Sei sulla pagina 1di 23

A11

538
A Giorgio Baratta
Michele Marseglia

La Formazione culturale
di Antonio Gramsci 1910-1918
Copyright © MMX
ARACNE editrice S.r.l.

www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it

via Raffaele Garofalo, 133/A–B


00173 Roma
(06) 93781065

isbn 978-88-548-3456-9

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie


senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: agosto 2010


Indice

9 Prefazione

17 Introduzione

25 Capitolo 1
Gramsci e il sardismo
1. Le prime esperienze civili e morali: Oppressi e Oppressori, 23 – 2. Gram-
sci – Salvemini e il “socialismo contadino”, 36 – 3. Salvemini e la tradizione
di studi meridionalisti, 43 – 4. Salvemini nel Congresso Nazionale del Psi
del 1910, 49 – 5. Alle origini del “sardismo” di Gramsci: i moti sardi del 1904
e 1906, 54 – 6. Il sardismo di Gramsci, 63 – 7. La polemica di G. Fiori – L.
Nieddu e il manifesto antiprotezionista del 1913, 72 – 8. Inquadramento del
rapporto Gramsci Togliatti, 77 – 9. Togliatti e il sardismo gramsciano, 83

95 Capitolo 2
Il “garzonato universitario” nella formazione cultura-
le di Gramsci
1. La temperie culturale e formativa dell’Università di Torino, 93 – 2.
Gramsci e il “Corriere Universitario”, 103

123 Capitolo 3
Antonio Gramsci tra cultura positivista, idealismo e
marxismo
1. La “rinascita idealistica” , 121 – 2. Positivismo e socialismo: un ibri-
do connubio, 131 – 3. Socialismo e cultura, 135 – 4. La polemica Tasca–
Bordiga, 139 – 5. Il concetto di rivoluzione nel giovane Gramsci, 154 – 6.
Autonomia e originalità del marxismo nel giovane Gramsci, 175 – 7. At-
tualità di Gramsci nel mondo d’oggi, 194

7
Prefazione

Il saggio di Michele Marseglia sulla formazione culturale di


Antonio Gramsci è un lavoro di notevole pregio e va inscritto
nella ripresa degli studi gramsciani. Esso offre con chiarezza i li-
neamenti della formazione culturale del giovane Gramsci. Viene
alla luce nel momento giusto per contribuire ad un elevamento
dello spirito pubblico e della politica.
Perché si è rivolto a me per la prefazione al suo lavoro? Ad
un semplice militante gramsciano? Forse proprio per questo: ha
voluto che la prefazione fosse libera dagli inevitabili condiziona-
menti accademici dello studioso di professione.
La mia confidenza con le idee di Gramsci ebbe inizio in anni
lontani, quelli postliceali, in una zona di guerra, mentre erano
in gioco i destini delle persone, dell’Italia e del mondo intero. La
fortuna volle che la mia ribellione (e quella di altri giovani) nei
confronti dell’oppressione fascista e della guerra trovasse una via
gramsciana per costruire la propria consapevolezza storica e po-
litica.
Fu grazie ad un artigiano fiorentino che era stato per tre anni
il vicino di cella di Antonio Gramsci, a Turi di Bari, Mario Garu-
glieri.
Confinato ad Eboli, dopo oltre dieci anni di penosa carcera-
zione, si mise alla ricerca di giovani “intellettuali”, su mandato
preciso del Maestro, per aggregarli nella lotta antifascista, im-
pegnandoli anzitutto su un rigoroso programma di letture e di
studi.
9
10 La formazione culturale di Antonio Gramsci 1910-1918

