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DISPENSA DI TESTA-COLLO

2a edizione del blocco di Giorgia Polito, revisionato da Antonio Spiezia

Dispensa di Auriemma integrata con sbobinature 2017-18


AUDIOLOGIA
Aggiornato con le Sbob 2018 da Giorgia Polito (:
ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL SISTEMA UDITIVO E VESTIBOLARE

Introduzione anatomica: Dal punto di vista anatomico si suddivide l’orecchio in tre parti:

• Orecchio esterno: padiglione auricolare e condotto uditivo (meato acustico) esterno


• Orecchio medio: cassa timpanica che contiene la catena ossiculare ed i muscoli endotimpanici (stapedio e
tensore del timpano).
• Orecchio interno: piccole cavità ossee tra loro comunicanti (labirinto osseo) entro le quali si modellano
delle cavità membranose (labirinto membranoso)

Fisiologia acustica: Lo scopo del sistema uditivo è quello di trasformare lo stimolo sonoro in un segnale
fisiologico in grado di essere trasmesso al sistema nervoso centrale per essere analizzato e dare quindi origine alla
sensazione uditiva. Il sistema uditivo periferico compie quindi la prima trasformazione dello stimolo sonoro per
renderlo compatibile con i processi del sistema nervoso centrale.
Suddivisione a blocchi: Suddividiamo l'apparato uditivo in una serie di parti (o blocchi) in modo che a ciascuna
parte corrisponda una funzione. Lo schema a blocchi dell'apparato uditivo é il seguente:
Organo Funzione
1) Orecchio esterno Attenuatore selettivo
2) Orecchio medio Adattatore di impedenza
3) Orecchio interno Traduttore meccano-elettrico
4) Nervo VII Convertitore analogico-digitale
5) Centri del SNC Decodificatore
Un’ipoacusia può essere causata da un’alterazione di ognuno di questi punti: chiaramente lesione delle parti più
esterne sono meno gravi rispetto alle parti più interne.
ORECCHIO ESTERNO
L’orecchio esterno va dal padiglione auricolare al condotto uditivo esterno, è conformato ad imbuto e la sua
funzione è di convogliare la pressione sonora ad una buona frequenza di risonanza. Comprende anche peli e
ghiandole ceruminose (il cerume ha una funzione protettiva per l’orecchio medio e la membrana del timpano).

PADIGLIONE AURICOLARE:
La prima porzione di orecchio che entra in contatto con
l’onda sonora è rappresenta dall’orecchio esterno e più
precisamente dal padiglione auricolare. Se noi eliminassimo
il padiglione auricolare sentiremmo lo stesso, ma comunque
il padiglione auricolare ha essenzialmente la funzione di
captare le onde sonore dall’ambiente circostante che, tramite
il condotto uditivo esterno, vengono convogliate alla
membrana timpanica. Il padiglione auricolare può sembrare
un organo rudimentale in quanto nell’uomo ha una piccola
mobilità e soprattutto perché se asportato non si produce una
grossa diminuzione dell’udito.
Il padiglione auricolare è un buon conduttore acustico,
provoca la diffrazione delle onde sonore e, ovviamente, convoglia le onde sonore all’interno del condotto uditivo
esterno (cue). L’orecchio esterno serve anche come protezione (ostacolando l’ingresso di alcune sostanze). In
pratica il padiglione ricopre un ruolo essenziale, infatti proprio per la sua complessa architettura ricopre due ruoli
fondamentali:
1. Rinforzo selettivo del suono
2. Localizzazione del segnale acustico (convoglia le onde sonore all’interno del cue)
1-L’amplificazione del suono dovuta al padiglione dipende da vari fattori fra cui:

• Risonanza della cartilagine


• Risonanza dell’aria concamerata tra i rilievi (il padiglione non è liscio, presenta varie pieghe).
2-Udito direzionale: L’orecchio esterno è importante anche nell’udito direzionale:

• Poiché possiede primariamente una funzione binaurale, il padiglione aiuta nella discriminazione dei suoni
che provengono da davanti o da dietro.
• Aumenta la direzionalità a causa della diffrazione delle onde sonore sull’insieme del volume cranico e
dell’orecchio esterno.
La testa e l’intero corpo possono provocare cambiamenti nel campo sonoro dovuti alla diffrazione (effetto ombra);
in effetti, il suono entra nell’orecchio attraverso un’apertura della parete cranica e la combinazione padiglione-
capo costituisce un vero e proprio schermo acustico, che incide sulle onde sonore le quali possono essere assorbite
o riflesse. Quando la lunghezza d’onda del suono incidente è confrontabile con le dimensioni del capo allora
assumono importanza i fenomeni di diffrazione.
Poiché il diametro medio del capo dell’uomo adulto è all’incirca di 18 cm allora:

c c
l= Þ f = = 2 KHz
f l
Quindi ci si aspetta diffrazione per segnali aventi frequenza maggiore di 2 KHz. Il padiglione raccoglie più
efficacemente i suoni ad alta frequenza che hanno rapporto sfavorevole a causa della loro lunghezza d’onda,
proprio perché il fenomeno di diffrazione è più efficace ad alcune frequenze piuttosto che ad altre.
Oltre all’effetto di diffrazione, vi è anche il cosiddetto effetto focalizzante che incide sulla pressione sonora. Cioè,
per convogliare meglio le onde sonore all’interno del condotto uditivo esterno, aumentando così la pressione
sonora, è necessario che la superficie riflettente, nel caso specifico il padiglione auricolare, sia più ampia rispetto
alla lunghezza d’onda del segnale sonoro. Per tale motivo il padiglione raccoglie più efficacemente suoni ad alta
frequenza che hanno sfavorevole rapporto a causa della loro lunghezza d’onda.
L’unione dei due effetti, effetto ombra ed effetto focalizzante, fa sì che il sistema acustico percepisca meglio i
suoni acuti compresi tra i 4 ei 9 KHz.
La presenza di due padiglioni auricolari fa si che l’orecchio esplichi la funzione di discriminazione direzionale del
suono: infatti, la presenza di due padiglioni auricolari ci permette di localizzare la sorgente sonora e quindi di
discriminare la direzione da cui giungono i suoni.
In generale la posizione della sorgente sonora rispetto ai padiglioni auricolari è specificata attraverso tre parametri
fondamentali:

• Intensità percepita dall’orecchio;


• Angolo azimutale;
• Angolo di elevazione.
Trascurando l’angolo di elevazione e supponendo che la sorgente sia molto distante dal capo, in modo da trascurare
la dipendenza della funzione dall’intensità, si ottiene una relazione che dipende soltanto dall’angolo azimutale (q).
ITD – IID (è importante solo sapere che sono parametri che aiutano a discriminare da che lato arriva il suono e
non le formule e i dettagli)

• Inter-aural time difference (ITD): la differenza nel tempo con cui la forma d’onda del suono arriva
all’orecchio sinistro e a quello destro.
• Inter-aural intesity difference (IID): la differenza di ampiezza con il quale il suono giunge all’orecchio
destro e all’orecchio sinistro in una situazione di campo libero.

Gli effetti, ITD ed IID, sono importanti per la


localizzazione di un suono nel piano azimutale ovvero nella discriminazione della provenienza dell’onda sonora
tra destra e sinistra. In generale un suono è percepito vicino ad un orecchio quando il suono giunge prima a tale
orecchio, in altre parole, se consideriamo una sinusoide la percezione nel piano azimutale è legata alla differenza
di fase con la quale essa giunge ai due padiglioni. Quindi anche la valutazione della differenza di fase aiuta a
capire da quale parte arriva il suono.
In alcuni casi ci possono essere delle ambiguità nel valutare questi parametri (ITD e IID), quindi, diventa
importante considerare la differenza energetica tra i due orecchi ovvero la IID rispetto all’ITD.
Approssimativamente intorno ai 1500 Hz la lunghezza d’onda della sinusoide, rappresentante l’onda sonora,
diventa comparabile con il diametro del capo e la ITD, per il piano azimutale, diventa ambigua (vedi figura), ossia
al tempo ITD non corrisponde un unico azimut. A queste frequenze diventa determinante la differenza energetica
percepita tra i due orecchi (IID).

Cono di confusione: Un fenomeno importante è quello del cono di


confusione: data una determinata angolazione della sorgente, azimut
ed elevazione, ci sono diverse posizioni possibili che conferiscono al
segnale le medesime caratteristiche causando problemi di
sovrapposizione ed incertezze sulla localizzazione spaziale. Queste
posizioni formano appunto un cono. Il cono di confusione è una zona
in cui non è possibile discriminare con precisione da dove arriva il
suono.

CONDOTTO UDITIVO ESTERNO


Il condotto uditivo esterno, oltre a fornire una protezione verso agenti esterni dovuta alla presenza di peli,
ghiandole sebacee e cerume ed alla stessa tortuosità del suo percorso, esplica anche un’importante azione di
rinforzo delle onde sonoroà Il condotto si comporta come un tubo chiuso, convogliando il suono complesso e
non disperdendone l’energia. L’orecchio è come se scomponesse le frequenze del suono che arriva e, avendo una
forma molto irregolare, riesce ad entrare in risonanza con diverse frequenze, per cui queste vengono amplificate e
passano più avanti e non vengono fermate.
Il tutto può essere paragonato ad una canna d’organo, nel senso che la colonna d’aria contenuta in esso può entrare
in risonanza per una determinata frequenza di vibrazione. Però, mentre in una canna d’organo, per la sua
conformazione cilindrica, può risuonare solo con una ristrettissima zona di frequenze, il condotto, per la sua forma
irregolare, entra in risonanza con una vastissima gamma di suoni che corrispondono proprio a quelli per i quali
l’orecchio umano è più sensibile.
Esempio: quando i soldati passavano su un ponte e marciavano tutti insieme, se dovevano passare su un ponte di
legno o fragile, i superiori dicevano rompete le righe, perché se fossero passati tutti insieme con passo cadenzato
quindi, con un’unica frequenza, si sarebbe raggiunta la frequenza di risonanza del ponte, che avrebbe cominciato
a vibrare alla massima ampiezza e sarebbe così crollato. Oppure quando una il motore di una macchina comincia
a vibrare, vuol dire che si è arrivati alla frequenza di risonanza, che è la frequenza a cui vibra alla massima
possibilità.
Quest’ampia capacità di risonanza rafforza l’ampiezza delle oscillazioni, ma non nella stessa misura per tutti i
suoni. Quindi, considerando le caratteristiche del condotto, l’amplificazione è effettuata per tutte le frequenze
comprese tra 1,5 e 6 KHz, anche se il suo massimo incremento di pressione si ha quando la lunghezza d’onda del
suono è quattro volte l’effettiva lunghezza del condotto e stante le dimensioni medie, questo si ha per suoni con
frequenze comprese tra i 1.5 e 3 KHz.

ORECCHIO MEDIO
L’orecchio medio va dalla membrana timpanica alla finestra
ovale e comprende martello incudine e staffa. L’orecchio
esterno e il condotto uditivo, quindi, servono ad amplificare
il suono, in quanto l’onda sonora deve attraversare mezzi
con impedenza diversa e se non ci fossero questi fenomeni
di amplificazione, all’orecchio interno e quindi, al SNC
arriverebbe ben poco e non sentiremmo niente. Anche
l’orecchio medio in qualche modo amplifica il suono, ma in
particolare è UN ADATTATORE DI IMPEDENZA,
dispositivo che serve per compensare la differenza di
impedenza tra due mezzi ovvero l’aria e i liquidi
dell’orecchio interno, senza che ci sia dispersione sonora.
Le vibrazioni sonore che percorrono l'aria, ossia un mezzo a
bassa impedenza acustica, devono essere trasmesse ai liquidi
labirintici, la cui impedenza é molto maggiore. Se per ipotesi
il suono giungesse direttamente alla finestra ovale senza che
l'orecchio medio fungesse da intermediario, una grandissima
parte dell'energia sonora verrebbe riflessa proprio a causa
della sfavorevole differenza di impedenza tra i due mezzi. Soltanto poca energia finirebbe per giungere alla coclea,
con la conseguenza di un udito assai poco efficiente.
Il compito svolto dall'orecchio medio é esattamente quello di fare da mediatore tra la bassa impedenza dell'aria e
quella elevata dei liquidi, in modo tale che la perdita di energia per riflessione sia contenuta al minimo.
I meccanismi attraverso cui l'orecchio medio svolge una funzione sono essenzialmente tre:
1. Il rapporto tra la superficie timpanica e quella della platina della staffa;
2. Il rapporto di leva esercitato dalla catena ossiculare;
3. Il rapporto di curvatura della membrana timpanica.
Questi tre meccanismi creano un sistema di leve e di compensazione favorevole in modo che non si abbia una
dispersione di energia.
1-Rapporto tra la superficie timpanica e quella della platina: Il rapporto di area é dei tre il più importante in
senso quantitativo, cioé quello che maggiormente contribuisce all'adattamento di impedenza. Concentrando infatti
su una superficie più piccola, quella della platina, la forza che agisce su di una superficie più grande (quella del
timpano) si ottiene l'effetto di "vincere" in parte, l'elevata impedenza dei liquidi labirintici.
E’ come se noi volessimo mettere un chiodo: riusciamo a mettere un chiodo nel muro, perché battiamo su una
superficie piccola e riusciamo a vincere la forza del muro, se diamo una “manata” sul muro non ci riusciamo.
Il rapporto di superficie tra membrana timpanica e platina é in media, nell'uomo, di 36,5 volte.
Il manico del martello divine il timpano in 4 quadranti ( antero-superiore, antero-inferiore, postero-superiore e
posteo-inferiore). La membrana timpanica è una struttura sulla quale si riconosce il triangolo luminoso dato dalla
riflessione della luce dell’otoscopio, questo non è più visibile in caso di infiammazione perché la membrana si
retrae e quindi non ha più la stessa inclinazione rispetto al fascio di luce incidente. Triangolo luminoso e manico
del martello sono dei punti di repere fondamentali per riconoscere una membrana timpanica sana insieme al
colore.
2-Rapporto di leva esercitato dalla catena ossiculare
A tale fattore va aggiunto il contributo dovuto al sistema di leve della catena
ossiculare (martello, incudine e staffa). Infatti, la testa del martello è
connessa al corpo dell’incudine le cui estremità si articola al tronco della
staffa, la cui parete appiattita poggia sulla finestra ovale, attraverso la quale
le onde sonore sono trasmesse alla coclea.
Se ricordate esistono leve con rapporto favorevole e leve con rapporto
sfavorevole: nel nostro caso il rapporto è favorevole, per cui alla fine si
ottiene un’amplificazione.

Il rapporto di leva é dovuto alla conformazione della catena degli ossicini


che agisce come una leva di secondo tipo. L'equazione della leva dice che il rapporto tra la forza applicata a
un'estremo e quella dell'estremo opposto é inverso a quello dei rispettivi bracci (b);
Fi : F2 = b2 : b,
Nell'orecchio medio i due bracci della leva sono rappresentati rispettivamente dal martello (b1) e
dall`incudine+staffa (b2 ) Il fulcro é a livello dell'articolazione martello-incudine.(b2) é leggermente più lungo di
b1 : in effetti, il rapporto b 2 : b1, detto rapporto di leva, é di 1,2.
3-Rapporto di curvatura della membrana timpanica: Finalmente il rapporto di curvatura é dovuto alla
particolare struttura ed orientamento delle fibre che compongono lo strato intermediario della membra timpanica.
Sotto l'azione di una forza, si stabilisce un particolare gioco di tensioni e di incurvamenti che fa sì che il rapporto
tra una forza applicata alla membrana e quella che possiamo rilevare a livello del martello sia pari a 2,0.
Effetto di trasformazione: Possiamo a questo punto calcolare l'effetto di trasformazione esercitato dall'orecchio
medio. Chiamiamo Fi la forza che agisce all'ingresso (input) del sistema, cioè sul timpano, e F la forza che
possiamo rilevare all'uscita (output), cioè a livello della platina della staffa. Si ha: F /F = rapporto di area (35,5) x
rapporto di leva (1,2) x rapporto di curvatura (2,O) = 87,6. E’ come se l’orecchio amplificasse di 87,6 volte (su
alcuni libri i numeri possono essere un po’ diversi).
Questo é in base al calcoli più recenti, il rapporto output/input dell'orecchio medio, detto anche rapporto di
trasformazione che serve per "vincere" l'elevata impedenza dell'orecchio interno. Tale rapporto viene
comunemente espresso in dB. Da questo si deduce che l’orecchio medio non è un perfetto adattatore d’impedenza,
si avrà comunque un disaccoppiamento tra i due sistemi, in più non è ugualmente efficiente per l’intero campo
uditivo (cioè per tutte le frequenze), infatti:
• la massa della catena ossiculare riduce l’efficienza dell’orecchio alle alte frequenze,
• mentre l’elasticità dei suoi diversi legamenti lo limita alle basse frequenze
Funzione di protezione: Oltre alla funzione di adattatore, l’orecchio medio esplica anche la funzione di protezione
dell’orecchio internoà Cerca di evitare che suoni forti raggiungano l’orecchio interno, molto delicato, grazie ai
muscoli stapedio e tensore del timpano, che servono a provocare una contrazione dell’orecchio medio e a bloccare
il suono e non farlo passare. La catena degli ossicini è sospesa all’interno della cassa del timpano grazie ad un
sistema di legamenti e muscoli (tensore del timpano e stapedio). La contrazione di questi muscoli irrigidisce la
catena ossiculare con la protezione delle strutture dell’orecchio interno. I riflessi si manifestano in entrambe le
orecchie anche in seguito ad una stimolazione unilaterale.
Come avviene più precisamente questo meccanismo? La funzione di protezione è esercitata essenzialmente dai
muscoli dell’orecchio medio. Il muscolo del martello o tensore del timpano si inserisce sul manico del martello
per cui la sua contrazione spinge il martello anteriormente e medialmente. Il secondo muscolo coinvolto è il
muscolo stapedio, che si inserisce nella parte posteriore della staffa e la cui contrazione tira la staffa
posteriormente. La contrazione di questi due muscoli determina un aumento di rigidità della catena degli ossicini.
I meccanismi fisiologici di contrazione riflessa del muscolo del martello sono meno noti rispetto a quelli del
muscolo stapedio, e spesso per riflesso acustico si intende il solo riflesso dello stapedio.

TUBA DI EUSTACHIO Un fattore fondamentale per una buona trasmissione della vibrazione è l’equiparazione
dei livelli di pressione aerea ai due lati del timpano: funzione svolta dalla tuba di E. La tuba di E. in realtà svolge
tre funzioni:

• Aerodinamica
• Difensiva
• Di drenaggio

ORECCHIO INTERNO (LABIRINTO)


Contiene la parte terminale degli organi dei due sistemi sensoriali:

• Il sistema uditivo (anteriore)


• Il sistema vestibolare (posteriore)
La sua funzione è duplice: trasduzione meccano-elettrica grazie alle cellule ciliate interne ed estere dell’organo
del corti che garantiscono la capacità uditiva e mantenimento dell’equilibrio grazie ai canali semicircolari, utricolo
e sacculo.
Anatomia orecchio interno: E’ sito nella rocca
petrosa osso temporale. E’ costituito da:

• Labirinto osseo (esterno)


• Labirinto membranoso (interno)
Tra le pareti del labirinto osseo e le strutture
membranose à spazio perilinfatico in cui c’è la
perilinfa. All’interno del labirinto membranoso à
endolinfa.

IL LABIRINTO OSSEO: E’ formato dai tre canali semicircolari, dal vestibolo e dalla chiocciola ossea.

• LABIRINTO OSSEO POSTERIORE: Vestibolo, Canali semicircolari e Acquedotto del vestibolo


Vestibolo: Il vestibolo si divide in:

• Parete posteriore: Presenta l’orifizio di sbocco del braccio ampollare del canale semicircolare
posteriore
• Parete anteriore: E’ quasi tutta occupata da un foro che conduce nella scala vestibolare della chiocciola
• Parete inferiore: E’ percorsa da una fessura longitudinale (vestibolotimpanica) che conduce in una
cavità sottostante al vestibolo (cavità sottovestibolare) che continua in avanti con la scala timpanica
della chiocciola
Acquedotto del vestibolo: E’ uno stretto canale
che mette in comunicazione la cavità del
vestibolo con la cavità cranica. Inizia dalla parete
mediale del vestibolo e sbocca nella faccia
posteromediale della piramide del temporale.

Canali semicircolari ossei: Fanno pare dell’apparato vestibolare. Hanno la forma di condotti ricurvi in cui si
distinguono un “braccio ampollare” ed un “braccio semplice”. I bracci ampollari si aprono isolatamente nel
vestibolo, mentre i bracci semplici del c.s.s. e del c.s.p. si fondono a formare un unico braccio (braccio comune).
Sono orientati nei 3 piani dello spazio:

• Canale semicircolare laterale (piano orizzontale)


• Canale semicircolare superiore (piano verticale, perpendicolare all’asse della piramide temporale)
• Canale semicircolare posteriore (piano verticale, parallelo all’asse della piramide temporale)
L’apparato vestibolare è l’apparato sensoriale che rileva le informazioni relative alla posizione e al movimento
della testa e del corpo nello spazio. Contrariamente a quanto avviene in altri sistemi sensoriali, noi generalmente
non siamo coscienti delle informazioni trasmesse da questo apparato all’SNC; però sono fondamentali per
mantenere una postura corretta e per la coordinazione del movimento degli occhi e quello della testa. Una
disfunzione dell’apparato vestibolare determina gravi alterazioni dell’equilibrio, del sistema dell’orientamento
nello spazio e del controllo della motilità oculare. Tuttavia esistono dei casi in cui, pur essendoci delle disfunzioni
vestibolari, non ci sono apparentemente sintomi, che vengono rilevati solo facendo delle indagini, perché è come
se l’apparato vestibolare compensasse in qualche modo la disfunzione; quindi il soggetto non se ne accorge che
c’è una disfunzione, ma facendo indagini appropriate ci si accorge di essa.
L’apparato vestibolare, per registrare le informazioni relative al movimento della testa è dotato di due diverse
strutture sensoriali:
• Gli organi otolitici, che misurano i movimenti lineari.

• I canali semicircolari, che registrano i movimenti rotatori.

I recettori degli organi otolitici rispondono ad accelerazioni lineari del capo, mentre quelli dei canali semicircolari
sono sensibili ad accelerazioni angolari. Queste informazioni vestibolari vengono chiaramente inviate all’SNC per
regolare la postura e la motilità oculare. È per questo che quando c’è un problema di vertigine, viene alterata anche
la motilità oculare; infatti al soggetto viene messa una maschera per verificare se c’è presenza di nistagmo e questo
ci aiuta molto nella diagnosi di una vertigine (capire che tipo è e che parte dell’apparato vestibolare è
compromessa).

• LABIRINTO OSSEO ANTERIORE: Coclea ossea e Acquedotto della chiocciola


Chiocciola ossea: E’ costituita da un canale osseo (“canale spirale”à sembra una vite), avvolto per due giri e ¾
attorno ad un nucleo osseo di forma conica il “modiolo. Precisiamo che Il “canale spirale” si avvolge attorno al
modiolo descrivendo una serie di spire di calibro progressivamente decrescente (giro basale, giro medio, giro
apicale) e termina a fondo cieco.

Il “modiolo”, che forma il nucleo centrale della chiocciola, appare come un cono ad apice tronco la cui base
corrisponde all’area cocleare del meato acustico interno. Tale struttura rappresenta l'asse della coclea, formato da
tessuto osseo spongioso. Nello spessore del modiolo sono scavati numerosi canali longitudinali, percorsi dai
filamenti del nervo cocleare, che si aprono nell’area cocleare costituendo il “tractus spiralis foraminosus”.
. Dal canale spirale si dipartono numerosi piccoli condotti che si vanno ad aprire sul margine libero della lamina
spirale ossea, nei “foramina nervina”.

La chiocciola (coclea) è divisa in due rampe dalla lamina spirale ossea (lamina ossea incompleta):

• Rampa vestibolare (superiore)à Comunica con la cassa del timpano per mezzo della finestra rotonda,
chiusa da una membrana;
• Rampa timpanica (inferiore) à Comunica con l'orecchio medio per mezzo della finestra ovale chiusa dalla
staffa (non ha membrana);
Le due rampe sono collegate all’estremità superiore tramite l’elicotrema (apertura rotondeggiante), che precede il
fondo cieco terminale della chiocciola. In queste due rampe scorre la perilinfa.

• Finestra ovaleà dà l’avvio alla trasmissione dell’onda nella rampa vestibolare;


• Finestra rotondaà scarica la trasmissione dell’onda dalla rampa timpanica all’orecchio medio
La lamina spirale ossea segue l’andamento del canale cocleare, aderendo con un suo margine al modiolo e
terminando libera prima di raggiungere la superficie opposta del canale. L’intervallo tra il margine libero della
lamina spirale e la superficie interna del canale cocleare osseo è colmato dalla “membrana basilare della
chiocciola membranosa”.
Precisiamo che in realtà c’è una terza scala, la scala media (centrale), dir forma triangolare, formata dalla
membrana basilare che si lega alla lamina spirale ossea e arriva fino all’osso e nella parte superiore c’è la
membrana di Reissner. Questa scala è importante perché contiene l’organo del Corti, il vero e proprio organo
uditivo.

La membrana basilare consiste di tessuto connettivo e forma il pavimento della scala media. Ha uno spessore e
una larghezza diversi dall’apice alla base fondamentali (ha una larghezza di circa 150 microm alla base della coclea
e circa 450 microm all’apice) e grazie a questo l’orecchio riesce a scomporre le onde sonore in diverse frequenze.
Quindi, entra in risonanza a diverse frequenze. Se fosse tutta uguale, risuonerebbe sempre alla stessa frequenza.
Ogni porzione della membrana basilare riesce a risuonare a una frequenza diversa e così si ha la scomposizione
del suono nelle sue frequenze fondamentali. E’ più rigida nella parte basale che all’apice

Acquedotto della chiocciola: E’ un canalino osseo che mette in comunicazione lo spazio perilinfatico della
chiocciola con lo spazio subaracnoideo della fossa cerebellare, permettendo così il deflusso della perilinfa. Origina
dalla parte iniziale della rampa timpanica e si dirige in basso e medialmente per terminare a livello della faccia
inferiore della piramide del temporale
LABIRINTO MEMBRANOSO
E’ contenuto all’interno del labirinto osseo ed è separato da questo dallo “spazio perilinfatico”, occupato dalla
“perilinfa. E’ costituito da un insieme di organi cavi, contenenti un liquido “endolinfa” e fra di loro comunicanti,
delimitati da una parete membranosa.

• Labirinto anteriore: condotto cocleare


• Labirinto posteriore: canali semicircolari, utricolo, sacculo, condotto endolinfatico.

Labirinto posteriore membranoso: Il labirinto posteriore


membranoso, contenuto in quello osseo, è essenzialmente
costituito da utricolo e sacculo (che stanno nel vestibolo), e dai
canali semicircolari (all’interno dei canali ossei).
Utricolo e sacculo sono delle formazioni vescicolari immerse nella
perilinfa; da essi partono i canali utricolare e sacculare che si
uniscono nel condotto endolinfatico.

• L’utricolo è un organo vescicolare di forma ovoidale,


lungo 3-4 mm, situato nella parte superiore del vestibolo,
a contatto con il recesso ellittico (indicato dal numero 2 in
figura); riceve i 5 sbocchi dei canali semicircolari
membranosi e, medialmente, presenta l’orifizio
d’imbocco del ramo utricolare del “dotto endolinfatico”. I
recettori neurosensoriali, che sono fondamentali anche per
quanto riguarda le vertigini, si trovano nell’epitelio (detto macula) dell’utricolo, in cui le cellule si
differenziano in recettrici e di sostegno, un po’ come avveniva nell’organo del Corti (sono molto simili le
cellule recettrici tra queste 2 strutture, parliamo sempre di cellule ciliate che però hanno delle differenze).

• Il sacculo (è quello indicato col numero 1): è un organo ovalare situato al di sotto dell’utricolo, presenta
medialmente l’orifizio d’imbocco del ramo sacculare del condotto endolinfatico ed inferiormente l’orifizio
del “canale reuniente” che lo collega al condotto cocleare. Anche qui sulla superficie interna, nella
“macula sacculare”, l’epitelio di rivestimento si differenzia in cellule recettrici e cellule di sostegno.
Nell’utricolo e sacculo nella superficie interna c’è la macula, che è fatta da cellule sensoriali e cellule di sostegno.
Le sensoriali si dividono in tipo I e tipo II, un po’ come le CCI e le CCE (che erano a fiasco e cilindrica), però
mentre le cellule ciliate della coclea sono più o meno della stessa forma, invece nelle cellule ciliate dell’apparato
vestibolare esiste un chinociglio, che è un ciglio più spesso e più grande degli altri. Quindi abbiamo un chino ciglio
e 20-100 stereociglia immerse nella membrana otolitica, ricoperta da otoconi o cristalli (questi sono quelle famose
particelle che si staccano quando abbiamo una vertigine àse si tratta di una vertigine benigna parossistica, si cerca
di riportare questi otoconi nella loro giusta posizione con delle manovre particolari durante una crisi vertiginosa).
Il chinociglio è orientato verso il centro nell’utricolo e verso la periferia nel sacculo. I recettori delle macule di
utricolo e sacculo vengono stimolati per compressione o trazione della membrana otolitica e rispondono a forza di
gravità ed accelerazioni lineari (movimenti del capo in senso antero –posteriore): l’utricolo per il piano orizzontale
ed il sacculo per il piano verticale.
I canali semicircolari membranosi sono 3 e le estremità si aprono nella cavità del ventricolo. I recettori del canale
semicircolare sono contenuti nel braccio ampollare (cresta ampollare), anche qui ci sono cellule ciliate e di
sostegno; le cellule ciliate presentano un chinociglio e numerose stereociglia. Le ciglia sono inglobate da una
membrana detta cupola; tali recettori rispondono ad accelerazioni angolari (rotazionali in uno dei tre piani dello
spazio).
Qui c’è la figura delle cellule ciliate dell’apparato
vestibolare, contrariamente a quelle della coclea presentano
questo chino ciglio, più alto e spesso delle altre ciglia. Queste
sono elementi epiteliali specializzati per la trasduzione
sensoriale, situati in regioni specifiche dell’epitelio che
ricopre la superficie interna del labirinto membranoso. Alla
base delle cellule ciliate c’è la giunzione con le fibre nervose
ed attraverso strutture specializzate c’è la liberazione di
neurotrasmettitori per avere il contatto con l’apparato
centrale. La deflessione delle cellule ciliate è importante sia
in quelle cocleari che in quelle vestibolari: in quest’ultimo
caso la deflessione verso il chino ciglio porta a
depolarizzazione, mentre la deflessione allontanandosi dal
chinociglio ad iperpolarizzazione. Un meccanismo simile
avviene nelle cellule ciliate cocleari.

Labirinto anteriore membranoso-Condotto cocleare:


Canale delimitato esternamente da pareti connettivali, che si
poggiano al labirinto osseo (legamento spirale e su di essa si trova la stria vascolare che produce l’endolinfa,
liquido che sta all’interno del labirinto membranoso). Segue l’andamento del canale spirale interponendosi tra la
lamina spirale ossea e la parete laterale del canale spirale e concorrendo alla separazione tra scala timpanica e scala
vestibolare. Ha la forma di un prisma triangolare delimitato da tre pareti e decorre nella cavità della scala
vestibolare, dalla quale lo separa la sua parete vestibolare “membrana del Reissner”. La base è la membrana
basilare insieme alla lamina spirale ossea, all’esterno ci sono il legamento spirale e la stria vascolare e sopra la
membrana di Reissner.
Parete timpanica:

• “Lembo spirale”, che aderisce alla lamina spirale ed è rivestito da uno strato di cellule epiteliali alte, che
nel solco spirale interno diventano cubiche
• “Membrana basilare”, tesa tra la lamina spirale ed il legamento spirale: Sulla membrana basilare ha sede
l’organo del Corti
Organo del Corti: E’ l’organo neurosensoriale uditivo. Adagiato sulla “zona tecta” della membrana basilare,
rappresenta un territorio differenziato dell’epitelio di rivestimento del labirinto membranoso. E’ costituito da
“cellule di sostegno” e “cellule acustiche” (cellule ciliate interne ed esterne, diverse per forma, funzione e numero).

E’ percorso da un canale interno triangolare che lo suddivide in due porzioni (Tunnel di Corti).
• Nella porzione interna cellule di sostegno e cellule ciliate interne disposte in una fila (Sono a forma di
pera/fiasco)

• Nella porzione esterna cellule di sostegno e cellule ciliate esterne disposte in tre file (a forma cilindrica).
Eccentricamente alle cellule di sostegno cellule di Hensen e Claudius.
Le cellule ciliate esterne presentano nella parte apicale numerosi microvilli
(50-150 stereociglia) disposti in 3-4 file a forma di V o W. Le cellule ciliate
interne hanno un minor numero di microvilli disposti ad U. Le stereociglia
sono unite l’una all’altra da specifiche strutture (cross-links).
Le cellule ciliate sono in numero limitato (3.500 le interne e 12-18.000
quelle esterne), quindi, quando vengono danneggiate per esempio con
l’esposizione a rumori molto forti, non possono rigenerarsi perché sono di
origine nervosa. Questo riguarda soprattutto le cellule ciliate esterne che
sono le prime ad essere danneggiate.

Nella parte basale e’ presente la zona della giunzione


citoneuraleàA livello del polo basale di ogni cellula si trovano
terminazioni nervose che stabiliscono una “giunzione
citoneurale”.

• Terminazioni sinaptiche di I tipo (afferenti) à cellule


ciliate interne
• Terminazioni sinaptiche di II tipo (efferenti) à cellule
ciliate esterne

Membrana reticolare: Costituita dal contatto delle falangi delle


c. del Deiters fra di loro e con l’estremità delle c. acustiche
esterne, con le c. dell’Hensen, con i pilastri esterni e dal
contatto di questi con i pilastri interni
Membrana tectoria: Formazione cuticolare che parte dall’epitelio del lembo spirale, costituito da fibrille tenute
insieme da una sostanza gelatinosa ricca di mucopolisaccaridi
Cortilinfa/endolinfa/perilinfa: L’endolinfa del condotto cocleare situata al di sopra della membrana tectoria ha una
composizione ionica a prevalenza potassica. L’endolinfa situata sotto la membrana tectoria ha una composizione
ionica a prevalenza sodica (simile alla perilinfa). L’endolinfa presente nella galleria del corti e nel solco spirale
interno si chiama “cortilinfa” ed ha una prevalenza di ioni sodio per permettere alle fibre del nervo cocleare di
potersi depolarizzare. La composizione di ioni è diversa tra cortilinfa, perilinfa e endolinfa, così che se qualcosa
altera la composizione ionica all’interno dell’orecchio, si crea uno squilibrio e questo lo vedremo in alcune
ipoacusie, in cui sono mutati geni che alterano la funzione dei canali che permettono lo scambio di ioni.
Innervazione del canale cocleare: Il nervo acustico è costituito da un tronco destinato al labirinto anteriore (nervo
cocleare) e da un tronco destinato al labirinto posteriore (nervo vestibolare). Il nervo cocleare: origina dalle cellule
del “ganglio spirale del Corti” situato nel canale spirale. I neuriti centripeti, diretti al s.n.c., penetrano dal canale
spirale nei canalicoli ossei longitudinali scavati nel modiolo e li percorrono, riunendosi in fascetti, fino a
raggiungere il “tractus spiralis foraminosus”, nel fondo del meato acustico interno; da qui le fibre si accollano e
costituiscono il tronco del nervo cocleare che reggiunge i nuclei cocleari nel “ponte” del “tronco encefalico”. I
neuriti periferici del ganglio spirale decorrono radialmente nello spessore della lamina spirale ossea e raggiungono
i “foramina nervina” dai quali escono per distribuirsi alle cellule acustiche dell’organo del Corti.
Esistono patologie come il neurinoma che comprimendo una branca o l’altra a livello del tronco encefalico e causa
ipoacusia o vertigine a seconda della branca che comprime.

Vascolarizzazione della coclea: E’ piuttosto


complessa:

• Il flusso arterioso è fornito dalle branche


dell’arteria uditiva interna che decorre
attraverso il condotto uditivo interno con l’VIII
nervo cranico.
• Il drenaggio venoso della coclea è fornito dalla
vena uditiva interna che si dirama in numerosi
vasi: un ramo passa anche attraverso il condotto
uditivo interno.
• La stria vascolare, il ligamento spirale e la base
dell’organo del Corti sono le aree di maggior
concentrazione vascolare.
Si pensa che la rete di vasi rifletta in qualche modo l’alto
livello di attività metabolica presente nei liquidi
dell’orecchio interno.

Generalità sul danno acustico: Si possono distinguere due diversi tipi di trasmissione sonora: una per via aerea
e una per via ossea, la cui trasduzione meccano-elettrica avviene sempre nell’ organo del corti. Esaminando queste
due trasmissioni si può effettuare valutazione qualitativa del danno.

• Danno ad orecchio esterno/medioà patologia trasmissivaà trasmissione per via aerea ma non ossea

• Danno ad orecchio interno=patologia neurosensorialeà alterazione della trasmissione per via aerea e
ossea

• Danno alle vie successive, cioè le vie nervose e/o delle aree uditive (cioè dove avviene integrazione e
comprensione, aree primarie e secondarie della porzione temporale) =patologia retrococleare. L’impulso
viene condotto ai nuclei cocleari, complesso olivare superiore, lemnisco laterale, collicolo inferiore ecc e
infine arriva a livello delle aree uditive superiori. Il danno può localizzarsi anche in queste strutture ed è
qui che prende il nome di danno retro cocleare( deficit di comprensione ed integrazione).

• Esiste poi una patologia mista che ha sia una componente trasmissiva che neurosensoriale.

FISIOLOGIA DELL’ORECCHIO INTERNO E DEL NERVO UDITIVO


Introduzione: Le nostre conoscenze sulla fisiologia della coclea sono state rivoluzionate da una quindicina d’anni:
il sistema uditivo periferico dell’inizio del XXI secolo non ha niente a che vedere con quello degli anni Ottanta.
Questi sconvolgimenti sono dovuti allo sviluppo di nuove tecniche di ricerca in neurofisiologia così come in
biologia cellulare e molecolare.
L’orecchio rappresenta infatti una struttura difficile da studiare, in quanto si trova all’interno dell’osso
temporaleànon si può prelevare un pezzo di orecchio senza sfasciare l’intera struttura, a differenza di una
biopsia del fegato, che è un tessuto che si rigenera; bisogna stare attenti anche se si vuole solo prelevare un po’
di perilinfa. E’ difficile studiare l’orecchio anche da un punto di vista genetico: il materiale su cui studiare è molto
limitato. Sono stati effettuati alcuni studi elettrofisiologici, anche se una limitazione derivava dal fatto che molti
studi venivano condotti sui cadaveri, non potendo così verificare tutti i processi biologici attivi. Poi, grazie a
tecniche di biologia molecolare e cellulare si sono raccolte più informazioni.
Meccanismo: La porta d’ingresso del segnale acustico è la finestra ovale, sulla quale è legato il piatto della staffa.
Quando il segnale sonoro raggiunge la finestra ovale la coclea trasforma l’energia meccanica in elettrica (la coclea
permette la circolazione delle onde di pressione generate dai suoni). I liquidi interni sono incompressibili e quindi
l’infossamento della platina della staffa determina un’onda di pressione nella perilinfa della rampa vestibolare che
non si può scaricare nella rampa timpanica attraverso l’elicotrema che è di calibro molto ridotto. La pressione si
trasmette quindi attraverso la membrana di Reissner al dotto cocleare (detto anche scala media) e tramite questo
alla membrana basilare che viene messa in vibrazione e quindi, all’organo del Corti. Da qui si arriva alla finestra
rotonda e poi l’onda torna indietro.
Analisi spettrale: La coclea fa un’analisi spettrale dei suoni (cioè una scomposizione in maniera naturale, che si
può fare anche con la trasformata di Fourier) e comprime le ampiezze dei suoni rendendo quindi possibile
l’adattamento per il grande range dinamico dei suoni.
Nella coclea l’onda di pressione generata da un suono si diffonde lungo la membrana basilare dalla base all’apice
della coclea. La vibrazione raggiunge la sua ampiezza massima in un punto preciso, tanto più vicino all’apice
quanto più la frequenza di stimolazione è graveàapice per frequenze gravi, base per frequenze acute. Questa
tonotopia cocleare è valsa nel 1962 il premio Nobel per la medicina a Georg von Bekesy. Questa particolarità,
dovuta alle proprietà strutturali e meccaniche della membrana basilare, è all’origine dell’analisi frequenziale dei
suoni che arrivano alla coclea. Se questa tonotopia passiva permette di spiegare un primo livello di codificazione
delle frequenze, questa codificazione è poco selettiva e non basta a spiegare il grado considerevole di sensibilità e
di
selettività frequenziale della coclea alla quale contribuiscono anche le CCE che presentano una selettività
frequenziale molto elevata.
Le cellule ciliate presenti nelle diverse zone della membrana basilare non sono identiche ma differiscono le una
dalle altre, per le loro proprietà elettromeccaniche e queste variazioni potrebbero rappresentare i fattori più
importanti nel determinare la loro selettività per le diverse frequenze. Alla base della coclea, dove la membrana
basale è stretta e rigida, le cellule ciliate e le loro stereociglia sono corte e rigide. Verso l’apice, le cellule ciliate e
le loro stereociglia hanno lunghezza flessibile all’incirca doppie delle cellule situate vicino alla base. Onde sonore
attiveranno quindi zone diverse della membrana basilare e stimoleranno popolazioni di cellule ciliate diverse,
dotate di diversa sintonia meccanica. Di fatto, l’organo del Corti deve la sua sensibilità e la sua selettività in
frequenza alla presenza di meccanismi attivi endococleari.

La selettività in frequenza è la base per la nostra abilità di identificare cambi di frequenza di un tono puro, come
queli di pochi hertz. Il risultato di studi recenti ha messo però in dubbio il ruolo dell’analisi spettrale come la base
della discriminazione di suoni complessi (come quelli del linguaggio verbale). Invece, enfatizza il ruolo della
codifica temporale dei suoni. Ora si crede che il ruolo principale della selettività in frequenza della membrana
basilare sia quello di dividere i suoni in differenti bande spettrali prima che l’informazione venga processata dal
sistema uditivo nervoso. L’orecchio umano può processare suoni il cui spettro copre 10 ottave e non sarebbe
possibile senza la divisione dello spettro in opportuni pezzi così che l’informazione temporale in differenti bande
di frequenza possa essere indipendentemente codificata nella via di scarico delle fibre nervose uditive.
Un po’ di storia…

• Ohm (1843) suggerì che l’orecchio potesse separare i suoni nelle sue componenti di frequenza
• Helmotz (1863) fu il primo a provare che l’orecchio fà un’analisi spettrale dei suoni à1° Ipotesi: La
membrana basilare funziona come una serie di risuonatori (cioè quelli che vibrano ad una singola
frequenza)
• Von Bekesy (1960) lo dimostrò: la membrana basilare risuona in punti diversi a seconda della frequenza
à 2° Ipotesi: Onda viaggiante (che si sposta lungo la membrana basilare verso l’alto) e non risuonatori
come proposto da Helmotz sono alla base della selettività in frequenza
• Studi sul moto della membrana basilare complicati dal fatto che venivano fatti su cadaveri
• Nel 1970 si osservò che il moto della membrana basilare non è lineare e che la sua selettività per le
frequenze è più alta per i suoni di bassa intensità che per quelli di alta
• Zwisloski (1980) suggerì che la membrana tettoria + le stereociglia delle CCE formano risonatori
accoppiati alla membrana basilare e quindi contribuiscono alla sua proprietà di selezionatore di frequenza.
• Questa ipotesi è stata poi dimostrata in modelli animali nel 1989
• E’ da tener presente che anche per la membrana tettoria la massa varia lungo la membrana basilare cosi’
come la lunghezza delle ciglia. Quindi: Risonatori + onda viaggiante= base per la selettività in frequenza
(sono state fuse le due ipotesi)
• Altra scoperta importante: Nel 1973 Rhode dimostrò che la selettività in frequenza della m.b. si deteriora
dopo la morte, il che indica la necessità della presenza di attività metabolica (non evidenziabile sui
cadaveri) à Questo verrà spiegato poi dal fatto che le CCE sono elementi attivi che rendono la selettività
della mb non lineare
Ruolo delle CCE: L’organo del Corti poggia sulla
membrana basilare e si avvolge dalla base all’apice
della spirale cocleare. Esso è composto da cellule
sensoriali, le cellule ciliate, da fibre nervose, da cellule
di sostegno e da cellule annesse non sensoriali.
Esistono due tipi di cellule ciliate, disposte da una
parte e dall’altra del tunnel di Corti: le cellule ciliate
esterne (CCE) e le cellule ciliate interne (CCI). Le
CCE hanno il ruolo di amplificare l’onda sonora
altrimenti l’ambiente in cui viviamo sarebbe per noi
pressoché impercettibile (la sensitività, infatti, viene
aumentata di circa 60 dB); mentre le CCI quello di
tradurre l’informazione sonora in messaggio nervoso
(sono deputate soprattutto alla parte afferente).
Era già stato scoperto che l’amplificazione è possibile
poiché le cellule ciliate esterne si allungano e si
accorciano, imponendo in tal modo un movimento
vibratorio alle differenti membrane dell’organo del Corti (basilare e tettoria). Sono stati osservati due tipi di
motilità: un cambio veloce in lunghezza di circa il 5% e l’altro più lento che può essere maggiore.
• Il primo si pensa sia collegato all’affinamento della selettività in frequenza e forse anche la compressione
delle ampiezze.
• Il secondo può cambiare la sensibilità dell’orecchio.
Si pensa che questi due movimenti siano provocati in modi differenti:

• Il primo dal passaggio di correnti elettriche


• Il secondo in risposta a cambiamenti di concentrazione di ione potassio nei liquidi circostanti.

Due ricercatori della Columbia University hanno compreso come queste contrazioni si sincronizzano in maniera
da effettuare correttamente l’amplificazione (processo attivo)
Se le cellule esterne si accorciassero e si allungassero a seconda delle vibrazioni imposte dall’ingresso delle onde
sonore nella coclea, in maniera passiva, non si avrebbe l’effetto di amplificare il segnale ma, al contrario, di
attenuarlo. Attraverso quale processo le cellule ciliate esterne arrivano a sincronizzarsi esattamente per consentire
l’amplificazione, dunque? Succede perché si registra un breve lasso di tempo fra il passaggio dell’onda che
dovrebbe determinare i movimenti di contrazione delle cellule esterne stesse e il momento in cui queste contrazioni
avvengono effettivamente, come hanno scoperto Elizabeth Olson e Wei Dong, autori dello studio. È come se le
cellule ciliate esterne, per così dire, aspettassero fino al momento giusto per ottenere un’amplificazione ottimale.
Gold, astrofisico inglese, fu il primo nel 1948 a realizzare un modello di coclea che comprendeva non solo le
cellule trasduttrici classiche ma anche delle cellule in grado di produrre energia meccanica.
Quindi la stimolazione sonora che genera il moto delle CCE genera correnti recettoriali che causano un ulteriore
moto delle CCE à feedback positivo (un moto stimola l’altro) à Questo spiega come le CCE siano il motore che
amplifica il movimento della membrana basilare. Se questo feedback è troppo forte può causare una vibrazione
«auto sostenuta» che risulta nella generazione di suoni che possono essere misurati (indietro) nel canale uditivo
(stimolazione acustica spontanea).
L’implicazione più ovvia del processo attivo mediato dalle CCE è l’aumentata selettività e la maggiore acutezza
dell’analisi di frequenza per suoni deboli à Si deduce quindi che il punto di massimo spostamento della mb non
dipende solo dalla frequenza dei suoni ma anche dalla loro intensità.
OAE: otoemissioni acustiche: Le otoemissioni sono suoni di debole intensità emessi dalle cellule ciliate esterne
della coclea, prodotti spontaneamente o evocati da stimolazione uditiva (TEOAE e DPOAE). Sono presenti nella
quasi totalità degli orecchi sani.
Le otoemissioni acustiche sono il metodo fondamentale per fare una diagnosi nell’orecchio soprattutto nei neonati
(e anche in molti casi di adulti). NON sono onde che servono per valutare la funzionalità dell’orecchio medio, ma
sono fondamentali per studiare la funzionalità delle cellule ciliate esterne e sono state proprio queste otoemissioni
a dare la prova di tutti questi meccanismi alla base del movimento delle cellule ciliate esterne e della loro reale
funzione di amplificazione.
La scoperta nel 1978 del fenomeno dell’otoemissione acustica da parte di David Kemp ha permesso di rilanciare
questa teoria e ha portato alla nozione attuale della fisiologia cocleare.
Questi ultimi trovano la loro origine nelle proprietà elettromotrici delle CCE. In effetti le CCE si accorciano in
risposta a una depolarizzazione e, viceversa, si allungano in risposta a un’iperpolarizzazione. Questi cambiamenti
di dimensioni possono raggiungere fino al 5% della lunghezza delle CCE e possono seguire delle frequenze di
stimolazione compatibili con le frequenze udibili.
Prestina: E’ una proteina responsabile della contrazione delle cellule ciliate esterne. L’identificazione della
proteina prestina da parte dell’equipe del professor Dallos ha permesso di scoprire la natura del motore molecolare
all’origine dell’elettromotilità. In effetti, l’espressione della prestina in alcuni sistemi eterologhi provoca un
cambiamento di lunghezza delle cellule in risposta a un salto di
potenziale e conferisce loro una capacità non lineare paragonabile a quella delle CCE. Quindi, una manifestazione
in vivo dei meccanismi attivi è la presenza delle otoemissioni acustiche. Queste otoemissioni acustiche, testimoni
dell’attività delle CCE, sono assenti nel topo prestina –/–.
Stereociglia: Le stereociglia, costituite soprattutto da actina, sono in numero di un centinaio per cellula ciliata e
sono disposte su tre file. Esse sono collegate tra loro da numerosi legami trasversali e da legami terminali (tiplinks).
Questi ultimi hanno una struttura a doppia elica e sono costituiti dalla combinazione di diverse caderine 23. Le
stereociglia più lunghe delle CCE sono ancorate in una struttura amorfa che ricopre l’organo del Corti, la
membrana tectoria. Quest’ultima è composta da fibre collagene e da proteine come la alfa e beta tectorina e
l’otogelina.
La rigidità delle stereociglia varia dalla base all’apice in un rapporto di circa 1 a 10 per la prima fila e di circa 1 a
40 per la terza fila. Questa rigidità dipende dal senso di deflessione delle ciglia: è più alta per una deflessione verso
l’esterno rispetto all’asse della coclea. La rigidità delle stereociglia è molto sensibile ai traumi sonori. Dopo una
stimolazione sonora rilevante una ritrovata funzionalità della funzione ciliare è possibile entro limiti ragionevoli
quando la funzione cellulare è normale.
Audiologia

SCIENZA DELL’UDITO
L’acustica studia le grandezze fisiche; la psicoacustica invece studia la parte soggettiva, la percezione
del suono.
Il suono è una forma di energia meccanica vibratoria che viene generata da un corpo in
vibrazione, che mette in movimento le particelle adiacenti creando un moto che si propaga a
quelle successive, senza però avere uno spostamento di tali particelle (solo la vibrazione si
trasferisce) → la trasmissione sonora, diversamente da quella luminosa, nel vuoto non può
avvenire, è sempre necessario un mezzo materiale.
Affinché esista un suono è necessario che ci sia una sorgente definita che vibra, un mezzo in cui
questa vibrazione possa propagarsi e un sistema che riceve. L’emissione è il meccanismo utilizzato
dalla sorgente per produrre il suono, la propagazione è il fenomeno mediante il quale il suono si
sposta nel mezzo, la ricezione è il fenomeno con il quale il suono viene rilevato con uno strumento
in grado di ricevere che può essere un microfono, o l’orecchio umano.
Il suono è rappresentato da una grandezza vettoriale e quindi viene rappresentata come un’onda
sinusoidale che schematizza la compressione e la decompressione, e per il moto armonico
semplice è la rappresentazione di una singola frequenza.
L’onda sonora è:
- longitudinale, cioè la vibrazione si propaga nella stessa direzione dell’onda (un esempio
può essere quello della molla, che viene tirata e va avanti e indietro).
- sferica (non confondiamoci con il fatto che sia longitudinale, perché sono due cose
indipendenti), vuol dire che la perturbazione determinata è sferica, ma è
contemporaneamente anche longitudinale.
Le caratteristiche principali dell’onda sono:
• lunghezza d’onda
• velocità di propagazione (che dipende dal mezzo in cui si propaga, ovvero dalle sue
proprietà elastiche, dalla temperatura, altitudine, umidità mentre non dipende da ampiezza
o frequenza) → la velocità più conosciuta è quella nell’aria, a livello del mare, a 20° , la
velocità del suono è circa 340 m/s; la velocità del suono è maggiore nei solidi e nei liquidi ,
e minore nei gas, perché dipende dalla densità del mezzo: più è denso il mezzo maggiore
sarà la velocità.
• frequenza → Il periodo e la frequenza sono uno l’inverso dell’altro: il periodo è la
durata in secondi di un ciclo, la frequenza è il numero di cicli al secondo ed è espressa
in Hz; la correlazione importante è che la frequenza è uguale alla velocità fratto la
lunghezza d’onda.
• ampiezza (il valore massimo di perturbazione delle particelle)
• intensità.
Un’altra caratteristica dell’onda è che tutte le onde periodiche complesse possono essere scomposte
in una somma di onde semplici (trasformata di Fourier).
Lo spettrogramma è una rappresentazione lineare di un’onda: suono puro, quindi caratterizzato da
un’unica frequenza lo spettrogramma sarà costituito da una sola linea verticale; se invece il suono è
complesso, quindi determinato da più frequenze, si dovrà fare la trasformata di Fourier, l’analisi
spettrografica e risulterà un grafico con tante linee verticali quante sono le frequenze che
caratterizzavano il suono.

1
Audiologia

Il rumore invece ha la caratteristica di non essere scomponibile in frequenze, poiché è una


sovrapposizione casuale di suoni, e quindi lo spettro sarà caratterizzato non più da linee ma da bande
contenenti ognuna un range di frequenza.
Un’altra definizione da ricordare è quella delle onde stazionarie (quella che si crea nel condotto
uditivo), ovvero una perturbazione periodica le cui oscillazioni sono limitate nello spazio, e allora
non c’è una propagazione nella direzione dello spazio ma solo un’oscillazione nel tempo. L’onda
presenta dei punti detti antinodi nei quali si verifica l’ampiezza massima, mentre i punti che restano
fissi e che hanno ampiezza nulla sono i nodi.
Il suono è composto da una frequenza fondamentale più le armoniche, che sono multiple, doppie e
così via rispetto alla sequenza fondamentale; la distanza tra un’armonica e l’altra viene detta ottava,
che è definita come un gruppo continuo di frequenze comprese tra un numero di frequenza e il suo
doppio; la banda udibile dell’uomo è stata divisa in dieci ottave , questo vuol dire che noi
distinguiamo due suoni che hanno una ottava di differenza ( come 100 da 200 Hz, o 1000 da 2000
Hz), ma non riusciamo a distinguere quanto vale la differenza tra i due suoni che stiamo
paragonando ( ovvero per l’orecchio umano tra 100 e 200 c’è la stessa differenza che tra 1000 e
2000 Hz).
Esistono vari tipi di sorgente: puntiforme, lineare, piana; viene definita puntiforme quando le sue
dimensioni sono piccole rispetto alla distanza con il ricevitore (esempio è la bocca), è il tipo di
sorgente più semplice e genera delle onde sferiche; la sorgente lineare produce delle onde
cilindriche, un esempio può essere un convoglio ferroviario o un flusso di veicoli; la sorgente piana
viene rappresentata come dei fronti d’onda che viaggiano su piani paralleli.
In generale però un’onda sferica sarà propagata allo stesso modo di un’onda piana.
Caratteristiche della propagazione del suono
Riflessione, rifrazione, diffrazione, dispersione, assorbimento e trasmissione.
• Assorbimento, riflessione e trasmissione sono fenomeni che avvengono quando un’onda
sonora incontra un ostacolo , ma per il principio di conservazione dell’energia sappiamo che
la somma di questi tre fattori deve essere uguale all’energia dell’onda incidente; ci sono due
leggi: l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione , e i due angoli di incidenza e
di riflessione devono essere complanari ; l’ampiezza dell’angolo di riflessione è invece è
leggermente più bassa perché una parte viene assorbita dal corpo, la quantità di onda che
viene assorbita dipende dalle caratteristiche del mezzo in cui stiamo studiando il fenomeno
della riflessione . Un esempio di riflessione particolare è l’eco: noi sappiamo che si va in
montagna non sempre si verifica questo fenomeno, perché sappiamo che la velocità del

2
Audiologia

suono nell’aria è di 340 m/s, quindi calcolando il tempo che ci mette l’onda ad arrivare, la
distanza deve essere di 17 metri, se la distanza è diversa l’eco non si formerà , ma potrebbe
verificarsi il fenomeno della riverberazione, nella quale i suoni ritornano in maniera
confusa. L’ assorbimento dipende dai materiali, ce ne sono alcuni che sono più assorbenti e
altri meno.
• Rifrazione, che è quel fenomeno per cui se noi mettiamo una cannuccia in un bicchiere
d’acqua sembra che la cannuccia si spezzi poiché cambia la lunghezza d’onda, cambia la
rifrazione, visto che la densità è diversa c’è questa illusione ottica
• Diffrazione permette, se siamo in una stanza, di riuscire a sentire anche le persone che
parlano fuori o una macchina che passa; la diffrazione influenza alcune frequenze più di
altre, le onde basse vengono meno fermate dal fenomeno. Ogni volta che un’onda incontra
un ostacolo, essa non è in grado di aggirarlo e si deforma in modo tale da attraversarlo,
così si verifica la diffrazione, ma solo se le dimensioni dell’ostacolo sono paragonabili o
inferiori alla lunghezza d’onda, questo spiega perché una frequenza grave con una
maggiore lunghezza d’onda riesca a passare meglio (se la frequenza è più bassa le onde
aggirano più facilmente l’ostacolo). Se abbiamo una sorgente che produce un rumore
fastidioso da schermare, con dei pannelli fotoassorbenti per esempio, i suoni gravi saranno
quelli più difficili da schermare. Per quel che riguarda la voce umana, se le dimensioni
dell’ostacolo e della lunghezza d’onda sono confrontabili l’entità della diffrazione è
irrilevante; la testa invece produce un effetto ombra che è particolarmente evidente per le
frequenze acute che vengono schermate, mentre il capo è piccolo rispetto alle onde con
lunghezza d’onda ampia e quindi l’effetto ombra sarà minore.
• Risonanza si verifica quando vengono trasmessi impulsi con una frequenza uguale
alla frequenza di vibrazione del sistema (un esempio è quando nel passato le truppe
dovevano attraversare dei ponti non costruiti ovviamente con i nostri materiali, e
dovevano rompere le righe, ovvero non marciare più tutti insieme, poiché se avessero
marciato ad una frequenza pari alla risonanza del ponte, questo avrebbe cominciato
ad oscillare) , allora la risonanza è la frequenza massima a cui un corpo può oscillare
• Interferenza si verifica quando due onde in qualche modo si incontrano, può essere
costruttiva o distruttiva, se le due onde sono in fase la risultante sarà identica alle onde di
partenza, se sono sfasate di 180° la risultante sarà nulla perché si elidono a vicenda, se le due
onde sono sfasate di un valore tra 0 e 180° la risultante avrà caratteristiche completamente
diverse dalle onde iniziali.
I battimenti sono un particolare tipo di interferenza in cui due onde sono sfasate di pochissimo
per cui succede che continuamente le due onde si sommano e si annullano, e quello che risulta
è un suono che sale e scende in continuazione (come le sirene).
I campi sonori sono aree in cui sono presenti onde sonore, il campo libero è un campo in cui le
onde viaggiano senza ostacoli, ovviamente in natura non esistono, ma se si devono fare delle
valutazioni audiometriche si deve ricreare, usando una stanza vuota, con pareti insonorizzate.
L’intensità è una grandezza fisica che caratterizza il suono, è il rapporto tra la potenza di un’onda
sonora e l’area della superficie da essa attraversata oppure è definita come l’energia che nell’unità di
tempo attraversa una superficie in un punto, perpendicolarmente alla direzione di propagazione
dell’onda; acusticamente dipende sempre dall’ampiezza della vibrazione e si misura in Pascal
(Newton/metri quadrati).
Campo uditivo umano: Il campo uditivo umano, in condizioni di buona salute distingue suoni dalla
frequenza minima di 16/20 Hz e massima di 16/20 kHZ. La soglia minima di frequenza si alza con l’età.

• Le frequenze inferiori a 20 Hz corrispondono agli infrasuoniàpossono essere prodotti da


fenomeni naturali e vengono percepiti da alcuni animali come gli elefanti. Gli infrasuoni hanno
una particolarità, poiché avendo una lunghezza d’onda molto grande non vanno incontro a
dissipazione, quindi vengono trasmessi a grandi distanze. L’orecchio umano non può percepirli

3
Audiologia

ma il fisico si, e se si è esposti per lungo tempo possono manifestarsi dei fastidi anche se non si è
consci della causa.

• Gli ultrasuoni invece hanno frequenze superiori ai 20000 Hz, e sono quelli che vengono utilizzati
dagli ecografi, per la sterilizzazione di oggetti, sono quindi molto usati in medicina.
Il limite massimo tollerabile dall’orecchio umano è definito soglia del dolore, questa può variare da
soggetto a soggetto ma in genere è circa 120dB. È importante evitare l’esposizione a suoni troppo forti
poiché le cellule ciliate dell’orecchio non si rigenerano, inoltre non ne abbiamo milioni ma solo migliaia,
perciò bisogna fare attenzione.

Per quel che riguarda la voce parlata il range di frequenza va tra 400 e 3000 Hz, mentre il range delle
frequenze a cui siamo più frequentemente esposti ogni giorno è tra 125 e 8000 Hz. La massima sensibilità
del nostro orecchio si trova nella parte centrale del grafico ovvero tra 1000 e 3500 Hz.
Esempi di valori in dB di suoni a cui siamo esposti: tra 10 e 20 db c’è il fruscio delle foglie, tra 30 e 40
corrisponde a una conversazione a voce bassa nella quiete, a 50 dB si colloca l’ambiente domestico, il
teatro, a 60 dB una voce alta, a 70 un telefono, a 80 dB corrisponde il traffico medio, la sveglia, a 90 una
strada molto trafficata, e già a questi livelli se si è esposti per molto tempo sin rischiano dei danni; fino
ad arrivare a 120-120 che è la soglia del dolore.
I limiti oltre i quali i suoni non sono più percepibili definiscono il campo dinamico e tonale: intensità e
frequenza combinate in vari modi.
Il suono è composto da una frequenza fondamentale più le armoniche, che sono multiple, doppie e così via
rispetto alla sequenza fondamentale; la distanza tra un’armonica e l’altra viene detta ottava, che è definita
come un gruppo continuo di frequenze comprese tra un numero di frequenza e il suo doppio. La banda
udibile dell’uomo è stata divisa in dieci ottave, questo vuol dire che noi distinguiamo due suoni che hanno
una ottava di differenza ( come 100 da 200 Hz, o 1000 da 2000 Hz), ma non riusciamo a distinguere quanto
vale la differenza tra i due suoni che stiamo paragonando ( ovvero per l’orecchio umano tra 100 e 200 c’è
la stessa differenza che tra 1000 e 2000 Hz).
Il nostro orecchio è molto sensibile alle variazioni di frequenza, ma poco sensibile alle variazioni di
ampiezza. Quando si vanno le valutazioni audiometriche, o quando vengono stabiliti i parametri di
tolleranza nei luoghi, pochi decibel di differenza possono essere molto importanti perché siamo in una

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Audiologia

scala logaritmica, all’inizio piccole variazioni vengono percepite molto perché la curva va verso l’alto,
dopo no, perché ci troviamo sulla parte più alta della curva dive si crea un plateau, come enunciato anche
dalla legge di Weber-Fechner. La sensibilità, rispetto all’ampiezza dei suoni, diminuisce con il crescere
dell’intensità degli stessi. Un esempio che possiamo fare è proprio quello dell’esperimento di Weber, in
cui si posizionano due corpi, uno di un kg e l’altro di 100 kg poggiati ognuna su una mano, aggiungendo
un altro peso di 1 kg su ogni mano la nostra percezione sarà diversa, ovvero percepiremo l’aumento di
peso sulla mano in cui è presente il corpo da un chilo, mentre non avvertiremo nessuna differenza sull’altra
mano, dove il corpo è molto più pesante.
Unità di misura: Il range di udibilità dell’orecchio umano va da 20 microPascal a 20 Pascal, che
corrispondono al minimo e al massimo suono che possono essere uditi, è però un intervallo eccessivamente
grande e sarebbe difficilissimo riportare su un grafico i valori ottenuti a varie frequenza misurando in Pascal
l’intensità. Per questo motivo è stata inventata una grandezza arbitraria, che non è una grandezza fisica ma
è adimensionale (perché è il rapporto tra due grandezze) che è il decibel, per definire l’intensità sonora.
Questo si esprime in scala logaritmica, potendo quindi condensare molto il range di intensità e
permettendone la rappresentazione (facendo un esempio, se l’intensità sonora aumentasse di un milione di
volte, noi percepiremmo solo un aumento di sei volte rispetto al valore iniziale, quindi è stato proprio il
funzionamento del nostro orecchio a dare l’idea di utilizzare un logaritmo).
Dobbiamo ricordare che un suono espresso in dB è un rapporto, ovvero un valore in decibel ci dice solo di
quanto un determinato valore è più grande di quello di riferimento, quindi non avrà nessun significato se
non si conoscono i valori di riferimento, quindi 0 dB non vuol dire che c’è silenzio ma che ci troviamo ai
minimi valori di intensità percepibili.

Esistono vari tipi di dB, per esempio c’è SPL che è il livello di pressione sonora, ed il rapporto tra il logaritmo
della pressione sonora e quello della pressione sonora di riferimento: dBSPL=20 ( log Po / Pr)

• Prà la pressione sonora di riferimento (20 microPascal) che è il minimo suono che può essere
percepito dall’orecchio umano
• P0à è la pressione sonora

SPL sta per “sound pressure level” o livello di pressione sonora e, come è ovvio, questa notazione si usa quando
si ha a che fare con valori che indicano le pressioni generate da un evento sonoro.
Come livello di riferimento per questa scala si è presa la minima variazione di pressione che l’orecchio umano
può percepire che è precisamente 0,0002 dyne/cm2: un valore standard che è rappresentato dallo 0 dB.

Oltre agli SPL, tra quelli più usati ci sono anche gli HL. Questo ci interessa perché le apparecchiature utilizzate
in audiologia non usano tutte lo stesso tipo di decibel e se noi non conosciamo quale è stato utilizzato potremmo
non riuscire ad interpretare il risultato dell’esame (per esempio un audiogramma espresso con dB HL sarà
rappresentato con delle linee rette, se invece si utilizzano SPL dB il risultato saranno delle curve che salgono
e scendono), quindi l’unico modo per poter comparare e integrare le informazioni ottenute da strumenti diversi
è normalizzare tra loro i valori, utilizzando delle specifiche tabelle di conversione accettate a livello
internazionale. (C’è un modo per convertire i decibel SPL in HL).
L’audiogramma utilizza in genere i dB HL perché ci permettono di rappresentare sulla stessa retta tutte le
frequenze, almeno nell’individuo normoudente, se invece vediamo delle deviazioni dalla linea vuol dire che il
soggetto ha un problema uditivo; se venissero utilizzati i dB SPL sarebbe molto più complicato visualizzare
una condizione patologica, a causa del fatto che è rappresentato da curve che vanno su e giù.

Psicoacustica: La psicoacustica si può dividere in due diversi campi, ovvero la capacità di identificare le
caratteristiche fisiche del suono e la capacità di coglierne le variazioni; in entrambi i casi è fondamentale il
concetto di soglia, che è il valore minimo dell’intensità di stimolazione in grado di evocare una certa risposta.
Gli inglesi distinguono l’intensità fisica dall’ intensità psicoacustica definendo la prima intensity e la seconda
loudness. Per farvi capire bene la differenza tra acustica e psicoacustica immaginate un albero che cade in
una foresta (in cui non c’è essere umano), genera un suono o no? Per la fisica si perché genera onde sonore,
per la psicoacustica no perché quelle onde non vengono percepite da nessuno. La psicoacustica è tutto quello
che è la percezione del suono.

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Audiologia

La psicofisica è molto basata sulla statistica, si deve fare un campionamento su un grosso numero di persone
a cui vengono presentati degli stimoli ad una data intensità e ai quali deve essere assegnato un valore di
psicoacustica.

Per quanto riguarda la fisica un tono puro viene definito da intensità, frequenza e durata, invece in psicofisica
da forza o loudness, altezza o pitch (per quanto riguarda la frequenza) e la sensazione di durata che però non
ha unità di misura.

• La scala mel è una percezione dell’altezza o il pitch e quindi la frequenza. Mel: è un’unità di misura
(soggettiva) costruita in funzione della sensazione evocata da un tono puro di 1000 Hz.
o 1000 mel = pitch corrispondente ad un tono di 1000 Hz
o 500 mel = genera una sensazione frequenziale pari alla metà di quella di 1000 Hz
o 2000 mel = genera una sensazione frequenziale pari al doppio di quella di 1000 Hz
• Il timbro è determinato dal numero di armoniche che compongono il suono stesso. Il timbro, è la
qualità che, a parità di frequenza, distingue un suono da un altro. Il timbro dipende dalla forma
dell'onda sonora, determinata dalla sovrapposizione delle onde sinusoidali caratterizzate dai suoni
fondamentali e dai loro armonici. Dal punto di vista della produzione del suono, il timbro è
determinato dalla natura (forma e composizione) della sorgente del suono e dalla maniera in cui questa
viene posta in oscillazione.
• La loudness é il modo in cui noi percepiamo l’ampiezza. Infatti un particolare cambio in ampiezza
non è necessariamente percepito come proporzionale ad un cambio nella loudness. Una delle unità di
misura della luodness è il sone (letto son). Il valore in son della loudness è riferita ad un tono puro a
1000 Hz ed a 40 dB spl. Il valore corrispondente ad 1 son equivale alla sensazione sonora evocata
dallo stimolo di riferimento. Quindi N-son corrisponde a quante volte la sensazione sonora è superiore
alla sensazione sonora evocata dal tono puro a 1000 Hz ed a 40 dB spl. Il son viene quindi definito
come la sensazione avvertita da una persona che ascolta una nota del livello di 40 phon.
Un'altra unità di misura della luodness è il phon. Il valore del phon è riferito al livello di un tono puro
a 1000 Hz presentato a varie intensità espresse in dB SPL, rispetto al quale è valutata la loudness di
tutti gli altri toni. In particolare il phon definisce il livello di pressione sonora che un suono puro di
una determinata frequenza f, deve avere, al fine di provocare la medesima sensazione uditiva (in
termini di intensità del livello acustico) del suono di riferimento alla frequenza di 1 kHz.
Utilizzando i phon, si paragonano le sensazioni sonore evocate da uno stimolo con quelle evocate da
un tono puro a 1000Hz e l’intensità (in dB spl) del tono di riferimento rappresenta il livello in phon.
Quindi, un suono ritenuto d’intensità pari a quella di un tono a 1000 Hz di 40 dB SPL si dice avere un
livello di loudness di 40 phon. Il phon è quindi un parametro che rappresenta l'udibilità soggettiva
dell'orecchio umano, che in determinati casi, non rappresenta la differenza oggettiva che due suoni
hanno tra loro.
Il phon in psicoacustica rappresenta il livello di sensazione sonora sulla base del quale furono
rappresentate le curve di isofonia nel diagramma di Fletcher e Munson.

Curve isofoniche: Quando si è tentato di definire quale fosse il valore medio dell’udito di una persona
normale, senza patologie otologiche, giovani ecc., si è scoperto che questo valore di dB SPL non era costante
per tutte le frequenze ma la curva che rappresentava la soglia uditiva aveva un valore profondamente diverso
dall’altra in base alla frequenza testata.
Le curve in cui i soggetti testati percepivano la medesima sensazione acustica in termini di livello uditivo sono
state chiamate “curve isofoniche”.

SPL: La soglia dell’udito cambia con la frequenza e per suoni deboli e forti come scoperto da Fletcher e
Munson nel 1933:

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Audiologia

Per esempio il valore della pressione sonora


corrispondente alla curva isofonica di 40 phon, per
un suono puro con frequenza pari a 1.000 Hz,
equivale a 40 dB mentre alla frequenza di 500 Hz
equivale a circa 48 dB.

Lo scopo del grafico è quello di mostrare che per gli


esseri umani per considerare due toni ugualmente
forti, l’ammontare di energia necessaria ad una
frequenza può essere molto diversa di quella ad
un’altra frequenza.
Le differenze di energia / frequenza sono più ripide a
livelli di intensità bassi e si appiattiscono ad alti livelli
di intensità

Tali curve descrivono quali livelli sonori (misurati in


dB) percepiamo essere uguali al variare della
frequenza, cioè avere lo stesso 'volume' (misurato in
phon)
Sono rappresentate in un grafico specifico che ha sulle
assi delle x la frequenza in Hertz, sull’asse delle y la
pressione sonora in dB e diverse curve, una per ogni
‘volume’ sonoro percepito, misurato in ‘phon’.

• La pressione di soglia, cioè la minima pressione sonora necessaria all'udibilità, dipende dalla
frequenza: è molto vicina a 0 dB per frequenze comprese tra 800 e 5000 Hz, ma aumenta notevolmente
al di fuori di tale intervallo.
• Le curve isofoniche permettono di visualizzare l’interazione frequenza-intensità: due punti
appartenenti alla stessa curva evocano la stessa sensazione di intensità sonora
• A parità di loudness i toni a bassa freuenza presentano un’intensità maggiore rispetto alle medie e alte
frequenze

Dal grafico possiamo trarre alcune importanti conclusioni:


• Convenzionalmente si fissa il livello di intensità percepita uguale al livello di intensità sonora alla
frequenza di 1000 Hz.
• Se l'intensità percepita fosse determinata completamente dalla sola intensità sonora della sorgente le
curve isofoniche sarebbero orizzontali. In effetti ciò è abbastanza vero per le frequenze che vanno da
200 a 6000 Hz (che tra l'altro sono le più importanti nella pratica musicale)

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Audiologia

Alle basse e alle alte frequenze si ha un calo di


sensibilità dell'orecchio. Per percepire un suono di
frequenza di 50 Hz all'intensità di 10 dB occorre
un'intensità sonora di ben 60 dB (cioè circa 1000000
volte maggiore!). Lo si può vedere seguendo la curva
isofonica a 10 dB, e leggendo in ordinata il valore
corrispondente a 50 Hz. Allo stesso modo, per udire
un suono a 20 Hz la soglia di udibilità sale a 70 dB
(circa 10 milioni di volte maggiore della soglia a 1000
Hz).

Il suono più debole che una persona giovane può


udire a 2500 Hz è 0 dB SPL, mentre a 20 Hz il suono
deve essere molto più forte (72 dB SPL) per essere
udito. La situazione è opposta alle alte frequenze.

Quindi l’udito normale se riportato su un


audiogramma usando la scala SPL sarebbe una linea curva e ondulata rendendo difficile la sua lettura per
quanto riguarda le perdite uditive.

DbHL: Di conseguenza, se si volesse definire la “soglia uditiva” di un normoacusico (ovvero la minima


intensità sonora per cui una persona percepisce un suono di data frequenza) ci si dovrebbe riferire ad un valore
di decibel SPL diverso per ogni frequenza, procedura possibile ma poco pratica.
Si è pertanto deciso di utilizzare la minima pressione sonora udibile mediamente da una persona per ciascuna
frequenza come punto di riferimento e di chiamare tale valore 0 dB HL (Hearing Level-Livello di Udito). Per
questa ragione è stato inventato il decibel HL che normalizza il decibel SPL, così il valore zero è uguale per
tutte le frequenzeàCosì per ottenere la scala HL la scala SPL viene normalizzata per ottenere una linea retta
a 0 dB. E’ più semplice visualizzare la perdita uditiva quando l’udito normale viene rappresentato come una
linea retta posta a 0 dB sull’audiogramma in modo che ogni deviazione rappresenti l’entità della perdita uditiva.

La normalizzazione: dB HL= dB SPL- soglia. Si definisce dB HL il livello dell’intensità sonora al di sopra


della soglia uditiva. Dove la soglia dipende dalla frequenza del segnale sonoro. Per convertire da SPL ad HL
l’audiometro è calibrato per aggiungere un ammontare specifico (che varia con la frequenza) ad ogni
frequenza.

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Audiologia

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SEMEIOTICA CLINICA AUDIOLOGICA
ESAME OBIETTIVO
L’ispezione riguarda padiglione e canale uditivo esterno fino alla membrana timpanica e viene eseguita mediante
otoscopia (grazie all’otoscopio → strumento retroilluminato provvisto di lente di ingrandimento).
Per visualizzare i quadranti inferiori della membrana timpanica è necessario esercitare una trazione del padiglione
auricolare (adulto: in alto, dietro; bambino fino a due anni: in basso, dietro); inoltre, sempre nell’ambito della
membrana è necessario identificare il manico del martello (che la divide in una parte anteriore ed una posteriore) e il
“triangolo luminoso di Politzer”, cioè la luce dell’otoscopio riflessa.
Il colore della membrana deve essere roseo traslucido.
Se ci sono perforazioni, sono visualizzabili le strutture dell’orecchio medio.
Riguardo il padiglione, sono identificabili:
- Malformazioni → agenesia, microtia, orecchio ad ansa
- Segni infiammatori
- Segni post-traumatici → pericondrite; anteriorizzazione da mastoidite; otoematoma (in genere esito di traumi
tangenziali sul padiglione auricolare per lacerazione dei vasi pericondrali e versamento nel terzo superiore del
padiglione, che quando non riassorbito porta a fibrosi; nella regione retroauricolare possiamo vedere cicatrici,
assenza del solco naturale per tumefazione ed edema (es mastoidite acuta).

Ipoacusie
Riduzione o perdita completa della capacità uditiva (unilaterale → anacusia; bilaterale → cofosi)
La normoacusia è definita capacità di percepire i suoni ad intensità inferiore o uguale a 25dB, nel caso
dell’audiometria tonale liminare convenzionale, alla frequenza di 0,125 KHz – 8KHz:
- Lieve = soglia uditiva 25-40 dB
- Media = soglia uditiva 40-70 dB
- Grave = soglia uditiva 70-90 dB
- Profonda = soglia uditiva oltre i 90 dB
Le ipoacusie sono suddivise, in rapporto alla sede anatomica del danno, in:
• Trasmissiva → lesione a carico dell’apparato di trasmissione (orecchio esterno/medio); interessa soprattutto
frequenze medio-gravi. L’entità del deficit non supera in genere i 50-60 dB → in genere suscettibile di terapia
medica/chirurgica
Cause:
o malformazioni/assenza orecchio interno o medio;
o cerume, corpi estranei, versamenti nell’orecchio medio;
o perforazione membrana timpanica;
o disfunzione tubarica;
o interruzione catena ossiculare, otosclerosi.

È caratterizzata, in genere, solo da una riduzione della capacità uditiva in assenza di recruitment (distorsione di
loudness): perdita nella via aerea (soglia aumentata < 50-60dB), via ossea conservata.
Ndr La riserva cocleare è la differenza in dB tra la soglia ossea e quella aerea.
• Neurosensoriale: cocleare (lesione alle cellule ciliate) o retrococleare (lesione all’VIII n.c.)
Cause:
o DM, cause genetiche; o farmaci ototossici (aspirina, diuretici, aminiglicosidi);
o sofferenza fetale/perifetale, patologie in gravidanza; o neoplasie.

Caratterizzata da perdita in entrambe le vie, con via aerea leggermente migliore.


• Mista: espressione di una lesione contemporanea (ma non necessariamente sincrona) dell’apparato di traduzione
e di trasmissione.
Caratterizzata dall’innalzamento della soglia sia per la via aerea che della via ossea, con presenza di un gap tra le
due soglie.
• Centrale: la soglia uditiva può essere normale con significativa alterazione delle capacità integrative
(riconoscimento suoni e linguaggio)
Acufeni
- Soggettivo (tinnitus) → percezione di un suono in assenza di stimolazione sonora;
- Obiettivo: caratterizato da un rumore (somatosound) che origina da strutture prossime all’orecchio (vasi, tuba di
eustachio, muscoli, articolazioni), percepibile dall’esaminatore stesso. Nel 90% dei casi è associato a patologie
dell’orecchio.
Otodinia
Dolore auricolare secondario a patologia dell’orecchio esterno e medio; può associarsi o meno ad ipoacusia.
Otalgia
Dolore in regione auricolare in assenza di patologia dell’orecchio; si associa solo causalmente ad ipoacusia.
Otorrea
Fuoriuscita di secrezione dal meato uditivo esterno; sierosa (dermatiti, perforazione timpanica), muco-purulenta (otite
acuta con perforazione), siero-ematica (otite media acuta virale, neoplasia).
Otorragia
Fuoriuscita di materiale francamente ematico dal meato uditivo esterno; in genere è dovuto a fratture della rocca
petrosa e concomitante perforazione della mt. Ad essa può associarsi la fuoriuscita di liquor.
Prurito
Otomicosi, dermatosi del canale uditivo esterno.
Vertigine
Illusione di movimento nell’ambiente:
- Soggettiva: il pz si sente muovere → è associata a nistagmo;
- Oggettiva: il pz vede l’ambiente muoversi) → si associa a sintomi e segni neurovegetativi.
Oscillopsia
Mancata stabilizzazione visiva delle immagini con conseguente movimento delle stesse. È assente a riposo ed è
determinata dall’assenza bilaterale della funzione vestibolare.
Instabilità
Riferita od obiettivabile difficoltà nel mantenere l’equilibrio; quasi sempre associata alla vertigine acuta.

SEMEIOTICA STRUMENTALE
Audiometria: misura quantitativa e qualitativa dell’udito.
• Audiometria Soggettiva: • Audiometria Semioggettiva: • Audiometria Oggettiva:
- Tonale: liminare/ sopraliminare, con valutazione - Riflessi incondizionati - Impedenziometria
della trasmissione per via aerea e ossea - Reazioni comportamentali - Ricerca dei potenziali
- Vocale: liminare/sensibilizzata - Riflessi condizionati evocati periferici e centrali
- Automatica

Acumetria: misura clinica, non necessita di macchine


• Prove acumetriche vocali: l’esaminatore è posto ad una certa distanza dal pz, cui si chiede di ripetere parole/frasi
pronunciate con tono di voce normale/sussurrata.
• Prove acumetriche con diapason: le prove sono condotte con toni puri da 128 Hz a 4’096 Hz.
PROVE DI LOCALIZZAZIONE
Test di Rinne
Rapporta la sensibilità uditiva per via aerea (valutata tenendo i sue rebbi di un diapason a tono grave circa 250 Hz a
2cm dal meato acustico esterno), a quella per via ossea (valutata poggiando la sbarra del diapason sulla superficie
mastoidea in corrispondenza della zona di proiezione dell’antro):
Rinne positivo → Normalità Rinne negativo → Ipoacusia trasmissiva
Il suono per via aerea è percepito più a lungo rispetto a Durata della percezione per via ossea > a quella per via aerea
quando inviato per via ossea (rapporto 2:1). (il soggetto percepisce il suono più a lungo per via ossea).

Rinne positivo attenuato → Ipoacusia neurosensoriale Falso Rinne negativo → Sordità totale o parziale monolat
La percezione è ridotta della stessa entità per i due tipi di Se l’orecchio esaminato è totalmente/parzialmente sordo e
stimolo, restando cmq più protratta quando il suono è inviato l’altro è normale, il suono arriva prima all’orecchio opposto e
per via aerea (rapporto < 2:1). quindi il test può risultare negativo poiché la percezione per
via ossea risulta apparentemente migliore di quella per via
aerea.

Test di Weber
Si pone in vibrazione il diapason e la sua base è posta sulla linea mediana della testa, in corrispondenza di vertice o
fronte (valuta via ossea) → il pz deve riferire dove localizza il suono:
- Weber indifferente: il soggetto normoudente non localizza il suono da un lato ben definito, ma piuttosto al centro
della testa, dietro o diffuso;
- Localizzazione all’orecchio migliore: pz con ipoacusia neurosensoriale (via ossea persa);
- Localizzazione all’orecchio peggiore: pz con ipoacusia trasmissiva (via ossea conservata).

METODICHE AUDIOMETRICHE
SOGGETTIVE
Audiometria tonale liminare
Fornisce informazioni qualitative e quantitative sulla capacità uditiva di un soggetto, molto più attendibili rispetto ai test
con diapason.
Il pz è in una cabina insonorizzata: lo stimolo è rappresentato da un tono puro (monofrequenziale) presentato:
- Per via aerea, attraverso una cuffia (intervallo 125Hz-8000 Hz: frequenze più importanti che
Risposte
contraddistinguono il parlato); monoaurali
- Per via ossea, attraverso un vibratore posto sul processo mastoideo (intervallo 250-4000 Hz);
- Attraverso un altoparlante per le prove in campo libero → Risposte binaurali

N.B. il tono puro può essere continuo, pulsato o modulato in frequenza; il tono pulsato ha l’utilità di ridurre il fenomeno
dell’adattamento e quella di evitare che soggetti con acufeni confondono il tono continuo con l’acufene stesso.
Il paziente è seduto e regge un pultante che premerà ogni volta che sente il suono.
Questo esame mira ad individuare la soglia uditiva, ovvero la minima intensità sonora che il soggetto in esame riesce
a percepire. La sua ricerca si esegue monoauralmente, iniziando dal lato migliore identificato all’anamnesi:
- Metodo ascendente: si inviano suoni infraliminari con progressivo incremento di intensità;
- Metodo discendente: si inviano suoni sovraliminari con progressivo decremento d’intensità; in questo caso si
parte da uno stimolo comodamente percepito, ridotto di 10 dB per volta, fino a che non è più percepito, quindi
lo si incrementa di 5dB per volta fino a che non è percepito nuovamente → è il metodo migliore.
I risultati vengono riportati graficamente sull’audiogramma, che presenta sulle
ascisse (x) la frequenza, espressa in Hz e sulle ordinate (y) l’intensità, espressa in
dB-HL (Hearing Level) → la soglia varia con la frequenza.
Il valore di soglia convenzionale, indipendentemente dalla frequenza esamnata è 0
dB.
§ HL (hearing level): soglia uditiva persona normo udente con 0 db posto come soglia
§ SL (sovraliminare): si ottiene sottraendo la perdita uditiva del pz. all’hearing level
usato per il test.
Inoltre è importante ricordare che la soglia per via aerea deve essere sempre al di
sotto di quella per via ossea; in caso contrario: o l’audiometro si è starato o il pz è
un simulatore.
Uso di Frequenze Sovraliminari: 8-10 KHz, “audiometri multi-frequenziali”; si usano in casi clinici particolari, ad esempio nella
presbiacusia, nell’otopatie professionali, in cui il danno uditivo coinvolge inizialmente le frequenze più alte.
Ø Impairment: diminuzione della capacità uditiva (in dB)
Ø Disability: difficoltà a percepire la voce
Ø Handicap: come la persona che ha un certo impairment, che si esprime con un certo grado di disability, si inserisce in un
contesto sociale
dB HL Impairment Disability
0-20 Normoacusia -
21-40 Lieve Difficoltà a bassa voce (consonanti)
41-55 Medio Difficoltà con voce ed intensità normale
56-70 Medio-grave Difficoltà con voce ed intensità elevata
71-90 Grave Apprezza solo la voce amplificata
>90 Profonda Difficoltà anche con la voce amplificata

Mascheramento
Qualora durante un normale esame audiometrico si mostrino asimmetrie di soglia tra la via aerea di un lato e quella
ossea dell’altro, bisogna escludere (“mascherare”) l’orecchio normale/migliore per ricercare la via aerea dell’altro lato.
Infatti, in caso di differenze > 40dB tra la soglia della via aerea dell’orecchio peggiore e la soglia della via ossea
dell’orecchio migliore o in caso di differenza uguale o superiore a 5dB tra la soglia della via ossea dei due lati, il
suono inviato all’orecchio peggiore può essere udito dall’orecchio migliore, e la soglia ricavata può essere falsamente
migliore di quella reale → curva ombra.
Tale evenienza viene eliminata utilizzando la tecnica del mascheramento: una stimolazione distraente all’orecchio non
esaminato permette di ricavare la reale risposta dell’orecchio in esame. Lo stimolo mascherante può essere:
- Rumore a banda stretta → NBN (più utilizzato in audiometria tonale);
o È centrato sulla frequenza del tono test, perciò se il mascheramento è insufficiente si osserva la curva
ombra; se il mascheramento è eccessivo si ha un abbassamento della soglia uditiva nell’orecchio in esame.
- Rumore bianco →WN;
- Pink noise, speech noise, cocktail party: rumori di discorsi (in audiometria vocale).
Intensità minima di mascheramento: si ottiene, frequenza per frequenza, dalla somma in dB di:
- soglia aerea dell’orecchio da mascherare,
- soglia di mascheramento della singola frequenza,
- effetto occlusione del canale uditivo esterno (10dB).
Può eventualmente essere necessario aumentare l’intensità dello stimolo mascherato.

Audiometria sopraliminare
Serie di test che utilizzano stimoli acustici al di sopra della soglia; si valutano aspetti qualitativi della funzione uditiva.
È resa possibile una precisazione topografica della lesione neurosensoriale (alterazioni cocleari e retrococleari).
Il Recruitment indica una distorsione della sensazione soggettiva di intensità (Loudness) ed è indicativo di una lesione
a livello cocleare.
TEST DI FOWLER
RICERCA DELLA SOGLIA
(ABLB= test bilanciamento alternato di TEST DI LUSHER
DEL FASTIDIO
loudness bilaterale)

Eseguito nelle ipoacusie monolaterali o in Test monoaurale che rileva la più In un soggetto normale la
presenza di asimmetrie tra le soglie per via piccola differenza d’intensità sensazione di fastidio si
aerea > a 30 dB ad una certa frequenza. In percepibile. Lo stimolo è un tono provoca con uno stimolo
genere ci si pone sulle frequenze centrali. puro modulato a 30-40 dB sonoro di 90-105 dB sopra
Ad entrambe le orecchie si presenta uno soprasoglia (S.L.), su cui si soglia.
stimolo sonoro liminare continuo/interrotto pongono variazioni di intensità <
ed il pz che deve riferire quando avverte una 1 dB, non udibili dall’orecchio
sensazione soggettiva di uguale intensità nei nomale.
due lati.

In presenza di recruitment,nper ottenere la Nell’ipoacusia cocleare la In un pz con recruitment, la


stessa loudness bilateralmente, c’è bisogno di sensazione di modulazione differenza tra la soglia tonale e
un aumento oggettivo di intensità rispetto d’intensità si percepirà per valori la soglia del fastidio sarà
alla soglia di molto inferiore per l’orecchio di incremento inferiori (grazie al ridotta fino a 20-25 dB (dato il
leso rispetto al lato sano (il pz avvertirà di recruitment). campo uditivo ristretto)
sentire meglio nell’orecchio peggiore).
I fenomeni di adattamento e fatica uditiva sono distorsioni sonore nel tempo, espressione di lesioni retrococleari;
vengono ricercati da:
TEST DI CARHART STAT
TEST DI ROSENBERG
Ttone Decay Test) (Supra Threshold Adaption)

Evidenzia un’adattamento patologico, cioè una ↓ Iniziano con una soglia di Tono puro continuo a 110 db
della sensibilità uditiva in rapporto ad una stimolazione di 10 dB SL, si per 1’ a 0,5-1 khz,
stimolazione continua. valutano il numero di mascherando l’orecchio
Test monoaurale alle frequenze 0,5 khz, 1khz, 2 incrementi sopra la soglia in 1 controlaterale.
khz con tono continuo di 5 dB sopra la soglia per minuto.
1’ → il soggetto indicherà l’eventuale scomparsa NB. si aumenta di 5 dB ogni
di percezione del suono (adattamento delle fibre volta che il paziente fa cenno
dell’VIII n.c.). Quando ciò accade, lo stimolo è di non sentire e si continua per
innalzato di 5 dB, ripetendo il test per un altro un minuto, senza ricominciare
minuto. d’accapo

Soggetto normoudente/ipoacusia Sono patologici gli incrementi Se il pz nell’arco del minuto


trasmissiva/neurosensoriale cocleare → il suono > 25 dB. non percepisce più il suono,
è sentito per l’intero minuto, con al massimo uno è considerato positivo per
o due incrementi (10 dB); lesione retrococleare.
Soggetto con ipoacusia neurosensoriale
retrococleare → richiede incrementi di 30-40 dB

Audiometria vocale
Test audiometrico finalizzato a valutare la prestazione del sistema uditivo, utilizzando un materiale standardizzato di
linguaggio. Il soggetto deve riconoscere il maggior numero di item (parole, frasi, etc) emessi da uno speaker ad una
determinata intensità. I risultati del test sono espressi in percentuale (%).
Si individuano:
- Soglia di Detezione → intensità acustica alla quale il soggetto sente lo stimolo parlato ma non lo riconosce;
- Soglia di Percezione → intensità acustica alla quale il soggetto riconosce il 50% degli item inviati;
- Soglia di Intellezione → intensità acustica alla quale il soggetto riconosce > 80% degli item inviati.
Il riconoscimento degli item non presuppone necessariamente la comprensione degli stessi, perché il processo del
linguaggio ha 3 fasi (ricezione, identificazione, concetto simbolico) e le due 1cose appartengono a fasi diverse.
L’audiometria vocale offre informazioni nel campo audiologico, foniatrico e linguistico.
Audiometria automatica
Si fa indipendentemente dall’operatore, c’è infatti un audiometro che cambia automaticamente frequenze e intensità
dei toni che possono essere sia continui che intermittenti, e il soggetto, attraverso un pulsante, regolerà la risposta
premendolo quando sentirà il suono e lo rilascerà quando non lo sentirà più, così si formerà un tracciato a dente di
sega. La valutazione sarà di tipo qualitativo, e i tipi di tracciati che possono risultare sono cinque:
1. soggetti normali e con ipoacusia trasmissiva
2. soggetti con ipoacusia neurosensoriale cocleare
3. per l’ipoacusia retro cocleare
4. per l’ipoacusia retro cocleare
5. usato in medicina legale, ovvero valutando entrambi i tipi di tono, il tono continuo dovrà essere sempre sotto
al tono intermittente, se così non avviene significa che il paziente non ha saputo fare l’esame, e questo può
succedere se il paziente vuole accentuare il danno volontariamente, è un simulatore.

