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Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo

Bergamo, Piazza Giacomo Carrara n° 82/d

Silenzio e immagine del suono:


percorso estetico tra John Cage e Max Neuhaus

Tesi
III Anno
Estetica

Candidato Relatore
Manuel Ceci Antonio Somaini

Anno Accademico 2006/2007


Silenzio e immagine del suono:
percorso estetico tra John Cage e Max Neuhaus.

Indice

Introduzione

1 Estetica
1.1 Un ritorno alle origini
1.2 Estetica musicale
1.3 Confini silenziosi

2 Due artisti
2.1 Dal suono al silenzio: Jonh Cage
2.2 Dal suono all’immagine: Max Neuhaus

3 Una proposta dalle origini


3.1 Progetto Etra
3.2 Proposta silenziosa
Ringrziamenti

Grazie a Antonio Somaini, per aver dato vita alla curiosità da cui ha avuto origine questa
ricerca e per le indicazioni bibliografiche.
Grazie alla Biblioteca Universitaria di Bologna: in particolare all’impiegato della Torre Libra-
ria, per la disponibilità e assistenza dimostrata nel reperimento dei libri.
Grazie a Romeo Oberti, direttore della Tecnoacustica Engineering di Bergamo, per l’analisi
acustica e la progettazione tecnica della spirale anecoica.
Grazie Lucio Cadeddu, responsabile della TNT-Audio, per la consulenza in fisica del suono.
Introduzione
Ho scritto l’introduzione a questa tesina del corso di estetica due anni fa. Da allora ha subito
molte variazioni. Poiché la mia ricerca artistica ruota attorno al linguaggio e alle sue forme
di espressione più sensibili, mi affascinò l’opera di Max Neuhaus: un artista americano
che disegna architetture per evocare l’udibile. L’anno dopo un ritardo di presentazione e la
morte di mio padre mi hanno reso muto. L’esperienza quotidiana del mio lavoro notturno
mi fa stare spesso in silenzio. Questa pratica associata alla mia passione per l’oriente mi ha
fatto avvicinare alle sperimentazioni di John Cage. Egli è uno degli artisti che maggiormente
ha indagato il silenzio nella sua accezione attiva (principio zen). Quel silenzio risuona ora
qui dentro le pagine volutamente protette da due fogli di gomma fonoassorbenti neri, e
s’incontra come particella pronominale a volte riflessiva, altre ancora preceduto da un simbolo
tipografico (-). Così, ho voluto dar voce a queste pagine.

Bussa alla stella: i numeri invisibili


si adempiono; le potenze degli atomi
crescono nello spazio. Suoni raggiano.
E ciò che qui e orecchio al loro pieno scorrere,
in qualche luogo è anche occhio; questi duomi
in qualche luogo ideale s’incarnano.

R. M. Rilke, Poesie sparse¹

¹ R. M. Rilke, Poesie sparse in Poesie 1907-1927, a cura di Andreina Lavaghetto, Einaudi, Torino 2000,
p.561.22.
1. Estetica
1.1 Un ritorno alle origini.
Oggigiorno, anche se non decidiamo di porci nell’ottica di spettatore cosciente (alla Tv o al
cinema), siamo comunque invasi da immagini, della vita quotidiana. Quando però guardiamo
un cartellone o in un negozio, il linguaggio in gioco è quello pubblicitario della retorica.
Tutto il mondo delle merci è spettacolarizzato e la pratica del consumismo ne ha subito il
metodo, chiamando il consumatore (anche di immagini) a confrontarsi non con il prodotto,
ma con un contorno esperienziale che rende l’azione dello spettatore, spettacolo di se stesso.
I contesti storici che regolano queste manifestazioni sociali, sono chiamati da Christian Metz
regime scopico² in quanto si collocano in un determinato periodo con determinate leggi, usi
e costumi. Risulta infatti difficile isolare la figura di uno spettatore assoluta e sovrastorica.
Ciò che oggi è immagine proviene da un processo storico sempre accompagnato da una storia
degli sguardi; il vedere non rimane sempre uguale nel tempo perché le abitudini percettive
e ciò che vediamo cambia. Se pensiamo all’invenzione del cannocchiale e del microscopio
nel ‘600, non sono solo due nuove tecniche del vedere, ma nascondono la possibilità di
avvicinarsi all’invisibile. Quella particella che oltrepassa la scienza per andare fino in fondo
a se stessi ai propri desideri e diventare “sensibili a piccole, piccolissime unità di tempo”³.
Il vedere, quindi ha una storia della mentalità sociale supportata dalla relazione tra
visibile e invisibile. Debray distingue tre tipi di mediazioni d’immagine a seconda del regime
di cui fanno parte e dello sguardo a loro associato: l’idolo al magico, l’arte all’estetico e il
visivo all’economico. Quest’ultimo legame è una conseguenza teorica del famoso saggio di
Walter Benjamin, “L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, al quale
dobbiamo la correlazione tra l’evolversi storico delle tecniche di riproduzione delle immagini
e quello delle forme di spettatorialità. Tra di esse annoveriamo gli spazi della fruizione e i
dispositivi attraverso i quali lo sguardo si attua nella distanza dallo spettacolo. Analogamente
la cornice di una forma o sipario di un teatro, creano una distanza tra il rappresentato e
noi, interpellando-ci sull’esistenza di questa forma rispetto allo spazio circostante, creando
appunto una distanza. Quest’ultima dipendente dal punto di vista: nello spettatore del Leon
Battista Alberti è determinata dalla prospettiva della visione dell’evento rappresentato,
mentre nella teoria di Panofsky determina uno statuto dello spettatore, il cui sguardo, muta
e con esso il tempo e la cultura attorno a lui. Partendo infatti dall’etimologia della parola
spettatore (dal latino spectator; stare a guardare, osservare e intrinsecamente rispettare), la
regola dell’immagine prospettica vuol essere quella di andar-si a porre in una visione regolata
da precise norme, dettate dalla stessa immagine. Denominare prospettiva la distanza tra lo
spettatore e la meta del suo sguardo è, a mio avviso un modo per avvicinarle in una sorta di
momento estetico dove:

2 Autori vari, Il luogo dello spettatore, Forme dello sguardo nella cultura delle immagini, a cura di A.
Somaini, Vita e Pensiero, Milano 2005, nota n.13 p.12.
3 E. Grazioli, La polvere nell’arte, Milano, Bruno Mondadori 2004, pp. 116-120.
4 Autori vari, Il luogo dello spettatore, pp. 57-70.
[...] il tempo e lo spazio sono aboliti e lo spettatore è posseduto da un unico conoscimento. Quando si
recupera la coscienza ordinaria è come se egli fosse stato iniziato a misteri che illuminano, esaltano e
hanno virtù formativa. Insomma il momento estetico è un momento di visione mistica5.

Panofsky non da grande rilevanza alla prospettiva, sostenendo importante la dimensione


emotiva dell’uomo ed il suo coinvolgimento simbolico/spirituale proprio di ogni epoca.
Tenta quindi di portare la riflessione dell’esistenza pittorica sulla stessa esistenza. Questa
sovrapposizione filosofica viene espressa da Cassier 6 non come un fenomeno di riproduzione
temporale ma come una vera e propria provenienza originaria trascendentale, riportando
l’estetica alla sua origine.

5 B. Berenson, Estetica, Etica e Storia nelle arti della rappresentazione visiva, Milano, Leonardo 1990, pp. 77.
6 Autori vari, Il luogo dello spettatore, pp. 76-77.
1.2 Estetica musicale
Il termine estetica significa letteralmente dottrina della conoscenza sensibile (nel lemma usato
da Emmanuel Kant, estetica trascendentale)7. Dal 18° sec. in poi, il termine estetica trasla il
suo significato in dottrina del bello, dell’esperienza del bello, della produzione e dei prodotti
dell’arte. Lo statuto oggettivo dell’oggetto artistico o naturale (in quanto bello), distingue
poi, il suo significato in valore duplicabile o assoluto. Del primo fanno parte le posizioni
della scuola dell’estetica tra il 17° e il 19° sec., mentre si tende a fa rientrare nella tradizione
neoplatonica e scolastica, l’idea di un valore indistinguibile dal buono o dal vero accettando
alcuni aspetti spirituali e universali. Quest’ultima, è una impostazione dell’intendere il
fenomeno artistico che da fondamento a tutta la cultura occidentale. La realtà concepita come
trama di idee immobili e incorruttibili, porta alla consacrazione estetica di ciò che sta chiuso
in un perimetro dai confini precisi e invalicabili senza mai prendere contatto con la realtà
vera: il sensibile.
Laddove non esiste confine tra apparire e sparire e il tutto si trova in una transitorialità
senza fine ne inizio. I linguaggi si mescolano e il mezzo di espressione artistica tocca allora
ambiti che non restano nella diretta sincronia - quadro/vedere, musica/ascolto, oggetto/toccare
- ma si fondono8. L’attenzione non si concentra sulla ricezione dell’opera ma tutt’intorno e
dentro la relazione tra soggetto (inteso come spettatore) e oggetto (inteso come proiezione
dell’osservatore). Quindi, secondo lo sguardo il soggetto si rinvia all’oggetto mentre secondo
l’ascolto il soggetto si rinvia a se stesso essendo recettore e allo stesso tempo mezzo attraverso
il quale si risente. Nel caso del suono, arriva all’orecchio da un rapporto di individuazione del
sensibile e acquista senso secondo il nostro sentire. Quindi l’aìsthesis aristotelico è sempre un
risentire, una struttura aperta, spaziata e spaziale dentro di noi che provoca una risonanza: un
rinvio. Il corpo che risuona e il corpo di ascoltatore coincidono9.
Non si tratta solo di mettersi in ascolto, ma di allargarsi, di espandere le proprie percezioni,
lasciare che le vibrazioni si relazionino al sentire, ponendo il soggetto dentro di sé e,
risentendo-si fuori di sé. L’ascolto rappresenta la realtà stessa di un accesso, una possibilità
che unifica singolo e pluralità, materiale e spirituale nel suo esser-ci al presente “in presenza
di”. Presenza che si rivela persistente in un complesso di rinvii fatto di sovrapposizioni e
risonanze. Paul Valéry spiega che “un suono mette nella condizione di quasi presenza tutto
il sistema dei suoni”. Distingue poi l’aleatorietà di esser-ci e la predisposizione al ricevere
a seconda che si tratti di suono o rumore. Il rumore fa sorgere delle idee circa le cause che
lo producono, delle disposizioni d’azione, dei riflessi ma non uno stato d’imminenza10. Il
sonoro, é invece onnipresente fino a divenire ossessione nel racconto di Italo Calvino “Un
re in ascolto”. Qui tutto si svolge come se una melodia fosse già presente nell’orecchio
(o nella mente) del Re . Il soggetto ascolta tutto ciò che accade nel suo castello attraverso
una conduttura che lo porterà a perdersi definitivamente dentro se stesso; dentro le proprie
percezioni di un orecchio dentro la musica, ornato di rumori senza alcuna pausa. Il tempo