Queste letture furono liberatrici dello spirito e della mente,


fortificatrici della volontà di cambiare se stessi ed il mondo. So di
indulgere all’emozione ma sono proprio le pagine di Marseglia
a suscitarla: complici il corpo grafico per la vista claudicante e la
lettura lenta che favorisce il ricordo ed il ripensamento. La no-
stalgia non si accompagna a malinconia, ma ad un felice ricono-
scimento del “DNA della nostra cultura”, per dirlo con Eugenio
Garin. Ecco perché sono molto grato all’Autore per il compito
affidatomi. Provo gioiosa soddisfazione: la validità degli studi in-
dicatici dal discepolo fiorentino di Gramsci trova conferma nel
libro di Marseglia. Il piccolo gruppo di giovani studenti universi-
tari poté liberarsi dalle muffe dei manuali scolastici consentiti dal
regime; e fu stimolato a studiare testi ignorati sulla storia d’Euro-
pa e d’Italia. Dibattemmo sul Risorgimento e trovammo un filo
ideale illuminante sul presente. Ci liberammo delle deformazioni
contenute nei nostri libri di scuola, ancora più gravi di quelle che
il Gramsci liceale aveva stigmatizzato. Le indicazioni delle nuove
letture, gli autori, i titoli delle opere, gli editori provenivano da
una minuziosa informazione fornita al Garuglieri dal suo ecce-
zionale caposcuola. Avemmo così tra le mani la Storia d’Europa
e quella d’Italia del Croce, altri volumi della sua opera e della sua
Critica; ristudiammo i programmi di filosofia sul De Ruggiero
grande; ci appassionammo ai momenti alti della letteratura italia-
na attraverso l’ariosa Storia di Francesco De Sanctis. L’approccio
al materialismo storico avvenne attraverso le Lezioni di Antonio
Labriola e potemmo leggere il Manifesto di Marx-Engels, pubbli-
cato da Benedetto Croce, sia pure “In Memoria”, con quel suo
commento “Come nacque e come morì il materialismo storico in
Italia”. È sempre il libro di Marseglia a richiamare questi percorsi
giovanili.
Certo, l’opera didattica di Garuglieri risentiva dei limiti propri
di un uomo provato fisicamente, di un artigiano che solo in com-
pagnia di Gramsci aveva potuto costruire una visione storico-poli-
tica matura. Ma la trasmissione di alcuni pensieri e delle principali
categorie gramsciane (ad esempio, quella sui concetti di “guerra
di posizione” e “guerra di movimento”) si rivelò autentica, alla
luce della pubblicazione dei Quaderni nel cofanetto einaudiano.
Prefazione 11

A questo proposito, mi si consenta di dire che la prima edizio-


ne curata da Togliatti e Platone diede un contributo straordinario
alla formazione dei militanti della mia generazione ed alla cultu-
ra italiana. Ne parlammo con Valentino Gerratana, in un casua-
le incontro. C’eravamo conosciuti in una stanza della direzione
del PCI, allora ancora in via Nazionale. Da pochi mesi Valentino
aveva smesso di occuparsi di bombe e di mitra, insieme alla sua
compagna Marisa Musu (anche lei valorosa partigiana dei G.A.P.)
per dedicarsi al lavoro culturale del “partito nuovo”. Mi compli-
mentai con lui e gli manifestai il mio sincero apprezzamento per
lo scrupoloso lavoro compiuto. Ma non gli nascosi le difficoltà
proprie di un militante che aveva scarso tempo a disposizione per
studiare e che continuava a ricorrere alla prima edizione per la
sua efficacia didattica. Gerratana condivideva: il testo togliattiano
era didatticamente una felice colpa.
Invece assai infelice, da parte di un gramsciano come Togliatti,
fu l’aver tollerato per troppo tempo la dominanza di ex allievi del-
la scuola leninista di Mosca nella formazione dei quadri PCI.
Lo studio di Marseglia sulla formazione culturale di Gramsci
tra il 1910 e il 1918, ci consente di scoprire l’inizio del processo di
sviluppo del pensiero gramsciano, ricostruito scrupolosamente
sulla base delle opere giovanili, a cominciare dal bel saggio sco-
lastico liceale. In esso si rivela la scelta di campo del pensatore,
dalla parte degli oppressi e contro gli oppressori. Il percorso di
Marseglia attraversa tutti gli scritti giovanili e raramente fa rife-
rimento ai “Quaderni”, se non per ricordarci il momento iniziale
dell’opera carceraria matura.
L’Autore utilizza una vastissima pubblicistica storica e filoso-
fica dedicata ad Antonio Gramsci; ne riporta e confronta le valu-
tazioni, discute le diverse interpretazioni; talora rivisita le fonti
stesse degli autori citati e documenta la propria veduta.
Benché non ne abbia l’autorità, posso affermare che il saggio di
Marseglia è filologicamente e scientificamente un valido lavoro.
All’origine, nella mente e nel cuore di Antonio Gramsci c’era
“il sardismo” di cui Marseglia ricostruisce puntualmente i mo-
menti ed il carattere. Il sardismo di Gramsci era tutt’altro che
chiusura isolana o vago idoleggiamento della propria terra; gli
12 La formazione culturale di Antonio Gramsci 1910-1918

