è ipotizzabile non la temono; anzi,
vedono la possibilità della morte nel jihad, il martirio, come una
medaglia, un premio per il coraggio e la fede dimostrati.
6. Cfr. KHOSROKHAVAR 1995, in particolare pp. 45-52.
Quanto detto da Soleimani, in particolare con riferimento ai
7. Si tratta del terzo imam dello shi‘ismo duodecimano (o imamita), nipote del profeta
combattenti statunitensi, sembra indicare che l’obiettivo prin- Muhammad e nato dal matrimonio fra una delle figlie di quest’ultimo, Fatima, e ‘Ali, se-
cipale del riferimento al martirio sia rappresentato dalla neces- condo imam e cugino del Profeta. Questi riveste un ruolo preminente nel pantheon shi‘ita
sità di vincere la paura e di fare i conti con la possibilità di perdere – insieme al Profeta e ad ‘Ali – ed è anche conosciuto come Principe dei Martiri, in seguito
alla morte nella spianata di Karbala per ordine del suo contendente al califfato, Yazid.
la vita in battaglia. A differenza di quanto successo nella guerra La martiriologia shi‘ita è in parte rilevante – anche se non unicamente – incentrata sulla
Iran-Iraq, il generale e i suoi combattenti non cercano la morte sua figura e sul ricordo della sua morte, attraverso la commemorazione dell’Ashura e
poiché sanno che la vittoria è dalla loro parte, non sono spinti l’elaborazione, canonizzazione e ritualizzazione del cosiddetto ‘paradigma di Karbala’.
8. In aggiunta, Khosrokhavar distingue diversi tipi di attori martiri secondo la psiche
dal nichilismo, la loro attitudine non è ‘martiropata’ e il loro (disperati o martiropati, opportunisti o uomini ‘di poca fede’ e ludici) e la classe sociale
shi‘ismo non è ‘mortifero’. Per comprendere meglio quanto (strati popolari o diseredati e classi medie o beati possidentes).
detto da Soleimani è necessario tornare indietro nel tempo, ai 9. Khosrokhavar fa un’importante distinzione fra l’unanimità che caratterizza gli inizi del
movimento rivoluzionario e l’unanimismo che si manifesta, in particolare, a partire dal-
primi anni della rivoluzione (1978-1979) e alla successiva guerra
l’occupazione dell’ambasciata degli Usa a Teheran (4 novembre 1979); si distingue per
fra Iran e Iraq (1980-1988). l’espulsione dal movimento rivoluzionario di coloro che, pur avendo partecipato alla ri-
voluzione, ne criticano la radicalizzazione (scontro fra rivoluzionari ‘radicali’ e ‘liberali’).
10. Secondo KHOSROKHAVAR 1995, durante la guerra fra Iran e Iraq, a fare propria questa vi-
5. ALFONEH 2018. sione martiropata dell’esistenza sarebbe stato il 10-15% dei circa 400.000 aderenti ai basij.

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Più in generale, lo studioso iraniano-francese, attualmente direttore del-


