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INTRODUTTIVI”
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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso Antropologia: caratteri introduttivi
dell’antropologia”, pp. 3-16, del testo di Ugo Fabietti, Elementi di Antropologia culturale, Milano,
Mondadori, 2015.
- lógos, discorso/ragionamento/studio
Per questo, appunto, essa altro non è che lo studio dell’umanità e del genere umano, e non
Tuttavia questa definizione risulta un po’ vaga poiché anche la sociologia, la psicologia, la
storia e la filosofia si occupano dello studio del genere umano. Al tempo stesso risulta anche
imprecisa in quanto non specifica di quale aspetto in particolare del genere umano essa si occupi in
maniera specifica.
In mondi ambienti accademici c’è la tendenza ad associare l’antropologia con quella più
specificatamente culturale ma ben vedere si tratta di un concetto che rimanda a un ampio spettro di
- antropologia filosofica: discussione intorno all’uomo e alla sua natura etica o spirituale;
- antropologia sociale: di scuola britannica, si occupa dello studio strutturale della società;
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Università Telematica Pegaso Antropologia: caratteri introduttivi
- etnologia: di scuola francese, si occupa dello studio comparativo delle diverse culture
umane;
- antropologia culturale: studio del genere umano dal punto di culturale, ossia delle idee e
dei comportamenti (psichici, sociali, economici) espressi dagli esseri umani in tempi e luoghi
all’area delle scienze antropologiche, alla strega delle discipline demologiche (tradizioni e folklore)
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nelle sue osservazioni sui popoli da lui incontrati durante i suoi viaggi (sebbene lui non parlò mai di
antropologia). Molto più probabilmente le radici della moderna antropologia possono essere fatte
risalire all’umanesimo europeo e a tutte le riflessioni e dibattiti che fecero seguito alla scoperta del
Nuovo Mondo1.
L’umanesimo europeo ha avuto una forte influenza nello sviluppo delle riflessioni sul
genere umano, da sempre oggetto centrale dei loro studi. Per gli umanisti, infatti, il genere umano
era il fine ultimo del progetto di Dio e soggetto capace di forgiare il proprio destino, nonché di
Le cose cambiarono all’indomani della scoperta dell’America (1492). I nuovi popoli e i loro
nuovi costumi misero l’Europa cristiana di fronte a un grande dilemma di ordine morale, religioso e
scientifico. Come considerare queste popolazioni? Figli di uno stesso Dio? Selvaggi da assoggettare
con la forza? Uomini che non hanno avuto ancora la rivelazione divina? A partire da questi
interrogativi cominciarono le prime raccolte di informazioni circa usi, costumi e istituzioni sociali
Ma è solo sul finire del 1700 che queste descrizioni cominciarono ad assumere le sembianze
di un vero e proprio progetto scientifico; quando, cioè, cominciò a elaborarsi una teoria unitaria del
genere umano, concepito come una specie naturale (le unioni tra individui di sesso opposto
1
Anche in altri popoli extraeuropei sono rinvenibili tentativi di riflessione che hanno qualcosa in comune con
l’antropologia occidentale. Un esempio è dato dal nordafricano Ibn Khaldun che nel 1300 tracciò un’interessante
visione della storia umana contemporanea ampiamente svincolata dalla teologia musulmana (1978).
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Con l’espansione coloniale e i traffici commerciali i contatti tra europei e altri popoli si intensificarono molto e sul
finire del 1500 i missionari della Compagnia di Gesù cominciarono a documentare in maniera dettagliata usi e costumi
delle nuove popolazioni.
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indipendentemente della diversità fisica davano sempre alla luce prole fertile) e come complesso di
In altre parole, è grazie agli Illuministi3 che la riflessione sul genere umano acquistò
antropologia, sebbene bisognerà attendere la fine del 1800 affinché l’antropologia venisse
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In particolare si devono ai tardo illuministi della Societe des observateurs de l’homme, i primi studi da cui prende
spunto anche l’attuale antropologia. La loro ricerca era finalizzata a studiare il genere umano attraverso la diretta
osservazione e lo studio comparato delle istituzioni e dei costumi dei popoli della Terra, a scapito della mera
speculazione filosofica. Questi scienziati furono i primi a caire che per comprendere meglio e dal punto di vista
scientifico il genere umano occorre spostarsi, viaggiare, entrare cioè direttamente in contatto con gli “oggetti” del
proprio studio.