interessava la società sarda, lo affliggevano lo sfruttamento e la


sofferenza dei lavoratori, gli stenti della sua gente di cui egli stesso
era partecipe. Il sardismo nasce proprio dall’istinto di ribellione
contro uno sfruttamento padronale di provenienza continentale.
Si era arrivati persino a negare il salario del “giorno della festa
della paga”. Ai moti di ribellione, ai movimenti sociali del 1904 e
degli anni successivi, la risposta dal continente era stata una san-
guinosa repressione. È il momento del “nazionalismo sardo” che
presto troverà il superamento anche grazie all’influenza salvemi-
niana ispiratrice del Manifesto sardo antiprotezionista, firmato
da Gramsci. La denuncia contro il protezionismo è viva anche
nel Mezzogiorno continentale, sostenuta non soltanto dal me-
ridionalista di Molfetta e da Ettore Ciccotti, entrambi collegati
con il movimento socialista, bensì dai meridionalisti progressisti
di formazione liberale e di orientamento liberista in economia, i
Fortunato, i Nitti, i Viti De Marco. Avversario del protezionismo
era anche l’economista piemontese Luigi Einaudi, le cui lezioni
di economia saranno attentamente seguite da Gramsci a Torino.
Il liberismo di Gramsci riguarda la Sardegna, il Mezzogiorno, con
una proiezione nettamente internazionalistica: il protezionismo
delle aree ricche era (è) elemento fortemente penalizzante per le
aree sfruttate.
Marseglia insiste ampiamente sulla centralità dell’influenza
di Salvemini nella formazione culturale e politica del giovane
Gramsci. Aggiungerei anche l’affinità tra i due nell’intransigenza
morale.
Lo stesso avvicinamento al materialismo storico e la militanza
socialista s’intrecciano all’impegno con cui Gramsci segue le ana-
lisi e le battaglie salveminiane. Anche il criticismo gramsciano nei
confronti del riformismo si avvarrà, già in Sardegna, delle ferme
posizioni di denuncia del “socialismo giolittiano”, proprie di Sal-
vemini, prima ancora del “garzonato universitario”.
Marseglia ci mostra un Gramsci che a Torino, si lega a due
tipi di strutture, che divengono il luogo storico di tutta la sua ma-
turazione politica e culturale, fino al carcere: le fabbriche, dove
vive una classe operaia evoluta ed aperta alla visione del mondo,
e l’università di Torino, vera officina del sapere. Qui la produzio-
Prefazione 13

ne intellettuale del giovane Gramsci s’inserisce da protagonista


nella vita culturale della città. Marseglia ce lo presenta, in tutto
il suo slancio ideale e rivoluzionario, nel suo rigore di dirigente
socialista. L’impegno giornalistico nella critica letteraria e teatra-
le s’intreccia con le analisi ed i commenti politici. Non possiamo
fare a meno di emozionarci al pensiero dell’intensità intellettuale
e morale del giovane studente, costretto dalle difficoltà economi-
che persino a dare lezioni private.
Il saggio di Marseglia ci rappresenta efficacemente la tempe-
rie formativa dell’ambiente operaio ed intellettuale. La lotta della
classe operaia stimola idee liberatrici e nell’università “l’insegna-
mento diviene atto di liberazione”.
Sapevamo che lo studente sardo compiva escursioni nelle aule
di scienze naturali, di matematica, di economia, di glottologia,
per seguire corsi e lezioni di grandi Maestri. Il Marseglia ci condu-
ce lungo le tante postazioni del sapere, mostrandoci come quelle
frequentazioni nutrissero le elaborazioni gramsciane. L’Autore ci
accompagna in questo percorso attraverso le manifestazioni pro-
prie del pensiero gramsciano. Rari sono i riferimenti biografici.
Le idee si sono formate in quell’“officina” e nei contatti con la
classe operaia.
Gramsci non perde l’ancoraggio alla rinascita idealistica pro-
mossa da Benedetto Croce e, anzi, intensificherà l’attenzione
alle opere storiche e filosofiche crociane. Quest’attenzione, del
resto, rimarrà una costante del Gramsci “prigioniero”, come già
ci diceva ad Eboli il “confinato” e come ci rivelò Togliatti pub-
blicando, nel n. 1 de La Rinascita (Napoli 1944), l’ampia lettera a
Tatiana del 1932.
Ma a Torino Gramsci matura soprattutto l’approfondimento
del pensiero di Marx, che in Sardegna era stato frequentato per
pura “curiosità intellettuale”. Qui avviene il definitivo superamen-
to, o meglio l’avanzamento qualitativo, del “comunismo critico” di
Antonio Labriola. Questi restava ancora troppo radicato alla filo-
sofia idealistica, mentre Gramsci matura creativamente, in modo
autonomo il pensiero del grande filosofo di Treviri ed esprime una
concezione nuova del materialismo storico che farà dire a Togliat-
ti: “Gramsci è stato il primo grande marxista italiano”.
14 La formazione culturale di Antonio Gramsci 1910-1918