7 AA. VV., Lessico Universale Italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1971, vol. V.
8 J.L. Nancy, All’ascolto, a cura di E. Lisciani Petrini, Raffaello Cortina, Milano 2004, pp. XVI-X VII.
9 J.L. Nancy, All’ascolto, p. 14-16.
10 J.L. Nancy, All’ascolto, p. 25.
allora non esiste e si sente spaesato. Grazie ad altri rumori ricorda appuntamenti ai quali
però non sta bene che partecipi in quanto Re. L’indicibile frastuono di cui si sente vittima e
spettatore, costituisce il non silenzio. Infatti, se il silenzio divide i suoni, in un luogo dove non
si realizzano pause o sono riempite con altri rumori prodotti da ansia o paura, si produce un
suono dalla stessa mancanza di silenzio;

Ansimi, ansimi [...] Perché le rane adesso stanno zitte? No ecco che riprendono. Abbaia un cane...
Fermati! [...] Tendi l’orecchio. C’è qualcuno che sta ansimando con te. Dove? [...] Se isoli un rumore
dall’alto, sembra che prorompa d’improvviso nettissimo; invece c’era anche prima [...] Anche tu c’eri,
prima. E adesso? Non sapresti rispondere. Non sai quali di questi respiri è il tuo respiro11.

Il Re diviene un luogo dove non esistono pause, dove il suono è dentro il sentir-si e il silenzio
è nel non silenzio.

11 I. Calvino, Un re in ascolto in Sotto il sole giaguaro, Arnoldo Mondadori, Verona 2006, p. 74.
1.3 Confini silenziosi
Il silenzio non è qualcosa di facilmente decifrabile e comunque non è facilmente definibile,
è uno stato in cui non si fa rumore; non c’è rumore. Anche se l’universo è sempre pieno di
rumori e non è mai silenzioso. Il silenzio ci rivela ciò che è invisibile e ciò che normalmente
è nascosto nel visibile; è il punto di incontro tra esperienza interiore e circostanze esteriori.
Esiste anche un silenzio pieno ed un silenzio vuoto. Il silenzio, come la parola, può assumere
significati molteplici: rituale, rumoroso, dovuto al luogo, parlato e/o parlante. Con il silenzio
esprimiamo sentimenti, pensieri, desideri e diversi stati d’animo: si possono dire infinite
cose. Il silenzio della vittima non è quello dell’assassino e neppure quello del testimone.
Un silenzio può voler dire che “non c’è più niente da dire” oppure che tutto rimane non
detto, può parlare di una persona o può rappresentare il rifiuto di farlo. Dunque il silenzio
possiede una propria ossatura, propri labirinti e contraddizioni.12 perciò ha bisogno di un
lavoro interpretativo per essere colto nel suo corretto significato. Ma dando spazio alla parola
il silenzio si rompe e, allo stesso tempo si realizza, e invece di essere ciò che si oppone al
linguaggio diviene ciò che in esso si schiude alla potenza del linguaggio.13
Tra parola e silenzio non vi è opposizione. Il silenzio non è il contrario della parola e
senza la polarità del silenzio l’intero sistema del linguaggio crollerebbe; ogni discorso non si
mantiene se non con l’atto di silenzio che lo anima. La scelta del silenzio comporta comunque
una profonda valutazione di un linguaggio e di un ascolto che, soprattutto oggi in un mondo
assediato da rumori e da chiacchiere, è sempre più inautentico, impersonale e vuoto. La
nostra in effetti, è una società in cui tutti parlano dentro e fuori di sé e dove nessuno ascolta.
D’altronde spesso non ascoltare è anche una forma di autodifesa: non si ascolta per non venir
sopraffatti dalle migliaia di messaggi che continuamente ci raggiungono. Eppure l’ascolto è
uno strumento conoscitivo di grande importanza, esso consente di essere aperti nei confronti
del mondo e del prossimo. Ma solo col silenzio si può realmente udire, dare tempo alla
contemplazione e all’esplorazione del pensiero, preparare la parola a raggiungere il massimo
d’integrità e sentire meglio la propria presenza fisica in un determinato spazio.
Anche l’arte del nostro tempo risuona di silenzi creando nuove maniere di guardare
e ascoltare che favoriscono un’esperienza più immediata e sensoriale dell’arte e un
accostamento all’opera di tipo più consapevole e concettuale. Dice Massimo Kaufmann:
«L’arte è il luogo del silenzio, osservarla significa precipitare magari anche solo per un attimo
in un luogo nel quale il linguaggio interrompe il suo flusso»14. Ma nel nostro regime storico
abbiamo una visione del linguaggio superficiale che non ci appartiene, proprio perché non ci
sorprende e la sua comprensione risulta troppo semplicistica. La parola ha in realtà una grande
potenza significante conferitale dal silenzio che la precede e da cui scaturisce; dal silenzio
che essa stessa contiene e da quello che le segue. Quei silenzi sono luoghi di raccoglimento,
di ascolto, luoghi che aprono nuove dimensioni alla realtà, in cui si può riconoscere un
segreto che nessuna parola può spiegare. Render-ci conto che nessuna parola può comunicare

12 E. Wiesel, Contro la malinconia, Spirali, Milano 1984, p. 187.


13 B.P. Dauenhauer, Silence, University press, Boston 1981, p.1264 Autori vari, Il luogo dello spettatore, pp. 57-
70.
14 M. Kaufmann, Appunti di una conferenza tenuta presso l’Accademia Carrara di Belle Arti, Bergamo 2005
l’interezza del nostro essere, mentre il silenzio (in cui la parola stessa è contenuta) si. Risalire
a quest’origine significa andare sotto il brusio delle parole: comprenderle, ascoltarle e,
come un bambino che inizia a parlare, crearle. Significa scoprire il silenzio primordiale e di
conseguenza il gesto che rompe quello stesso silenzio.