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Il primo insegnamento a livello universitario dell'antropologia lo si deve al francese A. de Quatrefages che nel 1855
istituì una cattedra di antropologia a Parigi; il successo di questi studi portò alla fondazione, sempre a Parigi, da parte
di P. Broca, della prima Società d'Antropologia (1859) intorno alla quale si raccolsero studiosi di fama internazionale
fra i quali gli inglesi Thuran e Devis e il tedesco K. E. Bear. Il primo che estese le ricerche anche agli aspetti culturali
delle società “primitive” fu l'italiano G. Nicolucci (1857) che pubblicò un'opera rimasta di grande interesse storico e che
nel 1860 istituì la prima cattedra italiana d'antropologia, a Pavia. Con l'affermarsi della teoria evoluzionistica di C.
Darwin (1859) la ricerca antropologica ebbe un notevole impulso, facilitato dalle nuove scoperte della biologia e dal
moltiplicarsi delle ricerche sul campo fra le popolazioni cosiddette “primitive”. Si ebbe anche un fiorire degli studi
sociali, economici e psicologici che portarono a una stretta collaborazione fra l'antropologia e la nuova scienza che si
andava delineando, l'etnologia. Nel 1869 venne costituita la Società Berlinese di Antropologia, Etnografia e Preistoria le
cui metodologie di ricerca e studi legavano insieme queste tre discipline; tale criterio fu seguito (e in parte lo è anche
oggi) da numerosi studiosi che hanno lasciato trattati di grande interesse. Ben presto, l'utilizzazione di metodi e tecniche
rigorose consentì all'antropologia di superare la fase “descrittiva” per oggettivarsi in scienza teorica e applicata: A.
Quételet introdusse il concetto di uomo medio, quale tipo umano di riferimento; definì cioè un uomo i cui caratteri
antropologici servissero da comparazione per tutte le possibili variabili reali. Il metodo comparativo-statistico divenne
norma negli studi di antropologia dando origine a una delle branche più importanti di questa scienza: l'antropometria.
Nel 1876, a Parigi, P. Broca, A. de Quatrefages ed E. T. Hamy fondarono la celebre Scuola d'Antropologia, alla quale
seguirono istituti analoghi in vari Paesi: al Broca si deve anche l'introduzione dei metodi analitici basati su dati oggettivi
riferiti al vivente (antropologia fisica). Nello stesso periodo, l'italiano C. Lombroso elaborò i principi della cosiddetta
“antropologia criminale” e contribuì alla formazione di una nuova metodologia, la “costituzionalistica”, basata su un
insieme di valutazioni antropometriche, psicologiche e fisiologiche, che in Italia si sviluppò grazie agli apporti di A. De
Giovanni, G. Viola e N. Pende. Sulla base dei risultati che si andavano elaborando vennero proposte diverse
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Proprio durante il 1800, l’interesse per i popoli esotici crebbe moltissimo, facendo nascere la
figura dell’antropologo5, molto spesso visto come coadiuvante dei colonizzatori (collaborazioni con
le istituzioni coloniale fornendo pareri sui popoli dominati). Tuttavia è doveroso sottolineare che
non si trattava affatto di figure simili: a differenza del colonizzatore, l’antropologo è interessato a
classificazioni dei tipi umani (definiti sempre razze) fra le quali vanno ricordate quelle di T. H. Huxley (1870), G.
Fritsh (1881), A. de Quatrefages (1889), ma il primo trattato organico di antropologia, che raccoglieva i successi e gli
sviluppi di questa nuova scienza, lo si deve al francese P. Topinard (1885, Éléments d'anthropologie générale).