Le analisi sui temi delle guerre e delle rivoluzioni approfondiva-


no il rapporto tra economia, guerra mondiale e nuova funzione del
proletariato. Nella Russia arretrata, alleata con le potenze dell’Inte-
sa capitalisticamente sviluppate, e contrapposta ad una Germania
anch’essa industrialmente avanzata, si è formato un proletariato
che già dal 1905 dava segno della sua forza sociale e politica. Nel ’17
compirà La rivoluzione contro il Capitale. Gramsci è stato l’unico
marxista europeo capace di compiere questo tipo di analisi sulla
rivoluzione russa. Il suo sguardo si eleva oltre le montagne dello
stivale, per scorgere un orizzonte ampio e aperto, quello del mon-
do intero, lo stesso a cui pensava Carlo Marx, quando si rivolgeva ai
“proletari di tutti i paesi”, attraverso il Manifesto.
Anche il concetto di “nazione” viene ripensato, come passag-
gio necessario per la formazione di una coscienza di classe pro-
tagonista della politica. Gramsci, così, inizia ad approfondire i
rapporti tra le classi in Italia, le condizioni del presente ma anche
le radici, le tradizioni. In particolare, avvia la riflessione, che si
svilupperà nei Quaderni, sulla funzione degli intellettuali nelle
diverse epoche della storia e nel presente. Non a caso, inviterà
Salvemini ad accettare la candidatura parlamentare a Torino.
Il marxista Gramsci, lavorando sulla storia e sul presente, com-
prende che lo sfruttamento colonialistico non colpiva soltanto
l’isola sua, ma anche il Mezzogiorno continentale, “colonia in pa-
tria”. Su questo punto ricordo un’animata discussione con Gior-
gio Amendola, che non accettava questa definizione gramsciana.
L’accettava invece — e Marseglia lo cita — il bracciante di Ceri-
gnola, Giuseppe Di Vittorio.
A Torino Gramsci va ben oltre il meridionalismo ed il “sociali-
smo contadino” salveminiano. L’attenzione alla territorialità, nata
nell’isola sarda, diviene arma per contrastare ogni visione acritica
delle arretratezze strutturali del Mezzogiorno. Marseglia acuta-
mente nota che vi è stato una sorta di separatismo alla rovescia,
cioè l’abbandono del Sud da parte dello stato unitario. Oggi, pur-
troppo, persino da parte d’intellettuali provenienti dalla sinistra
storica, si è teorizzata l’esistenza di una questione padana, di una
questione settentrionale, per arrivare ad immaginare una riforma
in cui si ripercorrano le strade di un passato preunitario…
Prefazione 15