SEMIOGGETTIVE
Audiometria comportamentale
Abbiamo 3 gruppi:
1. Basato su reazioni spontanee (riflessi di allarme);
2. Basato sul riflesso di orientamento condizionato;
• Bell test (campanellini ai due lati del capo del bimboà valutazione minima);
• Vra: audiometria con rinforzo visivo;
3. Basata su riflessi condizionati strumentali (play audiometry): il gioco deve essere apprezzato dal bambino.
OGGETTIVE
Impedenziometria
L’impedenza (Z) è il rapporto tra una forza (F) applicata ad un sistema meccanico e la velocità (V) risultante nella
direzione della forza applicata: Z = F/V
In campo acustico, la forza meccanica (F) è costituita dalle onde sonore, mentre il complesso timpano-ossiculare è il
sistema meccanico messo in vibrazione con una determinata velocità.
Ad opporsi agli spostamenti del sistema sono le seguenti forze:
§ Massa → della membrana timpanica ed ossicini Elementi reattivi (reattanza di massa e di elasticità) → immagazzinano
§ Elasticità → aria incomprimibile nella cassa timpanica e. acustica e la rilasciano sottoforma di e. cinetica od elastica.
§ Resistenza → fenomeni di attrito che si verificano nel percorso dell’onda sonora → Elemento dissipativo di energia.
L’insieme dei fattori reattivi e dissipativi che si oppongono alla propagazione dell’energia sonora costituiscono
l’impedenza dell’orecchio. L’ammettenza acustica è l’inverso dell’impedenza ed è una misura di mobilità del sistema
vibrante: risulta dalla somma di suscettanza (1/reattanza) e conduttanza (1/resistenza).

Date le frequenze in esame nell’impedenza (220; 660 Hz) sono valutate prevalentemente le componenti elastiche
dell’impedenza.
Impedenziometro → costituito da una sonda a perfetta tenuta che, con opportune olive (strumenti necessari al test),
viene introdotta nel condotto uditivo esterno in modo da trasformarlo in una cavità chiusa, la cui unica parete mobile è
il sistema timpanico ossiculare. La sonda contiene 3 tubicini:
1. Uno è collegato ad un elettromanometro e ad una pompa che consente di variare la p nel meato acustico esterno;
2. Uno invia un tono sonoro ad una certa frequenza (220 o 660 Hz);
3. Uno è collegato con un microfono che filtra, amplifica ed invia ad un voltmetro l’energia sonora riflessa dalla
membrana timpanica
I principali momenti dell’indagine impedenziometrica sono:
- Ipendenziometria assoluta (determinazione della compliance assoluta o statica);
- Timpanometria (determinazione della compliance relativa);
- Valutazione dei riflessi acustici.
1. Impedenziometria assoluta
Rappresenta un singolo valore numerico che esprime l’impedenza acustica dell’orecchio medio misurata sul piano
della membrana timpanica alla pressione atmosferica ambientale in assenza di contrazione dei muscoli intratimpanici.
È data dal volume equivalente (cm3) di una colonna d’aria che offre la stessa compliance acustica dell’orecchio medio
esaminato. Una volta posizionato l’impedenziometro:
1. Si porta la pressione aerea nel condotto a +200 mmH20, irrigidendo così il sistema timpanico ossiculare (così
da misurare la compliance del solo canale uditivo esterno - CEU);
2. Si riducono poi i volumi di pressione equiparandoli a quelli atmosferici (il sistema si porta al punto di
massima cedevolezza) → si ottiene la compliance del CUE + orecchio medio.
3. Sottraendo questo valore al primo si ottiene la compliance statica del solo orecchio medio (variabile al variare
della frequenza del tono sonda inviato, con grande variabilità interindividuale).
La compliance assoluta è poco usata, perché presenta falsi negativi ed è aspecifica.
Impedenziometria multifrequenziale → frequenza 200-2000 Hz. Permette di valutare la frequenza di
risonanza dell’orecchio medio (bassa → esiti cicatriziali MT; alta → fissità ossiculare, otosclerosi)

2. Timpanometria
Misurazione in termini di compliance degli effetti delle variazioni della pressione aerea
sulla motilità del sistema timpano-ossiculare. Definisce, quindi, il comportamento
dinamico dell’orecchio medio.
La rappresentazione grafica della timpanometria è il timpanogramma, che valuta le
modificazioni della compliance dell’orecchio medio (y) al variare della pressione nel
condotto uditivo esterno (x).
La pressione nel canale uditivo esterno è innalzata fino a 200 e poi 400 mmH20; viene poi ridotta a 0, -200 e -400
mmH2O e viceversa. Un microfono registra le variazioni della quantità di energia del tono sonda riflesse → la curva
che si descrive ha normalmente una forma di una campana, il cui picco corrisponde alla massima cedevolezza del
sistema; si ottiene quando la P nel CUE è uguale a quella presente nella cassa timpanica.
NB. Se la membrana del timpano è perforata non posso eseguire il timanogramma perché senza membrana timpanica la
pressione che entra nell’orecchio medio fa aprire la tuba, impedendo di avere la variazione pressoria, l’unica condizione in
cui possiamo eseguirlo è quando la tuba è stenotica, a causa di muchi o altre sostanze, e come registrazione si avrà una
linea retta, un timpanogramma piatto
Gradiente di Pressione: si individuano sulle due branche (ascendente e discendente) i punti medi e da essi si tirano le
perpendicolari all’asse x (Normalmente circa 150 mmH2O nel bambino, circa 60 mmH2O nell’adulto).
Gradiente di Compliance: si prendono i punti di compliance delle ascisse corrispondenti (circa a +50 e -50 mmH2O) e
si tirano due linee verticali fino all’incontro con le due branche; questi due punti sono uniti da una linea orizzontale la
cui distanza dall’apice della campana rappresenta il gradiente di compliance (normale = 40-60% della compliance
totale).
N.B. questi tentativi di quantizzare rigidamente i parametri timpanometrici non sempre sono validi: oggi si è
concordi nel valutare il tracciato dal punto di vista morfologico/descrittivo (qualitativo).
Tipi di Timpanogramma
Vengono valutati usando toni sonda di 220Hz.
Normale: picco ben definito (a 0 cmH20) ed espressione della massima compliance → pressione
endotimpanica uguale a quella atmosferica, il sinstema timpano-ossiculare trasmette il suono con la
A
massima efficacia possibile.

Piatto: non ci sono picchi tra +200 e -400 mmH20; qualora presente, ha un’ampiezza assai ridotta → il
sistema timpano-ossiculare ha bassa compliance e alta impedenza (es. otiti medie, timpanosclerosi).
B

In depressione: picco tra -150 e -400 mmH20 → indicativo di pressione negativa nella cassa timpanica,
C come in caso di disfunzione tubarica.

Andamento a W → esprime grossolane lesioni della membrana timpanica (placche


D timpaniche/cicatrici)

Andamento a gobba di cammello → esprime interruzioni della catena ossiculare.


E

o Curve con picco a valori pressori normali ma con ridotta compliance → aumento della rigidità;
o Curve con compliance molto elevate → dislocazioni/interruzioni della catena ossiculare, anomalie della
membrana timpanica.
Frequenza del tono sonda: nell’adulto è 226 Hz, nel bambino 1000 Hz.
Alle frequenze gravi, prevale il contributo elastico; a quelle acute, invece, prevale quello delle componenti inerziali.
Oltre i 2 KHz i valori non rispecchiano più il comportamento dinamico del sistema.
2.1 Studio della funzionalità tubarica
Dopo aver effettuato un timpanogramma di riferimento, per valutare il timpano integro (imperforato) si usano:
- Manovra di Valsalva: si chiede al pz di immettere aria a bocca e naso chiusi → la curva avrà il picco deviato verso
i valori positivi;
- Manovra di Toynbee: i pz deglutisce a bocca e naso chiusi → il picco si sposterà verso valori negativi.
In caso di disfunzionalità e stenosi tubarica, in entrambe le manovre il picco non si sposta.
Prove a timpano aperto: si invia una pressione positiva e si invita il pz a deglutire più volte.
In condizioni normali, alla deglutizione, la tuba si apre con perdita della pressione ritenuta.

3. Reflessometria stapediale
La contrazione del muscolo stapedio ha un ruolo protettivo, aumentando l’impedenza. Il riflesso stapediale coinvolge
la radice cocleare dell’VIII n.c. (via afferente) e il VII n.c. (via efferente); essendo le connessioni tra i nuclei cocleari e
del faciale di tipo crociato e non crociato, è giustificata la bilateralità del riflesso.
NB. stapedio si contrae ad intensità sovra liminare ( si contrae a 70 dB), il tensore del timpano si stimola per intensità
molto molto alte( se la soglia è di 10, si contrae a 90-100 dB) per cui non può essere utilizzato nella pratica clinica.
Per valutare tali riflessi si utilizza l’impedenziometro con sondino e cuffia posizionabili a livello ipsilatere (sondino e
cuffia dalla stessa parte) o controlatere. Si utilizza una stimolazione sonora ad alta intensità. Stimoli utilizzati:
Acustici Non acustici
o Toni puri da 0,5 a 4 khz Simolazioni elettriche,
o Rumore a banda stretta olfattive e tattili.
o Rumore bianco
o Materiale verbale.

Il riflesso stapediale verrà registrato sul grafico dell’impedenziometro con una riduzione della compliance
(↑impedenza), che compare dopo l’inizio della stimolazione acustica e persiste per tutta la durata della stiomolazione.
Parametri considerati:
- Soglia → Nei soggetti normoacustici, la soglia per il riflesso stapediale controlaterale per toni puri è compresa tra
85-95dB (circa 70-80 dB al di sopra della soglia audiometrica per frequenza tra 500-4000Hz); per il riflesso
ipsilaterale, la soglia è più alta. La soglia del rumore bianco è più bassa di circa 15dB.
- Latenza → La latenza (intervallo tra inizio dello stimolo e comparsa del riflesso) varia in funzione dell’intensità
dello stimolo ed è normalmente circa di 0,2” sopra i valori soglia.
- Ampiezza → è in genere più accentuata per le frequenza gravi ed è proporzionale all’intensità dello stimolo.
- Morfologia della curva descrivente la compliance → identifica un tempo di salita, un plateau ed un tempo di
discesa.
- Durata del riflesso → i riflessi ispilaterali non vengono codificati dalla durata del suono, a differenza di quelli
controlaterali. Con stimolazioni prolungati (10”) si può avere la scomparsa del riflesso stapediale.
Ipoacusie Trasmissive
I riflessi stapediali sono in genere assenti. Se l’ipoacusia è monolaterale, nell’orecchio normale il riflesso sarà
registrato in risposta ad uno stimolo controlaterale solo se nell’orecchio malato l’ipoacusia non supera i 40-50 dB
(ipoacusia lieve).
Ipoacusie Neurosensoriali
Þ Forme cocleari: timpanogrammi di tipo A; in taluni casi, quali la malattia di Meniere in fase iniziale, l’aumento
dell’impedenza causato dall’idrope si può manifestare con una riduzione della compliance.
→ Test di Metz positivo: questa prova consiste nel confronto tra la soglia tonale per l’orecchio controlaterale ed i
livelli di soglia del riflesso stapediale nell’orecchio in esame; se la differenza risulta inferiore ai 65 dB la prova
(normalmente 40 dB SL o a volte ancora meno), è espressione di danno cocleare con recruitment che quindi
diverrà obiettivabile (positività al test di Metz). L’evocazione del RS per toni puri con intervallo tra soglia
audiometrica e soglia di contrazione muscolare inferiore ai 50-60 dB è certamente significativa della presenza del
recruitment.
Quando l’ipoacusia supera gli 85-90 dB per le varie frequenze, il riflesso stapediale sarà per lo più
assente.
→ Test DLI (Difference Limen of Intensity): ricerca del potere risolutivo di intensità del riflesso stapediale; lo
stimolo utilizzato produce una dentellatura della traccia del riflesso, finché l’intensità della modulazione non
scende al di sotto di un valore limite oltre il quale la traccia diventa continua. Nel soggetto normale la DLI si situa
intorno ad un dB.
Þ Forme retrococleari (neurinomi e neuriti dell’VIII): reperti più comuni sono l’assenza di riflesso stapediale,
latenza e tempo di salita innalzati, test di Anderson positivo:
→ Test di Anderson: si valuta l’adattamento utilizzando una frequenza di 0,5 e 1KHz ad intensità di 10 dB sopra
la soglia del riflesso per 10 secondi → normalmente la contrazione stapediale rimane costante; in presenza di una
patologia retrococleare, invece, si ha un decadimento della contrazione del riflesso di almeno il 50%
dell’ampiezza iniziale in 5” (adattamento patologico).
Þ Lesioni troncoencefaliche (SM, atassia di Friedereich, etc): rara positività ai test di Metz ed Anderson; più spesso
saranno alterati i parametri dinamici (assenza temporanea del riflesso, innalzamento di soglia, riduzione
dell’ampiezza, allungamento del tempo di salita, alterata soglia differenziale dell’intensità o DLI).

Potenziali evocati uditivi (PEU)


Non prevedono la collaborazione attiva del pz. Si ottengono dalla registrazione della variazione del potenziale
bioelettrico determinato dalla depolarizzazione cellulare, secondaria ad una stimolazione sensoriale uditiva.
È possibile registrare l’attività bioelettrica lungo tutto il decorso della via uditiva; abbiamo quindi PEU: cocleari,
neurali, gangliari, tronco mesencefalici, corticali.
Questi diversi potenziali mostrano una certa latenza temporale e quindi possono essere classificati anche in:
- Immediati = 0-5 msec (cocleari)
- Precoce = 1-12 msec (ABR)
- A Latenza media = 12-100 msec (MLR, SSR)
- Lenti e tardivi = 100-500 msec (CERA)
La registrazione avvuene attraverso un complesso di apparecchiature, composto da:
• Generatore di stimoli elettrici.
• Trasduttore: trasformazione degli stimoli elettrici in forme d’onde acustiche.
• Trigger: sincronizzazione della presentazione dello stimolo acustico con l’inizio del prelievo e
dell’elaborazione della risposta bioelettrica.
• Elettrodi: in genere di AgCl (cloruro d’argento); posti a contatto con la cute del pz (ne sono utilizzati 3: uno
attivo, uno di riferimento ed uno a terra).
• Amplificazione differenziale: primo dei sistemi per differenziare il rapporto tra il segnale bioelettrico uditivo
ad altri segnali bioelettrici e interferenze elettriche esterne.
• Filtri passabande: permettono di acquisire solo l’attività bioelettrica utile alla formazione del pattern di
risposta.
• Amplificatore: amplifica il segnale 100’000x.
• Averaging: sottopone il segnale ad analisi statistica di somma e media.
• Monitor
• Stampante/Memorie

1. Elettrococleografia (ECoGe) (PEU immediati, cocleari)


Sono registrati i potenziali generati dalle sinapsi delle cellule cocleari e dall’attivazione del primo neurone della via
uditiva (n. cocleare). Ha una latenza di risposta pari a 0-3 msec; la risposta permette il riconoscimento di 3 potenziali:
1. MC: Attivazione delle cellule cocleari esterne (potenziale microfonico cocleare);
2. PS: Potenziale di sommazione cellule cocleari interne + cellule gangliari;
3. PA: Potenziale di attivazione dell’VIII n.c.;
Lo stimolo acustico è un click trasmesso con un elettrodo ad ago transtimpanico → ci si pone quanto più vicino alla
coclea; lo stimolo è brevissimo, costituito da un’onda elettrica quadra (senza tempo di salita e discesa della durata di
0,1 msec) e presenta uno spettro di frequenze abbastanza ampio (e quindi non è specifico in frequenza – maggior
sventaggio). Viene utilizzato per stimolare la maggior parte della coclea rapidissimamente ed in maniera sincrona.
Per eseguirla, è richiesta un’anestesia (locale negli adulti; generale nei bambini); inoltre è utile nei casi di bambini con
ipoacusia profonda o per la topodiagnosi differenziale negli adulti.
Ndr domanda scritto: latenza segnale nervo acustico = 1-4 ms
2. ABR (PEU precoci – Auditory Brainstem Response)
Registrazione dei potenziali generati lungo la via uditiva dalla periferia al tubercolo quadrigeminale inferiore.
Ha latenza di 1-12 msec; anche qui lo stimolo acustico è un click (questa volta tramite cuffie); altri stimoli di uso
esclusivamente sperimentale sono logon, tone pip, click con mascheramento selettivo, etc.
Si registrano 6-7 deflessioni dell’isoelettrica:
- Onda I = attività n. cocleare (giunzione cito-neurale) - Onda IV = attività lemnisco laterale
- Onda II = attività neuronale (meato acustico interno) - Onda V = attività collicolo inferiore

- Onda III = attività complesso olivare superiore (nuclei - Onda VI, VII = attività del corpo genicolato mediali
cocleari)
Le onde più stabili godono della latenza interpicco, cioè la latenza di 1msec tra l’una e l’altra onda.
Diminuendo l’intensità dello stimolo, si ha la scomparsa in successione delle onde: II, IV, I, III, V. Man mano che ci si
addentra nella via uditiva, il numero di fibre depolarizzate aumenta sempre più → il potenziale bioelettrico,
aumentando in ampiezza, è registrabile anche a distanza (elettrodi nella cute)
La tecnica è eseguibile in sonno spontaneo (bambini), da svegli (adulti) o in anestesia generale; il principale limite è
da rimandare all’uso del click come stimolo acustico. Consente di diagnosticare le ipoacusie neonatali ed infantili; è
fondamentale nei primi 2 anni di vita e nello screening (II livello).
ü Vantaggi: non richiede collaborazione, quindi è utile nei bambini; è oggettivo; non invasivo; non è influenzato
da sonno o farmaci sedativi.
!Limiti: valuta soltanto alcune frequenze (da 2000 a 4000 Hz); sono limitate soltanto ad una porzione del
sistema nervoso; i parametri dipendono dall’età; serve personale qualificato.
Il test può essere facilmente ripetuto, è possibile valutare il cosiddetto “test-retest” eseguendo due volte il test e
valutando la sovrapposizione delle onde. Molto importante è la valutazione della latenza e delle distanze tra le onde
(tra prima e quinta, tra terza e quinta e tra quinta e terza). In genere la latenza (la distanza tra le varie onde) è circa 1
ms, allora la V onda si avrà a circa 5 ms, questo è vero nell’adulto; nel bambino invece la latenza è maggiore, infatti la
V onda può stare anche a 8 ms, è questo il motivo per cui è utile rifare il test.
Un soggetto nel cui tracciato gli ABR sono assenti, adulto o bambino che sia, si è un soggetto sordo, perché pur dando
il massimo d’intensità di stimolazione non compare nessuna onda. Possiamo avere talvolta un timpanogramma
normale, riflessi assenti, e potenziali evocati assenti à il paziente è sordo.
Ndr da domanda scritto: in caso di ipoacusia trasmissiva per ogni 10 dB-SL la latenza ABR aumenta di 0,3-0,6 ms.
AABR
È il potenziale uditivo evocato automatico a livello del tronco, ci serve per i bambini per esempio ricoverati in TIN e
ci dice se c’è o non c’è l’onda delta ad un’intensità già stabilita. È un test rapido ma è solo da screening, in caso di
sospetta neuropatia, non permette di valutare l’entità del deficit uditivo.
3. MLR, SSR (PEU a latenza media – Middle latency response, Steady state response)
I siti di generazione di questi potenziali sono tronco (sost reticolare mesencefalica), talamo e corteccia (area uditiva
primaria); hanno una latenza di 12-100 msec. In questo caso lo stimolo acustico è dato da toni puri (le risposte
possono essere specifiche in frequenze medio-gravi). In particolare:
o MLR = notevolmente influenzate da anestesia, sonno e maturazione cerebrale e per questo poco usate;
o SSR = utile soprattutto nella diagnostica neonatale; le onde si riducono in ampiezza nel sonno di circa 1/3-
1/2 ma permettono ugualmente un agevole prelievo di soglia anche a 0,5-1 KHz.
Si usano nei soggetti con ipoacusia severa/profonda e con ABR assenti (per gravi compromissioni delle sole
frequenze).
4. CERA (PEU a lunga latenza – Cortical evaded response)
Sono i potenziali generati a livello corticale, con latenza di 100-500 msec; vengono anche definiti potenziali evento-
correlatit. Lo stimolo acustico è ancora con toni puri; l’esecuzione richiede > 15’ e risentono molto degli stati di sonno
spontaneo o provocato. Nella pratica clinica sono utili in ambito medico-legale al fine di individuare simulatori.
Utilizzo dei PEU nella pratica clinica Caratteristiche delle forme d’onda delle risposte che
• A chià impossibilità ad utilizzare test permettono diagnosi
audiometrici soggettivi, ricerca di informazioni più • Latenza → inversamente proporzionale
precise, sospetto danno alle vie uditive all’intensità dello stimolo
retrococleari. • Ampiezza → variazione elettrica tra 2 picchi
• Quandoà alla nascita/appena successivi negativo-positivo rispetto
possibile/ogniqualvolta si ritenga opportuno. all’isoelettrica; è direttamente proporzionale
all’intensità dello stimolo.

Otoemissioni acustiche evocate


Le otomissioni sono un test che viene utilizzato per lo screening uditivo neonatale. Le cellule ciliate esterne hanno il
ruolo di amplificatore meccanico ed emettono un suono molto debole di ritorno, che può essere registrato con un
microfono nel canale uditivo esterno; si inserisce nel CUE una sonda attraverso la quale si invia un suono alla coclea;
la stessa sonda registrerà il segnale di ritorno.
Le otoemissioni sono: spontanee, transienti (TOAE - quelle usate nello screening del bambino sordo), prodotti di
distorsione (DPOAE).
TOAE
- Vantaggi = test rapido e semplice, affidabile, eseguibile da personale non specializzato (utilizzabile come
screening) → ci dice se la coclea funziona o meno. I FN sono poco frequenti (*).
- Limiti = impossibile variare l’intensità di frequenza (la risposta è di tipo sì/no → ovvero pass/refer), mancata
selettività in frequenza e quantificazione del danno, alto numero di FP, poco affidabile in TIN (terapia intensiva
neonatale).
Sono assenti in ipoacusie (che siano trasmissive o neurosensoriali) > 40dB.
(*) I casi di FN sono quasi sempre da rimandare alla Neuropatia uditiva: le cellule ciliate esterne sono presenti e funzionanti ma
l’informazione acustica non è trasmessa adeguatamente al nervo acustico o da questo alle strutture superiori.
Criteri clinici:
ABR assenti alla massima intensità di stimolazione o alterati (via uditiva alterata)
Otoemissioni acustiche e/o potenziale microfonico presenti (coclea indenne)
Discriminazione verbale non proporzionale rispetto alla soglia uditiva tonale (con possibili ripercussioni sullo sviluppo del
linguaggio per mancata integrazione superiore dello stesso)
È una patologia tipicamente bilaterale ma frequentemente asimmetrica.

DPOAE (Distortion Product OtoAcoustic Emissions testing)


Esame un po’ più clinico. Non può essere effettuato dalla vigilatrice d’infanzia in quanto è una metodica utile alla
diagnostica e alla quantizzazione del deficit uditivo.
Sono toni prodotti dall’orecchio in risposta a due stimoli simultanei presentati come tono puro:
- Vantaggi = possibilità di variare intensità e frequenza, selettività in frequenza, quantizzazione del danno;
- Limiti = metodica più complessa, maggiore durata del test, necessità di personale specializzato.
SVILUPPO DELLA PERCEZIONE E SVILUPPO DEL LINGUAGGIO

Comunicazione audio-verbale: L’udito è fondamentale, infatti senza di esso avremmo problemi nella comunicazione
audio-verbale. Quando noi parliamo di comunicazione audio-verbale, parliamo di un processo comunicativo che prevede 3
fasi:
• Ideazione e produzione del messaggio che consta di:
o Un processo mentale (organizzazione del discorso),
o Un processo neurale
o Un processo motorio che ci consente fisicamente di parlare.
• Trasmissione del messaggio in un mezzo
• Ricezione ed interpretazione del messaggio

Percezione acustica e verbale:


• La percezione acustica é una percezione innata, precoce ed automatica che guida un processo di apprendimento
chiamato Bottom up o di elaborazione guidata dai dati (dalle singole basi dello stimolo) che parte dai sensi per
raggiungere i sistemi di codifica.
• Invece la percezione di tipo verbale è un processo che richiede del tempo, richiede un'esperienza linguistica da parte
del bambino e guida un processo di apprendimento chiamato Top down o elaborazione guidata dai concetti (dalle
rappresentazioni in memoria), ovvero è un’interpretazione di quello che arriva ai nostri sensi in base alle conoscenze
pregresse.

Studi hanno dimostrato che nei primi 18 mesi di vita la stimolazione dell’apparato uditivo è importante nel corretto sviluppo
di aeree cerebrali, in particolar modo quelle del linguaggio.

Processi comunicativi del neonato: Il processo comunicativo di un neonato inizia sin da subito, dal primo giorno di vita e
questo perché c'è una predisposizione innataà Un bambino é predisposto geneticamente a parlare da subito, quindi ha tutte
le strutture neurali per poterlo fare. Ovviamente da sole queste strutture non basterebbero perché è necessario essere esposti
al linguaggio: un bambino non comprende le parole di un genitore quando nasce, ma può comprendere, a mano a mano che
sarà abituato a determinate routine, alcuni aspetti comunicativi attraverso il contesto, ma sicuramente non comprenderà ne
produrrà delle parole. Questo non significa che i processi comunicativi non siano già iniziati, anzi se vogliamo i processi
comunicativi iniziano ancora prima della nascita.

Prerequisiti biologici: Quando pensiamo alla comunicazione, e quindi anche al linguaggio, pensiamo a quando il bambino
inizia a dire le prime paroline, ma quando inizia a dire le prime parole in realtà il bambino è già da parecchio tempo esposto
e inizia a produrre degli atti comunicativi perché in realtà é già pronto a riceverli e quindi a comprenderli. Quali sono i
prerequisiti biologici?
• Innanzitutto avere un apparato funzionale e organico dell'organo uditivo intatto
• L'esperienza acustica.

PERCEZIONE ACUSTICA:

Periferia uditiva:

• La coclea appare macroscopicamente matura a partire dalla 33° settimana di età gestazionale, ma il processo di
differenziazione cellulare inizia già alla 10-12° settimana dopo il concepimento. Il feto è in grado di udire negli
ultimi due mesi di vita intrauterina. Questo è il motivo per cui si dice ad una donna gravidica inizia a parlare, a
stimolare, a cantare, a far sentire la musica a tuo figlio quando sei in una fase di gestazione, perché il bambino in
realtà presenta una struttura macroscopica a livello dell'apparato uditivo che è quasi simile, ovviamente non
identica, a quella di un soggetto già maturo.
• La maturazione dei neuroni afferenti primari del ganglio spirale di Corti segue un percorso strettamente legato allo
sviluppo cocleare.
• La mielinizzazione inizia distalmente a partire dalla 22° settimana e si completa a livello centrale verso la 29°
settimana gestazionale. In seguito, la densità di mielina aumenta progressivamente, portando alla completa
maturazione della conduzione della conduzione elettrica lungo le vie acustiche entro il primo anno di vita.

Nella diagnosi utilizziamo dei potenziali evocati simili all’elettroencefalogramma. Nei primi mesi di vita l’affidabilità
di questi potenziale non è eccezionale in quanto le vie uditive non si sono ancora formate e quindi potremmo andare
incontro a diagnosi errate.

Corteccia uditiva: Mentre la coclea e le vie uditive del tronco sono funzionalmente attive alla nascita, l’encefalo è
completamente immaturo e continua a svilupparsi ancora per molti anni. E’ la stimolazione ambientale che promuove nel
tempo la maturazione e la successiva stabilizzazione dei circuiti neurali degli strati corticali della corteccia uditiva.
Il processo di maturazione della corteccia avviene nel tempo grazie alla stimolazione acustica, con sviluppo maggiore a
6 anni. Il processo continua nel tempo ma con una velocità differente
In realtà non esiste un periodo preciso, ipotizziamo che il periodo pre-scolastico, quindi intorno ai 6 anni di vita, sia il
periodo in cui il bambino sia più pronto e quindi in cui ci sia una maturazione maggiore; forse non a caso il bambino a 6
anni inizia il percorso della scuola elementare, ha uno sviluppo del linguaggio in termini di domini formali completo. In
realtà già dai 4,5 anni un bambino presenta uno sviluppo linguistico che si può dire quasi maturo, se non per degli aspetti
come competenze lessicali che si incrementeranno fino alla morte.

Quindi al momento della nascita la percezione uditiva è


conformata nel senso anatomico in quanto è sviluppata la coclea,
ma la comprensione e la discriminazione sensoriale uditiva non
è completa in quanto lo sviluppo della corteccia uditiva è ancora
in uno stato di immaturitàà La percezione uditiva e alcune
capacità di discriminazione sonora sono innate, ma alcune abilità
sensitivo-motorie, percettive e cognitive vengono acquisite nella
prima infanzia entro il 2° anno di vita.

Sensazione Vs Percezione:
§ La sensazione interviene quando le informazioni vengono in contatto con i recettori sensoriali. è processo
di ricezione, trasmissione e conversione di informazioni sensoriali “grezze” dagli ambienti interni ed
esterni al cervello
§ La percezione è l’interpretazione della sensazione. è un processo di selezione, organizzazione ed interpretazione
delle informazioni sensoriali

Fisica E Percezione: “Non irmptoa cmoe snoo sctrite le plaroe; tutte le letetre posnsoo esesre al pstoo sbgalaito. ipmtortane
sloo che la prmia e l'umltia letrtea saino al ptoso gtsiuo, il rteso non ctona. Il cerlvelo è comquune semrpe in gdrao di
decraifre tttuo, pcherè non lgege ongi silngoa ltetrea, ma la palroa nlel’insmiee.”

Percezione E Linguaggio: Un bambino se non esposto alla percezione acustica del linguaggio se non è stimolato, non
svilupperà in maniera normale il linguaggio. Ciò non significa che chi è affetto da ipoacusia non possa in un certo qual modo
articolare il linguaggio e comprenderlo, lo farà a proprio modo, ma servendosi di immagini e della lettura delle parole. Noi
possiamo comunque far sì che un bambino, che non riesce a sentire bene, impari ad articolare il linguaggio attraverso feedback
propriocettivi.
Quindi abbiamo bisogno di stimolare il nostro apparato uditivo per una normale generazione della parola e di tutti quei
dittonghi quali “gn” “g gutturale” ma anche la “p” e la “s”.

PERCEZIONE VERBALE

Sviluppo Delle Competenze Percettive Nel Bambino 0-12 Mesi:

• A partire dalla 24° settimana di gestazione il bambino è in grado di percepire suoni esterni che variano da 4 KHz
a 250 Hz
• 0-1 m: riflessi neonatali (reattometria)
- Già nella prima settimana di vita sviluppa una preferenza per i suoni linguistici, quindi alle parole rispetto
agli altri suoni che percepisce e c’è una maggior quantità di vocalizzazione durante l’ascolto di suoni
linguistici (legame acustico- motorio).
• > 5 m: sviluppo della percezione binaurale (riflessi di orientamento VRA-COR)à Con il tempo, più o meno
intorno ai 5 mesi, si ha una maggiore capacità di orientamento verso la sorgente sonora, questo non è legato
ovviamente solo ad un processo di tipo uditivo ma è legato anche ad un processo maturativo di tipo senso
motorio, quindi per esempio il bambino sarà in grado di tenere maggiormente la testa allineata con il collo, con il
tronco e ovviamente avrà una maggiore capacità di orientamento spaziale anche seppur minima.
• < 6 m: detezione di contrasti fonetici universali (non lingua specifici)
Sappiamo che i primi sei mesi di vita sono fondamentali per la discriminazione consonantica anche se il bambino non
produce consonanti o per lo meno prima dei sei mesi di vita non inizia una vera e propria lallazione, chiaramente con
tempi variabili quindi con una variabilità inter individuale. Ciò significa che non dobbiamo pensare al linguaggio solo
come aspetto produttivo. I primi sei mesi servono al bambino per discriminare differenze tra una consonante e
un'altra,quindi in realtà è tutto un processo di entrata, di ingresso del segnale.
• > 6 m: segmentazione del messaggio verbale, quindi la vera e propria capacità di lallare,
• 8-12 m: detezione dei contrasti fonetici della lingua nativa (i fonemi che non appartengono alla lingua del bambino
tenderanno a non essere riconosciuti dallo stesso, che ascolterà e apprenderà con maggiore enfasi i fonemi che
riconoscerà come appartenenti alla propria lingua).
I mesi che vanno tra il sesto,l'ottavo e 1 anno di vita sono fondamentali in realtà per la costruzione di quelle
informazione segmentali che sono alla base della produzione verbale, quindi la nostra fonologia, quindi l'incremento
della capacità, attraverso la produzione sillabica di foni, ci permette poi di assemblare gli stessi in parole; quindi
l'aspetto fonologico viaggia a livello maturativo in contestuale con la produzione lessicale.

Percezione Verbale Nel Bambino


• 0-1 mese: I neonati sono capaci, sin dalla nascita, di:
o Percepire i contrasti linguistici tra fonemi,
o Discriminare intonazione ed accento: qualità del timbro, differenze di ritmo, di intensità, di durata.
o Presenta una preferenza per alcuni tipi di suono, in particolar modo ha una preferenza per i suoni linguistici
rispetto ai suoni non linguistici. Ciò significa che siamo già predisposti geneticamente ad avere una
maggiore attenzione rispetto a quegli aspetti che sono strettamente comunicativi e c'è una maggiore capacità
di vocalizzare durante l'ascolto di suoni linguistici, il cosiddetto legame acustico-motorio,quindi un
bambino sta molto più attento anche a livello motorio quindi fono-articolatorio rispetto all'ascolto.

Alcune informazioni riguardo le capacità discriminative consonantiche dei bambini così piccoli, tra i zero e i 6 mesi, le
possiamo avere solo attraverso degli studi che si basano su evidenze di tipo comportamentale. Oggi in realtà esistono anche
altri tipi di esame, per esempio risonanze magnetiche funzionali o altro, che ci permettono di fare una valutazione di come
funziona il cervello di un neonato, però fino a poco tempo fa la maggior parte delle informazioni venivano date
principalmente dallo studio degli aspetti di tipo comportamentale. Questi studi di tipo comportamentale sono di 2 diversi
tipi:
o suzione (aumento della forza di suzione in presenza di stimoli nuovi),
o abituazione (orientamento del neonato verso lo stimolo nuovo o nessuna risposta in presenza di stimoli
già uditi),
o generalizzazione (girare la testa verso i suoni appartenenti ad una categoria linguistica, ma non ad altre);

• Riesce a discriminare categorie della lingua non nativa fino a 12 mesi di età sebbene questa capacità si riduca già
tra 8 – 10 mesi
• Riesce a percepire differenziazioni vocaliche già intorno ai 6 mesi. I bambini americani non sono in grado di
discriminare la /i/ della lingua inglese ma sono in grado di differenziarla dal medesimo suono della lingua
svedese
• Intorno ai 12 mesi di vita riesce successivamente a «selezionare» categorie consonantiche, processo che alla base
del riconoscimento di parole.

Differenze con l’adulto: L'adulto discrimina gli indici acustici in modo categoriale quindi tende a percepire gli indici
acustici che distinguono i fonemi e ignora gli indici acustici che non determinano cambiamenti fonemici. Mentre il bambino
non ha questa capacità di categorizzare i fonemi, mentre effettua una discriminazione reale probabilmente di tutti i fonemi
di tipo linguistico a livello internazionale, come se non fosse predestinato a parlare una lingua in particolare: un neonato
nato in Italia é in grado di discriminare tutti i suoni linguistici internazionali quindi tutti i fonemi prodotti da tutte le lingue
del mondo, così come il neonato americano o il neonato giapponese, e soltanto l'esposizione linguistica farà si che quel
neonato riuscirà nel tempo, attraverso appunto l'esposizione ai fonemi della proprio lingua, a discriminare soltanto quelli di
quest'ultima.
Apprendimento della lingua e trapezio vocale:

Considerate la vostra lingua, posteriormente abbiamo la U, anteriormente la I e in


posizione intermedia c’è la E. In realtà ci sono diverse posizioni intermedie, poiché
quando articoliamo la lingua essa non avrà mai la stessa posizione. Infatti se pronunciamo
“CAsa” la sillaba CA in prima posizione avrà un suono diverso dalla sillaba CA in
posizione intermedia in una parola. Ecco perché lo stesso fonema non andrà a cadere
nello stesso punto del trapezio vocalico.

Se un bambino è esposto a determinati tipi di fonemi prodotti in una certa area


geografica, tenderà a riconoscere e a riprodurre sempre questi stessi fonemi (PROCESSO
DI CATEGORIZZAZIONE, che sta alla base dei diversi dialetti di una lingua).

Questa categorizzazione è ciò che ci permette di poter apprendere un linguaggio rispetto ad un altroà se io sto in Italia
riconoscerò l'italiano, e non riconoscerò l'americano più facilmente di un americano; questo non vuol dire che non li sento
ma che faccio più fatica a discriminare 2 suoni che sono molto vicini ma appartengono a due categorie differenti a seconda
della lingua a cui sono esposto.

Mentre un tempo si pensava, soprattutto in riabilitazione che il bilinguismo fosse uno svantaggio linguistico e quindi si
diceva ad esempio che un bambino sordo o un bambino con un disturbo del linguaggio: ”deve parlare soltanto una
lingua,preferibilmente quella del posto dove abita”, oggi si sa per fortuna che questa é una vera e propria sciocchezza. Per
cui un bambino esposto ad un numero maggiore di lingue, un bambino bilingue o trilingue, potenzialmente ha delle
competenze linguistiche e cognitive, cioè uno sviluppo del proprio cervello, molto più ampie. L'unica differenza in un
bambino esposto a più lingue contemporaneamente in una fase iniziale é che presenterà un lieve ritardo iniziale che si
risolverà con il tempo: sono bambini che ovviamente devono incamerare più informazioni e devono categorizzarle, cioè
dire "questa parola appartiene a questa lingua o a quest'altra", per cui se mi parla la mamma in francese utilizzerò le
informazioni linguistiche dal magazzino delle informazioni Francesi non da quelle italiane; per cui il bambino deve
operare una scelta in tempi brevissimi perché ovviamente è un fatto automatico parlare con la mamma in francese e non
in inglese, se per esempio il papà é inglese. Tutto ciò quindi richiede più tempo nella categorizzazione, ma è
semplicemente una questione legata all'esposizione, all'incameramento di queste informazioni e al richiamo di queste dal
bagagliaio della memoria di lavoro.

TRASCRIZIONE IPA
< 6 MESI 58 fonemi >10-12 mesi 24 fonemi

Questa è la trascrizione internazionale dei fonemi di tutte le lingue del mondo e come vedete ci sono dei suoni che io non
saprei riprodurre e probabilmente risulterebbe difficile anche ad un linguista esperto. Questi sono invece i nostri fonemi
e come vedete si riducono nettamente,cioè significa che se io sento parlare uno straniero, pensiamo ad esempio ad un
Indù, farò fatica non a sentire quello che dice ma a discriminare a livello consonantico quell'informazione perché non
sono stata esposta a quel tipo di suono durante il periodo neurale, quella finestra neurale che mi permetteva di
discriminarlo senza fatica. Se invece vado in Spagna e sono allenata a riconoscere un fonema rispetto ad un altro,
sicuramente allenata dal punto di vista articolatorio, lo potrò anche produrre bene ma probabilmente non riuscirò a
discriminarlo allo stesso modo.

Discriminazione e produzione: Tra l'uscita (produzione) e l'ingresso (discriminazione) c'è una bella differenza. Ad
esempio, io sono calabrese e se andiamo a considerare il trapezio vocalico io faccio fatica a riconoscere una "o " aperta
da una chiusa e a discriminare una "e" aperta da una chiusa; ma questo non significa che,con allenamento e con
un'impostazione di dizione, non potrò produrle correttamente e sapere che a seconda della parola , ad esempio "botte" con
la "o" aperta o chiusa, significhi una determinata informazione a livello anche lessicale,quindi tirar fuori a livello
produttivo quel suono,ma posso far fatica a discriminare quella parola se essa non sta all'interno di un contesto.
È lo stesso concetto che sta alla base della discriminazione per un giapponese tra la "l" è la "r": se consideriamo un
giapponese nato in Giappone, sicuramente avrà una difficoltà sia a livello discriminativo, quindi di ingresso, sia a livello
produttivo: i giapponesi non pronunciano correttamente la "r" ma la trasformano in "l" , ma questo non significa che se
un giapponese nasce in Italia non riesca a discriminare correttamente la "r "dalla "l" e anche a produrla correttamente.
Ovviamente se nel contesto comunicativo linguistico specifico questo non viene fatto, perché ovviamente i genitori
possono far fatica nella discriminazione e quindi nella produzione di quel suono, probabilmente possono far fatica a livello
produttivo, ma non a livello discriminativo.

Le capacità di discriminazione non ancora presenti alla nascita devono essere acquisite. Questa abilità viene appresa
tramite gli input linguistici e la maturazione del SNC Quello che sappiamo è che nel neonato le capacità recettive sono
molto più sviluppate rispetto a quelle produttive, infatti il bambino ha notevoli capacità di discriminare le differenze tra
suoni linguistici, ma ridotte capacità di riproduzione degli stessi. Per quanto riguarda gli aspetti più salienti dello sviluppo
della percezione verbale abbiamo visto:

• Un aspetto di ascolto preferenziale per alcuni suonià PREFERENTIAL HEARING


• Preferenza per suoni linguistici rispetto a quelli non linguistici,
• Preferenza per la produzione della voce della mamma rispetto a quella di altre persone
• La capacità di percepire degli indici linguistici relativi ad accenti, a prosodia, aspetti musicali e non semanticià
CAPACITÀ DI PERCEPIRE INDICI ACUSTICI RELATIVI AGLI ACCENTI ED ALLA PROSODIA
• Si sta più attenti ad aspetti intonativi della voce e non ad aspetti più strettamente comunicativi perché un bambino
comprende il proprio linguaggio in questa fase.

Discriminazione Dei Suoni Linguistici: Per valutare la capacità di discriminazione si può valutare se il bambino riconosce
delle differenze in termini di prosodia o le differenze minime vocali o consonantiche di parole. Posso dire ad esempio la
parola "palla" e "balla" che sono ovviamente due parole diverse con una differenza consonantica, un bambino che sente
male una differenza discriminativa consonantica può fare più fatica a riconoscerla a meno che quella parola non stia in un
contesto specifico. Identificazione, cioè capacità di riconoscere in un set chiuso delle parole rispetto ad altre o se il bambino
riesce a riconoscere direttamente, cioè senza avere dei supporti visivi, l'informazione linguistica che è richiesta, fino proprio
alla comprensione, cioè la capacità di rispondere in modo coerente ad una frase o una domanda.
STUDI COMPORTAMENTALI
Una possibilità molto importante è quella di studiare i comportamenti riflessià Studio della capacità del bambino di
discriminare suoni linguistici attraverso la misurazione di comportamenti riflessi:
§ orientamento riflesso (sospensione dell’attività in corso per orientarsi verso il nuovo stimolo)
§ variazione delle pulsazioni cardiache
In questo studio è stato introdotto un sottofondo linguistico rappresentato dalla ripetizione di un suono costituito dalla
successione di sillabe (ba ba ba). Si possono verificare:
o Orientamento riflesso, rallentamento del ritmo cardiaco
o Abituazione al suono, il sottofondo perde la caratteristica di novità, normalizzazione del battito
Ma se effettuiamo un cambiamento del sottofondo linguistico (pa pa pa), si è osservato che:
o Se il bambino percepisce la variazione introdotta ci sarà di nuovo una modifica nel battito
o Se il bambino non percepisce la differenza tra il vecchio stimolo (ba) e il nuovo stimolo (pa) non ci sarà nessuna
modificazione comportamentale
Inoltre l’abilità del bambino di discriminare due stimoli viene valutata nel confronto statistico del numero di risposte al
riflesso di orientamento che si verificano quando lo stimolo varia rispetto a quando lo stimolo non viene modificato.
Effettivamente da questo studio si è evinto che i bambini al di sotto dei 6 mesi riescono a riconoscere precocemente un certo
numero di indici acustici che identificano dei fonemi:
- occlusive (p, b, t, d, k, g), nasali (m, n), vocali;
- scarsa discriminazione dell’informazione alle altre frequenze delle fricative (v, f)

Inoltre sono stati effettuati studi su bambini provenienti da tre contesti linguistici diversi, scopo di questo studio era quello
di verificare se essi fossero capaci di discriminare contrasti fonemici PRESENTI e NON PRESENTI nella loro lingua. I
risultati sono stati i seguenti :
ü a 6 mesi, i bambini erano in grado di discriminare i contrasti fonemici di tutte e tre le lingue
ü verso l’anno i bambini non sono più in grado di discriminare i contrasti fonemici non presenti nella lingua di
appartenenza che erano invece in grado di distinguere in precedenza.

Inoltre durante il processo di crescita si assiste al fenomeno dell’ATTENUAZIONE O PERDITA: alcune capacità
discriminanti non sono necessarie all’interno di alcune lingue, perdita della capacità di discriminazione tra questi
contrasti fonologici. Es. nel giapponese adulto, incapacità di discriminare tra /r/e /l/.

Livelli gerarchici di percezione del suono:


* Detezione: assenza/presenza del suonoà valutata in maniera banale con l’esame audiometrico
* Discriminazione: uguale/diverso, è la capacità di differenziare due stimoli in base all'analisi dei tratti
soprasegmentali e segmentali (accenti, tonalità, suoni…)à dire se due note sono uguali o diverse è un esercizio di
discriminazione.
* Identificazione: capacità di ritrovare uno stimolo confrontandolo con un numero limitato di stimoli (closed set)à
Chiedere ad un bambino di riconoscere quale verso di animale si produce tra 5 possibilità è invece un esempio di
identificazione.
* Riconoscimento: capacità di ripetere lo stimolo senza l’aiuto di una scelta multipla (open-set)à Possiamo invece
capire cosa sia il riconoscimento chiudendo gli occhi e facendoci dire una parola a caso da un amico: nessun
normoudente avrebbe difficoltà ad indovinare. Tuttavia, non si deve dare per scontata questa abilità: nel soggetto
ipoacusico, infatti, richiede moltissimo allenamento acustico per essere sviluppata!
* Comprensione: è il livello più alto e corrisponde al significato del messaggio.
Quando parliamo di ascolto in soggetti ipoacusici, parliamo di categorie percettive: un paziente può stare in prima, in
seconda, fino alle sesta categoria percettiva. Queste categoria si sviluppano parallelamente con dei livelli di difficoltà
maggiore.

SVILUPPO FONOLOGICO

¤ La FONETICA è la capacità di riprodurre i foni, che sono i suoni linguistici (vocalici o consonantici).
¤ La FONOLOGIA è invece un ramo della grammatica che studia, all'interno d'una certa lingua, i suoni linguistici
dal punto di vista della loro organizzazione in parole, a partire dai fonemi.
¤ IL FONEMA è un’entità astratta che non esiste, esiste solo su carta. La fonologia è la capacità di integrare i
fonemi costruendo le sillabe.
¤ Il LESSICO è l’insieme delle parole che sono proprie del linguaggio di un individuo (vocabolario personale).
¤ La SEMANTICA ci permette di comprendere il significato di quella determinata parola, di comprenderla e
dunque di categorizzarla a seconda del suo significato (mela=frutto)
¤ Infine si passa alla MORFO-SINTASSI che è il processo di costruzione della frase.
Nel bambino normoudente i progressi linguistici avvengono spontaneamente, semplicemente grazie all’esposizione
ambientale al parlato e all’interazione con le figure adulte di riferimento. Gli aspetti linguistici viaggiano in genere di pari
passo con gli aspetti percettivi. Sicuramente la percezione uditiva è fondamentale per sviluppare un buon linguaggio
perché se io non sento bene le consonanti, le vocali non ho una buona capacità di discriminazione linguistica e ovviamente
avrò più difficoltà a produrre anche livello linguistico. Ma non è sempre così. Ci sono bambini che, pensiamo anche a
tanti sordomuti, sentono male, persone con vario grado di perdita, che a volte hanno una produzione vocale che non è poi
così alterata. Questo perché nell'aspetto della produzione linguistica entrano anche altri fattori ad esempio la percezione
visiva, quindi la capacità non soltanto di guardare, quindi di leggere con la labio- lettura quello che viene prodotto ma
anche la capacità di ricostruire delle informazione rispetto anche a quello che è il contesto.

Ci sono tanti genitori di bambini sordi che, anche se magari gli esami evidenziano che non c'è e un buon recupero, ci
dicono "mio figlio sente le parole e riesce magari a produrre informazioni che noi abbiamo detto" perché in realtà quello
che si sente è un aspetto di sviluppo globale della parola; quando parliamo di sordità non parliamo di sistema tutto o
nulla. Se abbiamo una sordità in discesa con delle basse frequenze conservate, il bambino riconosce lo sviluppo globale
della parola e alcuni aspetti prosodici, che in un contesto dove il bambino effettua delle routine ovviamente gli permette
di richiamare più facilmente quella parola rispetto ad un’altra, per cui spesso i bambini possono riconoscere delle
informazioni linguistiche pur non sentendole bene;o aspetto tattile chinestesico: se io imposto a livello articolatorio un
suono e soprattutto se quel suono è magari rinforzato da un aspetto di labio lettura magari una "p" una "v" una "m"che
sono tutte informazioni che riguardano la porzione anteriore dei nostri organi fono-articolatori ovviamente è più facile
che ricostruisca un'informazione come "papà" e "mamma" e non un'informazione posteriore come per esempio gatto in
cui c'è un interessamento velare e una sono sonorità che viene attivata a livello laringeo.

Il linguaggio è un architettura complessa che prevede un ingresso, sicuramente un'analisi uditiva e prevede anche un filtro
di tipo fonologicoà un bambino quando sente un suono non soltanto deve discriminare delle consonati quindi fare
un'analisi segmentale ma deve ricostruire quella informazione e segmentarla per fonologia, riconoscere ad esempio che
la parola cane è costituita da due foni "ca" e "ne" è allo stesso tempo dare una ricostruzione a livello semantico e sintattico.
Quindi il linguaggio verbale nel bambino progredisce parallelamente in più domini formali: fonetico, fonologico, lessicale
e morfo-sintattico, semantico strettamente legati l’uno all’altro, e alle abilità percettive che ne costituiscono la base. I
domini funzionali sono rappresentati dalla fonetica (capacità di discriminare i singoli suoni della nostra lingua), dalla
fonologia (cioè dalla capacità di organizzarli in foni quindi paradossalmente la sillaba) e dal lessico. I domini formali,
invece, si distinguono da quelli funzionali, che richiedono complesse abilità in quanto sono correlati con la capacità di
sostenere una conversazione coerente nella narrazione.
Sviluppo anatomico e fisiologico del tratto vocale: La produzione vocale nel periodo pre-linguistico (primo anno di vita)
è strettamente dipendente dallo sviluppo anatomico e fisiologico del tratto vocale. Il modellamento anatomico che si verifica
in questo periodo consente la produzione di un numero crescente di suoni linguistici e il loro uso nelle prime produzioni
vocali.

Il tratto vocale del bambino è immaturo (ecco perché produce meno suoni di quanti ne comprenda realmente), infatti le
cavità nasali, la cavità orale e la faringe hanno diversa configurazione rispetto a quelle di un adulto e diverse proprietà di
risonanza che comportano delle limitazioni.
o Nell’adulto la cavità orale e la faringe sono unite da una piegatura ad angolo retto del tratto vocale, questa
forma del tratto vocale permette alla lingua di compiere una varietà di movimenti.
o Il neonato possiede una cavità quasi dritta dalla bocca all’esofago, la piegatura del tratto è minima, quindi
non c’è la cavità faringea. L’assenza della doppia cavità non rende possibile la produzione di tutti i suoni
vocalici. Inoltre nel bambino c’è una macroglossia fisiologica, c’è quindi un'intera occupazione della cavità
orale da parte della lingua e in questo modo il bambino non può ovviamente articolare con tutti gli organi
dal palato anteriore, al palato posteriore, al velo perché c'è una limitazione anatomica; l'unico movimento
che si potrà fare è un movimento antero-posteriore che è quello tipico della deglutizione del neonato, quindi
della suzione. Questo comporta che la produzione del bambino può essere costituita soprattutto da nuclei
vocalici, da nuclei semi disonantici e da vocalizzazioni a bocca chiusa o a bocca aperta fino a suoni che a
mano a mano saranno sempre più gutturali e posteriori.
• Scarsa produzione di suoni linguistici,
• Produzione di nuclei quasi risonanti, suoni prodotti con vibrazione laringea, risuonano
attraverso la cavità nasale,
• Nasali sillabiche, vocali nasalizzate,
• Vocalizzazione a bocca chiusa o semichiusa.

Tappe dello sviluppo tipiche del linguaggio:

• Dalla nascita al I mese: pianto/grida: I suoni prodotti servono a comunicare gli stati interni, sono manifestazioni
riflesse dei cambiamenti fisiologici interni e specifici (fame, caldo, dolore);

• Suoni gutturali (2-3 mesi),


o Continua la produzione di nuclei quasi risonanti,
o Compare la produzione di suoni a costrizione posteriore,
o Prevalente produzione di consonanti velari [k], [g]
I bambini sono inoltre in grado di cogliere la relazione tra atteggiamento visibile del tratto vocale e suono prodotto.

• Bambini di 18-20 settimane di età guardano in modo più prolungato una faccia che corrisponde come
atteggiamento al suono che stanno ascoltando. Predisposizione a percepire le caratteristiche acustiche dei
suoni linguistici

• Dai 4 agli 8 mesi:


o Suoni che richiedono la chiusura tra cavità orale e nasale (possibilità di creare pressione nella bocca),
dai 3 ai 5 mesi:
o PERNACCHIE suoni prodotti forzando l’aria attraverso le labbra che si aprono e chiudono rapidamente
o GRIDOLINI
o Coordinazione tra sistema respiratorio che fornisce la pressione d’aria e la laringe che fornisce la fonte
sonora
o Fonazione laringea: STRILLI, BORBOTTII

• Intorno ai 6 mesi, alla fine del periodo di espansione inizia la produzione di LALLAZIONI MARGINALI,
caratterizzate dall’alternanza di consonanti e nuclei risonanti completi, sono molto più lente nelle transizioni
consonante vocale di quelle dell’adulto .

• Lallazione CANONICA (canonical babbling, 7-10 mesi) la transizione consonante-vocale acquisisce le


caratteristiche temporali della lingua adulta, la lallazione canonica consiste nella ripetizione di sequenze
consonante-vocale (CV) semplici (pa, ba) o ripetute (CVCVCV) (papapa,bababa).

• Lallazione VARIATA (variegated babbling, 10-12 mesi), espansione delle lallazione canonica a nuovi stimoli
consonantici e vocalici.
Le prime produzioni ovviamente sono legate all'aspetto più strettamente comunicativo globale quindi pernacchi, stridolii
fino alla vera e propria lallazione che può presentare dei gradi di complessità maggiori: da una lallazione canonica ovvero
la produzione di un singolo fonema in configurazione consonante vocalica che si riproduce nel tempo del tipo "papapa", ad
una lallazione di tipo variegato quindi il cambio della consonante che poi in realtà determina la produzione di vere e proprie
parole,fino alla produzione delle prime frasi, dei primi elementi sintattici.
Sappiamo che un bambino inizia a produrre le prime paroline intorno all'anno di età, un pochino prima un pochino dopo in
base alle variazioni fisiologiche; nelle bambine in genere la produzione è un po' anticipata, le bambine sono meno pigre in
senso generale e può iniziare intorno agli 8,9,10 mesi di vita. Ci sono genitori che dicono "mio figlio già parla,dice le prime
paroline a 6 mesi" in realtà probabilmente il bambino ha prodotto una lallazione che ricorda il lessico : se il bambino produce
"mamama" il genitore lo ricollega alla parola "mamma" mentre invece quella produzione è priva di un significato di tipo
lessicale e semplicemente il bambino ha iniziato a lallare con la "m" .
• 10 mesi: emissione di suoni come parole, usate in particolari contesti (“Bam”: battere le mani);

• 12 mesi: emissione di parole-frase (“ancoa”, “no”, “pù”): il bambino padroneggia e conosce il valore
semantico, usa le parole per esprimere significati complessi. Le parole isolate vengono pronunciate con diverse
intonazioni come proposizioni diverse (la stessa parola ha significati diversi : “mamma” = “Voglio la mamma”
oppure ”Aiutami”). Le capacità articolatorie sono però limitate;

• 12-16 mesi: vocabolario limitato e variabile (nomi di persone, oggetti familiari e versi di animali); la
comprensione è superiore alla produzione;

• 16-19 mesi: aumento del numero di verbi, inizio uso degli aggettivi. Il periodo che vai dai 16-18 mesi in poi è
il periodo di massima esplosione del vocabolario.

• 18-24 mesi: frasi costituite da due parole (bi-termine), spesso incomprensibili; ha un vocabolario in espansione
(aggettivi, verbi, funtori, categorie nominali come parti del corpo o nomi di luoghi);

• 19-26 mesi: fase pre-sintattica: i bambini comprendono bene le parole dette in successione senza legami
sintattici;

• 22-31 mesi: fase sintattica primitiva: le parole in successione si riducono lasciando spazio ad enunciati semplici;
c’è un completamento della frase;

• 30 mesi: frasi semplici di due elementi (soggetto + verbo), utilizzando cioè uno stile telegrafico, omettendo gli
elementi delle categorie funzionali (preposizioni, congiunzioni, verbi ausiliari inflessioni, ecc...);

• 30-36 mesi: enunciati più lunghi e complessi, organizzati secondo i principi grammaticali (compaiono i funtori:
“Mamma baccio”= “Prendimi in braccio”) ci sono cioè delle trasformazioni sintattiche;

• 2-3 anni: esplosione delle regole sintattiche, con l’emissione delle prime frasi (imperative, dichiarative,
affermative);

• Dopo i 3 anni: fonologia più stabile; sviluppo lessicale fino all’età adulta, con un aumento della fluenza e
sviluppando la co-articolazione.

Lo sviluppo del lessico avviene in maniera casuale ma anche in modo esponenziale. Ciò significa che se a 12 mesi un
bambino pronuncia una o due parole, a 18 mese pronuncia 50 parole, e a 24 mese ne pronuncia 200, quindi con un livello
di incremento che diventa notevolmente più ampio. Così come le prime produzioni frasali in realtà sono costituite dalla
singola parola : se io dico "aereo", indicando con il dito verso l’alto, posso fare una frase combinatoria gesto parola e questo
avviene intorno al diciottesimo mese di vita con ovviamente delle variazioni. E intorno al ventiquattresimo mese di vita il
bambino inizia anche a costruire delle frasi in cui ci sono 2 parole che si seguono tra di loro,a volte anche tre :"mamma
palla", con l'iniziale utilizzo delle prime componenti sintattiche come ad esempio dire "cani"anziché "cane" a seconda degli
elementi presenti.
GLI EFFETTI DELLE SORDITA’

Fattori da considerare: Ci sono diversi fattori da considerare, in particolare:

1. Fattori dipendenti dalla patologia e dal percorso diagnostico-riabilitativo:


• EPOCA DI INSORGENZA DEL DISTURBO: pre-natale(congenita) peri-natale o post-natale.

• EPOCA DELLA DIAGNOSI: è importante considerare il tempo intercorso da quando è insorta la patologia a
quando il paziente è stato individuato e ancor di più il tempo intercorso dal momento in cui è stato diagnosticato
al momento in cui è stato riabilitato. Anni fa si faceva diagnosi precoce di sordità profonda intorno ai 3 anni e
lieve dai 6 ai 16 anni, quindi, si arrivava tardivamente alla diagnosi, tardivamente cioè quando le aree cerebrali
erano già discretamente danneggiate (non c’è possibilità di recupero totale). Se lo screening funziona, in epoca di
screening si può fare diagnosi di sordità profonda o severa a 2-3 mesi (da noi 3-3 mesi e mezzo), invece, in epoca
non di screening 15 mesi. Per sordità lievi-moderate in epoca di screening quest’articolo parla di 4 mesi (secondo
la nostra esperienza anche 12), mentre in epoca non di screening 25 mesi. Bisogna sempre ricordare che
l’esperienza campana e italiana è molto diversa da quella dell’articolo, nonostante la maggiore sensibilizzazione
al problema.

Screening Il bilancio costo/benefici suggerisce che conviene fare lo screening. Questo è trasversale: se fossero considerati
solo i soggetti a rischio, si perderebbero il 50% delle ipoacusie. I test impiegati nello screening uditivo neonatale sono privi
di qualsiasi rischio, rapidi, facili da eseguire à il loro VPP è circa 5% (solo un bambino su 20, se sottoposto a test di
conferma, sarà ipoacusico). Uno dei principali problemi dello screening è rappresentato dai bambini con ipoacusie
progressive e/o tardive à importante monitorare almeno fino all’inizio dell’età scolare i soggetti a rischio! N.B. in presenza
di RF, le ipoacusie profonde sono più frequenti; nelle forme di ipoacusie più lievi, il peso dei RF decresce progressivamente.
Þ I livello = centri di nascita, TIN (terapia intensiva neonatale), patologie neonatali, otoemissioni transienti ed ABR
non clinici (al fine di ridurre i FP, in caso di positività il test va ripetuto entro la 3° settimana di vita)
Þ II livello = centri specializzati (servizi di audiologia e/o ORL); otoemissioni DPOAE ed ABR clinici,
impedenziometria à conferma dell’anormalità
Þ III livello = centri di riferimento regionali per l’approfondimento diagnostico, test genetico-molecolare,
inquadramento multidisciplinare, protesizzazione, follow-up, impianti, monitoraggio

Fasi dell’approccio diagnostico-terapeutico


1. Diagnosi audiometrica effettuata dal tecnico audiometrista (entità, tipo, mono/bilateralità del deficit uditivo)
2. Diagnosi audiologica effettuata dall’audiologo (eziopatogenesi del deficit)
3. Trattamento (forme monolaterali possono non richiedere un intervento tempestivo)
4. Counselling e Prevenzione

• ETÀ AL MOMENTO DELL’INIZIO DELLA TERAPIA RIABILITATIVA: Spesso si pensa che ad una diagnosi
precoce segua subito una terapia, ma ciò non è sempre detto, perché di fronte abbiamo sempre delle persone che hanno
una diversa capacità di raccogliere le informazioni e diversa capacità emotiva di sopportare le informazioni. Una
comunicazione di diagnosi in un bambino molto piccolo è un evento traumatico: in quel momento decadono tutte le
speranze, le immaginazioni, i pensieri positivi che quel genitore ha di quel bambino dal momento in cui è stato
concepito. Tanti genitori non sono in grado di sopportare un momento di questo tipo, per cui si cerca di dosare le
informazioni da dare. Il momento della diagnosi è un momento delicato, perché in quel momento il genitore deve
conoscere bene la patologia, capire bene la problematica del bambino e capire cosa essa comporterà se non viene
riabilitata. Tutto ciò è ancora più complicato in quei casi lievi, in cui il genitore non ha una reale percezione della
difficoltà del bambino, infatti, in queste forme la semeiotica non è differente da quella di un bambino normoudente. Il
momento della diagnosi è un momento in cui bisogna saper accogliere le ansie del genitore, dare le informazioni giuste
e saper scegliere le informazioni da dare (né complete, ne parziali) perché in quel momento il genitore non ricorderà in
maniera perfetta tutte le informazioni utili a differenza di quelle che vengono dette in maniera sbagliata. Ad esempio se
si sbaglia a dire una sordità che probabilmente potrà migliorare, il genitore ricorderà che può migliorare. Quindi,
bisogna essere molto precisi;
• EZIOPATOGENESI: richiederà necessità terapeutiche differenti;

• TIPO: trasmissiva o neurosensoriale e mista.

• Altra variabile degli effetti della sordità è la PARTIZIONE COCLEARE interessata (basse o alte
frequenze). In un audiogramma potremo avere perdite variabili (su basse frequenze, alte frequenze, perdite
pantonali o di entità diversa a seconda del range frequenziale) che avranno diverso impatto sulla capacità
di ascolto senza ausilio e di recupero con ausilio. Si può capire il perché grazie a diversi studi di
psicoacustica, tra cui quello della dott.ssa Skinner, che già nell’85 aveva studiato un’ampia popolazione
di pazienti e aveva iniziato a capire quali erano le problematiche psicoacustiche di quei pazienti a seconda
dell’entità della perdita. Nello specifico, andò a valutare il tipo di difficoltà riferite dalla maggior parte
della popolazione in base all’entità della perdita.
o Pazienti che presentavano una problematica su tutto il range frequenziale (sia basse che alte)
riferivano di avere un 50% di perdita della quota informativa (cioè sentivano di meno) e un 50% di
perdita della qualità discriminativa (comprendevano il 50% in meno). P sta per potenza e D per
discriminazione;
o Pazienti che avevano perdite specifiche di frequenze tra 500 e 800 (ndr credo sia sbagliato, dovrebbe
essere 800-8000 Hz) presentavano una difficoltà in potenza del 5% e in discriminazione del 95%.
In realtà, quindi, non hanno la sensazione di avere la perdita di udito. Questa situazione è tipica
delle persone anziane, quindi, la classica presbiacusia, in cui troviamo una curva in discesa che
talvolta non è neanche così accentuata in termini di entità di perdita. Questo è dimostrato dal fatto
che se si chiede a una persona anziana se sente, questa risponderà che sente bene, non ha difficoltà
a sentire, ma a capire cioè a comprendere. In realtà è un aspetto diverso dello stesso problema perché
questa persone non è che non sentono in assoluto le parole, ma fanno fatica a capire quale parola
viene detta. Ricordiamoci, inoltre, che le persone anziane hanno un minimo di deterioramento
cognitivo e quindi, in realtà la capacità di integrazione del messaggio non è così efficiente, perciò
questo si va ad aggiungere alla difficoltà di discriminazione, che comporta una difficoltà nella
comprensione del messaggio. Sono persone che più facilmente si isolano, non entrano in
comunicazione se altre persone parlano tra loro;
o Pazienti che avevano perdite tra 125-1000 presentavano una difficoltà discriminativa del 5% e una
perdita di potenza del 95%. Sono spesso le classiche urgenze di sordità improvvisa, che poi in realtà
a volte si scopre essere un tappo di cerume o un’otite catarrale. I pazienti riferiscono di sentire di
meno, ma non dicono di sentire male in termini di riconoscimento del messaggio: le parole sono
sentite allo stesso modo, ma bisogna prestare molta più attenzione per sentire perché il messaggio
è come se fosse traslato, la soglia diventa più bassa, ma non c’è perdita d’informazione
discriminativa in termini di confusione fonemica. Questo significa che se consideriamo la maggior
parte dei bambini in età scolare e prescolare che possono avere otiti croniche ricorrenti, spesso c’è
una difficoltà permanente a sentire nei primissimi anni di vita e sono moltissimi. Questi bambini
potenzialmente potrebbero sviluppare un ritardo del linguaggio, perché la percezione rappresenta
un prerequisito fondamentale per sviluppare il linguaggio oltre che difficoltà di tipo attentivo (i
bambini saranno disattenti, più caotici) e neuromotorio. Questo tipo di difficoltà discriminativa può
presentarsi sia nelle forme trasmissive che neurosensoriali se in questi range frequenziali.

• GRADO DI PERDITA UDITIVA: lieve o profonda. Gli effetti della sordità variano anche in base al grado
di ipoacusia, perché se ho una sordità di tipo lieve mi aspetto delle difficoltà linguistiche di entrata e di
ingresso diverse da quelle di una sordità di tipo medio o di grado profondo.
o Se l’ipoacusia è lieve, la componente informativa sarà normale, ma si avrà una dinamica ridotta
tra il messaggio che noi inviamo (60dB) e la sua reale soglia ed è molto diverso se la difficoltà si
mantiene su tutto il range frequenziale o soltanto su alcune frequenze. In genere, i bambini con
ipoacusia lieve sono i più difficili da diagnosticare, anche per problemi di screening. Il bambino
sarà in grado di sentire il messaggio verbale in maniera completa, però avrà difficoltà nella
discriminazione dei fonemi a seconda poi anche dell’entità della perdita (ad esempio il bambino
riconosce il proprio nome se viene chiamato). Le capacità di comprensione, quindi, sono buone.
Sono bambini che possono non presentare alcun problema, così come bambini che possono
presentare problemi in un contesto rumoroso, anche se il problema acustico lo avranno sempre,
perché nella vita di tutti giorni non abbiamo un ambiente silenzioso. Sono importanti sia la
diagnosi che la riabilitazione precoce, perché gli effetti della mancata stimolazione precoce si
evidenzieranno in un’età maggiore, in quanto alcune aree cerebrali fondamentali per la
discriminazione acustica si devono formare entro il 18esimo mese di vita altrimenti non si
formeranno più.
o Nelle sordità di tipo medio, ci sono difficoltà di riconoscimento del messaggio molto più
importanti ad es. riconoscere fonemi, che sono alla base della costruzione del nostro messaggio
verbale. Se si hanno difficoltà nel riconoscere i fonemi, ci sarà maggiore difficoltà di
riconoscimento delle parole e quindi delle frasi e di tutti gli elementi della sintassi. Questi bambini
presenteranno sicuramente problematiche attentive e su diversi aspetti del linguaggio.
o Man mano che la sordità diventa grave e poi profonda, il bambino non riconoscerà più il
messaggio verbale, ma soltanto i picchi del linguaggio o il rumore della voce. Sono bambini
destinati a diventare sordomuti se non corretti in tempi giusti con la giusta terapia.

• TIPO DI RECPUPERO FUNZIONALE: una diagnosi senza terapia adeguata rappresenta una parzialità
del processo terapeutico. Anche in presenza di diagnosi precoce, per avere una risposta adeguata è
necessaria una giusta terapia (giusta protesi, giuste modifiche). Bisogna monitorare il paziente per
evidenziare se c’è un peggioramento della soglia uditiva che richiede modifiche ulteriori, quindi, la validità
della terapia è anche in termini di follow-up. Spesso nelle strutture soprattutto del Nord Italia, dove si
trovano i centri d’eccellenza e dove i pazienti del meridione si recano, si effettuano controlli annuali. Per
noi è un periodo assurdo, perché addirittura alcuni pazienti vengono controllati una volta a settimana
(ovviamente non tutti, ma quelli che hanno delle urgenze) oppure solitamente si effettuano controlli ogni
3-4 mesi (quindi 3-4 volte l’anno). Inoltre uno dei problemi è che non è detto che il paziente ritorni a
controllo, ci potrebbe essere una perdita di pazienti nei successivi follow-up. E’ importante, quindi, creare
anche un percorso tale che ci siano poche perdite di pazienti. Il paziente dopo la prima diagnosi spesso
cerca una conferma in altre strutture, quindi, è importante dare le informazioni giuste perché il paziente
tenderà a confrontare ciò che gli viene detto dagli altri con quello che gli è stato detto inizialmente.

• TIPO DI RIABILITAZIONE: la riabilitazione d’eccellenza in un paziente ipoacusico è protesica per


ripristinare il feedback acustico a cui si può associare una logopedia o una psicomotricità, a seconda anche
degli effetti sugli outcome. Quindi, soprattutto in bambini con comorbidità, instabilità sociale (per es. nei
quadri sindromici come la S. di Down o altri) si può affiancare una terapia di tipo attentivo, legata alla
logopedia o di tipo neuropsicomotorio, ma la terapia d’eccellenza è sempre quella di tipo protesico (posso
applicare presto una protesi ma se la applico male ovviamente i risultati saranno differenti rispetto a una
buona protesizzazione e i tempi in cui realizzo questa protesizzazione). Nell’ambito della riabilitazione
logopedica ci sono diverse scuole: di tipo oralista, di tipo gestuale o misto. Noi siamo contro il gestuale:
un bambino figlio di normoudenti che ha una correzione di un problema d’udito attraverso una protesi o
un impianto cocleare può sviluppare una percezione valida e quindi, uno sviluppo del linguaggio per cui
non c’è necessità di insegnare la lingua dei segni. Il linguaggio è sempre finalizzato ai fini comunicativi:
se si è figli di sordomuti segnanti si dovrà apprendere il linguaggio dei segni, ma solo perché quello
diventerà il linguaggio prevalente con la propria figura di riferimento. Questo linguaggio, però, non verrà
appreso a scuola o durante la logopedia, ma spontaneamente durante la comunicazione con i genitori. Si
consiglia, quindi, un approccio di tipo oralista anche nei figli di sordomuti, in quanto l’approccio gestuale
sarà sempre coltivato dai genitori e non verrà interrotto, mentre l’approccio oralista rappresenterà una
possibilità in più nei confronti della società.
Nella maggior parte dei casi, a meno che non ci siano altre problematiche alla base, una vera terapia
logopedica non serve. Il nostro orientamento è quello di non dare nessun trattamento logopedico o
psicomotorio per sordità lievi e quello di valutare la necessità di questo trattamento nelle forme gravi-
profonde. In fase di diagnosi, quindi, si fa comunque una prescrizione di logopedia. Qualche genitore
segue l’indicazione di non effettuare la logopedia, altri preferiscono fare dei cicli di logopedia per evitare
eventuali problematiche. Un tempo le tempistiche erano molto diverse: il bambino iniziava la logopedia
al momento della diagnosi (dai 3 anni in su) e la terminava a 17 (diventava un legame di tipo psicologico
piuttosto che una terapia), oggi questo tipo di intervento termina dopo 2- massimo 3 anni dalla diagnosi
(solitamente prima della scolarizzazione elementare) perché si raggiungono delle performance così buone
che non c’è nulla da terapeuticizzare (a questi bambini si consigliano attività di tipo integrativo sportiva o
altro per lavorare sulle funzioni esecutive).

• TIPO DI AUSILIO PROTESICO; Richiede


- Follow up audiologico mensile per i primi 24 mesi, poi bimestrale
- Follow up foniatrico ai mesi 3-6-9-12, poi semestrale
L’approccio è quasi sempre rappresentato dalla protesizzazione esterna per poi intervenire con
l’impianto, qualora il bambino non mostri un adeguato recupero funzionale.
Eccezione: Bambini con meningiteà rischio di ossificazione cocleare (si impiantano in
prima istanza) Siccome l’intervento di impianto ha un alto rischio di ledere la coclea,
bisogna essere certi che la coclea non funzioni!!!
Well babies (nati sani): diagnosi in media al 5° mese; i bambini in TIN, invece, hanno diagnosi al 7°
mese (altre problematiche ritardano la diagnosi).
2. Fattori dipendenti dal bambino e dalla famiglia:
• ETÀ DEL BAMBINO (anche se questo rientra già nell’epoca della diagnosi);
• SVILUPPO GENERALE: di tipo cognitivo, livello di stimolazione familiare, ambientale, abilità
linguistiche, sviluppo neuro e psicomotorio ha il bambino. Abbiamo visto che l’attenzione è strettamente
legata alla percezione, quindi, bisogna sempre considerare più variabili;
• SVILUPPO VISIVO E MOTORIO;
• MODALITÀ DI COMUNICAZIONE- CAPACITÀ ATTENTIVE;- ABILITÀ LINGUISTICHE.
• CONTESTO SOCIO-CULTURALE: Il percorso di screening audiologico, in realtà, ha messo in evidenza
che molti pazienti anche con sordità profonda non hanno bisogno di effettuare neanche di un giorno di
logopedia, quindi, ad aiutare il percorso terapeutico non è solo la diagnosi, la terapia, ma anche la capacità
di stimolazione familiare e ambientale. Quindi, un’altra variabile è il contesto socio-culturale: il contesto
di una famiglia di sordi segnanti è diverso da quello di una famiglia di normoudenti e nell'ambito della
famiglia dei normoudenti é diverso se i genitori sono particolarmente attenti agli aspetti linguistici in
generale, ma soprattutto agli aspetti comunicativi linguistici e agli aspetti di stimolazione, rispetto invece
a famiglie che abbandonano i propri figli in mezzo alla strada o a scuola o in determinati istituti, ottimi
per famiglie deprivate economicamente e socialmente, ma ovviamente la stimolazione di un familiare non
è la stessa cosa della stimolazione affidata a suore o a vari terapisti della riabilitazione perché un bambino
ha necessità di aspetti didattici, riabilitativi ma anche di vivere il quotidiano con la sua famiglia.
Lo sviluppo semeiotico gestuale e vocale del neonato sordo si diversifica da quello normo-udente dopo i
3 mesi di vita. Fondamentali risultano l’ambiente in cui il bambino è stimolato e le afferenze ricevute.
Þ Bambini sordi che nascono da genitori Sordi: Imparano la LIS (linguaggio dei segni) e verso la fine
del primo anno di vita partono i primi “segni codificanti”. L’atto comunicativo è il Gesto. La mancanza
di feedback acustico e di rinforzi da parte dei familiari fa sì che il canale verbale sia costituito solo da
una lallazione povera ed incoerente (sequenze consonante-vocale, normalmente inizia a 6-9 mesi e ad 1
anno si acquisiscono le prime parole).
Þ Bambini sordi figli di genitori Normoudenti: Lo sviluppo della comunicazione dipende da vari fattori
esterni (tempo della diagnosi, recupero protesico, comportamento dei familiari alla diagnosi). L’iniziale
deprivazione uditiva del neonato comporta una condizione di scarsa reattività alle stimolazioni acustiche
e verbali.In condizioni ottimali (diagnosi ed intervento terapeutico precoce, giusto comportamento dei
genitori) il bambino entro i 3 mesi di vita ha uno sviluppo del linguaggio mimico-gestuale simile a
quello di un bambino normo-udente e sviluppa competenze linguistiche che cadono nel 25°- 50°
percentile.

Spesso abbiamo dei genitori in grado di monitorare bene il problema ovviamente con un counseling anche stesso in
struttura che li supporti e dia loro degli strumenti per capire se il bambino sta andando bene e come stimolarlo. La
nostra fortuna è che in regione Campania i tempi di attesa sono di 1-2 anni e questo ci dà la possibilità attraverso il
counseling di poter modificare la terapia. Normalmente seguiamo il paziente mensilmente, fino a quando non abbiamo
risultati validi per poi spostare i controlli a due, tre mesi a seconda della risposta del bambino. Si potrà poi verificare se
c’è uno sviluppo armonico rispetto ai normoudenti e decidere se è necessaria la logopedia (ed eventualmente non
praticarla).

PRIMO CASO CLINICO

Bimba di 3 anni e 4 mesi, quindi, con diagnosi tardiva, con sordità di grado profondo a destra e di grado grave a
sinistra.
Un paziente che viene monitorato per quanto riguarda il recupero (quindi, in cui è già stata fatta la diagnosi di sordità
mediante l’utilizzo di potenziali o dell’esame audiometrico) nelle fasi successive effettuerà l’esame con le protesi e non
più in cuffia [che serve a capire come sentono da entrambe le orecchie (non tutte le sordità sono simmetriche, alcune
forme sono asimmetriche spesso legate a quadri sindromici specifici della coclea)], ma utilizzando altoparlanti, quindi,
in campo libero perché dovrà portare le protesi alle orecchie.
In genere, effettuiamo un primo esame con protesi per valutare come il paziente recupera con gli ausili e se il paziente
è particolarmente collaborante anche senza protesi. Spesso, prima di raggiungere il senza protesi bisogna aspettare
molto tempo, cioè il bambino va condizionato a questa tipologia di esame, che viene effettuato in maniera diversa
rispetto a quello che si fa nell’adulto (perché bisogna fare un trainshot, un condizionamento attraverso il gioco, in
genere si utilizza un trenino, ma il gioco potrà essere diverso a seconda della fascia d’età del bambino e della
motivazione a quel gioco).
Questa bambina ha una soglia differente tra le due orecchie e quindi, sarebbe sempre preferibile fare prima un esame
con la cuffia per valutare tutta la sua curva audiometrica, anche se in questo caso si esegue spesso in prima istanza un
esame in campo libero (per es. in bambini non condizionati a questo tipo di esame). Quello che sappiamo è che la
risposta dell’esame in campo libero è legata all’orecchio migliore e non all’altro. Abbiamo ottenuto, così, un
differenziale con e senza protesi. A questa viene allegata una scheda tecnica per vedere se effettivamente i livelli di
amplificazione sono validi, se il paziente ha collaborato o meno, quindi, non ci si basa solo sulla soggettività dell’esame.

Poi, si esegue una valutazione dell’osservazione del bambino rispetto alle risposte che ha dato. In questo caso, la
bambina ha un’ipoacusia di grado grave ed ha una prima risposta con protesi molto buona, perché il tipo di risposta
non va considerato solo rispetto alla soglia che realmente dovrebbe avere (la normoacusia è solitamente 20-25 dB),
che è più bassa, ma bisogna considerare anche il fatto che stiamo parlando di un primo esame. Se, però, questa risposta
rimane costante nel tempo, la risposta sarà modesta. Quindi, non bisogna considerare l’esame per com’è, ma tutto il
percorso del bambino e la sua storia clinica.

Andiamo a valutare la sua soglia a distanza di un mese: c’è soltanto un pallino sui 70 dB a 250, che è la sua risposta
in campo libero senza protesi (significa che il tecnico ha provato a effettuare l’esame senza protesi, ma la bambina ha
collaborato poco perché probabilmente sentiva poco e quindi, faceva più fatica a stare attenta a quei suoni). La risposta
è drasticamente scesa (ricordiamo che siamo su una scala logaritmica: scendere di 3 dB, vuol dire che sente la metà
à se a 250 sentiva 35 e ora sente 70 vuol dire che sente anche 12-13 volte in meno solo su quel range frequenziale,
infatti, se andiamo sulle frequenze medie la risposta è ancora peggiore). Ciò ci deve far riflettere: gli esami non devono
essere considerati singolarmente, ma più esami ci consentono di fare diagnosi (es. la scheda tecnica della protesi).
In questo caso, un esame timpanometrico attraverso la timpanometria dei riflessi ha messo in evidenza un’importante
otite catarrale (l’orecchio di destra ha addirittura un timpanogramma piatto e quello di sinistra è deviato verso valori
pressori negativi): c’è catarro nell’orecchio e quindi, alla problematica neurosensoriale già presente si aggiunge una
quota trasmissiva, che ha l’effetto di abbattere il segnale in termini di potenza (la bambina sente molto di meno rispetto
a prima, fa fatica a riconoscere informazioni).
A distanza di un mese, la soglia è risalita anche di molto: dopo terapia medica la risposta è migliorata anche rispetto
al primo controllo.

Questa è una scheda tecnica di una protesi: indica la potenza della protesi cioè l’uscita massima e il guadagno, cioè
quanto diamo noi alla protesi per ripristinare il recupero protesico. Lo spazio attorno alle curve di guadagno e di uscita
massima ci dà un’idea della dinamica, che qui è molto strettaàla qualità del segnale che arriva alla bambina non è
ottimale, questa farà fatica ad andare in distorsione quando ci sono dei picchi della voce più alti. A livello quantitativo,
però, la bambina sente discretamente.

Andiamo ad effettuare una valutazione foniatrica con diversi protocolli: la bambina ha una risposta discreta per quanto
riguarda l’identificazione di parole che iniziano con un determinato fonema (70% di risposte corrette: non
particolarmente buona considerando l’età, ma discreta se consideriamo il tempo dall’applicazione delle protesi). La
categoria a cui appartiene la risposta della paziente (CAP) è intorno alla quarta: discrimina segni linguistici senza
lettura labiale. Il livello comunicativo, invece, è molto basso: utilizza sia il canale linguistico (ma poco) sia (quasi
esclusivamente) il canale gestuale. Se facciamo eseguire un compito di identificazione di suoni onomatopeici (parole
molto semplici da ricostruire), riconosce tutte le informazioni (es. il brum della macchina, il cra cra), invece, la s è un
suono che non riesce a riconoscere. E’ importante posizionarsi a lato della bambina durante l’esame per valutare
esclusivamente la componente acustica e non di labiolettura (quindi, con rinforzo).
Ritornando al CAP, questo è un test che in realtà è stato costruito dall’Università di Padova su bambini più grandi (tra
i 5 e i 6 anni) quindi, con determinate competenze lessicali e linguistiche perché ad un certo punto la percezione non
può prescindere dagli aspetti cognitivi e linguistici: per capire se il paziente riconosce le parole, la prima cosa che da
verificare è se conosce le parole del test). Questa bambina, in un test con 12 parole che andrebbe somministrato 2 volte
consecutive, dove gli outcome da valutare sono 24, conosce solo 4 parole (in realtà 3 le conosceva perché acquisite e
1 (penna) era in fase di acquisizione). Ci sono diversi test a seconda del grado di difficoltà che andiamo a valutare.
Una volta che si vede una risposta buona con i suoni onomatopeici, si aumenta il target: si valuta, per esempio il
riconoscimento di parole, che hanno la stessa lunghezza e iniziano con lo stesso fonema per valutare in maniera selettiva
la componente acustico-verbale perché il bambino nell’ascolto presterà più attenzione al primo fonema rispetto al
secondo (per esempio di fronte alle parole palla e pane, presterà attenzione solo alla prima sillaba e non alla seconda).
Ciò serve per distrarlo e aggiungere un fattore di fatica in più a livello attentivo. La risposta della paziente (del 70%)
non è poco, probabilmente avrebbe risposto del 100%, perché purtroppo per lei la parola penna non era così automatica
ed ha fatto più fatica nel riconoscerla, anche se poteva arrivarci per esclusione se avesse sentito in maniera perfetta
(conoscendo gli altri target ed essendo questi pochi). Ovviamente il test viene eseguito dopo aver allenato la bambina
per essere sicuri che conosca effettivamente quelle parole: non ci affidiamo solo al genitore per la scelta delle parole
per capire quali conosce e quali no, ma andiamo anche a verificarlo perché a volte i genitori sovrastimano o
sottostimano le competenze dei propri figli. Riguardo al linguaggio, la bambina è estremamente collaborante (riesce a
fare il test con e senza protesi), riesce nella ripetizione di parole (sia ad alta frequenza che non), però, ovviamente fa
una grossa fatica nell’assemblaggio fonologico: i fonemi sono stati acquisiti più o meno tutti, ma non riesce ad
assemblarli all’interno delle parole, soprattutto per quanto riguarda i suoni gutturali es. gatto diventa catto, perché
sono suoni poco visivi.

Questa bambina, quindi, è figlia di sordomuti (discretamente collaboranti) e in base alla valutazione audiologica e alla
valutazione degli outcome in termini di percezione e di lessico presenta competenze peggiori rispetto ad un soggetto
normoudente della stessa fascia di età, anche in considerazione dell’epoca tardiva di diagnosi (avrebbe potuto mettere
le protesi già a 3 mesi).
Il recupero necessita di un intervento diverso e, sebbene discreto in termini quantitativi, non lo è in termini qualitativi
e questo ce lo dimostra il tipo di regolazione delle protesi con una dinamica particolarmente stretta. Ci sarebbe
un’indicazione di cambio di strategia, che i genitori non accettano. Per cui, le competenze valutate sono più che buone
considerando il background culturale, cioè famiglia di sordomuti segnanti dove la prima lingua è la lingua dei segni e
la seconda quella verbale. A livello comunicativo siamo ancora in una fase transitoria in cui la paziente utilizza molto
di più il gesto rispetto al linguaggio verbale, avendo una comunicazione di tipo gestuale in famiglia. Ai figli di sordomuti
si assegna una terapia quadri-settimanale (anziché bi-settimanale) per cercare di dare un quantitativo di stimolazione
oralista maggiore. Quindi, considerando il ritardo nella diagnosi e il recupero protesico parziale, il percorso della
bambina è discreto, ma non è il tipo di percorso che consiglieremmo al figlio di un normoudente.

SECONDO CASO CLINICO

Il secondo caso clinico riguarda, invece, un bambino ancora più sordo della bambina precedente, ma figlio di
normoudenti. La diagnosi è stata relativamente precoce (si definisce precoce entro i primi 6 mesi di vita). Al momento
della valutazione aveva un impianto bilaterale sequenziale (la binauralità è oggi considerata la strategia terapeutica
migliore: si mettono 2 ausili, 2 protesi o 1 impianto e 1 protesi per es., anche se fino a qualche anno fa si utilizzava una
stimolazione monoaurale, quindi, 1 solo impianto e poi si valutava se fare anche il secondo). Alla diagnosi la situazione
era di tipo simmetrico.

Al primo controllo, il recupero era discreto (sono le prime risposte del bambino all’utilizzo di 2 ausili, quindi, a 5 mesi),
non buono come il precedente, in quanto bisogna considerare che le risposte sono sempre soggettive, così come anche
l’esame anche in rapporto alla diversa collaborazione, al contesto culturale, all’obbedienza, alla predisposizione
individuale del paziente (le bambine sono molto più garbate e attente rispetto ai bambini che sono molto più caotici e
iperattivi). Purtroppo, con il passare dei mesi la risposta è rimasta simile e quindi, se in un primo momento era
considerata valida ora non lo era più. Dopo 5-6 mesi di valutazione si cominciò a pensare di cambiare strategia,
nonostante la diffidenza dei genitori restii a questo cambio, che poi è avvenuto a 16 mesi.

Nel controllo pre-impianto, la risposta della protesi era ancora peggiore di quella della bambina che abbiamo visto
prima: assenza di dinamica, massima potenza di stimolazione, cattiva risposta al test (non sono riuscita a capire il
nome), che è il test percettivo più basso, dove bisogna riconoscere le vocali o suono consonantici tipo la m, la s, la sh
(il riconoscimento era del 4%, quindi, molto basso (solo il tamburo alla massima potenza)), categorie percettive e
reazioni a stimoli ambientali solo molto forti, non a tutti. Quindi, il bambino sentiva solo rumore ad altissima intensità.
Il linguaggio consiste di vocalizzi aspecifici non ricollegati ad una percezione acustica, che anche un neonato avrebbe
emesso.

Nel primo esame post-impianto (a 1 anno e 7 mesi, in quanto l’intervento chirurgico per impianto prevede una fase di
step di 20 giorni, 1 mese in cui il paziente non porta nulla e poi l’attivazione e il recupero), c’è una soglia a 60. Quindi,
la risposta è molto buona (quasi un ripristino della normale funzione uditiva) e anche successivamente sia in campo
libero che per singolo orecchio il recupero è perfetto.

A distanza di 6 mesi dal primo impianto viene effettuato un secondo intervento chirurgico, quindi, un impianto bilaterale
sequenziale. Dal punto di vista quantitativo l’udito è nella norma, nel corso del tempo le risposte sono buone (le
valutazioni percettive evidenziano, nel giro di pochissimo tempo ovvero 2 mesi, un passaggio dalla categoria percettiva
0.1 alla capacità di riconoscere tutte le informazioni ambientali e riconoscere e discriminare le parole fino all’uso del
telefono con interlocutore a 5 anni e 3 mesi).
A questo bambino viene somministrato un test di linguaggio costituito da 70 item circa ognuno costituito da 4 immagini,
che per un bambino sono tanti: il paziente si dimostra esuberante, iperattivo, e valutando solo alcuni outcome
(sicuramente gli altri sarebbero stati ottimali allo stesso modo), ha una risposta uguale al 25-50esimo percentile ovvero
prestazioni normali per fascia di età, non riesce a portare a termine un compito così lungo perché presta poca
attenzione. Bisogna ricordare che, però, il bambino viene da lontano, deve fare 1 ora e mezza di viaggio, attendere 1
ora in reparto, fare gli esami audiometrici e solo dopo arriva a questa valutazione, quindi, è normale un calo di
attenzione. Il TGCB è un test di comprensione grammaticale che mette sotto stress l’aspetto attentivo in un soggetto che
già di per sè non è molto attento e collaborativo, ma poi si aggiungono anche tutte queste difficoltà.