«La creazione artistica è disseminata da pause, percorsa dal silenzio, dilatata da sospensioni del
senso. Creare significa saper ascoltare il suono che produce la forma mentre si libera. Le pause, i
silenzi tra un gesto e l’altro sono i periodi di ripiegamento e di distensione, necessari perché quel
linguaggio si accompagni alla sua ombra. Un atto creativo include anche tutto quanto non può essere
detto, quello che non può essere mostrato e tutto quanto passa sotto silenzio [...] Una sensazione di
sospensione è una delle possibili forme in cui il silenzio appare. Il silenzio è dentro il tempo. Riuscire
a conquistare il silenzio per un artista significa prolungare dall’interno la vita ed ascoltare»15.

15 M. Kaufmann, Domande e risposte in Riscoprire il silenzio, Milano, Baldini & Castaldi, 2004, pag. 90.
2. Due artisti
2.1 Dal suono al silenzio: Jonh Cage
È dal silenzio che si riescono ad ascoltare i rumori delle cose e per metterlo in pratica è
sufficiente mostrare più attenzione alle piccole percezioni, ai rumori involontari. Partendo da
queste considerazioni Jonh Cage arriva alla conclusione secondo cui, il silenzio è solo un’idea
della musica e alla fine degli anni ‘40 intende dimostrarlo, con un’esperienza da egli stesso
provata:

«[...]talvolta per certe finalità tecniche è desiderabile una situazione il più possibile silenziosa. Un
ambiente che possa creare una condizione di questo tipo è detto camera anecoica; le sue sei superfici
sono di un materiale assorbente speciale; è una stanza del tutto priva di risonanze. Diversi anni fa
entrai, all’università di Harvard, in una stanza così, e sentivo due suoni uno alto e uno basso: quando
li descrissi al tecnico di servizio, m’informò che il suono alto era il mio sistema nervoso in azione; e
quello basso il mio sangue in circolazione. Finche non sarò morto esisteranno questi suoni»16.

Dopo quest’’esperienza, Cage studia la possibilità di comporre un pezzo fatto solo di silenzio
che sia la dimostrazione dell’impossibilità di un silenzio totale. Già nel 1948 Cage dice di
voler comporre un pezzo di silenzio ininterrotto e venderlo alla Muzak co. 17: «Sarà lungo
tre o quattro minuti e mezzo, queste sono le lunghezze della musica in scatola. Il suo titolo
sarà Silentprayer»18. L’idea iniziale è quella di sostituire alla musak (musica di sottofondo
per supermercati, simbolo per Cage di un certo inquinamento sonoro) una misura standard
equivalente di silenzio. Cage pensa e discute la possibilità di creare questo pezzo per circa
quattro anni prima di presentarlo in pubblico.
L’opera sarà chiamata in seguito 4’33” (Fig. 1) e verrà pubblicata nel 1952 e divenendo
in seguito, la più celebre delle esperienze di John Cage nella musica d’avanguardia di quei
tempi. Per tutta la vita, egli considererà questa la sua opera migliore poiché amava pensare
che non fosse mai stata interrotta: nata quindi da un prima e presente anche nelle sue future
opere (e in quelle dei suoi colleghi futuri). L’opera consiste in un esecutore che si avvicina
al suo strumento e resta immobile per la durata indicata nel titolo (in genere veniva suonata
con un piano, ma precisa Cage, che qualsiasi altro strumento può essere usato). Un campo
calcolato di silenzio, scandito solo da tre colpi di coperchio del pianoforte corrispondenti ai
tre classici movimenti della sonata, che rimette, in questione la tradizione propria dell’uomo

16 J. Cage, Musica sperimentale in Silenzio, Milano, Feltrinelli, 1971 cit. p. 27.


17 Muzak vuol dire: musica che viene sottratta al suo possibile ruolo di contributo alla riflessione ed è costretta ad
un ruolo secondario rispetto agli acquisti, al cibo o altro ancora.
18 J Cage, Confessioni di un compositore, discorso tenuto alla National Inter-Collegiate Arts Conference
presso il Vassar College di Poughkeepsie, New York, il 28 febbraio 1948, ora in John Cage, winter, previously
Uncollected Pieces, New York, Limelight Edition, 1993 cit. p. 170.
occidentale di imporre la’ propria volontà sul suono, sull’ambiente e sul mondo: è un’apertura
ai suoni che circondano l’ascoltatore, l’accettazione di tutto; l’assenza di ogni intenzione. La
mancanza di suono di quest’opera non è l’assenza di suono di una grande città alle quattro
del mattino o il silenzio in commemorazione di un defunto, è il particolare silenzio di quella
specifica stanza con quel particolare pubblico (che può mormorare, tossire, fare fischi di
collera o bisbigliare) e quei particolari esecutori. Accade insomma un’inversione del rapporto
normale che si ha in una sala da concerto tra musica e i suoni ambientali e tra musica e il
pubblico. Il pezzo cambia in funzione del luogo e del tempo in cui viene eseguito. 4 ‘33” è
una musica che non esige nient’altro che la presenza di qualcuno che l’ascolti, di un orecchio
libero di entrare nell’atto di udire; chiunque compresi tutti coloro che non hanno mai preso
uno strumento in mano, possono eseguire magistralmente questo pezzo musicale. Il senso è
proprio nella comprensione del silenzio reale al di fuori di un silenzio artistico. Questo pezzo
ti fa uscire dalla sfera dell’arte e ti fa entrare nella sfera della vita. Cage dice infatti di usarlo
nella sua esperienza di vita, in quanto è il luogo stesso dove gli si è manifestato;