Ed ancora a Torino — ce lo dice Marseglia — nasce, come frut-


to della filosofia della prassi, l’idea-forza dell’alleanza tra classe
operaia e movimento contadino, espressa poi pienamente nel fa-
moso saggio del ’26 su La questione meridionale, come applica-
zione del concetto di “egemonia”. Non a caso questo concetto
matura attraverso il superamento del dominio intellettuale del
positivismo dentro il partito socialista. Marseglia ci mostra come
Gramsci porti questa lotta fino in fondo, sulla scia dell’impegno
antipositivistico di Labriola. Il socialismo deve essere liberato
dall’incrostazione positivistica e deterministica che, nelle sezioni
socialiste, arriva ad esprimersi persino con l’affiancamento sulle
pareti delle immagini di Karl Marx e di Charles Darwin. In verità,
senza colpa alcuna dello scienziato inglese, la sua teoria evolu-
zionistica era stata arbitrariamente proiettata sul piano filosofico,
assunta a base dello stesso processo nei rapporti sociali. Anche il
finalismo socialista del riformismo è un prodotto del positivismo.
Gramsci lo combatte fermamente, ancorando le sue analisi ed i
suoi pensieri alla realtà ed alla complessità dei processi storici. Il
riformismo, cioè, limita e trattiene la classe operaia ancora entro
i confini corporativi, le sottrae la forza politica.
Gramsci, però, non sottovaluta la portata delle lotte per i mi-
glioramenti della condizione operaia e del lavoro. Posso testimo-
niare che il discepolo di Gramsci ci stimolava a studiare l’opera
sociale e civile di Camillo Prampolini. Quest’opera era stata ap-
prezzata da Gramsci, come del resto quella del socialismo pada-
no. Il che, certo, non avallava la “visione evangelica” propria del
socialismo prampoliniano.
Pure la parola “riformismo” induce a considerazioni sul pre-
sente (delle quali mi scuso con Marseglia e con i lettori del libro).
I riformisti al tempo di Gramsci erano dei combattenti, criticabili
per le teorie deterministiche, ma certamente ben lontani dalla po-
chezza dei loro epigoni.
La lotta ideale antipositivistica diviene, poi, contrapposizione
a Bordiga, ben prima della fondazione del P.C.d’I. Il bordighismo,
con la sua deformazione deterministica del marxismo, conduceva
alla negazione della soggettività del proletariato nel processo sto-
rico, considerato questo meccanicisticamente prodotto dell’evo-
16 La formazione culturale di Antonio Gramsci 1910-1918

luzione economica. Ad un certo punto, fatalisticamente, si sareb-


be “determinata” la crisi catastrofica e quindi la rivoluzione. Ben
altra era la visione di Gramsci, già dal Congresso giovanile socia-
lista di Bologna.
Il saggio di Marseglia conclude la sua esplorazione di quell’“im-
placato intelletto” affermando, sia pure sobriamente, l’attualità di
Antonio Gramsci. Le sue analisi e le sue categorie – Marseglia
insiste - non vanno certo estrapolate dal contesto storico in cui
venivano elaborate. Alcune delle sue notazioni e idee-forza, so-
prattutto la sua metodica, sono armi valide per affrontare il diffi-
cile presente storico.
Non a caso Antonio Gramsci è l’autore italiano contempora-
neo più tradotto e più studiato nei lontani continenti, americani
ed asiatici. In Italia, invece, i postcomunisti lo hanno trascurato e
si sono concentrati unicamente ad inventare e distruggere partiti
e politiche.

Grazie, Marseglia.
Auguriamoci che mille e mille giovani intellettuali s’ispirino a
quel Maestro.

Abdon Alinovi
Introduzione

È davvero impresa ardua, se non improba, «parlare di Gram-


sci, rimanendo chiusi nella sua personale problematica». Se que-
sta considerazione, d’intatta attualità, conserva il carattere di una
validità per l’interpretazione del pensiero del dirigente politico
sardo, nondimeno è da ritenersi inadatta per una corretta im-
postazione ermeneutica di una ricerca sulla sua formazione. In
Gramsci, infatti, com’è stato osservato, «si ritrova interpretato e
tradotto tutto il mondo culturale della sua epoca» e così come
«ogni ricerca sul suo pensiero rimanda necessariamente ad una ri-
cerca sul pensiero che lo circonda», una disamina sulla sua forma-
zione rinvia inevitabilmente ad un lavorio di ricostruzione, anche
interpretativa, serrato, talvolta minuzioso, della complessa tem-
perie culturale che ha permeato e sotteso, in maniera discontinua
e non lineare, un processo formativo così articolato, composito
come quello gramsciano.
Tuttavia questo fondante criterio ermeneutico, che può, di
per sé, servire ad inquadrare il senso di questa ricerca, proprio
per la specificità ed autonomia della formazione culturale di
Gramsci, ha bisogno di essere integrato con un’ulteriore, por-
tante, idea centrale. Essa è stata alla base della fortuna storio-
grafica della “biografia intellettuale” gramsciana dagli anni ’60
in avanti e verte sul dato fondamentale che in Gramsci, più che
in ciascun altro politico, le proprie personali esperienze contano
in maniera decisiva per la formazione e la costruzione del pro-
prio pensiero.
17
18 La formazione culturale di Antonio Gramsci 1910-1918