Se valutiamo, quindi, l’andamento temporale della scala di performance (soprattutto di udito e linguaggio) a 14 mesi,
in una fase pre-impianto, la scala era molto bassaà14esimo percentile (c’era un ritardo di 3 mesi, che sono tanti in un
bambino piccolo), con il tempo, già a 29 mesi (quando aveva fatto un impianto) la scala migliora nettamente, fino a 37
mesi dove si è quasi normalizzata à45esimo percentile, valore molto alto. Per quanto riguarda la comprensione, il
bambino riconosceva parole, frasi, era in grado di poter sostenere una conversazione anche abbastanza lunga.

Ritornando al caso precedente, dove l’entità della perdita era simile, si capisce che a prescindere dall’entità della
perdita, se la diagnosi è precoce, se si ha una giusta terapia e stimolazione familiare, ambientale, logopedica, il
bambino potrà avere uno sviluppo armonico in primis delle competenze percettive (su cui si batte la terapia) e poi anche
della altre (linguistiche, culturali, attentive), che gli permetteranno di avere una vita quanto più vicina a quella di un
normoudente. Tre sono, quindi, gli aspetti più importanti da considerare: diagnosi precoce, terapia adeguata e
coinvolgimento familiare (perché abbiamo detto che non tutti i bambini hanno necessitano di logopedia). Se abbiamo
due di questI non è detto che il terzo incida ma se sono presenti tutti abbiamo l’optimum.

CASI CLINICI DEGLI ANNI PASSATI

Paziente con ipoacusia di grado medio; diagnosi molto precoce, intorno ai 5 mesi, considerando che è una sordità di
tipo medio e non di grado profondo; etá di protesizzazione coincide quasi con l'età di diagnosi. Al momento della
valutazione ha 5 anni, quindi dovrebbe avere una sviluppo linguistico completo; questo bambino già da un anno non fa
più riabilitazione logopedica, mentre un tempo la riabilitazione di un bambino ipoacusico durava fino ai 16,17 anni.
Non c'è familiarità per ipoacusia. È un bambino bilingue con entrambi i genitori rumeni.
All'ultimo controllo, effettuato da poco tempo, presenta una buona resa a livello tonale, e un'ottima resa
dell'audiometria vocale. Questo è un compito di riconoscimento di parole, io sto al suo fianco per evitare che lui possa
leggere il labiale. Ci sono lievi distorsioni fonetiche, nonostante sia una sordità di tipo medio, ma questo è legato
all'esposizione linguistica: è un bimbo rumeno dove l'esposizione primaria alla lingua è quella rumena, quindi nel
contesto familiare parla rumeno e anche italiano, mentre solo negli ambiti esterni, quindi a scuola, parla la lingua
italiana e quindi c'è una lieve cadenza legata alla provenienza e non ad un problema di ingresso

Paziente che al momento della diagnosi ha12 mesi, al momento della valutazione ha 4 anni ed è affetto da Ipoacusia
di grado profondo. All’età di 4 mesi è stato sottoposto ad intervento per impianto di protesi cocleare e ancora oggi
effettua riabilitazione logopedia. Non presenta familiarità di ipoacusia anche se il fratello è ipoacusico, ciò perché 2/3
dei geni causa di sordità non si conoscono ancora e di solito nell’effettuare i controlli non vengono testati tutti i geni
ma solo quelli più frequentemente interessati. Quindi sebbene GJb1 GJB6 siano negativi non vuol dire che i due fratelli
non possono essere affetti da forme familiari solo che al momento non siamo in grado di individuarle. Il bambino per
quanto riguarda gli aspetti della valutazione quantitativa grazie all’ impianto ha una resa ottima, per quanto riguarda
gli aspetti qualitativi ha un ascolto molto valido, comprende il 100% informazioni lessicali. I test di tipo percettivo
dimostrano che anche le competenze sono alte: riesce a discriminare consonanti anche molto diverse tra loro anche in
presenza di distrattori. Se valutiamo gli aspetti linguistici legati alla comprensione frassica presenta un punteggio di
26,5 a livello del 75 percentile, cioè un valore superiore alla media di un bambino normoudente della stessa età. Il Test
effettuato è molto lungo:consta di 67 item, si impiega più di 1 h. L’articolazione non è perfetta a causa della diagnosi
tardiva.

Paziente con sordità profonda, la bambina giunge alla diagnosi all’età di 2 anni e 5 mesi e al momento valutazione
ha poco più di 3 anni .Presenta una sordità grave a sx e profonda a dx.
Alla prima valutazione dopo l’impianto della protesi il recupero è buono; al secondo controllo la resa è modesta ,ma
la bambina presenta un importante otite catarrale che condiziona i risultati dei test: ciò ci fa comprendere che più
fattori contribuiscono ai risultati per cui il monitoraggio deve essere continuo. Al successivo controllo del marzo 2013
il recupero quantitativo è buono ma qualitativamente non ottimale: infatti la scheda tecnica della protesi presenta una
curva del guadagno e una curva di uscita massima molto ravvicinate tra loro, in poche parole la qualità segnale non è
ottima, per cui la bambina sente i suoni distorti. Se effettuiamo un test di percezione verbale, possiamo valutare la
categoria di appartenenza della bambina ovvero la numero4.La bambina infatti identifica le parole per discriminazione
vocalica e non consonantica e se andiamo a effettuare una valutazione del linguaggio è in un livello transazionale
ovvero non usa spontaneamente il linguaggio verbale ma solo su richiesta. Le competenze sono basse in quanto sebbene
la famiglia sia collaborante nel follow-up è una famiglia di sordomuti .
La bambina sente le informazioni ma non riconosce quelle ad alta frequenza ,per esempio la“s”.

Bambino di 4 anni e 5 mesi con ipoacusia profonda ma la diagnosi è stata effettuata precocemente intorno ai 4 mesi
ed è stato sottoposto ad intervento con impianto bilaterale sequenziale cioè con tempi diversi tra i due lati.
In genere l’impianto bilaterale simultaneo si consiglia ai bambini piccolissimi, mentre il sequenziale ai bambini più
grandi o in presenza di genitori che non vogliono sottoporre i figli ad interventi lunghi ( il monolaterale richiede circa
3h di intervento, il bilaterale 4-5h).Nonostante il monolaterale dia una percezione del parlato valida, si consiglia il
bilaterale perché permette un ascolto bi neurale migliorando la percezione nel rumore.
Al momento della Diagnosi i potenziali sono assenti,al primo esame post impianto il recupero è buono,
quantitativamente ha recuperato, sta nella 7a categoria percettiva, comprende tutto perfettamente per via acustica ma
è poco stimolato dalla famiglia: più fattori contribuiscono al recupero.

Conclusioni: La nostra esperienza ci dice che i tre fattori principali per il recupero sono:diagnosi precoce,adeguata
terapia e coinvolgimento familiare,se abbiamo due di queste non è detto che il terzo incida ma se sono presenti tutti
abbiamo l’optimum.
IPOACUSIE

Definizione: Normoacusia è la capacità di percepire i suoni ad intensità inferiore o pari a 25db presentati. L’ipoacusia
invece si definisce come un innalzamento della soglia di udibilità che può essere dovuta a:
• Diminuzione della capacità uditiva (sentire meno)
• Alterazione della qualità del segnale acustico (sentire diverso)

Epidemiologia: Negli ultimi 15 anni si è assistito ad una diminuzione dell’incidenza delle forme idiopatiche (per
maggiore controllo delle cause esogene) ed un aumento delle forme genetiche (per una maggiore individuazione).

Epidemiologia nel mondo:

o Paesi sviluppati:
o 1.5/1000 sordità congenita
o 0,3/1000 svilupperà sordità post-natale prelinguale
o Paesi in via di sviluppo
o 2/1000 sordità congenita
o 1/1000 svilupperà sordità post-natale prelinguale

Nei paesi in via di sviluppo l’incidenza di sordità infantili sono circa 3 volte superiori ai paesi sviluppati. In ogni caso è
probabile che il numero sia sottostimato.

Prevalenza in Europa tra il 1975-1979:

o Austriaà0,8
o Danimarcaà1.3
o Regno unitoà1.2-4.2
o Finlandiaà0.3-2.3
o Franciaà0,54
o Irlandaà1,3
o Italiaà2,3
o Sveziaà1,1-2,6

Chiaramente quando parliamo di una prevalenza come quella in ITALIA di 2,3 è più di 1:1000 ma considerate che
1:1000 è sui NATI. E' chiaro che man mano che i bambini crescono esistono anche le forme post natali e quindi
l'incidenza cresce.

In Campania è stata individuata un’incidenza della sordità dell’1.4/1000, ma non basta, è necessario avere un database
che permetta di capire i fattori di rischio di questi bambini (es. prematurità, familiarità) e anche dove vivono. Per
esempio, bisogna vedere se nella provincia di Napoli rispetto a quella di Salerno c’è una maggiore frequenza di casi di
sordità, infatti, da un’indagine è emerso che la frequenza è maggiore a Salerno e in particolare in determinate aree di
questa provincia. Sarebbe interessante trovare le cause di questi accentramenti di bambini sordi in queste aree.

Nel 2012-2013 si è avuta un’incidenza nettamente maggiore rispetto a questa, in quanto c’è stata un’epidemia di
rosolia, che determina problemi visivi, centrali (del sistema nervoso) e uditivi. Probabilmente la causa è stata un
problema nei quadri vaccinali e sembra che una situazione del genere sia ciclica.

Oggi l’incidenza dell’ipoacusia congenita è 1-1.5/1000. In Italia, i bambini con una sordità maggiore di 50dB sono tra i
500 e i 750 con una media di circa 600.
In Italia è obbligatorio lo screening per la fenilchetonuria e l’ipotiroidismo (effettuati alla nascita attraverso un prelievo
di gocce di sangue su un dito o sul piede), due anni fa si è aggiunto un terzo screening, cioè quello della fibrosi cistica
e da quest’anno sono stati inseriti anche la diagnosi precoce dell’ipoacusia congenita e lo screening visivo. Ricordiamo
che la Campania è stata la prima regione in Italia a farlo (a partire dal 2006). E’ giustificato che lo screening uditivo
neonatale sia entrato nei LEA (livelli essenziali assistenziali)? Rispetto alla fenilchetonuria, alla fibrosi cistica e
all’ipotiroidismo, la sordità ha una prevalenza nettamente più alta, quindi la risposta è si. L’ipoacusia è anche 3 volte
più frequente della Sindrome di Down, 6 volte più della spina bifida e 50 volte più della fenilchetonuria.

Prevalenza incidenza e intervalli di confidenza: Perché sono importanti prevalenza, incidenza e gli intervalli di
confidenza? Perché ci permettono di capire un fenomeno come si manifesta nel tempo per attuare delle misure preventive
che ci consentano di tentare di risolvere il problema.

o Prevalenza: corrisponde al numero di casi esistenti in una popolazione, ad esempio il numero dei sordi in Italia.
Quindi non si studia anno per anno ma in genere sugli anni usati per l'osservazione. E' una misura utile per
valutare l'efficienza dei servizi sanitari, come la prevenzione secondaria. Ricordiamo che la prevenzione
primaria consiste nell’evitare che il danno insorga, la secondaria è la diagnosi precoce, mentre la terziaria è
la parte riabilitativa.

La prevalenza è per noi è un fattore importante: per esempio la prevalenza della ipoacusia è 1:1000, anzi
secondo alcuni è 1,5. Ho letto recentemente un lavoro di autori inglesi fatto su 4 milioni di nati e, su 4 milioni
di nati l'incidenza delle ipoacusie neurosensoriali bilaterali è su circa 1 per mille, quindi 1 per mille mi sembra
un valore giusto. Accanto a questo 1 per mille per le forme neurosensoriali, possiamo avere per una maggiore
incidenza le ipoacusie monolaterali, ci possiamo aggiungere le trasmissive legate non tanto a patologia
catarrale ma a anomalie: sono frequenti i bambini che nascono senza padiglione, senza condotto uditivo esterno
oppure malformazioni della struttura della catena ossiculare. Se aggiungiamo questi chiaramente le ipoacusie
aumentano di incidenza. Da tenere presente è che nei paesi con condizioni degradate sul piano economico-
sociale sicuramente l'incidenza della sordità è piu alta, molto spesso legata a consanguineità o condizioni
sanitarie precarie.

o Incidenza: il numero di nuovi casi diviso il numero di persone a rischio in uno specifico intervallo di tempo.
L'incidenza focalizza i nuovi eventi, è utile per il monitoraggio di una malattia e di una epidemia (es. quella di
rosolia). Attraverso gli studi sull'incidenza è possibile seguire nel tempo l'evoluzione delle ipoacusie nell'ambito
di una popolazione e formulare ipotesi utili nella programmazione sanitaria e la prevenzione delle ipoacusie e
la sorveglianza prenatale e postnatale.

o Intervallo Di Confidenza: fornisce informazioni riguardo la precisione dei valori ottenuti attraverso lo studio di
un campione.

Screening: Lo screening viene diviso in primo, secondo e terzo livello.

• Il primo livello sono i centri nascita ovvero i nidi e le terapie intensive neonatali. Nella regione Campania sono
circa 56 i centri nascita dove si esegue lo screening. Viene effettuato un test che si chiama otoemissione
acustiche evocate, un test oggettivo che da una risposta pass/fail o in altri casi clear/unclear. Questa differenza
è dovuta al fatto che l'assenza delle otoemissioni acustiche vocali non deve indicare per i genitori che il bambino
è patologico, ma deve indicare soltanto che il bambino deve continuare un percorso, per cui è importante saper
comunicare con il genitore. Non dobbiamo creare terrore nei genitori dobbiamo creare un criterio efficiente e
giusto per cui se il bambino ha una risposta non chiara, bisogna approfondire facendo in primo luogo un secondo
ricontrollo a ventuno giorni sempre nel centro nascite. Quello che è importante è che non sono gli specialisti a
farlo ma gli operatori dei centri nascita, le vigilatrici di infanzia, perché è un test in cui si appoggia un sondino
sull'orecchio del bambino: l'apparecchiatura da una risposta, uno stimolo acustico. C'è l'eco di risposta della
coclea e quindi si legge sul tracciato pass o fail quindi che può uscire dal percorso di screening o lo continua-
àscreening di secondo livello.

• Il secondo livello è rappresentato da esami che vengono eseguiti entro il secondo mese presso i servizi territoriali
di audiologia foniatria e otorinolaringoiatria presso la regione Campania che sono circa quattordici. I test che si
eseguono sono test più clinici come l’ABR, la timpanometria e l'AABR che sarebbe un potenziale automatico
e da risposta sì o no. Se il bambino è pass esce dal percorso se fail continua il percorso.

• Il terzo livello è rappresentato dalle università presso audiologia dove c’è il centro di riferimento regionale per
la diagnosi precoce e viene al terzo mese.

I 3 punti cardine per la diagnosi precoce: 3 mese per la diagnosi, 6 mese per l’intervento nel percorso riabilitativo, entro
12 mesi capire se la protesi acustica funziona bene forse anche intorno ai 12-18 mesi, se non funziona la protesi il
bambino deve subire impianto cocleare.

Ipoacusie a sviluppo tardivo: Precisiamo che è’ importante seguire i bambini sani o comunque che sembrano sani
all’inizio, ovvero le forme progressive, a comparsa ritardata o acquisite, che altrimenti perderemmo. Queste forme hanno
una prevalenza del 25%. Per queste forme esistono dei particolari fattori di rischio che vanno presi in considerazione.

o Ritardo di linguaggio o di sviluppo nella famiglia


o Familiarità per PCHI (permanent childhood hearing impairment)
o Stigmate di sindrome associata a ipoacusia neurosensiorale o di trasmissione o disfunzione tubarica
o Infezioni postnatali, in particolare meninite batterica
o Infezioni prenatali TORCH, sifilide e rosolia
o Sofferenza neonatale con ipossia, ventilazione meccanica, iperbilirubinemia, ipertensione polmonare
o Sindromi associate con rischio di ipoacusia progressive: neurofibromatosi, osteoporosi, sindrome di Usher
o Malattie neurodegenerative: sindrome di Hunter, atassia di Friedeich, Charcot-Marie Tooth
o Trauma cranico
o Otite media persistente
Prima si andava a studiare la sordità solo in queste condizioni. Poi si è visto che facendo solo una diagnosi precoce su
coloro che hanno fattori di rischio (questo vale per tutte le patologie, non solo per l'udito) si perde la metà del campione.
Quindi se avessi programmato uno screening solo su fattori di rischio avrei perso la metà dei sordi. Per questo oggi a
livello internazionale per tutte le patologie non si fanno indagini sui fattori di rischio ma si devono fare su una
popolazione estesaà quindi la diagnosi precoce NON si fa solo sui soggetti a rischio. Inoltre studi costo benefici hanno
dimostrato che comunque i bambini che hanno fatto screening vengono a costare poi di meno rispetto a quelli che non
lo fanno.

Ricordiamo che nei bambini molto piccoli con problemi congeniti non è possibile fare un test di tipo soggettivo, come
quello audiometrico, ma si esegue un test oggettivo in cui si usano potenziali evocati uditivi. Vengono applicati alcuni
elettrodi al lobo dell'orecchio ed alla fronte e si inviano, attraverso le cuffie indossate dal paziente, suoni con particolari
caratteristiche. Quest'esame fornisce importanti informazioni per la localizzazione di una perdita uditiva
neurosensoriale che potrebbe dipendere da malattie del labirinto, del nervo acustico o dei centri nervosi ed è molto
importante per escludere la presenza di un neurinoma del nervo acustico. I potenziali evocati uditivi vengono anche
richiesti per la diagnosi di sordità dei bambinià il bambino dorme, si danno degli stimoli (per es. 2000 stimoli), si fa
la media e si hanno delle onde, la cui ripetizione ci fa capire che il bambino ha sentito quell’onda, poi si riduce man
mano l’intensità e si può così calcolare la soglia uditiva del bambino.

Classificazione dell’ipoacusia:

• Entità del deficit


o lieve à soglia uditiva tra 25 e 40 dB
o media à soglia tra 40 e 70 dB
o grave à soglia tra 70 e 90 dB
o profonda à soglia oltre 90dB

• Deficit legato alle frequenze:


o Deficit tra 125 Hz e 1000 Hz danno nel 95% dei pz una perdita di potenza del segnale, mentre nel 5%
una difficoltà nella discriminazione delle parole. Questa forma è frequente nei bambini ed è associata
ad otite catarrale cronica.
o Deficit tra 800 Hz e 8000 Hz al contrario comportano nel 95% dei pz difficoltà nella discriminazione
delle parole e solo nel 5% una perdita del segnale. Questa forma è frequente negli anziani ed è chiamata
presbiacusia.

• Mono o bilateralità dell’ipoacusia : Le forme monolaterali avranno un impatto minore sullo sviluppo del
linguaggio del bambino. Prima davamo scarsa importanza a quelle monolaterali, perché con un orecchio solo si
riesce ad acquisire un linguaggio, come chi nasce con un solo occhio riesce a vedere, ma andando avanti si è
visto che in bambini con ipoacusia monolaterale si stabilisce un DSA, cioè disturbi dell'apprendimento, per cui
oggi si sta ponendo il problema di analizzare e seguire i bambini con ipoacusie monolaterali. Secondo l'OMS
un soggetto con soglia uditiva superiore a 20 dB si può cominciare a parlare di ipoacusia, secondo altri anche
15 dB).

• Epoca di insorgenza: congenite, presenti alla nascita e acquisite, insorte in epoca post-natale. A seconda dell’età
del soggetto, potremo avere un’ipoacusia nel soggetto adulto o nel bambino. Ci concentreremo principalmente
su quella del bambino, perché quest’ultimo non ha ancora la capacità linguistica e il canale acustico serve
proprio per l’acquisizione del linguaggio (mentre in un adulto che ha già sviluppato il linguaggio, se si ha un
trauma cranico con perdita di udito, si avrà una forma post-verbale). Quindi è importante diagnosticare
precocemente un bambino, perché la diagnosi precoce accanto ad una corretta terapia permette un
autoapprendimento da parte del bambino.

• Cronologicamente in base a linguaggio:


§ Preverbali (<1 anno (al di sotto dei 18 mesi di vita)
§ Periverbali (<2-3 anni)
§ Postverbali (3-14 anni) à prima infanzia (da 3 a 7 anni), seconda infanzia (>7 anni)
E’ importante considerare che esistono forme preverbali, postverbali e periverbali, questo perché nel bambino l’udito è
importante l’acquisizione del linguaggio. Prima esistevano molti sordomuti, cioè persone che non avendo avuto un
processo riabilitativo dell’ipoacusia non acquisivano il linguaggio. Inoltre, fino ad alcuni anni fa esisteva
un’associazione, l’Ente nazionale sordomuti, ora hanno tolto il “muto”, perché con le nuove tecnologie oggi è
impossibile (tranne in casi estremi) non riabilitare la parola, ad esempio soltanto se i genitori decidono di non fare terapia
al bambino o perché il bambino vive in situazioni talmente precarie o posti talmente sperduti in cui non può avere sussidi
dal sistema sanitario nazionale, anche se grazie a tutti i sistemi di telemedicina si può fare oggi anche una riabilitazione
a distanza. Quindi oggi la dizione muto dipende purtroppo soltanto dalla scelta dei genitori.

Il sordomuto sostanzialmente può essere un bambino che non ha avuto una corretta acquisizione del linguaggio sul piano
riabilitativo e che ha bisogno eventualmente di un supporto, quale può essere un supporto gestuale accanto a quello
oralista. Esiste, infatti, un linguaggio di tipo gestuale ovvero il linguaggio dei segni, che spesso viene mostrato anche in
televisione.
Per vostra cultura, sappiate che in Italia esiste un grossissimo scontro sul piano culturale perché alcune associazioni
che sostengono la lingua dei segni vogliono che questa venga riconosciuta come lingua dello Stato italiano: il prof.
ritiene che sia una cosa assurda ed è contrario perché non è la lingua dello stato italiano, sarebbe la lingua di una
minoranza che decide di non voler neanche tentare un approccio riabilitativo corretto. La lingua dei segni è utile, ma
come supporto a una riabilitazione oralista, perché la lingua è quella orale. Tutti nasciamo con una lingua orale, non
esiste essere umano che non usi il canale comunicativo verbale; esistono delle patologie che possono alterarla ma oggi
attraverso le protesi acustiche, l’impianto cocleare e un corretto approccio sanitario il muto non dovrebbe più esistere.

• Handicap associato (multihandicap e polihandicap):

• Handicap polisensoriale (obbliga all’acquisizione di un linguaggio orale, per esempio Sindrome di Usher)
• Handicap associato che interferisce con l’apprendimento del linguaggio (per esempio l’infezione da CMV
con encefalopatia che influenza da solo l’acquisizione della parola)
• Handicap associato che non interferisce con l’apprendimento del linguaggio (per esempio cardiopatia
concomitante)

Che cosa determina l’ipoacusia sullo sviluppo del linguaggio? Si va da aspetti non rilevanti a disturbi del linguaggio
moderati, severi, gravi fino a profonda assenza di linguaggio. E’ importante, quindi, intervenire nel periodo sensibile
(di plasticità cerebrale), che va dalla nascita a 3 anni. Sostanzialmente dobbiamo concentrarci sui primi 12-18 mesi,
perché una compromissione della funzionalità del sistema uditivo determina una ripercussione sullo sviluppo del
linguaggio. E’ importante un percorso di precoce diagnosi ed intervento riabilitativo, o meglio abilitativo: il bambino
protesizzato va in autoapprendimento. Il logopedista è quella figura che riabilita il bambino con problemi del
linguaggio, noi non stiamo parlando di bambini con problemi del linguaggio, ma di bambini con problemi di sordità.
Un logopedista in un bambino protesizzato di 3 mesi non può fare esercizi riabilitativi, ma funge da supervisore dei
genitori, che dovranno fare la stimolazione acustica, per vedere i progressi del bambino nell’acquisizione del
linguaggio. Questo processo abilita il bambino all’autoapprendimento.

Ci sono evidenze forti che una sordità da profonda a media maggiore di 40 dB comprometta la comunicazione, il
linguaggio e il comportamento in età scolare. C’è minore evidenza, invece, che una sordità minore di 40 dB abbia un
impatto sempre sulle abilità fonologiche, sulle capacità di linguaggio e anche sui risultati scolari. Nelle sordità profonde
prima i bambini andavano nelle scuole speciali (soltanto per sordi), cosa che non avveniva nelle forme medie. E’
possibile, quindi, un intervento precoce, efficace ed economico: il costo di un bambino che segue il percorso della
diagnosi precoce è minore rispetto quello di un bambino che non segue questo percorso. Prima la diagnosi avveniva in
età tardiva e si faceva logopedia fino ai 18 anni, oggi, invece, termina in età scolare per cui il costo totale della
riabilitazione è molto minore.

• Andamento temporale:
o Stazionarieàrimangono uguali come entità della perdita
o Ingravescentiàil bambino peggiora, come in molte forme genetiche
o Fluttuanti

Quando la patologia peggiora bisognerà adeguare la terapia: se l’ipoacusia diventa da media-grave profonda, si dovrà
utilizzare un sussidio protesico più adeguato al tipo di perdita. Se questo non sarà in grado di recuperare la perdita, si
potrà utilizzare un sussidio protesico chirurgico es. un impianto cocleare, che ha la funzione di “shiftare” la coclea ed
andare a stimolare direttamente con degli elettrodi il nervo (quindi, c’è un ricevitore che è una protesi, si fa un intervento
chirurgico, si raggiunge attraverso la cassa del timpano la finestra rotonda, all’interno della quale si pone un elettrodo,
che percorre tutta la coclea e va a stimolare direttamente ed elettricamente il nervoà la coclea viene completamente
esclusa). Questo implica che dobbiamo essere certi che la protesi non funzioni, perché mettere un elettrodo all’interno
della coclea significa danneggiarla e quindi, il danno sarà irreversibile.
Per quanto riguarda i tempi a 3 mesi va messa la protesi, a 6 mesi va inserito in un contesto riabilitativo e a 1 anno si
effettua eventualmente l’impianto cocleare. Si hanno, infatti, 6 mesi (dal 6° al 12esimo mese) per capire bene se la
protesi funziona o no; se non funziona, tra il 12esimo e il 18esimo mese sarà necessario eseguire l’impianto perché
altrimenti non ci sarà l’acquisizione del linguaggio. I bambini impiantati avranno una perfetta proprietà di linguaggio.
Non è detto, quindi, che dopo la protesi non ci sia la possibilità di fare altro e perciò ormai non si parla più di sordomuto,
a meno che non si parli di casi gravi come per es. una meningite che porta ad ossificazione della coclea, all’interno della
quale non sarà più possibile posizionare un elettrodo. In questi casi, se non si fa in tempo utile questo tipo di intervento,
il bambino non potrà ricevere l’impianto, non avrà né il recupero con la protesi né un recupero con l’impianto e si dovrà
aiutare con il linguaggio dei segni.

• Sede anatomica del danno


o Trasmissivaà espressione di una lesione a carico dell’apparato di trasmissione (orecchio esterno e medio).
In questo caso la via aerea risulta essere alterata, mentre la via ossea è normale.
o Neurosensoriali
- se espressione a carico delle cellule ciliate = cocleare
- se espressione a carico dell’8 nervo cranico = retro-cocleare
Le ipoacusie neurosensoriali sono la causa più frequente di sordità infantile con un’incidenza che varia
tra 0.6- 1/1000 nati. Chiaramente dipende molto dalla popolazione studiata, dalla classe sociale e altri
fattori e nelle TIN, dove ci sono soggetti a rischio, che hanno avuto infezioni, problemi nel parto,
l’incidenza è molto più alta: 1-2/200 nati. Questo tipo di ipoacusia comporta una alterazione sia della
via ossea che della via aerea.
o Misteà espressione di una lesione contemporanea ma non necessariamente sincrona
dell’apparato di trasmissione e di trasduzione.
Un esempio di ipoacusia di tipo misto è l’otosclerosi, in cui si forma un’osteodistrofia a livello
della membrana ovale, della platina della staffa, esattamente a livello della fissula ante-
fenestram e quindi, con l’ossificazione viene bloccato il movimento della platina della staffa
sulla finestra ovale, aumenta la rigidità dell’orecchio medio e ciò provoca un’ipoacusia di tipo
trasmissivo. All’inizio, quindi, il danno nell’otosclerosi è principalmente di tipo trasmissivo;
man mano che va avanti il processo osteodistrofico, viene danneggiata anche la parte sensoriale
dell’orecchio cioè l’organo del Corti e si stabilisce anche una componente neurosensoriale. La
somma di queste due componenti determina un’ipoacusia di tipo misto. All’esame
audiometrico, la riconosco perché posso vedere che la via ossea è normale a certe frequenze,
mentre ad altre (es. 1000-2000 e 4000 Hz) si ha un abbassamento della soglia, che rappresenta
l’instaurarsi della componente neurosensoriale.

Fanno parte delle ipoacusie trasmissive le alterazioni a carico delle strutture contrassegnate come AIR, BONE e FLUID
(quindi anche la parte dei liquidi possiamo considerarla come trasmissiva). Tutto quello che sta dopo di questo, dalla
trasduzione alla conduzione e poi alla percezione e integrazione fa parte delle ipoacusie neurosensoriali.
Se andiamo a guardare all’anatomia: le ipoacusie trasmissive riguardano le componenti anatomiche dal condotto udivo
esterno fino a martello, incudine e staffa, il muscolo stapedio ecc. Le alterazioni neurosensoriali cocleari saranno
collocate nell'organo del Corti, cellule ciliate esterne ed interne (ricordate la divisone funzionale: trasduzione per le
interne, amplificazione per le esterne). Quando invece guardo le ipoacusie neurosensoriali sono coinvolte la coclea, la
branca dell'VIII, tutta la parte che sale verso le aree uditive centrali fino alla porzione temporale che vedete qui
rappresentate con conseguenti alterazioni anche nella comprensione. Questo è lo schema anatomico che ci permette di
fare entrare nelle retrococleari le lesioni CANS e le neuropatie uditive.

La parte trasmissiva riguarda solo la trasmissione, quindi è soltanto un’attenuazione della pressione sonora che giunge
all’orecchio medio. Quando, invece, parliamo dell’orecchio interno, viene coinvolta la parte della trasduzione
meccanoelettrica, quindi, tutta quella parte che interverrà anche in fenomeni di distorsione. Infatti, quando si ha una
forma neurosensoriale cocleare, ci sarà il fenomeno del “recruitment” ovvero una distorsione della sensazione
d’intensità, che sul piano clinico si traduce in una migliore discriminazione di variazioni minime di intensità del suono
(0,3, 0.5, 1 dB) nel soggetto ipoacusico rispetto al soggetto normoudente. Sempre nelle forme neurosensoriali però
retrococleari, non cocleari (che riguardano la parte delle cellule ciliate interne e le sinapsi con le fibre del nervo VIII) ci
sarà un fenomeno di “adattamento”, che è una distorsione della sensazione di intensità nel tempo. Esempio: se si dà
uno stimolo sonoro sovraliminare (per es. 100 dB) ad un soggetto normoudente e uno ipoacusico con neurinoma del
nervo acustico (patologia di tipo retrococleare), ovvero uno schwannoma che comprime il nervo a livello della porzione
dell’angolo pontocerebellareà il soggetto normale per 1 minuto sentirà sempre l’intensità di questa frequenza a 100
dB, mentre il soggetto con ipoacusia di tipo retrococleare a un certo punto non sentirà più l’intensità sonora, bisognerà
aumentare l’intensità. Si faranno poi dei test specifici per valutare il vero e proprio fenomeno di adattamento
nell’ipoacusia di tipo retrococleare.

Tutto ciò che riguarda l’ipoacusia di tipo trasmissivo è recuperabile attraverso terapie mediche (es. otiti catarrali, otiti
croniche) e chirurgiche (es. otiti catarrali legate a rinite allergica, a problema tiroideo nel bambino). Invece, l’ipoacusia
di tipo neurosensoriale non è recuperabile proprio perché parliamo generalmente di un danno delle cellule
neurosensoriali del Corti: è irreversibile perché un volta instaurata la perdita non è più possibile il recupero sul piano
funzionale. Le forme miste, invece, essendo irreversibili, hanno un’unica opzione terapeutica che è quella protesica, un
domani forse ci sarà una possibilità con la terapia genica attraverso cui sarà possibile rigenerare le cellule ciliate, ma fa
parte ancora della ricerca (le sole applicazioni della terapia genica al momento sono quelle per l’occhio, per la fibrosi
cistica).

• Causa:
§ Genetiche (60%): 60% Non sindromiche [AR (60-70%), AD (30%), X-linked (2%), Mitocondriali,
poligeniche] e 40% Sindromiche;
§ Acquisite (20-25%): prenatali, perinatali e postnatali. Comprendono forme dovute a: toxoplasmosi, rosolia
congenita, CMV congenito, meningite;
§ Idiopatiche (15-20%).

Eziologia: L’etiologia è importante per il clinico:

1. Per inquadrare meglio il soggettoà Nella diagnosi per evitare ulteriori indagini soprattutto nei casi bordeline
2. Per capire se la patologia è lieve all’inizio e progressiva e tende quindi a peggiorare nel tempoà prognosi. A
seconda delle mutazioni si può in qualche modo fare una correlazione genotipo-fenotipo e capire il tipo di
progressione dell’ipoacusia, così avete un’idea se l’ipoacusia rimane stabile (maggioranza dei casi) o tende alla
progressione; questo chiaramente aiuta moltissimo il clinico ma anche il pz a sapere a cosa andrà incontro.
3. Nel predire lo sviluppo di altre caratteristiche cliniche nel caso di forme sindromiche
4. Per capire l’approccio terapeutico migliore ad esempio se è utile aspettare o intervenire subito. Per esempio in
presenza di alcune mutazioni è inutile fare un impianto cocleare, quindi sottoporre il pz ad un’operazione perché
tanto l’impianto non funzionerà, in quanto è danneggiata una parte tale da non permettere all’impianto di
funzionare.
5. È anche importante per i pazienti stessi se hanno un figlio sordo o sono essi stessi sordi, perché prima il paziente
pesava ad altre cause es. sono sorda per un incidente, una caduta in tenera età, ma in più del 60% dei casi ciò
non è vero. Molto spesso ci sono cause genetiche e le persone tendono a rifiutarlo perché si sentono colpevoli
di essere portatori di un difetto genetico; molte persone però vogliono sapere perché vogliono programmare
una nascita, per capire quanto aspettarsi di avere un secondo figlio malato (counselling genetico), se c’è stato
un comportamento sbagliato in gravidanza come l’uso di farmaci ototossici o se il problema è genetico.

I pazienti vogliono sapere perché:

• Spesso si sentono colpevoli per aver assunto qualcosa durante la gravidanza o si sentono colpevoli per essere
loro i portatori di un gene malato.

• Vogliono capire qual è la probabilità di avere un altro figlio affetto (Counselling genetico)…

L’ipoacusia è nella stragrande maggioranza dei casi (circa


90%) congenita cioè legata ad agenti che intervengono nel
periodo pre- e peri-natale.
Delle cause di ipoacusia: il 60% è ereditario e il 40% è acquisite. Tra queste ultime abbiamo cause pre-, peri- e post-
natali. Tra le pre-natali ci sono forme tossiche (endogene ed esogene) ma la causa principale è senza dubbio il complesso
TORCH in particolare rosolia e CMV. Grazie alla campagna vaccinale contro la rosolia, possiamo dire che CMV è oggi
la causa principale di ipoacusia di origine infettiva nei casi prenatali. Tra le cause peri-natali abbiamo invece ipossia ed
ittero, mentre tra quelle post-natali le cause sono infettive, traumatiche e tossiche.

Col passare degli anni, questo 40% delle cause acquisite tende a scendere, perché più di quanto si pensa è dovuto in
realtà a cause ereditarie. Le due cause principali sono quelle ambientali (TORCH, infezioni e traumi fisici) e quelle
genetiche (60%). Tuttavia non è detto che queste due cause siano mutuamente esclusive: ci possono essere casi di
ipoacusia in cui le cause si sono sommate (casi particolarmente sfortunati). Non è detto che uno che abbia avuto
un’infezione di CMV in gravidanza non possa avere anche un
problema genetico, quindi sarebbe opportuno indagare
sempre le 2 cause.

In sintesi, alla nascita le forme genetiche + CMV


rappresentano l’89%, mentre a 4 anni l’81% circa, perché il
CMV è diventato più importante. Comunque attualmente
molti casi rimangono ad eziologia sconosciuta anche perché
non tutte le cause genetiche sono state identificate (non sono
noti ancora tutti i geni implicati).

Ci concentriamo sulle neurosensoriali che sono le più diffuse


e studiate dal punto di vista molecolare.

IPOACUSIE NEUROSENSORIALI
Epidemiologia:

• L’ipoacusia neurosensoriale è la causa più frequente di sordità infantile (circa 0.6-1/1000 nati)
• Il numero può variare a seconda della zona geografica analizzata
• Inoltre, l’incidenza è molto più alta per i neonati delle TIN (1-2/200 nati)

Classificazione: Per quanto riguarda le ipoacusie neurosensoriali abbiamo che il 70% è non sindromico, il 30% è
sindromico (sono note più di 400 sindromi, domanda scritto).

• Non sindromiche:
• Sindromiche

NON SINDROMOCHE: Vengono classificate in base al meccanismo di trasmissione

• Autonosmiche recessive che sono la fetta


maggiore (80%)
• Autosomiche dominanti sono il 15%
• Legate al cromosoma X, Y e
mitocondriale che costituiscono il restante
5%.

Nella popolazione possono esserci molti alleli


diversi ad un locus

In un individuo ci sono al massimo due alleli


diversi ad un locus.

Penetranza = frequenza con cui un gene o una


combinazione di geni si manifesta nel fenotipo. Si
definisce come completa o incompleta
• Penetranza completa: in genere malattie recessive
• Penetranza incompleta: comune nei tratti mendeliani dominanti e sempre presente nei tratti multi-fattoriali.
• Penetranza incompleta legata all’effetto di altri geni e/o dell’ambiente
• Spesso i tratti dominanti saltano una generazione

Distinzione delle modalità di trasmissione: Per distinguere tra le varie modalità di trasmissione è molto utile lo studio
dell'albero genealogico. Un albero genealogico è un diagramma che mostra le informazioni di tutti i componenti della
famiglia per diverse generazioni. Per la costruzione di un albero genealogico è molto importante raccogliere una
anamnesi personale e familiare completa. Per costruire un albero genealogico (eventualmente raccogliendo i ricordi dei
nonni…) occorre quindi avere un colloquio con qualche componente della famiglia che possa fornire le seguenti
informazioni:

• Il grado di parentela tra i vari componenti della famiglia


• Quanti familiari sono affetti dalla alterazione considerata
• Altre alterazioni presenti in famiglia

Esso lo si compone chiedendo dei fatti alla famiglia: più fatti chiedete e meglio è, perché se non vi dicono ad esempio
che un matrimonio è tra consanguinei non vi trovate più con la trasmissione, quindi bisogna sapere tutto di quella
famiglia e bisogna sapere anche tutte le malattie che hanno, anche i problemi più banali.

Per quanto riguarda le ipoacusie per esempio, se anche presumono di avere un’allergia con alterazioni della pelle,
quelle sono cose importanti perché come vedremo dopo ci sono dei tipi di ipoacusie associate a problemi cutanei e
molte persone non sanno che il loro problema non è un’allergia ma è un problema diverso.

AUTOSOMICO DOMINANTE: (15%) DFNA

• Presente in tutte le generazioni, a meno che


non ci sia una dominanza incompleta con
salto generazionale.
• Insorgenza tardiva, sono in genere post-
verbali e più lievi
• Carattere progressivo, proprio perché sono
più lievi all’inizio tendono ad aggravarsi, a
differenza delle recessive che partono come
forme gravi
• Non molto gravi
• Bassa penetranza, può capire che i genitori
siano affetti ma i figli no
• Spesso asimmetriche
• Spesso non è interessato tutto lo spettro
delle frequenze, con perdite solo a basse
frequenze
AUTOSOMICO RECESSIVO: (DFNB) (le più diffuse, circa l’80% dei casi).

Nelle recessive l’albero è più orizzontale


e ci sono dei parenti lontani che hanno
forme di ipoacusia

• Insorgenza precoce: in genere già


alla nascita quindi sono spesso
congenite
• Bassa tendenza alla progressione
• Variano da gravi a profonde
• Alta penetranza
• Simmetriche
• Perdite uditive pantonali, cioè su
tutto lo spettro uditivo delle
frequenze

X- LINKED: (2-3%) DFN

• Recessive
o Maschi affetti nettamente prevalenti
o Nei maschi affetti l’allele difettoso
viene dalla madre (sana)
o Se madre portatrice 50% di rischio di
insorgenza e ricorrenza se figlio
maschio
o Femmine affette: o figlie di malati
maschi e femmine portatrici o
eterozigoti con lyonizzazione
sfavorevole della X sana
o Impossibile la trasmissione maschio-
maschio. Tutte le figlie femmine di un
malato portatrici obbligate
• Dominanti:
o Femmine affette prevalenti sui maschi
o Femmine colpite in maniera piu’ lieve rispetto ai maschi
o Maschi affetti avranno tutte le figlie femmine malate e tutti i figli maschi sani (impossibile la
trasmissione maschio-maschio)
o Se madre malata 50% di rischio di insorgenza e ricorrenza sia se figlio maschio che se figlia femmina.

MITOCONDRIALI: (con le X-linked rappresentano il restante 5% quindi sono rare). Sono trasmesse da soggetti di
sesso femminile sia ai figli maschi che alle figlie femmine. L’ipoacusia è neurosensoriale, bilaterale e progressiva con
insorgenza nella prima adolescenza.

Y-LINKED è stata determinata una famiglia giapponese in cui erano affetti solo i maschi, era trasmessa da
maschio a maschio; è rarissima.

LOCI MODIFIER: i geni modifier influenzano l’espressione o la funzione di altri geni.


Caratteristiche cliniche:

Vi dicevo prima che non ci sono regole generali, anche se una cosa generale possiamo dedurla per quanto riguarda
l’ipoacusia: possiamo dire che se la trasmissione è AR, abbiamo un’insorgenza precoce, spesso congenita, bassa
tendenza alla progressione, sono da gravi a profonde, simmetriche, ad alta penetranza e la perdita uditiva è pantonale
(cioè tendono a colpire tutte le frequenze). Le dominati invece insorgono in genere tardivamente (anche post-verbali),
sono a carattere progressivo, bassa penetranza, non molto gravi, asimmetriche e determinano la perdita di un’area
ristretta del campo tonale.

Eterogeneità genetica: Inaspettatamente un organo così piccolo come l’orecchio coinvolge numerosi geni, almeno più
di 100 già scoperti, altri da scoprire e 160 loci, di cui anche altri da scoprire. L’orecchio è un organo piccolo, ma
complesso sia dal punto di vista strutturale che funzionale. Inoltre una possibile spiegazione è che l’orecchio ha uno
sviluppo embrionale complesso perché deriva da tutti e 3 i foglietti.

Ad esempio solo per l’orecchio interno possiamo dire che l’ectoderma dà origine al labirinto membranoso, mentre il
mesoderma al labirinto osseo. Inoltre ci sono molti tipi di cellule diverse, basti pensare all’organo di Corti. Quindi molti
tipi di cellule diverse, molte funzioni diverse vuol dire che i geni implicati nello sviluppo e funzionamento dell’orecchio
sono molti, e questo spiega perché nelle ipoacusie è implicato un numero elevatissimo di geni.

Per le forme neurosensoriali non sindromiche sono stati finora identificati almeno una novantina di geni.

Questa è una tabella i cui numeri sono in


continua crescita in quanto vengono scoperti
sempre più geni e loci.
Principali classi di geni identificati nelle ipoacusie neurosensoriali non sindromiche:

• Miosine
• Fattori di trascrizione
• Proteine del citoscheletro
• Actine
• Solute carriers
• Micro RNA
• Proteine mitocondriali
E soprattutto:

• Canali transmembrana: Gap junctions,Tight junctions, Voltage-gated potassium channels

Infatti il gene maggiormente implicato nelle forme di ipoacusie neurosensoriali recessive non sindromiche è il gene
GJB2 (locus DFNB1, primo locus identificato per le ipoacusie recessive) che codifica la proteina connessina 26 (Cx26)
che è un costituente delle gap junctions ed è coinvolta in un grosso numero di forme di ipoacusia.

Connessine: In diverse forme di ipoacusia un posto di grande rilievo spetta


alle mutazioni nei geni che codificano per alcune connessine (GJB2 e GJB6).

Le connessine sono dette anche gap junction proteins perchè costituenti


delle giunzioni comunicanti (o gap junctions). Queste sono regioni
specializzate di membrana formate da aggregati di canali che connettono
direttamente il citoplasma di cellule adiacenti. Ciascun canale è formato
dalla congiunzione di due emicanali detti connessoni attraverso i quali
avviene lo scambio di ioni (K+ e Ca2+), secondi messaggeri (cAMP, cGMP
ed inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3)) e piccoli metaboliti (glucosio),
consentendo una comunicazione elettrica e biochimica tra le cellule.

Il ruolo esatto nell’orecchio interno non è ancora noto. Si ipotizza che siano coinvolte nel riciclaggio del potassio dalle
cellule ciliate all’endolinfa per mantenere il potenziale endococleare che è molto importante per il corretto
funzionamento dell’orecchio. È una funzione molto importante perché nell’orecchio ci sono liquidi come endo e
perilinfa ricchi di ioni; se c’è uno squilibrio ionico, c’è degenerazione cellulare, necrosi con danno all’udito.

Nel genoma umano sono stati identificati almeno 21 geni che codificano per differenti isoforme delle connessine, e
quasi tutte le cellule del corpo esprimono almeno uno di questi geni sia durante lo sviluppo embrionale che nella vita
post-natale ed adulta. I 21 geni che codificano per le connessine sono tra loro molto simili, ma hanno comunque delle
differenze; non tutti i 21 geni sono espressi in tutti i tessuti:

• La connessina 26 è altamente espressa nella coclea (legamento spirale e limbo spirale), nel fegato, nella cute e
nella placenta. Non sono mai stati identificati finora problemi nel fegato e nella placenta causati da mutazioni
della contessina 26, mentre molti ne sono stati riscontrati per quanto riguarda l’orecchio e la pelle. Non si sa
bene il motivo di ciò ma l’ipotesi è che probabilmente le altre connessine esistenti vadano a sostituire la 26
mutata, cosa che non succede in cute ed orecchio perché non ci sono altri tipi di connessine. Molte connessine
sono anche in grado di interagire tra di loro, ma non tutte, per esempio la 26 può formare eterodimeri con la 30
e la 32, ma non forma canali con la 40 (che quindi non potrà sostituire la 26). Contrariamente a quanto ci si
potrebbe aspettare, la Cx26 non è espressa né nelle CCI, né nelle CCE, mentre è espressa nelle cellule di
sostegno.
• Le Cx46 e Cx50 sono state trovate esclusivamente nell’occhio.
• Nei cheratinociti sono espresse le Cx26, Cx30, Cx30.3, Cx31, Cx43
• Nei cardiomiociti troviamo le Cx31.9,Cx40, Cx43, Cx45

Le connessine sono espresse in diversi tessuti, ma in molti casi i loro effetti sono limitati a determinati organi: una
mutazione può colpire un organo che esprime questa proteina, ma questa mutazione non influenza altri tessuti che
esprimono la stessa proteina. Il meccanismo preciso per questa selettività è in realtà ancora sconosciuto.
GJB2: Gene maggiormente coinvolto nelle forme neurosensorialià GJB2 (gap junction) che codifica per la proteina
connessina 26 (Cx26). Ricordiamo che le gap junction svolgono un ruolo molto importante nella funzione cocleare:

• Permettono gli scambi di ioni e liquidi tra le cellule e tra le cellule e l’ambiente circostante.
• Permettono il riciclaggio del K+ e il mantenimento di un equilibrio ionico

Dal punto di vista molecolare, abbiamo detto che ci sono almeno un centinaio di geni, quindi l’indagine molecolare è
complessa, attualmente esistono pannelli che hanno diversi geni ma non tutti li hanno (noi non li abbiamo, quindi ci
limitiamo allo studio della Cx26 e Cx30 e della pendrina). L’unica fortuna è che la Cx26 è un gene molto piccolo, posto
sul 13q12.11 e formato da 2263 nucleotidi. Ci sono solo 2 esoni:

o L’esone 1 non è coding quindi non dà origine alla proteina ma contiene solo le regioni di regolazione del
gene;
o L’esone 2 è il coding.

Il gene è peculiare, è piccolo con un solo esone coding; basta spostarsi di una sola posizione, di un nucleotide, e cambia
il fenotipo. E’ stato uno dei primi geni con queste caratteristiche ad essere studiato, cioè cambia fenotipo spostando un
singolo nucleotide.

La maggior parte delle mutazioni avviene


nell’esone 2, che codifica per una proteina di 227
aa però sono state anche identificate alcune
mutazioni nella zona del promotore che è l’esone
1 e tali mutazioni impediscono la corretta
trascrizione del gene e dell’RNA determinando
un problema più a monte.

Il fatto che sia piccolo ci permette di fare


un’indagine semplice ed economica, quindi la
possiamo fare a tappeto in tutti i bambini
ipoacustici. Due delezioni si trovano tra la
contessina 26 e la 30 (zone regolatrici).

Questo è un cromatogramma in cui vediamo che c’è una


35delG, cioè in posizione 35 si è persa una G, questo
porta ad una proteina tronca, quindi questa mutazione
provoca una sordità profonda. Però è una mutazione
recessiva, quindi bisogna averne 2 per avere ipoacusia.

GJB2 oltre ad essere stato il primo gene identificato nelle ipoacusie neurosensoriali, è anche il più frequentemente
coinvolto. La mutazione della connessina 26 nella popolazione mediterranea è responsabile del 50% delle sordità
genetiche ed è causa sia di forme recessive, sia di forme dominanti, sia di forme sindromiche con problemi della pelle.
Pur essendo un gene piccolo, basta spostarsi di un solo nucleotide o amminoacido per avere un cambiamento fenotipico
notevole, per esempio passare da un’ipoacusia sindromica ad una non sindromica. La mutazione più frequente è la
35delG (80%) che crea uno shift e quindi una proteina tronca. Essendo però una mutazione recessiva per avere effetto
o deve cadere su entrambi gli alleli o associarsi in doppia eterozigosi con un’altra mutazione recessiva.

L’incidenza dei portatori varia a seconda della zona esaminata: 1/35 nel Sud Europa tra cui l’Italia, 1/79 nel Centro-
Nord Europa. È una percentuale alta però, essendo recessiva la condizione singola, non basta per la malattia, il problema
è quando un portatore ha un figlio con un altro portatore perché si può avere nel 25% dei casi un figlio affetto.

Altre mutazioni: Sebbene le mutazioni in GJB2 sono state trovate in un alto numero di famiglie affette da sordità, ci
sono famiglie associate al cromosoma 13 che non hanno mutazioni in GJB2 o le hanno su un solo allele (eterozigosi).
Questo suggerì la presenza di un altro gene, coinvolto nella sordità, nella stessa regione cromosomica (locus). E’ stato
infatti identificato il gene GJB6, che codifica per la connessina 30 ed è stato dimostrato il suo coinvolgimento in alcune
forme di sordità. In particolare per le forme recessive sono state identificate due grandi delezioni a monte del gene in
pazienti affetti che presentavano una mutazione nel gene GJB2 sull’altro allele.

Nei portatori di una mutazione si può trovare una mutazione o nella connessina 30 o nella 31 o c’è una delezione a
monte del gene della connessina 30. In realtà, poiché i due geni connessina 30 e 31 sono testa testa sul cromosoma,
questa delezione, che sta al centro, all’inizio era stata imputata alla 30, recentemente in letteratura, si è visto che potrebbe
alterare l’espressione sempre della connessina 26; quindi non possiamo parlare più di espressione digenica, ma sempre
monogenica. Però ci sono comunque dei casi di espressione digenica con mutazioni della connessina 31 associate alla
26 che determinano il fenotipo di ipoacusia.

Poi ci sono alcune mutazioni mitocondriali che danno aggravamento in soggetti che sono portatori di una singola
mutazione GJB2. In genere le mutazioni mitocondriali come la A1555G erano associate a soggetti che avevano fatto
uso di farmaci ototossici. Si è visto però che alcuni soggetti , pur non facendo uso di farmaci ototossici, potevano
sviluppare ipoacusia; questi soggetti erano in realtà portatori di mutazioni nella Cx26, che da sola non avrebbe fatto
alcun danno, ma l’associazione con la mutazione mitocondriale ha portato al fenotipo.

Altri aspetti clinici: La mutazione di questo gene in letteratura è stata descritta come causativa di ipoacusia
neurosensoriale ma non erano mai stati descritti i problemi vestibolari. Negli ultimi anni abbiamo visto che è associata
anche a problemi vestibolari, che non sono comunque gravi perché compensati dal paziente; quindi nell’analizzare un
soggetto con ipoacusia neurosensoriale conviene sempre fare delle prove vestibolari. Prima non si effettuavano perché
si pensava che se il paziente non riportava sintomi, allora non c’erano problemi vestibolari.

Inoltre il gene è stato anche coinvolto in neuropatie uditive; esse si caratterizzano per cellule ciliate esterne funzionanti,
ma è compromessa la funzione del nervo. Quindi se si fa diagnosi con le otoemissioni acustiche, come per le ipoacusie
neonatali, queste, essendo preservata, non consentono di osservare il danno a livello dell’orecchio più interno. Quindi,
soprattutto se si sa che in famiglia c’è qualcuno che ha problemi di ipoacusia, non ci si può fermare alle otoemissioni
acustiche, ma studiare il caso con le ABR, che sono in genere o assenti o anomale.

Diagnosi Come si vede una mutazione nel gene GJB2? Si usa la tecnica PCR: si disegnano i primers, si sequenzia il
prodotto, si identificano poi le variazioni nucleotidiche correndo su gel di acrilamide. Ad esempio nella 35delG si perde
all’elettroferogramma uno dei sei picchi di G che si susseguono normalmente nel gene. Da quel momento si verifica
uno shift con sovrapposizione disordinata di picchi e quindi il gene non viaggia più in parallelo rispetto alla sequenza
normale.
FORME SINDROMICHE:

Forme sindromiche da mutazioni della


connessina 26: Il gene GJB2 che codifica la Cx
26 è responsabile di più dell’80% delle sordità
non sindromiche recessive e di alcune forme
dominanti. Inoltre il gene GJB2 è imputato in
diverse forme sindromiche che coinvolgono
l’orecchio e la pelle.

I fenotipi clinici associati hanno una grande


variabilità del tipo e della gravità. Sono molto
eterogenei e talvolta sono presenti solo
caratteristiche della sindrome incompleta. L’alta
variabilità fenotipica si osserva anche tra i
portatori della stessa mutazioneà questo
succede anche nelle forme non sindromiche di
ipoacusia (ad es 2 persone nella stessa famiglia:
uno ha un’ipoacusia grave ed uno lieve, ma non
si sa ancora bene perché). Si è parlato di geni
modificatori ma non sono stati ancora
identificati. Esistono vari tipi di sindromi che
vedete in tabella, anche se secondo le più recenti ipotesi, si pensa che in realtà queste siano un’unica sindrome che ha
una diversa espressione fenotipica. Ci sono quindi diversi tipi di gravità, passando da una PPK a forme molto gravi con
autoamputazioni delle dita di mani e piedi oppure forme addirittura letali in alcune popolazioni.

o Sindrome KID (cheratite ittiosi sordità)à Le lesioni coinvolgono la cornea, l'epidermide e l'orecchio
interno
o Sindrome HID: (cheratite-ittiosi simil istrice-sordità)
o PPK Cheratoderma palmo plantare e sorditàà L'ipoacusia è bilaterale, neurosensoriale, esordisce nella
prima infanzia, mentre l'ipercheratosi progressiva del palmo delle mani e della pianta dei piedi compare
nella media infanzia.
o Vohwinel
o Burt-Pumphrey
o Caratteristiche mucocutanee unusuali e sordità

Mutazione Sindrome Fenotipo sordità-pelle Dominio proteico

G11E KID Sordità profonda/ ipercheratosi/ problemi oculari IC1


/alopecia

G12R KID Sordità lieve/Limitata ipercheratosi/ lieve problemi IC1


oculari

N14K KID Sordità grave / distrofia ungueale/ IC1


ipotricosi,mucosite e lesioni cutanee
N 14Y KID IC1
sordità profonda / ipercheratosi palmo
plantare/infezioni della pelle distribuite su varie
zone del corpo/problemi oculari
N14Y KID Sordità profonda ipercheratosi palmo IC1
plantare/infezioni della pelle distribuite su varie
S17F KID zone del corpo/problemi oculari IC1

Sordiità disabilità visive anomaliie colore della


pelle e capelli

I30N KID Sordità profonda/ necrosi della pelle TM1

A40V KID Sordità profonda/lieve cheratodermia palmo TM1/IC1


plantare/ipercheratosi follicolare /idroadenite

I fenotipi associati a mutazioni finora identificate sono ampi e in gran parte mostrano una alta variabilità clinica. Il
quadro clinico è molto grave e anche mortale in alcune mutazioni:

1. E‘ stata osservata un’espressività variabile anche per diverse mutazioni nello stesso aminoacido e tra portatori
della stessa mutazione come osservato nelle mutazioni G45E E G130V

2. LA G45E è SEGNALATA COME causativa di una FORMA MORTALE DI KID però NELLA
POPOLAZIONE GIAPPONESE è invece causativa di una FORMA AUTOSOMICA RECESSIVA NON
SINDROMICA

3. La mutazione G130V viene segnalata come causale di due differenti forme sindromiche: PPK e Vohwinkel.

4. Un singolo aa come il D50 può determinare sia la KID che la HID

Forme sindromiche non associate a Cx26:

Per quanto riguarda altre forme sindromiche che non


riguardano la Cx26, ma altri geni, le principali sono
la Alport (ipoacusia + problemi renali), branchio-oto-
renale, Jervell e Lange-Nielsen, NF2, Pendred,
Sticker, Usher (ipoacusia + cecità) e Waardenburg
(ipoacusia + problemi di pigmentazione cutanea –
persone con ciuffo bianco in testa o occhi di 2 colori
diversi).
Sindrome di Usher: AR, caratterizzata
dall’associazione di: ipoacusia neurosensoriale,
retinite pigmentosa, ed in alcuni casi anche
disfunzioni vestibolari. E’ la causa più frequente
di sordo-cecità, contando più del 50% degli
individui che presentano entrambe le disfunzioni,
il 18% con casi di retinite pigmentosa ed il 5% di
tutti i casi di sordità congenita. La prevalenza è
abbastanza alta (3,2-6,2/100000, fattore che
dipende nettamente dallo studio effettuato su
specifiche popolazioni ed etinie, a causa della
diversa prevalenza di diversi sottotipi dovuti da
specifiche mutazioni.

La sindrome si Usher è categorizzata in tre classi, ognuna delle quali possiede una considerevole variabilità sottotipica
che si riflette in innumerevoli sovrapposizioni fenotipiche.

- Tipo 1: La forma più severa, rappresenta 1\3 dei casi con perdita uditiva profonda più retinite pigmentosa
dalla nascita più disfunzione vestibolare
- Tipo 2: Rappresenta i 2\3 dei casi con perdita uditiva severa congenita, retinite pigmentosa con comparsa
in età puberale e funzione vestibolare intatta
- Tipo 3: E’ la meno comune, riguarda solo alcune etnie (es finlandese) con perdita uditiva progressiva
con disfunzione vestibolare e attacchi di retinite pigmentosa

Non è sempre facile distinguere i 3 casi, ma una distinzione può aiutare anche per cercare di capire quale gene andare a
ricercare per vedere se effettivamente è una Usher; uno dei geni principalmente mutati nella Usher è la miosina 7°.

Sindrome di Pendred: La sindrome di Pendred è una malattia ereditaria, a trasmissione autosomica recessiva. Si
manifesta generalmente prima dell'adolescenza con sordità congenita bilaterale neurosensoriale, gozzo tiroideo,
malformazione cocleo-vestibolare e possibile disfunzione vestibolare. La malattia presenta una estrema variabilità inter
e intrafamiliare in termini di gravità dei sintomi ed età di insorgenza. La sordità si manifesta precocemente, alla nascita
o durante i primi anni di vita. E' bilaterale, in alcuni casi assimetrica, fluttuante e spesso progressiva. Le disfunzioni
tiroidee, come la presenza di gozzo o di ipotiroidismo si manifestano principalmente durante l'adolescenza, ma possono
essere congenite o esordire più tardivamente.

Questo ovviamente ci complica la diagnosi: quando troviamo un soggetto con ipoacusia e troviamo la mutazione della
Pendred, magari il soggetto non ha ancora problemi tiroidei, tuttavia la presenza di un acquedotto allargato con una RM
(sindrome E.V.A., enlarged vestibular aqueduct) è un segno tipico di mutazioni del gene della pendrina (SLC26A4) e
quindi a quel punto lo analizziamo. La pendrina, contrariamente alla Cx26, è un gene molto grande, quindi non si può
fare a tappeto l’analisi genetica, che viene riservata solo ai bambini che presentano ipoacusia ed EVA e sono negativi
alla contessina 26, che è il primo gene ad essere esaminato.

Le mutazioni nel gene SLC26A4 della pendrina sono considerate una delle più comuni cause di ipoacusia congenita ed
EVA e sono coinvolte in circa il 10% di tutte le ipoacusie ereditarie. L’acquedotto vestibolare allargato (EVA) è la più
comune malformazione congenita associata ad ipoacusia. In particolare, quindi, due manifestazioni cliniche si associano
alle mutazioni del gene della pendrina:

o Forma non sindromica (DFNB4: ipoacusia ed EVA)


o Forma sindromica (S. di Pendred: ipoacusia ed ipotiroidismo)

La Pendrina è una proteina integrale di membrana costituita da 780 amminoacidi. Questa proteina trasporta particelle
con carica negativa (ioni), tra cui cloruro, ioduro, e bicarbonato, attraverso le membrane cellulari. La Pendrina è presente
nei reni, orecchio interno, e a livello tiroideo. Anch’essa serve quindi per gli scambi ionici, per questo ha un ruolo
importante nell’orecchio. Nei reni non abbiamo grossi problemi, forse per lo stesso motivo della Cx26.

Molto spesso anche nella Pendred è stata trovata una sola mutazione nei soggetti affetti; ci sono quindi altri 2 geni, che
sono FOXI1 e KCNJ10, che possono associarsi a mutazioni della SLC26A4 e dare ipoacusia e Pendred. In realtà
mutazioni in questi due geni sono state riscontrate in pochi casi, però è possibile che esistano.

o FOXI1
o In una grande percentuale di pazienti manca una seconda mutazione nella regione genica di SLC26A4
: è stato identificato un elemento chiave nella regolazione trascrizionale del promotore di SLC26A4.
Questo legherebbe FOXI1, un attivatore della trascrizione di SLC26A4: In alcuni pazienti con PS o
EVA, vi è mutazione di una regione del promotore (c.-103T-->C) che determina l’interferenza nel
legame con FOXI1 così da abolire completamente l’attivazione trascrizionale FOXI1-mediata.
o Sono stati anche individuati pazienti con mutazioni proprio in FOXI1 che compromettono la sua
capacità di attivare la trascrizione genica di SLC26A4.

o KCNJ10: Anche mutazioni nel gene KCNJ10 (canale di potassio) sono state riscontrate associate a
mutazioni nel gene SLC26A4in pazienti con EVA.

NB: Le sindromi della Cx26 e della pelle sono tutte AD, è stato descritto solo un tipo di sindrome AR ma la certezza
non c’è, quindi possiamo dire che sono tutte AD, mentre Usher e Pendred sono AR.

Sindrome di Alport: La sindrome di Alport è una condizione genetica caratterizzata dalla progressiva perdita di
funzione renale e uditiva. La sindrome di Alport può inoltre interessare gli occhi. La presenza di sangue nelle urine
(ematuria) è quasi sempre riscontrabile nella patologia. La sindrome di Alport è causata da mutazioni dei geni COL4A3,
COL4A4 e COL4A5, codificanti catene di collagene. Nella maggior parte (80-85%) dei pazienti affetti la patologia è
trasmessa con un'ereditabilità legata all'X, dovuta a mutazioni nel gene COL4A5. La Sindrome di Alport può essere
ereditata con configurazione autosomica recessiva se entrambe le copie dei geni COL4A3 o COL4A4, collocati sul
cromosoma 2 sono mutate.

Sindrome di Waardenburg: La Sindrome di Waardenburg è una malattia i cui sintomi caratteristici sono:

• Sordità (o deficit uditivo di vario livello) bilaterale,


• Modifiche nella pigmentazione, sia dei capelli che della pelle,
• Anomalie nello sviluppo dei tessuti derivati dalla cresta neurale,
• Lateralizzazione del canto mediale

Inoltre, una delle caratteristiche più comuni è il diverso colore degli occhi (eterocromia), di solito uno marrone e l'altro
blu. Il suo nome deriva da Peter Johannes Waardenburg, un oculista olandese che per primo notò sintomi di ipoacusia
in persone con occhi di colore differente. La sindrome è ereditaria (a trasmissione autosomica dominante), e ne esistono
di 4 tipi differenti, determinate dalle diverse caratteristiche fisiche. I tipi più comuni vengono definiti dai ricercatori tipo
1 e tipo 2. È da ritenersi la causa di oltre il 2% dei casi di sordità congenita.

Sindrome dii Jarvell-Lange-Nielsen: QT lungo


NF2: meningiomi, neurinomi del VIII

Sindrome di Stickler: artrite, disturbi oculari, anomalie facciali.

MUTAZIONI MITOCONDRIALI

Le mutazioni mitocondriali si associano sia ad ipoacusia sindromica che non sindromica


• Per quanto riguarda le forme non sindromiche i due geni più colpiti sono l’ MTRNR1 che codifica per
la subunità 12s dell’ rRNA e l’MTTS1 per il tRNA della serina.
• Anche per le forme sindromiche sono implicati diversi geni.

Anche nelle forme mitocondriali esiste una variabilità fenotipica, una diversa penetranza, un effetto soglia sotto cui il
fenotipo non si esprime. Come già detto ci sono i portatori delle mutazione A1555G che, pur non usando farmaci
ototossici hanno mostrato come l’associazione con la mutazione nella connessina 26 in eterozigosi portava ad un
aggravamento della malattia.

Un’ipotesi che potrebbe spiegare la differente espressione fenotipica nei portatori di mutazioni mitocondriali è il
grado di eteroplasmia: le mutazioni mitocondriali vengono trasmesse solo dalla madre perché i mitocondri sono nel
citoplasma e il numero di mitocondri mutati trasmessi varia: può accadere che la madre passi ad un figlio tutti
mitocondri che portano la mutazione (quando sono presenti tutti mitocondri mutati parliamo di omoplasia), e magari
ad un secondo figlio un 50% di mitocondri sani e un 50 mutati, così in ogni individuo della famiglia c’è un grado di
eteroplasmia diverso. Questo potrebbe spiegare perché in una stessa famiglia soggetti con le stessa mutazione
abbiano una gravità della malattia diversa. Ovviamente è complicato il lavoro del genetista perché può trovarsi in
una famiglia dei soggetti apparentemente sani che però portano la mutazione, quindi non si hanno dati certi fino
all’analisi genetica.
Perché c’è specificità tissutale? Le proteine mitocondriali sono espresse in tutti i tessuti: perché c’è danno
selettivo alla coclea? Ancora non è chiaro.

TRATTAMENTO DELL’IPOACUSIA NEUROSENSORIALE:

• Protesi acustiche
• Impianto cocleare

Esiste una correlazione genotipo fenotipo per decidere quale trattamento? No. Questo perché ad es. mutazioni in
geni diversi possono dare fenotipi simili (le ipoacusie si possono classificare ad es. in perdite delle basse frequenze,
delle alte, ma sappiamo che sono coinvolti più di 100 geni, quindi anche se il soggetto lo identifico come ipoacusia
delle basse frequenze, comunque mi riferisco a una cinquantina di geni) o mutazioni dello stesso gene possono dare
fenotipi diversi e addirittura la stessa mutazione può dare fenotipi diversi. Però i vari studi stanno individuando delle
correlazioni genotipo fenotipo, ad es. si è visto che la 35delG dà sempre un fenotipo grave con bambini con sordità
profonda dalla nascita.

Per quanto riguarda gli impianti, si è visto che il 3-7% dei soggetti non mostra benefici. Per evitare al soggetto,
soprattutto bambini, interventi chirurgici inutili, si stanno sviluppando ipotesi in letteratura. Si è visto che nelle
alterazioni nel ganglio spirale, quindi oltre l’orecchio interno, verso le parti centrali del sistema uditivo, l’intervento
di impianto probabilmente non funziona; invece alterazioni a livello del labirinto membranoso, come nelle mutazioni
della Cx26, con l’impianto danno ottimi risultati. Ovviamente questi dati miglioreranno col tempo perché
aumentando la casistica si possono avere più dati in letteratura per studiare la correlazione genotipo-fenotipo.

Ndr scritto: le protesi acustiche sono adatte per ipoacusie neurosensoriali medio-gravi; l’impianto cocleare è adatto
per ipoacusie neurosensoriali profonde.

Possibili trattamenti futuri:


- Terapia genica virale e non. Si stanno avendo ottimi risultati con quella virale già su umani e non più solo
su topi per i problemi visivi della Usher, invece ancoro solo nei topi per i problemi uditivi.
- Terapia farmaco genetica. Si può pensare di iniettare con l’impianto dei farmaci che impediscono la
degenerazione del nervo.
- Terapia con stem cells, che attualmente è ancora alle basi.
Diagnosi differenziale delle Ipoacusie: La diagnosi differenziale si pone con diverse condizioni quali: disturbi del
linguaggio, disturbi nell’apprendimento scolastico, DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), dislessia, ritardo
mentale di vario grado, etc.

Fasi dello sviluppo del linguaggio:


- Fase di relazione
- Fase di acquisizione delle parole
- Fase dell’acquisizione delle competenze morfologiche e di sintassi

Ritardo transitorio nell’Acquisizione del Linguaggio: in questo caso i bambini hanno uno sviluppo del linguaggio
più lento ma regolare per il resto; non richiedono alcun intervento.

Disturbo specifico del Linguaggio: bambino con QI nella norma (>85) ma abilità linguistiche sotto 1,5DS. Non ci
sono anomalie strutturali (es. palatoschisi) e non hanno problematiche a livello centrale, nemmento problemi di
costruzione di rapporti sociali. In questi bambini sono importanti valutazioni audiologiche, oculistiche, neurologiche
e di neuropsichiatria infantile.

Disturbo = innato; processo neurobiologico di alterazione di alcune aree del cervello; resistente
all’intervento, la logopedia è palliativa.
Difficoltà = non innata; ci sono aree di mancata stimolazione, sono modificabili. Con strategie adeguate, i
bambini recuperano un ritardo e sviluppano delle competenze.
PRESBIACUSIA
Condizione oggi comune dato l’allungamento della vita media; è più comune nei maschi. Si ha una perdita d’udito
progressiva e simmetrica, causata da fenomeni degenerativi associati all’invecchiamento.
E’ un processo multifattoriale.

L’incidenza è maggiore nei paesi industrializzati a causa dei fenomeni dell’inquinamento acustico e della socioacusia
(traffico urbano, televisori, dispositivi per l’ascolto della musica, discoteche etc).
All’età di 80-85 anni, la prevalenza dell’ipoacusia raggiunge il 60%.

Problematiche dei soggetti anziani


- Comprensione verbale
- Processing centrale (integrazione cerebrale)
- Alterazioni della plasticità cerebrale

Inizialmente il problema interessa le alte frequenze (ndr 800-8000 Hz) per poi estendersi a quelle basse.

Trattamento
Utilizzo di protesi acustiche; spesso protesizzare un anziano è difficile: l’ipoacusia è vissuta come un passaggio
all’età senile; non a caso, l’età media dei portatori di protesi in Italia è 74 anni.
La protesi migliora la qualità di vita e i rapporti sociali.
I pz idonei alla terapia protesica sono quelli con ipoacusia invalidante (indipendentemente dal livello di ipoacusiaàil
danno va rapportato all’attività svolta dal soggetto).
Importante è il Counselling informativo ed adattativo, talvolta può essere richiesto l’intervento del logopedista.
Se la terapia convenzionale fallisce, si passa ad impianti protesici non convenzionali (es. protesi ad orecchio medio).
Il tempo che passa dalla presa di coscienza dell’ipoacusia all’uso della protesi è di circa 10 anni, tanto che spesso i pz
giungono alla protesi quando la funzione uditiva è già fortemente compromessa (i benefici sono quindi contenuti).
ACUFENI
Sintomo uditivo costituito da rumori che l’orecchio percepisce come fastidiosi a tal punto da influire sula qualità della
vita. Si stima che gli acufeni interessino il 10-17% della popolazione mondiale con maggiore prevalenza negli over 65
e negli uomini.
Cause
In una considerevole percentuale di casi si parla di “acufene soggettivo idiopatico”. Altrimenti le cause sono:
- Affezioni dell’orecchio esterno (es. tappo di cerume)
- Affezioni dell’orecchio medio (otiti catarrali acute/croniche, otosclerosi, fistole artero-venose, tumori glomici)
- Acufene d’origine neurosensoriale: patologie del recettore periferico, delle vie e dei centri uditivi
N.B. Affezioni di coclea/n. acusticoà patologie vascolari, esposizione a rumore, farmaci, età, malattia degenerativa,
dismetaboliche, neoplastiche, autoimmuni
Affezioni di vie, dei nuclei, delle aree uditive centralià malattie vascolari, degenerative, espansive del tronco
encefalico e del SNC.
Diagnosi
1. Anamnesi = indaga accuratamente molti aspetti (caratteristiche dell’acufene, utilizzo di farmaci, fumo, vita
lavorativa, storia otologica del pz)
2. Otoscopia, Valutazione delle fosse nasali e del Cavo Orale e dell’ATM (possibile acufene oggettivo da click
ATM)
3. Test di Audiometria = audiometria tonale e vocale, test impedenziometrico, ABR, otoemissioni acustiche, test
vestibolari
4. Test di Acufenimetria = utili nella ricerca per dividere i soggetti in categorie e nella pratica clinica per verificare
i risultati dei trattamenti:
o Pitch-Matching: ricerca della frequenza dell’acufene
o Loudness-Matching = ricerca dell’intensità
o Minimal masking level = individuazione del minimo livello d’intensità mascherante l’acufene
o Test d’inibizione residua (ricerca intensità mascheramento che causa inibiz. Acufene) = positiva totale
(l’acufene scompare per secondi, minuti ed ore), positiva parziale (l’acufene si riduce di Loudness per
un certo tempo), rebound (l’acufene aumenta in loudness), negativa (acufene invariato), loudness
disconfort level
Nonostante questi test, non è comunque possibile individuare la categoria di soggetti che è più predisposta a
sviluppare un acufene di grado severo.
5. Questionario TRI = prevede gli items ritenuti validi ai fini di un corretto assessment del soggetto affetto da
acufeni (14 items essenziali, 21 items altamente raccomandabili)
6. Tinnitus Handicap Inventory (THI)
7. Tinnitus Handicap Questionnaire Questi ultimi 4 valutano la severità dell’acufene,
8. Tinnitus Reaction Questionnaire del grado di fastidio e dell’impatto del sintomo
9. Tinnitus Questionnaire sulla vita del soggetto.

Il THI stratifica così i soggetti:


- Grado 1: acufene lievissimo percepito solo in ambienti silenziosi
- Grado 2: acufene lieve, occasionali turbe del sonno
- Grado 3: acufene moderato, avvertito anche in caso di rumore
- Grado 4: acufene severo, interferente con sonno ed attività quotidiane
- Grado 5: acufene catastrofico
N.B. Importanti anche visite specialistiche (patologie metaboliche, CV, neurologiche, odontoiatriche, etc)
Ancora si possono usare:
§ Back Depression Inventory = sintomi depressivi
§ State and Trait anxiety Inventory = ansia
§ Pittsburgh Sleep Quality Index = insonnia
§ Symptom Checklist 90-Revised = alterazioni psicopatologiche associate a diverse malattie

Terapie
Il trattamento degli acufeni è un problema non sempre risolto: questo è un sintomo (e non una malattia) ed inoltre
spesso non c’è correlazione tra caratteristica psicoacustica dell’acufene ed il fastidio indotto da esso.
Terapia medica
- Lidocaina: ev o intratimpanica; risultati temporanei - Antistaminici (acufeni che si associano a vertigine)
- Farmaci vasoattivi (es. betaistina) - Furosemide ev (acufeni di origine periferica)
- BZN, Antidepressivi (TCA), Agonisti del GABA - Ca-Antagonisti
- Estratto di Gingko Biloba
Terapia strumentale
v Stimolazioni elettriche (TENS: Transcutaneous Electrical Nerve Stimulation) ed elettromagnetiche (TMS:
Stimolazione Magnetica Transcranica): stimolazione delle aree cerebrali attivate nei soggetti con acufeni
(precedentemente rilevate tramite indagini neuroradiologiche) ed inibizione secondaria alla stimolazione. È un
trattamento in fase sperimentale e con effetti temporanei.
v Tinnitus Retraining Therapy: il modello neurofisiologico su cui si basa ha come postulato il fatto che il fastidio
dell’acufene e la reazione negativa all’acufene sarebbero da rimandare alle aree del sistema limbico e al SNA. La
terapia associa un Allenamento Acustico (stimolazione uditiva prolungata con segnale sonoro quasi uguale a
quello che provoca l’acufene) ad una Terapia Psicologica
Circa il 70% dei soggetti con ipoacusia riferisce un acufene. L’amplificazione fornita dalle protesi devia l’attenzione
dall’acufene e lo maschera (parzialmente o totalmente); inoltre riduce l’attività neuronale responsabile della
generazione e della percezione dell’acufene [la cosiddetta PLASTICITA’ SINAPTICA MALADATTATIVA]
PATOLOGIA VESTIBOLARE
La valutazione audiovestibolare comprende:
1. Esame audiometrico, impedenziometrico, potenziali evocati uditivi;
2. Studio del riflesso vestibolo-oculo-motore (VOR) in condizioni statiche e dinamiche;
3. Studio del riflesso vestibolo spinale (VSR) in condizioni statiche e dinamiche;
4. Studio dell’oculomotricità attraverso movimenti oculari di origine visiva (ViOM).

STUDIO DEL VOR IN CONDIZIONI STATICHE E DINAMICHE


A) Segni oculomotori nistagmici → prevedono lo studio di:
- Nistagmo spontaneo posizionale: valutato esaminando il pz nelle cinque posizioni canoniche (eretto, supino,
fianco dx e sn, capo iperesteso).
- Nistagmo evocato da manovre oculari: valutato invitando il pz a mantenere una posizione eccentrica dei
globi oculari sul piano orizzontale e verticale.
- Nistagmo generato da manovre cliniche:
o Head shaking test → valuta l’asimmetria dinamiche del guadagno del VOR: il capo del pz è flesso di 30°; viene
ruotato passivamente di 45° a dx e sn sul piano orizzontae ad una frequenza di 1 ciclo/s per 20”.
→ in caso di asimmetria dinamiche del guadagno del VOR, la stimolazione genererà nistagmo sul piano orizzontale
diretto verso il lato prevalente.
→ la comparsa di nistagmo sul piano sagittale o frontale è sospetto per una lesione centrale.
o Manovra diagnostica di Dix-Hallpike → valuta la vertigine parossistica posizionale da litiasi dei canali
semicircolari verticali: pz seduto sul lettino a gambe distese e capo ruotato di 45° verso dx o sn, viene rapidamente
portato in posizione supina con capo sempre ruotato e iperesteso di 20-30°; raggiunta la posizione di attende la
comparsa di sintomi e segni.
→ in caso di verigine posizionale, si avrà movimento di materiale otoconiale resposabile di: nistagmo parossistico
posizionale tipico per quel determinato canale semicircolare (ant o post) e quel determinato lato e vertigine intensa e
di breve durata.
o Manovra diagnostica di Pagnini-McClure → valuta la vertigine parossistica posizionale da litiasi dei canali
semicircolari laterali: il pz è seduto con gambe distese e capo in posizione neutra e viene invitato a distendersi sul
lettino → in presenza di litiasi di verifica già a questo passaggio nistagmo orizzontale transitorio. Dopo circa 30” il
capo del pz viene ruotato rapidamente verso un lato; poiché questo posizionamento ha determinato uno spostamento
del capo di soli 90°, dovrà essere ripetuto successivamente. Il capo del pz viene quindi ruotato rapidamente di 90°
verso il lato opposto e infine la testa viene nuovamente ruotata verso il lato opposto di 90°.
→ in caso di verigine posizionale, si avrà movimento di materiale otoconiale nel canale semicircolare laterale
interessato resposabile di: nistagmo parossistico biposizionale bidirezionale, geotropo o apogeotropo, a seconda che
l’ammasso occupi il braccio con ampollare od ampollare del canale e vertigine intesa e di breve durata.
- Nistagmo generato da manovre strumentali, valutato con:
o Prova di stimolazione bitermica alternata secondo Fitzgerald-Hallpike → valuta la simmetria del VOR, il corretto
controllo inibitorio sul riflesso da parte del cervelletto e la presenza di una dismodulazione centrale mediante
iniezione nel CUE di 250mL di acqua calda 44°C (eccitazione del CSL → nistagmo ipsilaterale) e successivamente
fredda 30°C (inibizione del CSL → nistagmo controlaterale) in 40” con pz a capo sollevato (30°).
o Prova monotermica simultanea ghiacciata → 10 ml di acqua fredda a entrambe le orecchie e capo sollevato di 30°.
Serve per evocare nistagmo nei pz senza nistagmo spontaneo, oppure nei pz con nistagmo spontaneo per
distinguere origine periferica (nistagmo cessa o cambia direzione) dalla centrale (non cambia).
o Test vibratorio → valuta la simmetria del VOR mediante l’applicazione di uno stimolo pari a 100Hz alle due
mastoidi e al vertice.

B) Segni oculomotori provocati non nistagmici → si valutano con il test di Halmagyi: eseguito normalmente sul
piano orizzontale, ha lo scopo di valutare la simmetria dinamica del guadagno del VOR, generato dal CSL e il
corretto guadagno dinamico assoluto dello stesso.
Il capo del pz, flesso di 30°, viene ruotato passivamente e rapidamente di 30° a dx, mentre il soggetto fissa una mira (naso
dell’operatore); viene poi ripetuto a sn.
→ in caso di ridotto guadagno del VOR, al termine della rotazione verso il lato leso il soggetto avrà perso la mira e sarà
necessario un saccadico per recuperarla;
→ in caso di ridotto guadagno bilaterale del VOR, il soggetto perderà la mira per rotazione da entrambi i lati.
C) Potenziali vestibolari miogeni oculari evocati da stimolo acustico: un intenso stimolo sonoro determina
eccitazione delle cellule utriculari e attraverso una via vestibolo-oculo-motoria ascendente, eccitazione dei
muscoli extraoculari che può essere registrata attraverso elettrodi di superficie.

D) Test dell’acuità visiva dinamica: valuta il corretto guadagno assoluto del VOR generato dal CSL. Il soggetto
legge una tavola ottotipica prima in condizioni statiche poi ruotando la testa a dx e sn alla frequenza di 2 Hz.
→ Nel soggetto con guadagno ridotto del VOR, l’acuità visiva dinamica si riduce di oltre 3 righe rispetto alla
lettura in condizioni statiche.

E) Verticale visiva soggettiva: valuta l’alterazione della percezione della verticalità: il soggetto al buio deve
orientare la barra in posizione verticale secondo la propria percezione di verticalità.
→ Il soggetto con imbalance del tono vestibolare periferico sul piano frontale inclina la barra di oltre 4° verso il
lato patologico.

STUDIO DEL VSR IN CONDIZIONI STATICHE E DINAMICHE


A) Test di Romberg: soggetto in piedi senza scarpe, con caviglie che si toccano, braccia incrociate e mani che
toccano la spalla controlaterale; la posizione va mantenuta per 30 sec.
→ è considerato patologico se il pz muove i piedi o braccia oppure apra gli occhi.
Test di Romberg sensibilizzato: eseguito nelle stesse condizioni con un piede davanti all’altro.
Test di Unterberger: il pz è invitato a marciare sul posto ad occhi bendati per 50 passi.
→ è considerato patologico se il pz ruota su se stesso disegnando un angolo > 45°.

B) Potenziali vestibolari miogenici cervicali evocati da stimolo acustico: un intenso stimolo sonoro determina
eccitazione delle cellule sacculari e attraverso una via vestibolo-oculomotoria discendente, inibizione a carico del
muscolo SCM che è possibile registrare attraverso elettrodi di superficie.

STUDIO DELL’OCULOMOTRICITÀ ATTRAVERSO I VIOM: SACCADICI, SMOOTH PURSUIT, OTTICOCINETICO


- Movimenti saccadici: si invita il soggetto ad osservare una mira che si sposta rapidamente in direzione
orizzontale, verticale ed obliqua e valutando la latenza, la velocità e la precisione con la quale viene realizzato il
movimento oculare.
→ l’aumento di latenza è aspecifico;
→ la riduzione della velocità del movimento saccadico sul piano orizzontale orienta verso una lesione pontina;
→ la riduzione della velocità del movimento saccadico sul piano verticale orienta verso una lesione
mesencefalica;
→ la scarsa precisione è suggestiva di lesione cerebellare.

- Smooth pursuit: si invita il soggetto a seguire una mira che si sposta lentamente in direzione orizzontale o
verticale e valutando la precisione con la quale viene eseguito il movimento.
→ una riduzione del guadagno di tale riflesso è suggestiva di lesione cerebellare.

- Riflesso otticocinetico: si invita il soggetto ad osservare un’ampia scena in movimento, valutando la simmetria
della risposta primaria e del post nistagmo.
→ l’alterazione di tale riflesso può indicare una lesione del cervelletto o anche degli emisferi cerebrali.
VESTIBOLOPATIE PERIFERICHE
Sono determinate generalmente da:
- Sofferenza acuta Monolaterale = instabilità, intensa vertigine oggettiva, fenomeni neurovegetativi, sintomi
cocleari (acufeni, fullness, ipoacusiaà presenti in caso di interessamento del vestibolo anteriore)
- Sofferenza cronica Mono/Bilaterale = nel monolaterale abbiamo un’asimmetria labirintica che si realizza
lentamente con sintomatologia spesso sfumata (per un progressivo adattamento) costituita sostanzialmente da
instabilità; nel blaterale abbiamo instabilità ed oscillopsia (non vertigine oggettiva). I sintomi cocleari si
ritrovano solo se c’è interessamento del vestibolo anteriore
Classificazione
Criterio clinico:
Durata: episodio parossistico (secondi, minuti); episodio non parossistico (ore)
Numero di episodi: unico o ricorrente
Criterio funzionale:
Deficit mono/bilaterale
Deficit acuto/cronico
Deficit compensato/non compensato

Bisogna valutare la presenza di fenomeni cocleari associati e sintomi extravestibolari associati.


In genere:
¨ Vertigine parossistica non ricorrente: VPPB (vertigine parossistica posizionale benigna) da cupulo-canalolitiasi
¨ Vertigine parossistica ricorrente: //, equivalente emicranico del bambino e dell’adulto
¨ Vertigine non parossistica e non ricorrente: neurite vestibolare
¨ Vertigine non parossistica ricorrente: malattia di Meniere, idrope endolinfatica ritardata, vestibolopatia emicranica

DEFICIT LABIRINTICO BILATERALE


Cause
- Farmaci vestibolotossici (antimalarici, antitubercolari, gentamicina per trattamento ablativo in pz con Meniere
bilaterale)
- Exeresi chirurgica del neurinoma (VIII) bilaterale per NF
- Meningiti batteriche
- Malattie autoimmunitarie
- Traumi cranici
- Patologie degenerative cerebellari
Clinica
§ Oscillopsia: mancata stabilizzazione visiva delle immagini in corso di movimento (non a riposo)
§ Non ci sono vertigini.

§ Assenza di segni oculomotori nistagmici spontanei e provocati:


o Spontanei valutati in 5 posizioni (eretto, supino, fianco sx e dx, collo iperesteso)
o Provocati anche con stimolo termico ghiacciato
Questi segni sono generati da un’asimmetria labirintica, ma in questo caso la patologia è bilaterale quindi sono
assenti → durante la rotazione del capo il Riflesso vestibolo oculare sarà assente e sostituito da movimenti
saccadici (test di Halmagyi)
§ Segni oculomotori non nistagmici provocati
Test di Halmagyi: rotazione rapida del capoà il soggetto non mantiene gli occhi sulla mira e la recupera solo
con movimenti saccadici (Assenza VOR)

§ Instabilità (specie in assenza di afferenze visive vicarianti e quindi al buio, su superfici accidentate, in presenza di
ampie scene in movimento per conflitto visivo-vestibolare).
o Test di Romberg,
o Romberg sensibilizzato (con colpi allo sterno o ponendo 2 piedi su una linea retta),
o Unterberger patologici (Il pz. fa dei passi sul posto ad occhi chiusi, alla fine ruota per più di 30° (45)
dalla posizione iniziale verso il lato leso).

§ Funzione cocleare dipendente dalla patologia di base


Terapia → farmacologica (patologia di base + Piracetam), riabilitazione vestibolare

Evoluzione
In genere la sintomatologia tende a migliorare modestamente con persistenza dell’instabilità

VERTIGINE PAROSSISTICA POSIZIONALE BENIGNA (VPPB)


Maculo-canalopatia in genere idiopatica, dovuta a spostamenti otoconi da utricolo e sacculo ai canali semicircolari
(CS)
Fattori favorenti/predisponenti
Traumi cranici,patologie acute/croniche dell’orecchio medio ed interno,emicrania,vascolopatia,DM,tireopatia
autoimmune,età avanzata.
Clinica
§ Instabilità
§ Brevi ma intense crisi di vertigine oggettiva nei movimenti di flesso-estensione del collo, passaggi di posizione
eretta-distesa e viceversa,assunzioni nella posizione di fianco quando si è distesi ecc;
§ Fenomeni neurovegetativi.
Diagnosi
1. Manovra di Dix-Hallpike
Pz seduto con gambe distese lungo il lettino e capo ruotato di 45° verso dx e sx.Il pz si distende ed assume la
posizione supina rapidamente con capo iperesteso di 30° dal bordo del lettino.
Attesa della comparsa di sintomi/segni per 30”. La manovra diagnostica è generalmente più efficace quando eseguita
in maniera controlaterale
Presenza di litiasi dei CS verticaliàNistagmo:
- Latenza di 4-7” in caso di canalolitiasi (leggermente minore in caso di cupololitiasi)
- Prevalentemente rotatorio in un occhio e prevalentemente verticale nell’altro (dissociato)
- Parossistico (intensità che cresce,raggiunge un plateau e poi decresce)
- Transitorio (dura 15-45’’)
- Inversione spontanea durante il mantenimento della posizione
- Riduzione progressiva della vertigine e del nistagmo ad ogni ripetizione della manovra (affaticabilità)
- Inversione al ritorno in posizione seduta (presente solo in caso di interessamento CSP/CSA)
CS posterioriàNistagmo:
- Componente rotatoria oraria (CSP sx) o antioraria (CSP dx),più evidente dal lato interessato
- Componente verticale comune upbeating (battente verso l’alto), più evidente dal lato controlaterale
CS anterioriàNistagmo
- Componente rotatoria come sopra,più evidente dal lato controlaterale
- Componente verticale downbeating, più evidente dal lato ipsilaterale

2. Manovra di Epley
Accertato il lato ed il CS interessato, si esegue questa manovra liberatoria:
1) Pz seduto con le gambe distese lungo il lettino a capo ruotato di 45° dal lato interessato
2)Pz che si distende raggiungendo rapidamente la posizione supina con capo iperesteso di 30°oltre il bordo del lettino
3)Pz che ruota il capo di 90°verso il lato sano
4) Pz che cambia posizione fino al decubito laterale con capo ruotato di 90°rispetto al piano orizzontaleàposizione
mantenuta fino alla scomparsa dell’eventuale nistagmo+altri 10-15’’
5) Gambe del pz portate fuori dal lettino ed assunzione della posizione seduta con un movimento a basculaàosservare
l’eventuale comparsa di nistagmo
A partire dal 3° punto:
Fattori prognostici positivi:comparsa di nistagmo liberatorio/assenza di nistagmo;manovra considerata efficace e
pz rivalutato dopo alcuni minuti con Dix-Hallpike
Fattori prognostici negativi:inversione del nistagmo;manovra interrotta e procrastinata o rieseguita
immediatamente a seconda dello stato del pz

3. Manovra di Pagnini-McClure
Vi sono due forme della litiasi dei CS laterali:
§ Geotropa: ammasso nell’emibraccio non ampollare
§ Apogeotropa: ammasso nell’emibraccio ampollare
1) Pz seduto con gambe distese lungo il lettino e capo in posizione neutra che viene invitato ad assumere la posizione
supina: già qui in presenza di litiasi, può presentarsi un nistagmo orizzontale transitorio (lato sano forma
geotropa,lato affetto forma apogeotropa)
2) Dopo circa 30” il capo del pz è ruotato di 90° verso un lato: si attende la comparsa del nistagmo e la sua
scomparsa
3) Capo del pz rapidamente ruotato di 180° verso il lato opposto: si osserva il nistagmo e se ne attende la scomparsa
4) Capo rapidamente ruotato di 180°.