«Ho passato molte ore piacevoli nei boschi eseguendo il mio pezzo silenzioso: trascrizioni, cioè,
per un uditorio composto unicamente da me stesso, dato che erano assai più lunghe del brano, di
estensione popolarmente ridotta, che ho fatto pubblicare. In una di queste esecuzioni ho trascorso il
primo movimento tentando l’identificazione di un fungo rimasto brillantemente. non identificato. Il
secondo movimento è stato di una drammaticità estrema, poiché si è aperto coi suoni dei sussulti di
due cerbiatti nel raggio di tre metri dal mio roccioso podio. E in quanto alla drammaticità non solo
questo secondo movimento era drammatico ma anche insolitamente malinconico: gli animali erano
spaventati per il solo fatto che io ero un essere umano. Tuttavia se ne andarono esitando, e in un modo
che calzava a meraviglia entro la struttura dell’opera. Il terzo movimento tornava al tema del primo:
ma con tutte quelle variazioni profonde, e tanto note nel sentimento del mondo, che la tradizione
germanica associa alla forma a-b-a»18.

I materiali della musica sono i suoni e i silenzi, così per riconoscere il silenzio bisogna
percepire l’ambiente circostante fatto anch’esso di suono e di linguaggio. La fisica moderna
ha dimostrato che il vuoto è in realtà un brulichio di attività invisibili, anche il corpo umano
produce suono: la vita è suono. Il campo sonoro è una specificità dell’essere vivente e il
silenzio, l’assenza di suoni, è assenza di vita. L’uomo moderno infatti rifiuta il silenzio totale,
ha paura della mancanza di vita e teme la morte come mai era accaduto prima.19 Per lui la
contemplazione del silenzio si è trasformata spesso in un’esperienza negativa e terrificante.
Cage voleva invece condurre le persone alla consapevolezza che i suoni dell’ambiente in cui

19 J. Cage, Guida miceto-logìca del musicofilo in Silenzio, Milano, Feltrinelli, 1971 cit. p.22
20 C. G. Jung, Lettera al professor Karl Oftinger in 100 lettere, Boringhieri, Torino 1982, p. 136
vivono potevano essere interessanti quanto ascoltare un concerto.
Ma 4 ‘33” ha sicuramente anche un tipo di origine vicino al pensiero orientale ed in
particolare a quello zen; Cage detestava il modello culturale della società statunitense fondato
sui miti del consumo e del successo. Poiché nello zen la conoscenza di sé passa attraverso la
rinuncia del proprio ego, per Cage la composizione è una rinuncia all’espressione soggettiva.
Un pensiero di Pascal, particolarmente moderno, può suggerire l’importanza dello zen per
l’essere umano:

«Quando mi sono messo, talvolta a considerare le varie agitazioni degli uomini e i pericoli e le pene
cui si espongono, nella Corte, in guerra, e donde nascono tante liti, passioni, imprese audaci [...] ho
scoperto che tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa: dal non saper stare tranquilli
in una camera». Simili a queste sono le parole del Buddha: «Praticare la via è come rientrare a casa
propria e sedersi in pace: discutere è come rimanere fuori dalla porta»21.

L’illuminazione non va quindi cercata ma è già li dentro di noi. 4 ‘33” è dunque come nello
zen, presenza e assenza di tutte le cose; è un’apertura ad una corporeità totalmente svincolata
da un pensiero intellettuale. Dall’abolizione del senso in quanto dato: univoco e prestabilito,
si arriva alla molteplicità, all’accrescimento del senso, ad un’apertura esterna dello “sguardo”.
Togliere piuttosto che riempire, creare spazio piuttosto che rinchiuderlo, è questo uno dei
principi zen da cui si trae un’altra lezione:

«Il saggio non divide ne giudica. Il saggio si astiene dal fare. Non si attacca a niente così non sente la
mancanza di niente. Studia ciò che gli altri trascurano e restituisce al mondo quello che le moltitudini
hanno trascurato».

4 ‘33” rende visibile ciò che di solito non lo è: normalmente il 75% delle informazioni
che raggiungono la corteccia cerebrale passa attraverso gli occhi e solo il 15% giunge
all’orecchio:22 questa composizione porta l’ascoltatore ad una maggiore consapevolezza
dell’udito: contemplativo e creativo. È un brano “ecologico” che ci mostra una strada. Andare
alla radice ed ascoltare, con calma, senza alcun pregiudizio, facendo tacere la chiacchiera
incessante del nostro pensiero. Se ci si concentra su un suono e lo si accetta come tale, questo
divine più a fuoco. Il pensiero ci porta ad isolarlo dandogli forma e centro, e questo centro è
a sua volta il centro stesso dell’universo la cui circonferenza non esiste. Cage ricava questo
insegnamento da Suzuki, uno dei più importanti diffusori dello zen negli Stati Uniti, del quale
fu allievo;

«Suzuki non parlava mai ad alta voce. Quando il tempo era bello, le finestre venivano aperte, e

21Associazione Italiana Zen Sōtō, Guida allo Zen, Le posizioni - I gesti rituali - La meditazione per risvegliarsi
alla vera vita, Milano, Giovanni De Vecchi, 2001 p. 57.
22 Le neuroscienze e la musica: Congresso internazionale, Lipsia 08-11-2002, http://www.fondazione-mariani.org
gli aeroplani che lasciavano l’aeroporto di volta in volta ci volavano direttamente sopra la testa,
coprendo qualsiasi e cosa egli dicesse. Non ha mai ripetuto le frasi pronunciate durante il passaggio
dell’aeroplano»23.