In questa situazione è, dunque, da incasellarsi il senso della ri-


cerca affrontata, soprattutto, a proposito dei rapporti tra Gramsci
e il sardismo.
È indubbio che le prime compiute espressioni del pensie-
ro gramsciano siano da far risalire al periodo torinese della sua
formazione. È, tuttavia, altrettanto fondato assumere che il mo-
mento sardo nella formazione di Gramsci abbia un rilievo non
secondario e una sua dignità storiografica, come testimoniano le
molteplici, specifiche, accentuazioni di alcuni biografi, come S.F.
Romano, John Cammett, R. Paris, A. Davidson e soprattutto Giu-
seppe Fiori, sia nel Convegno gramsciano del 1966 che in alcuni
saggi della storiografia isolana.
I moti del 1904 e del 1906, con la loro eco di morte e la carica
di ribellione contro lo Stato centralistico, nella ricostruzione del-
la peculiarità di questo soggetto, con un’intuizione originale di
Gobetti, di Velio Spano, di Togliatti, nel suo sforzo di divulgazio-
ne politica e culturale dell’immagine gramsciana, in stretto col-
legamento con la sua strategia politica delle diverse fasi dell’era
post bellica, assumono un ruolo fondamentale. La formazione
dell’adolescente Gramsci non potrà non essere influenzata da ciò
e quel “sentimento dell’epoca” di cui fu partecipe, non può non
radicarsi in lui sulla scia dell’eccidio di Buggerru e dei moti ca-
gliaritani.
Essi, infatti, costituirono il radicamento di quel “socialsardi-
smo eterodosso” a cui, secondo Giuseppe Fiori, il giovane Gram-
sci, già vicino alle teorie marxiane, come attestò il suo saggio sco-
lastico Oppressi e Oppressori, non fu estraneo.
Nel Convegno cagliaritano di Studi gramsciani del 1966 fu pro-
prio questa definizione, che fu oggetto di una vera disputa tra
G. Fiori e L. Nieddu. In particolare, con la sua interpretazione
moderata del sardismo, questi mirava a negare ogni influenza sal-
veminiana sulla formazione gramsciana del periodo 1910–1913.
Una tesi destinata a rimanere senza eco nel panorama storio-
grafico, sicché non solo rimane intatta la validità di quell’origi-
nale nesso istituito da Giuseppe Fiori tra sardismo e “socialismo
contadino” salveminiano, ma, allo stesso tempo, la medesima
nostra operazione di ricerca sulle fonti formative di Gramsci di
Introduzione 19

questo periodo, con riguardo alla tradizione di studi meridionali-


sti precedente e all’interno del dibattito del Congresso Nazionale
del Psi nel 1910.
“L’Unità” di Salvemini, peraltro, non era rimasta estranea
all’alimentazione della campagna di stampa contro il protezioni-
smo che, nell’isola, fu condotta, sul terreno dell’azione concreta
da Attilio Deffenu, un giovane intellettuale sardo che fece pubbli-
care su tutti i giornali sardi, un documento, emanazione del grup-
po di propaganda antiprotezionista, al quale Gramsci, in vacanza
a Ghilarza, fece pervenire la propria adesione.
Per quanto il processo di sprovincializzazione di Gramsci, se-
condo Spriano, sia cominciato già a Cagliari, è certamente Tori-
no che segna, nella sua evoluzione formativa, un salto qualitativo
che è, soprattutto, culturale e politico; esso va ricercato non solo
nel contatto con la realtà operaia e industriale della “capitale della
scienza positiva”, quanto nella ricchezza ed autonomia di una vi-
tale esperienza non solo accademica. Si tratta del “garzonato uni-
versitario” in cui la relazione formale tra docente–discente spesso
scompare per lasciare spazio a processi d’interazione umana, al-
trettanto validi dal punto di vista formativo. L’alto valore didatti-
co e scientifico dell’Ateneo torinese in cui si dispiega la valentia
d’insigni docenti come Farinelli, Ruffini, Solari, Bartoli, Jemolo,
A. Pastore e Cosmo, si compenetra, quindi, con uno stretto rap-
porto umano e culturale tra Gramsci ed alcuni di questi.
La testimonianza di ciò è data, dal 1913, attraverso la collabo-
razione giornalistica al «Corriere Universitario»; in uno dei due
scritti apparsi sul giornale a firma di “Alfa Gamma”, è possibile re-
gistrare l’incommensurabile stima di Gramsci per Farinelli; inol-
tre, in questi articoli, sono affrontate alcune primarie questioni
culturali come i rapporti con il futurismo che saranno destinati
ad assumere nel pensiero gramsciano interpretazioni diverse da
questo primo approccio.
Lo stesso Cosmo sarà ricordato da Gramsci in una lettera del
1931 come partecipe di quel movimento di riforma intellettuale e
morale della società italiana promosso da Benedetto Croce.
Federico Sanguineti, con felice intuizione, è ricorso a questa
relazione, per proporre la sua tesi del machiavellismo di Gramsci
20 La formazione culturale di Antonio Gramsci 1910-1918