Notevole influenza ebbero anche le scuole italiane d'antropologia, in particolare la Società Italiana d'Antropologia
(istituita a Firenze da P. Mantegazza, nel 1871) e soprattutto la Società Romana d'Antropologia, fondata a Roma nel
1893 da G. Sergi: a quest'ultimo, sostenitore dell'ipotesi poligenetica delle origini dell'uomo, si deve anche l'aver svelato
il clamoroso falso dell'uomo di Pilt Down. Già all'inizio del sec. XX l'antropologia era una scienza affermata che
annoverava numerosi studiosi in ogni parte del mondo: le metodologie d'indagine si potevano avvalere delle scoperte e
acquisizioni di tutte le scienze biologiche; E. Fisher applicò e verificò le leggi di Mendel sull'uomo (1913), mentre L.
Hirschfeld evidenziò l'importanza dei caratteri serologici ed ematologici (1919). Essenziali furono i contributi dei
ricercatori tedeschi (R. Wirchow, G. Fritsh, F. von Luschan, F. Fischer, E. F. von Eickstedt), italiani (G. Sergi, V.
Giuffrida-Ruggeri, G. Sera), svizzeri (R. Martin, K. Seller), statunitensi (W. G. Boyd, A. Hrdlička, C. B. Davenport),
francesi (P.-M. Boule, J. Deniker, H. Montagu), olandesi (F. Weindereich, G. H. R. von Konigswald) nonché
dell'inglese A. Keith e del sovietico V. I. Bunak. Le nuove elaborazioni e acquisizioni portarono quindi a sempre più
accurate descrizioni dell'uomo e alla revisione delle varie classificazioni dei gruppi umani, fra le quali vanno ricordate
quelle di J. Deniker (1900), C. H. Stratz (1904), F. Ratzel (1914), G.-A. Montandon (1928), E. F. von
Eickstedt (1937), E. A. Hooton (1946), H. V. Vallois (1948), R. Biasutti (1958). Tratto da
http://www.sapere.it/enciclopedia/antropolog%C3%ACa.html
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I luoghi privilegiati per il proprio lavoro furono inizialmente le riserve indiane degli Stai Uniti.
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fasi arcaiche della storia del genere umano (forniti di tecnologie semplici, ignari della scrittura e con
Si trattava inoltre di uno studio tipicamente “a distanza”, basato sui racconti di viaggiatori,
La svolta è avvenuta nei primi anni del XX secolo quando gli antropologi hanno cominciato
a recarsi personalmente presso le popolazioni che volevano studiare, dando così inizio a una nuova
La ricerca sul campo diventa così la base della pratica antropologica che, necessariamente,
Fare antropologia significa, innanzitutto, incontrare esseri umani con abitudini e stili di vita
diversi dai propri e coniugare le conoscenze teoriche con la personale esperienza di osservazione,
riflessione e ricerca.
Gli attuali oggetti di studio dell’antropologia non riguardano solo e soltanto le popolazioni
primitive ma anche tutta una serie di “fenomeni” che vanno dallo studio dei minatori delle Ande
alle gang giovanili delle aree urbane; dai flussi migratori verso l’Europa alle sette; dai consumatori
al commercio di organi e così via. Come ha detto un famoso antropologo contemporaneo Clifford
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4 Definizione di cultura
Ugo Fabietti per introdurre al concetto di cultura si serve di una bellissima storia tratta dagli
studi di De Coppet (1997), riguardante gli scambi tra gli spagnoli e il popolo degli Aré’ Aré.