L’esperienza e il vissuto sonoro, come il mondo, il tempo, la società e i rapporti vissuti


anche con noi stessi, sono tutti profondamente implicati nel modo di concepire il silenzio.
Da parte di John Cage: «Il paesaggio sonoro del mondo diventa dunque un’unica
composizione musicale immensa che si dispiega senza interruzione attorno a noi. Noi siamo
contemporaneamente gli ascoltatori, gli esecutori e gli autori di questa composizione»24.

23 J.CAGE, Per gli uccelli, Conversazioni con Daniel Charles, Milano, Multhipla, 1997 cit. p. 192.
24 R.M. Schafer, Il paesaggio sonoro, Roma, Ricordi, 1985 p. 353.
2.2 Dal suono all’immagine: Max Neuhaus
Già dalla creazione del nostro universo troviamo un suono, una vibrazione, un’armonia. (dal
latino harmonìa - dal greco ἁϱμονíα: accordo)25 che nella Grecia antica significava coniugare
le scale modali entro i quali si muovevano diversi canti attraverso i loro rapporti funzionali.
Essendo la musica costituita da rapporti numerici la possibile vicinanza matematica genera un
concetto di armonia numerica. Grazie ai sismografi è possibile rilevare l’”atti-vità” del nostro
pianeta Terra. Il geologo A. Montanari e il musicista G. Rossetti sono riusciti attraverso un
software chiamato Frankesnstein,26 a tradurre quei numeri in note. Da questi studi altri se ne
sono aggiunti creando una nuova scienza chiamata geofonia: appunto il suono della terra.
Nell’unificazione, di due mondi apparentemente distanti sta quindi anche l’astrazione dello
stesso concetto musicale. Nel mondo dell’arte la musica trasla il suo statuto non coincidendo
più necessariamente con la caratteristica del semplice ascolto. Come abbiamo visto, nella
concezione di J. Cage si crea una frattura tra la musica e se stessa. Egli cerca appunto di
decostruirla per far nascere dentro un silenzio (a sua volta musica). É grazie alla sensibilità
di artisti come lui che il suono, nella graduale appropriazione silenziosa dello spazio nel
tempo, amplia la sua dimensione sconfinando in quella spaziale. Alla fine degli anni Sessanta
un altro artista americano, Max Neuhaus, inizia a creare installazioni acustiche. Comincia
i suoi esperimenti con circuiti audio-elettronici che lo porteranno a creare la sua prima
installazione sonora nel 67’. Da quella data inizia sua attività d’artista: borse di studio alla
National Endowment nel 73’ e 77’, progetti per città come Time Square a New York (Fig. 2)
e la metropolitana di Parigi. Dai primi anni Ottanta, tiene conferenze e realizza le prime
opere sonore per i musei europei. Ma è dall’inizio degli anni ‘90 che la sua attività artistica
musicale va al di la della stessa musica;

Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che per chi l’ha vista una volta non può
più dimenticare. […] Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione
delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre delle case, pur non mostrando in esse
bellezze o rarità particolari 27.

Ascoltare la descrizione di una città in cui non si ha mai messo piede coincide ad
immaginarla. La mente è dunque capace di costruire paesaggi dalle sole parole. L’immagine
delle parole conduce il lettore a costruire modelli di comprensione del verbo, più globali,
quindi fisici. Capita infatti a volte, di visitare luoghi già vissuti ed averne una visione
diversa. Quello stesso spazio diventa inusuale grazie alla ricezione di una piccola cosa mai
notata. La visione di quel luogo cambia: i dettagli traslano lo sguardo al di fuori dei canoni
quotidiani; gli eventi casuali donano freschezza alla percezione. Con lo stesso processo si

25 AA. VV., Lessico Universale Italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1971, Vol. II.
26 Quark, In forma la mente, Hachette Rusconi - Rai Trade, Milano 02/01/2006, p.88.
27 I. Calvino, Le città invisibili, in La città e la memoria, Oscar Mondadori, Verona 2004, p. 15.
generano, le opere su tavola di Max Neuhaus chiamate Sound Works. Come egli stesso dice:
«Si riferiscono alla costruzione di un luogo, un luogo che nasce dalla mia immaginazione
partendo da un luogo specifico». I disegni dei progetti di luoghi o architetture solamente
pensate, (Fig. 3) servono a creare l’immagine del suono, formando spazi immaginari da
esplorare. Max Nuehaus, intende il suono nella percezione del sensibile che lega interi
sistemi linguistici. Non si trova l’idea di oggetto d’arte, ma solo l’intenzione di far interagire
una condizione con l’ambiente in cui si iscrive. Tutt’intorno allo spettatore, s’instaura,
una comunicazione di onde sonore che, attraverso la lettura delle parole ristabiliscono poi,
un’appartenenza al loro luogo o non luogo di origine. Il mezzo acustico nasce dallo spazio ed
è azione nella leggerezza del disegno (Fig. 4).
Max Neuhaus, riesce a traslare il suono in un non spazio vibrante quasi fisico. Elaborando
l’etereo in delimitato, egli, presenta i suoi lavori con disegni come se il suono fosse un
blocco di marmo da scolpire che racconta lo spazio da una voce disegnata. I colori e le forme
assumono poi, una demarcazione ontologica diversa, da quella che normalmente, ad essi si
attribuisce. Servono a tradurre leggerezza e spontaneità, vuoti e pieni (Fig. 5). L’esigenza del
suono, conduce Neuhaus a donare al disegno riassuntivo sempre minor importanza, in forza
della musica che “avverte” nel luogo: il disegno finito, in realtà, avvicina troppo lo spettatore
alla spontanea esplosione del suono. Nel disegno allora, possiamo intravedere, attraverso
l’approssimazione al limite dell’udibile, la voglia di esprime la fragilità della musica senza
rappresentarla;

Questi disegni quindi non sono guide[…], non rivelano ciò che accade realmente quando il suono
impegna la mente in un luogo.[…] Essi sono tuttavia manifestazioni di idee, catalizzatori che
producono associazioni di pensieri, memorie attive, punti di vista e proiezioni di ciò che il pensiero
può diventare 28.