l’Osservatorio delle radicalizzazioni alla Fondation maison des sciences de
l’homme, avanza l’ipotesi che la rivoluzione islamica abbia rappresentato
un cambiamento radicale rispetto al rapporto del credente shi‘ita con la
morte, nel quale lo shi‘ismo, secolarizzandosi, apre nuove prospettive al-
l’immagine della vita e della morte: una morte politicizzata (oltre che sacra-
lizzata) e in rapporto critico con la modernità. In questa cornice, il fascino
dei giovani martiri della rivoluzione islamica per tale evento sarebbe più le-
gato all’incoerenza della rapida (e mal assimilata) modernizzazione del
paese prima della rivoluzione – in particolare negli anni Sessanta e Settanta
del secolo scorso, caratterizzati da un marcato consumismo – e alla dispe-
razione causata dal crollo dell’utopia rivoluzionaria (a partire dal secondo,
terzo anno della guerra) che alle specificità dello shi‘ismo tradizionale. La
nuova religiosità, nata nella e dalla rivoluzione, non è lo shi‘ismo tradizio-
nale ma, piuttosto, una sua ristrutturazione fondamentale. Khosrokhavar
definisce questo islam ‘shi‘ista’, espressione creata sul modello di ‘islamista’
e intesa come una forma di religiosità contrassegnata da una nuova identità
nella gioventù iraniana (recentemente urbanizzata), la quale rompe con lo
shi‘ismo tradizionale affermandosi come (nuovo) attore politico e religioso
e nella quale si passa dalla secolarizzazione del religioso – che caratterizza
il periodo rivoluzionario – alla volontà di fare della politica e della religione
una sola e unica entità. Tale rottura, e la confusione dei registri (religioso e DALLO SPAZIO MENTALE A QUELLO FISICO.
politico), nasce dalla modernizzazione dello shi‘ismo tradizionale e non sa- MARTIRI E PAESAGGIO URBANO NELLA RI DELL’IRAN
rebbe stata possibile senza la preliminare destrutturazione della sfera reli-
giosa causata dalla modernizzazione. Quindi, nei tre casi di martirio relativi Oltre a una serie di funzioni nello spazio ideale del paese, il martirio nella RI dell’Iran
al periodo rivoluzionario e alla guerra con l’Iraq, l’attrazione per la morte da ne ha ricoperte altre anche in quello fisico11. Centrale, in tal senso, è il muralismo di
parte dei giovani martiri sarebbe dovuta alla fine del mondo comunitario – guerra. Con la vittoria della rivoluzione, diverse organizzazioni governative sponsoriz-
che caratterizzava l’Iran prerivoluzionario o, piuttosto, premoderno – e al- zarono (e continuano a sponsorizzare) murales al fine di diffondere il messaggio ufficiale
l’entrata traumatizzante della modernità nel sociale. In tale cornice, l’aspi- della RI12. Nato sotto diverse influenze13, il muralismo si è espresso in particolar modo
rante a morire da martire sarebbe l’ultimo atto della messa a morte del attraverso la rappresentazione dei martiri della cosiddetta ‘guerra imposta’ (tra Iraq e
mondo tradizionale. Un ulteriore elemento di novità nel martirio rivoluzio- Iran) e caratterizza lo spazio pubblico delle grandi città, in particolare di Teheran. Alti
nario, messo in luce dal lavoro di Khosrokhavar, è la comparsa di un nuovo diversi piani e dipinti sia su edifici pubblici che privati, tali murales sono posizionati
tipo di ego nella società shi‘ita iraniana, la modernità è data anche dalla rot- sulle strade principali, su tangenziali, incroci e piazze, costituendo installazioni che ne
tura deliberata, da parte del martire, delle relazioni comunitarie. Infatti, que- dominano lo spazio visuale.
sti manifesta un marcato sentimento legato alla propria decisione, libera e
11. Qui non si ha la possibilità di trattare un altro asse fondamentale della geopolitica del martirio nella RI
sovrana, di immolarsi, spesso in opposizione al volere di genitori e famiglia.
dell’Iran, quello dei mausolei-santuari degli imam shi‘iti e dei membri – spesso presunti martiri – della fa-
In tal senso, e ancora una volta, il martirio rivoluzionario shi‘ita (o martirio miglia del Profeta Muhammad. Basti menzionare che, come visto nel caso della lettera indirizzata da Solei-
shi‘ista) non andrebbe letto nel solco della tradizione, quanto piuttosto mani alla Guida, tutti i combattenti shi‘iti in Siria sono definiti ‘martiri e reduci di guerra per la difesa del
Santuario (modafe‘-e Haram)’.
come conseguenza della rottura causata dalla modernità. La novità dell’Io
12. In realtà, questa operazione andò ben oltre il muralismo, come descritto con efficacia da CHELKOWSKI –
del martire, fuori dalla massa, sembra aver trovato espressione anche nello DABASHI 2000.
spazio fisico della RI dell’Iran, come suggerito dal muralismo iraniano. 13. Cfr. MAURIELLO 2018.

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Presenti nei murales della rivoluzione, le masse – in partico-


lare il popolo – quasi scompaiono in quelli del periodo della
guerra14. Da questo momento in poi, nella stragrande mag-
gioranza dei murales, a essere ritratto è un singolo martire
(figura a pagina 115 e nella pagina precedente, in alto, a de-
stra) – o, di quando in quando, un gruppo da due a quattro
(nella pagina precedente, in alto a sinistra, e sotto a destra; in
termini d’iconografia, in questo secondo esempio uno dei
temi è quello della maternità e del martirio) – a volte accom-
pagnato dalla rappresentazione dell’attuale Guida, del fonda-
tore della RI dell’Iran (nella pagina precedente, in basso, al
centro) o di entrambi.
Uno degli scopi è quello di spiegare, o meglio giustificare, i
costi e le conseguenze della rivoluzione e della guerra con
l’Iraq, soprattutto in termini di perdita di vite umane.
Un altro è il mantenere viva e commemorare la memoria dei
martiri e della guerra. In tal senso, dopo la fine del conflitto,
nella RI dell’Iran insieme alla funzione del martirio è cambiata
anche quella dei dipinti di guerra: da incoraggiamento rivolto
ai giovani di andare in guerra e accettare il proprio sacrificio è
diventato luogo della memoria.
Certo, ciò non vuol dire che la relazione dei murales con l’at-
tualità non possa essere riattivata all’esigenza, come rivelano
quelli recenti in onore del brigadier generale Hosein Hame-
dani (ucciso il 5 ottobre 2015) e di Mohsen Hojaji (ucciso il 9
agosto 2017), ritratti nella città di Mashad15.
Oltre a quelli di guerra, e in maniera crescente dalla fine degli
anni Novanta, in Iran s’incontra un’altra tipologia di murales,
destinata all’abbellimento delle città (nella pagina precedente,
in basso, a destra). La sua importanza – per quanto discusso
in quest’articolo – sta nella dichiarata volontà di parte delle
istituzioni pubbliche, in particolare le amministrazioni comu-
nali e ancor più i municipi delle grandi città, di depoliticizzare
e, ancor più, desacralizzare lo spazio pubblico.
In ogni caso, i martiri non scompaiono, ma la loro immagine
è ‘ridimensionata’ e spostata agli angoli delle strade (nella pa-
gina precedente, in basso, a sinistra).