VPPB “geotropa”:il posizionamento sul fianco determina un nistagmo parossistico e transitorio verso il basso; il lato
della sede della litiasi è quello che evoca il nistagmo più intenso.
VPPB “apogeotropa”:il posizionamento sul fianco determina un nistagmo parossistico e transitorio verso l’alto; il lato
della sede della litiasi è quello che evoca il nistagmo meno intenso.

Nistagmo Parossistico da Litiasi del CSL


- Latenza 3-5” (minore in caso di cupololitiasi)
- Parossismo
- Transitorietà (dura 15-45”)
- Inversione spontanea durante il mantenimento della posizione
- Affaticabilità (meno evidente di quella in caso di litiasi dei CSV)

4. Manovra Liberatoria di Gufoni


Accertato il CSL interessato, si esegue questa manovra liberatoria.
àGeotropa
1) Pz seduto con le gambe fuori dal lettino, basculato rapidamente sul lato sano fino a che la testa non poggia sul
lettino stesso
2) Dopo pochi secondi la testa del pz è ruotata di 90°in basso verso il piano del lettino e la posizione è mantenuta per
pochi secondi
3) Con un movimento di basculo, il pz è riportato in posizione seduta
4) Ripetere la manovra 3 volte
àApogeotropa
Come sopra,ma invertita (il primo movimento a bascula sposta il pz sul lato affetto, con rotazione del capo 90° verso
l’alto); quando efficace, l’ammasso occuperà il braccio non ampollare ed il nistagmo sarà geotropoàa questo punto si
procede con la manovra classica

5. Posizione Coatta di Vannucchi


Si usa in pz particolarmente sofferenti e con difficoltà nei movimenti:
- Geotropa: il pz è invitato a decombere sul lato sano per due notti successive
- Apogeotropa: il pz è invitato a decombere sul lato affetto per due notti successive e a girarsi al mattino sul fianco
sano (e così stare qualche minuto)
Evoluzione: favorevole nella maggior parte dei casi

NEURITE VESTIBOLARE
Causa
Generalmente un’infezione virale interessante il ramo superiore del nervo vestibolare.
Clinica
§ Vertigine oggettiva intensa,di lunga durata,aggravata da qualsiasi movimento della testa
§ Sintomi/segni neurovegetativi
§ Segni oculomotori nistagmici spontanei e provocati (nistagmo spontaneo orizzonto-rotatorio diretto verso il lato
sano, omniposizionale, stazionario, persistente,inibito dalla fissazione visiva con rinforzo apogeotropo ed
inibizione geotropa)
N.B. Prove simultanee fredde: stimolazione simultanea con acqua ghiacciata del CUEàinversione del
nistagmo spontaneo (se questo è dovuto ad una lesione periferica)
§ Segni oculomotori non nistagmici provocati:il Test di Halmagyi positivo in caso di lesione periferica (rotazione
rapida del capo verso il lato lesoàil soggetto non tiene la mira e ha bisogno di movimenti saccadici per
recuperarla quindi assente VOR)
§ Segni e sintomi posturali:instabilità e tendenza a cadere dal lato leso
§ Funzione cocleare normale!

DD: lesione cerebellare acuta (instabilità sia occhi aperti che chiusi, se vestibolare la situazione peggiora con gli occhi
chiusi perché viene a mancare la funzione visiva che compensa il deficit)

Terapia
- Trattamento farmacologico:durante la fase acuta si somministrano cortisonici,neurotropi,farmaci favorenti il
compenso vestibolare (Betaistina, cinnarizina, dimenidrinato)
- Riabilitazione vestibolare (Si allena il cervello ad usare per l’equilibrio le info visive e propriocettive e ad ignorare
quelle vestibolari con recupero della stabilità)
Evoluzione
Sintomi e segni che scompaiono in tutto/in parte a seconda della precocità del trattamento,dell’età del soggetto e di
eventuali condizioni disturbanti il compenso vestibolare

VESTIBOLOPATIA EMICRANICA
Frequente causa di vestibolopatia non parossistica ricorrente.
Clinica
• Bambino = vertigine parossistica benigna dell’infanzia o VPBI (intensi episodi di vertigine e/o instabilità);
torcicollo spasmodico, disturbi del sonno, bruxismo, dolori addominali ricorrenti, dolori migrante agli arti,
cinetosi sono equivalenti/precursori emicranici
• Adolescenza = la VPBI può scomparire del tutto o essere sostituita da una franca cefalea emicranica
• Adulto = manifestazioni cliniche variabili; vertigini oggettiva, vertigine posizionale, instabilità, intollerabilità al
movimento. La vestibolopatia può precedere/associarsi a/seguire/sostituire la cefalea.

Vestibolopatia Emicranica Epigona


Dopo anni di cefalea il pz vede scomparire le crisi dolorose, sostiuite dalla vestibolopatia.
Quadro Semiologico
Molto variabile. In genere è negativo nella fase intercritica. L’esame vestibolare può presentare segni periferici e/o
centrali. Possibile presenza di segni e sintomi cocleari in fase acuta.
Diagnosi
Esclusivamente clinica
o VE definita: sintomi vestibolari ricorrente almeno moderati, emicrania attuale/pregressa (criteri IHS),presenza di
almeno uno tra cefalea emicranica/fono-fotofobia/aura visiva o di altro tipo in almeno due crisi vestibolari,
esclusione di altre cause
o VE probabile: sintomi vestibolari ricorrenti almeno moderati, almeno uno tra emicrania attuale e pregressa(criteri
IHS)/sintomi emicranici in almeno due crisi vestibolari/precipitanti emicrania specifici che precedono>50% delle
crisi vestibolari, esclusione di altre cause.
DD: malattia di Meniere, lesioni occupanti spazio (diagnostica per immagini)
Terapia
- Trattamento sintomatico (triptani, antinfiammatori)
- Trattamento preventivo (beta bloccanti, amitriptilina, topiramato, flunarizina)
- Riabilitazione vestibolare (supporto nella gestione dei sintomi)
OTORINOLARINGOIATRIA
Aggiornato con le Sbob 2018 da Giorgia Polito (:
Otorinolaringoiatria

RICHIAMI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DI OTORINO-


LARINGOIATRIA
Orecchio
L’orecchio esterno è la porzione più laterale dell’apparato uditivo; è costituito dal padiglione auricolare e dal condotto
uditivo esterno. Ha il compito di convogliare verso la membrana del timpano i suoni provenienti dall’esterno. L’orecchio
medio è costituito dalla cassa timpanica (che ospita la catena degli ossicini: martello, incudine, staffa) con le annesse
regioni mastoidea (posteriormente) e tubarica (anteriormente).
Membrana di Schrapnel: pars flaccida della membrana timpanica

L’orecchio interno si suddivide in coclea (labirinto ant.), che ospita i recettori uditivi, e vestibolo (labirinto post.), che
registra i movimenti della testa nello spazio. Si distingue un labirinto osseo (scavato nel temporale) ed uno membranoso
(all’interno di quello osseo, contiene endolinfa); tra i due vi è perilinfa.
Nb → Maturazione coclea=33° settimana di gestazione.

L’Organo di Corti poggia sulla membrana basilare ed è il vero e proprio organo recettoriale; in senso medio-laterale
presenta:
- Cellule ciliate interne (3500)
- Cellule dei pilastri
- Cellule di Hensen, Claudius, Deiters
- Cellule ciliate esterne (13000)
Caratteristica delle cellule ciliate sono le stereociglia apicali disposte in file ordinate secondo l’altezza e connesse da
tip-links; queste cellule hanno una regione apicale ed una basale ben distinte per la presenza di tight junction.

Sistema nervoso afferente: il 95% della popolazione neuronale del ganglio di Corti contrae rapporti con le sole CCI
(solo il 5% giunge alle CCE)
Via efferente ànuclei cocleari (ventrali e dorsali)à complesso olivareà lemnisco lateraleà tubercoli quadrigemelli
inferiorià corpi genicolati med. àlobo temporale

Il vestibolo è costituito da sacculo, utricolo e i tre canali semicircolari (ant, post e lat). Sacculo e utricolo sono due
organi vescicolari e al loro interno ospitano le macule (zone ricche di elementi recettoriali); i canali semicircolari sono
disposti lungo i 3 piani dello spazio e in ciascun canale si ritrova un rigonfiamento ed una delle due estremità (ampolla)
ospita la cresta ampollare (costituita da cellule di sostegno e recettoriali).
Qui la cellula ciliata, oltre alle stereociglia, presenta un chinociglio (tipo I: a fiasco; tipo II: cilindrico).
Nervi vestibolari ant. e inf. ànuclei vestibolarià muscoli oculari, muscoli antigravitazionali del tronco, afferenze
cerebellari e corticali

Naso
È una struttura piramidale impari e mediana formata da uno scheletro osso-cartilagineo rivestita da cute; è diviso e
sostenuto internamente dal setto nasale che delimita le due cavità nasali, che comunicano con l’esterno tramite le
narici e con il rinofaringe tramite le coane.
Scheletro della piramide nasale = volta ossea (ossa nasali proprie); processo frontale del mascellare (supporto della
volta); scheletro cartilagineo (le due cartilagini triangolari e le due alari: le prime costituiscono la volta cartilaginea, le
seconde l’impalcatura di sostegno delle punte).
Setto nasale: costituito dalla lamina perpendicolare dell’etmoide, dal vomere e dalla cartilagine della lamina
quadrangolare.
Le fosse nasali sono in diretta comunicazione con i seni paranasali (quattro paia: frontali, etmoidali, mascellari,
sfenoidali). Funzioni:
- Respiratoria (Riscalda e umidifica l’aria)
- Reflessogena
- Olfattoria
- Di difesa (filtrazione e clearance muco-ciliare)
- Fonatoria (amplia cassa di risonanza)
Faringe
È un organo cavo a maggiore asse verticale che si estende dal basicranio fino a C6; si distinguono rino, oro e
ipofaringe.

1
Otorinolaringoiatria

Laringe
È impari, mediana, simmetrica; è situata nel collo, tra ioide e trachea. È organo della fonazione e della respirazione.
È costituita da:
- Cartilagini (cricoide, tiroide, epiglottide, aritenoidi)
- Muscoli (intra-aritenoideo, cricotiroideo, cricoaritenoideo post e lat, ariepiglottico, tiroaritenoidei)

SEMEIOTICA CLINICO-STRUMENTALE
- Autofonia = esagerata risonanza della propria voce nell’orecchio
- Diploacusia = sgradevole sensazione di distorsione in frequenza dei suoni
- Acufene = sensazione sonora soggettiva che il pz avverte in assenza di stimoli acustici esterni
- Otalgia = dolore in sede auricolare; diretta (dovuta ad infiammazione) o riflessa (causata da svariate
manifestazioni patologiche non otologiche)
- Otorrea = fuoriuscita di secrezioni dal condotto uditivo esterno; mucosa, purulenta, mucopurulenta
- Otorragia
- Otoliquorrea = da anomalie anatomiche, per aumento di pressione liquorale o traumi
- Diplofonia (Voce bitonale) = emissione di una voce a doppia tonalità (tipica di una paralisi cordale monolat)
- Sclerofonia= emissione di suoni legnosi (spesso dovuta a neoplasie cordali maligne)
- Faringodinia = dolore faringeo esacerbato dalla deglutizione
- Disfagia = difficoltà alla deglutizione
Otoscopia
Permette l’osservazione del condotto uditivo esterno e della membrana timpanica; uno speculo auricolare è introdotto
nel condotto e in esso è convogliata una fonte luminosa. Per la diagnosi ci si può avvalere di: otoscopio elettrico, fibre
ottiche, otomicroscopio.
TC e RMN
La TC è di solito eseguita senza mdc (visualizzazione delle strutture dell’orecchio medio ed interno). E’ utile anche la
RMN.
Rinoscopia
Classico esame endoscopico otorinolaringoiatrico, consente l’osservazione delle fosse nasali. Si utilizza una sorgente
luminosa (specchio di Bruening) e uno speculum nasale (dilata il vestibolo).
Fibroscopia
Consente una perfetta e dettagliata visione delle cavità nasali.
Rinomanometria
Valuta il volume d’aria in transito nell’unità di tempo per entrambe le fosse nasali; statica e dinamica (dopo l’impiego
di vasocostrittori). Utile anche nei TPN allergologici.

Rinoallergometria
Prevede test utili alla ricerca di allergeni.

Olfattometria
E’ una tecnica di valutazione sensoriale. E’ un test oggettivo.

L’ipofaringe è in genere osservata classicamente per Laringoscopia Indiretta, mediante l’uso di una fonte luminosa
ed uno specchietto.
Le fibre ottiche rigide possono essere introdotte per via transnasale o transorale.
Le fibre ottiche flessibili sono più agevoli da usare in quanto meglio tollerate dal pz.

La Laringoscopia Indiretta è utile anche per esplorare la laringe, così come le fibre ottiche.

La Microlaringoscopia Diretta (in anestesia generale) è utile per esplorare regioni non ispezionabili diversamente o
per effettuare biopsie escissionali.

Ndr domanda scritto: specchio di Glatzel a cosa serve à Placca di acciaio chirurgico che ha 6 linee semicircolari, messe a 1 cm di
distanza, che si usa per valutare la forma qualitativa e quantitativa di alcuni aspetti della funzione respiratoria e fonatoria

2
PATOLOGIE NON NEOPLASTICHE IN ORL

ORECCHIO ESTERNO
COLOBOMA: Rara malformazione del lobulo del padiglione auricolare, sdoppiato in due parti un anteriore e
una posteriore. Si tratta di una condizione congenita da non confondere con quella acquisita dovuta all’impiego
di orecchini pesanti.
Trattamento: asportazione della cute dove il lobo è separato e sutura delle appendici lobulari

ATRESIA AURIS: Disordine disembriogenico dell’orecchio esterno (padiglione auricolare


rudimentale/assente con o senza ostruzione del condotto uditivo esterno da parte di tessuto fibroso/osseo) cui
possono essere associate malformazioni dell’orecchio medio e più raramente di quello interno.
Cause: 10-20/100mila neonati/anno; Nel 14 % dei casi fa parte sindromi genetiche (s. di Franceschetti:
con disostosi mandibolo facciale), ma può essere dovuta anche a rosolia, talidomide.
N.B. Quando si ha una malformazione dell’orecchio esterno, bisogna sempre (fino a prova contraria)
sospettare una malformazione dell’orecchio medio e/o interno e del decorso del VII n.c.(20% dei casi)
Diagnosi: test di imaging, prove audiometriche
Trattamento
- Patologia Monolaterale = intervento chirurgico procrastinabile in età post-adolescenziale
- Patologia Bilaterale = sviluppo del linguaggio a rischio:
1) Intervento ricostruttivo con materiali autologhi
2) Protesizzazione entro i 6 mesi con protesi ad archetto o BAHA (protesi acustiche
ancorate per via ossea)à per l’orecchio interno normofunzionante
3) Impianto cocleareà orecchio interno malformato

FISTOLA AURIS Tramite fistoloso che parte dalla radice dell’elice e termina a fondo cieco (senza rapporti
con il condotto uditivo esterno) che deriva dal primo solco brachiale. E’ rivestita da un epitelio pavimentoso
stratificato dove si verificano facilmente infiammazioni/infezionià gemizi (fuoriuscita) di muco/muco-pus
all’orifizio cutaneo; quest’orificio può ostruirsi e possono formarsi pseudocisti. Quando le riacutizzazioni
flogistiche sono frequenti e non arginabili (terapia antibiotica e anti-infiammatoria)à Rimozione chirurgica della
fistole (recidive frequenti).
Elice: porzione superiore del padiglione auricolare.

ECZEMA: L’eczema dell’orecchio si caratterizza rispetto ad altri distretti perché a livello dell’orecchio esterno
la cute è sottilissima e il sottocutaneo è quasi inesistente; inoltre, trattandosi di un condotto a fondo cieco, non c’è
ventilazione degli strati superficiali.

Cause: di solito è su base allergica (allergeni topici, inalatori, ingeriti)


Anatomia patologica: lesioni vescicolari a livello intraepiteliale che quanto si rompono lasciano un liquido giallo
citrino che tende a formare croste. Alla fase crostosa segue quella di desquamazine con conseguente accumulo di
detriti epiteliali a livello del condotto uditivo.
Sintomi: prurito, dolore (àindica superinfezione batterica/micotica)
Terapia: acido borico al 3% (rimozione detriti cellulari, blando disinfettante); steroide topico
(riduzione della sintomatologia e guarigione temporanea).

OTITE ESTERNA: L'orecchio è suddiviso in 3 parti: orecchio esterno, medio e interno. Le otiti, cioè
infiammazioni dell'orecchio, possono quindi interessare l'orecchio esterno, l'orecchio medio e l'orecchio interno.
In realtà, mentre si parla di otite esterna e otite media, non si parla di otite interna, ma in questo caso si parla di
labirintite, perché l'infiammazione coinvolge sia della componente vestibolare sia della componente uditiva, e può
essere di varia natura, virale o batterica.

Classificazione: L’otite esterna è suddivisa in:


- Diffusa = cute e sottocute del condotto uditivo esterno à ha eziologia batterica e/o micotica (P.
aeruginosa, S. aureus, C. albicans, Aspergillus)
- Circoscritta = foruncolosi; dovuta quasi solo a S. aureus
Eziologia:
• Infezioni batteriche: streptococchi, stafilococchi, Proteus, Pseudomonas aeruginosa, colebacilli.
• Otite esterna virale: post-influenzale o post-parainfluenzale, ma soprattutto otite esterna post-erpetica, in
particolare da Herpes zoster nel caso di paziente con immunodeficienza.
o Herpes Zoster Oticus: Il segno caratteristico di questa infezione è la formazione di vescicole nella
conca. Queste vescicole a volte non vengono notate, poi si rompono ed essendo altamente infettive
è possibile che il pz si svegli il giorno dopo con un fortissimo dolore e con la paralisi del nervo
faccialeà sindrome di Sindrome di Ramsay Hunt, a cui si associa sofferenza cocleare e vestibolare.
La terapia consiste nella somministrazione di aciclovir a dosi elevate, e spesso si è costretti ad
associare, come antiedemigeno, il cortisone; quest'ultimo è notoriamente controindicato nelle
infestazioni herpetiche, tuttavia in questo caso particolare bisogna cercare di controllare l'herpes, ma
anche sgonfiare il faciale, e l'unico farmaco antiedemigeno ad azione certa e rapidissima è il
cortisoneà infatti siccome il nervo faciale nella parte temporale decorre tutto in un canale osseo, nel
momento in cui si edemizza si strozza da solo, e quindi va in necrosi se non lo si sgonfia rapidamente.
NB: La paralisi del faciale può essere data anche da altri virus( Herpes Simplex, Citomegalovirus)
• Otite micotica: D'estate è molto frequente l'infezione micotica della pelle del condotto, in quanto parliamo
di un ambiente con raccolte di sebo e di cerume con peli, quindi di una zona che d'estate resta umida (dopo
la doccia, il bagno in piscina o il bagno al mare). Dove c'è umidità, c'è più facile impianto di Candida e
Aspergillus, che quindi d'estate sono facilmente causa di otite esterna. Quando l'infezione comincia ad
erodere lo strato superficiale della cute, allora si determina anche una sovrainfezione anche da batteri. Questo
è anche il motivo per cui molte otiti esterne che si verificano d'estate, quando vengono trattate con le gocce
di antibiotico per 10 giorni, stanno bene, ma dopo la sospensione dell'antibiotico si torna al principio, in
quanto con l'antibiotico è stata controllata l'infezione batterica, con un po' di cortisone magari è stato ridotto
l'edema, ma i miceti sono comunque rimasti e dopo 10 giorni ricomincia il ciclo. Questo fenomeno è
probabilmente facilitato anche dal pH della pelle del soggetto, in quanto ci sono alcune persone in cui queste
infezioni decorrono frequentemente, e persone in cui queste infezioni non decorrono mai.

Fattori predisponenti: Possono essere anatomici, costituzionali (es DM, immunodeficit), ambientali (climi caldi-
umidi), micro-traumi (cotton-fioc che crea delle abrasioni e favorisce la formazione del tappo di cerume): alla
base di ogni impetiginizzazione vi è un danno epiteliale.
• Traumi locali: si sconsiglia l'uso del cotton-fioc, perché l'eccessiva detersione della pelle a parte
l'asportazione del cerume (in realtà «il cotton-fioc spinge più in giù il cerume, fino alla membrana timpanica,
favorendo la formazione del tappo di cerume»), può creare delle soluzioni di continuo a carico della barriera
cutanea, molto sottile a questo livello. Inoltre sono capitati pz che si sono perforati la membrana timpanica
per incidenti con l'utilizzo del cotton-fioc (e.g. rispondere al telefono avendo dimenticato il cotton fioc
nell'orecchio) .
Il cerume è una secrezione normale dell'orecchio esterno, un prodotto delle ghiandole sebacee modificate,
che serve per proteggere la pelle del condotto uditivo esterno e della membrana del timpano. Tende ad essere
espulso da un trasporto cellulare, che corrisponde alla desquamazione delle cellule epiteliali di un condotto
a fondo cieco, anche se possono crearsi sedi di ristagno all'interno dello stesso condotto, che possono
facilmente andare incontro a infezioni e dare origine a otiti esterne. Perciò usare il cotton fioc implica che
ciò che sta per uscire naturalmente dal condotto viene spinto di nuovo verso l'interno. È anche normale che
esistono dei condotti stenotici: in questi casi c'è un aumentato turnover delle cellule epiteliali, che porta a un
accumulo di cellule nel condotto uditivo. Queste cellule possono macerarsi, soprattutto in un ambiente caldo-
umido (mare, piscina...), determinando delle infezioni, favorite anche dall'immunodepressione, dal diabete o
dalla presenza di protesi acustiche, che costituisce un tappo alle sostanze che vengono prodotte nel condotto,
impedendone la fuoriuscita dallo stesso e dando luogo a otiti esterne recidivanti.
• Il tappo di cerume è dovuto all'ipersecrezione delle ghiandole ceruminose e spesso è associato a manovre di
autodetersione. Può causare una lieve ipoacusia di tipo trasmissivo.
È facile da trattare, in quanto all'otoscopia lo si rimuove con un getto d'acqua tiepida in senso latero-mediale,
poi con un uncino smusso si supera l'ostacolo e si tira verso l'esterno il tappo di cerume così ammorbidito. Il
getto d'acqua va svolto a temperatura corporea (non troppo calda né troppo fredda, altrimenti verranno
stimolati i recettori vestibolari e il paziente non può girare la testa), ma soprattutto la membrana timpanica
deve essere integra, per non far arrivare l'acqua nell'orecchio medio. E’ importante considerare l'andamento
del condotto uditivo esterno che essendo anatomicamente tortuoso può causare problemi nell'eliminazione
del tappo di cerume; quindi è buona norma rendere rettilinea almeno la porzione cartilaginea del condotto
uditivo esterno (prendendo la porzione supero-posteriore del padiglione ed esercitando una lieve trazione
verso l'alto e dietro), così com'è buona norma indossare lo specchio di Clar per farci luce durante la manovra.
Si dirige, quindi, il getto sulla parete superiore, così che l'acqua urti contro la membrana del timpano non
direttamente, altrimenti potremmo procurare noi delle perforazioni della membrana - tale manovra non va
svolta nelle otiti medie acute - e l'acqua reflua porta con sé il tappo di cerume. Per il buon successo della
manovra, è necessario creare un'interfaccia al di là dell'ostacolo, soprattutto in presenza di un tappo di cerume
molto duro, simile a un corpo estraneo, per cui quando invio il getto d'acqua, questo urta contro il tappo e
torna indietro. Viceversa, o con dei piccoli ferri o con delle gocce che sciolgono il cerume (ricordo che il
cerume è una sostanza costituita da sebo, quindi grassa, per cui si scioglie con un'altra sostanza a sua volta
grassa, quindi le soluzioni acquose in genere commercializzate non servono, bisogna usare un'emulsione
grassa), o con dell'acqua ossigenata, che ha il vantaggio di sviluppare ossigeno, che scolla una parte o tutta
la porzione di cerume che aderisce alle pareti del condotto, bisogna creare un'intercapedine tra le pareti del
condotto e il tappo di cerume, così che l'acqua può penetrare, superare l'ostacolo, raggiungere la membrana
timpanica, tornare indietro e, finalmente, portare via con sé il tappo di cerume. Nelle membrane timpaniche
fragili, magari già danneggiate e presentando dei resti cicatriziali del processo riparativo della membrana
timpanica, andare a togliere un tappo di cerume non ammorbidito con i suddetti mezzi può causare delle
perforazioni timpaniche. In questo caso è impossibile usare l'acqua, perchè ovviamente finirebbe
nell'orecchio medio.
Esistono delle prove termiche in cui si va a stimolare l'orecchio interno, con l'instillazione di acqua a
temperatura più o meno 7 gradi rispetto al temperatura corporea, perchè la sua immissione serve a creare
moti convettivi endolinfatici a livello vestibolare, nello specifico canale semicircolare orizzontaleà
utilizzando uno stimolo calorico caldo si ottiene un flusso convettivo endolinfatico che determina una
deflessione ampullipeta della cupola, con provocazione di un nistagmo eccitatorio orizzontale diretto verso
il lato irrigato. Al contrario l'irrigazione con acqua fredda causa un moto convettivo utriculifugo responsabile
della comparsa di un nistagmo diretto controlateralmente al lato irrigato.
Chi ha la pelle grassa tende più spesso a formare tappi di cerume, inoltre il tappo di cerume è igroscopico,ciò
significa che al contatto con l'acqua si gonfia, quindi nei mesi estivi con le ferie e i primi bagni a mare si
possono avere casi più frequenti oppure si possono avere quei casi in cui il contatto con l'acqua permette al
tappo di gonfiarsi quel tanto che basta per occludere completamente il canale e causare sintomatologia al
paziente.
• Il corpo estraneo in un bambino è molto frequente (palline per giocare, tubetti di pasta...). Generalmente la
madre cerca di rimuoverlo, ottenendo come risultato la discesa sempre più in basso del corpo estraneo, fino
a quando non resta intrappolato dall'edema che si produce nella cute per la pressione del corpo estraneo. A
volte bisogna addirittura ricorrere all'anestesia locale per poter passare poi un uncino smusso tra il corpo
estraneo e la pelle, ruotarlo e portarlo via. Con elementi sferici è difficile l'estrazione, allora se la membrana
timpanica è integra, si può procedere, come per il tappo di cerume, al lavaggio auricolare.
• Il meato uditivo esterno e tutta la parte cutanea dell'orecchio in generale soffre delle malattie dermatologiche:
è favorita da traumatismi, dermatosi e stati distrofici della cute, e dal contatto con liquidi non sterili. Inoltre
l'orecchio è dotato di peli, e va in contro a infezioni dell'apparato pilosebaceo, quindi va facilmente in
foruncolosi. Attenzione: una cosa è il foruncolo e una cosa è la foruncolosi. Il foruncolo da un po' di dolore,
ma curato regredisce rapidamente; la foruncolosi è, invece, dolorosissima, in quanto provoca gonfiore della
cute del meato e, poiché l'innervazione sta sul periostio e sul pericondrio del meato, nel momento in cui
comincia il gonfiore, la compressione del pericondrio e principalmente del periostio, la pressione esercitata
sulle terminazioni nervose causa un dolore ferocissimo.

OTITE ESTERNA SEMPLICE: (Flogosi della cute del condotto uditivo esterno)

Sintomi: Continuum di sintomi dal prurito fino allo spiccato dolore spesso irradiato verso la regione temporale ed
esacerbato da trazione del padiglione, da pressione sul trago (ripiegamento interno padiglione) e dalla
masticazione. È visibile una secrezione nel condotto, con tumefazione che riduce lo stesso a una semplice fessura
per edema delle pareti. La sola introduzione dello speculo, necessaria per visualizzare meglio la membrana
timpanica, può essere impossibile. . In questi casi possiamo fare al massimo diagnosi di otite media o esterna,
senza sapere niente di cosa stia succedendo a livello della membrana timpanica.
Esame clinico
- Forme Diffuse = iperemia della cute del condotto, secrezioni fetide (pus, cell. Desquamate); nei casi
più avanzati la stenosi edematosa impedisce l’otoscopia. Può essere coinvolta la superficie epiteliale
esterna della membrana timpanica aspetto a pelle di coccodrillo.
In queste forme si ha febbre e linfoadenite satellite (l. preauricolari, parotidei, mastoidei).
- Forme circoscritte = una o più tumefazioni rosso-violacee nella porzione cartilaginea del
condotto con punteggiatura biancastra alla sommità.

La distinzione tra forme batteriche e virali è abbastanza semplice: nelle prima si osservano secrezioni di natura
differente; nelle seconde delle formazioni vescicolari e bollose senza secrezioni. La differenza tra una bolla
e una vescicola è che la bolla interessa il derma, con scollamento della lamina basale dall'epidermide, ed è
quella che viene provocata da ustioni o da malattie quali il pemfigo e il pemfigoide, mentre la vescicola, che
è caratteristica delle infezioni virali è semplicemente una scompaginazione dei cinque strati che formano
l'epidermide, con lesioni cistiche ripiene di elementi virali, e che ogni volta che si rompono sono altamente
pruriginose. La presenza di queste formazioni vescicolose o bollose ci può già far orientare verso un'eziologia
virale dell'otite. Ovviamente le forme virali sono negative al tampone auricolare.
Molto più difficile è la distinzione tra forme batteriche e micotiche: per instaurare una corretta terapia è
necessario effettuare un tampone auricolare con antibiogramma.

Terapia
1) Detersione del condotto uditivo esterno [Aspirazione in micro-otoscopia ed irrigazione con ac. borico]
2) Gocce/pomate a base di antibiotici e antimicotici arricchite con cortisone magari impiegando anche delle garze
otologiche, così da dilatare il condotto senza provocare il dolore indotto dall'edema.
Il principio attivo andrebbe scelto dopo Antibiogramma; nei casi più urgenti ci si può orientare sulla base del
colorito delle secrezioni:
o Giallastroà stafilococco
o Biancastroà candida
o Giallo-verdastroà Pseudomonas
o Punteggiato di neroà Aspergillus niger
Se è presente un'infezione micotica, è controindicato l'antibiotico, altrimenti creo una condizione definita di germ
free: se io ho un'infezione da Candida albicans e uso l'antibiotico, vado a distruggere quel po' di batteri saprofiti che
stanno all'interno del condotto uditivo esterno e che mi proteggono dall'eccessiva carica dei commensali "cattivi",
tipo i funghi. Spesso è consigliata una toilette chirurgica, soprattutto se sono presenti secrezioni e se, come
conseguenza di una sovrainfezione da Candida, c'è il rischio di un'impitiginizzazione del condotto uditivo. Spesso,
però, le otiti esterne micotiche sono conseguenza di otiti batteriche, in cui abbiamo esagerato con i cortisonici, che
abbassano le difese immunitarie insieme agli antibiotici, selezionando così dei funghi difficili da eradicare.

3) Medicazioni meticolose e frequenti, con drenaggio delle secrezioni e distensione delle pareti
edematose del condotto
Complicazioni: ascesso del Canale uditivo esterno, ascesso parotideo, artrite settica dell’ATMà
antibiotico e cortisone per os; eventuale drenaggio chirurgico delle raccolte ascessuali.

OTITE ESTERNA MALIGNA: Forma molto invasiva di otite esterna dovuta a P. aeruginosa dall’esito spesso
fatale. Le condizioni di immunocompromissione del pz (diabete) e l’azione necrotizzante del batterio portano a
fenomeni invasivi: tessuti molli del collo, della regione parotidea, dell’ATM, delle cavità dell’orecchio medio fino
al parenchima cerebrale. Produce osteolisi e si estende al basi-cranio: come passa lo Pseudomonas dalla pelle alla
base del cranio? È sufficiente una piccola interruzione della cute nella zona di unione tra la porzione cartilaginea
e quella ossea del condotto: il batterio ci si infila sotto.

Questa patologia va sospettata sempre nei soggetti anziani e diabetici, quindi pazienti particolarmente defedati, in
caso di mancata guarigione di un'otite esterna dopo adeguata terapia. In generale, quando si ha un'otite esterna,
anche se la cura è banale (semplici gocce o antibiotico), conviene sempre fare un'antibiogramma prima (anche
magari senza aspettarne l'esito e cominciando già una terapia antibiotica generica) in quanto, se con la cura
somministrata non ci dovesse essere guarigione, allora si avrebbe un'antibiogramma già a disposizione per
effettuare una cura antibiotica più mirata. Inoltre se il risultato ci dice che è un'infezione proprio da Pseudomonas
aeruginosa, bisogna cominciare a preoccuparsi.
Sintomi
• Spiccata otalgia
• Intensa cefalea temporo-occipitale (fasi avanzate)
• Paralisi del VII, IX, X, XI e XII n.c. àsegni prognostici sfavorevoli.
Diagnosi
All’otoscopia c’è un tessuto di granulazione facilmente sanguinante alla giunzione osteo-cartilaginea del
condotto. Si definisce maligna proprio perché la diagnosi di otite esterna maligna è una diagnosi
differenziale con il carcinoma in quanto:
• L'otite esterna maligna nel suo progredire supera la barriera ossea e assume carattere di invasività, in
più produce un tessuto di granulazione che visivamente si confonde con il carcinoma della cassa.
• Presenta dolore ed otorrea, proprio come il carcinoma della cassa e dell'orecchio esterno.
• La febbre non è sempre presente.
• Il carcinoma basocellulare è più frequente nell'anziano, mentre quello squamocellulare, aumentando
la sua incidenza con fattori esterni come l'esposizione solare, si può riscontrare in quelle persone che
hanno una costante esposizione al sole (e.g. i pescatori).

L'unica metodica che permette di fare diagnosi differenziale tra otite maligna e carcinoma è la biopsia.
Infatti, alla TC o alla RM si nota un'invasione delle strutture cerebrali vicine all'orecchio, e si può complicare
in un'osteomielite del temporale, in un ascesso piogeno, in una meningite o in un'encefalite. In maniera
molto frequente è possibile una paralisi del faciale, per interessamento del nervo faciale, che passa nell'osso
temporale.

La diagnosi di otite esterna maligna è posta al coincidere di questi elementi:


- Anamnesi positiva per DM e/o immunodeficienze
- Analisi ematologiche che confermano l’iperglicemia e lo stato infiammatorioà Negli esami di laboratorio si
ha una leucocitosi e una VES costantemente alta.
- Tampone auricolare positivo per Pseudomonas
- Tecniche di imaging (TC, RMN e scintigrafia)à TC per valutare l’erosione ossea, RM per valutare i tessuti
molli, Scintifigrafia per valutare e quantizzare l’evento infiammatorio e la risposta alla terapia.
Trattamento
1) Terapia antibiotica ambio spettro anche con due classi di antibiotici per ev 2 sett-2 mesi – Chinolonico e
Cefalosporine di cui il primo mese e mezzo in endovena, fino a negativizzazione della scintigrafia con Ga-67
e normalizzazione della VES
2) Corticosteroidi (forma con paralisi, parallelo monitoraggio della glicemia)
3) Terapia in camera iperbarica
4) Riequilibrio delle condizioni dismetaboliche
5) Trattamento chirurgico di bonifica (casi complicati)
Vi ricordo che la cartilagine non ha vasi sanguigni, ma viene irrorata dal pericondrio sovrastante, per cui
se un'infezione arriva alla cartilagine, non c'è modo di usare le difese immunitarie e possono crearsi delle
necrosi cartilaginee, con sequestri cartilaginei; la stessa cosa succede con le osteomieliti. Ciò può
comportare delle deformazioni permanenti del padiglione auricolare, se non addirittura la morte del
paziente.

OTITE ESTERNA ERPETICA (S.DI RAMSAY-HUNT): Causata dalla riattivazione del HZV (è l’equivalente
del fuoco di Sant’Antonio a livello dell’orecchio).
Esordio clinico: Sindrome para-influenzale (febbre elevata, malessere generalizzato, astenia, cefalea, nausea) con
violenta otalgia via via più intensa; segue la formazione di lesioni vescicolari (specie nella regione auricolare), la loro
rottura (àintenso prurito) e formazione di croste.
- 70% dei casi = paralisi periferica VII n.c.(regressione poi pressocchè totale)
- 40% dei casi = lesione apparato cocleo-vestibolare (VIII)
- Alterazione della sensibilità gustativa (corda timpano, ramo del facciale, con ageusia 2/3 lingua)
Prognosi: Generalmente buona; nei casi più gravià paralisi del VII n.c./ipoacusia/ipofunzione vestibolare talvolta
irreversibili. Possono essere coinvolti i n.c. V, IX, X e XII
Rara la meningite.
Diagnosi
1. Rilievi obiettivi
2. Otoscopia
3. Ritrovamento anticorpale anti-HZV
4. Edema a carico del VII e VIII n.c. rilevabile alla RM
Terapia: Medicazioni locali, aciclovir sistemico, glucocorticoidi e vit.B

PERICONDRITE DEL PADIGLIONE: L’otite esterna non trattata adeguatamente può esitare in pericondrite:
un’infezione del condotto e del padiglione caratterizzata dalla presenza di pus che progressivamente scolla il pericondrio
dalla cartilagine sottostante.

Sintomi
Intenso dolore
§ Mancato apporto trofico alla cartilagine e facilitazione della progressione dell’infezione
Fenomeni necrotico-colliquativi e sequestri cartilaginei
All’EO l’orecchio è tumefatto, eritematoso, prima di consistenza turgida e poi pastosa. NB: il lobulo non viene colpito
perché qui è assente la cartilagine.
Terapia
Antibiotici + cortisone (sia localmente, sia per via generale), analgesici. Eventualmente può essere necessario drenare le
cavità ascessuali e asportare parti necrotiche.

NODULO DOLOROSO DELL’ELICE: Condrodermatite del padiglione. E’ una piccola protuberanza, in genere
unilaterale, a livello dell’angolo supero- posteriore dell’elice. Ultrastrutturalmente è una zona di condrolisi rivestita da
cute sottile sede di fenomeni di ipercheratosi e acantolisi.

Sintomi à Periodiche infiammazioni portano ad un dolore intenso, evocabile al solo sfioramento della lesione.
Terapia à Chirurgia, in cui è asportato anche un piccolo cuneo di cartilagine sottostante.

TAPPO DI CERUME, CORPI ESTRANEI


Il cerume è una secrezione di colorito giallo brusnastro prodotta dalel ghiandole sebacee e dalle ghiandole sudoripare
annesse ai follicoli piliferi del tratto cartilagineo del condotto uditivo esterno; la sua funzone è quella di protegre la cute
sottostante e di mantenere il pH acido e quindi batteriostatico.
La presenza di cerume è asintomatica fino alla completa ostruzione del canale uditivo esternoà senso di pressione
auricolare, ipoacusia, acufeni (talvolta).
Fattori favorenti:
- Ipersecrezione di cerume
- Condotto uditivo esterno stretto e tortuoso
- Osteoma, esostosi
- Coesistente dermatite eczematosa
- Maldestri tentativi di rimozione

I corpi estraei sono anche essi rilevabili nel condotto uditivo esterno soprattutto nei bambini e nei pazienti con deficit
mentali.

Rimozione del tappo di cerume Rimozione dei corpi estranei


Lavaggio auricolare (siringa a 3 anelli ed acqua - Insetti = vanno prima uccisi
tiepida a 37°)à evitare riflesso vestibolare che causa - Forme arrotondate = usati strumenti smussi
vertigini e nistagmo! ricurvi angolati a 90°
In caso di sospetta perforazione/perforazione - Fenomeni infiammatori = (incistamento
avvenuta del timpano: asportazione con subepiteliale del corpo estraneo); piccolo
microstrumenti ed aspiratore sotto controllo del intervento in anestesia locale.
microscopio.

OSTEOMA: E’ un tumore osseo benigno in cui è coinvolta la parte più esterna del CUE a livello della sutura timpano
squamosa e timpano mastoidea. In genere unilaterale, singolo e con base d’impianto ben riconoscibile. Viene asportato
per intero con un secco colpo di scalpello.

Esostosi: A differenza dell’osteoma sono lesioni ossee a genesi non tumorale in genere multiple, bilaterali, base
d’impianto larga (sessili). La crescita è lenta e pare favorita da brusche perfrigerazioni (raffreddamenti) a carico del
condotto osseo.
Sintomi à Inizialmente sono asintomatiche, nel corso degli anni tendono ad ostruire completamente il CUEà
insorgenza di otiti esterne, con fastidioso senso d’occlusione.
Terapia à Chirurgia: scollamento della sottile cute che sovrasta l’esostosi e fresatura della neoformazione (con un
microtrapano ad alta velocità).
ORECCHIO MEDIO

Fisiopatologia della ventilazione dell'orecchio medio: La tuba di Eustachio, come il condotto uditivo esterno, è
formato da una parte fibrocartilaginea più mediale, che poi arriva a livello delle fosse nasali, e una ossea più laterale,
e ha la funzione di mettere in collegamento il rinofaringe con l'orecchio medio: è una cavità vuota che deve ricevere
aria per mantenere la membrana timpanica in equilibrio. Se noi non avessimo delle vie di comunicazione (come
avviene nelle condizione patologiche) nella cavità il volume dei singoli gas che compongo la miscela (che sono poi
quelli soliti: O2, azoto, anidride carbonica…) diminuirebbe e con questo anche la loro pressione parziale (come
sostiene la legge di gay-lussac). All'interno della cassa del timpano questo porterebbe alla formazione di un gradiente
pressorio tra interno ed esterno, mentre fisiologicamente devono essere uguali così da poter mantenere la membrana
timpanica in equilibrio. Perché si mantengano uguali ci deve essere un continuo apporto d'aria all'orecchio medio
così da evitare che l'aria venga riassorbita dalla ricca rete sottomucosa capillare che irrora la mucosa della cassa del
timpano. Il rifornimento di aria avviene ogni volta che noi ingoiamo, circa una decina di volte al minuto, perché
mettiamo in azione alcuni muscoli del palato molle detti muscoli peristafilini che si ancorano all'orificio tubarico
della tuba di Eustachio che ha, come una galleria, due entrate una a livello del rinofaringe, l'altra, l'uscita, al livello
della cassa del timpano. Quando noi ingoiamo attiviamo questi muscoli che aprono l'orifizio tubarico in modo tale
che l'aria contenuta nel rinofaringe e proveniente dalle fosse nasali che quindi ha la stessa pressione dell'aria contenuta
nell'orecchio esterno raggiunga l'orecchio medio. Per cui in questo modo l'orecchio viene rifornito da questo
pompaggio continuo di aria, 1-2 micro litri per ogni atto deglutitorio all'interno dell'orecchio medio, ma che continua
a riequilibrare questa pressione intratimpanica in modo tale da evitare la formazione di questo gradiente di pressione
tra interno e esterno. Sono tutti meccanismi fondamentali per capire sia le indagini strumentali che le patologie
auricolari (a cominciare dalle otiti secretive dei bambini all'otite media cronica e al colesteatoma) che si basano tutte
sull'alterazione di questi meccanismi di regolazione del gradiente pressorio. Una conseguenza precoce di molte
patologia come nell'insufficienza della tuba di eustachio o nel bambino con le adenoide dove si crea una scarsa
ventilazione dell'orecchio medio che porta ad una perdita di pressione di alcuni gas contenuti nella miscela presente
nell'orecchio medio e quindi alla formazione di un gradiente pressorio tra orecchio medio, internamente, e l'orecchio
esterno, esternamente,e in cui la pressione atmosferica diventa maggiore di quella intratimpanica e la membrana si
retrae. Questo è fondamentale saperlo perché è il preludio di molte patologie dell'orecchio.

OTITE BOLLOSO EMORRAGICA: È una condizione a cavallo tra otite esterna e otite media, molto frequente
nei bambini. Consiste in una infiammazione acuta a carico del rivestimento cutaneo della membrana timpanica,
caratterizzata da una bolla a contenuto siero-ematico tra epidermide e strato fibroso. Tale diagnosi spaventa i genitori
del paziente pediatrico, soprattutto quando il medico parla di miringite perché la confondono con la meningite. Nasce
sempre da un'infezione postuma virale, ad es. post-influenzale, post-rosolia, che può colpire la superficie esterna della
membrana timpanica.

L’ eziologia è di natura virale, spesso complicanza di una sindrome influenzale o post-rosolia.


Clinica La membrana timpanica è formata da 3 strati: uno esterno (rivestimento cutaneo), uno intermedio (fibroso) e
uno interno (mucoso). Questo strato esterno si può scollare dallo strato mediano fibroso attraverso delle bolle, ripiene
a volte di sangue. La formazione della bolla causa intensa otalgia irradiata alla regione periauricolare; il dolore si
attenua/scompare alla rottura della bolla (fuoriuscita di sangue e siero à è un segno benigno).
L’udito è solo lievemente compromesso. Non da sequele a distanza ma con il tempo tende a risolversi.
Diagnosi All’otoscopia si nota la lesione bollosa nel contesto della membrana timpanica congesta. In genere si
verifica una rottura spontanea della lesione e raramente permangono perforazioni.
Terapia Analgesici, puntura della bolla, antibiotici (per interessamento della cassa timpanica) e i cortisonici per il
dolore.

OTITE MEDIA: È una patologia infiammatoria della porzione media dell'orecchio (Quando si parla di otite è
quasi sempre otite media, anche se è possibile definire le infezioni dell'orecchio esterno otite esterna). Le otiti medie
acute vengono a loro volta suddivise in:
1. Catarrali (o sierose), a indicare un interessamento dell'orecchio medio in cui c'è siero non infetto. Sono quelle
che capitano a chiunque, soprattutto in caso di raffreddore e in cui il paziente sente ovattato, ha una sensazione
di rimbombo, che in condizione di naso normale, con un po' di antiinfiammatori per via nasale guarisce
spontaneamente. Quando si parla invece del bambino, che magari ha un’anatomia del naso patologica
(deviazione del setto nasale), l'otite catarrale non guarisce e ha bisogno di una cura intensa.
2. Purulente, in cui, invece, l'orecchio medio è occupato da essudato; è una patologia molto suggestiva (otite
media purulenta acuta), in quanto ha delle caratteristiche peculiari. Questo tipo di otite nasce in linea di massima
come iniziale manifestazione virale e successiva sovrapposizione batterica. Poi c’è il passaggio dei batteri
piogeni nella cassa del timpano, produzione di pus, aumento della quantità di pus, compressione dall'interno
della membrana del timpano, febbre, dolore, perforazione della membrana timpanica, fuoriuscita di sangue
(dovuto alla rottura della membrana del timpano), poi di sangue e pus, e infine solo pus; nel momento in cui si
perfora la membrana del timpano, crolla la febbre in quanto si è svuotata questa raccolta simil-ascessuale che
causava la febbre. Prima dell'era antibiotica le otiti perforate erano molto più frequenti e arrivavano allo
specialista quando la membrana del timpano era già rigonfia.
In realtà si può dire che la perforazione si potrebbe paragonare allo «svuotare una botte piena di pus»: se il tappo
della botte si toglie da sotto, questa si svuoterà completamente; se invece il tappo è a metà percorso della botte,
questa si svuoterà fino a metà. Questo corrisponde alla perforazione spontanea: se avviene a un livello basso del
timpano, la cassa si svuota completamente e si hanno tutte le condizioni per guarire anche senza residuati (una
piccola perforazione si cicatrizza spontaneamente e la patologia, accompagnata da terapia, guarisce); se la
perforazione si verifica a livello medio o a livello alto, allora la malattia continua a rimanere in sede e crea tutte
le condizioni per cui l'otite purulenta acuta diventa un'otite media cronica.
Esistono delle otiti purulente croniche che nascono croniche, ma di regola necessitano di essere stata prima
un’otite acuta non trattata, trattata male o trattata bene, ma che per qualche motivo ha mostrato delle resistenze,
oppure un’otite acuta caratterizzata da continue riacutizzazioni.
3. Baro-traumatiche: quella del sommozzatore, oppure quella del viaggiatore in aereo (principalmente quando
l'aereo è in fase di atterraggio), in cui aumenta bruscamente la pressione nell'abitacolo; ciò comprime
bruscamente la membrana del timpano e causa dolore, quindi otite media. Nel volo aumenta la pressione esterna
e, normalmente, quando questo avviene, la pressione nella cassa dell'orecchio medio viene bilanciata attraverso
la tuba di Eustachio: ingoiando, questa tuba si apre e quindi nell'orecchio la pressione diventa uguale all'esterno.
Tuttavia, se la tuba di Eustachio per qualche motivo (ad es. un banale raffreddore o un'irregolarità anatomica)
non si apre, allora fuori si avrà una pressione molto più alta rispetto a quella all'interno dell'orecchio, che dà
dolore e di conseguenza una patologia infiammatoria della membrana del timpano.

1-OTITE MEDIA SECRETIVA (o effusiva) : In condizioni fisiologiche, l'orecchio medio è areato 3–4 volte/min
dall'apertura della tuba di Eustachio durante gli atti di deglutizione, e l'O2 viene assorbito nel sangue dei capillari
della mucosa che riveste l'orecchio medio. In questa patologia c'è la presenza di secrezione mucoide, che è un
trasudato venutosi a creare a timpano chiusoà quindi quello che dovrebbe essere una cavità a contenuto aereo, invece
presenta un versamento(può essere sterile o, eventualità più comune, contenere batteri patogeni aggregati in biofilm,
benché non siano rilevabili segni di infiammazione). Questo versamento si viene a creare per una pressione negativa
dovuta all'incompleta risoluzione di un'otite media acuta o all'ostruzione della Tuba di Eustachio.
Fattori predisponenti
- Prematurità, basso peso alla nascita, suzione in clinostatismo
- Genitori forti fumatori
- Immunodeficienza
- Familiarità
- Discinesie dell’epitelio tubarico ciliato
Epidemiologia, Fisiopatologia ed Eziologia: Sono più colpiti i bambini (specie se non allattati e se in scarse
condizioni socio-economiche), data la loro immaturità tubarica e l’ipertrofia adeno-tonsillare. In genere un episodio
di OMS avviene nell’80% dei soggetti tra i 2 e gli 8 anni, mentre il 50% degli episodi avviene entro il primo anno di
vita. Nel 30-40% dei casi vi sono episodi ricorrenti. N.B. L’otite media secretiva è costantemente presente nelle
palatoschisi e negli esiti di palatoschisi con insufficienza velare.
Cause:
Tra 2 e 8 anni le flogosi sono principalmente di origine virale (adenovirus, H influenzae); più raramente batteriche
(pneumococco e streptococco).
Dopo la pubertà, le possibili cause dell’OMS sono:
- ripetuti fenomeni flogistici nasali e paranasali,
- patologie acute/croniche del distretto nasale,
- neoplasia rinofaringea
Altre cause sono: diatesi allergica, tamponamento nasale posteriore, cicli di terapia radiante, prolungata intubazione
nasale e/o applicazione del sondino naso-gastrico, alterazioni anatomo-funzionali della tuba di Eustachio, MRGE.
è Tutto porta ad una Disfunzione della Tuba d’Eustachio (a lenta instaurazione); questa porta poi a: metaplasia
respiratoria della mucosa timpanica, produzione di secreto (sieroso, mucoso e misto), clearance muco-ciliare
sempre più ridotta.
Anatomia patologica: Si nota reazione ed infiltrazione linfo-plasmacellulare della mucosa, responsabile della
trasformazione dell'epitelio piatto monostratificato dell'orecchio medio in un epitelio pseudostratificato
mucosecernente, che causa l'accumulo di secrezione nella cassa timpanica.
Clinica
- L'ipoacusia è di tipo trasmissivo à soglia per via aerea alterata e soglia per via ossea nella norma,
caratterizzata da una perdita tra 25 e 30 dB, quindi il range su cui varia è da 15 a 50 dB. Avere una perdita
sui 50 dB significa avere sul piano dell'apprendimento dei grossi problemi a questa età. Chiaramente il livello
del perdita è direttamente proporzionale al livello del versamento endotimpanico.
NB: l'esame audiometrico viene chiaramente effettuato in bambini più grandicelli
- Autofonia à sensazione di sentire la propria voce (nelle prime fasi migliorano temporaneamente con le
manovre di compensazione come Valsalva, Toynbee).
- Acufeni a tonalità grave à è una sensazione acustica in assenza di stimolazione sonora. Si distinguono:
o Acufeni soggettivi, quando lo percepisce soltanto il paziente
o Acufeni oggettivi, avvertiti sia dal paziente sia dal medico esaminatore; sono principalmente quelli di
natura vascolare, in cui è possibile avvertire la pulsazione vascolare col fonendoscopio appoggiato
all'orecchio, oppure di natura temporo-mandibolare.
- Sensazione di occlusione auricolare;
- Saltuaria otalgia anche di lieve entità
- Vertiginià legata all'entità del versamento endotimpanico, però non è grave in questa condizione.
Diagnosi
Anamnesi, EO, esami audiometrici ed esame impedenziometrico. Inoltre:
1. Otoscopia: è l'esame più semplice, effettuato con l'otoscopio, uno strumento dotato di auricolare che viene
inserito all'interno del condotto uditivo permettendo così la visualizzazione della membrana del timpano.
o Mostra retrazione ed introflessione della membrana timpanica che appare di colorito grigio/ambrato
opaco (e non lucente) con perdita del triangolo di Politzer (riflesso luminoso quadrante anteroinferiore
dato da forma della membrana timpanica), talora con iperemia e presenza di capillari a raggiera; il manico
del martello si dispone orizzontalmente.
2. Otomicroscopia: la membrana del timpano viene osservata attraverso un microscopio che permette la
visualizzazione di un'immagine più definita.
o Spesso è visibile un livello idroaereo (bollicine di aria frammiste ad essudato liquido).
3. Videotelescopia: si basa su fibre ottiche, attraverso le quali ci si può avvicinare alla membrana del timpano:
fornisce un'immagine più definita ed ampia di quella dell'otoscopio (sensibilità 97-100%).
4. Esame Audiometrico tonale: ipoacusia trasmissiva con riserva cocleare (differenza tra soglia via aerea e via ossea)
di 20-40 dB.
5. Timpanometria (sensibilità 96,6%)
a) classica: timpanogramma piatto (una linea retta) e assenza di riflessi stapediali.
o Il timpanogramma è di tipo B, per la condizione denominata “glue ear” (orecchio pieno), perchè la cassa
del timpano si è completamente riempita di secrezionià quando si effettua il timpanogramma, spostando
la pressione da +200 a -200 e studiando dinamicamente l'impendenza o la comliance (il suo opposto)
della membrana, quest'ultima non può essere né introflessa né estroflessa.
o In una fase precoce si può però avere un timpanogramma di tipo C, in cui è normale l’altezza, ma il picco
è deviato verso valori pressori negativià ciò significa che la tuba non funziona bene e non permette di
compensare bene intero e sterno dell'orecchio, per cui la cassa va in de-pressione (pressione negativa).
b) multifrequenziale: la timpanometria si esegue normalmente a 226 Hz, ma nel bambino è preferibile utilizzare
una frequenza di 1000 Hz, perchè presenta una maggiore attendibilità (timpanometria multifrequenziale). Se
si ha un timpanogramma piatto, si dovranno cercare anche i riflessi stapediali, i quali risulteranno assenti
perchè, anche se lo stapedio si contrae, essendo la cassa del timpano completamente piena, non si posso
registrare tali riflessi. Nell’adulto tale metodica è importante in alcune patologie come l’otosclerosi.
6. Otoemissioni acustiche: si invia attraverso una sonda uno stimolo acustico; la coclea risponde a questo stimolo
con un'eco, denominata “eco cocleare” e la risposta viene registrata attraverso un'apparecchiatura che valuta la
presenza/assenza di queste otoemissioni.
o Un'ipoacusia trasmissiva di 30-40 dB determina assenza delle otoemissioni acustiche.
7. Rinoscopia anteriore: può mettere in evidenza eventuali condizioni nasali che hanno portato ad OMS
8. Endoscopia nasale: grado di ipertrofia adenoidea (bambini), pervietà rinofaringe (adulti); rende possibile prelievi
bioptici
9. Prove allergiche
Storia naturale
Decorso favorevole con terapia medica (talvolta anche con risoluzione spontanea) entro 3 mesi; episodi ricorrenti nel
30-40%, tanto che la suddividiamo in:
- Stabile: durata > 3 mesi
- Fluttuante
Complicanze
û Perforazioni timpaniche: eccessivo muco causa dolore che cessa quando la membrana si rompe; giustificato l’uso
di antibiotici per evitare sovrainfezione batterica.
û Tasche di retrazione della membrana timpanica; nell’adulto è possibile l’insorgenza di colesteatoma.
û Disturbi del linuaggio.
û Atelectasia: adesione della membrana timpanica alla mucosa del promontorio.
û Miringosclerosi: placche a livello dello strato fibroso della membrana timpanica.
û Timpanosclerosi: placche tra epitelio di rivestimento e periostio.
Terapia
Quando intervenire?
o Bambini con esperienza di OMS <4 anni di vita;
o Quando la perdita uditiva mette a repentaglio l’acquisizione del linguaggio e le capacità d’apprendimento.
Fattori prognostici:
o Insorgenza prima dei 2 anni Alcuni autori suggeriscono controlli periodici
o Più di 9 episodi nella vita trimestrali al posto del trattamento.
o Permanenza di muco oltre 130 giorni
Terapia medica
ü Trattamento delle patologie nasali e rinofaringee causali;
ü Manovre atte a ristabilire la pervietà tubarica (cateterismo tubarico);
ü Rieducazione tubarica: esistono dei palloncini chiamati Otovent: una volta gonfiati, si chiude una narice e si fa
aprire la tuba attraverso la pressione esercitata dal palloncino, di modo che con questa ginnastica di apertura e
chiusura si ripristina l'attività tubarica;
ü Antiflogistici, antibiotici, mucolitici, antistaminici [Secondo Marciano sarebbero inutili per troppi effetti
collaterali]
ü Terapia termale con insufflazioni endotimpaniche e cateterismi tubarici;
ü Aerosol-terapia;
ü Terapia adiuvante;
Qualora si tema l’inizio della cronicizzazione:
§ Miringotomia (al quadrante antero-inferiore)
o Anestesia locale del condotto uditivo esterno;
o incisura della membrana timpanica;
o aspirazione del muco dalla cassa del timpano.
La risoluzione dei sintomi (acufeni, fullness, dolore, ipoacusia) è immediata. Il problema è che se non si risolve
la causa scatenante il bambino può andare incontro a recidiva.
La miringotomia può essere seguita dall’apposizione di un tubicino di ventilazione, il quale serve sia a drenare
le secrezioni, sia ad assicurare un’adeguata ventilazione dall’esterno, favorente il ripristino della normale
conformazione dell’epitelio tubarico (regressione metaplasia respiratoria).
N.B. i tubi di ventilazione possono essere a breve o a lunga durata: i primi portano ad aumentato rischio di
recidive, mentre i secondi ad un più alto rischio di perforazioni stabili (richiedenti poi miringoplastica).
Terapia chirurgica adiuvante: possibile ricorso ad Adenoidectomia (+ Tonsillectomia per evitare che si
infiammino le tonsille); apposizione di drenaggio transtimpanico, che fa migliorare la soglia uditiva di 9Db
nei primi 6 mesi; possibile settoplastica, asportazione dei polipi nasali, correz. di rinite allergica negli adulti.

Complicanze:
- A breve termine: slittamento del drenaggio nella cassa, tessuto di granulazione che si può formare sulla membrana
a causa dell'incisura, occlusione del drenaggio, otorrea;
- A lungo termine: miringosclerosi (sclerosi della membrana), microatelettasie, perforazioni.
2-OTITE MEDIA PURULENTA ACUTA (OMPA): L’otite media acuta è l'infezione batterica più frequente
e la prima causa di uso di antibiotici e di consulenza pediatrica, frequente soprattutto tra 3-6 mesi. Perché di solito
prima dei 6 mesi ci si augura che la madre abbia allattato al seno il figlio, e che i suoi anticorpi l'abbiano protetto
dalle infezioni. È ovvio che, in caso contrario, l'infezione può avvenire anche nei mesi precedenti. Nella fascia di
età tra i 6 mesi e i 3 anni, l'otite media acuta è l'infezione batterica più frequente e la prima causa di uso di
antibiotici e di consulenza pediatrica.
In genere si manifesta dopo un'infezione (respiratoria) virale su cui c'è stata una sovrainfezione batterica.
Eziologia: Spesso monomicrobica [Pneumococco (S. pneumoniea), H. Influenzae, Moraxella catarrhalis –
Infernal Trio], la quale può sia essere una sovrainfezione su infezione virale (80%) o una prima infezione (20%).
Più spesso è dovuta a propagazione tubarica ascendente di infezioni del rinofaringe. La patogenesi dell'otite media
acuta (OMA) deriva dal fatto che nel bambino la tuba di Eustachio è anatomicamente più corta ed è quasi sempre
aperta e orizzontale, per cui rappresenta un'autostrada per i germi che dal rinofaringe e dalle adenoidi vanno a
finire nell'orecchio. Prima dei 6 mesi l'incidenza di OMA è minore, grazie agli anticorpi contenuti nel latte
materno, ma dopo i 6 mesi l'incidenza di OMA aumenta, soprattutto se si associa anche una produzione di IgA
secretorie per favorire un'immunità locale maggiore nelle alte vie respiratorie.
Va sempre sottolineato che un'otite media in un bambino è sempre un problema tubarico, cioè nasce dapprima
come raffreddore, e quindi come infezione nasale (la profilassi dell'OMA è l'igiene nasale).

Fattori predisponenti: I fattori predisponenti sono stati ritrovati in condizioni socio-economiche disagiate,
collettività (asili nido), assenza di allattamento al seno materno, fumo passivo dei genitori; in realtà fattori più
frequenti:
• Patologie peritubariche;
• Ipertrofia adenoidea, causa di ostruzione tubarica;
• Stagionalità, ma non è il freddo a causare l'otite media, quanto piuttosto la tendenza a svolgere attività
in luoghi chiusi; ciò non accade in estate, perché il bambino è all’aperto e se va al mare, l'acqua di
mare che passa attraverso il naso svolge da aerosol naturale mententendo pulito il naso.
Fasi
- Iperemica: iperemia della membrana timpanica che appare anche retrattaà dolore auricolare sordo, lieve
deficit uditivo.
- Essudativa: essudato sieroso che tende ad estroflettere la MT (versamento endotimpanico)à dolore che
aumenta d’intensità e diviene pulsante, comparsa di febbre, ipoacusia più marcata (spesso con autofonia).
- Ipertensiva: non si riferisce a un'ipertensione vascolare, quanto piuttosto alla pressione del pus all'interno
della cassa del timpano, che è una cassa chiusa. L'unica parete che può cedere è quella laterale,
determinando la perforazione della membrana del timpano
- Suppurativa: danno a carico della struttura fibrosa della MT con sua perforazione. Febbre alta (39-40°) e
dolore all’acme. L’otorrea si presenta prima con fuoriuscita di sangue e poi di pus. Il dolore cessa, la febbre
crolla ma l’ipoacusia permane!
Clinica: Nel bambino i sintomi sono irritabilità, pianto inconsolabile, e poiché, soprattutto il neonato, non può
esprimersi a parole, il dolore è valutabile dal gesto di portare la mano frequentemente all'orecchio, dall'incapacità
di svolgere una suzione continua al seno della madre (la suzione crea una pressione negativa a livello del
rinofaringe, che risucchia anche la tuba, e ciò provoca lo spostamento della membrana timpanica infiammata, molto
innervata, con conseguenze dolorose), e dall'otorrea. Nell'adulto si presenta con dolore sordo a livello dell'orecchio
(otodinia), che può esitare in un dolore pulsante. Anche in questo caso, come nella miningite bolloso-emorragica,
il dolore passa nel momento in cui la membrana cede e si perfora. Nella miningite bolloso-emorragica, però, non
abbiamo una vera e propria perforazione della membrana timpanica, ma interessa lo strato esterno della stessa
membrana; in questo caso, invece, quando il pus è all'interno della cassa del timpano, a un certo punto può perforare
la membrana del timpano, dando otorrea purulenta (vedi OMA purulenta). Si avrà ipoacusia di tipo trasmissivo,
perché viene interessato l'orecchio medio, autofonia, cioè il paziente sentirà la propria voce rimbombare
nell'orecchio, e fullness auricolare, vale a dire del pus all'interno.
Diagnosi
• Lattante/Bambino (più colpiti): diagnosi più difficile, sospettata quando si ritrovano:
1) Pianti improvvisi senza motivi
2) Il bambino tende a portare la mano sull’orecchio o ad alzare la spalla omolaterale
3) Secrezione muco-purulenta nasale
4) Malessere generale
• Adulto: sintomi, esame otoscopico, esame audiometrico; l’esame impedenziometrico non va eseguito
(inutile stress/dolore).
Terapia
- Antibiotici ad ampio spettro per via sistemica (amoxicillina + aa clavulanico, oppure macrolidi in caso di
allergica) per 7-10 giorni + Cortisonici (via nasale e generale). Prevenzione spesso è svolta con l'uso di
vaccini anticatarrali (lisati batterici).
- Terapia locale si basa sull'uso di decongestionanti nasali, antinfiammatori steroidei e mucolitici per via
aerosolica, irrigazioni nasali e antibiotici nasali.
- Analgesici, Medicazioni endoauricolari
- Miringotomia: resistenza agli antibiotici scelti, per evitare complicanze settiche, per praticare un esame
colturale.

Evoluzione In genere tendono a risolversi facilmente. La miringocentesi si rende raramente necessaria in caso di
persistenza dell'essudato, per un eventuale antibiogramma e terapia antibiotica mirata. Le forme protratte e
recidivanti sono una conseguenza della terapia medica inadeguata e/o insufficiente o della persistenza del processo
flogistico infettivo rinofaringeo. Fattori di rischio sono la MRGE (un reflusso può colonizzare l'edificio tubarico
e ciò può favorire scambi di secrezioni tra naso e orecchio) e dismorfismi cranio-facciali (palatoschisi,
labiopalatoschisi, sindrome di Down, etc.).

Otite media acuta ricorrente: I bambini che vanno incontro a OMA ricorrenti sono bambini a rischio di un
intervento chirurgico.
• Uno dei principali fattori di rischio può essere la malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), poiché un
reflusso può colonizzare l'edificio tubarico, e ciò può favorire scambi di secrezioni tra naso e orecchio.
• Un altro fattore di rischio sono i dismorfismi cranio-facciali, ad es. labbro leporino (palatoschisi,
labiopalatoschisi), sindrome di Down... Le schisi sono difetti di fusione delle due ossa mascellari, che
dovrebbero fondersi sulla linea mediana. Quando non c'è questa perfetta fusione, per ragioni anche
genetiche, si crea una scissura che può interessare o solo le labbra (cheiloschisi), o può coinvolgere l'arcata
alveolare superiore (cheilognatoschisi), o può interessare il palato duro (uranoschisi), o il palato molle
(palatoschisi, la forma più comune), oppure l'ugola bifida, che spesso sottende una simil-sottomucosa del
palato molle, e siccome sul palato molle si vanno a inserire i muscoli tensore ed elevatore del palato,
responsabili dell'apertura della tuba di Eustachio. Se c'è la schisi, la sezione non è su un punto fisso, la
contrazione di questi muscoli non provoca l'apertura della tuba quando il paziente ingoia, c'è
un'insufficienza velare, che porta anche problemi alla fonazione legati alla malformazione del palato
(voce nasale), alla deglutizione, dovuti a mancata chiusura del rinofaringe, e soprattutto problemi tubarici,
in seconda istanza otitici, dovuti a disfunzioni della tuba. Mentre una disfunzione tubarica in un bambino
è transitoria, e con il passare del tempo si autorisolve per raggiunta maturità delle strutture tubariche, un
bambino con labbro leporino sarà sempre destinato, anche da adulto, a infezioni otitiche ricorrenti, per
cui nonostante la terapia antibiotica, da grandi questi pazienti saranno costretti a subire interventi a livello
dell'orecchio a causa di otiti esitanti in infezioni croniche.

Complicanze:
• Mastoidee: mastoidite acuta, empiema mastoideo (Bezold, pseudo-Bezold, Mouret), ostemielite acuta
della mastoide, mastoidite necrotizzante;
• Endotemporali: labirintite, paralisi del faciale, petrositi;
• Endocraniche: meningiti, encefaliti, ascessi;
• Vascolari: tromboflebite del seno laterale, con formazione di trombi o emboli settici, tromboflebite della
vena giugulare interna, del seno cavernoso.

EVOLUZIONE DELL’OTITE MEDIA ACUTA: L’otite media acuta può andare incontro a risoluzione
spontanea oppure a guarigione grazie a terapia medica o a complicanze relative all’interessamento secondario di
tutti i distretti vicini all’orecchio medio (come la mastoidite, labirintite, petrosite,trombosi seni venosi,meningite,
ascesso endocranico) inoltre può anche andare incontro a recidive, se sono almeno 4 in un anno, si parla di otite
media ricorrente e pone indicazione per l’intervento chirurgico. Qualora non guarisca, può andare incontro ad un
otite media cronica che didatticamente vengono distinte in circolo chiuso ed aperto: quelle a circolo chiuso sono
dovute a disfunzione tubariche (ot.media effusiva ed adesiva) mentre quelle a circolo aperto sono con perforazione
della membrana timpanica: semplici, classiche con presenza anche di infiammazione della mucosa, e quella
colesteatomatosa con la presenza di una cisti dermoide (colesteatoma) che è la complicanza più temibile che può
portare a più danni.
• A CIRCUITO CHIUSO: L’otite media effusiva è così chiamata perché, come si può apprezzare, il manico
del martello è orizzontalizzato, la membrana è retratta e all’interno ci sono delle bolle aeree che fanno
presagire che al contorno delle bolle ci sia del liquido. Quindi effusiva sottointende non che l’essudato vada
all’esterno, ma che rimane all’interno e può dare problemi al livello delle camere d’aria della tromba di
Eustachio. Ecco perché quando la tuba non funziona siamo costretti ad applicare un drenaggio facendo una
miringocentesi, quindi un taglio al quadrante interessato per drenare le secrezioni. La funzione del drenaggio,
oltre che per drenare le secrezioni, è anche di mettere in comunicazione la cassa del timpano con l’esterno e
quindi con l’aria, che dovrebbe arrivare attraverso la tuba nella cassa del timpano ma che non riesce ad
entrare. Però si determina, soprattutto nei bambini, una metaplasia dell’epitelio della cassa del timpano:
l’epitelio da cubico monostratificato (per permettere gli scambi transmucosali) si caratterizza per cellule
caliciformi che secernono questo muco nella cassa del timpano che essendo occupata interamente da essudato
che determina una riduzione dell’oscillamento della cassa timpanica e quindi un’ipoacusia trasmissiva poiché
interessa l’apparato di trasmissione. La presenza di un versamento persistente nella cassa e la sua mancata
risoluzione può determinare atrofia, atelettasia e successiva perforazione della part tensa, che sarebbe la parte
densa della membrana timpanica che messa in vibrazione ci fa sentire, tant’è vero che le linee guide parlano
di un tempo ragionevole di attesa di 6 mesi o 1 anno prima di apporre il drenaggio transtimpanico, che avviene
frequentemente soprattutto nei bambini e nella stagione estiva. Quando ciò non avviene va allontanato per il
rischio di evoluzione in otite media effusiva e quindi cronica.

Nelle otiti a timpano chiuso (integro) ci sono delle tasche di retrazione che per definizione sono una parziale
o completa adesione della membrana timpanica alla parete mediale della cassa. La membrana timpanica di
per se può retrarsi o estroflettersi a seconda del gioco di pressioni tra esterno (atm) e interno (cassa). Se io
effettuo la Valsalva io ho l’estroflessione della membrana e il timpanogramma si sposterà verso valori
positivi. Se al contrario vi è un’ostruzione e la tuba non riesce a rifornire la cassa di aria, si viene a creare un
gap rispetto a quella atmosferica esterna di circa 18mmhg che è responsabile della retrazione della membrana
timpanica che tende ad andare verso il promontorio e aderire alle strutture sottostanti. A seconda di quanto
aderisca a queste strutture possiamo distinguere le tasche di retrazione di 4 tipi:
- PRIMO TIPO: Quando si retrae senza entrare in contatto con la catena ossiculare. Tramite l’otoscopia,
è possibile osservare la membrana ritratta dal fatto che il manico del martello è molto prominente (poiché
la membrana retratta aderisce al manico), tipico aspetto del tipo 1.
- SECONDO TIPO Quando entra in rapporto con la prima elemento che trova, in questo caso
l’articolazione incudino-stapediale. Nel tipo 2 oltre al martello si vede anche il processo lungo
dell’incudine e l’articolazione incudo-stapediale; vi può essere anche un versamento rappresentato da
un colorito giallastro per trasparenza, il paziente avrà un’ipoacusia di trasmissione e un timpanogramma
di tipo B.
- TERZO TIPO: Entra in contatto con il promontorio e qualche volta usura il capitello della staffa e il
braccio lungo dell’incudine. Nel grado 3 oltre all’aderenza sul processo lungo dell’incudine vi è anche
una connessione di tipo fibroso tra questo processo con il capitello della staffa; in questo stadio non
necessariamente il pz ha una grossa ipoacusia trasmissiva perché in realtà il processo di vibrazione della
membrana timpanica è assicurata dal fatto che la staffa viene messa in vibrazione direttamente dal resto
della membrana timpanica vibrante
- QUARTO TIPO: La membrana timpanica aderisce totalmente al promontorio escludendo la porzione
dell’orecchio medio e in questo caso non abbiamo più residui di aria, per cui non vibrerà.

Gli atteggiamenti davanti ad una tasca di retrazione è fondamentalmente di attesa, perché bisogna capire se la
tasca è evolutiva o meno, il che è difficile alla prima visita del pz, per cui una volta stadiata la tasca di retrazione
bisogna capire se è evolutiva o non evolutiva in colesteatoma. In alcuni casi è richiesta la terapia medica che
è nasale ed è volta a ripristinare una corretta funzionalità tubarica, in altri casi si può apporre il drenaggio
transtimpanico per cercare di ventilare dall’esterno la cassa timpanica che ha dimostrato di non funzionare
bene ( il drenaggio è indicato soprattutto nei bambini in quei casi in cui sono sicuro che la tuba non può
funzionare come labioplaatoschisi o pz con incidenti, traumi, terapie radianti che hanno indotto la stenosi
cicatriziale). In realtà, la tasca di retrazione che può interessare uno o più quadranti, interessa frequentemente
quelli posteriori rispetto agli anteriori perché questi ultimi sono ventilati comunque da una tuba che in parte
funziona, questo può sembrare un controsenso rispetto a quello che abbiamo detto prima ma in realtà la
disfunzione tubarica non è l’unica responsabile della genesi di una tasca di retrazione, ma il problema è che
quest’aria che arriva tramite la tuba deve andare a ventilare tutta la cassa del timpano non solamente
l’ipotimpano ed il mesitimpano, ma anche l’epitimpano (la maggioranza dei colesteatomi nasce a livello
epitimpanico) ed il vero problema nasce che in alcuni pz anche per motivi costituzionali/genetiche non vi è
una buona comunicazione tra ipo/meso-timpano ed epitimpano, perché l’aria per arrivare all’epitimpano deve
passare attraverso l’istmo timpanico che è ristretto e si ritrova topograficamente tra il braccio lungo
dell’incudine e il manubrio del manico del martello, quindi a questo livello vi può essere un’aderenza
cicatriziale che ostacola l’ascesa dell’aria verso l’alto e quindi anche se l’aria entra tramite la tuba non riesce
a ventilare la parte inferiore della cassa del timpano e in quelle aree si possono creare delle tasche di retrazione.
Ciò ha come corollaro che nel pz, anche mettessi un drenaggio a livello del quadrante anteroinferiore, vado
ulteriormente a ventilare ipo e mesotimpano ma l’aria comunque non passa nell’epitimpano e quindi il paziente
nonostante il drenaggio, può andare incontro al colesteatoma. In questi casi è indicata una timpanoplastica,
eliminando o per via endoscopica o per via operatoria tutte le condizioni critiche che determinano una cattiva
ventilazione endotimpanica. E’ inoltre importante che l’aria arrivi alla porzione epitimpanica perché a quel
livello, soprattutto a livello posteriore, vi è l’aditus ad antrum che fa entrare quest’aria che viene fresca dalla
tuba anche a livello delle cellette mastoidee che rappresentano il punto in cui avvengono degli scambi che
servono ad equilibrare tramite gioco pressorio la retrazione della membrana timpanica. Quindi se si blocca la
“respirazione” dell’orecchio per la stenosi a livello dell’istmo, anche la mastoide viene esclusa. Questa
condizione può anche attivare un equilibrio per cui la membrana timpanica si rimargina fino ad un certo punto
e la tasca può essere non evolutiva che in una persona anziana è a prognosi favorevole. Un altro destino a cui
può andare incontro la membrana timpanica quando l’orecchio non è ben ventilato è la perforazione che
sembrerebbe logicamente la liberazione da tutti i mali perché è ciò che determiniamo quando applichiamo il
drenaggio. Progressivamente la membrana va in contro ad atrofia, perde i suoi strati e si perfora; queste
possono essere più o meno ampie e possono interessare i vari quadranti. Quando abbiamo un ‘infezione da
lungo tempo dell’orecchio medio, si potrà avere una perforazione marginale o non della pars tensa, la
marginale ha una prognosi peggiore perché dobbiamo sempre temere l’evoluzione in colesteatoma, in quella
non marginale infatti la pelle che viene dalla parete posteriore del condotto tende più difficilmente ad entrare
attraverso questa perforazione dell’orecchio medio, se invece è marginale, il margine della perforazione o
anteriormente o posteriormente comunica con la parete anteriore o posteriore del condotto uditivo esterno,
normalmente colonizzato da batteri saprofiti quindi anche per un semplice bagno l’acqua può stimolare il
labirinto e può avere vertigini violenti ma soprattutto infezioni a livello della cassa del timpano. L’otite media
cronica può essere definita come un “vulcano” silente con eventuali pericolose riacutizzazioni perché l’otite
media cronica quiescente può diventare infetta con reazione infiammatoria nella cassa con pus che esce
all’esterno e può essere prelevato tramite tampone valutando quindi la terapia antibiotica. Mentre in questo
caso la riacutizzazione ha indicazione alla terapia medica (antibiotico), per la perforazione la terapia è
chirurgica. L’alternanza fase quiescenza/attività ha quadri anatomopatologici diversi, la fase di attività vi può
essere ulcerazione della mucosa, si possono creare tessuti di granulazione trasformando il quadro di un’otite
cronica semplice ad una iperplastica, durante la fase inattiva si può osservare una mucosa con aspetto normale
con esiti di processi vecchi che può complicare il quadro clinico e audiologico del pz.
Fino ad un certo punto tutte queste modificazioni possono essere reversibili con terapia antibiotica mirata
previo antibiogramma La perforazione alimenta la flogosi cronica, per cui è necessaria la miringoplastica che
è il tipo di timpanoplastica più semplice in cui si mette una toppa la membrana timpanica con incisione
retroauricolare, si preleva una porzione di fascia del muscolo temporale e si appone a seconda di dove lo
apponiamo sarà chiamata overlay o underlay in modo da offrire una guida per la riepitelizzazione della
membrana timpanica e la sua chiusura. Ma chiudendo semplicemente il buco senza migliorare la ventilazione
rimuovendo gli ostacoli verso l’epitimpano, la perforazione a causa dell’insufficienza tubarica si ricreerà, ecco
perché nei bambini si tende a fare l’intervento quando la tuba è diventata meno insufficiente per evitare recidive
post-intervento.
• A CIRCUITO APERTO
o OTITE MEDIA PURULENTA CRONICA (OMPC): Un’OMPA che va incontro a completa risoluzione
comporta il residuare di una perforazione stabile della MT, attraverso cui drenano le secrezioni muco-
purulente frutto di riacutizzazioni.
Cause
- Trattamenti non adeguati
- Fattori generali (diatesi allergica, DM, immunodeficit)
- Fattori locali (flogosi recidivanti delle prime vie aeree, deviazioni del setto nasale, poliposi
nasale, alterazioni anatomo-funzionali)
Eziologia
Più spesso polimicrobica e dovuta al raggiungimento della cassa timpanica dei batteri attraverso
la perforazione (P. aeruginosa, S. aureus, Proteus, E. coli, Klebsiella Pneumoniae).
Tipi
- Semplice: presente una perforazione talvolta accompagnata da miringosclerosi,
timpanosclerosi, raccolte di secrezione non purulente
Possibili processi osteitici delle ossicine responsabili di eventuali interruzioni della
continuità della catena (Timpanogramma tipo E: onda a gobba di cammello)
- Granulomatosa: mucosa endotimpanica particolarmente edematosa e congesta con
degenerazione in formazioni polipoidi che tendono ad avviluppare (senza usurarla) la catena
degli ossicini e che possono bloccare la fuoriuscita di pus
- Colesteatomatosa: perforazione marginale con squame lamellari di cute intorno all’orecchio
medio
N.B. le fasi di quiescenza possono essere anche molto lunghe!
Clinica
• Ipoacusia : sempre presente; trasmissiva o mista
• Otorrea : quando presente, mucopurulenta o francamente purulenta; particolarmente fetida.
La fuoriuscita di questo materiale può essere causa di un’otite esterna secondaria.
Nasce il sospetto di una complicanza quando compaiono: vertigini, paralisi VII n.c., cefalea,
segni di compromissione cerebrale.
Terapia
- Farmacologica: antibiotici + CCS (via locale e generale), è utile anche per le riacutizzazioni;
è possibile fare medicazioni locali con soluzioni alcooliche di acidi deboli come l’acido
borico (specie nelle forme granulomatose)
- Chirurgia: d’elezione:
v Miringoplastica : forme semplici; under/over- lay, cioè l’innesto è posizionato sotto o
sopra l’annulus timpanico
v Timpanoplastica : presenza di tessuto iperplastico o di un colesteatoma (oltre a riparare
la perforazione, si asporta il tessuto patologico)
La finalità della via chirurgica è di ottenere un orecchio asciutto, anche talvolta a discapito
della funzione uditiva!

o COLESTEATOMA: Per definizione è “pelle nel posto sbagliato”. E’ una lesione abbastanza frequente
che può essere dal punto di vista eziopatogenetico:
§ Congenito, rare, che nasce spesso in pazienti spesso pediatrici che non hanno mai avuto otiti ma
alcuni residui ectodermici sono rimasti intrappolati durante lo sviluppo embrionale all’interno della
cassa del timpano, sono cresciuti nel tempo e hanno originato al colesteatoma, che sarà a timpano
chiuso, che avrà grandezze diverse a seconda della precocità della diagnosi (quindi anamnesi
negativa per otorrea, membrana integra)
§ Acquisito primario: Nella membrana timpanica vi è una fusione tra ectoderma che riveste la porzione
esterna della membrana e mesoderma che costituisce lo strato fibroso intermedio e endoderma che
rappresenta il rivestimento mucoso. Quando ho una perforazione o una tasca di retrazione, dal
momento che la membrana ha una tendenza a retrarsi, si porta indietro anche l’epitelio malpighiano
che riveste normalmente il condotto uditivo esterno quindi la pelle entra nel posto sbagliato (orecchio
medio) e inizia a crearsi il colesteatoma che tende ad espandersi.
§ Acquisito secondario: A differenza del primario passa attraverso una franca perforazione della
membrana del timpano e in questo caso se il timpano è aperto, ciò favorisce la migrazione della pelle
che riveste la parte posteriore o superiore del condotto uditivo esterno che scivola nella cassa del
timpano e da vita ad un colesteatoma. A differenza di un pz con colesteatoma acquisito primario

Patogenesi
- Teoria del Residuo Embrionario : giustifica solo i colesteatomi endotimpanici primitivi
(2%) della rocca (MT integra, anamnesi negativa per episodi flogistici ripetuti a carico
dell’orecchio medio)
- Teoria della Metaplasia Epiteliale : a sfavore di questa teoria:
o Assenti cellule di Merkel e di Langherans nella metaplasia (presenti invece
nell’epitelio Malpighiano)
o Produzione di particolari citocheratine e vimentina da parte delle cellule
colesteatomatose
- Teoria della Migrazione Epiteliale

Classificazione nosografica
ZINI e SANNA (1980) TOS (1988)
1) Mesotimpanico 1) Attic cholesteathome
2) Epitimpanico 2) Sinus //
3) Misto dei precedenti 3) Tense retraction //
4) Semplice epidermizzazione della cassa

Anatomia patologica:
§ Macroscopicamente: massa biancastra, traslucida e compatta.
§ Ultrastruttura: cisti rivestita da epitelio malpinghiano che desquama continuamente con
accumulo di lamelle al suo interno. C’è un nucleo centrale e tante lamelle di cheratina che
derivano dalla desquamazione delle cellule epiteliali che tendono a crescere come una
cipolla in strati concentrici tendono a erodere gli strati circostanti. La matrice è avvolta da
uno strato di fibroblasti e poggia su un infiltrato linfo-plasmacellulare (responsabile
dell’invasività locale)

Clinica: Varia in rapporto a sede, estensione della neoformazione, capacità d’infiltrazione. Sintomi classici
sono:
- Otorreaà fetida
- Ipoacusiaà può essere marcata, di 30-40dB, e con progressiva compromissione della via
ossea
Effetto Columella : la massa colesteatomatosa trasmette la stimolazione sonora alla finestra ovale e, alla
sua rimozione, c’è diminuzione dell’udito (reale)

A differenza del paziente con colesteatoma acquisito primario, un paziente affetto da colesteatoma acquisito
secondario nella sua anamnesi riferisce vari episodi di otorrea , dovute a infezioni ricorrenti dell’orecchio
medio facilitate dalla perforazione della membrana timpanica. Osservando quest’ orecchio potete osservare
come nonostante la membrana sia apparentemente normale, ci sia in realtà un cratere di erosione dovuto al
colesteatoma che ha eroso l’osso. L’intervento non sarà soltanto una semplice ricostruzione della membrana
timpanica ma sarà necessaria una timpano plastica.

Diagnosi: Anamnesi positiva per otiti ricorrenti, otoscopia, TC e RMN (solo in caso di sospetto
coinvolgimento meningeo, fistola perilinfatica o di ernia cerebrale). Fondamentale per la diagnosi è la
presenza di una otorrea fetida, anche nell’otorrea purulenta dell’otite media c’è pus ma non è fetida.
Talvolta, a seguito dell’infiammazione, può formarsi un polipetto infiamatorio di tessuto iperplastico.
Questo quadro alla TC è difficile da valutare. Questa massa, tra l’altro infetta, può determinare facilmente
lesioni del timpano soprattutto se è in posizione epitimpanica , posso avere una lesione del tegmen timpani
e un passaggio di batteri al meninge e dunque una menigite otogena , oppure un ascesso cerebrale , una
paralisi del nervo facciale , una labirintite per infiltrazione ed erosione del promontorio , una trombosi dei
seni venosi che attraversano l’orecchio interno , una estensione alla parotide .
Il termine colesteatoma fa pensare ad un tumore benigno, sicuramente non dà metastasi, ma in realtà non è
neanche un tumore , però si comporta come tale localmente . Il problema è che dobbiamo capire se c’è
colesteatoma o meno. Ci sono dei quadri soprattutto in pazienti già operati precedentemente in cui il
colesteatoma si può formare in pazienti con un timpano ricostruito, e all’otoscopia vediamo ben poco. È
dunque necessario affidarsi alle indagini radiologiche: una TC anche senza mdc per valutare l’eventuale
erosività del colesteatoma. Alla TC vediamo un tessuto grigio ipodenso all’interno della cassa del timpano
che normalmente dovrebbe essere nera per la presenza di aria . Non ci dice pero se si tratta di un polipo
infiammatorio (che possiamo trattare con terapia medica, magari con una soluzione alcolica che tende a
disidratare) oppure se si tratta di un colesteatoma .Per indagare meglio la natura istologica della lesione
possiamo riccorrere a tecniche come la risonanza magnetica , con sequenze particolari “a diffusione” che
sono state introdotte per studiare gli esiti ischemici cerebrali . Si può valutare il grado di idratazione di un
tessuto, le sequenze di diffusione si basano infatti sullo spostamento degli atomi di H+ che riflettono il
contenuto di acqua di un tessuto. Il colesteatoma è infiammatorio, è molto cellularizzata e poca acqua , per
cui si dice che “restringe” . Le immagini appariranno quindi ristrette , iperintense , ossia con bianco che
spicca nella ipointensità generale . Al contrario se è presente una otite media iperplastica, anche con
presenza di muco , avremo un tessuto ipodenso alla TC che non diventa iperintenso alla risonanza , non
restringe.
Prognosi: Oggi nell’ambito del colesteatoma la nuova frontiera è cercare di capire quali sono i fattori
prognostici che consentano di distinguere un colesteatoma più invasivo rispetto ad un altro. Si parla di
colesteatoma apicale, del seno timpanico e della pars tensa mentre una classificazione più accettata oggi è
quella di due otologi italiani Zini e Sanna che è : colesteatoma di Tipo A mesotimpanico , tipo B
epitimpanico, tipo A+B Mesotimpanico + epitimpanico. I
Stiamo studiando dei markers tumorali che possano dare informazioni prognostiche sulla recidiva ,e il tutto
dipende dal rapporto tra aggressività del colesteatoma e difese dell’ospite . Questi fattori sono i soliti : le
citochine , enzimi litici , fattori genetici vari ma soprattutto le infezioni recidivanti. Un po' come accade
con le adenotonsilliti ( più il bambino soffre di infezioni più le adenoidi crescono ) allo stesso modo sembra
che queste infezioni possano stimolare la produzione di citochine che favoriscono la crescita e la
aggressività del colesteatoma .
Terapia
La terapia è chirurgica:
Ø Timpanoplastica chiusa:
colesteatomi di piccole dimensioni in
pz giovani; si esegue una
Mastoidectomia (apertura dell’antro
e delle cellule mastoidee interessate),
timpanotomia posteriore (allo scopo
di allargare il canale di
comunicazione tra cavità nasale e
neocavità mastoidea) e
conservazione della parete posteriore
del canale uditivo esterno.
Si effettua in 2 tempi (exeresi
colesteatoma + apposizione di una
lamina di silastic (silicone) cui segue
asportazione della lamina +
assicurarsi che non ci sia un
colesteatoma residuo o ricorrente +
ricostruzione della continuità della
catena ossiculare).
PRO: Conserva parete posteriore
CUE, meno invasivo e meno danni estetici.
CONTRO: Maggiore probabilità di recidiva o residuo postoperatorio.
Ø Timpanoplastica aperta:
mastoidectomia associata
all’abbattimento della parete
posteriore del condotto; è prevista
inoltre meatoplastica (allargamento
del meato acustico esterno)àmeglio
osservabile la porzione mastoidea
della neocavità chirurgica ai
successivi controlli otoscopici.
Tecnica di Bondy: conservazione
dell’intera catena ossiculare (purchè
sia integra, mobile e che il
colesteatoma non si ponga
medialmente ad essa).
PRO: Più radicale, meno residuo o
recidiva
CONTRO: Più demolitiva

Ø Radicale Mastoidea: colesteatomi particolarmente infiltranti con usurazione della catena ossiculare
senza possibilità di ricostruzione.
La cassa timpanica è totalmente abolita, si oblitera la tuba di Eustachio; inoltre è necessaria la
Meatoplastica (residua sordità omolaterale). È una condizione radicale garantista contro le recidive ,
che normalmente ha un 30% di recidiva , e anche a 10 di distanza abbiamo maggiori garanzie riguardo
le recidive anche se naturalmente abbiamo minori garanzie per quanto riguarda l’udito, avremo una
ipoacusia trasmissiva di medio-grave entità di 50-75 db .

COMPLICANZE DELLE OTITI < 1% dei casi nei paesi industrializzati.