Per Max Neuhaus i disegni sono solo degli appunti di quello che uno spettatore può percepire:
sono indicazioni, tracce 29 di un percorso che non si esaurisce, ma proroga la sua energia fino
al tempo della manifestazione. Sono impianti, dove ogni dettaglio, serve a non spiegare ma a
completare l’interazione con il “suono”. Neuhaus ci fornisce una visione quasi architettonica,
di alcuni elementi formali. Dagli stessi però, si evidenzia una distanza: qualcosa non torna;
il testo non ha i riferimenti che ci si aspetta di trovare e si ritorna all’immagine disegnata.
Il luogo descritto, in realtà è un non luogo, ed il disegno associato, diviene sempre più
uno spazio fisico distaccato, eppure affascinante. Nella creazione delle sue opere, Max
Neuhaus, vuole coinvolgere il maggior numero di persone, ma senza l’obbligo dell’osservare
o dell’attesa; solo la possibilità di cogliere lo spazio intorno a sé come una raffigurazione
dell’invisibile: «là dove non c’è che il nulla»30.

28 Max Neuhaus, Max Neuhaus, Evocare l’udibile, pag. 13.


29 Stuart Morgan, Max Neuhaus, Evocare l’udibile, pag. 16.
30 Yebuda Safran, Max Neuhaus, Evocare l’udibile, pag. 22.
3. Una proposta dalle origini
3.1 Progetto Etra
Etra, parola che proviene dal greco: αἳϑϱα e sta a significare: l’aria, il cielo 31. Rappresenta
qui la possibilità di collegarsi all’infinito attraverso l’etere che più traspone il senso di
una un’immensa sospensione: visione del silenzio; angolo vuoto; pagina senza parole 32.
Architetture letterarie di un velocità a cui sfuggire per raggiungere non solo l’eternità, ma
l’infinito. Quel vuoto cosmico esistente prima di un ∞ negativo e al di là di un possibile finito
positivo.
All’origine, si pensa che un’esplosione abbia propagato nell’atmosfera pezzi di un nucleo,
creando il cosmo con i suoi pianeti e la vita. Si creò, una vibrazione rapida dei materiali
producendo una enorme quantità di energia. Essa si manifesta ancora in onde sonore che si
propagano trasportando nell’aria tutta l’eredità del materiale da cui sono nate. Vibrando, esse,
spingono in avanti, indietro e tutt’intorno a loro una serie infinita di circonferenze sonore.
(Fig. 6). Se facciamo passare un foglio sotto la scia delle molecole colpite disegneremmo
una curva chiamata sinusoidale, (Fig. 7) la cui frequenza si misura contando i cicli nell’unità
di tempo (secondi). Maggiore è la frequenza più alto o acuto è il suono (Fig. 8), mentre
maggiore è la distanza dall’asse, maggiore sarà l’ampiezza dell’onda e di conseguenza
l’energia del suono, chiamata intensità. L’onda in espansione man mano che si propaga, cede
parte delle sue energie nel mezzo in cui si manifesta. La maggior parte delle pareti lisce e
piane riflettono il suono. Va detto che i suoni bassi scorrono lungo i perimetri che incontrano;
aggirano gli ostacoli più facilmente di quelli acuti che al contrario, si riflettono generando,
nella maggior parte dei casi riverbero.Questa manifestazione acustica è amplificata nei
luoghi chiusi ed estremamente vuoti. Anche il corpo umano funge da cassa armonica di una
pura e semplice percezione primaria 33. Si può ascoltare i rumori tornare indietro; ciò che
sta all’esterno esplodere dentro senza essere riconoscibile; «non nel tacere Dio parla/ ma nel
silenzio del silenzio, quando non sbatte l’ali l’anima ma plana/ abbandonata nel suo indicibile
spazio...» 34 .
Il progetto che qui presento ha un cammino a spirale (Figg. 9, 10) che vuole significare
il ritorno all’origine verso quel silenzio spirituale che soggiace nell’essere; mentre il suono
al centro 35 , riporta all’ascolto primario: l’origine e la meta. Il fruitore al centro crea una