l’incontro fra marinai e popolazioni indigene chiamate Aré’ Aré. Gli spagnoli, bramosi di trovare
ricchezze sull’isola, notarono che gli abitanti portavano appesi al collo bastoni con incastonate
pietre di colore dorato. Questi ultimi, richiedevano come moneta di scambio per le pietre, i
copricapo dei marinai (chiaro segno per gli spagnoli dell’ingenuità dei “selvaggi”). Questa forma di
baratto continuò a lungo, tanto che gli spagnoli battezzarono quelle Isole con il nome di re
Salomone (famoso per le sue miniere d’oro). Tuttavia, si scoprì in seguito che le pietre barattate non
A questo punto diventa doverosa la riflessione sul fatto che l’ atteggiamento degli Aré’ Aré
fosse davvero così ingenuo e primitivo. Perchè barattare pietre, che ipoteticamente potevano
“selvaggi” e “primitivi” che l’uomo occidentale possiede nei confronti di questi popoli. La ricerca e
lo studio su quelle popolazioni ha infatti dimostrato che presso gli Aré’ Aré, sono solo gli uomini di
potere, i ricchi, i capi a poter indossare un copricapo (guardacaso simile a quello dei marinai
spagnoli); pertanto l’indossare un “simbolo di potere” (il cappello dei marinai) avrebbe conferito a
componenti del gruppo un prestigio che era destinato solo ai leader. Proprio come gli spagnoli, che
credevano che possedere qualcosa di somigliante all’oro (la pirite appunto) corrispondesse al
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È chiaro che due popoli e due culture, profondamente diversi, hanno dimostrato di avere un
medesimo obiettivo legato al quel baratto: ottenere ricchezza e potere. Questo per dimostrare come
individui, appartenenti a due mondi considerati agli antipodi, possono in realtà non essere così
individui, con cui questi ultimi si accostano al mondo, in senso sia pratico che intellettuale (Fabietti
2015, p. 18).
Primitive Culture 1871): “la cultura, o civiltà, intesa nel suo essere etnografico più ampio, è
costume, e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo i quanto membro della società”.
Questa definizione si estende a tutte le persone e non solo a quelle cosiddette “colte” e a
tutte le attività umane fino a comprendere le manifestazioni più strane e aberranti che gli europei di
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5 Approfondimento
La cultura come risorsa: Clifford Geertz e Clyde Kluckhohn6
Una famosa definizione di cultura, peraltro ampiamente accettata nel campo delle scienze
sociali, è quella dell’ antropologo culturale Geertz, secondo il quale la cultura è “una struttura di
in forme simboliche per mezzo di cui gli uomini comunicano, perpetuano e sviluppano la loro
conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita” (1987, p. 141). Nelle parole di Geertz la cultura
appare essere, allora, relazione e costruzione sociale: non è un sistema originario, essenziale,
fondamentale del concetto espresso da Geertz è che la cultura si esprime in forma simbolica, punto
sul quale si sofferma più volte, come sottolinea Fabietti: “il concetto di cultura (…) è
essenzialmente un concetto semiotico. Ritenendo, insieme con Weber, che l’ “uomo è un animale
impigliato nelle reti di significati che egli stesso ha tessuto, credo che la cultura consista in queste
reti e che perciò la loro analisi non sia anzitutto una scienza sperimentale in cerca di leggi, ma una
rappresentati da simboli che permettono all’ “uomo di relazionarsi con l’ambiente; in altre parole
egli ridefinisce il concetto di cultura secondo una concezione semiotica. Ancora, egli sostiene che
“la cultura di un popolo è un insieme di testi” (Geertz 1987, p. 448) e quindi va letta “come una
sorta di documento agito, cioè una rete di significati depositata non tanto nelle strutture quanto negli
attori e nelle pratiche sociali” (si veda in proposito Geertz C., Interpretazione di culture, citato in
Navarini G., L’ordine che scorre. Introduzione allo studio dei rituali, 2003, p. 132).