ENDOTEMPORALI

1. MASTOIDITE: È la più frequente complicanza di


un’otite. La propagazione dell’infezione è in genere
attraverso l’aditus ad antrum. Raccolta di pus nelle
celletteà fenomeni osteiticiàEmpiema Mastoideo
NB: Le Cellette mastoidee sono distinte in:
- Anteriori (superficiali e profonde)
- Posteriori (sovra-sinusali, sinusali medie,
sottosinusali in base alla posizione rispetto al seno
sigmoide)
- Temporo-zigomatiche occipitali, perilabirintiche

Clinica: Richiama quella di un’otite media acuta.


Tipicamente l’otalgia non insorge improvvisamente ma
dopo un episodio di otite media acuta mal trattata.
In alcuni casi vi può essere Erosione della corticale
Mastoidea con propagazione del pus:
- Posteriormente, verso la nuca
- Anteriormente, con piegatura in avanti del
padiglione e scomparsa del solco retroauricolare
- Inferiormente, con quadri di un ascesso
laterocervicale; eroso l’apice mastoideo, la
secrezione mastoidea può scivolare verso il basso e
causare:
a) Mastoidite di Bezold: lungo la faccia mediale dello SCM e la faccia laterale del digastrico;
si ha una possibile propagazione verso muscoli della nuca, vasi del collo (àtromboflebite
della v. giugulare int), mediastino, fistolizzazione a livello cutaneo
b) Mastoidite Pseudo-Bezold: lungo la faccia laterale dello SCM o infiltrando il ventre del
muscolo stesso (àmiosite)
c) Invasione del triangolo Iugo-Digastrico di Mouret: tra faringe e Digastrico, in questi casi si
ritrova un doloroso torcicollo con ascesso laterale faringeo e retrostilodeo con faringodinia
e trisma.

Diagnosi: Esame clinico e dati radiologici, specie alla TCà raccolta purulenta con distruzione dei setti
divisori ossei (processi acuti con mastoidi ben pneumatizzate; nei processi cronici la diagnosi è più
difficile).
Terapia
È chirurgica:
- Mastoidectomia (adulti)
- Antrotomia (bambini)
Ndr domanda scritto: ascesso della mastoide che erode corticale: ascesso subperiosteo.

2. PARALISI DEL VII N.C. Monolaterale, omolaterale all’orecchio colpito:


- Inattività dei muscoli mimici del viso omolaterali alla lesione con rima buccale stirata verso il lato sano
(prevale muscolo controlat.)
- Segno di Bell positivo: tentativo del globo oculare di spostarsi superiormente quando il pz cerca di chiudere
l’occhio
L’insorgenza è di solito rapida; in caso di insorgenza graduale si fa DD con patologie tumorali dell’angolo
ponto- cerebellare.
Il grado di compromissione è valutabile con la Scala di House-Brackman (normale, disfunzione lieve,
moderata, moderatamente grave, grave, paralisi totale).

Patogenesi
- Graduale distruzione del rivestimento osseo del canale di Falloppio (nella rocca petrosa del temporale) per
l’avanzamento destruente di un Colesteatoma: propagazione per continuità
- Propagazione dell’infezione per via vascolare attraverso un osso intatto: per contiguità.
Diagnosi Clinica; la TC è dirimente per localizzazione della lesione; l’EMG è utile per la prognosi.
Terapia Antibiotico + CCS. In alcuni casi si ricorre ad intervento decompressivo.
Per le fasi stabilizzate da almeno 6 mesi: innesto nervoso (prelevato dal n. femoro-cutaneo laterale o grande
auricolare) possibile.

3. LABIRINTITE: Processo infiammatorio dell’orecchio interno che fa seguito ad un’otite acuta o media
cronica in fase di riacutizzazione. La propagazione dell’infezione avviene attraverso la finestra ovale,
finestra rotonda, promontorio, canale semicircolare laterale.
Clinica
- Primi giornià acufeni, ipoacusia, vertigini, nistagmo che batte verso il lato malato
- Fasi successiveà danno irreversibile alle funzioni uditiva e vestibolare (quest’ultimo è progressivamente
compensato a livello centrale, per cui scompare la vertigine!).
In alcuni casi, nonostante la terapia, possono verificarsi sordità totale e insufficienza vestibolare.
Terapia: Antibiotici e solo in alcuni casi intervento di radicale mastoidea.
4. PETROSITE Complicanza infiammatoria di tipo osteitico che colpisce le cellette ossee della rocca
petrosa:
- Gruppo I: sovralabirintico anteriore petrositi anteriori; diffusione flogistica che in genere
- Gruppo II: pre-cocleare origina dal cavo timpanico
- Gruppo III: sottolabirintico anteriore
- Gruppo IV: translabirintico petrositi posteriori; in genere originano da un
- Gruppo V: sovralabirintico posteriore processo infettivo dell’antro o della mastoide
- Gruppo VI: sottolabirintico posteriore

La flogosi può raggiungere:


- Lo Spazio Perifaringeo (da una petrosite labirintica)
- La Rino ed Oro-faringe (da un’erosione dell’apice della rocca)
Clinica Dolori violenti, persistenti, profondi con sovente irradiazione emicranica e trigeminale.
S. dell’apice della Rocca (o S. di Gradenigo) : all’otorrea si accompagnano paralisi/paresi dell’abducente
(diplopia), ipoestesia corneale e cutanea faciale (branca oftalmica del trigemino).
Terapia Antibiotici; spesso risulta necessario un trattamento chirurgico (apertura e drenaggio delle celle
infette).

5. OSTEOMIELITE DEL TEMPORALE Complicanza rara, grave, perfino potenzialmente letale!


E’ data da una disseminazione per via ematogena di emboli settici che si localizzano in vari punti del temporale
(necrosi, colliquazione, sequestri ossei).
Gli ascessi, in genere sottoperiostici, hanno tendenza a fistolizzare verso l’esterno.
La terapia è chirurgia + antibiotici (4 settimane)

ENDOCRANICHE
L’estensione nella cavità cranica può avvenire per continuità o contiguità:
- Continuità: processo osteotico erosivo (in loci minor resistentiae in genere)
- Contiguità: via ematogena L’eziologia:
- Proteus, pneumococchi, P.aeruginosa, S. aureus ed epidermidis;
- Nei bambinià più spesso H. influentiae.

1. ASCESSO EXTRA E SOTTO-DURALE


Raccolta ascessuale tra teca cranica e dura madre (extra) o tra dura madre ed aracnoide (sub).
Clinica
Dà una sindrome da compressione cerebrale con i segni clinici di Ipertensione endocranica (EH) (vomito a
getto non preceduto da nausea, papilla da stasi, cefalea intensa, diplopia, turbe della coscienza).
Diagnosi
Elementi clinici, TC e RMN.
Terapia
Drenaggio dell’ascesso (apertura di una finestra ossea a livello della teca cranica) ed eliminazione del focolaio
infettivo auricolare.

2. MENINGITI
- Rapido aumento della temperatura corporea oltre i 39-40°
- Ipertensione endocranica
- Rigidità nucale
- Decubito a cane di fucile
- Opistotono (ritrovabile spesso nei bambini, rigidità del tronco oltre che nucale)
- Fotofobia
- Segno di Kernig (dolore all’estensione della gamba a paziente seduto)
- Segno di Brudzinski (flessione degli arti inferiori quando si cerca di piegare la nuca in avanti)
- Pulsazione della fontanella bregmatica (lattante)
Diagnosi
Liquor: a pressione elevata, torbido, ad elevata presenza di leucociti, glucosio ridotto, proteine aumentate
Esame colturale: ritrovamento dell’elemento responsabile (a meno che non sia meningite virale, inoltre in
questo caso il liquor sarà limpido).
Terapia
Antibiotici + trattamento chirurgico per la rimozione del focolaio otologico

3. ASCESSO CEREBRALE
Può essere primitivo o verificarsi in seguito al propagarsi di una meningite con sintomi focali a seconda delle
zone colpite.
Localizzazioni temporali : afasia amnestica (emisfero dominante), afasia sensoriale (area di Wernicke)
Localizzazioni cerebellari : atassia, adiadococinesia ipsilaterale, tendenza a cadere dal lato affetto.
Diagnosi
Sono utili le tecniche di imaging e la puntura lombare.
Terapia
- Puntura: della zona ascessuale con ago con mandrino al fine di aspirare la raccolta purulenta (attenzione a
non causare rottura della raccoltaà pericolo di meningoencefalite diffusa) seguita dall’instillazione locale
di soluzioni antibiotiche (quantità < rispetto al volume di pus asportato)
- Tubo di Drenaggio: posto dopo aver aperto delicatamente l’ascesso; per casi più complessi (importante
assicurare asepsi ed evitare la formazione di un’ernia cerebrale).

4. TROMBOFLEBITI
Infiammazione della superficie endoteliale dei grandi vasi venosi dell’encefalo in rapporto col temporale (seno
sigmoide, v. giugulare interna, seno cavernoso), che può determinare la formazione di trombi all’interno del
lume con blocco del flusso di sangue.
Clinicaà Intensa cefalea, febbre (per contaminazione microbica del trombo)
Diagnosi à RMN
Terapia à Esposizione del seno interessato e sua puntura; se non si aspira sangue (e quindi il seno è bloccato),
lo si apre in senso longitudinale per svuotarlo dal trombo. (Ndr antibiotici + anticoagulanti e/o fibrinolitici).
OTOSCLEROSI
Introduzione: L’otosclerosi (o otospongiosi) è una patologia dell’adulto, complicata sia dal punto di vista
dell’etiopatogenesi che della diagnosi. È una patologia tipica della razza umana; solo adesso si sta scoprendo
qualche topo mutato che manifesta patologia simile all’otosclerosi, ma si può dire per ora comunque che è
tipica solo della razza umana.

È caratterizzata da un processo osteodistrofico della capsula otica con focolai di riassorbimento osseo e
successiva deposizione di nuovo osso in forma anomala. Spesso tutto questo avviene intorno alla finestra ovale
provocando il blocco del movimento della staffa. C’è quindi una anchilosi dell’articolazione stapedo-ovalare:
normalmente la staffa muovendosi nella finestra ovale spinge la perilinfa e innesca il meccanismo di
trasmissione dell’onda sonora all’orecchio internoà quindi si riscontra ipoacusia.

Il fatto che ci sia un interessamento della catena ossiculare fa pensare ad una patologia che interessa l’orecchio
medio in realtà non è così: l’otosclerosi è una patologia che può colpire l’intera capsula otica, solo che
frequentemente il focolaio otosclerotico è intorno alla finestra ovale (o almeno quello visibile, provocando il
blocco della staffa). Esistono quindi anche altre forme di otosclerosi, tipo quelle che non hanno il focolaio
intorno alla finestra ovale: in questo caso provocano solo un’ipoacusia di tipo neurosensoriale (otosclerosi
cocleare).

Cenni storici:

- 1715 Valsalva osservò per la prima volta l’otosclerosi su un cadavere, senza indagare sulla natura del
processo e sulle sue conseguenze cliniche
- 1881 Von Troltsch riteneva che l’anchilosi stapedio-ovalare fosse dovuta ad un processo di fibrosi
della mucosa dell’orecchio interno e introdusse per la prima volta il termine di otosclerosi
- 1883 Politzer dimostrò che la malattia non era un processo distrofico della mucosa dell’orecchio
interno, ma partiva dall’osso, precisamente dalla capsula otica
- 1912 Siebenmann suggerì per primo che l’otosclerosi potesse causare ipoacusia neurosensoriale

Incidenza: Frequente (rilevabile in reperti autoptici (forma


asintomatica) nel 8-11%dei casi, mentre nella forma sintomatica
(forma clinica) ha un’incidenza dello 0.3-0.4% nella razza
caucasica (Quindi la prevalenza istologica è circa il 10% quella
clinica è meno dell’1%). E’ molto più rara in altre razze come
quella africana (0.03-0.1%).

L'età di insorgenza è tra i 20 e i 40 anni; tuttavia, può manifestarsi


anche in individui più giovanià 0.6% degli individui con meno
di 5 anni hanno foci di otosclerosi (istologia). Generalmente poi si presenta massimo entro i 50 anni

Per quanto riguarda il sesso:

• Otosclerosi istologica 1:1 (F:M)


• Otosclerosi clinica 2:1 (F:M)
• Progressione durante la gravidanza o l’allattamento 10%-17% àUn’altra cosa erronea che si dice è
che la gravidanza incida sull’insorgenza dell’otosclerosi, non è vero! Non è la gravidanza in sé, ma è
l’allattamento, perché c’è un depauperamento di calcio che andrà poi ad incidere sulla progressione
dell’otosclerosi
• La bilateralità è più comune nelle donne 89% vs. 65%

Prevalenza: La prevalenza istologica è del 10%; quella clinicamente significativa è dell’ 1%. Questo perché
anche se la patologia è presente, non viene espressa dal punto di vista clinico.
Eziologia: L’eziologia dell’otosclerosi è attualmente sconosciuta, esistono una serie di ipotesi raggruppate in
questa diapositiva:

È probabile che ci sia una concomitanza tra ETIOPATOGENESI


fattori ambientali e genetici e che quindi sia (IPOTESI)
una eziologia multifattoriale; comunque la
cosa importante da capire è che al momento VIRUS DEL MORBILLO FATTORI AMBIENTALI

non esiste un gene identificato per quanto


riguarda l’eziologia dell’otosclerosi,
FATTORI ENDOCRINI/
esistono una serie di locus, ma non è stato DISTURBI DEL
AUTOIMMUNITA’ OTOSCLEROSI
ancora identificato un gene causativo. METABOLISMO

INFIAMMAZIONE/
RIMODELLAMENTO GENETICA
OSSEO

FATTORI AMBIENTALI: Tra le ipotesi ambientali si pensava che il virus del morbillo potesse in quale modo
influire sull’insorgenza dell’otosclerosi, ma in letteratura non c’è unanimità a riguardo.
65
• Presenza di RNA o proteine virali e IgG specifiche nella perilinfa
• Bassi livelli di IgG nel siero di soggetti otosclerotici
• Minor incidenza di otosclerosi nei pazienti vaccinati
• Le neo-formazioni ossee, che bloccano la staffa, contengono del materiale genetico (tracce di RNA),
tipico di questo virus. Tuttavia, va precisato che, in alcuni pazienti, non si è riscontrata alcuna traccia
di RNA virale

COMPONENTE GENICA: L’otosclerosi si manifesta con ricorrenza familiare nel 70% dei casi e sporadica
nel 30%. Ha modalità di trasmissione autosomica dominante. Per le forme familiari si sono effettuati studi di
linkage: sono necessarie però famiglie molto grandi con un numero di affetti perché l’analisi viene complicata
dalla indeterminazione della diagnosi dovuta a:

• Forme cocleari
• Penetranza incompleta
• Insorgenza tardiva
• Presenza di fenocopie.

Geni candidati:

1. Per il sistema immunitario:


o TCR-ß (recettore beta delle cellule T) : bassi livelli di mRNA del recettore; bassi livelli di
T-TCRß+; alterati livelli di sottogruppi delle cellule T
o HLA (antigene leucocitario umano) : Studi sierologici riportano la correlazione tra alcuni
antigeni HLA e l’otosclerosi
2. Per quanto riguarda l’autoimmunità:
o COL1A2 E COL9A: L’otosclerosi è considerata da alcuni una malattia autoimmune; sono
stati trovati anticorpi contro il collagene di tipo I e IX nei focolai otosclerotici

3. Per l’infiammazione-rimodellamento osseo:


o COL1A1 (collagene I): presenza di varianti geniche in soggetti otosclerotici
o TGF-β1 (fattore di crescita trasformante beta) dalle slide: presenza di varianti geniche non
sinonime in soggetti otosclerotici; presenza di una variante come fattore di protezione; perché
inibisce l’attivazione degli osteoclasti; potrebbe modulare la produzione della matrice
extracellulare
o BMP2 e BMP4 (proteine morfogeniche ossee) dalle slide: sono entrambi membri della
superfamiglia TGF-β; fondamentali per la riparazione ossea; suggerendo che questo pathway
è importante nella predisposizione alla malattia; associazione tra varie isoforme e l’otosclerosi
o TNF-α (fattore di necrosi tumorale alfa): dalle slide: responsabile del riassorbimento osseo;
un’aumentata espressione nell’ osso otosclerotico
o TNFRSF11b/OPG (osteoprotegerina): molto studiata negli ultimi anni perché regola il
turnover osseo (osteoclasti/osteoblasti); Topi ko per OPG hanno un alterato rimodellamento
simile agli otosclerotici (i topi che aveva nominato all’inizio che avevano qualcosa di simile
all’otosclerosi)

4. Per i fattori endocrini e metabolici:


o Ormoni sessuali: dalle slide: Assunzione di contraccettivi associata ad insorgenza di
otosclerosi, Insorgenza della patologia in seguito a gravidanza (oggi smentita)
o Sistema RAAS (sistema renina-angiotensina-aldosterone) ACE-AGT dalle slide: Varianti
genetiche in ACE e AGT associate ad otosclerosi; AGT M235T: polimorfismo associato ad
alterata attività di AGT nei soggetti otosclerotici
o Dalle slide PTH e PTHrP (paratormone e suo recettore): diminuzione della risposta
cellulare alla stimolazione ormonale in colture cellulari otosclerotiche.
o Dalle slide DDST (trasportatore del solfato della displasia distrofica): aumento dell'attività
DDST negli otosclerotici ma con normale tasso di espressione dell’ mRNA nei tessuti

5. Altri geni: RELN (relina): Glicoproteina coinvolta nello sviluppo del cervello e nella plasticità
sinaptica; molto espressa nella staffa e nell’ orecchio interno, ma la sua funzione in questi tessuti
rimane da chiarire

Per analizzare le altre ipotesi gli studi si sono concentrati, per i casi sporadici, su valutazioni di polimorfismi
in gruppi numerosi di soggetti affetti provenienti da una singola regione geografica comparati con soggetti non
affetti: studi caso-controllo. Ci sono molti studi su polimorfismi di molti geni che sembrano implicati nella
comparsa della malattia: geni del sistema immunitario, dell’autoimmunità, dell’infiammazione e del
rimodellamento osseo, fattori di crescita, endocrini e metabolici e la relina (molto espressa nel cervello). Anche
in questo caso i lavori sono molto controversi.

Tuttavia tutti gli studi caso-controllo hanno però finora dato risultati molto controversi:

• I polimorfismi risultano associati all’insorgenza dell’otosclerosi in alcune popolazioni ed altre no.


• Indagini ripetute nelle stesse popolazioni con metodiche diverse danno risultati discordanti.
• Attualmente i risultati più confermati sono quelli relativi ai geni: COL1A1 e TGF-β1
• Infine nella casistica bisogna stare molto attenti, selezionando soggetti che provengono dalla stessa
area geografica, facendo attenzione all’età al sesso.
• Culture in vitro mostrano proprietà di ipermineralizzazione dovute a diminuita presenza di
osteopontin (OPN) ed anche aumento di RANKL/OPG, normalizzati da alendronato. Quindi il
rischio di sviluppo di OTSC è influenzato da variazioni nel gene OPG che con altri fattori possono
regolare la sua espresione alterata nei tessuti otosclerotici

I risultati più confermati tra questi studi sui polimorfismi riguardano i geni COL1A1 e TGF-β. Un risultato
recente è stato ottenuto sul gene SERPINF1, che codifica per un inibitore dell’angiogenesi e regolatore della
densità ossea, che potrebbe essere implicato perché nella prima fase dell’otosclerosi c’è una neoformazione i
vasi sanguigni, seguita da un riassorbimento osseo e infine il rimodellamento anomalo. Analisi delle staffe di
due pazienti con mutazioni mostrano ridotta espressione di questo gene ma RT-qPCR analisi di cDNA di osso
di staffa mostrano una ridotta espressione del gene sia in pazienti con mutazioni che in quelli che non le
presentano indicando che ci può comunque essere un pattern patogenico comune nella malattia, quindi anche
in questo caso non ci sono prove certe.

Secondo alcuni autori è possibile una deformazione meccanica diretta del labirinto o una alterazione
biochimica dei liquidi dell'orecchio interno.
Segni caratteristici:

• Un segno dell'otosclerosi è la tendenza, da parte del paziente, a parlare con un volume basso di voce.
Questo perchè il malato percepisce la propria voce come se avesse toni molto alti e fastidiosi.

• In alcuni soggetti colpiti da otosclerosi si manifesta un fenomeno denominato paracusia di Willis, tale
fenomeno è caratterizzato dal fatto che l’intelligibilità è relativamente migliore (grossolanamente: si
comprendono meglio le parole) quando il soggetto si trova in un ambiente rumoroso piuttosto che in
uno silenzioso.

Fisiopatologia: L’otosclerosi è una distrofia ossea, che però interessa solo la capsula labirintica e nessun altro
osso umano. Vediamo come si può spiegare questo fenomeno. La capsula labirintica embriologicamente deriva
dalla vescicola otica e differisce da tutte le altre strutture ossee del corpo in quanto raggiunge il suo completo
sviluppo circa a metà della vita fetale e non va più soggetta ai rimaneggiamenti che contraddistinguono la
crescita delle altre ossa.

E’ composta da tre strati che originano da uno strato di cartilagine che ossificandosi diviene lo strato
encondrale, mentre i pericondri esterno e interno danno origine rispettivamente allo strato peri- ed endostale.
Nello strato encondrale rimangono per tutta la vita isole di cartilagine ricche in collagene di tipo II (alcuni
infatti ipotizzano alterazioni nel gene del collagene di tipo II alla base di questa patologia). Uno di questi
isolotti è pressochè costantemente localizzato a livello del polo anteriore della finestra ovale.

La patologia inizia nello strato intermedio (strato encondrale) e poi coinvolge quello interno (endostale
interno). L’otosclerosi è quindi, praticamente caratterizzata dalla comparsa di focolai di rimaneggiamento in
un osso che dovrebbe essere immutabile.

Alterazioni istologiche:

• Congestione osteoide: Invasione ossea iniziale di rete di capillari neoformati. E’ caratterizzata dalla
dilatazione dei canali haversiani (canali vascolari che percorrono il tessuto osseo

• Fase della spongiosi (processo di osteoclasi): si verifica un riassorbimento osseo conseguente


all’attivazione degli osteoclasti. Si osserva la distruzione dell’osso encondrale con la formazione di
spazi vuoti che dano all’osso un aspetto spugnoso. Gli spazi vuoti vengono poi riempiti da tessuto
osteoide immaturo, altamente vascolarizzato, e costituito da tessuto fibroso.

• Fase della sclerosi: Ossificazione del tessuto fibroso ad opera di osteoblasti maturi. L’aspetto risulta
non regolare e con caratteristiche diverse da quelle tipiche della capsula labirintica normale

Localizzazione dei foci: Nel 40-50% dei casi è presente un focolaio unico; nel 30—40% un duplice focolaio;
nel 10-20% i focolai sono multipli. Le aree predilette dei foci otosclerotici sono la regione della finestra ovale,
della finestra rotonda, la parete anteriore del condotto uditivo interno e la platina della staffa. Capitello, crura
e faccia laterale della platina non vengono mai interessate per una diversa derivazione embriologica (secondo
arco branchiale).

La sede più frequente, in realtà, è a livello della finestra ovale (fissula ante fenestram), ove la platina della
staffa viene ad essere impedita nei movimenti (ossificazione del legamento della finestra ovale), dando quindi
origine ad un’ipoacusia di tipo trasmissivo che rappresenta quindi la caratteristica principale dell’otosclerosi.

Sintomatologia: Nel caso i focolai otosclerotici insorgano esclusivamente in altre parti della capsula
labirintica la malattia può essere asintomatica o determinare una sofferenza cocleare: infatti, il repertamento
di una ipoacusia mista (combinazione di una ipoacusia trasmissiva e neurosensoriale) è molto frequente,
soprattutto dopo un certo periodo. In realtà si comincia da una ipoacusia trasmissiva per poi passare alla
neurosensoriale.
Classificazione: A seconda della sede si distinguono quindi 3 forme cliniche:

• Forma fenestrale o stapediale: è presente un solo focolaio a livello della finestra ovale. Questa forma,
che è la più frequente, fa parte delle malattie dell’orecchio medio (evolve in genere verso la forma
mista).
• Forma cocleare: sono presenti uno o più focolai al di fuori della finestra ovale. A rigore, questa forma
fa parte delle malattie dell’orecchio interno.
• Forma mista: fenestrale + cocleare.

mista

Causa dell’ipoacusia neurosensoriale: Non è chiaro il modo in cui l’otosclerosi provochi ipoacusia neurose
nsoriale, ci sono varie ipotesi:
• I focolai di rimaneggiamento sono ricchi di enzimi lisosomiali proteolitici (tripsina, idrolasi, etc.) che
possono versarsi nei liquidi labirintici e danneggiare così l’organo del Corti.
• La componente neurosensoriale è probabilmente causata da foci otosclerotici che colpiscono il
legamento spirale della chiocciola, determinando la sua atrofia

Sintomi associati:
- Nel 70% dei casi all’ipoacusia da otosclerosi si associano acufeni, di tono grave o costituiti da
rumori complessi (es. rumore di cascata), che spesso precedono la comparsa di ipoacusia; piuttosto v
ariabili da soggetto a soggetto.
- Nel 10-20% dei casi vertigine.

Approfondimento sulla vertigine: La vertigine è la falsa sensazione di rotazione della testa o degli oggetti
circostanti.

• E’ falsa perche è una sensazione in quanto gli elementi non girano mentre è una vera percezione
dell’equilibrio.
• E’ soggettiva quando dico che sono io che giro mentre è oggettiva quando vedo la camera che si
muove ovviamente vedo che si muove la camera perchè si muove il mio occhio e il fenomeno che lo
spiega è il nistagmo.
• La vertigine è periferica quando vuol dire che è a carico dell’occhio mentre cenrtrale vuol dire a
livello centrale. Vale sia per l occhio che per l orecchio.
• Possono essere continue, sub continue o persistenti e c ‘è presenza di sintomi neurologici associati. I
sintomi possono durare da pochi minuti a ore a giorni
Ha un’insorgenza improvvisa ed è associata a fenomeni come nausea vomito tachicardia quando è associata
a disturbi visivi, mentre nella malattia di Menier c’è una triade di acufene ipoacusia e vertigini. Questo avviene
anche in altre patolgie quindi in genere si associa a acufene ( sensazione di stimolazione sonora in assenza
di uno stimolo reale che può essere oggettiva o soggettiva pero non è una malattia ma un sintomo che entra
in moltissime patologie)
La vertigine si studia meiante una valutazione del nistagmo cioè si fa sulla fase rapida del moto di comparsa.
Progressione delll’ipoacusia: Il decorso della malattia è progressivo e particolarmente lento, con qualche
eccezione relativa a forme giovanili che hanno la tendenza a peggiorare molto velocemente. E’ quasi sempre
(95% dei casi) bilaterale, ma può insorgere in epoche diverse nelle due orecchie.

Nelle donne si può verificare un significativo peggioramento (instaurazione) con l’allattamento, a causa del
depauperamento in Calcio. Rigorose analisi hanno invece fortemente messo in dubbio l’effetto peggiorativo
della gravidanza, cui si dava credito in passato.

Diagnosi: La diagnosi si basa, principalmente, sull'audiometria e sulla impedenzometria.

• Esame obiettivo
• Audiometria tonale liminare
• Audiometria vocale
• Timpanometria
• Misura del riflesso stapediale
• cVEMPS (cervical vestibular evoked myogenic potentials)

ESAME OBIETTIVO: L’esame obiettivo non evidenzia generalmente anormalità a livello delle membrane
timpaniche, anche se, in alcuni casi, queste possono apparire leggermente più sottili e trasparenti. Quando la
patologia si trova nella sua fase evolutiva, in alcuni casi è visibile una macchia rosea dai contorni sfumati
(mucosa iperemica) che viene denominata macchia (o segno) di Schwarze: provocato dallo stato congestizio
del focolaio otosclerotico.

ESAME AUDIOMETRICO TONALE:

Consente di valutare sia la trasmissione sonora per via aerea (da 250 a 8.000 Hz) che per via ossea (da 250 a
4.000 Hz). Attraverso tale esame si avrà un’idea dell’entità della perdita uditiva trasmissiva che è in rapporto
al grado di fissità stapediale e se tale perdita è abbastanza grave da giustificare un intervento di tipo chirurgico.
Permette, inoltre, di valutare la funzione neurosensoriale. L’audiometria tonale riveste una notevole
importanza anche nel monitorare l’evoluzione della patologia che, come detto precedentemente, ha
generalmente carattere progressivo.

Nella forma fenestrale si possono distinguere quattro stadi evolutivi

I stadio: E’ presente una ipoacusia trasmissiva prevalentemente a


carico delle frequenze gravi (250-500-1000) ed in parte delle
medie. La soglia della via ossea è normale.
II stadio: Sordità più intensa che tende ad interessare tutte le frequenze
(curva pantonale); è sempre di tipo trasmissivo, ma compare una piccola
deflessione della via ossea(di circa 10-15 dB) a livello della frequenza di
2000 Hz, nota come tacca di Carhart.

III stadio: Il danno neurosensoriale è ancora più evidente, specie a


carico delle frequenze acute.

IV stadio: E’ presente un’ipoacusia prevalentemente


neurosensoriale

AUDIOMETRIA VOCALE: L’audiometria vocale consente una valutazione della capacità di comprensione
delle parole e risulta particolarmente utile per la programmazione della strategia terapeutica.

ESAME IMPEDENZIOMETRICO: E’ un esame diagnostico audiologico obiettivo, indipendente dalla


volontà del soggetto, che ci permette di valutare lo stato anatomo-funzionale del sistema timpano-ossiculare
(la funzionalità della membrana timpanica e della catena degli ossicini )(orecchio medio)
TIMPANOGRAMMA: Di norma il picco del
timpanogramma risulta normale (tipo A), spesso
di ampiezza ridotta per innalzamento della
frequenza di risonanza del sistema timpano-
ossiculare.

IMPEDEZIOMETRIA STANDARD: ll tono


sonda di frequenza 226 Hz viene utilizzato per
l‘esame impedenzometrico standard, perchè tale
frequenza è la più efficace per l'identificazione
generale di anomalie della membrana timpanica
(perforazioni o retrazione), le condizioni
dell'orecchio medio (ad esempio, versamento e
pressioni anomale), e la disfunzione della tromba
di Eustachio. Non è molto utile nell’otosclerosi, dove si usa la timpanometria multi frequenziale che usa sonde
di frequenza da 200 a 2000 Hz.

IMPEDENZIOMETRIA MULTIFREQUENZIALE: Il timpanogramma con una sola frequenza è insufficiente


per la diagnosi di condizioni patologiche ad alta impedenza che interessano la catena degli ossicini, come
neoplasie, otosclerosi e blocco degli ossicini. La timpanometria multifrequenziale è stata quindi proposta,
utilizzando toni sonda la cui frequenze variano da 200 a 2000 Hz ,come metodo per migliorare la diagnosi di
alcune condizioni patologiche: infatti per l’Otosclerosi e l’artrite reumatoide aumenta la frequenza di risonanza
dell’orecchio medio.

RIFLESSO STAPEDIALE: La misura del riflesso stapediale è di notevole aiuto nella diagnosi differenziale.
Nell’otosclerosi conclamata il riflesso stapediale risulta assente a causa del difetto di mobilità della staffa,
mentre nelle fasi iniziali, in cui la staffa è ancora parzialmente mobile, è presente, ma il tracciato è decisamente
particolare e caratteristico, presentando anomalie morfologiche (effetto on-off): due deflessioni positive che
indicano due fasi rapide di aumento della compliance (isoelettricità) all’inizio ed alla fine dello stimolo
acustico, separate da una fase centrale in cui la compliance ritorna ai valori normali.

I due picchi rappresentano le contrazioni del muscolo stapedio sulla platina della staffa che inizialemnte è
solo parzialemnte bloccata.

cVEMPS: Recenti dati presenti in letteratura indicano che possono essere utili nella diagnosi di otosclerosi.

Indicazioni diagnostiche:

• L’audiometria fornisce indicazioni per la diagnosi nella forma fenestrale e mista.


• Nella forma cocleare pura il sospetto può venire in base ad elementi anamnestici (ereditarietà, terapia
estro—progestinica, peggioramento con l’allattamento, ecc.).

TAC: E’ molto utile per la conferma della diagnosi anche perché può permettere la diagnosi differenziale, cioè
la diagnosi basata sull'esclusione di patologie dai sintomi simili a quelli dell'otosclerosi. Grazie a questo esame,
si escludono altre patologie, come la malattia ossea di PAGET e l'osteogenesi imperfetta. Infatti, queste due,
a differenza dell'otosclerosi, presentano altri segni caratteristici ai danni del tessuto osseo; segni che solo la
TAC è in grado di evidenziare.

• La TAC visualizza il focolaio osteolitico a livello della capsula, purchè questo sia di dimensione
superiore al potere di risoluzione dell’apparecchio. Il risultato dipende molto anche dalla sezione
analizzata

• La TAC evidenza la sede della neo-formazione ossea: la massa anomala, che blocca la staffa e che
intacca la coclea, assume l'aspetto di un alone.

• L’utilità della TAC è particolarmente rilevante nelle forme monolaterali

• La certezza della diagnosi si può avere solo in fase chirurgica (Timpanotomia esplorativa)

Terapia:

Per cercare di bloccare l’evoluzione della malattia:

• Sali di fluoro (NaF) che favoriscono il formarsi di un tessuto osseo più stabile inibendo l’attività di
enzimi proteolitici. Vengono associati a vitamina D e calcio. Tale terapia non è in grado di ripristinare
la funzione uditiva dei soggetti colpiti da otosclerosi, ma, in un certo numero di casi, si è dimostrata
in grado di stabilizzare la malattia o, perlomeno, di rallentarne la progressione.
La terapia con fluoruro di sodio non è esente da effetti collaterali ed è quindi necessario che venga
effettuata sotto stretto controllo medico

Recupero uditivo mediante terapia protesica:

Fin quando l’ipoacusia è monolaterale e la perdita che si registra è attorno ai 40 dB, la strategia del non
intervento è generalmente l’opzione più consigliabile, dal momento che una perdita di tale entità non è tale da
condizionare pesantemente la qualità di vita del soggetto. In questo caso la prima scelta è la protesizzazione;
questo tipo di intervento è generalmente consigliato in quei casi in cui la perdita uditiva sia medio-moderata e
vi siano nel contempo controindicazioni all’intervento chirurgico.

Terapia chirurgica per pazienti con ipoacusia bilaterale profonda:

1. STAPEDECTOMIA: Consiste nella


rimozione della staffa e sostituzione con un
pistone che pone in comunicazione l’incudine
con i liquidi labirintici consentendo
nuovamente la trasmissione dell’onda acustica
all’orecchio interno.

- Indicazione
– Fissazione della platina
– Platina fluttuante
- Svantaggi
– Tecnicamente più difficile
2. STAPEDOTOMIA: Creazione di un piccolo
foro platinare aperto in profondità nel vestibolo
seguito dall’asportazione della sovrastruttura della
staffa e dal posizionamento della protesi che viene
inserita tra il processo lungo dell’incudine ed il foro
platinare. Il foro platinare è precisamente calibrato
in funzione del diametro della protesi a pistone da
introdurvi, con una significativa riduzione del
trauma provocato al labirinto. Ciò è stato possibile
per l’evoluzione dello strumentario chirurgico ed in
particolare per il diffondersi dell’uso dei laser.

Due tipi di tecnica:

• Tecnica normale: Si rimuove prima la sovrastruttura della staffa e poi si procede al posizionamento
della protesi

• Tecnica invertita: si procede al posizionamento della protesi prima di rimuovere la sovrastruttura della
staffa

L’aspetto rilevante è che si può fare anche in anestesia parziale e questo è utile soprattutto in caso di revisioni
in secondo intervento per una protesi spostata, complicanza. Inoltre il pz essendo sveglio può dire se ci sono
problemi vestibolari, e se effettivamente sente
meglio perché l’effetto è immediato.

Complicanze post operatorie precoci:

• infezioni
• vertigine
• autofonia
• acufeni
• apparizione o aggravamento di una
sordità precedente
• cofosi
• disgeusie
• sordità trasmissiva
Complicanze post-operatorie tardive

• Ricomparsa del gap tra via aerea e via ossea


• Comparsa di una sordità neurosensoriale
• Fistola perilinfatica

Considerazioni:

• La terapia chirurgica non ha effetto sull’ipoacusia neurosensoriale

• Le terapie farmacologiche hanno attualmente effetti molto limitati

• Per ottenere terapie più efficaci è chiaramente utile comprendere l’etiologia dell’otosclerosi
ORECCHIO INTERNO
SINDROME DI MÈNIÉRE: Condizione clinica contraddistinta da intense crisi vertiginose, ad esordio
brusco e carattere recidivante accompagnate da acufeni ed ipoacusia, oltre che da sintomi neurovegetativi
(nausea, vomito, etc) in soggetti precedentemente non affetti da alcuna patologia auricolare.
Epidemiologia: Incidenza 10/100mila, età d’insorgenza: 30-50 anni. Interessamento monolaterale nel 70%
dei casi, anche se l’elettrococleografia ha mostrato un coinvolgimento patologico bilaterale più frequente
di quello clinicamente osservabile.
Eziologia
- Fattori genetici
- Fattori autoimmunitari
- Fattori infettivi (HSV1, CMV, virus della rosolia) e Fattori allergici
- Fattori endocrini (ormoni tiroidei, ADH)
Patogenesi: E’ un idrope endolinfatica ad eziologia sconosciuta in cui si viene a creare una comunicazione
tra perilinfa ed endolinfa per rottura della membrana di Reissner portando ad un’intossicazione da potassio
causata proprio dalla differente composizione ionica dei due liquidi. Infatti la perilinfa è un liquido
tipicamente extracellulare ricco in Na e povero in K ed è sostanzialmente un filtrato del plasma molti simile
al LCR; l'endolinfa al contrario è molto ricca in K e povera in Na ed un filtrato della perilinfa attraverso
l’azione della stria vascolare chiamata così perché molto ricca in vasi (a parità di peso è l'organo che
consuma più ossigeno all'interno del nostro organismo) e mitocondri, molto importanti per la produzione di
ATP utilizzato dalla pompa Na/K per pompare contro gradiente chimico ed elettrico il K nella endolinfa e
il Na fuori. L’aumento inopportuno di potassio va a stimolare sia le cellule vestibolari che le cellule cocleari
dando luogo ad una serie di sintomi tipici della sindrome di Meniere che sono: crisi vertiginose,
peggioramento dell’ipoacusia ed acufeni, maggiore sensazione di ovattamento auricolare. Inoltre a causa
del disaccoppiamento stereociglia-cellule ciliate esterne/membrana tectoria = ipoacusia, acufeni. Tutto
questo deriva secondo alcuni autori ad un aumento di produzione dell‘endolinfa, secondo altri ad una
riduzione del suo riassorbimento, in ogni caso c’è una maggiore quantità di questo liquido che determina la
sintomatologia tipica della malattia.
Clinica Il primo momento riguarda la fase acuta che può durare da alcuni minuti a diverse ore/qualche
giorno.
- Segni e sintomi dovuti all’idrope : acufeni, fullness (ovattamento), ipoacusia
- Segni e sintomi dovuti al K+ : vertigine oggettiva ti qualche ora (tipico di questa sindome), (uguale
a quella della neurite vestibolare) con nistagmo spontaneo orizzontale-rotatorio verso il lato sano,
omniposizionale, stazionario, persistente, inibito dalla fissazione visiva e con rinforzo apogeotropo
e inibizione geotropa; instabilità e tendenza a cadere verso il lato leso
Diagnosi: Basata sui criteri stabiliti dall’American Academy of Otolaryngology-Head and Neck surgery:
1. Due o più episodi di vertigine oggettiva di natura labirintica della durata > 20’, alternati a
periodi di relativo benessere; con l’evoluzione naturale della malattia questi episodi diventano
più brevi, meno frequenti e meno intensi. “Catastrofe otolitica di Tumarkin”: si ritrova nelle
fasi avanzate ed è altamente invalidante. Il pz cade improvvisamente a terra per perdita del
tono dei muscoli estensori (per collasso muscolare)
2. Ipoacusia neurosensoriale dimostrata da almeno un esame audiometrico; nelle fasi iniziali c’è
un andamento fluttuante e l’udito può tornare del tutto normale, mentre nelle fasi finali c’è una
sua inevitabile compromissione
N.B. essendo una lesione cocleare, vi è il fenomeno del Recruitment
3. Acufeni, sensazione di ovattamento auricolare

- Probabile: quando è presente un’unica caratteristica di sopra ma sono presenti tutte le caratteristiche
cliniche
- Possibile: quando manca la sordità o se la sordità è presente ma accompagnata solo da una
sfumata sensazione di instabilità. (certa solo con autopsia)
La DD tra Meniere ed altre condizioni che inducono vertigini non è agevole.
Terapia
Fase acuta: BZN, fenotiazine, scopolamina (terapia puramente sintomatica)
Fase intercinetica: dieta povera di Sali ed iperidrica (riduce la stimolazione della sintesi di ADH e quindi
riduce l’idrope)
Quando l’ovattamento si presenta e tende ad aumentare si possono usare: farmaci anti-osmotici
(glicerolo, mannitolo), glucocorticoidi, farmaci vasoattivi (Betaistina), dimenidrinato. NB: I diuretici
riducono la vertigine in fase acuta ma indirettamente aumentano la produzione di ADH, per cui hanno
un uso controverso.
Trattamenti chirurgici: infiltrazione endotimpanica di Gentamicina (per il suo effetto
vestibolotossico), neurectomia selettiva del n. vestibolare, labirintectomia: si usano per forme
certamente monolaterali con udito del tutto compromesso.
Ndr un’altra opzione terapeutiche è la pulse pressure therapy con un dispositivo chiamato Meniett:
si applica un tubicino nel timpano e si usa uno strumento che genera una pressione; la pressione si
trasmette tramite il tubicino alla finestra rotonda; ciò bilancia la pressione provocata dall’idrope
endolinfatica e attenua i sintomi.
NEURINOMA DELL’ACUSTICO
Lesioni benigne originanti dalle cellule di Schwann della componente vestibolare dell’VIII nervo cranico nel punto di
transizione tra rivestimento gliale ed il neurilemma.

Sede di Origine
- Ganglio di Scarpa (meato acustico interno), nella maggioranza dei casi
- Zona di Obersteiner (o “di Transizione”, angolo ponto-cerebellare)
Rappresenta l’80% dei tumori dell’angolo ponto-cerebellare (dove passano i nervi dal V all’ VIII) e l’8% dei tumori
intracranici. Ndr domanda scritto: quali sono i nn cranici del’angolo pontocerebellare? VII e VIII.
Clinica
- Ipoacusia percettiva unilaterale lentamente ingravescente
- Acufeni Fase intrameatale
- Vertigini a carattere oggettivo
- Algie ed ipoestesia trigeminale (V)
- Paresi dell’emifaccia (VII) Dovuti all’azione compressiva del tumore;
- Diplopia (VI) compaiono quindi al crescere della lesione
(casi dalla diagnosi tardiva)
- Alterazioni di gusto e deglutizione (corda del timpano)
- Cefalea
- Nausea, vomito da Ipertensione Endocranica, quindi indicano casi gravi
- Papilla da stasi
Diagnosi
1. Esami audiometrici
2. Potenziali evocati uditivi
(permettono solo un’ipotesi diagnostica)
3. RMN encefalo con mdc Gadolinio: diagnosi di lesioni anche di piccole dimensioni e dei loro rapporti.
4. TC cranico con mdc: da associare talvolta alla RMN (valuta meglio la componente ossea).
N.B. Imaging utile per la DD con altre lesioni dell’angolo ponto-cerebellare (meningiomi, angiomi, tumori glomici).
Gradi
Ricavati grazie a tecniche di imaging:
• I: < 1 cm, localizzato nel canale uditivo
• II: dall’interno del canale acustico fuoriesce nella fossa cranica posteriore
• III: < 3 cm, raggiunge il tronco cerebrale
• IV: > 3 cm, comprime il tronco cerebrale
Terapia
- Watch and Wait: attuabile in casi selezionati, come persone anziane con lesioni di piccole dimensioni (ndr <1,5
cm), soggetti altamente defedati, soggetti con lesione nell’unico orecchio udente. In genere i controlli si fanno
ogni 6 mesi nel primo anno ed ogni 2 mesi negli anni successivi.
Quando il tumore aumenta di dimensioni in breve tempo vanno rivalutate le possibilità terapeutiche
- Trattamento Radioterapico: in pz ad alto rischio chirurgico. È possibile la radiochirurgia stereotassica. Con
questa tecnica viene arrestato l’accrescimento della massa tumorale in una % variabile di casi (senza
disostruzione) e dunque la sua reale efficacia a lungo termine è da valutare meglio
Rischi
û Trasformazioni fibrotiche dei tessuti circostanti, che possono complicare le procedure chirurgiche (richieste in caso
di insuccesso)
û Perdita dell’udito
û Paralisi dell’VIII n.c.
û Nevralgie trigeminali
û Trasformazione maligna radioindotta della lesione (rarissima)
- Chirurgia: trattamento microchirurgico con microscopio operatorio. A seconda di parametri vari (età, pz, funzione
uditiva residua, sede e dimensioni della lesione) sono utilizzabili vari approccià il translabirintico è poco usato,
mentre quello della fossa cranica media è in disuso
Il gold standard è l’approccio Retrosigmoideo: si fa una craniotomia suboccipitale che scopre la giunzione tra seno
trasverso e sigmoideo; si apre la dura madre e il cervello è reclinato medialmente con esposizione dell’angolo ponto-
cerebellare. Segue la totale rimozione della massa tumorale.
La principale difficoltà in questo intervento è quando il tumore raggiunge il fondo del condotto uditivo interno. La
probabilità di conservazione della funzionalità uditiva e dell’VIII n.c. è inversamente proporzionale alle dimensioni
della lesione. N.B. Quando l’integrità del nervo facciale è lesa, un’anastomosi termino-terminale ipoglosso-facciale
permette un recupero quasi totale della funzione del nervo
NASO

ANGIOMA DEL SETTO (Polipo sanguinante del Setto)


Di natura benigna.
è Macroscopicamente: piccola lesione peduncolata impiantata sulla mucosa del setto, rossastra, che aumenta
progressivamente di dimensioni
è Microscopicamente: groviglio di capillari con connettivo lasso
Clinica: sensazione di corpo estraneo ed epistassi (inizialmente); intensa ostruzione nasale (fasi più avanzate)
Diagnosi: clinica, rinoscopia anteriore
Terapia: asportazione del polipo con la sua base d’impianto

RINITE ACUTA (Raffreddore comune)


Eziologia: infezione virale della mucosa nasale che può essere successivamente sede di una sovrainfezione
batterica (che a sua volta può comportare sinusite batterica)
Clinica
- Secchezza nasale
- Bruciore alla
gola/rinofaringe
Successivamente:
- Ostruzione nasale bilaterale
- Abbondante rinorrea sierosa e starnutazioni
- Lacrimazione
- Cefalea
- Ovattamento auricolare (interessamento tubarico)
La malattia in forma virale dura circa 2 giorni, mentre quella in forma batterica (con rinorrea muco-purulenta)
dura circa 2-3 giorni.
Complicanze: otiti
Terapia: sintomatica (forma virale), antibiotici e cortisonici (forma batterica)

RINITE INFLUENZALE
Clinica: sintomatologia soggettiva ed oggettiva analoga al raffreddore comune a cui si associano i sintomi dell’influenza:
febbre, cefalea, mialgia e tosse.
N.B. una rinite con queste caratteristiche potrebbe essere il sintomo iniziale di malattie come il morbillo, la
scarlattina, il tifo e meningite streptococcica ma in questi casi la sintomatologia è più intensa, c’è compromissione
dello stato generale e vi sono sintomi specifici della malattia in questione.
Terapia: inizialmente sintomatica (controllo della febbre, decongestionanti nasali) poi, in caso di impianto
secondario di batteri, si associano antibiotici, cortisonici, aerosol nasali medicati.
OZENA/RINITE ATROFICA
C’è atrofia/ipotrofia della mucosa nasale.
Eziologia
- Rinite mucopurulenta durata particolarmente a lungo
- Rinite influenzale o sintomatica di malattie esantematiche
- Uso eccessivo e prolungato di vasocostrittori nasali (fenilefrina, nafazolina)
- Interventi chirurgici che abbiano causato un eccessivo aumento di volume delle cavità nasali
Oggi è molto ridotta e l’eziopatogenesi è incerta. Grave atrofia a carico di mucosa, sottomucosa, strutture
vascolari, nervose ghiandolari, cartilaginee ed ossee (tardivamente).
Clinica
- Cefalea
- Difficoltà respiratoria nasale
- Secchezza
- Difficile eliminazione delle secrezioni nasali (asportate in croste a stampo dalla cavità nasale,
fortemente maleodoranti)
- Disturbi dell’olfatto
- Disturbi GI (anche molto intensi)
- Manifestazioni patologiche auricolari (disfunzione tubarica e pat. orecchio medio)
Diagnosi
La diagnosi è semplice data la particolarità dell’EO.
La rinoscopia mostra fosse nasali particolarmente ampie, mucosa sottile ed ampia, turbinati nasali molto sottili.
La DD va fatta con riniti atrofiche maleodoranti (secondarie a TBC o sifilide, ad es)à dove troviamo ulcere
della mucosa e esami di laboratorio alterati.
Terapia
- Lavaggio delle fosse nasali con soluzioni saline o bicarbonato, aerosol nasali con streptomicina, solfato diluito
in soluzione fisiologica (controllo della sovrapposizione batterica); inalazioni termali.
- Terapia generale con farmaci polivitaminici oligominerali (vit. A ed E) e preparati iodici.
- Terapia chirurgica: riduzione dell’ampiezza delle fosse nasali con innesti di osso autologo o di
materiali biocompatibili

IPERTROFIA DEI TURBINATI INFERIORI


Cause
Flogosi infettive nasali ripetute e rinopatie allergiche.
Clinica
Costante difficoltà respiratoria nasale che si accentua quando il pz va a letto; inizialmente è lieve,
successivamente intollerabile e irreversibile anche con la somministrazione locale di adrenalina

Terapia
- Trattamenti periodici con steroidi locali
- Terapia chirurgica: demolitiva (turbinectomia o decorticazione dei turbinati) o conservativa (chirurgia
con ablazione con radiofrequenza (RFA) o con elettrobisturi bipolareà no anestesia generale, no
tamponamento nasale, no alterazioni della fisiologia nasale)

POLIPOSI NASO-SINUSALE
Epidemiologia
L’esatta incidenza non è nota; la prevalenza è stimata al 2-4% (M>F, soprattutto soggetti > 40 anni).
E’ frequentemente associata a malattie allergiche/intolleranza a farmaci (ASA).
Clinica
Rientra nelle rinosinusiti croniche (“processi infiammatori cronici a carico della mucosa naso-sinusale con
modificazioni irreversibili della stessa”). La mucosa infiammata si trasforma in tessuto in eccesso prima nelle
cavità paranasali e poi nelle cavità nasali, attraverso gli osti di comunicazione.
I sintomi sono:
- Ostruzione nasale
- Rinolalia chiusa o voce nasale (forme avanzate)
- Anosmia (fasi avanzate)
Diagnosi e Terapia
Vedi rinosinusiti croniche.

Frequenti le recidive dopo chirurgiaà


necessaria una terapia medica volta a
ridurre il rischio di recidive/accrescimento
RINOSINUSITI ACUTE E CRONICHE
Ad oggi è stata superata la stretta distinzione tra rinite e sinusite.
La rino-sinusite è un processo infiammatorio coinvolgente cavità nasali e mucosa dei seni paranasali; i
seni maggiormente colpiti sono i mascellari e gli etmoidali.
La flogosi della mucosa delle fosse nasali spesso è una flogosi rino-sinusale, con coinvolgimento prevalente
di un seno rispetto all’altro (è meno frequente la pansinusite).
Epidemiologia
Incidenza in aumento (RF: allergopatia, inquinamento ambientale, altri); prevalenza stimata al 4-5%
(Italia). Incidenza al 15-20%, con casistiche provenienti dalla medicina di base, quindi non
propriamente attendibili da un punto di vista epidemiologico. Precisa che a suo parere è una stima
sovradimensionata .
Il grado “subacuto” è scomparso quindi ne esistono 2 forme:
- Acuta : risoluzione completa con sola terapia medica entro 12 settimane
- Cronica : sintomi che persistono per più di 12 settimane con alterazioni irreversibili della mucosa. Le forme
croniche-ricorrenti: sono le più frequenti e sono episodi > 3 episodi acuti negli ultimi 6 mesi. Si distinguono
in:
§ Purulente
§ Muco-purulente
§ Iperplastiche

Fattori Microbiologici: Sono molteplici nelle forme croniche. Se è vero che esiste un edema cronico con blocco ostiale
possono avere sviluppo a livello delle cavità nasalosinusali per sovrapposizione batterica, tanti batteri,(i più difficili da
eradicare sono gli anaerobi facoltativi) non necessariamente aerobi, soprattutto se la condizione cronica è
particolarmente prolungata si possono trovare germi quali E.Coli che è improbabile trovare nella condizione acuta e
danno problemi dal punto di vista terapeutico, soprattutto ai fini del trattamento di una riacutizzazione della sinusite.
Significa che un malato che ha un problema cronico di ostruzione nasale, ad esempio, talvolta (secondo la definizione:
uguale o superiore a tre volte negli ultimi sei mesi) va incontro a manifestazioni cliniche acute quali la rinorrea muco
purulenta ad esempio, solitamente bilaterale, il dolore.

Patogenesi
Il sistema naso sinusale anteriore è un sistema di ventilazione e drenaggio che afferisce al meato medio a cui afferiscono
anche tutte le cellule etmoidali anteriori, il seno frontale, seno mascellare.
Lo sbocco di queste cavità accessorie avviene attraverso lo iiato semilunaris e altre strutture. I sistemi naso-sinusali sono
descritti didatticamente come separati, ma in realtà sono interconnessi. Tutti i sistemi pneumatizzati, infatti, ventilano
attraverso il meato medio. Vi è un altro sistema ostio meatale, costituito dall’etmoide posteriore e dal seno sfenoidale, esso
drena posteriormente e qualsiasi processo patologico che riduca i processi di ventilazione e drenaggio posteriormente, al
livello del recesso sfeno- palatino, influenza anche il rinofaringe per una questione anatomica.
Il complesso osteo meatale è ristretto ed è complesso quindi far avvenire i 2 processi (ventilazione e drenaggio)
costantemente. Esso risulta compresso medialmente da una parete rappresentata dal turbinato medio e lateralmente da
formazioni che sono corrispondenti ad alcune cellette etmoidali; quindi abbiamo un forte restringimento all’origine del
sistema osteo meatale che può andare in crisi facilmente.
NB: La pneumatizzazione dei seni paranasali avviene in epoche differenti e quindi radiologicamente non possono riconoscere
un seno frontale fino al 5-6 anno di vita. Vi sono anche varianti anatomiche di ipoplasie dei seni (non considerate quindi
sempre patologiche).

Ndr da anatomia 1: meato inferiore = sbocco canale nasolacrimale; meato medio = seno mascellare, frontale e
celle anteriori e medie dell’etmoide; meato sup = celle post etmoidali e seno sfenoidale.
Ndr da domanda scritto: cosa sbocca nel meato superiore? Seno sfenoidale.
La patologia è correlata ad un cattivo funzionamento degli osti di comunicazione e/o alterazioni della clearance
muco- ciliare (fattori flogistici, fattori meccanici, alterazioni quantitative/qualitative del muco) che, associate o
meno a condizioni ambientali sfavorevoli, portano a rinosinusiti attraverso agenti virali (frequentemente la causa
iniziale di patologia) e batterica (frequentemente responsabile di sovrainfezione).
- Acuta : pneumococco, H. influenzae, M. catarrhalis (Infernal Trio, possono causare anche OMPA)
- Croniche : anaerobi, pneumococco, S. aureus, E. coli.

Sequenza patogenetica: I sistemi anteriore o posteriore sono chiuso per vari motivi (congestione della mucosa, edema,
blocchi anatomici del flusso aereo e del drenaggio; qualunque sia la causa che determina un’ostruzione si ha come
conseguenza una stasi della secrezione mucosa all’interno della cavità.
Questa stasi del muco determina una modificazione a carico del muco stesso che diventa molto più spesso
e si modifica anche il pH rallentando quella attività fondamentale per il benessere della mucosa.
Avvengono danni a livello dell’epitelio e a livello del cilio e si modifica, in tal modo, l’ambiente da renderlo atto alla
crescita batterica in una cavità che è, ormai, chiusa.
Le infezioni batteriche e il conseguente ispessimento della mucosa creano un ulteriore blocco e, quindi,
ulteriore chiusura dell’ostio con un perpetuarsi di un circolo vizioso.
Condizioni predisponenti Sono rappresentate dal dismorfismo e dal fattore meccanico propriamente detto: deviazioni
settali, dimorfismi dei turbinati laterali, ipertrofia adenoidea nei bambini e nei giovani; tali condizioni possono condurre
ad alterazioni di ventilazione e drenaggio a carico di tutta la cavità naso-sinusale ma, soprattutto, a carico del recesso
sfeno-etmoidale posteriore. Anche una poliposi nasale può rappresentare una causa del perpetuarsi del circolo vizioso.
Possiamo stadiare le poliposi nasale come poliposi confinate al meato medio (questa zona tende a produrre più
precocemente i polipi nasali perché costituisce lo sbocco della maggior parte dei seni paranasali, tra cui anche l’etmoide
inferiore, una struttura anfrattuosa costituita da una miriade di cellette, quindi predisposta, di per sé, ad andare incontro
a patologie da blocco, quindi con edema, ipertrofia e sviluppo di polipi); polipi che vanno al di là del meato medio,
graduati come 2; e la poliposi diffusa, graduata come 3. E’ solo una delle tante possibili classificazioni, vi serve soltanto
ricordare che vi sono condizioni di poliposi naso-sinusale massiva che interessano tutta la cavità nasale e tutte le cavità
paranasali annesse.
Una condizione anatomica predisponente che può essere definita una variante anatomica, cioè il turbinato medio,
conchabullosa, è pneumatizzato, prende molto spazio, in realtà si comporta come una lesione ostruente che, però,
non determina alcun tipo di problema a livello della mucosa naso-sinusale, cioè non abbiamo nessun segno di
ispessimento della mucosa naso-sinusale. Quindi, possono essere definite condizioni predisponenti, non
condizioni che necessariamente conducono a una patologia naso-sinusale infiammatoria. Se le troviamo collegate
a una patologia naso-sinusale infiammatoria è bene considerarle soprattutto nel caso in cui si voglia procedere
all’intervento chirurgico perché potrebbe essere un’alterazione meccanica su base anatomica che conduce alla
patologia naso-infiammatoria.

Clinica
Triade in fase acuta:
- Rinorrea
- Congestione nasale + Cacosmia
- Dolore (cefalea frontale o dolore a carico del mascellare)
In fase di quiescenza:
- Sensazione di tensione facciale
- Sintomatologia sfumata/scarsa

La sintomatologia può riflettere il prevalente coinvolgimento di uno dei seni; in particolare:


• Sinusite Mascellare Acuta: dolore alla guancia e alla regione sotto-orbitaria; pus nella fossa nasale omolaterale
al dolore.
• Sinusite Frontale Acuta: dolore alla regione sovraciliare, all’angolo interno dell’orbita con irradiazione verso
il temporale (dolore molto violento quando il canale naso-frontale è occluso e il pus non può defluire nel
meato medio).
• Sinusite Etmoidale Acuta: stenosi nasale, rinorrea muco-purulenta, senso di tensione alla radice del naso.
Frequentemente associata alla sinusite mascellare e sfenoidale; la sinusite è molto più violenta quando
l’edema ostacola il drenaggio del seno etmoide.
Nei bambini si ha principalmente questa, perché gli altri seni sono immaturi. Segno tipico: Edema
palpebrale. Possono insorgere complicanze orbitarie, come la trasmissione dell’infezione attraverso la
lamina papiracea
• Sinusite Sfenoidale Acuta: dolore retro-orbitario e cefalea occipitale, scolo di secrezione mucopurulenta
unilaterale nel rinofaringe. In questo caso i sintomi possono confondersi con quelli della sinusite etmoidale
(alla quale spesso si associa).
Un’ostruzione al drenaggio del seno sfenoidaleà rischio di complicanze (neurite ottica, nevralgia del
vidiano, dello sfenopalatino, del trigemino).
Diagnosi
Si basa sui sintomi e sui dati clinico-strumentali
1. EO viene effettuato attraverso una rinoscopia anteriore (con speculum nasale); o attraverso uno
specchietto simile a quello che viene utilizzato per visualizzare la laringe con metodica indiretta, che
viene posto sulla base della lingua in modo che una fonte di luce possa illuminare indirettamente e
rappresentarci a livello dello specchietto la realtà anatomica a livello del rinofaringe e, quindi, della
coana e, quindi, dell’estremità terminali posteriori delle cavità nasali. Queste sono le metodiche di
indagine tradizionali mentre in passato si eseguiva una fibroscopia nasale posteriore (con strumento
rigido o flessibile) che può servire a visualizzare uno scolo di mucopus a livello del passaggio tra cavità
nasale e rinofaringe proveniente, questo scolo, dal seno mascellare, segno indicativo di una sinusite
acuta mascellare in atto..
- Forme acute : essudato mucoso/mucopurulento che occupa il meato medio di una/entrambe le
cavità nasali con edema ed iperemia della mucosa.
- Forme croniche : EO sfumato con una serie di alterazioni anatomiche come deviazioni del setto
nasale o ipertrofia dei turbinati inferiori
2. Esame colturale delle secrezioni : utile soprattutto nelle forme resistenti
3. Test allergologici : necessari al sospetto di una patogenesi allergica
4. TC al massiccio cranio-facciale (mdc solo nelle neoplasie e nelle complicanze) : è molto importante, non
solo dal punto di vista diagnostico, ma soprattutto nella pianificazione dell’intervento chirurgico. E’ molto
più importante una tomografia computerizzata rispetto ad una risonanza magnetica nucleare, dato che con
la TC abbiamo una immagine dettagliata dei piani ossei, cioè vediamo dettagli che possono essere varianti
anatomiche e possono essersi modificate in rapporto a patologie infiammatorie e/o espansive.
5. RMN : per i processi infiammatori non è molto utile, perché non permette di vedere il rimodellamento
osseo in corso di processi patologici; tuttavia è fondamentale per pazienti con problemi monolaterali, che
sono meno facilmente spiegabili. La RMN è usata preferenzialmente solo nelle complicanze orbitarie o
intracraniche e nelle lesioni neoplastiche in rapporto con la dura e l’orbita.
NB: Per i processi infiammatori agli otorinilaringoiatri non piace la risonanza magnetica,perché non
permette di vedere il rimodellamento osseo in corso di processi patologici, ma invece è fondamentale per
pazienti con problemi monolaterali, che sono meno facilmente spiegabili
DD: le forme acute sono di facile interpretazione, mentre quelle croniche vanno differenziate da numerose
patologie naso-sinusali (rinopatie allergiche e non allergiche, infezioni aspecifiche specie di natura virale e
soprattutto patologie di natura neoplastica).

Tipiche delle forme acute o in fase di riacutizzazione.

Criteri diagnostici clinici nella rinosinusite cronica


Criteri maggiori Criteri minori
• Dolore alla pressione • Febbre lieve-moderata
• Senso di pienezza facciale • Alitosi
• Ostruzione nasale • Tosse
• Rinorrea purulenta Queste ultime due sono dovute a inalazione di secrezioni
• Scolo retro-nasale (è rinorrea posteriore) provenienti dalla cavità posterior
• Iposmia
Per fare diagnosi di rinosinusite cronica servirebbero: 2 o più fattori maggiori, oppure 1 fattore maggiore e 2 minori.
Terapia
- Forme acute: antibiotici per os ad ampio spettro (Beta lattamine, Macrolidi e Fluorochinoloni), anti-
infiammatori (FANS, corticosteroidi); aerosol medicato; mucolitici e mucoregolatorieccezionalmente si
ricorre alla chirurgia [Forme “non responder” e a rischio di complicanze]
- Forme croniche: steroidi topici/sistemici, anti-istaminici (nei casi di allergia), antibiotici (fasi di
riacutizzazione); chirurgia necessaria in molti casi.

Non è sempre vero che si debba ricorrere ad una tecnica chirurgica, dipende dalle manifestazioni cliniche: ci sono
problematiche croniche piuttosto lievi che non necessitano di trattamenti chirurgici, indicati, invece, in caso di
ostruzione respiratoria nasale persistente nonostante le terapie empiriche o vi sia la tendenza alla riacutizzazione
frequente dei problemi infiammatori. Le tecniche sono diverse. Attualmente si parla, da più di 15 anni, di chirurgia
funzionale endoscopica; si possono adottare tecniche combinate microchirurgiche-endoscopiche e c’è,
attualmente, da circa 5 anni, la chirurgia computer assistita attraverso robot.
Tecnica di Caldwell-Luc: apertura del seno mascellare in corrispondenza della fossa canina, rimozione della
mucosa patologica del seno, realizzazione di una comunicazione artificiale del seno con il meato inferiore
(normalmente drena nel medio).
N.B. si è visto però che le secrezioni continuano a seguire le vie naturali e non le controaperture.
Inoltre, interventi rivolti ai seni frontali e allo sfenoide sono altrettanto demolitivi e richiedono vie d’accesso ai seni
in campo stretto.

Di recente sono state introdotte tecniche Microchirurgiche, Endoscopiche, FESS (functional endoscopic sinus
surgery)à consentono mirate correzioni dell’anatomia degli osti sinusali, asportazione di polipi nasali e di vari
tipi di neoformazioni con rispetto della fisiologia e della funzione, delle strutture nasali.

Complicanze
Oggi sono piuttosto rare, più frequenti nell’infanzia e negli immunocompromessi:
1. Oculari/orbitarie: per cause anatomiche sono dovute essenzialmente a rinosinusiti etmoidali o frontali. Sono più
frequenti nel bambino anche per una particolare sottigliezza delle membrane delimitanti ossee e, quindi, per una
facilitazione che ha un processo infiammatorio o infettivo a trasmigrare dalla cavità nasale o comunque da un seno
contiguo all’orbita, quale il seno etmoidale, provocando possibili danni
- Edema della palpebra superiore: Manifestazione clinica del comparto presettale dell’orbita
- Cellulite periorbitaria: complicanza più frequente nel bambino; dolore orbitario, edema palpebrale,
febbre elevata. Trattamento con antibiotici per os che deve essere tempestivo.
- Cellulite orbitaria: C’è diffuso interessamento del grasso e del tessuto connettivo orbitario; rispetto a
quella periorbitaria c’è perdita del visus irreversibile, midriasi, oftalmoplegia da ridotta motilità dei
muscoli extraoculari (spesso irreversibili). Inoltre edema congiuntivale, protrusione del globo oculare,
vivo dolore oculare, fotosensibilità; trattamento antibiotico ev aggressivo
- Ascesso subperiostio ed orbitario: è una complicanza della cellulite orbitaria, espressione di un
ritardo diagnostico o di una immunocompromissione; trattamento chirurgico. Ben delimitato,
determina esoftalmo con spostamento dell’orbita in posizione inferolaterale. Complicanza più
trattabile, tramite terapia chirurgica, rispetto le altre
La DD tra queste ultime 2 condizioni si fa con TC e RMN.
2. Ossee
Osteomielite : diffusione dell’infezione alle pareti ossee dei seni paranasali (soprattutto osso mascellare,
tipicamente nell’infanzia; osso frontale). Si ritrova edema dei tessuti molli sovrastanti il tratto osseo interessato,
febbre alta, cefalea grave.
La diagnosi si fa con TC e RMN necessari; il trattamento è con antibiotici per ev.
3. Intracraniche
Sono meningiti, ascessi extra/subdurali, ascessi cerebrali, tromboflebiti del seno cavernoso e longitudinale,
leptomeningiti purulente; in genere sono rare e spesso sono secondarie a rinosinusiti frontali o etmoidali (estensione
per via venosa, seni etmoidalià vene epiploicheà cervello; è possibile anche l’estensione diretta per erosione del
piano osseo).

L’interessamento infiammatorio del seno cavernoso, ad esempio, non è soltanto un problema di processo
infiammatorio o infettivo che diffonde da un seno, quale il seno sfenoidale al seno cavernoso, talvolta possono
essere conseguenza di un processo infiammatorio a carico dello sfenoide, per esempio un mucocele che si
accresce in modo espansivo e determina compressione di queste strutture contenute nel seno cavernoso ( quindi
una sindrome di Foix [si legge Fuà]) determinando, ad esempio, fenomeni paralitici oculari, quindi problemi di
oftalmoplegia. Quindi, può essere un semplice processo espansivo, quale un mucocele del seno sfenoidale, cioè
accumulo di muco in una cavità precostituita in rapporto a un problema infiammatorio che determina la chiusura
dell’ostio, si accumula muco, si espande la cavità e può determinare compressione a carico di questi organi,
quindi oftalmoplegia, anche là dove non ci sia una neurite.
Ndr da neuro: sindrome di Foix (della fessura orbitaria superiore) = lesione III, IV, VI e oftalmico. Sindrome di
Tolosa Hunt (del seno cavernoso anterio) = uguale a Foix.

Mucocele Del Seno Sfenoidale: In caso di mucocele, cioè versamento mucoso all’interno di una cavità
precostituita, quale il seno sfenoidale che, talvolta, può assumere dimensioni notevoli. Il seno sfenoidale è la
cavità più predisposta ad avere questo tipo di problema ma si può trovare anche a vari livello, per esempio il seno
mascellare può andare incontro a un mucocele o a un mucopiocele se il muco si infetta.
Gli agenti più spesso coinvolti sono strepto, stafilococci e anaerobi.
Il quadro clinico d’esordio è in genere subdolo (febbre alta, cefalea frontale, segni di irritazione meningea). La
trombosi del seno cavernoso si presenta con febbre elevata, brivido, cefalea, ipoestesia I e II branca del
trigemino, ptosi palpebrale, esoftalmo, oftalmoplegia.
Diagnosi: il sospetto clinico va sempre confermato con RMN con
Gadolinio. Terapia: antibiotici (terapia massiva e prolungata).

FIBROSI CISTICA E RINOSINUSITI CRONICHE


• Ostruzione nasale 90%
• Rinorrea purulenta 86%
• Cefalea 75%
• Anosmia 71%
• Limitazione di attività 71%
• Dolore facciale 60%
• Cambiamento del tono di voce 15%

I polipi sono individuabili in circa il 70% dei casi e sono polipi giovanili, insorgono nel bambino piuttosto che in
età puberale e necessitano di interventi chirurgici molto frequenti, oltre che terapie antibiotiche, locali e
prolungate.
DEFICIT IMMUNITARI E RINO SINUSITI ACUTE RICORRENTI
Nelle forme ricorrenti, soprattutto giovanili e non ben trattabili, bisogna chiedersi se ci siano altre cause che
determinano la particolare ricorrenza e non trattabilità. Andrebbe fatto un accurato approfondimento diagnostico
dal punto di vista immunologico per appurare che non ci siano deficit anticorpali, deficit delle cellule T e B che
possono condurre ad una particolare predisposizione ad infezioni, soprattutto di tipo batterico e anche fungine per
i deficit sostenuti da cellule T e B.

RINOSINUSITE FUNGINA EOSINOFILA


Non è un tipo specifico di rino-sinusite dovuta a funghi ma si tratta di una possibile patogenesi in cui l’espressione
clinica diventa indistinguibile da altre forme di rinosinusite ma in questo caso la causa potrebbe essere ricondotta
a un meccanismo immunoallergico dovuto a funghi. I funghi coinvolti in questo meccanismo immunoallergico
sono i funghi della famiglia Dermatacea.
Le caratteristiche di questa rinosinusite che, secondo alcuni, impatterebbe su circa il 10% di tutti i casi di
rinosinusite cronica sono:
• Una densa mucina eosinofila, per definizione allergica
• La presenza di ife non invasive
• La presenza di attività lisofosfolipasica, come i cristalli di Charcot Leiden
Tutto ciò fa pensare che circa il 10% dei pazienti con forme croniche di rino-sinusite la svilupperebbero in rapporto
a questo tipo di meccanismo. Gli autori che prospettano questa patogenesi rimarcano l’associazione con le IgE
aumentate e la presenza associata di rinite allergica e asma. In realtà, vi sono una serie di controversie che
riguardano questa particolare categoria nosologica:
- le IgE specifiche per i funghi non sono riscontrate costantemente ma in una percentuale inferiore al 50%;
- sono assenti i mastociti;
- sono assenti i complessi immuni con le IgG;
- sono molto più frequenti le forme
monolaterali. Tutto ciò porterebbe a rigettare questo
tipo di ipotesi.
Secondo i criteri diagnostici posti da Bent e Kuhn nel 1994, per fare una diagnosi specifica di rinosinusite
fungina eosinofila vi deve essere:
• un reperto radiologico indicativo di una forma cronica
• un muco eosinofilo
• un esame microbiologico colturale per ife, per presenza di funghi specifici

RINOSINUSITI FUNGINE A DECORSO IPER-ACUTO


Questa forma, con le eosinofile fungine, non c’entra assolutamente nulla.
Si tratta di forme deostruenti, invasive, rapidamente fatali nella stragrande maggioranza dei casi perché ha un
decorso iper-acuto e si parla di rinosinusiti fungine, non è quel tipo di categoria di cui abbiamo parlato. Sono delle
forme a decorso iper-acuto che interessano categorie specifiche di soggetti, quali soggetti con vari tipi di
immunodeficit per:
• sindromi immunodeficitarie geneticamente definite
• trapianti d’organo
• trapianti di midollo
• malattie renali croniche
• immunodepressione
• neutropenia
• corticosteroidoterapie croniche
• diabete mellito, soprattutto se scompensato
Queste sono le categorie a rischio. Poi, ci possono anche essere casi isolati di soggetti che non hanno alcun tipo
di condizione predisponente. In alcuni casi, soprattutto quando l’espansione è verso l’alto, si parla di mucormicosi
rinocerebrale. In pratica non siamo di fronte a una crescita espansiva, ma infiltrante e deostruente, simil-tumorale,
con poche speranze, soprattutto in queste forme.
Trattamento: medico, immunoterapico, antibiotico, chirurgico. Non tutti i pazienti hanno necessità
all’intervento chirurgico. Non tutti i pazienti hanno necessità all’intervento chirurgico; lo hanno, ovviamente, in
rapporto a una particolare riduzione della qualità della vita e in rapporto a condizioni che possono predisporre a
riacuzie frequenti o a complicanze. In questo caso il medico chirurgo si può orientare al trattamento chirurgico,
in tutti gli altri casi no, non c’è indicazione netta al trattamento chirurgico, anche nelle forme croniche.

Rinite Allergica
Epidemiologia
Colpisce dal 5 al 50% della popolazione e oggi pare aumentata rispetto al passato; principale causa di poliposi
naso- sinusale. Incide su vita sociale, attività lavorativa e scolastica in maniera pesante.
Patogenesi
Processo infiammatorio cronico a carico della mucosa nasale, che può colpire a tutte le età ma si
presenta generalmente nell’infanzia. E’ da rimandare a specifici Ag interagenti con le IgE.
Sintomatologia
Reversibile spontaneamente o dopo terapia medica
- Rinorrea
- Starnuti
- Prurito
- Ostruzione nasale

Ne esistono diverse forme:


• Intermittente: sintomi < 4 giorni/sett. Oppure < 4 sett consecutive
• Persistente: sintomi > 4 giorni/sett e > 4 settimane consecutive
• Lieve: assenti sintomi di rilievo come alterazioni del sonno, limitazione del tempo libero o delle
attività sportive, limitazione del rendimento scolastico.
• Moderata/Severa: presente almeno un sintomo di rilievo

Diagnosi
1. Anamnesi: caratteristiche sintomatologiche, presenza di fattori predisponenti/familiarità,
caratteristiche dell’ostruzione nasale (mono/bilaterale, saltuaria/perenne, legata a condizioni
climatico-ambientali) e della rinorrea (sierosa, mucosa, purulenta, anteriore/posteriore,
intermittente/continua)
2. Prist, Rast, conta dagli eosinofili, test di degradazione mastocitaria: costosi, utili nei casi dubbi
3. Test di provocazione nasale specifico: somministrazione intranasale di estratti allergenici
e successiva valutazione dei sintomi riferiti e dati all’esame rinomanometrico (a 10’ da ogni
dose)
4. Valutazione endoscopica del distretto rinosinusale
5. Rinomanometria ant. attiva (studio della funzionalità respiratoria nasale)
6. Test allergologici cutanei : Prick test il più usato (eseguito al di fuori del periodo critico, tra settembre
ed aprile, sospendere cortisonici ed anti-istaminici 10-20 giorni prima del test).
Se tutte le prove allergiche risultano negative, orientarsi verso una diagnosi di Iperattività Nasale
Aspecifica (difficile da trattare).
Terapia
Profilassi ambientale e medica (anti-istaminici, steroidi Topici).

Rinite Vasomotoria
È una rinite dovuta a vasodilatazione su base NON allergica né infettiva.
Può essere causata da stimoli come cambiamenti termici e climatici, inalazione di sostanze irritanti, assunzione
di farmaci (FANS), alterazioni ormonali (pubertà o gravidanza).
Trattamento: soluzioni saline nasali, CCS nasali, decongestionanti, prevenzione fattori scatenanti.
SINDROMI ALGICHE CRANIO-FACCIALI
SINDROMI NEVRALGICHE
Coinvolgimento diretto di una via nervosa con dolore sempre unilaterale e riferito all’area di distribuzione anatomica
del nervo; quest’ultimo è lancinante e parossistico, compare improvvisamente e scompare gradualmente. Nelle fasi
intercinetiche il pz è in completo benessere.
Spesso il dolore si scatena in seguito a stimolazione di zone trigger e recede per blocco anestetico del nervo.

NEVRALGIA DEL TRIGEMINO


PRIMARIA O ESSENZIALE (MALATTIA DI FOTHERGILL).
Dolore urente intensissimo, che insorge improvvisamente con localizzazione nel territorio di innervazione del
trigemino (molto più frequentemente III branca, meno spesso II, raramente I); F>M.
Eziologia
Eziopatogenesi ignota; in alcuni casi è rimandabile a compressione meccanica della radice trigeminale ad opera di
rami dell’arteria cerebellare sup. (conflitto neurovascolare).
Clinica
- Crisi: ad insorgenza spontanea o dopo movimenti interessanti i muscoli della faccia (masticazione, fonazione) o
per stimolazione tattile-termica del viso nei trigger points.
Il dolore comincia in un punto per poi diffondersi ed ha una durata che va da pochi istanti a vari minuti; è spesso
accompagnata da iperemia cutanea, lacrimazione, ipertono dei muscoli del viso, fotofobia
- Parossismo: serie irregolare di fitte dolorose, il pz cessa di parlare e di muoversi, preme sul volto le palme delle
mani; presenta tic dolorosi (atteggiamenti mimici antalgici), versa alcune lacrime.
Diagnosi
Segni di Sicard
1. Dolore monolaterale DD emicrania (unilaterale, periodica, può
2. Sede ben precisa e limitata essere preceduta da scotomi, accompagnata
3. Interessamento iniziale di una sola branca da nausea e vomito)
4. Assenza di altri sintomi neurologici
Terapia
Carbamazepina (efficace > 50% dei casi), Gabapentina

Trattamenti neurochirurgici come l’alcolizzazione del ganglio di Gasser, termocoagulazione della radice sensitiva del
nervo, neurotomia retrogasseriana

SECONDARIA
Meno frequente e meno tipica. Talora bilaterale e non ben delimitata. Il dolore tende a farsi continuo.
Cause: flogosi/tumori del cavo orale, nasale, orbitario, dei seni paranasali, delle meningi, delle ossa craniche, del
ganglio di Gasser, dell’angolo ponto-cerebellare, aneurismi infraclinoidei della carotide interna, SM (sclerosi
multipla), pulpite acuta sierosa (domanda scritto).
Terapia: neutralizzare il processo morboso alla base.

NEVRALGIA DEL GLOSSOFARINGEO


Violenti dolori a crisi percepiti nella regione dell’orecchio, alla base della lingua e della fossa tonsillare, dietro
l’angolo della mandibola.

NEVRALGIA DEL NERVO OCCIPITALE


Dolore in sede nucale.
ALTRE SINDROMI NEVRALGICHE

S. DI CHARLIN O OCULONASALE
Improvvisa rinorrea unilaterale, starnuti, iperemia congiuntivale; dolore urente e improvviso, unilaterale, che dalla
zona media della parete laterale della piramide nasale si irradia all’orbita, all’ala del naso, alla parte centrale della
regione frontale.
Può presentarsi iperestesia cutanea estesa a quella parte di mucosa nasale posta anteriormente alla testa del turbinato
medio.
Terapia: toccature del turbinato con un anestetico di superficie

S. DELL’ARTERIA TEMPORALE SUPERFICIALE


Turgore dell’arteria, dolore pulsante irradiato dalla regione temporale verso mastoide, nuca e vertice.

S. DELL’ARTERIA FACCIALE
Dolore pulsante che dalla regione dell’arteria facciale si irradia alle regione orbitaria, frontale e preauricolare.

S. STILOCAROTIDEA DI EAGLE
Apofisi stiloide abnormemente lunga che stimola il plesso simpatico pericarotideo (altra causa può essere un
legamento stilo-ioideo calcificato. La terapia è chirurgica.

S. DEL GANGLIO SFENOPALATINO O DI SLUDER


Considerata secondaria a stimoli diretti o riflessi agenti sulla parte terminale dell’a. mascellare interna. F>M, più
spesso nell’età media della vita.
Eziologia
E’ spesso ignota ma talvolta è una patologia secondaria a rinosinusiti sfenoidali o ad etmoiditi posteriore o a lesioni
traumatiche della fossa pterigopalatina.
Clinica
- Dolore: sordo, profondo, localizzato alla parete posteriore di una fossa nasale o del rinofaringe con possibile
propagazione a palato, nuca e orbita. Carattere accessionale
- Sintomi di accompagnamento: rinorrea, starnuti, iperemia congiuntivale, lacrimazione, iperestesia della mucosa
nasale
Terapia
• Blocco anestetico mediante tamponcino di cotone mantenuto al di sotto e al di dietro della coda del turbinato
medio per alcuni minuti;
• Alcolizzazione del ganglio sfenopalatino (per via nasale attraverso la zona posteriore del meato medio; per via
palatina attraverso il forame palatino maggiore ed il condotto pterigopalatino; per via esterna mediante un ago
introdotto sotto l’arcata zigomatica).

S. DI NERI-BARRÈ-LIEOU
In genere si verifica in pz con artrosi cervicale.
Clinica
- Cefalea occipitale (talvolta anche frontale e retro-orbitaria)
- Acufeni e vertigini (soprattutto durante bruschi cambiamenti di posizione del capo)
- Spesso i pz lamentano dolori irradiati a spalla, al braccio e dolori precordiali anginoidi.

MALATTIA DI HORTON
Dolore sordo a sede temporale e frontale, più accentuato nelle ore notturne ed eventualmente accompagnato da turgore
dell’arteria temporale superficiale (ricoperta da cute arrossata, umida e iperestesica).
Clinica Terapia
- Anoressia Infiltrazione di novocaina perivascolare e cortisone. In
- Calo ponderale caso di fallimentoà legatura o resezione parziale
- Febbricola dell’arteria.
- Aumento VES
SINDROMI NEUROVASCOLARI
Dovute alla stimolazione del contingente simpatico che accompagna le pareti vasali con vasodilatazione e
stimolazione della terminazione sensitiva.
Si ha una sensazione dolorosa spesso bilaterale, compare lentamente diventando continua, gravitativa, opprimente,
può oscillare d’intensità ma il pz quasi mai ha periodi di completo benessere. Vi sono, inoltre, manifestazioni
vasomotorie o secretive.

CEFALEE DIFFUSE
Spesso dovute a modificazioni vasomotorie endocraniche con stimolazione di zone sensibili vascolari e meningee; a
volte a modificazioni pressorie intracraniche o del circolo sistemico. dolore continuo/intermittente, gravativo/pulsante.
Cause:
- Dilatazione passiva dei seni venosi della dura madreà - Vasodilatazione delle arteriole della base cranicaà in
in caso di ostacolo alla circolazione venosa reflua caso di tossinfezioni generali, IR, insufficienza epatica,
endocranica intossicazioni alcoliche/tabagiche/da CO, stati emotivi e
nevrotici.

CEFALEE CIRCOSCRITTE
Anteriore: spesso di origine oftalmica (astigmatismo, difetti dell’accomodazione); è localizzata alla radice del naso
con irradiazione alla regione sovra-orbitaria.
Questa cefalea può anche avere origine traumatica (insensibile ad ogni terapia, può però attenuarsi nel tempo) e post-
otitica.

La cefalea frontale può essere nasale o sinusale (in questo caso la cefalea può essere dovuta al vacuum sinus),
caratterizzata da chiusura dell’ostio frontale del canale che unisce seno frontale e meato medio)à si può ricorrere a
resezioni del setto, interventi sul seno mascellare o sull’etmoide.
La cefalea da iperostosi frontale si tratta con FANS, antiflogistici, esametilentetramina, vit. B6

Nelle cefalee post-otitiche a volte si ricorre a sezione del n. grande petroso superficiale; è utile l’alcolizzazione del
ganglio sfenopalatino.
FARINGE
Rinofaringiti acute
Epidemiologia
Predilige l’età infantile, specie tra i 5-8 anni, in cui prende anche il nome di Adenoidite Acuta.
Eziologia
Virus respiratori, streptococchi Beta-emolitici, S. Aureus, Pneumococco, H. Influentiae.
Sintomatologia
Ostruzione respiratoria nasale bilaterale, rinorrea posteriore; ce ne sono 2 forme:
- Forma catarrale : rinorrea a carattere mucoso, rialzo termico moderato
- Forma purulenta : interessamento sistemico più rilevante, febbre alta
E’ possibile l’insorgenza di rinosinusiti acute, otiti medie acute od otiti siero-mucose secondarie.
Diagnosi
In genere la diagnosi è agevole grazie alla rilevazione, mediante Faringoscopia, di muco o muco-pus proveniente
dall’alto e spesso adeso alla parete posteriore dell’orofaringe; possibilmente è osservabile un interessamento
infiammatorio dell’orofaringe.
Utile, anche se poco agevole nel bambino piccolo o non collaboratorio, è la RinoFaringoscopia a fibre ottiche.
Terapia
- Antibiotici per via generale (penicillina + anti-beta lattamasi, cefalosporine o macrolidi) e locale, antinfiammatori,
antiedemigeni steroidei
- Adenoidectomia: per via transorale previa anestesia generale ed intubazione oro-tracheale; è indicata in caso di
spiccata ipertrofia del tessuto adenoideo con flogosi acute particolarmente ricorrenti

Flogosi faringee e Faringotonsillari Acute


Eziologia
Quella virale prevale su quella batterica (in questo caso, il microrganismo predominante è lo Streptococco beta-
emolitico di gruppo A).
Clinica
Angina costantemente caratterizzata da Faringodinia (più o meno intensa) e da Flogosi acuta locale (che potendosi
presentare sotto vari aspetti, assume varie denominazioni).
Terapia
Il trattamento delle comuni flogosi acute faringo-tonsillari/rinofaringee: prevede l’utilizzo di antibiotici per via
generale (ampicillina, amoxicillina + inibitori delle beta lattamasi; in caso di allergie: macrolidi) ed eventualmente
antimicrobici per via locale ed antinfiammatori per via transnasale.
N.B. Evitare sottodosaggi o prescrizioni inadeguate, che favoriscono l’insorgenza di ceppi resistenti.
Una mancata risoluzione richiede l’antibiogramma; gli steroidi si usano per il trattamento di fenomeni ostruttivi
faringei ed infiammatori faringo-tubarici.

v ANGINA ROSSA (o Eritematosa Diffusa)


Iperemia marcata della mucosa faringo-tonsillare e aumento di volume della tonsilla palatina

v ANGINA ERITEMO-PULTACEA (Lacunare)


Abbondante essudato biancastro ricoprente la superficie tonsillare o disposto allo sbocco delle cripte)
N.B. Per infiammazione reattiva, si può avere un interessamento dei linfonodi regionali in entrambi i casi (specie i
sotto-mandibolari e i cervicali superiori); inoltre si può avere un quadro di tossinfezione generale di grado variabile.
N.B.2 Non esiste un criterio clinico certo che indirizza la diagnosi verso l’eziologia batterica/virale (fenomeni
suppurativi localià suggestivi di una sovrainfezione batterica)
v ANGINA PSEUDOMEMBRANOSA (Monocitica)
Associata alla mononucleosi infettiva; l’epitelio è colliquato ed è sostituito da una pseudomembrana (essudato
fibrinoso grigiastro) adesa alla superficie sottostante, che in genere non supera i limiti della tonsilla palatina.
Terapia: agenti anti-microbici associati ad antipiretici ed anti-infiammatori sintomatici; una terapia steroidea offre
un miglior controllo delle forme a carattere ostruttivo ed in caso di rilevanti manifestazioni sistemiche.
v ANGINA DIFTERICA
Rara nei paesi in cui la vaccinazione è obbligatoria; la pseudomembrana supera il pilastro tonsillare e tende a
diffondersi (caratteristico colorito madreperlaceo).
Terapia: isolamento del pz, somministrazione di siero anti-difterico e di antibiotici: penicillina ev o eritromicinia
(anche nei contatti sintomatici e/o con tampone faringeo positivo)

v ANGINA ULCERO-NECROTICA DI PAUL VINCENT


È di eccezionale rilievo ed è tipicamente unilaterale con associata gengivite. È causata generalmente da
un’associazione di anaerobi (infezione fuso-spirillare). I soggetti più a rischio sono quelli con: scarsa igiene
orale, persistenti focolai infettivi periduttali, malattie ematologiche, immunocompromissione per cui è sempre
importante inquadrare le condizioni generali del pz! DD con neoplasie ed infiammazioni croniche specifiche a
carattere ulcerativo a carico della tonsilla palatina.
Complicanza possibile: sindrome di Lemierre (tromboflebite vena giugulare interna).
Terapia: procedure terapeutiche specifiche (chemio, antivirali, trapianti di midollo etc)

v ANGINA VESCICOLARE (Erpetico Bollosa)


Vescicole circondate da un alone iperemico (specie a livello del palato molle, della loggia tonsillare, della parete
posteriore della faringe) associate ad intensa faringodinia.
La rottura spontanea delle vescicole provoca piccole ulcerazioni coperte da essudato fibrinoso tendenti alla
confluenza.
In genere è dovuta a virus (Coxsackie: carattere microepidemico; HSV1: carattere sporadico, spesso determina
una gengivo-stomatite erpetica).
Terapia: puramente sintomatico (la prognosi è in genere spontaneamente favorevole).

Flogosi faringee e Faringotonsillari croniche


Caratteristiche dell’età adulta ed in genere secondarie ad una patogenesi multifattoriale:
- Alterazioni dismetaboliche (DM, epatopatie croniche, uricemia)
- Meccanismi patogenetici di tipo discendente (es. flogosi cronica rinosinusale)
- Reflusso esofago-laringo-faringeo (specie nei casi d’interessamento dell’ipofaringe e del tratto aritenoideo
posteriore)
Clinica
Non sempre ben definita; in genere c’è il senso di bruciore alla gola (specie ad oro ed ipo-faringe), sensazione di corpo
estraneo retro-nasale e retro base linguale.
v FARINGITE CATARRALE CRONICA
Mucosa ispessita e coperta da un essudato biancastro (sottile e filante). All’EO escludere la presenza di focolai
infiammatori rino-sinusali.

v FARINGITE IPERTROFICA CRONICA


Iperplasia dei follicoli linfatici della parete posteriore orofaringea e della tonsilla linguale. Può essere mantenuto
da: focolai infiammatori contigui, RGE, sostanze tossiche (ambiente lavorativo, fumo di sigaretta)

v TONSILLITE CRONICA
Sintomatologia subacuta (bruciore faringeo localizzato e/o sensazioni di formicolio/puntura a livello tonsillare)
intervallata da episodi acuti. Si associa generalmente ad una faringite ipertrofica cronica.
v FARINGITE ATROFICA
Più frequentemente ritrovata in età senile e in stati dismetabolici o in corso di malattie sistemiche (in caso di
pregresso trattamento radiante) o in caso di inalazione di polveri/vapori/agenti irritanti in ambito lavorativo.
Si nota la degenerazione ipotrofica della mucosa faringea, riduzione dei follicoli linfoepiteliali e delle ghiandole
parietalià la superficie faringea appare liscia, lucida e secca
Trattamento:
- Terapie preventive (vaccini, trattamenti inalatori termali)
- Identificazione ed eradicazione/contenimento delle eventuali condizioni patogenetiche correlate
- Tonsillectomia : indicata in caso di tonsilliti croniche non sensibili a terapie mediche o in cui le tonsille palatine
rappresentino un potenziale focolaio di partenza di manifestazioni infiammatorie a distanza.
Processi suppurativi peri-faringei: Generalmente sono dovuti ad un’associazione polimicrobica (aerobi,
anaerobi facoltativi ed obbligati) per questo il trattamento spesso risulta difficile. L’estensione locoregionale delle infezioni
faringee può essere circoscritta in una raccolta ascessuale (esteso interessamento flemmonoso del t. connettivo lasso
cervicale), la quale a sua volta può essere intraparietale (tra mucosa e fascia faringo-basilare/tonaca muscolare). N.B. Gli
ascessi peri-tonsillari (tra mucosa e tonaca muscolare) sono differenziabili sulla base della sede della raccolta a livello
tonsillare e alla conseguente dislocazione della tonsilla palatina (solitamente in direzione mediale).
Clinica
- Stato tossinfettivo rilevante con febbre alta - Intensa faringodinia
- Odinofagia - Incontinenza salivare, alitosi
- Trisma (in genere moderato) - Dislalia gutturale, rinolalia aperta
- Ostruzione respiratoria (forme più severe/non trattate)

In caso di superamento della tonaca muscolare si osserva la formazione di un ascesso para-tonsillare (spazio pre-
stiloideo) e possibile evoluzione a cellulite cervicale e cervico-mediastinica a prognosi sfavorevole.
In via del tutto eccezionale, si può avere la diffusione del processo allo spazio retrostiloideo, in questo caso si osserva
la formazione di un ascesso retrostiloideo (pilastro tonsillare posteriore che si anteriorizza, contratture dolorose della
muscolatura pre-vertebrale senza trisma).
Complicanze
û Interessamento compressivo degli ultimi 4 nervi cranici (IX-XII)
û Fissurazione ed emorragia della carotide esterna
û Interessamento dei linfonodi retro-faringeià linfoadenite dello spazio retro-faringeo e torcicollo dovuto a
dislocazioni atlanto-assiali su base infiammatoria (S. di Grisel)
û Possibile interessamento delle alte vie aereo-digestive con sindrome ostruttiva severa
û Estensione peri/parafaringea o cervico-mediastinicaà complicanze del processo infiammatorio faringeo
Terapia
ü Drenaggio della raccolta (circoscritta e diffusa): solo nell’ascesso peritonsillare, specie nell’adulto, è possibile
procedere in anestesia locale (per gli altri anestesia generale).
ü Terapia medica: associazione di antibiotici.