31 AA. VV., Lessico Universale Italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1971, Vol. V.
32 Colonna sonora del Film, Eros, di Wong Kar Wai, Steven Sodebergh e Michelangelo Antonioni, Fandango,
Hong Kong, U.S.A., Italia, Francia 2004.
33P. L. Tazzi, Max Neuhaus, La collezione, Opera cit. p. 20.
34 Aa. Vv., Renzo Barsacchi, Marinaio di Dio in Poesie di Dio, Itinerario spirituale nel Novecento italiano, a
cura di E. Bianchi, Einaudi, Torino 1999, p. 55.
35 Un subwoofer é un altoparlante adatto a riprodurre i suoni di frequenza molto bassa, dal limite inferiore dello
spettro udibile a circa 60–150 herz.
sinestesia tra ambiente e spettatore, cielo e terra, dove il luogo è lui stesso, al centro del quale
ha il punto d’ascolto.
Oltre ogni senso: dietro il vedere o il toccare, senza udito né olfatto. All’interno della
spirale non ci sono disturbi: la vista è frenata dalle pareti nere interne; l’udito è reso
gradualmente puro grazie ai pannelli costituiti da materiale fonoassorbente (Figg. 11, 12),
mentre il sub attivo diffonde il non rumore.Il luogo dello spettatore non si realizza in un
sito ben definito ma dentro se stesso. L’immagine del paesaggio sonoro é infatti precluso
all’ascoltatore da un involucro dotato di pareti coprenti (Fig. 13) dove la forma può essere
vissuta solo dal suo interno. Vivere al luogo di vedere; esprimo lo stare ovunque e in nessun
luogo: dentro di sé.
3.2 Proposta silenziosa
Oggi la proliferazione di canzonette ed il loro crescente consumo 36 fa sembrare sempre più
difficile annoverare la musica insieme alle altre arti. La musica infatti, presuppone un alto grado
di specializzazione tecnica 37. Ma questa conoscenza non basta per creare attraverso il suono,
quello spazio dentro l’essere dove tutto si può manifestare. Allo stesso modo, l’ascoltatore
dovrebbe predispor-si alla percezione di altre voci attorno a sé e dentro di sé. Per fare ciò
bisogna coltivare una particolare attenzione alle cose, ai gesti quotidiani, alla vita. Il silenzio
o la semplice osservazione senza pregiudizi basterebbe a promuovere una diversa convivenza
tra uomini. Nell’esperienza di questa ricerca, la musica trasla il suo statuto, non coincidendo
più necessariamente con la caratteristica dell’ascolto, ma si amplifica toccando altri spazi e
dimensioni. Perciò, in conclusione, «[...] io credo che se ci fosse un po’ di silenzio, se tutti
facessimo un po’ di silenzio [...] allora forse qualcosa potremmo capire ...» 38.

36 M. Sgalambro, Teoria della canzone, Passaggi Bompiani, Milano 1997, pag. 9.


37 Enrico Fubini, Estetica della musica, Lessico dell’estetica, Il Mulino, Bologna 2003, p.20.
38 R. Benigni nel film La voce della luna, Interpreta il personaggio di Salvini che avvicinandosi ad un pozzo in una
notte lunare, rivolge direttamente agli spettatori, di F. Fellini, Italia 1990.
Bibliografia

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Fonti: www.neomalab.org
www.fondazione-mariani.org
1 Partitura per 4’33’’
2 Time Square.
Disergno del 1992: 74.5 x 96 cm; 74.5 x 79 cm
Lavoro sonoro a cui si riferisce: 1973

L’opera è situata in un’isola pedonale, un triangolo fonnato


dall’intersezione di Broadway con la Settima Avenue, tra la Quarantaseiesima
e la Quarantacinquesima Strada in Times Square, New York City.

L’ambiente uditivo e visivo è ricco e composito. Vi sono grandi cartelloni


pubblicitari, insegne al neon intennittenti, uffici, alberghi, teatri, locali a luci rosse e sale di
videogiochi.
La gente è altrettanto eterogenea, turisti, frequentatori di teatri, pendolari, mezzani, passanti in
giro per compere,
venditori ambulanti e impiegati.
La maggioranza è in movimento da un capo all’altro della piazza.
Come punto di confluenza di vari tragitti attraverso la piazza, l’isola viene percorsa a volte nel
giro di un’ora da migliaia di persone.

L’opera è un blocco sonoro invisibile all’estremità settentrionale dell’isola.


La sua sonorità, dalla ricca trama annonica simile alla risonanza lasciata da
rintocchi di grandi campane, è implausibile in quel contesto.
Molti passanti, tuttavia, possono respingerla come un suono inconsueto di macchinari sotterranei.

Ma per quanti scoprono e accettano l’impossibilità del suono, l’isola diviene un luogo diverso,
distinto ma comprensivo dei propri dintorni. Queste persone, non avendo modo di sapere che ciò
è stato fatto deliberatamente, di solito vedono nell’opera il luogo della loro propria scoperta.
3 Cinque Russe:
Disergno del 1993: 57 x 60 cm; 57 x 42,5 cm

Una stanza simmetrica, quasi


cubica.

Due toni bassi smorzati


risuonano nello spazio
in due modi diversi
componendo grandi forme sonore:
una cilindrica,
l’altra a quadrifoglio.

Punte di toni acuti sommessi


disposti nella stanza
a portata di udito si fondono solo
nella mente dell’ascoltatore a seconda
della posizione assunta dalla testa.

Cinque sedie leggere in legno


con baccioni, made in Russia,
che gli ascoltatori collocano
come vogliono a seconda
delle loro inclinazioni.
4 Untiteled:
Disegno del 1993: 51 x 63,5; cm 51 x 27,5 cm

Due passaggi
si spingono
tra ombra
e luce,

identici
nella forma,

nello spirito
divengono.
5 Untiteled:
Disegno del 1993: 53 x 89,5 cm; 53 x 27 cm

Numerose
fonti
isolate.

Ognuna
con
suono
morbido,
aspro,
proprio.

Si fondono
nel momento in cui
si raggiungono
nello
spazio

e si dissiolvono
in uu
alito di vento
appena
6 Il punto rosso è il punto di contatto
dal quale si propaga l’onda.

ampiezza dell’onda

asse del tempo

ciclo

7 Il punto rosso è il punto di contatto


dal quale si propaga l’onda.

Suono grave

Suono acuto

8 Esempi di ampiezze sinusoidali.


9 Disegno apirale anucoica.
10 Materiali e pareti in sezione.
11 Esempio di pannello fonoassorbente, in un soffitto. 12 Caratteristiche acustiche del rivestimento
della spirale.
13 - Involucro della spirale.

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