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Crespi I. (2011), in Andriani V., Crespi I., Il concetto di cultura nella sociologia classica, moderna come presupposto
della “svolta” multiculturale: alcune riflessioni, WP n. 3/2011 DiSEF, Edizioni Università di Macerata,
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Il linguaggio stat aliquid pro aliquod, è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro. Esso ha
una dimensione sociale, coinvolge gli uomini tra loro, la comunicazione connette le persone in
mediazione simbolica universale, grazie al quale si formano tutti i significati: attraverso l‟attività
storia, le definizioni del proprio sé e dell’altro, elementi questi che caratterizzano il contesto sociale
di appartenenza. Inoltre, “ogni tipo di gruppo o di comunità sociale presenta caratteristiche proprie
di linguaggio, a seconda delle regole particolari che lo reggono e degli usi che ne vengono fatti nella
pratica della vita di tutti i giorni. L’analisi del linguaggio diventa, di conseguenza, uno strumento
essenziale per la comprensione della realtà sociale e dei processi che la caratterizzano” (Crespi
2002, p. 156). Bisogna occuparsi del comportamento perché è attraverso il flusso del
comportamento che le forme culturali trovano articolazione (Geertz 1987). La cultura diviene così,
il significato incorporato in simboli attraverso i quali gli esseri umani comunicano e trasmettono
sapere e abitudini; la cultura è pubblica perché lo è il significato. Per questo suo carattere di
trasmissibilità la cultura viene anche concepita come qualcosa di mutevole, dinamico. L’autore
afferma che “non esiste una cosa come una natura umana indipendentemente dalla cultura” (Geertz,
1987, p. 63). L’appropriazione di una cultura avviene costantemente nel tempo, è un processo lento
consapevole di sé, è capace di utilizzare in maniera appropriata le capacità specifiche della cultura
in cui è nato. Tramite questo processo il soggetto si rapporta in maniera sempre più articolata con il
suo universo sociale di riferimento. Il complesso delle interazioni umane – che avviene per mezzo
degli agenti di socializzazione quali la famiglia, il gruppo dei pari, la scuola, il lavoro, i mass media,
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Geertz sostiene la dialettica tra sistema sociale e cultura, dialettica che vede la cultura come “un
sistema ordinato di significato e di simboli, nei cui termini ha luogo l’interazione sociale”, mentre il
sistema sociale è il “modello dell’ interazione sociale stessa… e la cultura diviene perciò
l’intelaiatura di significato nei cui termini gli esseri umani interpretano la loro esperienza e
cultura è un sistema interdipendente basato su premesse e categorie collegate come gli anelli di una
catena, la cui influenza è maggiore, anziché minore, per il fatto che vengono raramente tradotte in
parola (...) È il sapere del gruppo immagazzinato (in ricordi di uomini, in libri e oggetti) per il
futuro (…) La cultura umana senza linguaggio è inimmaginabile. (…) ogni cultura è intesa a
perpetuare il gruppo e la sua compattezza, a rispondere alle esigenze degli individui per un regolato
sistema di vita e per la soddisfazione di necessità biologiche” e “solo quelle scoperte e invenzioni,
siano esse di carattere materiale o ideologico, che si adattano completamente alla situazione
psicologicamente gli individui, diverranno parte della cultura” (Kluckhohn 1952, 24 e ss.). Anche in
culturale. Si evince inoltre che ogni persona segue determinati modelli che apprende dal proprio
gruppo di riferimento (genitori, gruppo dei pari ecc.), modelli che fungono da universo di senso, da
guida per il suo orientamento all’interno della società; le sue azioni saranno dirette da questi ideali
di riferimento. La cultura è allora un processo dinamico, legato ai mutamenti che gli uomini
subiscono e mettono in essere ogni giorno: vi è una molteplicità di individui che agiscono secondo
concezioni della realtà, schemi di vita, modalità di pensare, sentire e agire diversi, e danno luogo a
storie ed esperienze differenziate nel tempo e nei luoghi. Una cultura è il prodotto di un processo di
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apprendimento e non qualcosa di innato, come le caratteristiche somatiche che sono ereditate
simboli, norme e valori che possono dar vita a differenti modelli di comportamento. Analogamente,
soprattutto nelle società complesse, tendono a prodursi culture proprie di determinati gruppi, più o
meno omogenee ai modelli dominanti nella più ampia società. In questo caso si parla della nascita
di una subcultura (per esempio sottocultura giovanile, o cattolica, o impiegatizia), senza che al
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Bibliografia
Andriani A., Crespi I (2011), Il concetto di cultura nella sociologia classica,
http://www.sociologia.unimib.it/DATA/Insegnamenti/17_4331/materiale/il%20conc
etto%20di%20cultura.pdf
Fabietti U. (2004), Il destino della “cultura” nel “traffico delle culture”, in Rassegna
Ibn Khuldan (1978), Discours su l’Histoire universelle, Sindbad, Paris (secolo XIV).
Navarini G. (20039, L’ordine che scorre. Introduzione allo studio dei rituali, Roma,
Carocci
http://www.sapere.it/enciclopedia/antropolog%C3%ACa.html
Tylor E.B. (1985-1988), Alle origini della cultura, Edizioni dell’Ateneo, Roma (ed.
or. 1871).
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