Malattia Adeno-Tonsillare (Adenoidi)


Processo infiammatorio interessante le strutture linfoepiteliali delle alte vie aeree-digestive (in particolare la tonsilla
palatina e quella faringea) nell’epoca infantile (in particolare tra i 3 e i 7 anni).
Clinica
- Mal di gola (più costante) - Alitosi
- Febbre moderata-alta (più costante) - Rinorrea anteriore bilaterale episodica/subacuta
- Respirazione nasale rumorosa nel sonno - Muchi alla gola
- Respirazione esclusivamente orale (notturna o, nei - Pause respiratorie
casi più severi, diurna) - Ridotta crescita
- Dolore auricolare mono/bilaterale (spesso in corso - Possibile compromissione uditiva
di riacutizzazioni) - Malocclusione dentaria (dovuta a respiraz. orale)
All’EO:
• Facies adenoidea (viso allungato, bocca aperta)

• Viso affilato : ridotto accrescimento trasverso del mascellare superiore


• Palato ogivale : accentuazione dell’arco palatino
• Angina eritematosa diffusa/eritemato-pultacea : durante episodi di forte faringodinia
Tonsillite cronica cripticaà rilevabile nei periodi intervallari; iperplasia e ipertrofia della tonsilla palatina, aspetti
ritentivi simil-cistici degli orifizi di sbocco delle cripte tonsillari ostruiti da materiale frutto di ristagno di secreto endo-
luminale ed alimentare.
Adenoidite acutaà è riscontrabile tessuto linfatico occupante il lume rinofaringeo all’ispezione dell’orofaringe, alla
rino-faringoscopia a fibre ottiche e con l’esplorazione digitale del rinofaringe.
Diagnosi
1. Anamnesi, Valutazione Clinica, EO
2. Reperti obiettivi otoscopici: interessamento disfunzionale su base stenotica e/o flogistica acuta del sistema tubo-
timpanicoà quadri di otite media acuta od otite media secretiva o siero-mucosa (spesso sovrapposte)
3. Test di Laboratorio:
o PCR, VES
o Esame emocromocitometrico
o TAS (si innalza dopo 7 giorni e torna normale in 6-12 mesi)
o Protidogramma elettroforetico
o Esame microbiologico-colturale sul tampone faringo-tonsillare; è obbligatorio in casi severi/resistenti
o Streptozyme test
o Necessari Test oto-funzionali periodici (tra cui l’esame audiometrico tonale liminare)
Terapia
- Trattamenti segnalati sulle flogosi faringee e faringotonsillari acute
- Tonsillectomia : nei bambini è sempre associata ad adenoidectomia in anestesia generale previa intubazione oro-
tracheale (pz in decubito supino e collo iperesteso).
L’intervento può essere associato a miringotomia, per effettuare paracentesi timpanica e applicare un drenaggio
transtimpanico per la risoluzione di un eventuale “glue ear” (otite media secretiva)

Corpi Estranei Faringei


Problematica riguardante in particolare la prima e la seconda infanzia e l’età senile, oltre ai pz con patologie
psichiatricheà da ciò risulta che spesso ci si trovi di fronte ad una sintomatologia soggettiva (maggiormente
aspecifica) con dati anamnestici inadeguati. Conseguentemente questo può portare ad una diagnosi tardiva.
I corpi estranei faringei nei Bambini sono in genere oggetti piccoli e smussi (frammenti alimentari, parti di giocattoli,
etc).
Clinica
- I corpi estranei Nasali/Naso-Faringei causano precoce ostruzione nasale ed epistassi monolaterale con più tardiva
rinorrea muco-purulenta (spesso si procede con un’inefficace terapia antibiotica, misconoscendo questa condizione
con una rinosinusite batterica)
N.B. In casi sporadici si ha una sintomatologia scarsa con ostruzione nasale progressivamente ingravescente (la
diagnosi è condotta dopo il rilievo clinico-radiologico di una grossolana e voluminosa concrezione calcarea che
avvolge il corpo estraneo).
- I corpi estranei Oro-Faringei sono soprattutto quelli alimentari.
Importanteà indipendentemente dalla natura/tipologia del corpo estraneo, questo ha la tendenza a causare lesioni in
varie sedi (logge tonsillari, vallecola glosso-epiglottica, seni piriformi, regione retro-cricoidea)à le emorragie iniziali
possono essere frequenti!
La faringodinia è costante; spesso è aggravata dalla deglutizione ed associata ad otalgia riflessa ed iperscialorrea.
Complicanze rare:
- Ascesso parafaringeo,
- Complicanze secondarie alla migrazione del corpo estraneo a livello delle logge cervicali e della regione
mediastinica (cellulite cervico facciale e mediastinite).
Diagnosi
Quando il corpo estraneo è ben individuabile e facilmente rimovibile, le indagini strumentali sono risparmiabili; in
genere si usa:
1. Esame endoscopico: in anestesia locale o generale, la regione ipo-faringo-esofagea può risultare difficilmente
esplorabile ed in questi casi è necessario ricorrere a
2. RX e/o TC
Trattamento
Asportazione (in anestesia locale o generale) del corpo estraneo sotto controllo endoscopico.

Diverticoli Ipo-Faringo-Esofagei
Colpisce soggetti in fase d’età media ed avanzata (in cui c’è una più alta incidenza di ernia iatale).
Patogenesi
In genere sono diverticoli da pulsione (erniazione della mucosa faringea attraverso un locus minoris resistentiae
muscolare, posto posteriormente in posizione mediana) = diverticolo di Zenker.
L’origine del colletto diverticolare si individua nella maggior parte dei casi a livello del Triangolo di Killian (iatus tra
muscolo costrittore inferiore della faringe ed il muscolo crico-faringeo)à durante la fase riflessa della deglutizione c’è
un ritardato/incompleto rilasciamento del cricofaringeo.
Clinica
- Episodi ricorrenti di rigurgito alimentare (anche a molte ore dal pasto)
- Tosse e crisi dispnoiche secondarie ad episodi ab ingestis (e rischio di evoluzione di complicanze bronco-
polmonari)
- Calo ponderale
- Flogosi della parete diverticolare con diffusione agli spazi cellulari (cellulite) di collo e mediastino (raramente)
- Paresi laringea omolaterale (raramente)
Diagnosi
1. Ipofaringolaringoscopia : può mostrare segni indiretti della disfagia meccanica (ristagno salivare a livello dei seni
piriformi, rigurgito di alimenti indigeriti provocato dal riflesso del vomito)
2. In caso di Sacche diverticolari voluminose: tumefazione cervicale molle lateralmente alla cartilagine cricoide che,
alla compressione, dà luogo a rumori idro-aerei o a rigurgiti alimentari [Segno di Quinne]
3. RX
4. Faringo-esofagogramma baritato : conferma diagnostica
5. TC dopo pasto bariato, RMN : in vista dell’intervento chirurgico
Terapia
- Chirurgica: solo per i diverticoli sintomatici:
o Per via Endoscopica : miotomia crico-faringea transmucosa
o Per via Cervicotomica : miotomia extramucosa associata a diverticolotomia / diverticolopessia.

MANIFESTAZIONI SISTEMICHE IN CORSO DI FLOGOSI FARINGO-TONSILLARI


Forme settiche suppurative (raro):
v SEPSI TONSILLARE
In genere origina da un’angina con focolai suppurativi peri-faringei in immunodepressi, che tende a complicarsi in
una tromboflebite dei vasi profondi del collo (e conseguente diffusione sistemica per via ematogena di microemboli
settici)
Agenti eziologici: Strepto b-emolitico di gruppo A, P. aeruginosa, flora batterica mista (aerobia – anaerobia).

v S. DI LEMIERRE
Angina solitamente ulcero-necrotica rimandabile ad anaerobi Gram – (talvolta associati ad una spirocheta); evolve
in una tromboflebite della giugulare interna con disseminazione settica a distanza.

Forme non suppurative


v DIFTERITE
Dovuta all’azione necrotizzante di una tossina prodotta da Corynebacterium diphteriae. Può causare lesioni locali
o a distanza (miocardio, rene, surrene e SNC).
N.B. Con analogo meccanismo tossico, infezioni orofaringee da Streptococco beta-emolitico di gruppo A, C e D
in corso di scarlattina possono causare miocarditi e nefriti interstiziali o causare S. dello Shock tossico.

v MONONUCLEOSI INFETTIVA
L’esordio è spesso rappresentato da un’angina eritemato-pultacea o pseudo-membranosa, con febbre moderato-
alta ed adenopatie multiple (specie a livello cervicale). E’ dovuta a EBV.
Clinica
- Febbre anche molto elevata, astenia, mialgie diffuse
- Tumefazione dolente dei linfonodi (spesso generalizzate)
- Possibile presenza di epatosplenomegalia
- Esantema maculo-papulare diffuso (raro)
Sporadicamente la patologia si presenta con un decorso sfavorevole con viraggio autoimmuneà
o Interessamento polinevritico acuto (S. di Guillain barrè)
o Neutro/piastrinopenia
o Anemia emolitica
o Possibile localizzazione del virus a livello epatico e/o meningo-encefalico.

Diagnosi si basa su:


1. Reazioni siero-diagnostiche (Paul – Brunnel,- Davidsohn, Monotest); si basano sulla produzione di
agglutinine ed emolisine (anticorpi eterofili) da parte delle Bcells infettate
2. Marker: EBNA (antigene nucleare), EBEA (antigene precoce), EB-VCA (antigene capsidico)
3. Esame emocromocitometrico: prevalenza di cellule mononucleate (linfociti, monociti); comparsa di cellule di
Downey (mononucleate atipiche) in circolo e in numerosi altri organi, corrispondenti a Tcells attivate (linfociti
atipici).

MANIFESTAZIONI NON SUPPURATIVE SISTEMICHE FOCALI A DISTANZA (METAFOCALI)


Tendono talvolta ad una progressione autonoma rispetto all’andamento della malattia infiammatoria primitiva.
L’agente eziologico più frequente è lo Streptococco beta-emolitico di gruppo A.
Reazioni di ipersensibilità III (immunocomplessi), produzione di autoanticorpi da parte di Bcells stimolate da
specifiche Tcells (Tipo II)
Le forme più comuni sono la Febbre Reumatica e la Glomerulonefrite acuta post-streptococcica.

MALATTIE FARINGOTONSILLARI IN CORSO DI MALATTIE SISTEMICHE ED EMATOLOGICHE


In corso di Emopatie (leucemie acute, anemia aplastica) è frequente il riscontro di una mucosa faringea edematosa ed
iperemica con talvolta infiltrati emorragici ed ulcere aftose; è possibile il riscontro di lesioni ulcero-necrotiche
sanguinanti (inizialmente alle tonsille, poi estese ai pilastri tonsillari, al palato e alla restante mucosa orale e gengivale,
ricoprendosi di un essudato pseudo-membranoso scarsamente aderente).
In genere gli agenti eziologici sono patogeni opportunisti.
v Leucemie acute : può verificarsi un’infiltrazione del tessuto tonsillare da parte delle cellule leucemiche con
pseudo-ipertrofia tonsillare (talvolta asimmetrica).
v Anemia perniciosa : possiamo avere lesioni distrofiche-atrofiche diffuse a livello faringeo.
v LNH e (più raramente) LH : possiamo avere localizzazioni primitive o secondarie nelle formazioni dell’anello del
Waldayer.
v Malattie Esantematiche Infantili (morbillo, varicella, rosolia, scarlattina) : si può avere un’angina acuta
eritematosa aspecifica
Durante la fase di risoluzione della Scarlattina, può insorgere una faringotonsillite a carattere pseudomembranoso
o ulcero-necrotico, che si complica facilmente (manifestazioni suppurative locoregionali/sistemiche).
v Immunocompromissione : possono verificarsi infezioni opportunistiche, specie ad opera di HSV (àulcere
persistenti ed estese) e di miceti (àcandidosi diffusa oro-faringea).
v S. da Immunodeficienza (AIDS) : possono avere lesioni nodulari a livello delle alte vie aereo-digestive, a placca
o ulcerate, indicative di infezioni tubercolari o luetica.
v S.di Kaposi : localizzazioni orofaringee appaiono come placche variabilmente rilevate bluastre e dure (macchie di
Kaposi).
v S. di Steven-Johnson : da assunzione di farmaci, malattie infettive, tumori e collagenopatie; con febbre,
artromialgia, intensa cefalea, manifestazioni eritematose e lesioni vescicolo-bollose a livello del tratto
aereodigestivo superiore.
v Lichen Planus : manifestazioni cheratolitiche biancastre con aspetto reticolato (cavo orale, faringe, esofago).
LARINGE
Laringiti virali e batteriche
Manifestazioni flogistiche riguardanti la laringe
Clinica

- Disfonia - Disfagia
- Tosse - Talvolta aumento della temperatura corporea

Nei bambini, le Laringiti catarrali possono avere evoluzione drammatica con dispnea ingravescente (soprattutto
inspiratoria), tachicardiaà terapia d’urgenza con steroidi ev/aerosol + adrenalina (sgonfia edema laringeo)
Diagnosi Laringoscopia: iperemia diffusa della laringe, edema di epiglottide ed aritenoidi
Terapia: steroidi + antibiotici per aerosol, riposo vocale
LARINGITI SPECIFICHE: patologie infiammatorie spesso associate ad una sintomatologia catarrale, che in genere si
estendono ad altri tratti delle vie aeree superiori.
è C. diphteriae: edema del collo (collo taurino), tachicardia, astenia; alla laringoscopia si osservano le
pseudomembrane biancastre che oltrepassano le corde vocali e l’epiglottideà importanti difficoltà
respiratorie!
E’ una patologia oggi praticamente scomparsa grazie alla vaccinazione.

Laringiti da Reflusso Gastro-Esofageo


Il meccanismo patogenetico è da rimandare ad un reflusso laringo-faringeo.
Clinica
Laringea: sintomi costanti Tracheo-bronchiali Faringei/cavo orale
- Sensazione di corpo estraneo alla - Tosse secca, stizzosa, cronica - Sensazione di vellicchio
deglutizione. prevalentemente post- (solleticamento)
- Necessità di schiarire prandiale/notturna. - Pirosi faringea
frequentemente la voce. - Rari casi: stenosi tracheale, emoftoe - Disgeusia (alterazione gusto)
- Laringospasmo. e broncospasmo - Bocca amara e secca
- Disfonia.
La sintomatologia è Aspecifica (rinopatie, asma, neoplasie faringo-laringee, malattie infettive).
Diagnosi
1. Ph-manometria 24h a due canali (prossimale e distale) : ottimale per la diagnosi di reflusso laringo-faringeo; dato
che il reflusso è in genere intermittente, la specificità è 80%.
N.B. il reflusso è fisiologico in una % significativa di sani.
In un certo numero di casi il reflusso è Basico (simile clinica e terapia).
2. Videolaringoscopia : mostra tipiche alterazioni d’organo nei casi di reflusso laringo-faringeo, come edema delle corde
vocali, iperemia laringea (segno più specifico di RLF quando localizzata nella mucosa aritenoidea e sulla
commissura posteriore), ipertrofia della mucosa della commissura posteriore
Terapia
IPP (omeprazolo, solo reflusso acido), procinetici (domperidone, levosulpiride, betanecolo)

PATOLOGIA LARINGEA DISFUNZIONALE


L’emissione della voce avviene grazie ad una precisa Coordinazione Pneumo-Fonica che, se alterata, comporta
Disfonia: in una prima fase iperfunzionale (ipertono delle corde vocali e raucità); successivamente (mesi, anni)
subentra la fase ipofunzionale (corde ipotoniche, timbro velato o soffiato). Patologie disfunzionali possono portare a
noduli o polipi cordali.

Neoformazioni Laringee non neoplastiche


La loro localizzazione si concentra nel punto di maggior attrito tra le corde vocali (terzo anteriore e terzo medio). In
genere sono Monolaterali e partono come Ispessimenti della mucosa. I vari tipi sono:
• Noduli cordali : stroma fibroso ricoperto da epitelio pavimentoso ispessito; alla Laringoscopia si notano piccole
irregolarità tondeggianti sul bordo libero delle corde vocali
• Polipi laringei : connettivo lasso/mixoide con numerosi lacune vascolari; più grandi di noduli, sessili o
peduncolati.
Noduli/Polipi
- Cordotomia : con scollamento della mucosa del legamento vocale ed Exeresi del solo tratto epiteliale coinvolto
- Terapia Logopedica : non può determinare un’ottimale oscillazione cordale quando essa è compromessa da esiti
cicatriziali delle pregresse corditi

• Prolassi della Mucosa (Edemi di Reinke) : si possono verificare quando all’incoordinazione fono-respiratoria si
associano altri fattori eziologici come fumo e alcool. Si notano raccolte ampie di connettivo lasso con diffuse
lacune vascolari (aspetto angiomatoso).
Quando le dimensioni lo permettono, bisogna praticare un’Exeresi della mucosa mixedematosa dal lato dove
l’alterazione è più voluminosa e una Cordotomia nella corda controlaterale (dove la componente mucosa è
risparmiata e la componente liquida che ne determina l’edema è aspirata).
La voce post-operatoria è precocemente soddisfacente (non sono messi in atto meccanismi di compenso
indesiderati e non è quindi necessaria la logopedia).
La disfonia è sempre presente ma di grado variabile (non necessariamente in funzione delle dimensioni della
neoformazione, data la presenza di meccanismi di compenso).
Nei pz disfonici è necessario uno studio clinico con ricostruzione anamnestica, poi esame endoscopico, esame psico-
percettivo dei parametri vocali ad orecchio, spettrografia vocale.
Dato che queste neoformazioni non neoplastiche hanno alla base una disfonia funzionaleà all’asportazione della
lesione (microlaringoscopia diretta) bisogna associare un trattamento logopedico per recuperare funzione ed evitare
recidive (a guarigione chirurgica avvenuta).
• Cisti cordali : congenite o secondarie ad episodi flogistici, che hanno causato occlusione del dotto escretore delle
ghiandole mucose dell’epitelio cordale (cisti da ritenzione).
Accorgimenti nell’asportazione delle cisti cordali:
- Vasocostrizione locale ottenuta con tamponcino di cotone imbevuto di adrenalina
- Applicazione di colla di fibrina al termine dell’intervento sulla sede dell’escissione
• Solchi cordali : congeniti, causati da un’aderenza della mucosa al piano muscolare sottostante
Anche nelle lesioni congenite è riscontrabile un’alterazione della dinamica pneumo-fonica, rimandabile a compensi
fonatori messi in attoà dopo l’asportazione del solco/cisti, bisogna cominciare un trattamento logopedico.
• Granulomi : lesione meno frequente rispetto alle precedenti, che si localizza nel terzo posteriore della corda
vocale. Tra le cause più comuni vi sono: RGE, prolungata intubazione tracheale; è associata ad edema delle
aritenoidi e ristagno salivare nei seni piriformi.
Terapia
Microlaringoscopia diretta in sospensione (MLDS)
Exeresi delle neoformazioni benigne in anestesia generale con intubazione orotracheale e corde vocali in posizione
abduttoria (collo iperesteso), nel perseguimento di un miglior timbro vocale (Fonochirurgia).
Il miglioramento della strumentazione chirurgica ha permesso una precisa dissezione della corda vocale,
preservandone la vibrazione della mucosa.
La resa è migliorata dall’introduzione del microscopio operatorio, abbinamento a questo del laser a CO2 (proprietà
coagulative, exeresi) e da strumenti chirurgici di dimensioni sempre più ridotte.

Precancerosi
La classificazione WHO parla di Displasie (I, II e III grado). Si presentano frequentemente sulle Corde vocali.
Laringostroboscopio: segnala se la vibrazione della mucosa è conservata o meno, e quindi dà informazioni circa
l’eventuale infiltrazione/aderenza ai tessuti sottostanti.

Paralisi Laringee
Facili da individuare alla Laringoscopia mentre l’inquadramento clinico ed eziopatogenetico non è sempre semplice.
Possono essere monolaterali o bilaterali, nonché di natura centrale (lesione in corrispondenza del primo motoneurone,
paralisi incompleta o spastica) o periferica (lesione al secondo motoneurone, paralisi completa o flaccida)
Decorso del ricorrente: scende nel mediastino fino all’arteria anonima di dx (a dx) e all’arco dell’aorta (a sx) e poi
risale fino a raggiungere la faccia posteriore della laringe.
Cause
- Centrali: lesioni del I motoneurone, neoplasie cerebrali, SM, SLA, lesioni al distretto dov’è alloggiato il nucleo
ambiguo (X)
- Periferiche: lesioni del ricorrente per: neoformazioni broncopolmonari, bronchiectasie, neoplasie tiroidee, linfomi
con compressione in sede pretracheale, dilatazione atriale sx, aneurismi dell’arco aortico, lesioni iatrogene dopo
tiroidectomia o rimozione di un’ernia cervicale o dopo disostruzione carotidea o dopo intubazione tracheale
prolungata
N.B. in caso di Tiroidectomia può esserci paralisi delle corde vocali + adduzione, che richiede cordectomia
d’emergenza per evitare soffocamento
Clinica
Tipo di Paralisi (posizione) Sintomi
Adduttoria monolaterale Disfonia di grado moderato con possibile recupero spontaneo della voce (disturbo limitato alla
modulazione della frequenza vocale)
Adduttoria bilaterale Dispnea grave (richiesta tracheotomia)
Paramediana monolaterale Disfonia (per un recupero fonatorio soddisfacente è richiesto un trattamento logopedico
Abduttoria monolaterale Disfonia evidente, disfagia e mancata chiusura dello sfintere glottico nella deglutizione
Abduttoria bilaterale Respirazione non compromessa; afonia (assenza di vibrazione cordale), rischio di inalazione ab
ingestis (non si chiude epiglottide)

Diagnosi
Laringoscopia, Ecografia tiroidea, RMN collo/torace, Broncoscopia
Terapia
- Paralisi monolaterale con corda fissa in posizione adduttoria o paramedianaàlogopedia
- Paralisi monolaterale con corda fissa in posizione abduttoriaàinfiltrazione intracordale (corda paralitica) in
microlaringoscopia diretta al fine di aumentare il volume della corda (grasso autologo, sostanza eterologa); inoltre
viene favorita la chiusura della glottide in fonazione.
- Paralisi bilaterale con corde in posizione adduttoriaàtracheotomia d’urgenza e successiva aritenoidectomia +
rimozione del terzo posteriore della corda vocale, mediante laser a CO2.

Epistassi
- Età Pediatrica: sanguinamento in genere di modesta entità della regione Anteriore della Fossa Nasale
- Età Adulta: il sanguinamento può essere cospicuo ed originare nel tratto Anteriore o Posteriore
- del naso e del rinofaringe

Nota Anatomica
- Epistassi anteriorià originano in genere dal Plesso Arterioso di Hiesselbach
- Epistassi posteriorià originano in genere dal Plesso Arterioso di Woodruff
Cause
o Mesi Invernali: spesso in correlazione con flogosi delle vie aeree superiori e con l’esposizione all’aria secca
o Mesi Estivi: favorita dal clima caldo-secco
Tra le cause vi sono: traumi nasali, dei seni paranasali, dell’orbita, dell’orecchio medio, della base cranica; in caso di
epistassi monolaterali, la causa potrebbe essere una piccola malformazione vascolare, da corpi estranei o neoplasie.
Condizioni sistemiche predisponenti
- IPA grave - Nefropatie
- Malattie Granulomatose - Telangectasia emorragica ereditaria
- Epatopatie - Uso di Anticoagulanti/Antiaggreganti
Clinica
1) Valutare le condizioni cliniche

2) Cercare di quantificare la perdita di sangue (esame emocromocitometrico) ed eventualmente correggere


l’ipovolemia
3) Valutare la presenza di condizioni sistemiche predisponenti
Diagnosi
In Rinoscopia, o meglio ancora in Rinofibroscopia, è possibile fare:
• Aspirazione (rimuovere coaguli)
• Evidenziare la sede dell’epistassi e tipo di vaso (Arterioso/Venoso)
• Eventuali alterazioni anatomiche o neoplasie
Trattamento
Si pone il pz seduto con testa china verso il basso (ricorda di verificare la PA). Si introduce nella cavità nasale
sanguinante un tamponcino imbevuto con un vasocostrittore (adrenalina).
Si evidenzia la sede del sanguinamento e si provvede alla causticazione chimica o all’elettrocoagulazione.
Se la procedura precedente è Inefficace/Non praticabile, si fa tamponamento anteriore o antero-posteriore (a seconda
della sede dell’emorragia):
- Anteriore : spugne riassorbibili con garze medicate o tamponi espandibili
- Posteriore : cateteri con palloncini in silicone, gonfiati in cavità nasale/rinofaringe dopo il loro posizionamento
Tamponamento Antero-Posteriore “classico”: per epistassi particolarmente violente.
Si fa scorrere nella fossa nasale sanguinante un sondino di Nelaton fino all’orofaringe e poi lo si recupera con una pinza
Klemmer; a tale estremità si legano due fili di seta cui è ancorato un tampone di garza. Il sondino è tirato via dalla fossa
nasale e il tampone è posto in rinofaringe. I due fili di seta fuoriescono da una narice e vengono divaricati per accogliere
il tampone anteriore. Il terzo filo di seta legato al tampone di garza fuoriesce dalla bocca ed è ancorato alla guancia con
un cerotto (utile all’asportazione del tampone).
Si mantiene in sede per 48-72h (il pz nel frattempo è sotto antibiotico-terapia).
Esistono poi casi particolari:
- Casi selezionati : embolizzazione del vaso responsabile (neuroradiologia interventistica)
- Casi di epistassi refrattaria : legatura chirurgica dell’arteria
o Regioni superiori: arterie etmoidalià via endoscopica transnasale o via esterna con incisione al di sotto
delle suture fronto-etmoidali
o Regioni posteriori: arteria sfenopalatina, ramo della mascellare internaà via transmascellare con
abbattimento della parete posteriore del seno e legatura dell’arteria mascellare con clips a livello dello
spazio pterigo-palatino
TUMORI BENIGNI DI NASO E SENI PARANASALI
Polipo Antro-Coanale (Polipo Solitario di Kjllian)
Colpisce soprattutto i giovani.
Nasce dal seno mascellare ed attraversa il meato medio, giungendo nella regione coanale;
accrescendosi, può occupare tutto il rinofaringe ed affacciarsi nell’orofaringe.
Causa un’ostruzione respiratoria nasale unilaterale, evidente in particolare nell’espirazione e
quando il capo è flesso in avanti.
La terapia chirurgica prevede l’exeresi per via endoscopica del polipo. Polipi particolarmente
voluminosi possono richiedere l’abbattimento della parete anteriore del seno mascellare e
successivo intervento di Caldwell-Luc.

Papilloma invertito
Tende a crescere in profondità nei tessuti. Possibile una trasformazione Maligna, in cui sono
coinvolti fattori di rischio come il fumo e l’HPV o l’allergia.
Si trova soprattutto nei seni paranasali (o Schneideriano, o Transizionale): origina dalla parete
laterale del naso e si estende ai seni paranasali.

Monolaterale, spiccata tendenza a recidivare, aggressività locale verso le strutture ossee, tendenza
all’associazione con tumori maligni o con patologie flogistiche (es. mucoceli). Inoltre sono colpiti
soprattutto soggetti M di età tra i 50 e i 70 anni.

Clinica: ostruzione nasale monolaterale, rinorrea, epistassi


Endoscopia: formazione polipoide
TC: presenza della neoformazione, coinvolgimento osseo, eventuale estensione intracranica/
intraorbitaria
RMN: distinzione del tumore dalla concomitante presenza di secreto mucoso o mucopurulento

L’asportazione chirurgica è il trattamento ideale (in rinotomia laterale o tramite approccio


endoscopico). Per ridurre le recidive, va eseguita una dissezione subperiostia e una fresatura
dell’osso sottostante.
Approccio endonasaleper tumori che interessano l’etmoide, lo sfenoide e la parte mediale del
mascellare; quando il tumore si estende verso la parete laterale del mascellare, all’approccio
endoscopico si associa un approccio transmascellare (incisione sublabiale).

Follow-up = fondamentale; esame endoscopico periodico, TC, RMN

Osteoma
Neoplasia benigna costituita da tessuto osseo; ha accrescimento lentissimo con possibili lunghi
periodi di asintomaticità.
Sintomi: nevralgia a carico della I branca del trigemino, cefalea frontale
Diagnosi: TC del massiccio facciale

Terapia: chirurgicaendoscopia (piccoli osteomi) o intervento a cielo aperto


TUMORI DI NASO E SENI PARANASALI

Apparato naso-sinusale: Tale apparato è costituito da 8 ossa, 4 seni pari, 4 turbinati, 3 meati; inoltre si identificano vasi
arteriosi, venosi, nervi, un Sistema di drenaggio e il Sistema lacrimale. Le cavità sinusali pneumatizzate sono
fondamentali da un punto di vista fisiologico: alleggeriscono il cranio riducendo il peso, sono fondamentali come barriera
di difesa, assorbono gli urti, aumentano le superfici dell’olfatto.
La parete laterale del naso è costituta dai 4 turbinati, i 3 meati, inferiore, medio e superiore, e una specie di “grondaia”
(l’agger nasi, la bulla etmoidale e il turbinato medio) in corrispondenza del meato medio, che raccoglie le secrezioni
provenienti dal recesso frontale localizzato al di sopra, e quelle provenienti dall’etmoide anteriore e dall’antro mascellare.

NEOPLASIE:

Epidemiologia. Sono tumori relativamente poco frequenti, intorno al 3% di tutti i tumori testa-collo, 0,2-0,8% di tutti i tumori maligni.
Spesso sono malattie di tipo professionale, legate a lavori specifici, in particolare l’adenocarcinoma, lo si trova con elevatissima frequenza
in falegnami, tanto è vero che è una malattia professionale accertata, va comunicato all’ASL quando ci si trova di fronte a questo tipo di
tumore.

Classificazione: Le neoplasie naso sinusali possono essere benigne o maligne.

BENIGNE: Tra le benigne una delle più importanti è il papilloma invertito.


- Papilloma invertito, uno dei papillomi Shneideriani, uno dei più frequenti
- Le varie lesioni nervose: shwannoma, neurofibroma, meningioma,
- Lesioni ossee: condroma, displasia fibrosa, limitrofi al pavimento del seno mascellare tra cui
l’ameloblastoma

MALIGNE: Tra le maligne il ca squamoso


- Lo squamoso: è l’istotipo più frequente: metastasi linfonodali nel 10-20%
- Adenocarcinoma: malattia dei lavoratori del legno, può essere di tipo intestinale ITAC, o di tipo non
intestinale
- Adenoidocistico: lo abbiamo visto nelle ghiandole salivari, anche in questo caso va sempre presa in
considerazione la presenza di metastasi a distanza e per via perineurale
- Melanoma: per fortuna raro
- Neuroblastoma e estesioneuroblastoma originano dal bulbo olfattivo

Segni e sintomi.
- Nasali: Senso di ostruzione, epistassi, anosmia (i pt non sentono gli odori perché c’è una massa che blocca il flusso.
- Orali: parestesie, malocclusione, tumefazione del palato
- Orbitali: edema palpebrale, epifora, diplopia, sindrome oculo-orbitale per espansione del tumore
- Facciali: parestesie e asimmetrie del volto,
- Cranici: cefalea, deficit quando il tumore sale nel cranio,
- Audiologici: quando si sposta posteriormente in corrispondenza delle tube,
- Tempomascellari: trisma, si può estendere nello spazio parafaringeo

Uno dei problemi principali delle neoplasie naso sinusali è che danno sintomi solo quando sono diventate enormi, proprio
perché il naso è estremamente ampio all’interno, quindi la neoplasia ha tutto il tempo di espandersi e crescere senza dare
alcun sintomo, poi all’improvviso compare sanguinamento, diplopia (perché magari la formazione ha spostato l’occhio),
poi compare la sintomatologia neurologica, perché magari si è esteso al di sopra della scatola cranica. Quindi il problema
principale di queste neoplasie è che vengono diagnosticate tardi, in genere quasi tutti T3-T4.

Diagnosi: In genere tardiva per sanguinamento:


- Videoendoscopia, permette di valutare la presenza della lesione, le caratteristiche macroscopiche, e di effettuare
una biopsia
- TC/RMN,
- Queste lesioni possono essere anche di natura vascolare quindi vanno indagate con angiografie,
- PET TB

Anche in questo caso va presa sempre in considerazione la metastatizzazione dei linfonodi del collo, anche se meno
frequente, mentre il cavo orale ha una predilezione per il collo, la sovrastruttura (mascellare superiore e seni nasali) drena
anche per via dei linfatici paravertebrali

Terapia. Trattemento multidisciplinare, va trattato con maxillo-facciale, neurochirurgo, oculista, odontoiatra, ecc…
- In prima istanza si fa sempre la chirurgia, a meno che non parliamo di un tumore neuroendocrino, PNET o
estesioneuroblastoma, in cui è possibile fare radio neoadiuvante che riduce la massa e poi si interviene.
- La chirurgia viene poi seguita da radio e chemioterapia
- Il coinvolgimento del collo necessita di trattamento linfatico

Approcci chirurgici
- Resezione endonasale, togliamo il tumore dal naso
- Craniectomia trans-nasale
- Resezione cranio-endoscopica
- Approccio cranio-facciale aiutato con endoscopio (sono accessi esterni abbastanza complessi con esiti estetici
importanti)

Le formazioni naso-sinusali prevedono un approccio di tipo endoscopico, mentre in chirurgia classica si facevano degli
approcci di tipo trans-facciale. C’è una grande differenza: l’approccio endoscopico, è meno invasivo, attraverso le cavità
nasali; il trans-facciale necessita di incisioni e aperture molto grandi. L’endoscopia ci fornisce un grande aiuto, possiamo
riuscire a equilibrare bene la radicalità oncologica con l’esito estetico-funzionale. È ancora dibattuto se sia in grado di
garantire la radicalità (da ampi studi recenti sembra di si). È possibile ricostruire il basi-cranio dal naso dopo craniectomia.

Quando parliamo di chirurgia nasosinusale parliamo principalmente dell’etmoide: è una struttura fatta da una serie di
componenti che durante l’evoluzione competono tra loro, quella che compete di più sposta le altre dietro, o viceversa
avanti. Questa competizione dà l’enorme variabilità di queste strutture perciò difficile da identificare anche alla radiologia,
tuttavia è importante identificare alcuni punti di repere: tra la lamella e la bulla, c’è l’ingresso per il seno mascellare; sul
versante opposto, parasettale, vado a cercare l’ostio dello sfenoide, che si localizza in corrispondenza della coda del
turbinato superiore.

TUMORI MALIGNI DI NASO E SENI PARANASALI


Sono rari mentre il rischio diventa maggiore in: lavoratori del legno e del cuoio, nell’industria tessile, metallurgica,
metalmeccanica e chimica.
Suscitano interesse alla luce di:
- Complessità della sede anatomica
- Rapporti di contiguità con strutture circostanti
- Diagnosi spesso tardive
Gli istotipi sono molto vari:
- Squamocellulare
- Adenocarcinomi
- Carcinomi ad insorgenza da ghiandole salivari minori
- Tumori derivanti dal neuroepitelio olfattorio
- Melanomi, sarcomi, linfomi (rari)
Clinica
• Ostruzione nasale Qualsiasi sintomo, anche apparentemente banale,
• Secrezione nasale inspiegabile e non risolto in 3 settimane richiede
• Dolore locale un esame specialistico
• Tumefazione della guancia o gengivo-palatina
• Epistassi
L’evoluzione della malattia è locale: le metastasi latero-cervicali o a distanza sono poco frequenti alla prima osservazione,
perfino in tumori molto avanzati
Seno Mascellare
T1 Mucosa antrale – osso non coinvolto
T2 Erosione/osteolisi ossea con esclusa la parete posteriore del seno ma compreso il palato duro e/o il meato medio
T3 Invasione di una tra: parete posteriore del seno, pavimento/parete mediale dell’orbita, etmoide, tessuti sottocutanei
T4a Invasione della cavità orbitaria anteriore, della cute della guancia, dell’apofisi pterigoidea, della fossa infratemporale,
della lamina cribrosa, dei seni sfenoidale e frontale
T4b Invasione del tetto dell’orbita, della dura madre e della base cranica, dei NC, del rinofaringe e del clivus

Etmoide
T1 Un sito nell’etmoide (con o senza erosione ossea)
T2 Due siti/estensione alla fossa nasale
T3 Parte anteriore dell’orbita e/o seno mascellare, palato, lamina cribrosa
T4a Minima estensione intracranica, nell’orbita compreso l’apice, con interessamento di sfenoide e/o seno frontale e/o cute
del naso
T4b Interessamento del tetto dell’orbita, della dura madre, del cervello, della base cranica, dei NC, del rinofaringe e del
clivus
Trattamento
La migliore sopravvivenza pare ottenibile con l’associazione Chirurgia + RT.
Chirurgia
I casi localmente molto avanzati di tumori di alto grado obbligano a valutare un’alternativa al trattamento chirurgico
demolitivo.
In caso di k. Adenoideo cistico è possibile considerare l’ipotesi di intervenire con una resezione con finalità palliativa
al fine di migliorare la qualità della vita del pz anche in presenza di metastasi.
Nb: non c’è indicazione al trattamento profilattico nelle aree linfatiche cervicali (N0: NO RT)!
o Maxillectomia parziale : per neoplasie della parete mediale del seno mascellare/neoplasie dell’infrastruttura (inf.
a piano di Ohngren)
o Maxillectomia totale : indicato per invasione delle pareti del seno mascellare e per estrinsecazione oltre queste
pareti
o Etmoidectomia monolaterale subtotale per via esterna : per neoplasie limitate all’etmoide anteriore
o Resezione Cranio-facciale : per neoplasie etmoidali che, anche se totalmente extracraniche, sono molto contigue
al pavimento della fossa cranica anteriore
L’impiego di lembi è utile per rimpiazzare i difetti da ampie escissioni cutanee, creare sostegno all’orbita o al cervello
e separare la cavità cranica dalle vie aeree.
La riabilitazione palatina si ottiene con protesi mobili o con lembi.

Radioterapia
Il trattamento radiante come singola modalità è limitato alle forme inoperabili; inoltre non c’è indicazione al
trattamento radiante profilattico del collo con N0.

Quindi
T1 Chirurgia + eventuale RT (adenocarcinoma poco differenziato, K. Indifferenziato, melanoma con margini di
resezione infiltrati o stretti)
T2, T3, T4 Chirurgia + RT
T inoperabili RT
N0 Nessuna terapia
N>1 Svuotamento laterocervicale dei livelli da 1 a 5 + RT

Sopravvivenza
Ø Sopravvivenza libera da malattia a 5 anni : 20-25%
Ø Sopravvivenza globale media a 5 anni : 35%
Ø Sopravvivenza per la specifica malattia a 5 anni : 45%

Note
La causa principale di morte sono le recidive!
La sopravvivenza ha ampie variazioni a seconda di: istotipo. TNM, fattibilità di un trattamento
Le forme inoperabili hanno sopravvivenza a 5 anni < 20%

Fattori prognostici
- Età - Dimensioni ed estensione
- Istotipo (peggiore prognosi per melanoma e K. Indifferenziato) - Metastasi
- Sede d’origine (peggior prognosi per i seni paranasali) - Possibilità di un adeguato trattamento
ANGIOFIBROMA DEL RINOFARINGE

Poco frequente (0,05% dei tumori della testa e del collo) e colpisce quasi esclusivamente adolescenti maschi.
Eziopatogenesi
Alcune ipotesi guardano a possibili alterazioni disembriogeniche o a deficit ormonali androgenici.
Anatomia Patologia
Pare originare da un tessuto istologico non ben identificato al di sotto della mucosa attorno al forame sfenopalatino o
nel forame stesso. Ndr da domanda scritto: l’angiofibroma del rinofaringe origina dal pericondrio della cart.
pterigoidea, dalla fascia faringobasilare, o dal canale craniofaringeo.
- Macroscopicamente: massa rossastra, liscia, lobulata, turgida e poco pulsante, che inizialmente occupa la fossa
nasale posteriormente o il rinofaringe; tumori estesi possono causare depressione del palato molle e protrusione
oculare
- Microscopicamente: stroma ricco di collagene nel cui contesto vi sono numerose lacune vascolari.
Il tumore è benigno ma è localmente aggressivo!
Clinica
• Ostruzione nasale mono/bilaterale, Epistassi, Rinorrea mucopurulenta
• Ipoacusia trasmissiva
• Rinolalia chiusa
Diagnosi
Si usano TC con mdc, RMN e angiografia digitale
Stadiazione
- I: tumore limitato a rinofaringe e alla fossa nasale senza distruzione ossea
- II: tumore che invade la fossa pterigomascellare, il seno mascellare, il seno etmoidale, quello sfenoidale (con
distruzione ossea)
- III: tumore che invade la fossa infratemporale, l’orbita, la regione parasellare
- IV: tumore che invade massivamente il seno cavernoso, il chiasma ottico, la fossa pituitaria
Trattamento
Trattamento chirurgico: ad oggi non esiste un consenso univoco circa le vie d’accesso, per cui la scelta dipende da
parametri come la localizzazione del tumore, il suo volume ed estensione, vascolarizzazione ed efficacia
dell’embolizzazione.
§ Via transnasale: sotto guida endoscopica; si usa per i tumori di stadio I o limitati ai seni etmoidali/sfenoidali o
con estensione laterale retropterigoidea ridotta
§ Non provoca traumatismi dei tessuti molli e delle ossa del massiccio facciale; è essenziale, però,
l’embolizzazione pre-operatoria.
§ Via transpalatale: tumori limitati al rinofaringe dalla localizzazione prevalentemente mediana; sono evitate
alterazioni estetiche e/o funzionali al velo palatino
§ Via transfacciale: tumori con estensione locale anteriore al processo pterigoideo al di là della fossa
pterigopalatina. Sono possibili due tipi di incisione: palatonasale e degloving (evita cicatrici
cutanee). Talvolta alla prima incisione trasversale va associata una sagittale (il taglio assume una
forma a “T”)
§ Via transmandibolare: accesso alla regione retromolare e alla regione pterigoidea
§ Via transmascellare
§ Via infratemporale: in caso di interessamento della fossa infratemporale e pterigopalatina, dell’orbita, della
regione parasellare con invasione massiva del seno cavernoso/della fossa pituitaria (III e IV).
Comporta ampia demolizione delle strutture ossee dell’orecchio medio ed interno; è utilizzata in caso di
tumori maligni del rinofaringe ed eccezionalmente in caso di angiofibroma.

Trattamento non chirurgico: pz con molteplici recidive o con residuo temporale.


§ RADIOTERAPIA: pz con molteplici recidive o con residuo tumorale endocranico post-chirurgico in evoluzione,
in quanto provoca un rallentamento della crescita del tumore o dei tumori vicino al seno cavernoso).
Si ha recidiva nel 20% dei casi, soprattutto dove per regioni anatomiche è difficile un’exeresi radicale.
TUMORI MALIGNI DEL RINOFARINGE
Il carcinoma rinofaringeo è raro in Europa mentre è più frequente nel Sud-est Asiatico, nel Nord-Africa e nel Sud della
Cina (dove importanti fattori ambientali incidono sull’insorgenza del tumore). E’ più comune negli uomini ed ha picco
d’insorgenza tra i 55-64 anni, anche se può insorgere nella popolazione più giovane (anche bambini < 5 anni).
Patogenesi
- Componente genetica : si è rilevata una certa associazione con alcuni alleli HLA
- Componente virale : K. Non cheratinizzati indifferenziati sono correlati al titolo anticorpale Anti-EBV
- Componente chimica : c’è una certa correlazione tra insorgenza del tumore e consumo di pesce conservato sotto
sale o di carne affumicata.
Anatomia patologica
Il tipo istologico più frequente è il Carcinoma Squamocellulare e la diagnosi della sua forma non cheratinizzante può
essere complicata (questa forma è a sua volta distinta in forme differenziate ed indifferenziate). Altre forme tumorali
sono linfomi, sarcomi e adenocarcinomi.
Clinica
La sintomatologia inizialmente è povera/assente.
Sintomi locali precoci: Sintomi tardivi sono:
• Ipoacusia unilaterale trasmissiva (per ostruzione tubarica) • Cefalea
• Ostruzione nasale • Paralisi dei nervi oculomotori (specie
• Piccole epistassi monolat. (importante) VIà diplopia)
Evoluzione

Il Carcinoma rinofaringeo cresce per infiltrazione (spesso predominante) e per espansione:


- Origine dalla parete postero-superiore: nel 25-35% dei casi tendono ad invadere e distruggere la base cranica; la
diffusione intracranica può avvenire per estensione diretta o diffusione attraverso il foro lacero
- Origine dalla parete postero-laterale: invasione dello spazio parafaringeo e, negli stadi più avanzati, anche dello
spazio post-pterigoideo (con coinvolgimento della giugulare interna, carotide e IX, X, XI e XII n.c.)
E’ possibile anche l’estensione tumorale inferiore lungo le pareti orofaringee ed in questo caso spesso si osserva un
coinvolgimento dei linfonodi retrofaringei.

Il 75% dei K. Rinofaringei mostra Metastasi Linfonodali: i primi linfonodi coinvolti sono quelli dello spazio
parafaringeo e, successivamente, le catene cervicali; quelli coinvolti caratteristicamente sono i linfonodi Spinali Medi
e Superiori.
Le Metastasi a Distanza più frequenti si ritrovano all’osso, al polmone, al fegato e ai linfonodi extraregionali; alla
diagnosi si ritrovano solo nel 5-7% dei casi.
Diagnosi
1. Esame con fibre ottiche delle cavità nasali, del rino/oro/ipofaringe
2. Valutare eventuali linfonodi palpabili al collo
3. Biopsia rinofaringea per via endoscopica
4. Agoaspirato di linfonodi sospetti del collo (casi selezionati)
5. TC, RMN, PET
6. OPT mandibola e bordo alveolare superiore
7. Profilo sierologico anti-EBV(data l’alta sensibilità e specificità, è utile anche in caso di K. Indifferenziati mimanti
sarcomi o linfomi).
Si fa la DD con il LNH.
TNM
T T1: tumore limitato al rinofaringe
T2: tumore esteso ai tessuti molli dell’orofaringe e/o alla fossa nasale a/b a
seconda dell’estensione parafaringea (a no , b sì)
T3: invasione di strutture ossee e/o dei seni paranasali
T4: estensione intracranica e/o interessamento dei NC, della fossa infratemporale, dell’ipofaringe, dell’orbita e dello
spazio masticatorio
N N1: uno o più linfonodi omolaterali (d< 6cm) al di sopra della regione sovraclaveare
N2: uno o più linfonodi bilaterali (// //) al di sopra della regione sovraclaveare
N3a: uno o più linfonodi bilaterali con d> 6cm al di sopra della regione
sovraclaveare N3b: uno o più linfonodi bilaterali nella regione sovraclaveare
M M0
M1

Terapia
La terapia di prima scelta è la RT per via esterna.
Anche per pz che non presentano adenopatie, è necessaria l’irradiazione del collo (RT anche con N0 a
differenza dei tumori dei seni)!!
In caso di stadi avanzati, la RT va associata con la Chemioterapia.
La chirurgia, resa difficile dal possibile interessamento di base cranica e N.C., è riservata solo al
recupero delle recidive dopo radio + chemio.
In caso di persistenza/recidiva linfonodale dopo RT vale l’indicazione allo svuotamento laterocervicale.
N.B. la Chirurgia rescue su rinofaringe con intenti radicali è praticata in pochissimi centri,
come possibile alternativa/preliminare a re-irradiazione.

Sopravvivenza
Globale a 5 anni: 35-60%
Pz con metastasi alla diagnosi: sopravvivenza a 5
anni circa 0% E’ importante un regolare
FOLLOW-UP!

Linfomi
Rappresentano il 10% delle lesioni maligne del rinofaringe. In genere sono di tipo B, diffuso o a grandi
cellule. Sono tumori che metastatizzano ai linfonodi del collo bilateralmente mentre è rara l’invasione
della base cranica; la diffusione al tratto GI è pari al 10-15% dei casi.
TUMORI DELLA LARINGE
Introduzione: I tumori laringei sono classificabili in base alla localizzazione. La laringe è posta nella parte
centrale del collo e rappresenta la prima parte dell’apparato respiratorio. Inizia nel condotto alimentare (faringe)
e continua con la trachea. Sede delle corde vocali. Tutte le cartilagini laringee sono collegate da membrane
legamentose; una delle principali è quella tiroidea, la quale costituisce quasi uno scudo all’infiltrazione tumorale
dello scheletro.
Funzioni della Laringe
• Azione protettiva
• Flessione dell’epiglottide, contrazione delle corde vocali
• Attività respiratoria
• Innalzamento dell’epiglottide, apertura delle corde vocali
• Attività fonatoria

Le porzioni sono:
- Sovraglottidea: epiglottide, dalle pliche epiglottiche, dal ventricolo e dalle false corde vocalià primo
sintomo DISFAGIA. Certe volte il paziente potrà riferire nell’atto della deglutizione un dolore che si irradia
verso l’orecchio per un discorso di sensibilità che trasmette il nervo vago a livello anche del padiglione
auricolare: le fibre sensitive arrivano anche al padiglione auricolare, questo spiega perché nella
deglutizione potremmo avere anche questa sintomatologia di otalgia riflessa.
- Glottica: corde vocalià FENOMENI DISFONICI: La voce assumerà un tono rauco, perderà la sua
intensità e potremmo avere una progressione lentamente evolutiva: inizialmente il paziente potrà avere dei
periodi in cui la voce riprende normalmente la sua normale attività (ciò quando il tumore è molto piccolo),
successivamente perderà l’intensità e le sue caratteristiche ed avremo fenomeni disfonici continui.
- Sottoglottica: comincia ad 1cm al di sotto delle corde vocali, va dalla cartilagine cricoidea fino al I anello
trachealeà in sintomo iniziale sarà la DISPNEA. Questi sono tumori più subdoli perché spesso vengono
diagnosticati quando il tumore è già di dimensione tale da richiedere l’asportazione completa della laringe.
-
N.B. i tumori sono classificabili in base alla localizzazione (diversi sintomi, interventi e prognosi).

Innervazione: laringei ramo del vago, il superiore è sensitivo cutaneo e motorio per il muscolo
cricotiroideo (tensore delle corde vocali), l’inferiore innerva gli altri muscoli (tra cui il cricoaritenoideo
posteriore che abduce le corde vocali, dilatando la laringe).

Epidemiologia: Incidenza dei tumori è 9-10 casi su 100.000 abitanti in un anno in Italia, prevalenza del
sesso maschile su quello femminile e questa prevalenza tende ad essere diversa nel corso degli anni e dei
secoli: i tumori della laringe hanno tra i fattori predisponenti soprattutto fumo ed alcool. All’inizio del
‘900 poche donne fumavano e bevevano, quindi c’era una altissima percentuale di incidenza del sesso
maschile sul sesso femminile (14 a 1); nel corso degli anni, le modifiche delle abitudini con la diffusione
del fumo nel sesso femminile e lo stesso abuso di alcool hanno ridotto questa forbice ed adesso la
differenza è di 4 a 1. Probabilmente, nei prossimi anni avremo quasi la stessa incidenza. Sono tumori che
si presentano in età avanzata (50-70 anni), ma sempre più frequentemente facciamo diagnosi in soggetti
abbastanza giovani: l’età di insorgenza si sta infatti riducendo e ciò perché viviamo in un ambiente con
inquinamento e rifiuti tossici etc. e ciò determina un abbassamento dell’età di insorgenza.

Diagnosi: Quello che valuteremo quando visiteremo il paziente sarà la motilità delle corde vocali:
facciamo fonare il paziente (in genere gli facciamo dire E o I) e vedremo un abduzione delle corde vocali
sulla linea mediana. Questo meccanismo ci dà la possibilità di valutare oltre la morfologia delle corde
vocali, le caratteristiche della mucosa, anche le alterazioni della motilità cordale. Le alterazioni della
motilità cordale si possono avere fondamentalmente per due motivi: o quando abbiamo tumori per cui
viene infiltrato il muscolo locale e le corde (o una o entrambe) risultano essere fisse, oppure quando il
paziente presenta una paralisi cordale, paralisi del nervo ricorrente o laringeo inferiore. Nel caso di
paralisi cordale ci possono essere alterazioni differenti da quelle tumorali: la causa più comune è un
intervento sulla tiroide che possono provocare alterazioni o compressioni e così via del nervo.

Fattori di rischio:
• Fumo ed alcool che hanno un effetto sommatorio se vengono utilizzati entrambi e dunque c’è una
potenzialità lesiva maggiore
• Inalanti tossici ambientali,
• Certe volte da alcuni autori sono stati descritti anche deficit alimentari che possono favorire
l’insorgenza di alterazioni precancerose e poi di tumori veri e propri.
• Recentemente si è data grossa importanza al reflusso gastroesofageo che può dare vita a fenomeni
metaplasici della mucosa a livello laringeo e faringeo, mucose che non hanno difese come invece
hanno quella gastrica ed esofagea per cui possono generarsi modifiche cellulari con l’insorgenza
poi di tumori.

Di recente, oltre i fattori definiti in precedenza, hanno preso importanza anche i fattori genetici: si è
visto come l’assenza di geni soppressori nello sviluppo tumorale possano avere grossa importanza così
come infezioni virali come da herpesvirus. In particolare, quando sono espressi sottotipi come l’HPV16
nei tumori della laringe, si ha riscontro di una maggiore possibilità di risposta alla radioterapia. Non si
sa ancora bene il perché ma in futuro diversi studi potranno metterlo in evidenza anche perché i fattori
virali sono sempre più implicati nella genesi tumorale anche in altri distretti come ad esempio nell’utero.

Morfologia: Per quanto riguarda la morfologia: a livello faringeo abbiamo a che fare prevalentemente
con tumori epidermoidi, dunque tumori epiteliali e squamocellulari soprattutto che sono la maggioranza
dei casi (95% dei casi abbiamo un carcinoma spinocellulare con differente grado di differenziazione).
Possiamo però anche avere tumori che possono manifestarsi su tutti i tessuti della laringe, dunque tessuti
muscolari (per esempio rabdomiosarcomi), possiamo avere interessamento del tessuto cartilagineo
(condrosarcomi), possiamo avere linfomi, alterazioni a carico delle ghiandole etc.: dunque ogni
costituente della laringe, anche se in misura inferiore, può darci alterazioni tumorali.

NB: Spesso quando abbiamo una localizzazione molto disseminata si tratta di forme precancerose
displastiche che possono essere lievi, moderate, severe e carcinoma in situ ma non infiltrazione vera e
propria da carcinoma.

Clinica: Per i sintomi iniziali abbiamo detto l’importanza dei tre livelli laringei, considerate che però in
uno stadio successivo sono presenti tutte e tre gli elementi della sintomatologia laringea: dispnea,
disfonia e disfagia, che dunque in base alla sede possono essere presenti in grado variabile, ma negli
stadi avanzati sono presenti tutti e tre. C’è una differenza tra la disfagia da tumore e la disfagia da
patologia neurologica ad esempio: in un tumore la disfagia sarà caratterizzata soprattutto per i cibi solidi,
in una patologia espansiva tumorale sarà quindi difficile ingoiare un bolo voluminoso. L’acqua scende
per gravità invece: dunque il paziente riferirà di avere difficoltà ad ingoiare cibi solidi. Un paziente con
patologia neurologica (sclerosi multipla etc.) dirà l’inverso: mentre un cibo solido potrà essere meglio
controllato nella sua progressione, l’acqua per il deficit neurologico proseguirà per gravità e non verrà
controllata e potrà dare meccanismi di tosse.
Altri sintomi sono chiaramente la tosse e l’espettorato ematico.

PAPILLOMA DELLA LARINGE


E’ la più comune forma di neoformazione benigna della laringe!
FORMA GIOVANILE (“Diffusa”) = Papillomatosi
Comunemente attribuita ad un’infezione virale. I soggetti hanno 2-8 anni e tende alla regressione spontanea.
Morfologia e Anatomia Patologica: aspetto moriforme/villoso, d: 2-20mm, biancastro/roseo, molle/friabile,
Multipli;
Proliferazione dello strato mucoso.
Sede: più spesso regione glottica e commissura anteriore; raramente regione sottoglottica, mai pliche
ariepiglottiche ed ipofaringe (sovraglottico).
Clinica
- Disfonia : ingravescente, tipica dei bambini più grandi
- Dispnea : crisi dispnoiche sono tipiche dei bambini più piccoli
Siccome c’è il rischio di stenosi laringeaà ricorso a Tracheotomia d’urgenza!
Evoluzione clinica: imprevedibile:
Ø Recidive dopo intervento chirurgico
Ø Guarigione
Ø Recidive frequenti con aggravamento della papillomatosi (estensione ad ipofaringe, trachea e polmoni)
Ø Degenerazione maligna (eccezionalmente)
Terapia: laringoscopia diretta con laser CO2 (questo garantisce un’escissione accurata, riduce il rischio
di danno alle strutture circostanti e di disseminazione del tessuto distrutto).

FORMA DELL’ADULTO
Neoformazione unica isolata con base d’impianto nei 2/3 anteriori delle corde vocali. Sono forse
dovuti a stimoli infiammatori cronici, con cheratinizzazione superficiale. Si può avere degenerazione
maligna nel 4% dei casi.
Clinica: Disfonie
Terapia: laringoscopia diretta (escissione chirurgica classica o con laser CO2); l’escissione può
interessare il solo papilloma o tutta la corda vocale.

CARCINOMA DELLA LARINGE


Epidemiologia: 25% dei tumori del distretto cervico-faccialeà è il più frequente in questo distretto. Sono più
colpiti gli uomini tra i 40-70 anni, con rapporto M:F : 4:1.
RF: fumo di sigaretta, alcool, RGE, inquinamento atmosferico.
Tra i Fattori prognostici abbiamo elementi genetici (p53, p16, EGFR) e virali (HPV16).
Anatomia patologica
Il tumore può insorgere primitivamente [“Drop down carcinoma”] oppure essere il risultato della
degenerazione di lesioni precancerose (la cui potenzialità evolutiva verso forme maligne è variabile
tra il 5-10%).

Dal punto di vista macroscopico i tumori possono avere un aspetto vegetante oppure infiltrante quando
il tumore tende ad insinuarsi al di sotto della mucosa. Quest’ultima può in alcuni casi risultare
solamente ipertrofica percui rende necessario per la diagnosi effettuare biopsie in profondità in quanto
quelle superficiali determinerebbero dei falsi negativi. Terzo tipo è quello ulcerativo cioè un tumore
con caratteristiche vegetanti ma dalla mucosa francamente ulcerata.

Sede
- Piano glottico 58%
- Area Sovraglottica 40%
- Ipoglottide 2%
Istotipi
- Carcinoma spinocellulare (95%) vegetante, infiltrante o ulcerato
- Carcinoma verrucoso
- Carcinoma a cellule fusate
- Altri (adenocarcinoma, K. Adenoidocistico, tumore mucoepidermoidale, sarcoma, linfoma,
plasmocitoma, tumore neuroendocrino)

Clinica
Regione sovraglottica: Altri sintomi:
§ Disfagia (sintomo precoce) con o senza disfonia e odinofagia emottisi, irritazione, otalgia,
Area glottica: sensazione di tensione alla gola,
§ Disfonia (sintomo precoce) stridore e tosse
§ Caratteristica voce dura e legnosa nelle fasi avanzate (sclerofonia)
Area sottoglottica:
§ Dispnea
§ Disfonia

Diagnosi

Anamnesi: dobbiamo individuare gli eventuali fattori predisponenti , familiarità che interviene su fattori
genetici . Ci sono infatti famiglie con più generazioni interessate da tumori della laringe.

Esame obiettivo: Lo stato generale del paziente ci permette di individuare altri sintomi magari
sottovalutati dal paziente , ad esempio la disfagia.
Esame laringoscopio: La laringoscopia indiretta viene effettuata con paziente seduto davanti al
sanitario con la possibilità da parte del medico di illuminare uno specchietto che viene introdotto nell’
orofaringe a poca distanza dalla parete faringea per non stimolare il riflesso della tosse. Questo ci
permette di osservare le strutture laringee. Di più recente introduzione è la laringoscopia a fibre ottiche
con endoscopio rigido. Questo a differenza dello specchietto consente l’ingrandimento del piano
cordale, l’inquadramento di determinate strutture e la registrazione dell’immagine. Diversamente, il
laringoscopio a fibre flessibili che viene introdotto attraverso il naso, offre una minore risoluzione delle
immagini ma consente di esplorare più strutture che potrebbero essere interessate dai tumori laringei
avanzati. Inoltre risulta essere più tollerato dal paziente perché stimola meno il riflesso della tosse e del
vomito percui in pazienti con questi riflessi particolarmente spiccati trovano maggiore indicazione. Tra
l’altro può essere impiegato con maggiore facilità anche in età pediatrica.
Grazie alle fibre ottiche rigide possiamo avere anche la possibilità, utilizzando differenti gradi di
angolazione, di vedere aspetti peculiari. A 0° è possibile osservare la laringe in linea retta, così come
un'ottica a 30°, a 45°, a 70° o a 130°. A 45° e a 70° abbiamo un’ottima visuale della commessura
anteriore, così come l’angolazione a 120° ci consente di vedere meglio la porzione posteriore, che
risulterebbe nascosta a 0°. Quindi, abbiamo la possibilità variando l’ottica, di avere un'immagine da
diverse angolazioni.
Nel caso di sospetto tumore, o di paziente non collaborante, ad es. un paziente che non sopporta le fibre
flessibili o che ha patologie neurologiche, oppure se abbiamo necessità di effettuare una biopsia per
avere una diagnosi certa (ci possono essere infiammazioni come quella tubercolare che hanno un quadro
simile a quello tumorale, così come le micosi possono simulare un quadro di displasie o discheratosi)
possiamo usare la laringoscopia diretta in narcosi, dove il pz è addormentato e ventilato in maniera
artificiale con intubazione orotracheale. Inseriamo un apparato di sospensione, che è un tubo che ci
mantiene divaricata la via aerea fino alle corde vocale. Possiamo vedere sotto visione microscopica ed
eventualmente eseguire una biopsia escissionale, che potrebbe essere anche risolutiva. Questa soluzione
è particolarmente utile per lesioni piccole, come quelle del piano glottico.

Tecniche di imaging: Si eseguono poi esami radiologici importanti per la stadiazione, come la TC per
evidenziare le strutture cartilaginee e la RM per valutare la compromissione dei tessuti molli e l’
interessamento linfonodale . TC e RMN sono fondamentali nella stadiazione e non diagnosi iniziale
dove si utilizza una visione endoscopica . Una visone endoscopica permette infatti di rilevare alterazione
del lume, mentre le metodiche radiologiche valutano i rapporti in profondità anche con la cartilagine
tiroidea e questo è molto importante perché se supero la cartilagine tiroidea l’approccio è diverso. Infatti
una piccola lesione che non infiltra la cartilagine tiroidea viene trattata per via endoscopica con il laser
, mentre una lesione infiltrante deve essere oggetto di un intervento di laringectomia totale. Va
sicuramente integrata la PET total body che ci permette di valutare l’interessamento loco regionale e
metastasi a distanza.

Istologico: È naturalmente fondamentale anche l’esame istologicoà Biopsia: per i tumori in fase iniziale
è escissionale, fasi avanzate è incisionale. Quando abbiamo sospetto di tumore dobbiamo procede alla
biopsia in anestesia generale con paziente intubato e con un apparato di sospensione che attraverso la
bocca mantiene dilatate le via respiratorie e quindi abbiamo una visione che ci permette di evidenziare le
strutture laringee ed effettuare la biopsia con micro pinze e micro forbici.
TNM

N N0
N1: un linfonodo regionale omolaterale alla lesione d < 3cm

N2a Un linfonodo regionale omolaterale alla lesione d:3-6cm


N2b Più linfonodi regionali omolaterali con d < 6cm

N2c Più linfonodi regionali omolaterali e bilaterali con d < 6cm

N3: coinvolgimento di più linfonodi di cui almeno uno d > 6cm

M M0/M1

NB: Questa stadiazione sarà differente per i tumori sopra glottici , glottici e sotto glottici . Ognuna di
queste sezioni avrà caratteristiche diverse:
• Quelle del sopra glottide infatti in base al T potranno interessare più strutture : T1 solo epiglottide
, T2 epiglottide e anche false corde.
• A livello del piano glottico , non si evidenzia soltanto l’interessamento del piano cordale ma anche
la motilità, quindi avremo un T1 con normale motilità , T2 con una iniziale riduzione della motilità,
T3 invece presenta fissità .
• Lo stesso discorso vale per il piano sotto glottico che sarà studiato per valutare l’interessamento
delle diversi sedi.

Evoluzione naturale
La Diffusione locale risente di barriere anatomiche e quindi segue precise
vie di crescita. La Diffusione linfatica è influenzata dalla rete di vasi linfatici
che è:
- Ricca in regione sovraglottica
- Scarsa in regione glottica
- Ricca in regione sottoglottica (à l. giugulari interni e paratracheali)
Metastasi: 5-10% dei casi, più spesso al polmone.

Prognosi: La prognosi dei tumori laringei come tutti i tumori è condizionata dall’estensione, dalla sede e dalle
condizioni generali del paziente. In particolare per la laringe, la sede (sopraglottica, glottica o cordale e
ipoglottica) è particolarmente importante. La maggior parte dei tumori è in sede glottica (50-60%), questi hanno
una buona prognosi in quanto la diagnosi è precoce, la disfonia è il sintomo iniziale che induce in maniera
rapida il paziente ad effettuare una visita specialistica. Inoltre sono tumori facilmente aggredibili. Seguono i
tumori sopraglottici che provocano disfonia e disfagia e infine gli ipoglottici (5-10%) che danno come sintomo
iniziale la dispnea. Questi sono i più rari ma anche quelli con prognosi peggiore e che richiedono interventi
demolitivi come laringectomia totale. Complessivamente la sopravvivenza a 5 anni è del 60% che però oscilla
tra il 95% per i tumori glottici e il 20 % per i tumori già metastatici alle catene linfonodali del collo. L’intervento
chirurgico cambia a seconda della sede. Per i tumori sopraglottici si può effettuare un intervento con laser o
laringectomia sopraglottica lasciando il piano glottico, percui il paziente parlerà. Per i tumori del piano glottico
si interviene con cordectomia di gradi differenti, per i tumori ipoglottici invece si pratica una laringectomia
totale.
Terapia: Per quanto riguarda la terapia ci muoviamo su due binari: chirurgia e terapia chemio/radioterapica. A
volte sono necessarie entrambe ad esempio quando il tumore è stato asportato ma sono presenti metastasi
linfonodali oppure quando abbiamo dei quadri di particolare malignità. Per quanto riguarda le tecniche
chirurgiche le distinguiamo in demolitive, ricostruttive e conservative. La sua scelta è influenzata da aspettativa
di vita e qualità della vita residua.

ü TUMORI SOVRAGLOTTICI
Laser chirurgia ed epiglottectomia se di piccole dimensioni oppure Laringectomia sovraglottica
(eventualmente allargata alla base della lingua o al seno piriforme) oppure Laringectomia totale (in
caso di fissità laringea: T3).
Se sono interessati i linfonodi regionali, lo svuotamento bilaterale del collo è sempre indicato e può essere:
- Selettivo (N0): solo interessati probabilmente in base alla sede del tumore
- Funzionale (N1): tessuto adiposo posto all’interno delle fasce tra reg. Sottomandib-sottoment. E
margine superiore clavicola con risparmio di *
- Funzionale, radicale modificato (come classico ma con risparmio di una delle *), radicale classico (N2)
- Radicale classico (N3): Livelli da 1 a 5 e asportazione *N. Accessorio spinale, giugulare int. e SCM.

ü TUMORI GLOTTICI
Stadi iniziali : cord/glott/emilaring-ectomia, laringectomia fronto-laterale/subtotale
ricostruttiva Stadi avanzati : chirurgia ricostruttiva, laringectomia totale
Se sono interessati i linfonodi regionali, si fa astensione dal trattamento chirurgico nei T1N0; per tutte
le altre classi di T:
- Svuotamento bilaterale selettivo (N0)
- Svuotamento funzionale (N1)
- Svuotamento funzionale o radicale classico/modificato (N2)
- Svuotamento radicale classico (N3)

ü TUMORI SOTTOGLOTTICI
Laringectomia totale con sacrificio di vari anelli tracheali.
Se sono interessati i linfonodi regionali, si fa svuotamento laterocervicale bilaterale
funzionale o radicale possibilmente esteso ai linfonodi mediastinici VII livello (tramite
sternotomia mediana).

NB: In generale se il tumore è particolarmente avanzato si rende necessaria l’asportazione di tre strutture nobili
quali lo sternocleidomastoideo, il nervo spinale e la vena giugulare contestualmente allo svuotamento linfonodale.

Nota
In tutti gli interventi funzionali è conservata la funzione respiratoria; sono parzialmente compromesse la fonazione e
la deglutizione (àpossibile intervenire con terapie riabilitative logopediche, puntura tracheo-esofagea, electrolarynx)
Electrolarynx: Dispositivo che mette in vibrazione elettricamente le corde vocali permettendo la fonazione.
Laringectomie sovraglottiche e subtotali comportano compromissione della deglutizione ed un certo grado di
inalazione nel post operatorio [Controindicazioni a questi interventi: età avanzata, scadenti condizioni generali,
compromissione delle funzioni cardio-respiratorie].

Chirurgia endoscopica con Laser CO2


MLDS (Microlaringoscopia diretta in sospensione) con impiego di Laser CO2; permette l’exeresi di
tumori negli stadi iniziali con grado di invasività minima.
Sono richieste anestesia generale ed intubazione orotracheale, con pz supino e capo iperesteso; è inoltre
previsto l’uso di un laringoscopio rigido e di un microscopio operatorio.
E’ importante eseguire l’exeresi con un adeguato margine, possibilmente in monoblocco, lungo gli
stessi piani di clivaggio seguiti negli interventi conservativi “a cielo aperto” tradizionali.
Indicazioni:
- T1/2N0M0 (glottico)
- T1N0M0 (sovraglottico)

Cordectomie: Si tratta di un approccio chirurgico mini-invasivo, che garantisce un controllo oncologico della
malattia in una percentuale superiore all’85% dei casi, comparabile con le opzioni terapeutiche tradizionali
(radioterapia o chirurgia “a cielo aperto”), ma offre nello stesso tempo numerosi vantaggi quali: breve
ospedalizzazione (day-surgery), ripresa immediata dell’attività lavorativa e delle funzioni laringee (il paziente
può ritornare a mangiare dopo 2-3 giorni dall'intervento), minima percentuale di complicanze, assenza di
tracheotomia (che invece facciamo per tutti gli altri interventi), integrità dello scheletro cartilagineo laringeo,
nessuna preclusione, in caso di recidiva, ad eventuali trattamenti successivi. Abbiamo la capacità, in caso di
recidiva, di convertire l’intervento per via esterna.
Dal punto di vista funzionale l’utilizzo del laser permette una resezione limitata della porzione superficiale
della corda vocale, ottimizzando il risultato vocale. Nelle neoplasie laringee in stadio più avanzato il
trattamento endoscopico con laser va considerato come alternativa alla chirurgia a cielo aperto, alla radioterapia
e ai protocolli radiochemioterapici, con risultati oncologici comparabili. Il risultato funzionale in termini di
fonazione, deglutizione e qualità della vita è però significativamente superiore alle opzioni terapeutiche
tradizionali. Ci sono diversi tipi di cordectomia, che dipendono dalla profondità dell'escissione:
- Tipo I (subepiteliale) : asportata solo la mucosa cordale (patologia non neoplastica, lesioni pre-cancerose)
- Tipo II (subligamentosa) : asportato, rispetto al tipo I, anche il legamento vocale (Tis)
- Tipo III (transmuscolare) : asportazione del muscolo tireoaritenoideo (k. Con dubbia infiltrazione)
- Tipo IV completa : asportazione di tutta la corda vocale (T1a glottici) arriverò verso la cartilagine cricoidea,
fino al pericondrio della cartilagine tiroidea;
- Tipo V: allargata ad altri subsiti laringei. Il tumore interessa una corda e invade la commessura fino a
raggiungere l'altra corda, perciò dovrò eliminare la corda vocale, la commessura e il terzo anteriore della
corda vocale controlaterale. Se la lesione è posteriore, dovrò eliminare anche la falsa corda vocale (Vc);
• cordectomia di tipo Va (estesa alla commissura ant.)
• cordectomia di tipo Vb (estesa alla commissura post.)
• cordectomia di tipo Vc (estesa alla falsa corda)
• cordectomia di tipo Vd (estesa alla sottoglottide 1cm)
- cordectomia di tipo VI (comm. ant.): faccio un'escissione solo della commessura anteriore, perché come
tecnica è stata inserita solo successivamente.

Lo stato della voce è differente per ogni tipo di cordectomia: in quella di tipo I l’escissione è superficiale, per
cui la riepitelizzazione della corda vocale escissa permetterà al paziente di riottenere una funzione ottimale
della stessa. Man mano che aumenta il grado di interessamento, aumenta la profondità dell’escissione: diverso
è il risultato se ho levato in parte il muscolo vocale; diverso è il risultato se ho escisso la porzione superiore; e
così via.

Chirurgia conservativa del Cancro della Laringe


Indicata solo se offre garanzie di radicalità e buone prospettive di ripresa funzionale:
- Laringectomia sovraglottica
- Laringectomia sovracricoidea Progressivamente più ampie
- Laringectomia sovratracheale
Laringectomia sovraglottica
La prima prevede l’asportazione del segmento superiore della laringe (fino all’altezza delle corde vocali)
con la porzione corrispondente di cartilagine tiroidea e del contenuto della loggia io-tiro-epiglottica.
Segue ricostruzione del carrefour aero-digestivo superiore per sutura diretta del moncone di cartilagine
tiroidea residua all’osso ioide ed alla base della lingua.
Indicazioni: coinvolgimento della regione sovraglottica senza interessamento delle corde vocali
(T1) e del “V” linguale (unione corpo e radice lingua, alla base di essa).
Controindicazioni [Terapia Conservativa]
o Cattive condizioni generali del pz
o Grave insufficienza respiratoria
o Metastasi linfonodali/a distanza
o Infiltrazione delle due aritenoidi e/o della regione inter-aritenoidea e/o del castone cricoideo e/o
della mucosa retrocricoidea
o Età > 70 anni
o Precedente terapia radiante
o Infiltrazione profonda della base della lingua
o Estensione alla regione sottoglottica
o Interessamento massivo del seno piriforme
Laringectomie subtotali ricostruttive
Prevedono la possibilità di un’ampia exeresi laringeacon ripristino della continuità
laringotracheale mediante cricoioidopessia (sutura diretta fra osso ioide e cricoide); per farlo,
almeno un’aritenoide deve essere mobile e perfettamente articolata con il castone cricoideo.
- Cricoioidopessia
- Cricoioidoepiglottopessia
- Tracheoioidoepiglottopessia
N.B. Non si richiede tracheotomia permanente! Va rispettata la parte posteriore della
cricoide ed almeno un’aritenoide.
Indicazioni:
• T2 glottici e sovraglottici non trattabili con laser CO2 o laringectomia sovraglottica
• T3 glottici e sovraglottici con fissità delle corde vocali e/o invasione dello spazio pre-epiglottico
• T4 glottici e sovraglottici con invasione iniziale della cartilagine tiroidea (senza interessamento del
pericondrio)
• Tumori sottoepiglottici che non coinvolgono entrambe le aritenoidi
IMPORTANTE: se sottoposti a trattamento conservativo, i pz devono seguire un follow-up molto
stretto prima mensilmente e poi via via sempre più di rado:
- TC annuale
- Studio radiologico con mdc dell’ipofaringe-esofago annuale
è Chirurgia di recupero: laringectomia/faringolaringectomia; recidive linfonodalià svuotamenti radicali
classici e modificati.
Laringectomia totale: Si asporta completamente la laringe e le corde vocali, e si separa definitivamente la via
digestiva da quella respiratoria. La trachea viene abboccata alla cute del collo, così che attraverso questa
apertura, detta tracheostomia, avviene il passaggio dell’aria per la respirazione senza passare dal filtro nasale.
La trachea è separata dalla faringe e il moncone di trachea è collegato alla cute. Si ricostruisce l’ipofaringe, per
chiudere la breccia lasciata beante dall'asportazione della laringe, così da creare una comunicazione unica tra
bocca, ipofaringe ed esofago, e consentire la deglutizione per via naturale.
L'intervento di laringectomia completa, rispetto a quello di laringectomia parziale, ci dà maggiori garanzie di
radicalità, ma è poco favorevole al paziente sia in termini di qualità della vita che di funzionalità - il paziente
è terrorizzato dalla stomia, che non rientra, invece, nell'intervento di laringectomia parziale, con cui il paziente
utilizza le vie naturali sia per respirare che per fonare. Con la laringectomia totale il paziente non potrà più
parlare, se non con altri ausili, come protesi o laringofono.
Indicazioni:
• Tumori intrinseci della laringe sviluppatisi in più piani o diffusi tanto da impedire interventi
conservativi
• Tumori T4 (invasione completa cartilag. Tiroidea o sottoepiglot.)
• Recidive dopo laringectomia parziale
• Casi di insuccesso di terapia radiante
Purtroppo comporta perdita della voce e Tracheostomia permanente.
Le vie di accesso al faringe sono: superiore, inferiore e laterale. I modi di liberare la laringe dalle sue
connessioni posteriori sono: dall’alto verso il basso o dal basso in alto.
Vengono asportati: laringe, ioide, spazio io-tiro-epiglottico (eventualmente uno/più anelli tracheali)à
eventualmente si possono risparmiare osso ioide o cricoide, può allargarsi alla base della lingua, alla
trachea, alla faringe e alla tiroide.
Ndr domanda scritto: Con laringectomie funzionali si intendono:
a. Laringectomia sec Mayer-Piquet
b. Laringectomia sec Alonso
c. Laringectomia sec Labajle
d. tutte le precedenti
Radioterapia
Indicazioni:
• Tumori sovraglottici : buoni risultati in T1-2 N0 M0 vegetanti (pz che rifiutano la chirurgia o
casi non resecabili): l’interruzione dell’erogazione della dose è un fattore prognostico negativo.
• Tumori glottici : la radioterapia ha risultati analoghi a quelli della chirurgia in tumori T1a e T1b.
• Tumori sottoglottici : la radioterapia è di scelta in T1-T2 senza adenopatie clinicamente
palpabili; in casi più avanzati entra in gioco qualora il tumore non sia resecabile o il pz non
sia operabile.
Adr, Complicanze: mucosite acuta, edema laringeo
La Radioterapia post-operatoria è indicata in caso di margini positivi, incerta radicalità chirurgica,
se si reperta evoluzione sottoglottica, T4, linfonodi metastatici. Va cominciata a 4-6 settimane
dall’intervento.

Sopravvivenza
Complessivamente la sopravvivenza a 5 anni è 60% (90-95% negli stadi iniziali, circa il 20% in caso di
metastasi). In T1-T2 il controllo chirurgico e radioterapico hanno % simili (80-90%) anche grazie al
possibile ricorso di rescue chirurgico dopo fallimento radioterapico.
TRACHEOTOMIA

Storia. La storia della tracheotomia parte da molto lontano. Si descrive come Alessandro Magno riuscì a salvare la vita di
un suo soldato che stava soffocando incidendo con la spada la trachea. Segue poi Ippocrate che ne diede una prima
descrizione. Poi nella storia moderna per primo un italiano Antonio Brasavola eseguì questo tipo di procedura in un paziente
che stava soffocando per un ascesso peritonsillare.

La moderna tecnica e i moderni dispositivi per la tracheotomia derivano invece da un disegno di Chavalier Jackson il quale
descrisse, all’inizio del’900 con precisione la tecnica e brevettò la forma delle cannule che sono poi estremamente simili a
quelle oggi utilizzate.

Quando è utilizzata a tracheotomia?


• E’ necessaria quando c’è una ventilazione assistita prolungata
• E’ necessaria quando c’è uno stato ridotto di coscienza
• E’ necessaria quando c’è necessità di chirurgia maggiore in maxillo-facciale
• E’ necessaria quando c’è un’ostruzione delle vie aeree superiori (lesioni e fratture laringeo-tracheali, paralisi bilaterali
nervo vocale, tumori del faringe, tumori del laringe, anomalie congenite della laringe, corpi estranei, edemi delle parti
molli etc).
Anatomia: La trachea è una struttura fibrocartilaginea (15-20 anelli intramezzati da tessuto lasso) lunga circa 12 cm (bordo
inferiore cartilagine cricoidea, C6-7 torace T4-5); si distinguono una porzione Cervicale (di interesse maxillo- facciale)
ed una Toracica. Il diametro AP è circa 1,5 cm, quello trasversale circa 1 cm anche se i segmenti toracici hanno diametri
maggiori; inoltre i diametri aumentano con l’inspirazione. Decorrendo verso il basso si dirige posteriormente (all’altezza del
giugulo la trachea è molto più profonda)à la tracheotomia è eseguita sulla parte alta dell’organo.
Dall’alto verso il basso possiamo palpare: cartilagine tiroide, cartilagine cricoide, trachea cervicale, giugulo. Dalla superficie
in profondità troviamo invece: cute, sottocute, platysma, fascia cervicale superficiale, fascia cervicale profonda, fascia
cervicale viscerale che avvolge la tiroide.
Vascolarizzazione: a.tiroidea sup. (I ramo della carotide esterna),a.tiroidea inf. (ramo della succlavia),a.timiche,a.tracheo-
esofagea ant.,a.bronchiali.
Muscoli che rivestono la trachea decorrono verticalmente (nell’esecuzione della tracheotomia bisogna agire lungo un
piano verticale) sterno-tiroideo,sterno-ioideo,tiro-ioideo,omoioideo.
Rapporti: esofago posteriormente, lateralmente: tiroide,vasi tiroidei,n.laringei,fascio vascolo nervoso del collo

Classificazione: Esistono tre tipologie principali di tracheotomia


• La Tracheotomia classica che può essere effettuata per via
chirurgica open o per via percutanea dilatativaà è un apertura
temporanea della parete tracheale e della cute con conseguente
comunicazione tra la trachea e l’ambiente esterno. Ciò significa
che le vie aeree superiori non sono toccate dalla metodica. Noi
bypassiamo le vie aeree superiori.
• La Tracheostomiaàè una comunicazione permanente tra la
trachea e la cute. Immaginate pazienti che hanno una neoplasia
laringea, necessitano di laringectomia, le vie aeree superiori sono
state modificate e la trachea viene abboccata direttamente alla cute.
Questo vuol dire che il paziente non ha più le corde vocali, non ha
più la laringe e non può più fonare
• La Cricotiroidotomia (tracheotomia d’urgenza)

TRACHEOTOMIA:
- QUANDO: pz già intubato (il tubo oro-tracheale può infatti determinare
infezioni del polmone);nel corso di interventi nella regione della testa e del
collo, durante i quali c’è il rischio di edemi delle prime vie aeree
(neoplasie,traumi); pz che non possono essere intubati.

La tracheotomia classica può essere percutanea dilatativa o chirurgica:


• La tracheotomia percutanea dilatativa viene eseguita con delle dilatazioni progressive di avere un opercolo
prima cutaneo e poi tracheale tale da poter poi inserire una cannula.
Quali sono le controindicazioni relative alla tracheotomia percutanea? Collo corto, età pediatrica,
Coagulopatia, anatomia tracheale distorta, presenza di anomalie vascolari.
• La tracheotomia chirurgica è un intervento chirurgico in cui apriamo un opercolo nella trachea per poi inserire
la cannula. Se eseguito in elezione (sala operatoria attrezzata, tempo adeguato etc) può essere condotto con
una certa semplicità. Il collo del paziente viene iperesteso posizionando un supporto dietro la nuca, in questo
modo la trachea è più superficiale NB difficile ottenere una buona superficializzazione negli obesi!
Si valutano a questo punto i punti di repere anatomici (sinfisi mentoniera,giugulo,osso ioide,cartilagine cricoidea
(palpando a partire da qui si contano gli anelli tracheali),cartilagine tiroidea).
Si esegue l’intervento: si parte con l’incisione cutanea, quindi procediamo lungo i piani fino a raggiungere la
trachea con particolare attenzione, durante tutte le fasi, ad una corretta emostasi.
TIPI : alta (II-III anello tracheale preferita quando l’ingombro è minimoà1cm al di sotto della cartilagine
cricoide), bassa(IV-V anello trachealeàpreferita quando l’ingombro è elevato). L’incisione cutanea è
condotta orizzontalmente al fine di nascondere la futura cicatrice tra le pieghe del collo; superata cute e
sottocute si procedete con uno scollamento verticale.
L’incisione tracheale può essere eseguita in sede sopraistimica (al di sopra dell’istmo della tiroide), sottoistmica
(al di sotto dell’istmo della tiroide) o transistmica (in cui sezioniamo anche l’istmo della tiroide (È una
metodica piuttosto delicata). L’istmo tiroideo può essere sezionato con successiva legatura dei due lobi a
livello dell’istmo (procedura non preferita la tiroide sanguina moltissimo!) o semplicemente trazionata
(superiormente o inferiormente).
L’incisione tracheale può avvenire in varie maniere:
- Verticale lungo due anelli
- Orizzontale tra due anelli
- Asportazione di uno sportello anteriormente
- Incisione “ad H”
NB Non incidere la trachea lateralmente o posteriormente
morte del paziente per rottura della trachea. Effettuata la
procedura si inserisce la cannula collegata ad un
respiratore.
La stessa incisione tracheale può essere eseguita creando uno
sportello verticale, uno sportello ad H rovesciata (a libro) o
uno sportello rettangolare. Nelle prime due quello
eseguiamo essenzialmente delle incisioni, nell’apertura
rettangolare l’intero sportello viene poi asportato. Noi
preferiamo fare l’incisione rettangolare e rimuovere lo
sportello in quando gli esiti cicatriziali sono comunque
minimi.
Si posizione a questo punto la cannula, questa operazione
deve essere rapidissima per ricollegare al respiratore il
paziente. La cannula successivamente viene fissata.

Com’è fatta la cannula tracheotomica? E’ composta da:


• Una Cuffia che una volta insufflata colma il lume della trachea. La cuffia può essere molto utile in emergenza:
gonfiando la cuffia eviti che un sanguinamento del cavo orale vada a causare un asfissia o anche negli interventi
chirurgici : tutti i gas anestetici vengono così convogliati al polmone. Cannule non cuffiate sono preferite nelle
Tracheotomie
• Una Linea di gonfiaggio per la cuffia con un Palloncino Spia
che ci permette di capire se la cuffia all’interno è gonfia o
meno.
• Una Flangia componente esterna che è posta sulla cute
• Una Controcannula che si inserisce all’interno della cannula
crea di fatto un doppio lume nella cannula. Questo ci permette
di pulire la cannula; la pulizia va fatta sempre e
quotidianamente della controcannula.
• Alcune cannule presentano una Fenestratura, una piccola
apertura posta sulla parte di maggiore curvatura. Chiudendo
quest’apertura ripristiniamo il transito aereo dal basso verso
l’alto e permette al paziente di parlare.

TRACHEOSTOMIA E’ permanente.
- QUANDO : lesioni a carico della porzione superiore dell’apparato respiratorio (es: K laringe che ha richiesto la
sua asportazione!)
- COME : attuazione simile alla tracheotomia. Almeno all’inizio si fa ricorso ad una cannula metallica NON
deformabile (la trachea in questo modo non collabisce).

CRICOTIROTOMIA
Tracheotomia eseguita in URGENZA in casi di gravi ostruzione. E’ possibile che siano lese strutture mobili nel corso
di questa procedura; si esegue più in alto della tracheotomia. Se voi vi palpate sentite bene la cartilagine tiroide, subito
al di sotto della cartilagine tiroide sentite la cartilagine cricoide. Lo spazio tra il margine inferiore della tiroide e il
margine superiore della cricoide è il punto più semplice per eseguire la Tracheotomia d’urgenzaà incisione
orizzontale. È un punto di accesso vicino alla cute in cui è possibile inserire in urgenza degli strumenti appuntiti. In
realtà esistono anche dei kit per questo tipo di urgenza con dei bisturi e dei tubi a punta che permettono di perforare
facilmente e consentire la ventilazione al paziente. Attuabile con un semplice bisturi,può verificarsi danno a carico
delle corde vocali.
Dati i rapidi tempi d’esecuzione della tracheotomia ed i suoi minori rischi, quest’ultima è preferita rendendo il ricorso
alla cricotirotomia raro.
CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE
Aggiornato con le Sbob 2018 da Giorgia Polito (:
INTRODUZIONE ALLA CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE:

La chirurgia Maxillo-Facciale tratta delle patologie acute o croniche del distretto maxillo-facciale. Queste
patologie sono:

• PATOLOGIA OSTRUTTIVA: L’endoscopia dei seni paranasali si occupa della disostruzione delle
cavità occluse dal ristagno di muco, che può formarsi a seguito di una patologia ad andamento acuto
o cronico. Se non risponde a una terapia di tipo clinico, è necessario l’intervento chirurgico che non è
volto, come un tempo, alla rimozione di tutta la mucosa nasale, ma cerca di dilatare queste cavità per
permettere il più possibile il passaggio di aria, senza però danneggiare la mucosa e senza lasciare
cicatrici.

• PATOLOGIE DA TRAUMI: Le ossa craniche, che sono 14, sono quasi tutte di numero pari, e le
regioni maggiormente interessate da questi traumi sono la regione delle ossa mandibolari (25%),
zigomatiche, e nasale. Questi traumi avvengono soprattutto per incidenti stradali, o colluttazioni.

• DEFORMITÀ SCHELETRICHE: Sono pazienti in cui la crescita scheletrica non è simmetrica ad


esempio pazienti che hanno un’abnorme crescita di alcune ossa mascellari. In alcuni casi, quando la
crescita interessa solo i denti, si può risolvere con semplice terapia ortodontica; nei casi più gravi
legata a un difetto di apposizione delle ossa mascellari, bisogna ricorrere alla chirurgia, e riportare le
stesse nella corretta posizione.

• MALFORMAZIONI: In questa categoria rientrano schisi labiali, palato schisi, oppure possono
interessare il cranio. Queste malformazioni sono la conseguenza di un difetto nell’apposizione e nella
fusione degli abbozzi ossei, e avvengono in età embrionale, tra 3° e 4° settimana di gestazione. Questi
pazienti necessitano di più interventi chirurgici, che devono iniziare precocemente, intorno ai 3-6 mesi
di vita.

• PATOLOGIA DELLE MALFORMAZIONI ARTERO-VENOSE

• PATOLOGIA RICOSTRUTTIVA: interessa i pazienti che nascono con agenesieàtrattati


chirurgicamente.