14. Questo cambio sembra essere meno marcato nella pittura ‘rivoluzionaria’
su tela.
¯
15. Raffigurazione murale di due martiri difensori del Santuario (modafe‘-e
Haram) nella zona Thamen (in persiano).

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I L M A R T IR I O NEL L A R EP U B BL I C A I SL A M IC A DEL L’IR A N

CONCLUSIONI

Mettendo a confronto il ruolo del martirio nelle sue diverse valenze, durante la rivolu-
zione islamica (1978-1979) e negli anni della guerra con l’Iraq (1980-1988), con il martirio
rappresentato da Soleimani (2017) si può trarre la conclusione che, dopo un periodo di
distacco dalla realtà, frutto dell’utopia rivoluzionaria e della perdita di riferimenti causata
da una mal assimilata modernità, oggi in Iran il martirio abbia ripreso, in parte, il senso
che aveva prima della rivoluzione: un modello da ammirare, non da imitare; un para-
digma di lotta, non un obiettivo da raggiungere in modo irrazionale. Più in generale,
quanto detto da Soleimani in parte reinstalla la tradizionale distinzione dell’islam fra
sfera del politico e sfera del sacro. Inoltre, nel caso dei combattenti afghani (e, in parte,
di quelli pakistani), si può affermare che, in aggiunta ad alcuni elementi politici del credo
shi‘ita, la loro partecipazione alla guerra in Siria e la possibilità (ma non la ricerca) della
morte si spieghino anche con la concreta ricerca di un riconoscimento sociale e della
prospettiva di un miglioramento economico all’interno dell’Iran, dove, va ricordato, da
quasi quattro decadi vivono circa tre milioni di afghani16. In tal senso, nel 2016 il parla-
mento ha approvato una legge per dare la possibilità al governo di riconoscere la citta-
dinanza alle famiglie degli stranieri uccisi combattendo nelle fila della RI17. È possibile
sostenere, quindi, che i foreign fighters shi‘iti che combattono accanto alle forze regolari
iraniane non solo non cercano il martirio ma, pur riconoscendo la possibilità della morte,
sono consapevoli che questa porterà a loro e alla propria famiglia un riconoscimento
sociale, economico e giuridico, marcando la loro scelta come comunitaria(-tradizionale)
e non solo come frutto del proprio ego. Nel caso del muralismo di guerra, i murales dei
martiri in Iran hanno ancora la funzione fondamentale di controllare lo spazio (e il di-
scorso) pubblico, ma sono anch’essi passati da riferimento al martirio rivoluzionario ‘at-
tivo’ a luogo della memoria e della rappresentazione ideale(-tradizionale) del fenomeno

16. MCKERNAN 2107. Di questi, circa un milione è documentato dall’Unhcr mentre due milioni sono non do-
cumentati; cfr. EUROPEAN COMMISSION 2018.
17. Iran to grant citizenship to families of Pakistani ‘martyrs’ fighting in Syria and Ira’, «The Express Tribune» 2 maggio 2016:
<https://tribune.com.pk/story/1095635/iran-to-grant-citizenship-to-families-of-foreign-martyrs/> [10-05-2018].

BIBLIOGRAFIA

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<http://carnegieendowment.org/2018/01/30/tehran-s-shia-foreign-legions-pub-75387> [18-04-2018].
P. CHELKOWSKI – H. DABASHI, Staging a Revolution. The Art of Persuasion in the Islamic Republic of Iran, Booth-
Clibborn Editions, London 2000.
EUROPEAN COMMISSION, Iran. Facts & Figures, aggiornato al 6 febbraio 2018 <ec.europa.eu/echo/
printpdf/4437_en> [10-05-2018].
F. KHOSROKHAVAR, L’islamisme et la mort. Le martyre révolutionnaire en Iran, L’Harmattan, Paris 1995.
R. MAURIELLO, El muralismo y la ‘guerra de las imágenes’ de México e Irán’, II Encuentro Internacional Irán-
Mundo Hispánico. 400 años de relaciones históricas y culturales, Madrid, 21-22 marzo 2018.
B. MCKERNAN, Iran’s ‘exemplary’ refugee hosting efforts praised by UN, «The Independent» 16 marzo 2107
<www.independent.co.uk/news/world/middle-east/iran-refugee-resettlement-efforts-exemplary-
un-praise-united-nations -a7633621.html> [10-05-2018].

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