come radicato negli anni della formazione e in particolare fin dal


1915. È soprattutto la sottolineatura del rapporto culturale e acca-
demico con Annibale Pastore, evidenziato dal Garin, a conferire
piena autonomia e fecondità formativa a quest’esperienza fonda-
mentale del processo formativo gramsciano, in cui il problema
centrale era rappresentato da «come le idee diventano forze pra-
tiche». Attraverso gli spunti offerti dalle interpretazioni di Marx
presenti nelle lezioni di Annibale Pastore si manifesta quel nesso
fondante che caratterizza la specificità della personalità di Gram-
sci, quella dialettizzazione tra teoria e prassi, in cui si concentrò
«il gran nodo della riflessione che sollecitò su piani diversi tutto il
pensiero europeo».
Il rimando qui operato è evidentemente riferito a quella com-
plessa, variegata, rinascita idealistica, un fenomeno per nulla
provinciale, nell’ambito del quale l’influenza formativa del Cro-
ce «anche nella fase giovanile, può individuarsi proprio nello
sforzo costante di farne riemergere una filosofia della prassi, ma
liberata d’ogni scoria determinista e da qualunque dogmatismo
positivistico».
Certo il positivismo, come dimostra anche un’accurata ricer-
ca di Audenino, si trova in uno stato d’ibrido connubio con le
idee e la pratica del socialismo. La battaglia antipositivistica di
Gramsci avrà quindi un ruolo essenzialmente politico. Qui va,
infatti, affermato che il processo di formazione ideale del giova-
ne intellettuale e lo stesso sviluppo del suo pensiero si compiono
avendo come bersaglio critico permanente la concezione positi-
vista della “zecca loriana” che egemonizza (non meno dell’evo-
luzionismo gradualistico del Treves della «Critica sociale») il so-
cialismo “ufficiale”.
Il lorianismo era considerato da Gramsci il responsabile del
ristagno, se non dell’irrimediabile scadimento, della produzione
intellettuale del socialismo, che pure aveva avuto con le opere di
Labriola «un principio così fulgido e pieno di promesse».
D’altra parte la critica gramsciana delle università popolari
come semplice calco di quelle tradizionali, se va nella direzione
di respingere quell’“arruffata e confusa concezione positivista” di
cui Achille Loria era indomito e convinto alfiere, è la testimonian-
Introduzione 21