• PATOLOGIA DELL’ARTICOLAZIONE TEMPORO-MANDIBOLARE: La mandibola ha una


doppia articolazione con l’osso temporale, e ci sono diversi muscoli masticatori che prendono
inserzione su di essa. Le cause della patologia dell’ATM sono tante, ma la più frequente è una mal
occlusione dentale, che può determinare un’infiammazione dell’articolazione e dei muscoli.

• PATOLOGIA CISTICA DELLE OSSA MASCELLARI: Le cisti delle ossa mascellari vanno trattate
in quanto, col tempo, possono estendersi, aumentare di dimensioni, e man mano sostituire il tessuto
osseo. Questo determina un aumento del rischio di fratture. Per cui è necessario rimuovere la causa e
la cisti stessa, affinchè possa riformarsi il tessuto osseo. Per quanto riguarda il loro sviluppo ci sono
due teorie: una idrostatica e una prostaglandinica.

• DISODONTIASI: La disodontiasi è l’anomalo posizionamento di un elemento dentale e spesso


interessa il 3° molare, soprattutto quelli a livello inferiore. Quando questi molari non erompono nella
cavità orale, è necessario rimuoverli in quanto possono determinare cisti, infiammazione, e carie a
carico del 7° molare. Questo intervento va effettuato da un chirurgo maxillo-facciale e non un
odontoiatra, perché decorrono vie nervose molto importanti, come il nervo mandibolare, che innerva
arcata dentaria, gengiva e arcata dentale, e il nervo linguale che decorre medialmente alla mandibola.
• CHIRURGIA PREPROTESICA: sono delle strutture in titanio che devono essere posizionate nel
piano delle ossa mascellari. Si posiziona questa vita in titanio e su essa viene posizionata la protesi
dentaria. La vite in titanio ha funzione di radice, e la protesi ha funzione di colonna.

Questo non sempre è possibile, perché possono esserci atrofie delle ossa mascellari. Le atrofie possono
essere di origine traumatica o legate all’età del paziente. La radice in titanio fa in modo che ci sia
rimaneggiamento osseo, con nuovo reclutamento di osteoblasti e formazione di nuovo osso. Quando
la radice viene a mancare si perde quello stimolo, e quindi si perde una certa quota di tessuto osseo,
con atrofia. Quando ci sono queste atrofie dobbiamo cercare di ripristinare l’elemento osseo, per cui
si prende osso da altre zone e si fanno degli innesti ossei.

• ONCOLOGIA CERVICO-FACCIALE: Diverse neoplasie che interessano il cavo orale, i seni


paranasali, ghiandole salivare, regione latero-cervicale, sono di pertinenza del chirurgo maxillo
facciale. Tra le neoplasie di questo distretto possiamo distinguere in particolare due gruppi:
o Le neoplasia fumo-correlate, legate a mutazioni di p53, ad appannaggio del cavo orale, che
non rispondono bene ai trattamenti farmacologici, per cui andranno incontro a trattamento
chirurgico. Inoltre hanno morfologia tipicamente ulcerata.
o Le neoplasie HPV-correlate, legate a mutazioni di p16, ad appannaggio latero-cervicale, che
risponde bene al trattamento farmacologico. Morfologia più spesso esofitica.
NEOPLASIE DEL CAVO ORALE

GENERALITA’:

Definizione: La neoplasia è lo sviluppo di un tessuto anomalo che cresce in maniera aspecifica, autonoma e afinalistica,
a spese dell’organismo ospite, che continua la sua crescita anche quando viene a mancare lo stimolo che ne ha
determinato l’origine.

Sede: Tra le localizzazioni anatomiche del ca del cavo orale la lingua è il primo sito, il 41% dei tumori del cavo orale è
localizzato alla lingua, seguito dal pavimento orale e dalle altre regioni. Il ca della lingua è il più importante nel mondo
eccetto nell’Asia centrale in cui la regione più colpita sembra essere la mucosa orale. Nei nostri paesi oltre il 50% di tali
carcinomi sono lingua-pavimento, gli altri si dividono in tutti i territori, tranne labbro che è diventato molto raro. Nei
paesi sudest asiatici parliamo della mucosa della guancia. Perché in Campania è più frequente alla lingua e in Pakistan
sulla guancia? In questi paesi usano molto la noce di areca, lo usano come eccitante, spegne la fame. Questa qui è una
noce particolare che viene mescolata a calce viva e rinchiusa in una foglia messa nella guancia e masticata tutto il giorno,
un genotossico molto potente per il cancro della guancia. Il composto si chiama Betel e chi ne fa uso si riconosce
facilmente in quanto ha i denti rossi (utile per la diagnosi precoce delle possibili lesioni).

Fattori di rischio: Sono suddivisibili in:


• Non modificabili = età, etnia, status socio-economico
• Modificabili = fumo, alcool, dieta

• Emergenti = HPV, EBV, immunocompromissione e matè (bevanda argentina bevuta frequentemente durante il
giorno, molto calda, e fatta con erbe irritanti, da noi ancora non se ne usa)
• Controversi/Inconsistenti = igiene orale, inquinamento, cannabis, HIV, familiarità

L’85% dei casi ci carcinoma del cavo orale è associato a fattori di rischio modificabili come fumo e alcol; mentre il
15% è associato ad altri fattori, di cui il più importante è l’HPV, un virus oncogeno studiato nell’ambito del carcinoma
della cervice. In particolare si è evidenziato in generale un maggior rischio nella fascia bassa, più povera, della
popolazione. I motivi sono da ricercare nella presenza di tutti quei fattori di rischio visti precedentemente: maggior
consumo di tabacco, alcool, betel ecc ma anche scarsa igiene orale, minor possibilità di cure odontoiatriche appropriate
e altro. (Il medico di base per questi ha un ruolo fondamentale).

Fattori protettivi: Frutta e verdura rientrano sempre tra i fattori protettivi.

1. HPV: L’HPV è un virus a DNA che infetta il 65-100% degli adulti sessualmente attivi con una prevalenza di HPV
nella popolazione è circa il 7%. Le stime dicono:
• USA: 40% HPV correlati
• Italia: 10% HPV correlati
• Nord-Europa: 80-90% HPV correlati

Si calcola che oltre il 90% delle donne nel corso della loro vita subisce fasi di infezione da HPV che poi si negativizza
per poi tornare, tanto che sembra essere un ospite abituale a cicli nel genitale femminile, nell’uomo non lo sappiamo. Il
virus può avere 3 diversi comportamenti:
- Residente (rimane nelle cellule inattivo)
- Isolato (degrada l’involucro che contiene il suo genoma senza integrarlo)
- Integrato(prende il suo genoma, lo svolge e lo inserisce il suo genoma nel DNA della cellula e attraverso le
proteine E6 ed E7 inibisce Rb e p53àpotenziale oncogeno)
Sappiamo che questo virus presenta delle proteine oncogenetiche che sono la E6 ed E7à queste attivano un pattern
patogenetico che è la via del retinoblastoma, la via del p16. Il fatto che HPV provochi una cancerogenesi che segue la
“via del retinoblastoma” è un fatto estremamente positivo: infatti sono tumori che hanno una prognosi nettamente
migliore (poiché rispondono molto bene a chemio e radioterapia) rispetto al cancro da fumo (che non risponde bene alle
terapie prima specificate), anche per questo in realtà si è avuto un aumento dell’incidenza ma non della mortalità. Il
fumo infatti induce più mutazioni e quindi provoca un danno permanente. L’incidenza del tumore del cavo orale è
aumentata più della sua mortalità. I sierotipi che più ci interessano sono HPV-11, HPV-16 e HPV-18: nel campo
dell’oncologia dell’orofaringe soprattutto i sierotipi 16 e 18 sono coinvolti, tanto che in alcuni studi e articoli si parla
addirittura di epidemia da infezione orale da HPV. Ricordiamo che oggi è disponibile vaccino nonavalente per 6-11-16-
18 e altri minori tra cui 52-53.
Negli stati uniti la prevenzione aveva ottenuto una riduzione del 50% del fumo di sigaretta, per cui nella seconda metà
degli anni 2000 si notò una riduzione di incidenza dei tumori correlati al fumo. Tuttavia dal 2009-2010 si è visto che le
curve del carcinoma iniziavano ad impennarsi di nuovo.

Per la prima volta nel 2011 si è parlato di una “epidemia” del tumore orale da HPV con uno shift della tipologia di pz:
maschi bianchi di 35-45 anni con un buon livello socio-economico-culturale (rispetto al passato, dove questa neoplasia
si osservava soprattutto in soggetti anziani dal basso tenore di vita). N.B. Spesso localizzati a livello di lingua/pavimento
orale. Questa epidemia è dovuta a vari fattori, riscontrati specialmente in cambiamenti sociali a partire dagli anni ‘80:
• Abbassamento dell’età media del primo rapporto sessuale
• Aumento del numero di partner sessuali/mese (rischio consistente > 5)

Ecco perché adesso il bianco 45enne è più colpito, perché ha avuto 20 anni di esposizione, ha avuto un numero elevato
di partner. È richiesto un contatto prolungato col virus, almeno 20/30 anni di esposizione ripetuta, sono infatti richieste
più infezioni ripetute per far si che il genoma virale si integri in quello cellulare e porti allo sviluppo del cancro. L’uomo
è più suscettibile all’infezione perché la donna possiede una carica virale maggiore (il pene ha una superficie di mucosa
minore ed è più facilmente detergibile) → il tumore HPV correlato è raro nelle donne però le donne omosessuali
presentano un’incidenza pari a quella degli uomini.

In Svezia il 90% dei cancri orali è HPV correlato per cui è il 1° fattore di rischio per il carcinoma orale; in Italia è il 2°
fattore di rischio più importante, il 10% dei casi vi è correlato, mentre al 1° posto si colloca il fumo. Negli USA il 60%
dei tumori orofaringei è HPV correlata. Questo dipende dallo stile di vita, ogni paese ha le sue tradizioni e le tendenze
sessuali associate. Però ovviamente i paesi del sud seguiranno i paesi del nord. Che ci aspettiamo nei prossimi anni? Ci
aspettiamo che diminuisca l’età, i più colpiti saranno 30-35enni. Si stima che nel 2020 il tumore HPV correlato orale
supererà quello HPV correlato della cervice e nel 2030 sarà > 50% dei tumori testa-collo.

Sede d’elezione del virus è il tessuto linfatico delle tonsille linguali od orofaringee. Attualmente la forma tumorale più
frequente, associata all’HPV, è la forma orofaringea (base lingua, pilastri tonsilla) degli uomini. La zona più colpita si
trova a livello della tonsilla linguale o un po’ più dietro, perché in questi due punti il tessuto linguale è molto più sensibile
per cui il virus riesce ad entrare molto più facilmente. Questa zona è molto sensibile perchè non è ricoperta da tessuto
cheratinizzato e perchè è una zona con varie anfrattuosità, al taglio infatti presente aspetto convoluto, e sono presenti
varie cripte dove può svilupparsi il carcinoma da HPV. In questa sede inoltre la membrana basale è sottile o addirittura
assente ed è una zona ricca di tessuto linfatico (ci sta la tonsilla).
Lesioni pre-neoplastiche: Non è noto se la forma da HPV presenta lesioni pretumorali, probabilmente no. Al massimo
possiamo avere un rossore simil-infiammatorio difficilmente associabile a lesioni da HPV. Generalmente ce ne
accorgiamo direttamente quando sono interessati i linfonodi (30%), per il gonfiore di questi ultimi, quindi in una fase
avanzata con carcinomi quindi già di alto grado e con forme molto aggressive.
Lesioni HPV-correlate: Esistono anche lesioni non cancerogene da HPV che però sono date da ceppi non cancerogeni.
Le lesioni orali da HPV non cancerogeni sono:
• Papilloma squamoso (99%-->16-18)
• Verruca volagre (simili al precedente ma un po’ più a “cavolfiore”)à6-11
• Placche (raramente; “flat condilome” o “condiloma acuminato”)à6-11
Di per sé queste lesioni sono prive di pericolosità in senso oncologico ma indicano la presenza del virus nel cavo orale;
in caso, però, di papilloma squamoso, l’iter deve essere:
o Maschi: asportazione + follow up
o Donne: procedere anche all’effettuazione di un PAP-test.
→ VACCINO HPV – GARDASIL: tetravalente 6-11-16-18: le donne devono farlo a 12 anni mentre gli uomini,
sebbene possano vaccinarsi, non prevedono la spesa supportata dal SSN.

2. FUMO È il primo fattore di rischio nel nostro territorio, e, come detto prima, non è il tipo di tabacco ma piuttosto
la quantità il fattore di rischio. Considerando che il tabacco non è molto diffuso nelle popolazioni del nord
probabilmente è per questo che lì il principale fattore di rischio per il carcinoma orale sia il HPV. Il classico paziente
con carcinoma orale nelle nostre zone è un uomo, forte fumatore, classe socio economica bassa, generalmente con
BPCO e con cancro della lingua; ogni 3 uomini c’è una donna.
Il tabacco ha più di 4000 cancerogeni che provocano danni al DNAà ed è per questo che è il principale genotossico
del cavo orale. Il cancro si sviluppa a partire da formazione di lesione displasiche di vario grado, poi formazione
del carcinoma in situ (che non va oltre la membrana basale), fino al carcinoma infiltranteà a ogni fase corrisponde
una modificazione di un determinato cromosoma e alla produzione quindi di proteine che permettono la
progressione della cancerogenesi.
Le sostanze genotossiche inducono delle modifiche genetiche progressive (3p, 9p, 17p, 4q; epitelio normale,
iperplastico, displastico o SCC) che partono dal “quartetto neoplastico” su 3p contenente geni per: angiogenesi,
crescita cellulare, apoptosi e migrazione. L’irreversibilità del danno sorge probabilmente all’alterazione del 4q. Il
tumore fumo correlato segue la via p53.

La progressione è: Epitelio normale-> mutazione 3p -> iperplasia -> 9p -> Iperplasia disomogenea -> 17p ->
Displasia moderata -> 4q -> Severa -> 8p, 11q, 13q -> Carcinoma (OSCC).

Le prime fasi sono reversibili, dalla displasia in poi diventano difficilmente reversibili o irreversibili. Nelle fasi
abbastanza avanzate un ruolo centrale è data dalla mutazione con perdita di p53 associata generalmente
all’irreversibilità (in particolare nella fase di passaggio tra displasia moderata e severa). Fino a 4q può essere
reversibile oltre no.
Ricordiamo che nelle forme legate al fumo si evidenzia anche il cosiddetto effetto campo. Cosa significa effetto
campo? Che ogni zona ha un danno genetico diverso, è alterata e progredisce in maniera non simmetrica rispetto
alle altre, a seconda di fattori locali, struttura della mucosa, stato di immunità del paziente ecc. Pertanto avremo
zone della bocca con una lesione precancerosa, altre con displasia, altre ancora cancerose ecc.Queste variegate
alterazioni genetiche fanno si che il cancro da fumo sia altamente eterogeneo, instabile e molto difficile da trattare.
La disomogeneità della lesione precancerosa va di pari passo con l’accumulo delle mutazioni e quindi della gravità
(per questo il cancro da fumo è detto cancro da p53).

NB. In pz fumatori con Cheratosi Frizionale (dovuta a masticazione) il rischio è aumentato. Normalmente esso non
cancerizza in assenza di altri RF; se possibile, la cheratosi va rimossa del tutto e non semplicemente scottata.
Nota sul rischio: il pz che smette di fumare ha un rischio che decresce con gli anni ma che non diventa mai zero. Il
rischio è maggiore in un pz che fuma molte sigarette in un periodo limitato rispetto ad uno che fuma poche sigarette
per un tempo più prolungato.

Misto: Il paziente può anche essere fumatore ed essere positivo all’HPV, può avere quindi un carcinoma con
entrambi i pattern P53 e P16, in questi casi è molto complicato trattarli, non sai quale prevale, sono due cose
distinteà quindi NON possono essere insieme fattori di rischio di uno stesso carcinoma.

3. ALCOOL Ha uno scarso peso nelle nostre regioni; c’è un effetto potenziante con il fumo.

4. ALTRI FATTORI DI RISCHIO


- La scarsa igiene orale è importante per la determinazione di questa neoplasia, poiché tali pz hanno più
frequentemente (rispetto alla popolazione generale) denti taglienti, delle protesi incongrue, quindi sono meno
avvezzi a una cura della bocca.
- La dieta rappresenta un fattore importante, così come osserviamo per il carcinoma dello stomaco, del colon,
della mammella, anche per il carcinoma del cavo orale una dieta appropriata può ridurre l’insorgenza della
neoplasia: in particolare, il consumo quotidiano soprattutto di cereali, di frutta e di lipidi può favorire la
prevenzione dello sviluppo di tali patologie, quindi anche il fattore dietetico è importante, così come si osserva
anche per altre neoplasie.
- Altri virus: Un altro fattore di rischio, il cui ruolo non è stato ancora ben chiarito, è l’EBV; esso è associato all’1,8%
dei tumori, di origine epiteliale e linfoide, in particolare al 13% dei tumori gastrici di origine epiteliale. Il virus
persiste in forma latente nei linfociti B della memoria, integrando il proprio genoma, potendo provocare iperplasia
della mucosa. Nei pazienti non si è evidenziato nulla, per cui non si sa se il virus possa infettare temporaneamente,
innescare il danno genetico e andare via, o possa persistere favorendo la progressione tumorale. In ogni caso il suo
ruolo pro-oncogeno sembra essere presente. Il Sarcoma di Kaposi è un esempio di tumore correlato a un virus: è
un linfoma multicentrico delle mucose, di cui HSV8 si è dimostrato essere l’agente eziologico.

PRECANCEROSI
Le lesioni precancerose sono quelle alterazioni delle mucose che restano un certo numero di anni (2-8 anni) prima di
trasformarsi in carcinoma del cavo orale. Esse sono:
1. Leucoplachia, ipercheratosi idiopatica della mucosa orale
2. Eritroplachia (molto rara,è già un carcinoma in situ,è una macchia rossa che indica displasia severa)
3. Lichen planus
Leucoplachia e Lichen planus rappresentano il 99% dei casi, di cui la leucoplachia è la più frequente. La prevalenza
delle lesioni bianche del cavo orale è invece del 25%, ma di queste solo l’ 1,5%-2%(0.2-6%) è leucoplachia, il resto
sono: traumatiche, infettive, reattive o frizionali, immuno-mediate, metaboliche, di sviluppo ecc.
Caratteristiche generali: Le pre-cancerosi hanno tre caratteristiche:
1) Elevata prevalenza in genere la prevalenza è intorno al 2% che è un numero consistente in una popolazione
2) Cancerizza: 0,5-1% di cancerizzazione, sembra un numero basso però da un po’ di tempo sappiamo che a questa
percentuale di cancerizzazione la dobbiamo aggiungere per anno. Se lasciate tempo tutte le pre-cancerosi
cancerizzano
3) Idiopatia
Epidemiologia: Le lesioni precancerose sono importanti anche da un punto di vista epidemiologico. In letteratura dal
62% al 100%, quindi circa il 70-80% dei tumori passano per una fase di precancerosi che appare come una variazione
cromaticaà vedrete 9 su 10 bianco, qualche volta rosso ma è molto più raro. Frequentemente i tumori del cavo orale
passano attraverso una fase di leucoplachia.
Tempistiche: Il tempo necessario ad una lesione precancerosa per evolvere in cancro certo dipende dal tipo, ma in linee
generali possiamo dire che varia dai 2,5 a 8 anni circa, quindi è una durata che consentirebbe l’intercettazione di queste
lesioni, non accade purtroppo non succede. L’evoluzione della lesione precancerosa è tempo dipendente quindi,
teoricamente, tutte le lesioni evolveranno prima o poi in un cancro. Per questo è fondamentale il riconoscimento e
l’asportazione. Tuttavia oggi i tumori scoperti in fase precoce sono 1/3.
Clinica: Le pre-cancerosi sono asintomatiche, il paziente non se ne accorge, a meno che il tumore non sia abbastanza
grande da interessare qualche tronco nervoso ad es., difatti questo tempo può trascorrere tranquillamente, il paziente
arriva tranquillamente dopo 8 anni di precancerosi e 3 anni di cancro.
Diagnosi precoce: Tutt’ora non si è riusciti ad aumentare significativamente il numero di diagnosi precoci per questa
neoplasia inoltre 9/10 precancerosi sono maldiagnosticate come candidosi croniche. Il punto debole nella diagnosi
precoce è data dalla mancanza di formazione appropriata del medico di baseàè necessario che il medico di base sappia
come effettuare una diagnosi di carcinoma orale o meglio ancora una diagnosi di lesione precancerosa, che solitamente
resta per 6-8 anni in sede per poi divenire cancro vero e proprio. Questo spiega anche perché le classi più povere, il
70% della popolazione, sono maggiormente esposte proprio perché presentano come punto di riferimento solo il medico
di base non potendosi permettere un’appropriata cura odontoiatrica.
La diagnostica precoce è importante perché in fasi avanzate di carcinoma c’è poco da fare, interveniamo con la chirurgia
ecc. ma solo il 50% sopravvive. Il problema dell’elevata mortalità è dovuta al fatto che il cavo orale è come una spugna,
ricco di vasi linfatici, quindi una volta che il tumore ha invaso i linfatici è molto difficile eradicarlo. Il paziente di solito
muore per T (perché il territorio è difficilmente controllabile) e per N, difficilmente per M. Quindi per un tumore T1/T2,
anche se ad uno stadio precoce, è richiesto un intervento complesso e costoso, per una lesione preneoplastica o un
tumore diagnosticato molto precocemente basta una piccola incisione in day hospital.
Prevenzione: Bisogna quindi prevenire l’eventualità che il paziente si manifesti già con malattia conclamata, cosa che
risulta anche gravosa per il Sistema Sanitario, in quanto la gestione di un paziente oncologico è molto costosa. I mezzi
per la prevenzione sono:
1. Eliminazione dei fattori di rischio
Follow-up a intervalli regolari delle lesioni del cavo oraleà ispezionare soprattutto i giovani e i fumatori.
Macroscopicamente il cancro orale può presentarsi in forma vegetante, ulcerata, nodulare o le forme miste. Le lesioni
precancerose invece sono associate a un cambiamento cromaticoà questo è il primo aspetto che potete notare
visivamente.
• Se vediamo che la lesione è rossa, questo può indicarci due cose: presenza di eritema o erosione/ulcerazione
(erosione più superficiale, ulcerazione è più profonda).
• Se vediamo del bianco significa che è presente ipercheratosi.
• Se vediamo tante piccole macchie bianche si parla di cheratina con aspetto figurato che è tipica delle lesioni
lichenoidi.
Queste informazioni sul colore della lesione (bianco e/o rosso) sono (secondo il professore) sufficienti già per porre
dubbio diagnostico, sicuramente il medico deve avere una maggiore attenzione se la lesione è anche dolente, se è lì da
molto tempo, se ha sede sul pavimento buccale o sul ventre linguale.
Alla domanda: “Come appare un carcinoma orale alla fase iniziale? Generalmente solo con una variazione cromatica.
Come appare invece in fase avanzata/manifesta? Come una lesione esofitica-vegetante (produttiva) o come una lesione
endofitica-ulcerata (con perdita di sostanza).
LEUCOPLACHIA: La leucoplachia è una lesione cheratosica idiopatica del cavo orale, appare generalmente come una
macchia di colore bianco, raramente rossa. Per parlare di leucoplachia si devono escludere tutte le cause note di
ipercheratosi e quindi solo alla fine può essere posta la diagnosi (tipica diagnosi differenziale è la cheratosi da frizione).
Nella maggior parte la macchia non è niente, il 90% guarisce, la restante parte va mandata in diagnostica. Ve ne sono 2
forme:
• Omogenee: superficie bianca madreperlacea; l’aspetto può essere corrugato, pieghettato, acciottolato ma è tutto
sommato uniforme. Rara la presenza di displasia.
• Non Omogenee: più gravi, può più spesso esserci displasia; irregolarità cromatiche (rosse), morfologiche
(verrucose), cromatiche e morfologiche (erosive). Infiltrato infiammatorio marcato.
Leucoplachia come precancerosi: La leucoplachia è una pre-cancerosi: l’1% di leucoplachie va incontro a
trasformazione all’anno, quindi il fattore importante è il tempo, in quanto nel tempo aumenta la possibilità di
progressione. La progressione è leucoplachia per anni, displasia lieve, moderata, grave, carcinoma in situ,
microinvasivo, invasivo e infine metastatico. Quando diventa microinvasivo chiaramente trova vasi e linfatici dopo
qualche millimetro: sulla guancia li trova dopo 4 mm, sul labbro dopo 5-6 mm e sul pavimento dopo 2 mm. Quindi
anche la sede è importanteàil carcinoma del pavimento di 4 mm di spessore si associa ad un’alta percentuale di
metastasi linfatiche invece sulla guancia ci impiega un po’ più tempo.
Classificazione: Si distingue una forma legata al fumo e una idiopatica. E’ più pericolosa la leucoplachia del forte
fumatore o quella idiopatica? Quella idiopatica, in soggetto con meno fattori di rischio (giovane,di sesso femminile,non
fumatore) perché indica una suscettibilità genetica a un danno molto maggiore che nel paziente che fuma due o tre
pacchetti di sigarette al giornoà infatti la leucoplachia del giovane senza fattori di rischio è quella in assoluto con la
più alta percentuale di trasformazione maligna, andiamo dallo 0.5 al 5% nelle forme da fumo fino al 50- 60 % o anche
di più nelle forme idiopatiche. La forma idiopatica è la più pericolosa perché più imprevedibile, non riesco a individuare
una causa e ne conosco l’evoluzione e dunque devo fare un trattamento aggressivo. Nelle forme legate al fumo se il
paziente smette di fumare ha una progressione molto più ridotta, la lesione o si arresta o molto spesso torna indietro,
comincia a diminuire la cheratinizzazione; infatti il nostro comportamento è quello di identificarla, biotipizzarla e in
assenza di displasia modificare i fattori di rischio e seguire il paziente.

Forma legata al fumo: Il fumo agisce su tutta la bocca, per cui in un fumatore tutta la mucosa orale è stata esposta ed
ecco perché possiamo avere forme molto estese di carcinoma, possiamo avere carcinomi multipli nel 50% dei casi,
oppure potremmo avere più lesioni dove una zona è displasia, in una è carcinoma, in una è eritroplasia: Cancerizzazione
di campoàla progressione tumorale è eterogenea nelle varie zone, perché le mutazioni si accumulano in maniera diversa
e il processo è modulato da fattori locali; dunque lesioni con diversa pericolosità coesistono nella stessa zona, e lo
possiamo verificare all’istologia.
“Atteggiamento clonale”: un clone isolato cresce avulso dal contesto in maniera nettamente limitata → alto rischio di
progressione e cancro.

Clinica: Sono asintomatiche. La leucoplachia presenta due forme cliniche: omogenea (aree bianche e lisce) e
disomogenea, quest’ultima più grave delle forme omogenee, perché la presenza di irregolarità o morfologica o cromatica
può indicare maggiormente la presenza di displasia. Le disomogenee si dividono in: verruciformi quando sono
produttive, erosive quando sono anche rosse. Possiamo avere anche forme miste.
• Irregolarità morfologica: verruciforme (la leucoplachia in alcune zone non è liscia ma ispessita).
• Irregolarità cromatica: rossa, bianca con macchie rosse, quindi non è solo rossa attenzione.
• Recentemente è stato introdotto nel concetto di irregolarità anche la dimensione: una lesione omogenea ma
molto grande viene considerata al pari di una disomogenea.
Nel 36% dei casi (1/3) queste lesioni si presentano già ad uno stadio avanzato, percentuale uguale a quella del carcinoma
del colon-retto.
Prevenzione: L’OMS ci dice che se facciamo bene la prevenzione possiamo intercettare 5 milioni di cancri orali in fase
precoce soprattutto per i cancri fumo-correlati. La diagnosi precoce è complicata dal fatto che un paziente su 4 presenta
una lesione bianca del cavo orale e solo la minima parte presenta leucoplachia, quindi bisogna fare una scrematura
iniziale. Quello che si fa è uno screening opportunistico: il paziente va dal medico di base per un motivo e deve essere
ispezionato anche per un eventuale cancro orale. Le tre categorie coinvolte sono pediatri, medici di base ed odontoiatri.
Negli stati uniti stanno valutando quando fare la biopsia, se è una cosa gestibile come lo è l’ispezione. Nel senso: una
cosa è stabilire tu medico di base che c’è una macchia, che non è scomparsa con le solite cure e quindi mandare il
paziente ad un controllo diagnostico ulteriore, altra cosa è stabilire tu se è una macchia su cui è richiesta la biopsia o
no. Per evitare l’eccesso di biopsie bisognerebbe trovare un modo per rendere in grado i medici di base di saper
discriminare. Per avere qualche utilità un medico non dovrebbe effettuare un’ispezione due volte l’anno ma più
frequentemente. Non è così semplice tenete presente che il 99% delle lesioni orali che vedrete con terapia guarisce,
il vostro sarà un controllo del paziente nel tempo, solo quel poco un 1% sarà lesione precancerosa e non va trascurata.
Diagnosi differenziale con Cheratosi Frizionale: La cheratosi da frizione è ad esempio una condizione in cui spunta
il dente del giudizio, guancia leggermente ispessita, o quando hai tendenza a morsicarti la guancia. Di per sé non è
una pre-cancerosi, quindi non c’è rischio di cancerizzazione, a meno che non esistano fattori di rischio ad es. il
fumoàquando il paziente è fumatore il rischio è aumentato perché quando c’è un trauma cronico su base meccanica
le popolazioni cellulari per riparare fanno nell’unità di tempo più cicli, quindi una popolazione che vive più
rapidamente con un numero maggiore di cellule. Su questa popolazione un genotossico è molto più tossicoà Su una
popolazione così espansa di vita un danno genetico classico da fumo di sigaretta è più probabile.
Ndr da scritto: cheratosi frizionale va trattata come leucoplachia.
Diagnosi differenziale con la candidosi orale: innanzitutto la candidosi orale è rara; la Candidosi
pseudomembranosa dell’adulto in genere porta eritema del dorso linguale, eritema del palato e cheilite angolare
bilaterale e la vediamo soprattutto nei soggetti immunodepressi.

ERITROPLASIA: Placca mucosa rossa su palato molle/ pilastri tonsillari che non deriva da processi infiammatori
e non può essere ascritta ad altre condizioni cliniche o patologiche. È una condizione di displasia severa in cui
abbiamo un vero e proprio carcinoma in fase iniziale.
NB. una lesione orale non cancerosa/non precancerosa nel 99% dei casi regredisce dopo 3-6 settimane di terapia
medica convenzionale (antibiotici, antimicotici, vitamine, colluttori ecc).
DD con Candidosi Orale = rara, la forma pseudomembranosa nell’adulto in genere porta eritema del dorso
linguale, eritema del palato e cheilite angolare bilaterale. Più comune negli immunodepressi.

LICHEN PLANUS: Disordine infiammatorio mucocutaneo immunomediato, determinato da un’alterata


IPERattività del sistema immunitario che può essere cellulo-mediato (rimandabile all’azione dei TCD8 nei confronti
dei cheratinociti dello strato basale) od anticorpo-mediato. Non si sa perché i linfociti si attivino, ma si pensa che
l'aggressione possa essere legata ad una serie di condizioni di immuno- instabilità, che possono causare un'alterazione
dell'interfaccia e una risposta cellulo-mediata.
Per anni si è pensato che il lichen fosse una patologia autoimmune, ma in realtà ad oggi la tendenza si è discostata
da questa idea sia perchè l’Ag non è mai stato identificato sia perché il pathway di citochine è sempre diverso perché
esprimiamo un antigene self diverso(questo ci permette di escludere una patologia autoimmune). A ciò si aggiunge
che la mucosa è estremamente permeabile a una grossa varietà di fattori farmacologici, immunitari, microbiologici e
quindi non trovando mai l’antigene e avendo una risposta immunologica estremamente variegata riteniamo che sia
più una reazione immunologica e non una malattia autoimmune. Non si esclude che esistano, però, delle forme
veramente autoimmuni che noi chiamiamo LICHENOIDI e queste sono quelle forme che ritroviamo in corso di
connettiviti come il LES (sono classiche nel LES) o in forme di GVHD ( graft versus host disease) in cui le
manifestazioni cutanee croniche si esprimono come forme lichenoidi del cavo orale. Da ciò si capisce che si tratta di
una famiglia di manifestazioni con eziologia, patogenesi e prognosi completamente diversi.
Epidemiologia: L’incidenza è di circa 1-2%; i soggetti più colpiti sono le donne a partire dalla III-IV decade. Il lichen
colpisce tutte le età indistintamente. Il significato è però diverso perché probabilmente nel tredicenne è un’allergia
alimentare o una manifestazione locale, mentre nell’anziano può essere dovuto a malattie sistemiche e si associa ad
un alterato assetto immunologico o può essere secondario a malattie oncologiche (forma paraneoplastica).
Più che una precancerosi vera e propria è considerato un “disordine potenzialmente maligno” (cancerizza ancora
meno della leucoplachia). NB. Oggi si sta cercando di stabilire se la lesione lichenoide sia uno stadio molto precoce
di cancerizzazione; sicuramente la flogosi cronica può influenzare la progressione oncologica.
Patogenesi I cheratinociti dello strato basale esprimo un superantigene di membrana con un MHC I. Le cellule di
Langherans riconoscono questo antigene, lo processano ed espononoo gli epitope considerati più ‘utili’ che attivano
i linfotici T helper, che a loro volta stimolano i linfociti T citotossici, i quali attaccano le cellule basali. I linfociti
arrivano in sede sottomucosa disponendosi al di sotto dell’epitelio ed inducono citotossicità. Ovviamente tra
l’espressione dell’antigene e la citotossicità c’è tutta una cascata di cellule effettrici e di citochine, che poi sono in
grado di modulare la risposta linfocitaria. La risposta è amplificata dal sistema CD4, perché l’antigene è processato
e presentato dalle APC, quindi da questa amplificazione nascono le forme cheratosiche o ulcerate a seconda delle
citochine prodotte.

Gli antigeni possono essere vari, in quanto la modifica dello strato basale può essere dovuta a numerosi fattori:
-Infezioni virali (HCV)
-Prodotti batterici che inducono antigenicità
-Allergeni alimentari: la tolleranza immunologica delle mucose nei confronti dei tantissimi antigeni
alimentari con cui veniamo a contatto è importante
-Farmaci: antiipertensivi, ansiolitici, antidiabetici orali, anti Tyr chinasici(causa emergente)
-Traumi meccanici, colluttori, dentifrici, restauri odontoiatrici
-Malattie autoimmuni: connettiviti, LESà Alcuni pazienti in terapia per l’artrite psoriasica possono
presentare delle lesioni al cavo orale che se osservate mostrano l’aspetto lichenoide; questo ci induce a
cambiare la diagnosi e pensare che tale lesione sia espressione di connettivite.
-Sensibilità da contatto
-Displasia, malattia multiorgano, sindrome paraneoplastica
-Graft Versus Host Disease: un paziente trapiantato di midollo muore nel 55% dei casi per tumori solidi, nel
40% dei casi per lesioni orali, che ancora non riusciamo a gestire. Facciamo un follow-up mensile
bioptizzando anche aree apparentemente sane, con stress elevato per il paziente, ma ciò non è ancora
sufficiente. Inoltre la cancerizzazione segue un pattern non convenzionale, non lineare attraverso i consueti
step,per cui dobbiamo capire cosa succede.
Fattori di rischio: Per quanto riguarda i fattori di rischio, il cheratinocita deve avere un qualcosa che lo faccia
riconoscere dal sistema immunitario, non necessariamente autoimmune, ma anche alimenti, collutori, etc perché la
mucosa orale è molto permeabile. Il fumo, invece, non rappresenta un fattore di rischio.
Anatomia Patologica: L’istopatologia è variabile a seconda dell’aspetto clinico della lesione; è possibile osservare
vari gradi di iper/orto/paracheratosi nelle forme cheratinizzate o di acantolisi subepiteliale nelle forme bollose con
liquefazione delle cellule basali + atrofia delle creste epiteliali + apoptoi dei singoli cheratinocitià formazione di
corpi citoidi o di CIVATTE. La lamina propria ha un infiltrato A BANDE composto prevalentemente da linfociti T
che tarlano la membrana basale (a questo livello c’è un deposito di fibrinogeno → DD con malattie vescicolo-
erosive). Quindi all'istologico si vede un tappeto di linfociti sotto la membrana basale, abbastanza aggressivi, che
creano un danno ai cheratinociti dello strato basale (aspetto lichenoide); può colpire vari territori, soprattutto
tegumenti (mucose e cute) per cui è chiamata mucosite o dermatite dell'interfaccia (cioè epitelio sottomucoso).
Classificazione: Oggi vengono classificati in vari modi, ma in maniera semplicistica distinguiamo le reazioni
lichenoidi (connettiviti, forme paraneoplastiche, forme da contatto) dal lichen. Precisiamo inoltre che le lesioni non
sono sempre così nettamente distinte: Esistono casi di lichen su leucoplachia e di leucoplachia su lichen:
• La leucoplachia è una cheratinizzazione semplice che diventa displastica e poi carcinoma. All’inizio una
biopsia di leucoplachia mostra ipercheratosi e displasia. Se dopo due anni un’altra biopsia mostra che la
displasia è scomparsa ma è comparso un infiltrato linfocitario cd8+, questo potrebbe voler dire che le cellule
potenzialmente cancerose (che hanno subito una trasformazione molecolare con espressione di geni
modificati) potrebbero aver espresso degli antigeni proteici in membrana verso cui può essersi istaurarata
una risposta immunitaria. Quindi la comparsa della reazione lichenoide è un segno di progressione
oncologica non convenzionale. La displasia può essere un’altra condizione accompagnata da una reazione
lichenoide e il significato è lo stesso. Quindi se abbiamo lichen planus associato a sospetta displasia
molecolare operiamo per rimuoverlo.
• É possibile che possa svilupparsi una placca cheratosica sul lichen planus: non c'è reazione o infiammazione,
ma è autonoma e singola, è una zolla che si è autonomizzata → si parla quindi di “leucoplachia su lichen
planus” per indicare una zona di danno genetico che sta sfuggendo al controllo.
LICHEN PLANUS CONVENZIONALE: Il lichen planus convenzionale è quello che può comparire a qualsiasi età
con manifestazioni a livello orale e per motivi sconosciuti. Si pensa che sia una risposta reattiva ad uno stimolo che
ha permeato la mucosa orale e che sia in realtà privo di pericolosità o perlomeno con una pericolosità estremamente
bassa. Nel lichen convenzionale si ritrova una precancerosi nello 0,005/1000 (condizione rara), però ha il 2% di
prevalenza. Cancerizza ancora meno della leucoplachia, ha stima dallo 0,05 al 3 % quindi è abbastanza remota la
possibilità che questa evolva in un carcinoma. Tuttavia è una manifestazione orale estremamente frequente, la cui
incidenza è di 1.5%. Pensate che ogni mattina in ambulatorio arrivano 200 persone di cui 4 o 5 con lichen planus,
infatti noi abbiamo in follow up oltre 1500 persone con lichen che seguiamo periodicamente.
Clinica: Generalmente l’elemento caratteristico è una lesione papulareàL’infiltrato linfocitario crea una modifica
dell’epitelio che in genere è un inspessimento cheratosico, però non è una cheratinizzazione a placca (come nella
leucoplachiaà diagnosi differenziale) ma papulare (1-2 mm) bilaterale. Le papule generalmente si organizzano, si
aggregano a formare aree più grandi strutture reticolari (aspetto figurato: circolari, strie, raggiature a ragnatela) e ciò
ci consente di fare la diagnosi. È possibile trovare aree periferiche pigmentate (incontinenza del pigmento da parte
delle cellule).

Oltre la cheratinizzazione papulare ha altre caratteristiche inconfondibili: in genere è bilaterale (La bilateralità è un
segno tranquillizzante da un punto di vista oncologico), simmetrico e predilige la mucosa geniena e gengivale (50%
dei casi); potrebbe colpire anche la lingua, il palato e la cute(3-20% e si comporta diversamente; quindi lo mettiamo
insieme ma non sappiamo ancora se è la stessa malattia). Le lesioni cutanee hanno aspetto differente: rosso scuro
tondeggianti/poligonali pruriginose presenti soprattutto a livello di dorso, petto, superfici flessorie degli arti.
Possibilmente sono coinvolti anche altri distretti anatomici ed il letto ungueale. Può trovarsi anche in altre mucose
(cervicale, congiuntiva, laringe od esofago). Questi territori vengono colpiti prevalentemente dalle forme bollose di
lichen che poi guariscono con cicatrizzazioni. Quindi ritrovare questa lesione in un soggetto sano ci può rassicurare
sulla prognosi, il paziente va controllato una volta l’anno, ma in maniera rilassata e nonostante tale lesione richieda
poi la diagnosi definitiva istologica, generalmente tendiamo a risparmiarla per problemi di spazio.

Lesione Polimorfa: Proprio perché la risposta immunologica è estremamente polimorfa anche la clinica in alcuni casi
diventa estremamente polimorfa perché a seconda del pathway di citochine (quali IL6, INF gamma e altre citochine
varie) l’epitelio può cheratinizzare e le papule possono presentarsi sotto forma di placche, oppure si può avere un
danno endoteliale e l’epitelio invece di inspessirsi si assottiglia in forma atrofica e può dar vita poi a forme erosive
che possono complicarsi con fenomeni infiammatori più profondi, a causa di reazioni immunologiche violente,
formando ulcereà Quando l’epitelio si ispessisce si forma cheratina e la cheratina si assembla a formare
reticolazioni, quando l’epitelio se ne cade c’è erosione.. È una condizione polimorfa anche poiché le varie forme
possono coesistere. Il fatto che in alcune zone possa ritrovarsi erosione e, in altre, cheratinizzazione può dipendere
da vari fattori come alimenti, ristagno di saliva, morfologia della mucosa etc

Vi sono varie forme:


§ CHERATOSICA.
§ ATROFICA-EROSIVA (distruzione del tessuto→ tessuto di granulazione di colore rosso).
§ ULCERATOà L’ulcera generalmente si presenta con colore giallastro (per la deposizione di fibrina),
mentre l’erosione si presenta in rosso.
§ BOLLOSAà Qualche volta la reazione linfocitaria è talmente violenta che crea disagio cioè a livello dello
strato basale si vede un distacco e si determina una forma che definiamo bollosa. Le forme bollose più
comuni sono quelle gengivali. Noi in genere identifichiamo le bolle con uno strumentino odontoiatrico
(spatolina), nella vostra attività lo potete fare con un abbassalingua di legno, spezzandolo e facendolo a metà,
o con un ago e capire se la mucosa si può “pelare come una pesca matura” evidenziando così il “SEGNO
DI NIKOLSKY”. Il nikolsky è positivo per qualsiasi tipo di bolla perché non ti identifica la malattia, ma
solo una bolla e la sua profondità. Clinicamente è indistinguibile dal pemfigo, pemfigoide bolloso o delle
membrane mucose.

Sintomi: Il lichen è sintomatico se c'è perdita di sostanza e quindi la lesione è arrivata alla SOTTOMUCOSA. Le
forme reticolari cheratosiche no, si riconoscono solo all'osservazione perché sono asintomatiche. Inoltre recidiva
molto frequentemente. Se infatti non troviamo la causa, si tratta di una patologia cronica, quindi permane in maniera
costante cosicché se erode dà sintomi, ma quando è ipercheratosica no e le due fasi si alternano tra loro.

Diagnosi: In questi pazienti bisogna fare lo screening medico generale con EO, esami del sangue, VES, PCR, PSA,
i marcatori tumorali (se sospettiamo che sia una forma tumorale), eco addome. È importante sapere che è una malattia
immunomediataà andiamo a dosare C3, C4, fattore reumatoide, ANA ecc. NDR importante anche la sierologia per
HCV. In genere la diagnosi è clinica, ma si può richiedere una biopsia per un’adeguata diagnosi differenziali di forme
singole sul ventre linguale a placca/ulcerate con k cavo orale.
Se il paziente si presenta con febbre serotina, malessere, ferritina alta e una lesione del cavo orale che non guarisce
con le terapie convenzionali, dobbiamo sospettare un linfoma MALT.
DD: In presenza di un infiltrato linfocitico esagerato (monoclonale all’immunotipizzazione) e di un epitelio sottile è
ragionevole considerare la possibilità che si tratti di un MALToma. Inoltre, nella leucoplachia non riscontriamo un
infiltrato linfocitario (però presente in caso di evoluzione verso uno stadio precanceroso/tumore → in questo caso la
DD è difficile; nel lichen planus, poi, l’epitelio appare quasi sano mentre nella leucoplachia è più discheratosico.
Evoluzione: Il Lichen nel cavo orale resta localizzato o evolve? Se non è associato a tendenza di neoplasia o forme
da contatto, evolve e diventa bilaterale; se invece la causa è locale, resta localizzato. La caratteristica del lichen tipico
è la bilateralità e simmetria, se invece è una lesione singola ci preoccupa di più perché ci sono dei linfociti, stanno
reagendo a qualcosa, ma non si sa cosa sia. La progressione è: lesione omogenea, ben delimitataà lesione lichenoide
disomogeneaà lesione isolataà cancro
Se il paziente è una donna giovane, che non prende farmaci, non ha displasia ma infiltrato linfocitario CD8+
citotossico, è probabile che quella lesione evolverà verso un carcinoma, soprattutto se è una lesione isolata e non
diffusa, quindi la rimuoviamo.
Rimuoviamo la lesione lichenoide tutte le volte che sospettiamo displasia. Se è un lichen diffuso associato ad una
malattia immunitaria sistemica,possiamo fare un follow-up per vedere come evolve perché la mortalità non è così
elevata da giustificare un intervento. Tale follow-up è complesso,richiede un occhio esperto,non può essere fatto da
un dermatologo. Inoltre noi abbiamo la possibilità di effettuare più di 4000 visite ambulatoriali all’anno, ma solo i
casi di Lichen planus sono 1800,poi abbiamo quelli di dolore cronico che hanno una prevalenza più alta ecc. Quindi
dobbiamo saper intercettare le lesioni a rischio.
Si tratta di lesioni che recidivano molto frequentemente: infatti, se non si riconosce e rimuove la causa, assume
andamento cronico.
• Immaginiamo di fare una biopsia da una lesione cheratosica a placca della guancia destra singola, florida e
omogenea. L ’anatomopatologo può confermare che si tratti di una lesione cheratosica a placca con assenza
di displasia, però c’è un infiltrato polimorfo; c’è qualche linfocita, ma anche neutrofili e mastcells. La
diagnosi in questo caso è di una leucoplachia perché l’infiltrato polimorfo indica una flogosi cronica, ma non
una lesione immunologica.
• Se invece alla biopsia troviamo cheratosi e un infiltrato talmente esteso che raggiunge i muscoli allora vuol
dire che c’è qualcosa che non quadra. Infatti questo è un linfoma. Si può notare anche la tendenza a formare
follicoli.
Questo per dirvi che le lesioni vanno osservate in tempo e per questo la diagnosi di lichen è difficile.

Terapia: Essendo una malattia immunomediata, si basa su corticosteroidi e immunosoppressori locali o sistemici,
ma dato che si tratta di una malattia locale, si cerca di evitare i farmaci sistemici e si preferiscono quelli per uso
topico.
ü Steroidi ad uso topico: Clobetasolo mescolato ad un veicolo adesivo a base di carbosside e cellulosa →
altrimenti sarebbe dilavato e non resterebbe a lungo sulle mucose per il tempo necessario ad essere assorbito;
disponibili anche collutori a base di Betametasone e
ü Inibitori della calcineurina (Tacrolimus, Everolimus) possono essere usati per via topica.
ü Antimicotici (spesso Nistatina) → gli steroidi possono indurre immunocompromissione e facilitare
l’insorgenza di micosi.
ü Unguenti con collanti a base di vasellina

In genere, prima di mandare un pz in diagnostica, si fanno 3 settimane con antibiotici, antimicotici e collutori per
capire come risponde la ferita. Dato che il pz in ogni caso è asintomatico e non è certo se la terapia steroidea possa
avere un ruolo nella cancerizzazione, è buona norma riservarla solo a pz che sicuramente non sono a rischio.

FORME LICHENOIDI SISTEMICHE


• LICHEN IN CONNETTIVITI: Frequenti nel LES: lesioni lichenoidi, fessurazioni, placche, erosioni e
ulcerazioni solo nel palato.
• LICHEN IN GVHD: Sono lesioni floride molto importanti con coinvolgimento di tutta la bocca. La GVHD
cronica è molto frequente e cancerizza enormemente; perciò oggi si fa follow up mensili/ogni 2 mesi di
questi pz, anche se non sempre si riesce ad intercettarli (anche stringendo i tempi a 3 settimane come fanno
a Boston). Attualmente non si sa come comportarsi nei confronti di tali pz (con che frequenza bioptipizzarli,
se fare terapia locale) perché assenza delle conoscenze necessarie.
• LICHEN IN HCV: Deve essere quindi sempre inserito il test per HCV tra le indagini da eseguire (VES, PCR,
FR, Lupus anticoagulant...).
TUMORE CAVO ORALE
Il tumore del cavo orale parte come un’Alterazione Cromatica (un colore rosso può indicare eritema/ erosioni/
ulcerazioni; un colore bianco suggerisce ipercheratosi) mentre nella fase avanzata appare come una Lesione
esofitica-vegetante/endofitica-ulcerata. Lingua e pavimento della cavità-orale sono, in generale, le regioni
maggiormente coinvolte. Il pz è generalmente asintomatico.
Epidemiologia: Il ca del cavo orale è l’8° neoplasia più frequente nel sesso M, 14° nelle donne; rappresentando circa
il 3% dei ca presenti in tutto il mondo. I paesi più affetti da questo tipo di tumore tra i paesi in via di sviluppo sono
il Pakistan, il Brasile e l’India; in Europa la Francia per l’elevato consumo di alcool ha un’altissima percentuale di
questi tumori quindi non possiamo pensare che la sola condizione del Paese sia l’unico fattore di rischio. Tra i paesi
in via di sviluppo quello con più alto tasso di incidenza di OSCC (oral squamous cell carcinoma) sia negli uomini
che nelle donne è la Malesia, al secondo posto troviamo l’Asia seguita dalle Filippine per le donne.
I dati precedenti si riferiscono al 2009 e sono in parte superati. Attualmente (dati 2012-2014) le cose sono cambiate,
i paesi con incidenza >13/100000 sono aumentati, alla Francia si aggiungono infatti i paesi del centro-nord europeo
come la Germania, est-europeo (Ungheria, Bulgaria e altri) e Portogallo, l’Italia sta messa benino. L’incidenza adesso
più alta è in Ungheria. La mortalità invece è più alta nell’est europeo; abbiamo paesi con elevata incidenza e bassa
mortalità e viceversa paesi con bassa incidenza ma alta mortalità, cominciano a differenziarsi le curve
incidenza/mortalità.

Il cancro orale mentre come mortalità è invece al 2° posto (mortalità varia dal 40 al 70% in base al paese, mediamente
la mortalità a 5 anni è del 50% mortalità molto alta, paragonabile a quella del cancro del polmone). Attualmente i
morti per ca del cavo orale sono 127.459 ogni anno, di cui 96.720 nei paesi meno sviluppati, dove l’approccio alla
prevenzione è molto carente e porta a lesioni più severe e sviluppate. La mortalità per questo tipo di tumore è
maggiore in questi Paesi soprattutto per la prevenzione primaria che è veramente scarsissima. Il primo medico che
ha a che fare con questi pazienti dovrebbe essere l’odontoiatra, capite bene che spesso l’odontoiatra per una persona
povera non viene consultata come di dovere, ragion per cui si arriva dall’odontoiatra o dal chirurgo con quadri già
così severi.
Guardando la percentuale di sopravvivenza dei pt a 5 anni siamo al 51% quindi è piuttosto severa, ma dipende dal
sottotipo. È importante vedere come la sopravvivenza aumenti in maniera drastica lì dove si riesce a fare
un’importante prevenzione precoce.
• Sopravvivenza a 5 anni = 100% in caso di precancerosi/CIS
• Sopravvivenza a 5 anni = 75% per diagnosi precoce [importante anche alla luce dei costi del SSN], 50% in
scoperte standard del tumore.

Nota anatomica: l’orofaringe comincia con l’istmo delle fauci e la sua porzione anteriore è la base della lingua, quella
posteriore è la parete posteriore dell’orofaringe (continuazione del rinofaringe); lateralmente vi sono le tonsille palatine,
supero-anteriormente il palato molle.

Fattori di rischio: I FR più comunemente associati all’OSCC sono sicuramente il fumo di sigaretta e il consumo di
alcool. Questo è vero soprattutto nei Paesi più sviluppati, può cambiare in Paesi come l’India dove c’è una forte
masticazione di foglie di tabacco e di betel che influenzano drammaticamente l’incidenza di questa neoplasia e
rendono l’India tra i Paesi più affetti da questo tipo di tumore. Altri fattori importanti:
• Le abitudini alimentari,
• Lo stile di vita,
• L’esposizione a radiazioni,
• La scarsa igiene orale,
• La predisposizione genetica (importante soprattutto nello sviluppo di soggetti giovani che vediamo sempre con
più frequenza anche in assenza di abuso di fumo e alcool),
• E’ stata dimostrata un’associazione con HPV (oggi risulta opportuno vaccinare soprattutto le giovani ragazze per
HPV, con questa prassi vedremmo una riduzione di questi tumori soprattutto nelle giovani donne)
Bisogna precisare che la lesione da HPV appare diversa dalla lesione stimolata dal fumo: quella da HPV appare
biancastra piuttosto piatta, quella da fumo invece con caratteristica di ulcerazione, i margini sono diversi, appare
macrostopicamente diversi. Questo per quanto riguarda l’approccio clinico poi il sospetto ovviamente va confermato
dalla istologia che mette in evidenzia il papilloma virus. I tipi più implicati nella carcinogenesi del ca del cavo orale
sono HPV16 e HPV18. Fermorestando che alcool, cattiva igiene e fumo restano i principali FR. L’associazione rende
i FR particolarmente drammatici, se all’alcool aggiungiamo il fumo, il rischio è ancora più importante, quindi va
distinta la singola cattiva abitudine dall’associazione di più cattive abitudini poiché dal punto di vista di rischio
relativo l’impatto è molto importante.
Classificazione

• Tumori Epiteliali
o Ca in situ (si ferma a livello intraepiteliale),
o Ca a cellule squamose (spinocellulare) che rappresenta la quasi totalità (90% dei casi)

• Tumori Epiteliali Ghiandolari


o Ca in Adenoma pleomorfo, una trasformazione di una lesione benigna che subisce nel corso della
vita delle modificazioni per cui si trasforma da adenoma pleomorfo in carcinoma vero e proprio
o Adenocarcinoma
o Ca adenocistico
o Tumore mucoepidermoide
o Ca indifferenziato

• Tumori dei tessuti molli:


o Fibrosarcoma
o Liposarcoma
o Leiomiosarcoma
o Rabdomiosarcoma

Ndr

Vi è una classificazione che accomuna tutte le displasie del cavo orale: il Sistema di Classificazione
Internazionale delle malattie orali. Il carcinoma del cavo orale in questo particolare sistema di classificazione
viene definito come ICD‐O-
Ndr domanda scritto: qual è la sede più frequente del linfangioma? La lingua.
Clinica: Può mostrare escrescenze, interessamento cutaneo e ulcerazioni → massa ulcerata, sanguinante, rossastra,
dolente. NB. In caso di presenza di ulcere il prelievo bioptico va fatto più in periferia.
Si localizza soprattutto a livello della lingua, pavimento della bocca e mucosa del cavo orale in senso più generale
(trigono retromolare, commissura labiale, vestibolo della guancia).
In genere:
∼ Labbro: > 6mm di spessore = 20% linfonodi coinvolti
∼ Pavimento: > 2,5mm di spessore = 20% linfonodi coinvolti
∼ Guancia: i linfatici si trovano dopo i 4 mm.
In base alla localizzazione, le manifestazioni cliniche variano:
- Trigono retromolare (lì dove vanno ad inserirsi i muscoli masticatori) → algia all’apertura della bocca.
- Lingua → fissità della lingua, disfagia e disfonia. Nelle fasi iniziali provoca otalgia
- Diffusione verso la tuba → otalgia.

Fattori prognostici
• • Età • Grading
• TNM e stadio
• • Sede clinico
• Genetica (Mcm7 e
• • Sesso • Cdc6)
Chirurgia Maxillo-Facciale

Diagnosi
1. Anamnesi: RF, abitudini di vita, familiarità etc
2. EO:
a. Ispezione è volta ad individuare dimensioni, forme, bordi, localizzazione della neoformazione e l’eventuale
presenza di sanguinamenti spontanei o di ulcere; relazione con protesi dentarie incongrue (un traumatismo
cronico può causare l’insorgenze di tali neoplasie). Le dimensioni visive vanno poi confermate dalla
palpazione che ci permette già di capire se una lesione va a infiltrare i tessuti profondi. NDR: si possono
anche usare dei coloranti vitali (blu di toluene e acido acetico = metodo Vizilite) o metodi con
autofluorescenza (VELscope).
b. Palpazione ricerca dolorabilità, sanguinamenti alla palpazione, la fissità o la mobilità della neoformazione
rispetto ai piani sottostanti, il grado dell’estrinsecazione ai piani sottostanti, se vi sono elementi dentari
contigui alla zona che possano far pensare a una lesione partita da un contatto anomalo della parte
interessata dal tumore o se c’è una protesi che presenta alterazioni strutturali che va a ledere costantemente
la mucosa del cavo orale o la lingua.
Sicuramente la clinica da sola non basta a fare diagnosi, non perché si sia in dubbio se si tratti di un tumore o meno
in quanto le lesioni sono davvero eclatanti, ma per la necessità di capire l’estensione e la severità del quadro con la
diagnostica. La diagnostica ci dà l’idea della diffusione del tumore rispetto ai piani più profondi:
• coinvolgimento muscolare
• coinvolgimento degli spazi contigui
• estensione oltre la linea mediana (particolarmente importante per la lingua perché cambia
l’approccio rispetto al trattamento e all’estrazione linfonodale se la supera),
• rapporto con i vasi sanguigni
• infiltrazioni ossee (se l’osso è coinvolto è indice di alta gravità del quadro clinico)
• estensione endocranica
• estensione perineurale (estensione perineurale e endovasale sono fattori prognostici negativi)

3. Fibroendoscopia: la sonda penetra attraverso le cavità nasali e studia rinofaringe nella sua porzione alta,
orofaringe, ipofaringe e, in alcuni casi, laringe
4. TC/RMN con mdc:
a. TC → specificità del 47% ma è più sensibile. Andrebbe sempre effettuata negli stadi clinici precoci (il
tessuto neoplastico ha un maggiore potere contrastografico) in multiplanning (tridimensionale); inoltre ha
un maggiore potere discriminativo a carico dell’osso e permette anche lo studio dei linfonodi (linfonodo
nero – necrosi). Limiti: tumori molto piccoli che non assumono grosse quantità di contrasto, possono essere
difficilmente identificabili. Gli artefatti da materiale metallico per pregressi trattamenti odontoiatrici sono
un grosso limite per la qualità delle immagini. In caso di pz edentuli l’infiltrazione della midollare è più
difficile da valutare. La ricostruzione 3D non è l’indagine di scelta, ma in casi drammatici in cui l’estensione
va a tutto spessore, anche la 3d ci può dare informazioni.
b. RMN → Metodica diagnostica di prima scelta specie nello studio dei tumori della lingua per la valutazione
locale della patologia. Le diverse proiezioni assiale e coronale sono entrambe utilissime per valutare la gravità
clinica della patologia. Presenta una ottimale risoluzione di contrastoà valuta bene i tessuti molli e quindi
riesce a valutare se i piani muscolari e profondi sono infiltrati o meno. È sensibile anche per valutare
l’infiltrazione della componente midollare dell’osso: in seguito a trattamenti odontoiatrici con la TC abbiamo
artefatti che possono inficiare la qualità dell’esame. È inoltre molto efficace per dimostrare la diffusione
perineurale della malattia, soprattutto nelle ghiandole salivari minori. Infine ha la capacità di individuare anche
piccole lesioni (< 5mm) e di studiare dettagliatamente i linfonodi. In generale, nello studio dei linfonodi, è
importante la valutazione dei siti controlaterali. Inoltre, consente lo studio dettagliato delle strutture non ossee
(importante per la programmazione chirurgica). Controindicazioni: Pz che non possono o non vogliono
effettuare l’esame per claustrofobia, pt con pacemaker (vi sono però dei pacemaker di ultima generazione
compatibili o che possono essere temporaneamente interrotti), clips chirurgiche di vecchia data per cui non si
è certi che il materiale utilizzato sia il titanio (il titanio è compatibile, gli altri metalli no quindi se non si è certi
del materiale non può essere fatta la MRI). Il problema degli artefatti esiste anche con la risonanza, ma sono
principalmente legati al movimento del pt che può avere difficoltà a mantenere la posizione a lungo tempo.
Il pt va studiato con contrasto sia per la MRI sia per la TC, va valutato nelle diverse fasi il comportamento
dell’assunzione del contrasto: in fase precoce, vedete qua la lesione come appare netta, linfonodale, e come in effetti
qua assume contrasto nel tempo.
5. Ecocolordoppler: Con l’eco si vedono bene le metastasi, si può studiare l’ilo dei linfonodià quelli della regione
laterocervicale (prima stazione di diffusione). Dalle caratteristiche ecografiche si può capiare se quel linfonodo
deve destare sospetti o può essere controllato, quindi distinguiamo i linfonodi reattivi da quelli metastaticià nei
secondi vi è un sovvertimento della struttura. I parametri da considerare allo studio ecografico del linfonodo in
pt sospetti N+ (ndr da TNM) sono: dimensioni, morfologia, caratteristiche di lesione intra o extranodale,
caratteristiche dell’ilo ovvero struttura e vascolarizzazione, perciò chiediamo il doppler, per studiare bene le
strutture vascolari. Metodica operatore dipendente. Accuratezza del 95% se associato a citoaspirato.

6. Biopsia: importante stabilire istotipo e grading (numero di mitosi per campo→ G1-4). Serve per la conferma
della diagnosi clinica, va prelevato un tessuto adeguato, non troppo poco e non solo nella zona di necrosi, in
quanto la necrosi non è indice di tumore ma è una conseguenza della lesione tumorale, ragion per cui le biopsie
vanno fatte sempre di una dimensione adeguata, al limite tra tessuto clinicamente sano e tessuto francamente
malato.
• Le biopsie incisionali (punch biopsy) sono quelle per la conferma istologica, eseguite tra bordo sano e
bordo malato, non al centro della lesione. Si effettua per lesioni estese con un concotomo (non con bisturi,
per evitare i punti di sutura, dato che il concotomo va ad incidere il tessuto piuttosto che tagliarlo) ai
margini di essa (al centro potrebbe esserci ulcerazione/necrosi). Successivamente non si effettua
suturazione perché questo potrebbe portare alla creazione di tessuto cicatriziale che in un secondo
momento potrebbe rendere difficoltosa la differenziazione con il tessuto neoplastico. I punti di sutura,
inoltre, determinano un rapporto più stretto tra tessuto neoplastico e tessuto sano rendendo più difficile
la valutazione dei margini e portando ad una escissione più ampia. Ancora, non si ricorre all’uso di laser
o criochirurgia.
• Le biopsie escissionali Si effettua per lesioni di dimensioni limitate, in cui non vi è coinvolgimento di
strutture linfonodali accertato, cioè che possono essere asportate in toto e se poi, in seguito, è possibile
ricostruire la zona anatomica; l’obiettivo è ottenere dei margini belli ampi, di circa 1,5- 2cm ai lati e in
profondità). Ha lo scopo di recuperare un reperto diagnostico ed asportare la lesione. (si spera sia
radicale). Escissione in toto con i margini che vanno sempre identificati per sapere se la lesione è presente
in uno dei margini per andare a fare un allargmaneto quindi una radicalizzazione dell’asportazione
chirurgica; quindi non basta rimuoverla ma vanno segnalati i margini. Dovete ricordare che le neoplasie
“decapitate” in cui rimane un residuo profondo infiltrante hanno una prognosi negativa quindi è
importante cercare di approcciare nella maniera più completa il pt da un punto di vista chirurgico. Le
procedure fatte in maniera approssimativa rappresentano un problema per il continuo del trattamento del
pt e possono anche aggravare il quadro clinico successivo.

NB.
− In formalina il tessuto tende a retrarsi ulteriormente. Questo fenomeno della retrazione è dovuto alla mancata
vascolarizzazione e all’effetto del trattamento con formalina.
− Il pezzo operatorio va orientato, cioè vanno messi dei punti di repere per capire come era posizionato la lesione
→in questo modo se l’anatomopatologo trova del tessuto neoplastico su di un margine, noi possiamo sapere di
quale margine si tratta e ci permetterà di andare a radicalizzare quella zona; se questo non viene fatto dovremmo
andare a radicalizzare l’intera zona aumentando le dimensioni della lesione di escissione.
− Non bisogna mai bruciare una lesione con crioterapia o altre terapia senza biopsia perché questo non permette
diagnosi di tumore, permettendo al tumore di espandersi in maniera considerevole.
− Dopo fissaggio in formalina sarà possibile valutare la malignità della lesione ma non sarà possibile
effettuare esami di immunoistochimica.

7. Ricerca di Metastasi:
a. Negli Stadi clinici precoci può essere sufficiente procedere con RX toracica e Eco-addome superiore
(polmone e fegato sono gli organi più colpiti)
b. Negli Stadi clinici avanzati va effettuata una TC-total body (controindicazioni: allergie al mdc, insufficienza
renale, gravidanza); PET-TC total body che fonde due metodiche (l’uso del 18FDG la rende controindicata
nei pz diabetici), che individua perfino neoplasie < 1cm → dato l’alto consumo cerebrale e cardiaco di glucosio,
possono verificarsi Falsi Positivi; i FP possono verificarsi anche in seguito a trattamenti chirurgici o
radioterapici data la flogosi ed i processi di rimaneggiamento nei tessuti → aspettare almeno 4-6 mesi
dall’operazione. In generale, la specificità maggiore è per la PET-TC, mentre la sensibilità maggiore è
per RMN.
L’imaging offre informazioni obiettive circa estrinsecazione in profondità della neoplasia ed il coinvolgimento dei
singoli muscoli → possibilità di formulare un corretto piano terapeutico. NB: Bisogna valutare le sedi meno
facilmente esplorabili: il trigono retromolare, gli spazi sottolinguali e sottomandibolari. Ancora, sono valutabili gli
spazi limitrofi (eventuale interessamento osseo, vascolare, nervoso ed intracranico). Una volta che abbiamo tutti i
dati a disposizione possiamo scegliere il piano chirurgico più adeguato, e se approcciare anche al collo con la
rimozione di linfonodi che potrebbero essere coinvolti dalla neoplasia o che sappiamo dalle indagini effettuate già
coinvolti; le metastasi linfonodali sono infatti le prime che ritroviamo nei ca del cavo orale. Non esiste una
diagnostica completa del ca del cavo orale senza lo studio dei linfonodi del collo.
TNM: Il TNM clinico è basato su EO, imaging pre-operatorio etc (indizi diagnostici che non sono una certezza); il
TNM patologico (classiicazione AJCC) è eseguito sul pezzo operatorio ed è più importante ai fini prognostici (c’è una
valutazione microscopica).
TNM aggiornato al 2018
T

Tx Non valutabile Tumori a T ignoto


T0 Assenza di neoplasia primitiva
In alcuni pz si possono avere dei
Tis Carcinoma in situ linfonodi latecervicali positivi,
neoplastici, e non riuscire a trovare
T1 < 2 cm di diametro massimo, invasione £ 5 mm il

T2 2-4 cm di diametro massimo, invasione 5-10 mm tumore primitivo.


>4 cm di diametro massimo; non coinvolgente organi/strutture vicine,
T3 invasione > 10 mm
a. Coinvolge le strutture vicine, asportabile chirurgicamente (es. Mandibola, mascella, seno mascellare, cute,
T4 muscoli estrinseci della lingua, seno mascellare, n. Alveolare)
b. Coinvolge le strutture vicine, non asportabile chirurgicamente (es. Basicranio, carotide interna)

NB. Muscolatura lingua: i mm intrinseci (longitudinale, trasverso) sono molto superficiali, quelli estrinseci
(genioioideo, genioglosso, ioglosso, condroglosso, stiloglosso, glossopalatino, faringoglosso, amigdaloglosso) profondi.

N
Nx Non valutabile
N0 Non interessati
N1 Singola linfoadenopatia laterocervicale omolaterale alla lesione D massimo < 3cm
a. Singola linfoadenopatia laterocervicale omolaterale alla lesione
N2 b. Multiple linfoadenopatie laterocervicali omolaterali alla lesione D massimo < 6 cm
c. Coinvolti linfonodi bilaterali/controlaterali
N3 Qualsiasi linfoadenopatia D > 6cm
Ndr N3b: estensione extranodale (cute, nervi ecc nelle vicinanze del linfonodo)

Un linfonodo metastatico è in genere fusiforme, ovalare, a margini mal definiti, necrotico al centro, con
vascolarizzazione completamente sovvertita.
M
Mx Non valutabile
M0 Metastasi assenti
Neoplasie epiteliali → fegato, cervello
M1 Metastasi presenti
Neoplasie mesenchimali → polmone, cervello
NB. Alla M possono seguire dei suffissi che indicano la regione coinvolta dalle metastasi;
per esempio:
- Osso → B; - Polmonare → PUL;
- Fegato → L; - Cervello → BR.

Sulla base della classificazione TNM si possono riconoscere diversi stadi clinici:
I T1, N0, M0 Precoce
Indicata RT o chirurgia
II T2, N0, M0 Precoce
III T1-3, N1 + T3, N0 Localmente avanzato
a. T4a/N2
RT + chirurgia
IV b. T4b/N3 Avanzato
c. M1, linfonodali non locoregionali o a distanza
Chirurgia Maxillo-Facciale

Ndr da esperienze orali con Dell’Aversana: la nuova edizione del TNM è del 2018 e rispetto all’edizione vecchia comprende
lo spessore di invasione e divide n3 in 3a e 3b.
Scelta Del Trattamento: La scelta deve essere mirata a una radicalità e una minima invasività terapeutica, può
condizionare le nostre scelte:
- La difficoltà del sito o la sua estensione,
- La presenza o assenza delle linfoadenopatie laterocervicali,
- La presenza o assenza di infiltrazione ossea e perineurale,
- La presenza di metastasi a distanza,
- La conferma istopatologica di un tipo particolarmente aggressivo rispetto a uno a prognosi migliore,
- Gli esiti della chirurgia,
- L’età, ma soprattutto lo stato e le condizioni generali del pz, quindi le comorbilità che possono influenzare le
scelte terapeutiche

TUMORE DEL LABBRO: Diverse tecniche possono essere tutte adeguatamente soddisfacenti con esiti più o meno
importanti secondo l’estensione del labbro, il concetto è sempre cercare di ripristinare la continuità del labbro senza
microstomia (che potrebbe complicare l’alimentazione); è importante assicurare un adeguato movimento delle labbra
per l’articolazione di suoni o parole.

La continuità del labbro dopo asportazione è possibile grazie ad un lembo muscolare; il tipo di lembo utilizzato
dipende dall’interessamento del labbro da parte della neoplasia:
• <1/3 → lembo di rotazione, che in un secondo momento è modellato poi tramite commissuroplastica.
• 1/3 - 2/3 → tessuto cutaneo del solco nasogenieno irrorato dall’arteria facciale; anche qui poi segue
commissuroplastica (porzione mediana).
o Un altro tipo di intervento prevede l’utilizzo di un lembo proveniente dall’emilabbro sano (poi ruotato
sulla porzione di labbro lesionato); in questo caso il pz avrà per circa 15 giorni un lembo davanti alla
bocca (questo è peduncolizzato → in un secondo momento andrà incontro ad una certa autonomia) →
in genere si fa per il labbro superiore.
o Talvolta bisogna ricorrere a lembi distanti asportati con il loro peduncolo vascolare (innesti) e
poi anastomizzati con i vasi del collo (lembo di avambraccio o di un pettorale).
NB: Differenza innesto/lembo
• Innesto è il lembo che conserva la sua vascolarizzazione → non deve essere a tutto spessore,
altrimenti non attecchisce.
• Lembo → può essere peduncolato (rimane attaccato alla sede d’origine) o rivascolarizzato (anastomizzato
con altri vasi).

Interventi:

• Per lesioni che possono essere eradicate in toto tramite


biopsie escissionali con ricostruzioni relativamente
semplici e non particolarmente destruentià Resezione
del labbro inferiore: “a cuneo / a V” (detta in inglese
wedge resection) oppure “a W”

• Quando si tratta di lesioni che vanno dal terzo interno ai


2/3 del labbro dobbiamo estenderci in maniera più
ampia e più radicale per rimuovere interamente il
tumore: intervento di Estlander modificato per cercare
di asportare e ricostruire con un piccolo lembo di
rotazione dal labbro superiore al fine di ricostruire in
maniera semplice ma adeguata la continuità del labbro.
• Per quanto riguarda le resezioni laterali con una perdita
di sostanza tra il 1/3 e i 2/3 del labbro un’altra tecnica
proposta è l’intervento di Von Bruns, sono sempre
lembi di scorrimento vicini o di rotazione, senza prelievo
di altri tessuti da altre sedi.

• Per quanto riguarda le lesioni mediane in cui prevediamo


un’ampia asportazione tra 1/3 e i 2/3 del labbro: intervento di
Camille-Bernard sembra dare un ottimo successo estetico e
funzionale: una volta asportato il tumore nella zona mediana si
allestiscono due lembi dal solco naso-labiale e si ruotano per
ricostruire il labbro

• Lesioni mediane con perdite prevedibili d sostanza


comprese fra 1/3 e 2/3 del labbro: la “tecnica a
gradino”.

• Resezioni a tutto spessore del labbro superiore:


interventi mediani con perdite prevedibili di sostanza
non superiori a 1/3 del labbro: Sabatini-Abbè con lembi
rotazionali.

• Quando la lesioni si trova all’esterno bisogna ricostruire


anche la commissura labiale, possiamo riprendere il
labbro inferiore secondo Estlander e ruotarlo per
ricostruire il superiore mancante. Si tratta di interventi
laterali con perdite prevedibili di sostanza comprese tra
1/3 e 2/3 del labbro.
• Particolarmente difficile è la ricostruzione delle lesioni
che riguardano la commissura labiale poiché la saliva
ostacola la normale guarigione. È difficile ricostruire
esattamente la commissura, è fattibile in mani esperte
con commissuroplastica per gestire sia le lesioni
cicatriziali in seguito a una chirurgia sul labbro, sia le
lesioni che partono e coinvolgono in maniera primaria la
commissura labiale.
Ndr: si ricostruisce la muscosa labiale della commissura
prendendo dei lembi di mucosa della guancia che sta
dietro.

Per quanto riguarda i tumori del labbro le difficoltà a cui andiamo incontro sono:
- L’aspetto estetico che viene stravolto dalla chirurgia,
- Le conseguenze sulla contenenza salivare,
- Il continuo di masticazione e deglutizione congrue
- Asimmetrie che ne possono conseguire
- Limitazioni alla parola che possono seguire a una chirurgia demolitiva
TRATTAMENTO LINGUA. Possiamo fare resezioni parziali per lesioni di piccola dimensione, ovvero
emiglossectomie parziali senza dover necessariamente pensare ad una ricostruzione, mentre quando coinvolgono in
maniera importante i tessuti profondi (T2, T3, T4) si è costretti a ricostruire le strutture ormai assenti. Si procede con
glossectomia per via endoorale o se difficile da raggiungere (base della lingua), si utilizza la metodica pull through
transcervicale (cervicotomia, passaggio pezzo operatorio attraverso questo taglio), o ancora si può avere un approccio
trans mandibolare. Può essere necessaria mandibulectomia, per estensione a quest’ultima.
Questa è un’emiglossectomia trattata con lembo microchirurgico di radiale: si preleva il lembo dalla zona radiale con
arteria e vena annessa per ricostruire al meglio la funzione della lingua e garantire la normale irrorazione del lembo
(considerate che questi vasi vengono prelevati in maniera microchirurgica, sotto la guida del microscopio) venendo
abboccati alle arterie e alle vene del collo che sono disponibili per l’inserting.

TERAPIA GUANCIA. Bisogna sempre garantire un margine sano di almeno 1-2 cm e spesso si associa il trattamento
dei linfonodi del collo, e nel caso di un coinvolgimento parotideo, potremmo arrivare a fare anche una
parotidectomiaà infatti sono lesioni particolarmente aggressive. Una volta asportata la lesione è possibile ricostruire
il tutto anche con lembi peduncolati come il pettorale: il tessuto viene fatto passare al di sotto della spalla, attraverso
il collo per ricostruire il deficit.

TRATTAMENTO PAVIMENTO ORALE.


• Per lesioni piccole (ndr Tis, T1) si possono eseguire delle
resezioni endorali semplici.

• Per le lesioni di maggior dimensioni (ndr T2-T3 con


infiltrazione della lingua) si eseguono fino a vere e proprie
emiglossopelvectomie (“pull- through”: attraverso la
mandibola) a seconda dell’estensione e della gravità della
patologia: si fa l’asportazione della lingua, della pelvi orale
e dei linfonodi del collo in un monoblocco. Ad esempio per
i tumori in fase molto avanzata che hanno superato la linea
mediana si procede con una glossectomia totale o subtotale
con linfoadenectomia annessa.
Questa è una glossectomia totale o subtotale con linfoadenectomia
annessa, in questo caso viene utilizzata per tumori in fase molto
avanzata, che hanno superato la linea mediana, in cui riusciamo ad
asportare 2/3 del corpo, l’emibase della lingua, il pavimento orale e
quando vi è coinvolgimento della mandibola, anche il tessuto
mandibolare coinvolto.
TRATTAMENTO PALATO. Possiamo fare resezioni transorali che
vanno a guardare solo la porzione posteriore del palato e ricostruirla con
lembi di vicinanza, o via para-latero-nasale secondo Weber-Ferguson
per i tumori che infiltrano l’intero seno mascellare, quindi la demolizione
in questi casi deve essere molto più ampia, con vere e proprie
maxillectomie. L’approccio così esteso serve a garantire la radicalità
chirurgica: si va ad asportare tutta la lesione ossea e i tessuti coinvolti. È
possibile ricostruire in diversi modi: dal più semplice, con protesi
otturatrici per ridare continuità al palato ma con una scarsa ripresa
funzionale ed estetica; o con dei lembi miofasciali (muscolo temporale),
cutanei (frontale), o muscolari (sternocleidomastoideo). Nell’img vedete
il prelievo di un lembo miofasciale del muscolo temporale.
Allestimento: si scolla tutto il m. temporale, il lembo è preparato, ruotato,
inserito in cavo orale attraverso l’arco zigomatico, e va a ricostruire tutta la zona demolita del mascellare superiore.

TRATTAMENTO TRIGONO RETROMOLARE:


Asportazione della neoplasia con box osseo mandibolare. Exeresi
con resezione marginale della mandibola, l’asportazione del
trigono retromolare con svuotamento dei linfonodi del collo. Sono
zone molto a rischio per la disseminazione metastatica quindi in
questi casi è sempre consigliabile eseguire contestualmente la
linfoadenectomia.
TRATTAMENTO DELLE AREE LINFATICHE
Quando si parla di tumore del cavo orale bisogna sempre prendere in considerazione anche la possibile
metastatizzazione linfonodale, in particolare laterocervicale, dove le vie di drenaggio linfatiche portano alla possibile
presenza di metastasi locoregionali. In base all’incidenza, le sedi che più frequentemente metastasi ai linfonodi del
collo sono:

- Lingua e pavimento buccale, - Gengiva superiore,


- Gengiva inferiore, - Palato duro,
- Mucosa geniena, - Labbra
Inoltre, esistono pazienti che tecnicamente non hanno linfadenopatia laterocervicale (si parla di linfadenopatia quando
il linfonodo è malato, non quando è infiammato) però si è visto che questi pazienti (clinicamente N0), dopo aver
effettuato una linfoadenectomia laterocervicale profilattica, sono risultati positivi: questi pazienti sono cN0
(clinicamente N0) ma patologicamente pN+. Si è visto che in alcune neoplasie, in base all’estensione del tumore
primitivo e in base al grado di differenziazione, è opportuno eseguire una linfoadenectomia laterocervicale anche se
cN0.

Il collo viene suddiviso in 5 livelli, anche se in realtà


sono 6-7, il settimo livello è quello sovrasternale, il
sesto livello è quello tiroideo sulla linea mediana. I
primi 5 sono quelli che interessano maggiormente la
chirurgia maxillo facciali proprio perché coinvolti
nei tumori del cavo orale, mentre i livelli 5, 6 e 7 sono
prevalentemente di pertinenza tiroidea-laringea o
polmonare-mediastinica.
Esistono una serie infinita di lavori che parlano della
metastatizzazione linfonodale, chiaramente le % di
metastatizzazione linfonodale differiscono dalla sede
del tumore: un tumore del labbro avrà una maggiore
probabilità di metastatizzazione a livello I (zona
sottomentoniera), viceversa un tumore della lingua
metastatizza con elevata frequenza a livello III.
1. Livello 1 (61%): contenuto del triangolo sottomentoniero e sottomandibolare in corrispondenza del ventre anteriore
del digastrico.
a) L. sottomentonieri compresi tra osso ioide (inf.), sinfisi mentoniera (sup.), ventre anteriore digastrico (ant.)
b) L. sottomandibolari compresi tra ventre posteriore digastrico (inf.), corpo della mandibola (sup.), ventre
anteriore digastrico (ant.), stiloioideo (post.)
2. Livello 2 (57%): linfonodi giugulari superiori, giugulodigastrici, cervicali posterosuperiori
a) Delimitato da basicranio (sup.), osso ioide e biforcazione carotidea (inf), stiloioideo (ant.), piano verticale
descritto dal n. accessorio spinale (post.) Nuova sbob: Tra ventre post digastrico e N accessorio
b) Delimitato da basicranio (sup.), osso ioide e biforcazione carotidea (inf.), piano verticale descritto dal n.
accessorio spinale (ant.), margine laterale dello SCM (post.). Nuova sbob: tra N. accessorio e mastoide
3. Livello 3 (44%): linfonodi giugulari medi
Compreso tra bordo inferiore del livello II (sup), omoioideo e cartilagine cricoidea (inf.), bordo laterale
sternoioideo (ant.).
4. Livello 4 (20%): linfonodi giugulari inferiori, scalenici, sovraclavicolari
Compreso tra bordo laterale sternoioideo (ant.), bordo lat SCM (post.), bordo inferiore del III livello (sup.),
clavicola (inf.).
5. Livello 5 (4%): linfonodi del triangolo posteriore del collo
a) Inizia all’apice del triangolo delimitato posteriormente da inserzioni di SCM e trapezio; delimitato da una
linea che passa per la faccia inferiore della cartilagine cricoide (inf.), bordo posteriore dello SCM
(medialmente), bordo anteriore trapezio (lateralmente);
b) Delimitato da bordo inferiore della cartilagine cricoide (sup.) e clavicola (inf.).

Esistono anche altri 2 livelli, in genere mai positivi per tumore del cavo orale/delle parotidi:
6. Livello 6: zona mediana del collo interessata prevalentemente dai tumori tiroidei o laringei. L. ricorrenziali in
prossimità del n. ricorrente:
a) Linfonodi retrofaringei, pericarotidei (nei linfomi),
b) Linfonodi del m.buccinatore,
c) Linfonodi posteroauricolari (nelle neoplasie cutanee del capo)
d) Linfonodi suboccipitali.
7. Livello 7: l. mediastinici, si positivizzano per tumori del polmone

SPESSORE DELLA NEOPLASIA: La metastatizzazione in realtà è completamente differente perché il rapporto di


metastatizzazione varia a seconda dell’estensione in profondità della neoplasia, lo spessore della neoplasia è molto
importante in questo senso:
- Neoplasia infiltra la mucosa/sottomucosa per meno di 2 mm → incidenza di metastasi del 13% (bassa) e una
mortalità del 3%.
- Neoplasia supera la mucosa (tra 3 e 8 mm) l’incidenza di metastasi arriva al 46% e aumenta la mortalità.
- Neoplasia supera lo spessore compreso tra 5-8 mm → infiltra i tessuti sottostanti in profondità e ha un elevato
rischio di metastatizzazione.
- Neoplasia supera gli 8 mm l’incidenza di metastasi raggiunge il 65%.

Anche rischio di metastasi occulte (cN0 e pN+) aumenta sempre


più in relazione al “tumor thickness”. Questo parametro T o
tumor thickness è quindi fondamentale perché guida il nostro
approccio terapeutico, ci fa capire che tipo di procedura dover
fare per ottenere una radicalizzazione massimale.
- 7% per neoplasie <2mm di spessore,
- 26% per neoplasie comprese tra 3 e 8 mm,
- 41% per neoplasie >8 mm
Se abbiamo un’elevata percentuale di metastasi occulte allora
dovremmo fare una linfadenectomia profilattica.
Se noi abbiamo un nucleo di necrosi centrale per capire qual è lo
spessore della neoplasia si può valutare il contorno della
neoplasia, quindi andare a ricostruire lo spessore (spessore di
infiltrazione ricostruito).
Le metastasi occulte: sono metastasi non clinicamente identificabili, classico caso tumore del cavo orale: ecodoppler e
tc negative per metastasi linfatiche, con evidenzia all’esame anatomo patologico di metastasi ® vuol dire che le
metastasi c’erano ma erano in transito o troppo piccole quindi clinicamente non erano state identificate.

ASPORTAZIONE DEI LINFONODI


- Paziente con metastasi laterocervicali → linfoadenectoimia laterocervicale,
- Paziente senza metastasi → è necessario sapere in quale paziente effettuare una linfoadenectomia profilattica
preventiva e in quali non effettuarla.
I livelli più interessati sono 1 2 e 3; il 5 è interessato solo nel 2% dei casi (domanda scritto).

Di solito l’intervento si fa in un unico tempo perché è stata osservata la presenza di un tratto (definito T-N) tra la
neoplasia e la catena linfonodale, in cui sono presenti metastasi “in transito” → asportando la neoplasia in blocco con i
linfonodi si ha la certezza di aver asportato anche questo tratto. L’intervento può essere a due tempi quando si effettua
una biopsia escissionale e si evidenzia una neoplasia con spessore > a 3 mm → linfoadenectomia a due tempi, di solito
40 giorni, così che le “metastasi in transito”, ovvero quelle tra la sede primitiva e i linfonodi, vadano a localizzarsi a
livello dei linfonodi laterocervicali.

La sopravvivenza è ridotta del 50% nel caso di N1-2ab (interessamento di linfonodi metastatici omolaterali) e del 75%
nel caso di N2c (linfonodi controlaterali o bilaterali).
La classificazione delle stazioni linfonodali serve sia a comprendere quali sono i linfonodi interessati dalla neoplasia
sia perché esistono vari tipi di linfoadenectomie laterocervicali. Abbiamo 3 tipi di linfoadenectomie: comprehensive,
selective, extended.
Nb: se il paziente è N+ si fa sempre la linfoadenectomia radicale.

I. Comprehensive: chiamate così perché coinvolgono TUTTI i livelli linfonodali


− Linfoadenectomie Radicali (Radical Neck Dissection) → si asportano tutti e 5 i livelli linfonodali, compreso il
muscolo sternocleidomastoideo, vena giugulare interna e nervo accessorio spinale.
I linfonodi non vengono asportati uno ad uno ma vengono asportati in fasce: ci sono 3 fasce a livello
laterocervicale, superficiale media e profonda.
− Linfoadenectomie Modificate (Modified Radical Neck Dissection) → tipo 1, 2 o 3 a seconda di se vengono
preservate strutture nervose vascolari o muscolari (in ordine di importanza).
a. Tipo 1 → conservato il nervo accessorio,
b. Tipo 2 → conserto il nervo e la vena giugulare interna,
c. Tipo 3 → conservato nervo, vena e muscolo sternocleidomastoideo (rispetto alla Radicale).
NB. Si tende a preservare in base alla “nobiltà” delle strutture, il N. accessorio spinale è fondamentale nei
movimenti di adduzione della spalla, va sul deltoide, quindi quando c’è una neurotmesi o una neuroabrasia di questo
nervo i pt hanno la “shoulder syndrome”, ovvero dolore e difficoltà nei movimenti di adduzione alla spalla.

II. Selective viene asportato solo un gruppo di linfonodi, perché il paziente è clinicamente N0 ma è stato
osservato che anche neoplasie di piccole dimensioni diffondono a quei determinati linfonodi.
− Anterolaterale → livelli da I a IV.
− Posterolaterale → esclude il livello I, ma comprende il livello V (è utile in neoplasie parotidee, o
comunque posteriori, come il lobo dell’orecchio, che diffondono posteriormente).
− Superolaterale → solo il II livello.
− Inferolaterali → solo il IV livello.
− Sopraomoioidee (strutture al di sopra del muscolo omoplata ioideo) → solo i primi 3 livelli; è la più
eseguita nei pazienti N0.
− Laterale → dal livello II al livello IV (utilizzata soprattutto quando ci sono tumori della laringe).

III. Extended oltre a nervo, vena e muscolo, si asportano anche altre strutture interessate ad esempio la cute (si
asporta l’area cutanea sovrastante il linfonodo laterocervicale), altri muscoli oppure linfonodi posti posteriormente
a livello della mastoide ( retronucali oppure paratiroidei).
Come si esegue una linfoadenectomia:
• Si incide cute, sottocute, poi il muscolo platisma,
• Ci si porta sulla fascia cervicale superficiale e si va a ripulire tutto il muscolo Sternocleidomastoideo da
questa fascia
• Ci si porta sulla fascia cervicale media (al di sopra della vena Giugulare Interna).
• Si scende ancora più in basso avendo come ultimo piano la muscolatura stiloidea, gli scaleni.
• Si procede anteriormente per arrivare alla regione sottomandibolare e sottomentoniera.
• I linfonodi vengono asportati con tutte le fasce (come “i pesciolini nella rete”)

Criteri Di Scelta:

• Se ho un’evidenza clinica di un linfonodo nel collo allora è chiaro che devo fare una linfoadenectomia terapeutica,
in genere se non c’è evidenza macroscopica di un’invasione dello sternocleido, dell’accessorio o della giugulare, si
fa una comprehensive modified radical tipo 3 (con tutti e 5 i livelli di linfonodi ma salvaguardando le altre strutture);
• Se invece non ho evidenza clinica del collo, ho un tumore piccolo ad esempio al margine linguale, faccio l’esame
clinico ma risulta essere negativo per i linfonodi, Tc negativa quindi lo classifico come N0. Se lo tratto rischio
comunque un overtreatment, la shoulder syndrome, i nervi del collo, l’edema, ecc… se invece non lo tratto vado
incontro al rischio di metastasi occulte, per decidere ci sono dei parametri:
o Uno è il thickness: un tumore più ha un thickness elevato più ha probabilità di avere metastasi
o L’altro è il G: più un tumore ha G elevato, più fa mitosi, più ha probabilità di metastasi
o L’altro parametro è la localizzazione: un tumore della pelvi ha un’elevata probabilità di aver dato
metastasi perché più vascolarizzata.
In questo caso si da una linfoadenectomia profilattica, per scongiurare il rischio delle metastasi occulte, in genere si
sceglie di fare una selective dei livelli I-III (sopra-omoioidea). Mandando il pezzo in anatomia patologica a quel punto
la stadiazione non sarà più solo clinica ma anche patologica, quindi magari invece di cN0 potrebbe comparire pN1.

FATTORI PROGNOSTICI
Il più importante è la presenza di metastasi linfonodali, che induce un decremento significativo della prognosi,
e soprattutto quando:
- Le metastasi presentano dimensioni maggiori di 3 cm di diametro max,
- Hanno una rottura capsulare e invadono la capsula del linfonodo (interessamento dei tessuti peri-linfonodali),
- Nel caso di metastasi plurime, bilaterali,
- Se abbiamo degli emboli neoplastici che possono diffondere molto più rapidamente,
Se vi è interessamento perineurale del T primitivo.
Chirurgia Maxillo-Facciale

RICOSTRUZIONE
Vi sono vari tipi di ricostruzione. La ricostruzione può essere effettuata con:
- Lembi peduncolati (di vicinanza) → lembi di tessuto trasportati da un sito donatore a un sito
ricevente ma il lembo mantiene la sua vascolarizzazione originaria,
- Lembi rivascolarizzati (microchirurgici) → vengono trasferiti da un sito donatore a un sito
ricevente ma non mantengono la vascolarizzazione originaria bensì devono essere rivascolarizzati
in corrispondenza del sito ricevente utilizzando il supporto arterioso e venoso di questo sito.
I lembi possono essere utili per la ricostruzione di diverse aree; importante è la ricostruzione delle strutture
muscolari come la lingua → usare o un lembo peduncolato di muscolo pettorale (non molto indicato) oppure
emiglossectomia (gold standard). In quest’ultimo caso il trattamento consiste nell’utilizzare un lembo
rivascolarizzato di avambraccio: si preleva la cute dell’avambraccio con l’arteria radiale e le vene comitanti
e si va a posizionare il lembo in cavo orale per ricostruire la neolingua; l’arteria e la vena vengono
anastomizzati con i vasi del collo (noi preferiamo usare l’arteria tiroidea superiore per le arterie e il tronco
tireolinguofacciale per le vene).
Possiamo utilizzare dei lembi non soltanto per le strutture muscolari ma anche per le strutture ossee: se noi
asportiamo un segmento dell’osso mandibolare o del mascellare superiore possiamo ricostruirli e anche in
questo caso esistono diversi tipi di lembi:
- Per la mandibola viene utilizzato un lembo di perone, un osso che può essere asportato senza grossi
danni, non provoca zoppia nel paziente o alterazioni funzionali importanti.
- Per il mascellare superiore possiamo utilizzare il perone, la cresta iliaca rivascolarizzata o la scapola.
Lembi peduncolati
- Semplici → sono costituiti da una sola struttura: cutanei, muscolari, fasciali e ossei
- Composti → sono costituiti d più strutture: fascio cutanei, osteocutanei, osteomiocutanei, mio
cutanei.