za del radicamento in questo periodo di una politica della cultura


nel giovane Gramsci che «non la separi mai dalla politica, ma la
comprenda come una dimensione della lotta politica». È soprat-
tutto nell’articolo Socialismo e cultura che Gramsci reimposta criti-
camente, sia pure ancora nella dimensione idealistica de II Sillabo
ed Hegel, il nesso politica–cultura.
Esso, nello sviluppo del pensiero gramsciano, rappresenta una
pietra miliare, un passaggio importante della sua formazione e
crescita culturale, del divenire della sua teoria della rivoluzione
in Occidente.
Particolarmente interessante per la comprensione del proces-
so formativo gramsciano è l’analisi del concetto di rivoluzione
quale si evince in due basilari articoli che, già il Bonomi, prima di
Gerratana, considera, nella loro connessione interpretativa, “vo-
lontaristica”. In effetti, in Neutralità attiva ed operante, fondamen-
tale per la formazione più propriamente politica di Gramsci, la
rivoluzione è uno “strappo definitivo”, ancora, invero, una figura
mitica, cui tendere con tutte le forze della volontà. In un con-
cetto in cui traspare il misticismo rivoluzionario di Péguy, l’op-
portunità per una rapida incursione nell’incidenza della cultura
francese in Gramsci, ed in particolare di Rolland e Barbusse è ap-
parsa irrinunciabile, a sostegno della tesi di Spriano secondo cui
la formazione di Gramsci non può chiudersi nel rigido rapporto
idealismo–marxismo.
La suggestione esercitata dalla cultura francese nella forma-
zione gramsciana si segnala soprattutto per il contributo dato da
Gramsci per la ricerca di quella concezione di una nuova cultura
basata sull’alleanza intellettuali e classe operaia.
L’altro articolo La Rivoluzione contro il Capitale si segnala per
l’accentuazione dell’elemento soggettivo rispetto alla presunta
immodificabilità delle leggi storiche e ad un marxismo dogmati-
co. In particolare per Gerratana «ora la rivoluzione russa appare
immune da quella tabe del giacobinismo», che Gramsci considera
in questo periodo come «una discriminante tra rivoluzione bor-
ghese e rivoluzione socialista».
La necessità ineluttabile del socialismo nell’articolo citato rice-
ve un duro colpo, così che Badaloni può prospettare non solo «la
22 La formazione culturale di Antonio Gramsci 1910-1918

contestazione soreliana della necessità del socialismo», ma con


l’esaltazione del momento soggettivo, rende possibile un’origina-
le «presentazione hegeliana del rapporto Hegel–Marx in Sorel»,
ravvisabile anche ne II Sillabo ed Hegel.
Senza dubbio quello dell’“hegelo–marxismo” introdotto da Ba-
daloni costituisce un nucleo tematico fondamentale per la rico-
struzione della vicenda ermeneutica della fondazione in Gramsci
dell’autonomia e originalità del suo marxismo, sul quale s’inneste-
ranno le elaborazioni successive di Bergami e soprattutto di Za-
nantoni, anche se secondo una valenza squisitamente filosofica.
Un’accentuazione del carattere dell’autonomia teorica del
marxismo di Gramsci, quella proposta da Zanantoni, che si basa
sulla divaricazione Labriola–Gramsci rispetto al giudizio sull’idea­
lismo.
Sulla scia di Paggi, lo stesso Bergami «individua nell’elabora-
zione gramsciana di questo periodo la presenza di motivi genti-
liani», quegli stessi contenuti sottolineati da Garin in una sua in-
tervista a “La Repubblica”, in cui tra l’altro, il filosofo afferma che
«in particolare, poi, Gramsci rimase molto colpito dalla posizio-
ne che Gentile assunse nei confronti di Marx. È sintomatico che
Gramsci per indicare il marxismo parli regolarmente di filosofia
della prassi, un’espressione di derivazione gentiliana».
Dopo essersi soffermato su taluni aspetti della filosofia crocia-
na, Garin risponde a Gnoli che lo intervista con un motivo che
può riassumere anche il senso dell’attualità di una ricerca come la
nostra, utile, anche per fare luce su talune interpretazioni forzate
circa la presenza di tali motivi gentiliani.
All’intervistatore che gli chiede se sia favorevole ad un ritorno
a Croce, a Gentile, a Gramsci, E. Garin afferma: «Sono favore-
vole, dopo l’oblio e la condanna registrati in questi anni, ad un
ripensamento di un nucleo filosofico e culturale che nel bene e
nel male appartiene, è iscritto nel nostro DNA culturale».
Si è, infatti, molto speculato, anche recentemente, sul genti-
lianesimo di Gramsci; alle presunte e strumentali, rivendicate ap-
partenenze per questi riscoperti filoni basti rilevare che forzando
artificiosamente il suo pensiero queste venature sottili della sua
formazione nemmeno sarebbero emerse.
Introduzione 23

Al contrario, il processo continuo, il lavorio di ricerca di un


autonomo pensiero, certo, si radicano nel marxismo ma, dalla
filosofia della prassi, che non può, di certo, confondersi con l’atto
puro gentiliano, egli trae spunti verso l’elaborazione di una vi-
sione marxiana, originale, sostanzialmente critica, pregna di anti-
dogmatismo e che univocamente lo caratterizzano.

Potrebbero piacerti anche