A seconda del peduncolo vascolare possiamo distinguere 5 tipi di lembi peduncolati (classificazione di Mathes
e Nahai):
o Tipo I: peduncolo vascolare singolo
o Tipo II: peduncolo dominante + peduncolo minore singolo o multiplo
o Tipo III: due peduncoli dominanti
o Tipo IV: peduncoli segmentari
o Tipo V: peduncolo dominante e peduncoli segmentari

Questa classificazione è fondamentale quando si vuole approcciare alla chirurgia ricostruttiva, bisogna capire
la localizzazione anatomica di questi peduncoli e come si dispongono nel pezzo che si va a prelevare, però da
un punto di vista più pratico i lembi che noi utilizziamo sono quindi peduncolati.
È
È molto importante, prima di incidere il lembo, andare a valutare l’area donatrice e l’area ricevente.

• L’area donatrice deve essere costituita da un tessuto idoneo per la ricostruzione da effettuare, quindi
se bisogna ricostruire un tessuto muscolare, il lembo deve essere costituito da tessuto muscolare; lo
stesso vale anche per gli altri tessuti. Inoltre bisogna valutare le dimensioni nel lembo e il possibile
danno al paziente da un punto di vista estetico e funzionale.
• Sull’area ricevente va effettuata una valutazione non nel danno ma del tipo di tessuto e delle
dimensioni in modo da avere la stessa quantità e lo stesso tipo di tessuto.

Prima di andare ad allestire un peduncolo è necessario vedere quale zona bisogna ricostruire perché la
rotazione del peduncolo si basa sulla lunghezza del vaso, ad esempio non si può mettere un lembo
peduncolato pettorale a livello della teca cranica perché non si avrà la lunghezza necessaria da parte del
peduncolo.
Per le regioni superiori, ad esempio per le ricostruzioni del mascellare superiore, come lembo peduncolato
si può utilizzare il muscolo temporale; è un muscolo masticatorio che si inserisce dalla fosse infratemporale
sul processo coronoideo ed è responsabile dell’apertura e della chiusura della bocca → questo muscolo si
può staccare dalla fossa infratemporale e senza sezionare la porzione coronoidea si può ruotare al di sotto
dello zigomatico a livello della cavità orale per ricostruire zona del mascellare superiore o della mucosa
geniena.

LEMBI PEDUNCOLATI DI ROTAZIONE:

• Il più classico è il lembo di muscolo pettorale: è un lembo muscolocutaneo, ma può essere anche
muscolare, osteomuscolare o ostemuscolocutaneo, anche se osteo quasi mai. L’arteria toracoacromiale
corre al di sotto del muscolo tra il piccolo pettorale e il grande pettorale, per cui si prendendo una
porzione di cute in corrispondenza della mammella e portandoci sotto al muscolo sappiamo che il
peduncolo si trova all’interno, per cui non si fa altro che portare tutta la porzione muscolare insieme
alla patella cutanea, con l’arteria, e rigirarlo con un asse molto lungo a ricostruire a livello del cavo
orale. Si tratta di un lembo molto utile, lo definiamo “di salvataggio”, quando non si possono fare altri
tipi di ricostruzione, o per l’età del pt o per la mancanza di tessuto, questo lembo ci aiuta. È un lembo
con peduncolo che non viene staccato, semplicemente di rototraslazione. La capacità di rotazione di
questo lembo è molto alta, raggiungiamo facilmente il cavo orale, la base lingua, la guancia… e l’esito
estetico non è molto sgradevole anche perché la cute della regione mammaria è molto abbondante,
chiaramente nelle donne ci sono deficit estetici più invalidanti.
• Un altro lembo peduncolato di rotazione è quello del muscolo temporale: si fa un’incisione in
corrispondenza del muscolo e viene preso sia il muscolo temporale, sia la sua fascia. In realtà si
potrebbe prendere anche solo la fascia che presenta una propria vascolarizzazione, ma poiché
vogliamo anche la massa utilizziamo fascia e muscolo. Il muscolo può essere facilmente disinserito
dalla teca cranica e va “tunnelizzato” in cavo orale (fatto passare in bocca) e inserito sulla coronoide.
Immaginate ad es. un difetto del palato si chiude facilmente con questo lembo, basta ruotarlo,
posizionarlo in cavo orale e chiudere il difetto. Chiaramente può residuare una depressione in
corrispondenza del prelievo che può essere ricostruita con protesi di plastica.

LEMBI VASCOLARIZZATI: Sono lembi più complessi che richiedono una rivascolarizzazione del tessuto,
da un’area donatrice a un’area ricettrice. Nella valutazione dell’area donatrice si considera: tipo di tessuto,
danno estetico e funzionale, peduncolo vascolare e dimensioni, in quella recettrice il tipo di tessuto, le
dimensioni e qualità e distanza dei vasi. La rivascolarizzazione avviene mediante anastomosi
microchirurgiche, fatte con fili molto sottili (circa otto zeri), e richiedono un microscopio. Si vanno a
connettere i vasi arteriosi e le collaterali venose in una zona che è distante dalla zona di prelievo.
Nel caso in cui si considerano le ricostruzioni a carico delle ossa e delle strutture muscolari cutanee e mucose
del distretto testa collo utilizziamo i vasi della regione laterocervicale: In genere i vasi recettori arteriosi sono:
a. facciale, a. tiroidea superiore, o a. linguale; quelli venosi sono: v. giugulare interna, vena giugulare
esterna, o vena facciale. Questi vasi vengono facilmente identificati quando si fa la linfoadenectomia e il più
utilizzato in assoluto sono i rami l’arteria tiroidea superiore. Le anastomosi possono essere effettuate:
- Termino-terminale, in cui il ramo
terminale del lembo vascolarizzato che
andrò ad anastomizzare con il ramo
terminale dell’arteria sezionata o della
vena sezionata,
- Termino-laterali, in cui si va ad
incidere la vena ricevente e si va ad
anastomizzare con la porzione
terminale della vena del lembo.
I lembi più usati sono:
- Lembo libero di radiale
- Fibula
- Cresta iliaca
- Retto dell’addome
- Antero laterale di coscia

Lembo Libero Radiale: (o antibrachiale o cinese, usato per la prima volta da un chirurgo cinese negli anni
80), è un lembo fascio cutaneo prelevato dalla zona volare del braccio la cui vascolarizzazione si basa sui
vasi radiali. Preleviamo il pezzo di cute e sottocute che contiene l’arteria e le due vene comitanti. Si può
anche prelevare una componente ossea (lembo osteo-fascio-cutaneo). Una volta prelevato si va a riconnettere
con anastomosi nel collo e quindi a riposizionare il lembo in cavo orale a colmare il gap chirurgico. Prima di
prelevare questo lembo bisogna effettuare il test di Allen perché la vascolarizzazione della mano proviene
dalla arteria radiale quindi col test di Allen valuto se la vascolarizzazione da parte della arteria ulnare è
sufficiente, altrimenti la mano va in necrosi.

Lembo di fibula: Per le ricostruzioni ossee si posso utilizzare lembi di fibula, di cresta iliaca. Mettiamo il caso
in cui abbiamo bisogno anche di una componente ossea per la ricostruzione da osteotomia (i tumori del cavo
orale vanno spesso a infiltrare l’osso), non solo per un fatto estetico ma anche funzionale per la masticazione,
in quel caso il lembo che viene più spesso utilizzato è il lembo di fibula o perone. Il lembo può essere osseo,
osteofasciocutaneo, osteofasciomiocutaneo, a seconda
delle strutture prelevate. Il lembo di fibula se è soltanto
osseo ha una vascolarizzazione mantenuta dal periostio,
per cui se non si asporta anche il periostio non avremo
un lembo ma un innesto, che richiede particolari
caratteristiche del sito ricevente per sopravvivere. I vasi
che vascolarizzano il periostio della fibula sono l’arteria
e la vena peroniera. Nel caso in cui ci sia tessuto cutaneo
alcuni rami perforanti dei vasi peronieri vanno in
superficie a vascolarizzare parti del tessuto cutaneo.

La fibula è un osso molto compatto, con una componente lineare molto importante, con relativa utilità
funzionale, per cui la rimozione di un pezzo più o meno ampio non porta grossi deficit funzionali; per cui
andando a trovare arteria e vena peroniera possiamo asportare: bacchetta ossea, porzione muscolare, patella
cutanea (le tre cose che ci servono per ricostruire la mandibola o il mascellare superiore). Si può prelevare
una bella componente, la fibula arriva anche a 20 cm, si può ricostruire un’intera mandibola con una fibula,
dalla bacchetta completa vengono poi fatte una serie di osteotomie per ricavare tanti pezzettini con cui
ripristinare l’arco mandibolare e dare una normale forma anatomica, la cute viene poi utilizzata nel cavo orale
per colmare il gap mucoso che si è creato. Il segmento osseo può essere modellato, osteotomizzato in più
porzioni in modo da avere una corretta modellazione del segmento, perché se devo ricostruire un segmeno
osseo non lineare che presenta delle curvature, delle angolazioni, oppure nel caso in cui mi occorrono più
segmenti ossei se devo ricostruire porzioni estese di mandibola devo andare a suddividere il segmento,
l’importante è mantenere il periostio e la vascolarizzazione dei singoli segmenti.

Lembo cresta iliaca. Un altro lembo che ci permette di ottenere una quota ossea, muscolare e cutanea, oltre la
fibula è il lembo di cresta iliaca, anche questo utilizzato ma la differenza nella scelta è in relazione alla
ricostruzione da fare: per la mandibola la fibula è ottima perché ti fornisce volume cilindrico, per il mascellare
superiore, per esempio il palato, potrebbe essere utile un volume piatto, quindi una cresta.
Anche in questo caso è un lembo osteocutaneo, osteocutaneo, miocutaneo. La vena e l’arteria sono la
circonflessa iliaca profonda.
Lembo Retto dell’addome. Si prende l’intero muscolo, può essere un lembo miofasciocutaneo, miofasciale,
muscolare. Si utilizza quando facciamo una resezione importante che necessita di un volume grosso ottenuto
asportando la muscolatura cutanea fasciale e muscolare dei retti addominali. I vasi sono l’arteria e la vena
epigastrica profonda.

Lembo libero antero-laterale della coscia (ALT): ci


permette di prendere i componenti miofasciocutanei
e miofasciali. E’ un lembo costituito da tessuto
cutaneo, muscolare e il grasso che c’è tra tessuto
muscolare e quello cutaneo. E’ molto utile perché
permette di prendere molta cute senza grossi esiti
estetici nella zona donatrice e senza fare innesti di
copertura (non vi ho detto che quando preleviamo ad
esempio un lembo radiale lasciamo un bel “buco”
nell’area donatrice che possiamo ricoprire con un
innesto essendo la zona sottostante già
vascolarizzata). Vasi: arteria e vena femorale
profonda e vasi perforanti

L’asportazione è sempre più grande del tumore, non bisogna pensare al fattore estetico ma bisogna sempre
asportare la neoplasia con dei margini di tessuto sano di 1-1,5 cm e poi si pensa al tipo di ricostruzione, non
bisogna pensare che una neoplasia non vada operata perché non siamo in grado di ricostruire quella zona.

CASO CLINICO:

T4N2cM0:
- T4: >4 cm infiltrazione di tessuti limitrofi
- N2c: linfonodi bilaterali, controlaterali
- M0: nessuna metastasi a distanza
Linfoadenectomia comprehensive livelli 1-5 modified radical tipo III, con preservazione delle strutture +
ricostruzione con lembo libero di muscolo radiale
In questo caso la linfoadenectomia è bi-blocco, ovvero non è in monoblocco con T: noi possiamo togliere T e
contestualmente N, questo ha un senso perché eliminiamo anche il tratto TN tra il tumore e i linfonodi del
collo che potrebbe essere interessato da metastasi in transito, in quel caso si fa linfoadenectomia in
monoblocco. In altri casi non è possibile e si fa in biblocco, ovvero si toglie il T da una parte e N dall’altra.
SCHISI
Introduzione: Le schisi sono il problema malformativo congenito più diffuso nell’uomo. La schisi facciale consiste in
un difetto malformativo che ha non solo una conseguenza estetica ma anche dell’apparato fonatorio, deglutitorio,
masticatorio. I pazienti hanno quindi bisogno di una grossa riabilitazione che comprende la correzione chirurgica, un
percorso psicologico, la correzione motoria, fonatoria.

Terminologia
• LPS = LabioPalatoSchisi – labbro e palato
• LabioSchisi = solo labbro (dette anche CheiloSchisi)
• PalatoSchisi = solo palato

Cheli – Labbro, Gnato: alveolo.

La terminologia internazionale prevede Cleft-Lib-Palate (con eventuale “i” che sta per “incompleta”, es. iCLP).

• Schisi Craniche: cefaliche rispetto alle palpebre


• Schisi Facciali: interessano la parte inferiore del volto
• Schisi Cranio-Facciali

Sono anche definite uni/bi-laterali, complete/incomplete.

Epidemiologia: Per quanto riguarda l’incidenza delle schisi, si tratta sempre di un gran punto interrogativo. Questo è
il numero che viene considerato ad oggi: 1 su 700 nati vivi. Le schisi del labbro e del palato sono le più frequenti
nonostante si ritrovi una certa eterogeneità nell’incidenza tra le varie etnie. Secondo una statistica USA degli anni ’70-
’80, l’interessamento era: labbro e palato (50%), palato isolato (30%), labbro isolato (20%); in Italia invece la schisi
del palato è molto più frequente mentre quella del labbro più rara. Dal punto di vista epidemiologico le schisi
rimangono pù frequenti nei paesi in via di sviluppo per le più scarse condizioni igienico-sanitarie. Si precisi che spesso
la schisi non è isolata e si inserisce nel contesto di una “Sindrome complessa” [Sequenza di Pierre Robin, S. di Stickler,
S. di Treacher-Collins].

Embriologia: Le labioschisi insorgono a 4-8 settimane di vita intrauterina quando si forma lo stomodeo, primo bottone
del massiccio facciale delimitato in alto dal bottone nasofrontale e lateralmente dal bottone mascellare (che deriva dal
primo arco branchiale) e in basso dall’arco mandibolare.
• A partire dal bottone nasofrontale si formano questi ispessimenti dell’ectoderma che sono simmetrici e
andranno a costituire i placoidi olfattivi, poi questi si introflettono e scendono verso il basso, fomando il
bottone nasale interno ed esterno.
• Contemporaneamente si ha la crescita mediana del bottone mascellare, i processi nasali si fondono e danno
origine alle narici, e al labbro superiore. Dal bottone mascellare origina la cremastilla che è la porzione
ossea che include i 4 incisivi, contemporaneamente si forma l’osso mascellare che include gli elementi da
canino a molare.
Intorno all’ottava settimana posteriormente al canale nasopalatino, i due processi palatini si fondono sulla linea
mediana dando origine al palato duro e molle. Contemporaneamente in corrispondenza del palato duro, un’esile
propaggine del bottone naso-frontale crescerà e verrà a saldarsi sulla linea mediana dal lato nasale del palato duro
dividendo così lo spazio respiratorio in due coane simmetriche.
Ndr da domanda scritto: palato si forma all’8-12 settimana.

Il labbro superiore origina dai processi mediani nasale e mascellare; una loro mancata fusione è causa di una
schisi su uno o entrambi i lati (che solitamente corrisponde poi alla linea del filtro).
La schisi del palato è dovuta ad una mancata fusione degli emimascellari (per mancata crescita, errato
posizionamento, perdita di contatto dei mascellari, mancata fusione della sutura palatina).
N.B. Già al II trimestre di gravidanza la schisi del labbro è diagnosticabile all’ecografia: quella del palato è
più difficile da diagnosticare in epoca pre-natale.
N.B.2 Schisi del solo labbro o del solo palato molle sono originate verosimilmente in epoca tardiva. Le schisi labiali
possono non associarsi alle schisi palatali, l’unica associazione certa è quella che si riscontra nella sindrome di Van
der Woude.
Eziologia: E’ una condizione di tipo multifattoriale da rimandare a molteplici attori ambientali (70%) e genetici (30%),
ma di questi non ne è stato ancora individuato ancora nessuno dal ruolo chiave.

Ipotesi: carenza di folato o vit.A in gravidanza, infezioni virali in gravidanza, traumi in gravidanza, farmaci (es.
talidomide), fumo, droghe, alcool. Inoltre il rischio aumenta all’aumentare dell’età dei genitori.

Tipi di schisi
In generale, i tipi di alterazioni che ritroviamo sono:
⇒ Morfologiche/Estetiche
⇒ Funzionali:
• Deviazione dell’arcata dentaria e problemi della masticazione
• Proiezione della lingua nel naso con allargamento dei monconi della schisi del mascellare e problemi della
fonazione
• Problemi della Respirazione o Problemi della Deglutizione
• Problemi di Tipo Tubarico data la sovvertita anatomia del rinofaringe

LABIOSCHISI

Nella forma Unilaterale si localizza a livello della cresta filtrale:


Nella forma incompleta è interessata la porzione inferiore del labbro quindi il naso è piuttosto simmetrico. É
una piccola asimmetria che va comunque corretta ma che non avrà grosse ripercussioni.
Nella forma completaà Ci troviamo di fronte alla mancata saldatura in corrispondenza della cresta e del
filtro delle componenti cutanee, mascellare, mucose e del labbroà tutto lo spessore sarà totalmente
interrotto sino al pavimento nasale. Tutti i componenti del labbro sono interessati e tra i due monconi si
possono osservare cavità nasali ed orale. Il naso ha un allargamento della narice con ptosi della cartilagine
alare omolaterale e deviazione della punta del naso controlateralmente. Con ptosi si intende proprio un
abbassamento della punta del naso, che devia dal lato sano dove invece le strutture sono completamente
formate.

Nella forma Bilaterale si ha:


Nella forma incompletaà Il labbro è fissurato solo nella parte bassa, la deformità è relativa e la columella può
essere presente anche in forma normale. La porzione centrale del labbro è poco sviluppata in senso verticale e
il naso è allargato alla base
Nella forma completaà Nella forma bilaterale completa abbiamo, oltre la schisi labiale bilaterale completa,
anche l’alterazione della columella nasale, che può presentarsi in maniera del tutto esigua tanto da poter anche
non essere riconosciuta o essere del tutto assente. Il prolabio non ha elementi muscolari al suo interno e quindi
gengiva ed elementi alveolari incisivi sono esposti; il naso ha una punta cadente ed è notevolmente slargato
alla base

Classificazione: Le possiamo classificare in diversi modi:


• Le forme unilaterali possiamo definirle di entità lieve, moderata e severa. Quella lieve è una forma incompleta,
quella moderata è completa ma non ampia, c’è comunque un contatto tra i due lati del labbro, mentre nella
forma severa non c’è più alcun contatto tra le due metà del labbro superiore.
• Nelle forme bilaterali abbiamo la stessa classificazione, lievi, moderate e severe.

PALATOSCHISI

Può interessare isolatamente palato duro/molle:


Palato molle = aperto longitudinalmente con retrazione anteriore e laterale degli emiveli
Palato duro = interessato per intero (dal canale nasopalatino all’ugola); dalla cavità orale si osserva il setto nasale
(non fuso alle lamine palatine)

La schisi del palato inizia a livello del palato duro, dal canale nasopalatino, interessa tutto il palato duro e si
accompagna sempre alla schisi del palato molle, con un diretto contatto con le cavità nasali. La gestione chirurgica è
piuttosto complessa, prevede più tempi e deve partire dai primissimi mesi di vita, fino alla maggiore età.
Si associa spesso a disfunzioni della tuba di Eustachio e otiti ricorrenti.
LABIOGNATOSCHISI

Coinvolge labbro e processo alveolare in corrispondenza dell’incisivo laterale e del canino. Può essere:
• Completa e Unilaterale = fissurazione a tutto spessore di labbro e mascellare
• Completa e Bilaterale = premaxillo non connesso con il restante mascellare e mobile
• Incompleta = meno invalidante

LABIOGNATOPALATOSCHISI

La fissurazione non è solo a livello del labbro ma si approfonda a livello del processo alveolare, dell’osso mascelllare
e del palato duro e molle. Questo non è compatibile con una normale masticazione, fonazione e respirazione quindi
sicuramente è l’espressione più grave di questa patologia.
• Nella forma unilaterale l’alveolo e il mascellare sono fissurati a livello dell’incisivo laterale e del canino,
raggiungendo così posteriormente il canale nasopalatino e la linea mediana del palato molle con un ampia
comunicazione a livello orale e della cavità nasale.
• La stessa cosa nelle forme bilaterali in cui la premaxilla è collegata in alto e in dietro a livello del setto nasale
ed è molto mobile, ragion per cui la lingua spinge in avanti e la sposta in alto. Vi è direttamente una
comunicazione tra cavità orale e cavità nasali.

SCHISI SUBMUCOSE: La schisi ha un sottile foglietto di mucosa che la riveste. Nella maggior parte dei casi
determina formazione di fistole, problemi fonatori, accorciamenti del palato ecc.

Assistenza Neonatale
• Rischio di aspirazione del latte nelle vie aeree
• Ostruzione delle vie aeree (S. di Robin: retrognazia, glottoptosi, schisi postero-mediale palato molle)
• Difficoltà nell’alimentazione
Terapia: E’ riconosciuta l’importanza di un Team Multidisciplinare pur non esistendo un unico protocollo di
trattamento. Il bambino è visto dal Logopedista che istruisce i genitori su come alimentarlo (es. alcune metodiche con
tettarelle). L’Ortodontista valuta l’eventuale necessità di una placchetta (NAM: naso-alveolar molding), messa anche
a 6-7 giorni di vita, che faciliterà la corretta conformazione del mascellare fino all’intervento (6-7 mesi). Si riconosce
inoltre la necessità di un Otorinolaringoiatra, un Foniatra, oltre che di un Genetista (per valutare se la schisi si associa
a condizioni sindromiche).
Alla nascita si possono riscontrare 3 situazioni di malformazione: lieve, intermedia, severa.

NAM: nasoalveolar molding

Tempi di intervento:
• Nascita: diagnosi; valutazione genetica, istruzioni ai genitori
• 5-6 mesi: riparazione del labbro (domanda scritto), gengivoplastica, rinoplastica primaria
• 7-12 mesi: riparazione della schisi del palatoà in modo da permettere l’allattamento
• 14-18 mesi: trattamento logopedico sul bambino
• 1-9 anni: trattamento ortodontico, valutazioni logopediche periodiche
• 6-7 anni: rinoplastica correttiva (permanenza di difetti estetici) o primaria (se non effettuata ancora)
• 7-9 anni: gnatoplastica
La prima cosa da fare è posizionare le placche passive, che servono ad evitare che i movimenti della lingua aumentino
la diastasi dei frammenti, aggravando la condizione clinica. È possibile anche utilizzare un cerotto per avvicinare i
lembi prima di intervenire chirurgicamente- questa procedura è consigliata da alcuni e sconsigliata da altri.

Quando intervenire? Oggi si tende a ridurre l’attesa della chirurgia per far sì che il reupero e lo sviluppo avvengano
correttamente, oggi dai 4 ai 6 mesi è già considerato un periodo utile per la chirurgia e la prima cosa che si va a fare è
in effetti ridurre la diastasi a livello palatale e labiale. È importare ricostruire prima il palato, poi curare l’aspetto
nasolabiale e poi l’aspetto osseo estetico del palato. È importante poi garantire una normale fonazione al bambino,
quindi intorno al primo- secondo anno di vita si corregge la schisi a livello mascellare e del palato duro. Si è visto che
non sempre si riesce a garantire un miglioramento completo della fonazione, per cui è previsto che ci siano altre
correzioni chirurgiche all’età di 4- 5 anni come la velofaringoplastica per dare una maggiore possibilità di recupero
fonetico.
N.B. Tra il 4° e il 9°-10° mese = terapia chirurgica; ricorda di valutare il naso in postchirurgia.

Terapia chirurgica: La chirurgia delle schisi è un percorso molto lungo, che procede per necessità, dalla parte
funzionale fino alla parte estetica nell’ultimo step. La cosa più complicata da trattare a livello osseo è il setto nasale.
Nella maggior parte delle schisi incomplete il muscolo non è unito: la fusione del muscolo è necessaria per garantire
una crescita armonica del volto.
La cosa più complessa in questi piccoli pazienti è l’esposizione del campo operatorio, che in questi pazienti molto
piccoli può essere complicato, quindi si usa un divaricatore autostatico, posizionato in sede e allargato in modo che
l’operatore abbia una visione molto ampia.

Approccio a più tempi:


• L’osteodistrazione è una procedura chirurgica basata sul normale accrescimento dell’osso, sostenuto da un
distrattore, che è un apparecchio che consente l’allungamento forzato, indotto meccanicamente, dell’osso.
• Qualora residuassero alterazioni strutturali, possiamo pensare alla chirurgia ortognatica, che è la chirurgia
usata per correggere i deficit residui, che però sono chirurgie che si fanno una volta che siamo sicuri di aver
ottenuto il totale accrescimento delle basi scheletricheà La chirurgia ortognatica è qualcosa che si fa a
sviluppo completato, non si può fare antecedentemente, perché dobbiamo essere sicuri che l’osso sia del
tutto maturato e non abbiamo poi modificazioni nel post-chirurgico.
• Una volta arrivati alla maggiore età, si può pensare anche alla rinoplastica e al rimodellamento dei tessuti
molli con quelle tecniche ancillari, quali anche il lipofilling, per eventuali piccole correzioni, anche per quelle
piccoli cicatrici che non sono soddisfacenti, è possibile are tante cose.
Questo schema chirurgico è uno schema sposato quasi da tutte le scuole. Però oggi ci sono degli autori che sostengono
che già dai primi mesi di vita è possibile effettuare tutte le procedure in un unico step. È sicuramente un rischio
maggiore ma va detto che è una nuova tendenza per cercare di limitare al massimo quelle che sono le ripercussioni
anatomiche, funzionali e anche estetiche.

Oggi si tenta un approccio in un solo tempo:


• Labbro: tecnica di Millard-Delair (no cicatrici o z plastiche, segue la canumella del filtro)
• Bilaterale: tecnica di Millard-Gercia-Velasco
• Palatoschisi: palatoplastica (palato duro), veloplastica (palato molle)

Tecnica di Millardàla resezione dei tessuti molli, l’isolamento delle cartilagini alari nasali, un riaccollamento
con lembi di scorrimento del labbro, per ripristinare il filtro. Esistono varie tecniche, ma il concetto è sempre lo
stesso, ripristinare la continenza labiale, la posizione delle cartilagini alari del naso, per ottenere la simmetria.
Nelle forme bilaterali la tecnica è la stessa, ma è tutto molto più complicato perché i tessuti integri sono davvero
pochi. Quando trattata in tempo, infatti, quella che è una patologia destruente e drammatica, può essere
assolutamente risolta.

FONETICA: Un punto importante è la fonetica. Per ragioni fonetiche è bene procedere alla declinazione della
schisi in epoca precoce. Ci sono dei casi, tra i 5 e il 10% dei pazienti, in cui per la brevità del palato non si riesce
a ripristinare comunque una perfetta fonetica e, in questi casi, è possibile reintervenire in età più avanzata, verso i
4-5 anni, con una rinofaringoplastica o un innesto retrofaringeo, che miglioreranno di gran lunga l’aspetto della
fonesi.
INFEZIONI: Per cause anatomiche i bambini con palatoschisi sono predisposti a infezioni ricorrenti all’orecchio:
tubi di ventilazione sono in grado di ventilare l’orecchio medio e prevenire la perdita delle capacità uditive
secondarie ad otite media. Questi possono essere inseriti durante l’intervento iniziale o in un secondo momento
(Complicanze perforazioni del timpano, otorrea).

ACCRESCIMENTO MASCELLARE E DENTIZIONE: Altro step delle schisi è


il problema legato all’accrescimento del mascellare e alla corretta funzione
dentaria. In certi pazienti, a causa della schisi, noi non riusciamo ad ottenere un
completo sviluppo del mascellare superiore e di conseguenza abbiamo uno di quei
difetti visti in precedenza di ipoplasia del mascellareà in una percentuale di
pazienti il mascellare si può iposviluppare nei tre piani, cioè antero-posteriore,
verticale e trasversale. Si può fare un trattamento ortopedico con la maschera di
Delaire che funziona come un distrattore, cioè in epoca di sviluppo guida lo
sviluppo osseo con la trazione dall’esterno. Inoltre il trattamento ortopedico è
affiancato dal trattamento ortodontico, ovvero si associa la maschera con una
correzione ortodontica degli elementi.

SCHISI ORBITOFACCIALI:
Le schisi orbito-facciali seguendo la classificazione di Tessier che ha definito le linee secondo le quali si sviluppano
queste schisi. Sono classificate da 0 a 14 (domanda scritto!). Ci sono una serie di numeri che indicano il punto di
interruzione e caratterizzano il quadro clinico della schisi. Quindi ogni singola linea corrisponde ad una schisi e alla
manifestazione clinica di questo difetto. Lo zero è la linea mediana dello scheletro e a seguire si sviluppano in senso
laterale le altre linee di schisi.
• Zero è la schisi della linea mediana e vedete come il volto sembra proprio splittato in due
• La schisi numero 3 coinvolge anche la palpebra,
• Quella n 4 il mascellare superiore, e in alcuni di questi eventi malformativi ci può essere la coesistenza di
patologie associate.
Il meningocele può essere una complicanza della schisi centro-facciale.
CONDIZIONI SINDROMICHE

Sindrome di Treacher Collins (o Disostosi Mandibolofacciale o S. di Franceschetti)


Eredità AD; È anche detta “S. del I arco brachiale” (quadro malformativo monolaterale) o “S. del I e II arco
brachiale” (se bilaterale).

È stato ipotizzato sia dovuta ad alterazioni del decorso dell’Arteria Stapedia. La noxa patogena deve essere molto
precoce (V-VI settimana).
Clinica:
- ipoplasia delle regioni malari, dei condili, delle ATM; Microsomia emifacciale bilaterale simmetrica,
- colobomi della palpebra inferiore e piega antimongoloide degli occhi,
- malformazioni dell’orecchio esterno,
- palatoschisi,
- micro/macro-stomia.

Terapia: approccio multidisciplinare


Gestione Neonatale: risolvere eventuali distress respiratori (tracheotomia, disostruzione mandibolare)

Sindrome di Goldenhar (o Displasia oculo-auricolo-vertebrale)


1/6000 nati vivi; incompleto sviluppo di naso, labbro, mandibola, palato molle, occhio (cisti dermoidi),
orecchio e vertebre (generalmente unilaterali).

Ipotesi eziologiche: anomalie cromosomiche, difetti nel decorso dell’a. stapedia [senza alterazioni cardiovascolari
all’RXà Microsomia emifacciale].

Sindrome di Romberg (o Atrofia emifacciale progressiva)


Progressiva atrofia di cute, adipe sottocutanea, muscoli, ossa con interessamento in genere di un solo lato
(progressione che procede per un numero variabile di anni, specie durante crescita e pubertà).

Ipotesi eziologiche: autoanticorpi (è una patologia acquisita)


DD: lipodistrofie (limitate all’adipe e quasi sempre bilaterale), sclerodermie
Trattamento: rimandato a quando il processo evolutivo si è limitato; in particolare:
§ Interessamento prevalente dell’osso = innesti ossei e/o lembi liberi microvascolari
§ Interessamento prevalente dei tessuti molli = innesto di derma disepitelializzato o lembi microvascolari o innesto
di grasso (lipostruttura secondo Coleman)

Sindrome di Pierre Robin:


È composta da una triade che è:
- Schisi palatina posteriore
- Retroposizione mandibolare
- Ptosi della lingua

È possibile una diagnosi prenatale con l’ecografia strutturale e, a seconda dei difetti che residuano alla nascita, decidere
la tempistica della chirurgia. Sicuramente in questi pazienti la prima cosa è l’aspetto respiratorio, che è quello che
inficia maggiormente la vita del bambino.

Approfondimento: In caso di ipercondilia, cioè aumento dello sviluppo del condilo mandibolare, si fa la condilectomia
che è un intervento chirurgico molto delicato per le connessioni anatomiche del condilo con il nervo facciale. In queste
condizioni si altera l’occlusione e l’abbassalingua posizionato nel cavo orale dimostra il deficit trasversale con
deviazione dal lato dove c’è l’ ipercondilia. Il posizionamento di drenaggi è importante per evitare che raccolte
ematiche vadano a condizionare la funzionalità del nervo facciale anche se questo non ha subito danni diretti durante
l’intervento chirurgico. Si ottiene così la simmetria, le cicatrici sono minime, vengono messi degli elastici per evitare
il morso aperto, l’apertura della bocca è adeguata.
Altri casi sono quelli di iperplasia emilaterale con necessità di correzione chirurgica, con ostetomie della quota di
eccessiva mandibola rispettando le strutture nervose e gli elementi dentari coinvolti. Queste anomalie vanno comunque
seguite nel tempo perhcè possono dare delle recidive.
MICROSOMIE EMIFACCIALI

Incidenza 1/4000 nati vivi (domanda dello scritto).


Deformità che interessano generalmente la metà della faccia arrivando a compromettere anche lo sviluppo
dell’orecchio:
• I arco brachiale: mascellare, palatino, zigomatico, processo mandibolare, padiglione auricolare, timpano
• II arco brachiale: padiglione auricolare, orecchio interno e VII n.c.

Ipotesi eziologiche: alterazioni dell’a. stapedia (formazione di ematomi nel suo territorio di irrorazione)à
un’emorragia o una trombosi a livello dell’arteria stapedia, tra il 30° e il 45° giorno di gestazione. L’entità del danno
dipende dal tempo in cui è avvenuta questa alterazione e dalle alterazioni delle cellule della cresta neurale che
interferiscono con il normale sviluppo. La forma più comune provoca deformità del viso, alterazioni dell’orecchio
esterno ed interno, agenesia/ipoplasia della regione condilare con asimmetria del viso che peggiora con gli anni.

La sindrome di TREACHER-COLLINS si presenta con:


• Microsomia emifacciale bilaterale simmetrica,
• Ipoplasia osso zigomatico, mandibola,
• Ipoplasia o agenesia dell’orecchio esterno.
• Caratteristico è l’aspetto a livello della palpebra inferiore e anomalie del bordo ciliare.
Nella sindrome OTOMANDIBOLARE c’è coinvolgimento più o meno severo del ramo condilomandibolare e dell’articolazione
temporomandibolare, dei muscoli masticatori, della commissura orale, del nervo facciale e dell’orecchio. È più frequente nel sesso
maschile, anche se non c’è una stretta correlazione genetica.
L’alterazione può avvenire tra il pimo e il settimo mese di vita intrauterina, potendo dipendere da un difetto vascolare dell’arteria
stapedia durante la fase di sviluppo. Si distinguono 4 gradi in questa sindrome:
• Grado 1 - condilo strutturalmente normale ma di dimensioni ridotte,
• Grado 2a - condilo alterato sia per forma sia per dimensione,
• Grado 2b - importanti alterazioni condilari con dislocazione anteromediale dell’articolazione temporomandibolare,
• Grado 3 - in cui sia il condilo che l’articolazione temporomandibolare che il ramo mandibolare sono completamente
assenti.
Terapia: E’ possibile ottenere un recupero parziale grazie all’osteodistrazione che è un concetto mutuato dall’ortopedia per
favorire l’allungamento dell’osso attraverso impalcature che servono a guidare lo sviluppo osseo nei bambini in fase di crescita.
• Incisione della mucosa
• Osteotomia che deve permettere l’accrescimento osseo, altrimenti l’osso non avrebbe modo di svilupparsi
• Applicazione del distrattore, uno strumento che guida il normale sviluppo osseo, che è assolutamente biocompatibile e
che resta in situ solo il tempo necessario e poi viene rimosso. Resta fuori una vite che deve essere girata nel tempo per
permettere il progressivo allungamento del distrattore.
Il telecranio e l’ortopantomografia sono gli esami guida per questo tipo di interventi.
La distrofia orbitaria è un aspetto molto importante da valutare in queste malformazioni perché provoca dei difetti a livello
estetico ma soprattutto comporta strabismo e alterazione degli atteggiamenti posturali per cercare di compensare questo
strabismo.
CRANIOSTENOSI
Alterazioni della morfologia cranica da
attribuire alla fusione precoce di una o
più suture del cranio con conseguente
alterazione dell’accrescimento osseo,
compressione del parenchima cerebrale e
comparsa di turbe neurologiche in età
pediatrica.
→ Aspetto e forma del cranio
dipendono dalla/e sutura/e
interessata/e
→ Quadri clinici neurologici vari

Incidenza:1/2000 nati;M>F (75-80%)


Effetti della craniostenosi secondo
Tessier:
- Riduzione del Volume
intracranico
- Aumento delle pressione
intracranica, dato dalla riduzione
dello spazio della calotta
- Compressione del parenchima cerebrale
- Deformità cranica compensatoria
- EH
- Esoftalmo legato alla contrazione dell’orbita e all’esposizione corneale, fino anche a danni a livello posteriore,
del canale ottico, con la perdita del visus centrale
- Malocclusioni di natura dento-scheletrica
- Alterazioni delle vie respiratorie
Disturbi riscontrati:
- Cefalea (craniostenosi plurisuturali maggiormente)
- Disturbi del visus (più le plurisuturali) Molto frequenti
- Ritardo psichico
- Alterato sviluppo neuromotorio
- Idrocefalo
- Crisi epilettiche (10-25%)
- Diplopia, strabismo
- Disturbi endocranici (rari)
Il paziente deve essere seguito nel tempo per cercare di riprendere step by step una normale o quasi normale euritmia
del volto.

Eziopatogenesi
• Ipotesi di Moss: lo sviluppo della massa cerebrale sarebbe la determinante principale della micro e della
macro-cefalia (sono un cervello o un lobo ipoplasico a causare craniostenosi)
• Ipotesi Metabolica: ruolo principale dell’omeostasi di calcio e fosforo
• Ipotesi Genetica: le forme familiari sono però una minoranza dei casi
• Alterazioni dei centri di ossificazione: a livello delle suture craniche e delle sincondrosi della base cranica.

Nb. Il futuro sarà volto ad indagare sugli eventi che si verificano durante lo sviluppo del proencefalo
Fusioni delle fontanelle Fusione delle suture
- Lambdoidea à 2 mesi - Metopica à 14 mesi
- Bregmatica à6-18 mesi - Sagittale à2 anni
- Coronale à 3 anni
Classificazione
• Primitive: saldatura precoce che si verifica in assenza di alterazioni primarie del cervello e senza malattie
metaboliche;
• Secondarie: incidenza cento volte minore, atrofia del cervello con ridotto/mancato sviluppo della parte ossea
corrispondente e sinostosi precoce della sutura;
• Semplici: non sono in un quadro di anomalie genetiche complesse e non coinvolgono altri settori
dell’organismo;
• Complesse: più rare, plurisuturali, rientrano in quadri complessi su base genetica.

SCAFOCEFALIA (25%)à CRANIO A BARCA


Fusione precoce della sutura sagittale (tra le 2 parietali)
- Cranio allungato AP
- Cranio ristretto LL
- Aumentata ampiezza del diametro bi frontale rispetto a
quello bi parietale (bozze frontali molto prominenti)
- Carena ossea palpabile in corrispondenza della sutura
sagittale

Diagnosi → nei primi giorni/settimane, l’estetica di solito è la sola indicazione all’intervento.

TRIGONOCEFALIA (10%) CRANIO TRIANGOLARE


Fusione precoce della sutura metopica o frontale (tra i due abbozzi
dell’osso frontale).
→ Il cranio ha aspetto triangolare. Molto frequentemente si associa a
ritardo psichico.
Caratteristiche
- Regione frontale sollevata (una cresta mediana si estende dalla
regione bregmatica alla glabella e può continuarsi col naso)
- Bozze frontali scarsamente rappresentate e sostituite da depressioni simmetriche a partenza dalla regione
sovra orbitaria
- Ipertelorismo (ndr in realtà dovrebbe essere ipotelorismo)
- Dismorfismo dell’orbita
- Iposviluppo/assenza dell’etmoide

PLAGIOCEFALIA ANTERIORE (8-15%) CRANIO OBLIQUO


Saldatura precoce di una sutura emicoronale (metà coronale è
saldataàUNICORONALE) .
- Evidente asimmetria tra i due lati
- Cranio appiattito dal lato interessato in sede frontale
- Cranio più sviluppato contro lateralmente in sede parieto-occipitale
- Arcata orbitaria omolaterale in posizione abnorme su un piano più
alto rispetto alla contro laterale con tetto orbitario sollevato
- Malocclusione
- Strabismo verticale = i bambini tendono a tenere la testa inclinata
Col tempo tende a peggiorare = Intervenire precocemente!

PLAGIOCEFALIA POSTERIORE (1%)/CRANIO OBLIQUO


Sinostosi precoce di una sutura lambdoidea (tra parietale e occipitale).
Diviene generalmente meno evidente con l’età e i capelli nascondono
l’inestetismo.
Il lato interessato è appianato in sede occipitale o infossato con sporgenza
compensatoria della regione parieto-occipitale contro laterale e lieve
sporgenza frontale omolaterale; il padiglione auricolare omolaterale è impiantato anteriormente,
fortemente sporgente.
NDR: la plagiocefalia post non si opera: si mette un casco al bambino permettendogli di ruotare la testa da supino,
inoltre bisogna interagire col bambino dal lato della malformazione.
PACHICEFALIA
Fusione precoce di entrambe le suture lambdoidee.
- Appiattimento posteriore del cranio:
a) di modesta entitààpoco evidente con la crescita dei capelli
b) di importante entitààappiattimento/infossamento della parete posteriore del cranio con accentuazione
compensatoria delle curvature anteriori craniche.

BRACHICEFALIA (15-30%) CRANIO CORTO


Fusione precoce della sutura coronale (tra frontale e parietaleà
bicoronale).
- Cranio appiattito con sviluppo compensatorio verso l’alto
(riduzione dimensione AP, aumento dimensione bi parietale)
- Appiattimento della parte posteriore del cranio
- Arcata sopraorbitarie rientranti
- Evidente ipertelorismo
- Esoftalmo bilaterale
- Retrusione dei mascellari (frequente)

OXICEFALIA (30-50%)
Fusione precoce delle suture coronale e sagittale.
- Diametri cranici ridotti
- Cranio dal vertice molto appuntito
- Evidente appiattimento della regione frontale (talvolta inclinata all’indietro) con assenza dell’angolo fronto-
nasale
- Basicranio anteriore iposviluppato
- Orbite ed arcate ipoplastiche
Frequente la sindrome di Ehlers Danlos (EHD).

Turricefalia: manifestazione nell’età adulta; altezza del cranio abnorme con fronte assolutamente verticale.
MULTIPLE; ACROTURRICEFALIA “cranio a torre”

CRANIO A TRIFOGLIO “KLEEBLATTSCHAEDEL”


Rara malformazione congenita.Sinostosi precoce delle suture coronali ,basali, lambdoidee, metopica.
- Protrusione al vertice e alle regioni temporali - Orbite poco profonde
- Naso a forma di becco di pappagallo - Idrocefalo
- Orecchie a basso impianto - Grave proptosi (esoftalmo) oculare
- Ponte nasale fortemente depresso - Mascellari ipoplastici

Tante volte le craniosinostosi si presentano associate a condizioni sindromiche come:

DISOSTOSI CRANIOFACCIALE DI CROUZON (7-15%) AD. La sindrome è sicuramente la più comune ed è


legata alla mutazione dell’FGFR2, mappato sul cromosoma 10. Conformazione cranica brachicefalica od oxicefalica
con circonferenza cranica inferiore alla norma. Può riguardare qualsiasi sutura, soprattutto la coronaleàSuture
coinvolte:
• Sagittale più frequenti
• Coronale [frequenti]
• Fronto-etmoidale
• Fronto-sfenoidali coinvolte in alterazioni più complesse.

Caratteristiche
- Voluminose bozze in sede bregmatica (“a - Palato molto arcuato→ problemi respiratori e
cappello di clown”) fonatori
- Ipertelorismo, esoftalmo - EH
- Naso molto prominente ed arcuato - Disturbi dell’udito
- Prognatismo mandibolare (da ipersviluppo - Ritardo motorio con idrocefalo (spesso)
mascellare) con mal occlusione e ipoplasia
mandibolare - Sindattilia parziale (talvolta)
S. DI APERT AD
- Cranio con riduzione diametro AP e aumento LLà precoce saldatura della sutura coronale
- Regioni frontale ed occipitale appiattite e sviluppate verticalmente
- Ipoplasia del terzo medio
- Ipertelorismo, esoftalmo (più contenuti rispetto alla Crouzon)
- Ipoplasia mascellare con disturbi della fonetica e mal occlusione e deficit respiratori
- Naso prominente e frequentemente deviato
- Orecchie a basso impianto
- Sindattilia ai quattro arti (generalm 2-3-4 dita)
- Idrocefalo
- Ritardo mentale
- Disturbi dell’udito

Quanto più severe sono queste forme, tanto più precoce deve essere il trattamento chirurgico, per permettere una
riabilitazione quanto più tempestiva possibile. In questo caso possiamo, quindi, anticipare dei timing chirurgici che, in
altri casi, potrebbero attendere

ACROCEFALO-SINDATTILIA
Gruppo di sindromi: alcune AD altre AR.
- Alterazioni cranio facciali di vario grado
- Sindattilie comuni
- Anomalie scheletriche a carico di radio, ulna, fibula, ossa delle mani e dei piedi
Diagnosi
1. EO: il più delle volte sufficiente
- Ispezione
- Palpazione (accertare presenza chiusura precoce/tensioni delle fontanelle, creste, depressioni)
- Circonferenza cranica
2. Ecografia transfontanellare: valuta idrocefalo
3. Rx: a 3-4 settimane d’età, proiezioni laterali, AP e di Towne (decubito supino)
4. TC, RMN
5. Studi genetici

Trattamento: Quasi sempre richiede la chirurgia: neurochirurgico, chirurgico maxillo-facciale.


Indicazioni: anomalie estetiche, EH, idrocefalo.
Età d’intervento: in genere 2-4 mesi (quanto più è grande il bambino, tanto più complesso sarà l’intervento).
Incisioni osteotomiche con l’intento di liberare le limitazioni ossee, resecare le sinostosi, frammentando l’osso in
più parti, rimodellando la porzione di cranio interessata e posizionandolo in modo opportuno sulla dura madre. Se
e quando necessario si pratica l’avanzamento del segmento fronto-orbitario e le correzioni estetiche legate
all’ipoplasia mascellare e l’ipo-/iper-telorismo.

NB Casi complessià richiesti più intervento.


ANCHILOSI TEMPORO MANDIBOLARE
Evento patologico estremamente invalidante in cui varie componenti anatomiche dell’ATM sono sostituite da
un blocco osseo che, fondendo i capi articolari, impedisce l’apertura della bocca e i movimenti mandibolari.

Epidemiologia
Oggi rara. Maggiore incidenza nell’età infantile.
Eziopatogenesi
• Congenite: eccezionali, si associano ad altre malformazioni.
NB Rientrano in questo gruppo anche le anchilosi in cui la noxa patogena agisce durante la fase di vita
embrionaria.
Il loro riscontro in genere avviene a 6 mesi-1 anno (tardivo): nel lattante la fisiologica discrepanza maxillo-
mandibolare e l’assenza di elementi dentari consente comunque la suzione (il deficit funzionale è
inizialmente poco evidente).
• Acquisite:
- Secondarie a traumi: fratture del condilo mandibolare, specie se intracapsulari, comminute (osso rotto in
più punti con piccoli frammenti ossei mobili) o con distruzione del capitello condilare.
- Secondarie a infiammazione
a) Infezioni (stafilo, strepto, gonococco); invasione secondaria dell’ATM da processi settici di
organi vicini, invasione diretta in seguito a ferite lacero-contuse (più raramente),diffusione per via
ematica/linfatica all’ATM (eccezionale)
b) Malattie reumatiche → Si fermano all’anchilosi fibrosa.

Anatomia patologica
Si riconoscono:
- Anchilosi fibrose: quadro iniziale di un’anchilosi ossea (al processo degenerativo condroblastico fa seguito
una proliferazione fibroblastica e non osteoblastica).
- Anchilosi ossee: un callo osseo salda la cavità glenoidea temporale con il condilo mandibolare. Può portare a
distruzione/dislocazione del disco articolare.

TIPI DI BLOCCO ANCHILOTICO


1) Limitato al condilo
2) Invade l’incisura sigmoide ma rispetta il processo coronoideo
3) Completo
Quando l’anchilosi persiste a lungo si osservano lesioni a carico dei muscoli:
- Fionda pterigo-masseterina (Pter. Int. e massetere)
- Temporale
- Muscoli sovra ioidei

Inizialmente questi muscoli sono ipertrofici, col tempo diventano corti.


Conseguentemente al non uso, insorge atrofia (si parla di atrofia “giallo bruna” quando tra le cellule atrofiche si
inizia a scorgere un pigmento lipocromico perinucleare).
L’anchilosi porta ad un lento e irreversibile serramento mandibolare, il cui grado è in relazione allo stato
evolutivo della patologia.

SOGGETTO IN ETA’ EVOLUTIVA (bambini : adulti = 4:1)


- Iperplasia mandibolare
- Angolo mandibolare spostato verso l’alto iperplastico e ottuso (pseudo-apofisi lemurinica)
- Incisura preangolare marcatamente più profonda
- Coinvolgimento del mascellare superiore (in virtù degli intimi rapporti normofunzionali con la mandibola) con
sua dismorfia (àalterazioni dello sviluppo di tutto il massiccio facciale).
NB 1 Se sono coinvolte entrambe le ossa mascellari si configura un profilo con il mento sfuggente (profilo a
“becco d’uccello”).
NB 2 Gli elementi dentari mostrano notevoli deviazioni.

19
Chirurgia Maxillo-Facciale

SOGGETTO CON SVILUPPO OSSEO ULTIMATO


- Non si osservano disturbi evidenti del profilo (forme monolaterali: lieve latero-deviazione della mandibola verso
il lato affetto).
- Parziale/totale chiusura della bocca (nella maggioranza dei casi l’immobilità non è totale).
NB Un’anomalia di un’ATM può generare un danno funzionale a quella contro laterale (ipermotilitàcompensatoria,
dislocazione meniscale, degenerazione artrosica à artrosi precoce).
Nelle anchilosi bilaterali è frequente il riscontro di una sindrome da apnea notturna.

Diagnosi
Ortopantomografia: offre una visione comparativa delle due ATM e grossolane informazioni sull’entità della lesione.
TC: indagine radiologica d’elezione per lo studio dell’ATM (proiezione assiale e coronale)
TAC con ricostruzione 3D
RMN: utile in particolari per le anchilosi fibrose
Terapia
- Eliminazione del blocco osseo (creazione di un ampio diastema (spazio) chirurgico tra i monconi osteotomici)
- Attenta fisioterapia post-operatoria
- Ripristino del profilo facciale (dopo che gli esiti dell’intervento di osteotomia si sono stabilizzati)

IPERTROFIA DEL PROCESSO CORONOIDALE


Causa extra-articolare, perdita permanente dei movimenti d’apertura della bocca:
- Isolata
- Associata ad alterazioni dell’osso malare
Malattia di Jacob: la cerniera sfeno -temporo-malare è deformata e retratta; è presente una vera e propria
neoarticolazione coronoide-malare (tipo artrodia con superficie artic. piana e solo movimenti di scivolamento).

20
Chirurgia Maxillo-Facciale

ASCESSO
L’ascesso è processo infettivo acuto che genera una raccolta purulenta limitata ad una cavità neo formata
(nell’empiema la raccolta avviene in una cavità preformata). Il flemmone, invece, è un’infezione acuta purulenta
che interessa il connettivo, che non ha tendenza alla limitazione e può evolvere verso suppurazione e necrosi.

Diffusione: via venosa, linfatica, per contiguità


Eziopatologia
- Carie complicate e necrosi pulpare NB Le infezioni della faccia e del collo sono quasi
- Infezioni post-estrattive sempre microbiche:
- Pulpiti
ü 65% aerobi + anaerobi
- Parodontopatie apicali acute
ü 30% anaerobi
- Disodontiasi III molare
ü 5% aerobi
- Fratture
- Penetrazione di germi patogeni dall’esterno

Clinica
- Sintomi locali tipici dell’infiammazione
- Sintomi generali (febbre suppurativa (intermittente), decadimento delle condizioni generali, oliguria,
aumento VES, leucocitosi neutrofila)
→ Evoluzione: dipende da sede, diffusione ed interessamento della fascia cervicale superficiale di faccia e collo.

ASCESSO CHE HA ORIGINE DALLA MANDIBOLA


- Spazio masticatorio (ascesso tra mandibola e pterigoideo interno): dolore, trisma, disfagia.
Cause più frequenti: infezioni dei molari inferiori e da fratture
- Spazio sottomandibolare (ascesso tra corpo mandibolare ed osso ioide): tumefazione in regione
sottomandibolare, trisma (se interessato il muscolo pterigoideo interno).
→ Cause: infezioni dei molari e dei premolari mandibolari (inf.)
- Spazio sottolinguale (ascesso tra mucosa del pavimento linguale e muscolo miloioideo): difficoltà e dolore
all’apertura della bocca, compromissione della fonazione e della deglutizione.
NB. Possibile l’interessamento di più spazi mono- e bilateralmente.
Angina di Ludwig: diffusione del processo suppurativo a tutto il pavimento orale. Complicanza temibile: edema
della glottide e ostruzione vie aeree

ASCESSO CHE HA ORIGINE DAL MASCELLARE


- Fossa canina: tumefazione del labbro superiore, spianamento del solco naso-genieno, edema della
palpebra inferiore, dolore nel territorio della II branca del trigemino.
- Spazi infratemporali e pterigo-palatino: tumefazione al davanti dell’orecchio sopra l’ATM e l’arco
zigomatico fino ad estendersi alla guancia; dolore, trisma.
- Spazio laterofaringeo: può diffondere da qui verso collo e mediastino. Trisma, disfagia, dispnea.
Causa: processo settico a carico del III molare dell’arcata superiore.
Complicanze più temibili → angina di Ludwig, edema della glottide, mediastinite, fascite necrotizzante,
meningite, endocarditi, setticemie.!

Diagnosi
• Esame clinico • Ortopantomografia
• Indagini di laboratorio • TC
Le ultime due sono necessarie per un’adeguata terapia chirurgica.

Terapia
- Ristabilire le condizioni generali (antipiretici, terapia idratante)
- Antibiotici (inizialmente empirica con penicilline e cefalosporine, in caso di insuccesso à antibiogramma)
- Incisione e drenaggio della raccolta suppurativa (quando, nonostante la terapia antibiotica, la temperatura si
mantiene elevata per 5-6 giorni)

ASCESSO DI GRISEL (domanda orale)


È retrofaringeo, si ha raramente dopo tonsillectomia e causa contrattura muscolatura prevertebrale e
torcicollo persistente da lussazione dell’atlante (C1).

21
Chirurgia Maxillo-Facciale

OSTEONECROSI DA BIFOSFONATI
Interessa più spesso la mandibola rispetto al mascellare
Meccanismo dei bifosfonatiLe molecole di bifosfonati legano i cristalli minerali sulla superficie ossea; durante i
processi di rimodellamento sono inglobati dagli osteoclasti inducendone apoptosi. Gli osteociti mantengono la loro
funzione. I bifosfonati si accumulano a livello osseo e dato che il loro riassorbimento dipende dagli osteoclasti si
instaura una specie di “trappola biologica”.
Utilizzi:
- Osteoporosi
- Metastasi ossee (per ev; è limitata così la crescita del tumore)

Clinica e diagnosi
La diagnosi è esclusivamente clinica (mucosite, esposizioneossea, dolore, secrezioni maleodoranti) dato che:
- Radiologicamente abbiamo segni di normalità o segni non distinguibili da osteomielite o osteoradionecrosi
- Microscopicamente c’è una necrosi ossea aspecifica
NB. Il tempo che separa somministrazione e manifestazione cliniche dipende da potenza (diret. prop) e T1/2
(inversamente prop) del farmaco.
REQUISITI PER LA DIAGNOSI (AAOMS)
- Pregressa/concomitante terapia con bifosfonati ev/os
- Presenza di osso esposto nel cavo orale in assenza di segni di guarigione da >8 settimane
- Assenza di precedente RT sul distretto cervico-facciale
L’indagine dell’osteolisi può servirsi di: ortopantomografia, TC, RMN.
STADIAZIONE:
a) MARX
0. Ulcera della mucosa senza b) AAOMS
altre manifestazioni 1. Osso esposto senza sintomi e infezioni
1. Esposizione ossea non dolente (a < 1 cm; 2. Osso esposto con dolore e segni di flogosi
b > 1 cm) e infezione
2. Esposizione ossea (a < 2 cm; b > 2 cm) 3. Osso esposto con dolore e segni di flogosi
associate a dolore e/o segni d’infezione e infezione + uno tra: fratture
3. 3aà Esposizione ossee multiple patologiche/fistolizzazione
(NO segni clinici di osteolisi, fistole extraorale/estesa osteolisi del margine
oro-cutanee, fratture patologiche) inferiore
3b àEsposizione ossea >3 cm o con segni
di osteolisi o di fistole oro cutanea o
frattura patologica
Profilassi
ü Visita odontoiatrica che precede la terapia

ü Sospensione dei bifosfonati os nei pz asintomatici (quando possibile) nei 3 mesi precedenti e nei 3
mesi successivi all’intervento di chirurgia orale
ü Curare i denti, prevenire ogni situazione orale che possa costituire un rischio per il distretto
orale (osteomielite)

Fattori di Rischio
- RT - Chemioterapia
- Procedure odontostomastologiche - CSS sistemici (osteoporosi)
- Protesi incongrue - Infezioni loco regionali

Terapia
§ Attento follow up
§ Trattamento antibiotico prolungato (insieme al precedente NB Esposizione ossea+infezione:
servono per prevenire l’osteomielite) • Ampicillina-sulbactam +
§ Sospensione della terapia con bifosfonati (se possibile) metronidazolo (eventualmente) à 10
In caso di esposizione ossee: giorni x Risoluzione processo acuto
- Frequenti medicazioni e detersioni con colluttori • Mantenimento: terapia per due
- Surgical debritement (rimozione detriti) o sequestrectomia settimane 1/die Amoxiclavulonato
o 1/die Metronidazolo
TRAUMATOLOGIA MAXILLO-FACCIALE

Introduzione: La traumatologia maxillo-facciale è un capitolo molto vasto. Distinguiamo le patologie in 3 gruppi:

1. Patologia traumatologica del terzo superiore


2. Patologia traumatologica del terzo medio
3. Patologia traumatologica del terzo inferiore

Le ossa del cranio si dividono in:


- Neurocranio (8): frontale, parietale (2), temporale (2), occipitale, etmoide, sfenoide;
- Splancnocranio (14): comprendono anche l’osso ioide e gli ossicini dell’orecchio.

Ossa pari: parietale, temporale, cornetti interiori, ossa nasali, lacrimali, zigomatiche, palatine, mascellari.
Ossa impari: frontale, sfenoide, etmoide, occipitale.

FRATTURE DEL DISTRETTO MAXILLO-FACCIALE

Rappresentano il 10% dei traumi del P.S La metà sono di interesse chirurgico.

Cause (più colpiti i maschi tra i 21 e i 39 anni)


- Incidente sul lavoro
- Incidente stradale (45%)
- Incidenti domestici
- Aggressioni (25%)
- Cadute (17%)
- Incidenti sportivi (6%)
- Altro
E’ difficile fare una casistica generale, in quanto la causa è legato sia alle abitudini dei singoli cittadini, che alla
localizzazione geografica. Nella nostra casistica (napoletana) prevalgono gli incidenti stradali e le aggressioni.

Sedi: Le fratture delle ossa splancniche sono più frequenti essendo esse più esposte e meno resistenti, poichè hanno
una ricca componente midollare (ad eccezione della mandibola).
Ossa più colpite: COMZ=complesso “orbito-maxillo-zigomatico” (mandibola 35%, zigomo 24%, nasali 23%); in
ordine di frequenza:

• III medio:limitato da una linea che passa per la glabella e una linea che passa al di sotto del mascellare
superiore. (71%)à La regione più colpita è il III medio proprio perché è la più ampia: nasali, etmoide,
zigomatiche, mascellari.
• III inferiore: mandibola, componente alveolare del mascellareà Il terzo inferiore comprende prevalentemente
la mandibola, a forma di arco, che risponde ai traumi in modo molto particolare. La sua struttura è divisa in un
ramo, angolo, corpo, processo alveolare, e in una sinfisi. Quindi possiamo suddividere i traumi in base alla
sede, e la sede più frequente è il condilo (29%), seguono angolo e sinfisi. Il condilo è interessato cosi
frequentemente perché la sua rottura è un meccanismo di difesaà Un trauma che colpisce la regione sinfisaria,
se non provocasse una rottura del collo condilare, determinerebbe uno sfondamento della fossa cranica media;
quindi se il condilo non si rompesse avremmo più danni cerebrali.
• III superiore: frontale, cornice orbitaria superiore

Classificazione: Le frattura si dividono ad alto/basso impatto, a seconda se richiedono una forza > opp < di 50 joule
(forza di gravità?)
Diagnosi: Nella diagnosi è importante:
• Anamnesi (tipo di trauma),
• Ispezione (infossamento, edema, ecchimosi), palpazione (contorni ossei),
• Valutazione neurologica
• RX, OPT, TC (proiezione assiale, coronale, sagittale, ricostruzione 3D) → Esame fondamentale: TC
massiccio cranio facciale (1mm di spessore).
Terapia: L’obiettivo della terapia è ripristinare l’organizzazione lamellare e la distribuzione delle linee di
forza che si trasmettono attraverso le strutture lamellari → momenti essenziali del trattamento: esposizione,
mobilitazione, riduzione, contenimento attraverso placche in titanio.
I momenti fondamentali, per la terapia delle fratture in generale, sono 2: riduzione e contenzione.
• Riduzione: giustapposizione dei capi ossei.
• Contenzione: posizionamento di dispositivi, interni o esterni, che consenta di mantenere e fissare la
giustapposizione per il tempo necessario affinché si instaurino e completino i processi di rigenerazione
ossea. Nell’ambito maxillo-facciale non possiamo usare il gesso per la contenzione, e abbiamo delle
metodiche per ottenere una fissazione mascellare chiusa e sono:
o Ferule
o Dispositivi a supporto osseo per il fissaggio

FRATTURE FRONTALI
Spesso rimandabili a cadute o ad incidenti sul lavoro, costituiscono il 12% fratture del massiccio facciale.

Classificazione:

Se abbiamo una frattura dell'OSSO FRONTALE possiamo classificare la frattura in base a:

Tipi di frattura: : Siti di frattura:

• lineari
• con dislocazione (non frequenti → i muscoli che si • parete anteriore (le più frequenti)
inseriscono sull'osso frontale non hanno elevata forza di
contrazione; si verificano quando i monconi ossei fratturati • parete posteriore
sono in prossimità di muscoli che hanno forte tensione.
• parete anteriore e posteriore (o
• composte → solo due capi osseià se esiste una linea di trapassanti)
frattura ma i frammenti non sono mobili
• da cute a base cranica
• comminute → più frammenti ossei • recesso seno frontale

Più spesso riguardano il SENO FRONTALE, perché è il più sottile; tali fratture possono essere di 4 tipi:

1° TIPO: PARETE ANTERIORE


a) isolate

b) accompagnate da fratture della regione sovra orbitaria

c) accompagnate da fratture del complesso naso etmoidale

2° TIPO: PARETE ANTERIORE E POSTERIORE


a) lineari (verticali o trasversali)

b) comminute (entrambe le pareti)


c) associate a fratture della regione naso orbito etmoidale (fratture NOE)

3° TIPO: PARETE POSTERIORE con danno a carico della dura e talvolta del parenchima cerebrale.
Ndr da domanda scritto: sono considerate fratture “aperte”.

4° TIPO: PENETRANTI (corpo penetrante che attraversa parete anteriore e posteriore)


Di particolare interesse è la frattura della parete posteriore del seno frontale, che è in continuità con la base cranica:
può infatti creare una continuità tra interno/esterno della scatola cranica (rischio di meningite, infezioni, ecc.); ancora,
può causare la formazione di cisti, protrusioni interne ed esterne, ecc.
Chirurgia Maxillo-Facciale

Clinica:

• Nausea, vomito, sonnolenza, cefalea, alterazione dell’umore (commozione lobo frontale),


• dolore localizzato e perdita localizzata della sensibilità cutanea (interessamento della branca oftalmica del V
n.c.), diplopia, disturbi del visus.
• In caso di lacerazioni delle meningi → rinoliquorrea (uso di patch di dura madre).

Diagnosi

Esame obiettivo: tumefazione, edema, ecchimosi (fratture naso-orbito-etmoidali → ematoma a farfalla a livello
oculare), ferite lacere, avvallamenti della regione frontale, liquorrea (per rottura della dura madre).

Le ferite cutanee possono essere di diversa natura e non c’è una tipologia di fratture a cui possiamo associare una
lacerazione cutanea, quello che sappiamo è che qualora presente rappresenta per noi un sito d’accesso perché
come potete immaginare trattare l’osso frontale è complicato perché se dobbiamo ridurre e contenere diversi
piccoli frammenti avere già una rima di frattura esposta attraverso una ferita lacerocontusa ci può evitare
l’approccio coronale che è l’alternativa classica per le grandi fratture.

Lesioni oculari – cavità orbitaria:

• Chemosi congiuntivale - Anisocoria - Diplopia


• Lesioni bulbo oculare - Eso/enoftalmo - Ptosi palpebrale

• Amaurosi (NB. Se è presente un ematoma retrobulbare è molto importante evacuarlo rapidamente in quanto
una compressione del nervo ottico > 6h può comportare cecità)
La cosa importante è escludere il coinvolgimento orbitario serioà escludere che ci sia una frattura o a livello del canale
o un ematoma retrobulbare che pure è un emergenza che deve essere tempestivamente drenato, quindi va fatta subito
una decompressione del canale e orbitale nel caso di queste due fratture.

Lesioni cerebralià Per quanto riguarda le fratture con coinvolgimento della parete posteriore dobbiamo ricercare e
escludere un coinvolgimento encefalico che si può presentare

• Ematomi • Meningiti

• Pneumoencefalo • Danni vascolari

• Fistole liquorali (liquorrea) • Meningocefalo

TC e RM, quest’ultima per valutare interessamento parenchimale


Immunoelettroforesi: per ricerca della b-trasferrina o glucosio in caso di rinoliquorrea (presenti nel liquor, assenti nel
muco)

Test fluoresceina: si immette colorante nel seno frontale e si valuta se questa raggiunge il naso (pervietà canale).

Terapia: Dipende dalla severità delle fratture e dalla compromissione delle strutture vicine.
Frattura parete anteriore → composta: nessun trattamento (solo problema estetico).

→ scomposta: fissazione rigida, ripristino degli inestetismi.

Frattura parete posteriore → composta: follow up (intervento neurochirurgico in caso di fistole naso-frontali).
→ scomposta: trattamento neurochirurgico e maxillo-facciale.
Abbiamo diversi approcci per trattare i pazienti:

- Sopraciliare: permette di accedere alla regione frontale, soprattutto quella in prossimità della parete anteriore del
seno frontale.

- Coronale: Si parte con un’incisione coronale (va da una parte all’altra della sutura coronale) o, se possibile,
accesso alla frattura tramite la cicatrice. Si incidono cute, sottocute, galea; si porta tutto in avanti, esponendo
tutta la regione frontale, ovviamente stando bene attenti a salvaguardare la porzione sovraorbitaria del
trigemino durante questa operazione. Quindi si procede con lo scollamento del periostio, esposizione della
frattura. Prelievo della teca cranica per l’innesto, allestimento del lembo.Contenzione tramite ORIF (placche
molto piccole, circa 1mm). La cicatrice dell’incisione coronale verrà poi completamente nascosta dalla
crescita dei capelli, garantendo un risultato estetico ottimale.

NB: Quando abbiamo a che fare con fratture COMZ dobbiamo rispettare sempre l’integrità del tripode quindi
dobbiamo sempre e comunque accedere col coronale

- Endoscopico serve soprattutto per riparare il recesso frontale.

- Rughe frontali: il soggetto è giovane non ha rughe frontali ragion per cui è un po’ invalidante quindi è meglio fare
la coronale piuttosto che usare questa via

- Accesso orbito frontale laterale.

- Emicoronale.

Può essere complesso ottenere la perfetta simmetria e la perfetta risoluzione della anatomia, il navigatore ci aiuta
ci guida però ovviamente la complessità resta. La cosa importante è garantire che tutti i frammenti siano stati
adeguatamente liberati, e la cosa importantissima che dovete ricordare è che quando andate a gestire questo tipo di
fratture, una volta effettuata la bonifica il seno frontale deve essere obliterato per evitare mucoceli e complicanze
infettive che derivano da questo. Quindi va fatto con materiali autologhi e si allestisce contestualmente un lembo
per esempio di pericranio che abbiamo a disposizione stesso facendo il coronale, per coprire il seno frontale. Se
non c’è la disponibilità a prelevare il pericranio prendiamo la fascia lata, cosi come il grasso addominale o l’osso
che possiamo prendere stesso dal cranio. Quello che è importante è vedere come poi deve essere totalmente
obliterato il seno cosicché si ricostituirà sia l’anatomia che la funzione respiratoria.

Nel timing è importante capire la tipologia della frattura, se c’è coinvolgimento encefalico o meno, ovvio che se
c’è non si discute la priorità è neurochirurgica! Nei trauma-center l’idea è quella di gestirli insieme per evitare il
ripetersi di anestesie quindi l’ideale e poter collaborare tra neurochirurghi e maxillo cosi da trattare
tempestivamente. È ovvio che questo non è sempre fattibili e in questo caso in assoluto il neurochirurgo viene
prima.

NB.
→ Placche e viti non si rimuovono dato il difficile accesso.

→ Nel caso in cui non avessimo osso si può posizionare una rete di titanio e poggiarci su la galea; dopo qualche
tempo lì l’osso sì sarà ricostruito.

→Possono persistere deformità (il paziente spesso si sottopone a rinoplastiche secondarie).

→ Ferite trapassanti: sono un’emergenza chirurgica trattata con intervento combinato (neurochirurgia e maxillo-
facciale).
FRATTURE DEL MASCELLARE SUPERIORE

Rappresentano il 10-20% delle fratture del massiccio facciale. Il mascellare è un osso poco esposto alle frattureà
Presenta tre pilastri di resistenza (anteriore, medio, posteriore) dissipanti le forze verticali che si sviluppano durante la
masticazione; queste delimitano aree di debolezza vulnerabili a traumi che agiscono perpendicolarmente.
- Fratture alveolo-dentali: mascellari superiori o mandibolari; il trauma induce uno spostamento del dente,
con azione a mo’ di cuneo su mascella/mandibola

- Fratture palato alveolari (sagittali), semplici o comminute


- Fratture trasversali (di Le Fort)

- Fratture associate

FRATTURE DEL PALATO

Epidemiologia: Sono molto rare prese singolarmente.

Terapia: Si trattano con:

• RIDUZIONE: Che può essere fatta in modo manuale avvicinando le due strutture

• CONTENZIONE: è difficile con delle placche in titanio perché il palato è formato da uno strato di mucosa
molto sottile e fortemente adeso all’osso quindi posizionare una placca è difficile e pericoloso per cui si possono
usare dei dispositivi di contenzione applicati a delle ferule, però in questo caso basta avvicinare i capi e tenerli
fermi. Esiste la possibilità di usare dei dispositivi ortodontici fatti con dei modelli per ottenere lo stesso risultato.

FRATTURE DI LE FORT (TRASVERSALI)

LE FORT Ià C’è una linea di frattura che passa sopra gli apici radicolari, dal
setto nasale ai bordi laterali dell’apertura piriforme, includendo tutto il
processo alveolare, la volta del palato ed i processi pterigoideià porta alla
disgiunzione del processo alveolare superiore. Riguarda esclusivamente il
mascellare → leggero dislocamento primario verso dietro, poi anche in basso.
È la stessa frattura operata chirurgicamente quando è necessario spostare il
mascellare.
All’EO si mantiene con una mano la fronte del paziente e con due dita
dell’altra si valuta la mobilità del mascellare. Nb. Se il vomere non si rompe
la frattura non sarà dislocata.
Terapia: L’approccio prevede l’accesso a livello della gengiva non aderente
→ incisione di mucosa, sottomucosa e periostio → esteriorizzazione
dell’osso fino ad arrivare all’esposizione dei nervi infraorbitari.

• RIDUZIONE: Viene effettuata sempre con lo stesso meccanismo


openà comporta il riposizionamento del mascellare in sede usando
la guida fornita dalla mandibola che in questo caso non è fratturata.
E’ necessario utilizzare una guida perché altrimenti si potrebbe avere
una scorretta occlusione. E’ importante portare il paziente in
occlusione poiché una delle principali conseguenze di questo tipo di
frattura è proprio la perdita della normale occlusione dentaria, che si presenta con:
- Morso aperto (bocca aperta per precontatto dei molari) e dolore a chiudere la bocca.
- Edema, ematoma ed epistassi.
- Motilità del mascellare superiore (apprezzabile posizionando un dito nella bocca del paziente ed
apprezzando un tipico movimento come se il paziente avesse la dentiera)
- Disturbi della respirazione.
- Per questo si utilizzano degli strumenti detti “ferule” che vengono applicati sulle due arcate dentarie.
• CONTENZIONE: A questo punto la frattura può essere stabilizzata con placche di osteosintesi: sono delle
microplacche in titanio, compatibili, utilizzabili in tutti i pazienti anche i più piccoli e che non impediscono
di sottoporti successivamente a risonanza. Devo essere inserite un numero congruo di placche affinchè il
risultato sia stabile nel tempo. In commercio esistono delle forme predeterminate (per esempio a forma di
L) che vanno a ricostruire i pilastri, in questo caso il naso-mascellare e lo zigomatico-malare.
Le placche possono rimanere in situ anche per tutta la vita; qualora le condizioni di igiene orale o le
condizioni immunologiche di base del paziente non siano buone, queste possono andare in contro ad
infezione (pus e fistole) → rimozione delle placche. Le placche inserite a livello del cavo orale, poichè
questo è un sito per definizione contaminato, vengono rimosse in seguito al consolidamento osseo.
L’osteite da mezzi di osteosintesi può comparire anche a distanza di anni.

LE FORT IIà Ha forma piramidale, con una linea di frattura che attraversa la parete sottile del processo frontale, le
ossa lacrimali, il pavimento dell’orbita, la sutura zigomatica ed il mascellare, fino alla fossa pterigo-mascellare. Oltre al
mascellare, si ha la frattura della regione orbitale a livello del quale i danni sono maggiori. Per capire meglioà Linea
di frattura che segue la sutura maxillo-malare, risale lungo l’osso lacrimale, raggiunge la glabella e riscende
posteriormente fino alla pterigoidea.
Segni clinici:

• Disturbi a carico della congiuntiva, nei casi più gravi può esserci anche una lacerazione della congiuntiva.
• Edema dei tessuti molli ed ecchimosi circumorbitale.
• Distopia (le pupille non sono sullo stesso asse), enoftalmo o esofltalmo.

Terapia: L’approccio per questa regione è duplice poiché bisognerà accedere sia dalla cavità orale, sia
dall’esterno per operare sulle suture frontonasale, naso orbitaria e zigomatica.

1. L’approccio esterno può prevedere un’incisione a livello:


- della sutura frontonasale (glabellare)
- della regione orbitale → incisione transcongiuntivale, subcongiuntivale, subciliare, sotto orbitaria.
2. L’approccio può anche essere laterale all’arcata sopraciliare quando viene interrotta anche la sutura
frontozigomatica. Sono tutti approcci che garantiscono scarsi reliquati estetici.

3. Un altro tipo di approccio è quello preauricolare utilizzato sia per le fratture della regione condilare sia per
fratture dell’arco zigomatico

LE FORT III: (disgiunzione cranio-facciale)à È la più rara e la più complessa.Si estende attraverso la sutura
frontozigomatica, la parete mediale dell’orbita, determinando una totale disgiunzione delle strutture del III medio della
faccia con quelle del III superiore. Si differenzia dalla 2 perché la frattura non è lungo la maxillo-malare ma è lungo il
pilastro fronto-malare, riscende lungo la grande ala dello sfenoide e risale con la stessa linea. Quindi mentre nella 2
rimane l’osso zigomatico nella 3 abbiamo una disgiunzione cranio facciale, cioè la scatola cranica e completamente
staccata dallo splancnocranio. Inoltre coinvolge l’arco zigomatico che determina il profilo facciale perciò con questa
tipologia di frattura si avrà un danno estetico ma anche un danno dell’articolazione temporomandibolare con
conseguente riduzione dell’apertura della bocca e difficoltà dei movimenti di apertura, chiusura e masticazione; perciò
sono le fratture peggiori.

Terapia: Si procede alla loro riparazione utilizzando come punto di repere o il basicranio o l’occlusione (modalità
preferita).

Sutura naso-frontale, pavimento orbitario, divisione in due branche (fessura orbitaria inferiore) → sutura fronto -
zigomatica//arco zigomatico, PL mascellare fino ai processi pterigoidei (dislocamento primario all’indietro e in basso)

Qui abbiamo un interessamento del pilastro fronto-zigomatico per poter ottenere una buona riduzione e contenzione
abbiamo bisogno di un accesso molto più importante che è il coronale lungo la sutura coronale a tutto spessore, quindi
vengono esposte tutte le fratture per poterle bloccare.
Nel TIMING si cerca di ripristinare prima la regione centrale ovvero la gabella il pilastro zigomatico-mascellare e
malare; poi la porzione alveolare; infine il pavimento (quindi in direzione centrifuga).

§ Emergenza: compressione arteria centrale della retina→ amaurosi, lavorare entro 6-12h [Sondino in una narice,
altro sondino nell’altra e poi si tira il mascellare)

§ Urgenza: trauma cranico aperto con rinoliquorrea [intervenire con patch di dura madre]

Nb: nelle Le Fort II e III e per le fratture NOE, si può utilizzare approccio coronale, dove si scollano tutti i tessuti
molli della faccia per raggiungere i due tetti dell’orbita e il naso. Non è un approcio difficile perchè non ci sono
strutture nobili da preservare. Questo approccio però non consente di giungere al pavimento orbitario per cui bisogna
associare, in tal caso, un approccio sub orbitario.

Diagnosi

Ispezione
Epistassi; ecchimosi periorbitali, congiuntivali, sclerali; edema; ematoma sottocutaneo; malocclusione con
open bite anteriore; lacerazioni intraorali dei tessuti molli del vestibolo labiale o del palato. Versamenti
ematici di un certo tipo sono suggestivi di Le Fort II e Le Fort III.

Palpazione
Valutare caratteristiche della frattura ed eventuale presenza di rinorrea o otorrea cerebro spinale
Clinica

Dolore localizzato, malocclusione, difficoltà respiratoria, difficoltà alla deglutizione e alla fonazione, perdita della
sensibilità cutanea, diplopia, cefalea, nausea, vomito.

Trattamento
- Incruento: fratture incomplete, parcellari, pazienti con problemi sistemici (inoperabili)

- Cruento: riduzione e contenzione rigida (con mini o micro placche) oppure riduzione e contenzione non rigida con
filo metallico e sospensori.
FRATTURE DELL’ORBITA

Rappresentano il 5% delle fratture del massiccio frontale.

Struttura dell’orbita: L’orbita ha una forma piramidale (cono rovesciato); accoglie bulbo oculare, nervo ottico,
muscoli oculari.
- Pareti interne: sfenoide, frontale, lacrimale, mascellare, etmoide
- Pareti esterne: frontale, mascellare, zigomatico.
Presenta una parete superiore, una inferiore, una mediale, una laterale, una base ed un apice:

Il trauma che genera la frattura può essere:


- Diretto: colpisce direttamente il globo oculare; l’aumento della pressione intraorbitaria esita nella rottura delle
pareti più sottili (inferiore e mediale).
NB Il contenuto orbitario va verso il seno mascellare (inf) o nel naso (med), e non nel basicranio
- Indiretto

Classificazione
A) Topografica
• Parete mediale → sottile (circa 1 mm).
• Tetto → spesso (da 3 fino a 12 mm); la frattura di questa regione causa conseguenze catastrofiche (deficit
neurologici importanti) poiché fa parte del basicranio anteriore.
• Parete laterale → molto spessa; costituita dall’osso zigomatico (buona componente corticale necessaria al
sostegno dei masticatori).
• Pavimento → sottile (0,5 mm); vulnerabile perché costituito dal seno mascellare; tuttavia tale frattura non
determina conseguenze gravi, determinando l’erniazione di liquido o sangue nel sistema mascellare. Le più
comuni. Le fratture del pavimento possono essere classificate in base alla perdita di sostanza valutata in cm2:
o Small: < 2 mm (1 cm2); presente in meno di 3 tagli alla TC;
o Moderata: > 2 mm (2,5 cm2); coinvolge più della metà della superficie del pavimento e i tessuti molli
sono dislocati fra i frammenti ossei;
o Large: da 2,5 a 4 cm2; coinvolge l’intero pavimento.

B) Tipologia:
- Blow out: fratture del pavimento e/o della parete mediale in seguito a traumi diretti
- Blow in: il trauma indiretto scarica la sua forza lungo tutte le superfici

C) Coinvolgimento: pure/impure a seconda del coinvolgimento della cornice orbitaria.

Clinica
Segni:
• Ecchimosi, ematoma, edema palpebrale
• Enoftalmo (ipoglobo, frattura parete inferiore per trauma diretto e frattura blow out) → fratture con perdita
di sostanza importante dovute al fatto che il grasso contenuto nella cavità bulbare occupa il seno
mascellare.
• Esoftalmo (proptosi per trauma indiretto e frattura blow in)
• Eversione della palpebra inferiore, distopia (dislocazione bulbo)
• Limitazione del movimento della rotazione oculare (più spesso verso l’alto per coinvolgimento del Retto
inferiore, incarcerato nella rima di frattura)
• Diplopia, riduzione del visus (intervento d’urgenza!!!)
• Rinorrea

Test della duzione forzata → fastidioso per il pz, praticato solo da operatore esperto e in presenza di anestesista (riflesso
oculo-cardiaco). Si tira verso il basso la palpebra inferiore e con una pinzetta anatomica si ancora l’inserzione del retto
inferiore e si applica una trazione: se il bulbo oculare si muove ma il retto è bloccato, allora il retto è incarcerato
all’interno del pavimento fratturato. Se il retto inferiore invece si muove liberamente non c’è un incarceramento.
Test di Hessà Occhiali con lente destra rossa e sinistra verde, pz ad 1 metro da schermo, l’esaminatore usa torcia rossa,
il pz verde. È negativo se combaciano i punti indicati con le torce (valuta diplopia).
Sintomi:
- Perdita della sensibilità a carico di V1 (frattura cornice orbitaria superiore, n. sovra orbitario) o di V2 (frattura
cornice orbitaria inferiore, n. infraorbitario)
- Dolore localizzato
- Cefalea, nausea e vomito
- Alterazione della lacrimazione

Terapia
Indicazione all’intervento:
• Limitazione della rotazione forzata dell’occhio
• Enoftalmo (> 2 mm, persistente per le prime 6 settimane)
• Dimostrazione della frattura con TC
• Perdita della condizione sensitiva locale
• Incarceramento tessuti muscolari e del grasso con sviluppo di diplopia con positività alla prova di duzione
forzata (test da eseguire in sala operatoria con un rianimatore dato il rischio di arresto cardiaco dovuto al
riflesso oculo-cardiaco!)
• La coesistenza di una frattura del pavimento e parete mediale richiede il trattamento in ragione
dell’espansione volumetrica dell’orbita.

Il pavimento orbitario può essere:


- Riparato, quando sono sufficienti patch per ripristinare la continuità del pavimento
- Ricostruito, quando vi è una grossa perdita di sostanza
Materiali: I materiali per la ricostruzione sono oggi rappresentati soprattutto dal titanio, ma sono disponibili anche altri
materiali:
- Autologo (sinfisi mentoniera, processo coronoideo della mandibola)
- Eterologo
- Alloplastico: placche in titanio. Possibile utilizzare anche struttura in Medpor o Bio-Oss (più flessibile)
NB Frattura estesa del pavimento: ricorso a matrici dure che sostengono il contenuto orbitario (Medpor).

I materiali per la riparazione sono più spesso materiali riassorbibili, soprattutto membrane di collageno di tipo III
bovino (molto sottile o molto malleabile) → impiegano mediamente 6-8 mesi per essere degradati; tuttavia i più
utilizzati sono materiali non riassorbibili perché più stabili e garantiscono un supporto migliore del contenuto
orbitario.

Metodica: Si espone la frattura, si diminuisce il gap osseo e si suturano i piani. Si usano suture estetiche intradermiche.
Complicanze: Infezioni, migrazione (oggi raro per ancoraggio con un attacco di titanio), emorragie, formazioni di
fistole, dacriocistiti, strabismo (quando il v muscolo non è stato correttamente liberato e viene ulteriormente immesso
nel seno mascellare), dislocamento dell’impianto.
FRATTURE DEL COMPLESSO ZIGOMATICO

Introduzione: Le più frequenti in assoluto del distretto maxillo facciale. Lo zigomo è un osso tripodico che ha 3 processi
principali che si articolano con osso frontale, temporale, mascellare. Posteriormente prende rapporti con la grande ala
dello sfenoide e rientra anche nella costituzione del pavimento orbitario.
Possono essere isolate (se c’è una rottura di un solo frammento) oppure complesse, quindi COMZ perché tutto il
complesso orbitomaxillozigomatico viene interessato.

• Nel 50% dei casi vengono interessati tutti e tre i tripodi (i processi), il classico esempio è il cazzotto! frattura
maxillomalare, frontozigomatica e temporale.
• Nel 25% è Monopodica zigomatico mascellare o 20% zigomatica;
• Meno frequente è la bipodica.

Suture: fronto-/maxillo-/ temporale-/orbito- malare. Il dislocamento avviene quando vi è un completo distaccamento di


tutte e 4 le suture. Per riposizionare lo zigomo bisogna connettere almeno tre suture (di solito le prime 3)

Classificazioni

a) Topografica
- Isolata del corpo dello zigomo (spesso rientrano nel contesto di fratture del COMZ); con o senza spostamento (nel
primo caso può esserci una trazione laterale o lineare dell’osso)
- Isolate dell’arco dello zigomo

Nb. Le fratture del COMZ causano difficoltà al pz ad aprire la bocca (tale limitazione può consolidarsi); in caso di
fratture maggiori con gravi dislocazioni si effettua un approccio sopraciliare, sub ciliare e tranconsgiuntivale.

b) Tipologica
- Del corpo:
o Senza spostamento

o Con spostamento:
• Senza rotazione
• Con rotazione mediale/laterale

- Dell’arco zigomatico: l’arco, posto internamente, ostacola l’apertura della mandibola; possibile trisma muscolare
secondario ad infiammazione;

- Complesse (si associano a fratture di altre ossa) = COMZ (complesso orbito-maxillo-zigomatico)

Clinica: I segni e i sintomi sono bene o male sempre gli stessi: tumefazione della regione interessata. A volte l’edema
può essere vistoso e in questo caso il timing non è mai sotto 14 gg a meno che non vi siano dei coinvolgimenti orbitari
come l’incarceramento del muscolo retto inferiore o compressione del nervo ottico. Inoltre una cosa che può succedere
è che la coronoide, all’inserzione del muscolo temporale, si incarcera per frattura dello zigomo e viene bloccata quindi
clinicamente il pz non aprirà la bocca.

Diagnosi

EO: edema, ecchimosi, depressione del globo oculare (ipoglobo), epistassi, ipoestesia, diplopia, depressione
alla palpazione (sensazione di “scalino”).

Imaging: Rx, TC
Terapia:

Bisogna riposizionare e contenere la frattura con placche in titanio, poste in almeno tre punti per garantire una buona
stabilizzazione dell’osso e di più facile accesso (cornice orbitaria inferiore, sutura fronto-malare, sutura maxillo-malare).
RIDUZIONE: Il trattamento chirurgico differisce ovviamente in relazione al tipo di frattura

o In una frattura singola come quella dell’arco zigomatico, si può procedere con una riduzione tramite la “spatola di
Gillies” con un semplice accesso infraorale; in alternativa si usa un uncino transcutaneo.
o In una frattura triplice riuscire a posizionare questa struttura tripodica nello spazio non è agevole. Possiamo
adoperare una vite transcutanea (vite di Carroll-Girard) per riposizionare il pomello zigomatico; oppure quando
necessario dobbiamo operare “in open” possiamo usare questi punti di accesso:
§ Accesso sopra la arcata sopraciliare = raggiungiamo la sutura frontoorbitaria, frontozigomatica e andiamo
a posizionare la placca,
§ Accesso subciliare (o trancongiuntivale) = accesso eventuale se vi è una compressione del pavimento
orbitario
§ Accesso infraorale = che è quello usato anche per Le Fort.
§ Temporale = ripristino dell’arco.

E’ chiaro che se è una frattura comminuta potrebbe anche avere una seria di frammenti anche lungo il corpo, cosa
rara perché lo zigomo è abbastanza compatto come osso, in questo caso allora è necessario effettuare un coronale.

in alto a dx: approccio intraorale con spatola; in basso a sx: vite transcutanea; in basso a dx: uncino

CONTENZIONE: Si possono usare dei dispositivi esterni come per esempio una mascherina rigida in modo tale da
evitare che con movimenti o con traumi successivi ci possa essere lo spostamento. A parte questo caso nella maggior
parte dei casi la frattura va trattata in modo metodico cioè non si deve mai bloccare solo 2 pilastri ma sempre 3, per il
discorso dei facial batters. Quindi andiamo a ripristinare il pilastro zigomatico-mascellare, il contorno orbitario e la
sutura fronto-zigomatica. In linea di massima queste fratture, avvengono sempre lungo le suture che sono dei punti di
minore resistenza.

Quando frattura comminuta = è necessario porre una placca di osteosintesi sull’arco zigomatico; si effettua
un’incisione coronale per esporre l’arco zigomatico (casi in cui i segmenti fratturati sono più di tre).
Complicanze: Emorragia del seno mascellare, infezione dei tessuti molli, diplopia, ipoestesia persistente del nervo
infraorbitario, pseudoartrosi della bocca.

L’obiettivo della terapia è una simmetria anche perché lo zigomo è una delle zone a maggior impatto estetico.
Ultimamente ci viene incontro la tecnologia che ci consente di avere delle attrezzature per guidarci nella riduzione
corretta di queste fratture. Una di queste metodiche è data dalla NAVIGAZIONE INTRAOPERATORIA (VTO) àun
dispositivo che ci aiuta intraoperatoriamente a valutare tridimensionalmente il corretto posizionamento dell’ossoà cioè
nel preoperatorio sfruttando la TC e il posizionamento dello zigomo controlaterale effettuiamo un mirroring ovvero
ribaltiamo lo zigomo controlaterale come se fosse nella localizzazione di quello da trattare e questa cosa ci permette
durante l’intervento di andare a valutare il posizionamento corretto di questo zigomo o almeno darci un indicazione cosi
quando andiamo a effettuare la contenzione con le placche sarà quanto più simmetrico è possibile.

FRATTURE DELLE OSSA NASALI

L’osso nasale è pari ed è posto tra mascellare e frontale. Queste fratture possono interessare anche l’etmoide.

La piramide nasale è costituita da:

- Strutture ossee del III superiore à processo frontale del mascellare, spina nasale dell’osso frontale, due ossa
proprie del naso, ossa del setto, vomere, lamina perpendicolare dell’etmoide
- Strutture cartilaginee nella porzione inferiore à cartilagini nasali laterali, cartilagini alari, cartilagine del setto

- Fratture delle ossa proprie nasali


Classificazione
- Semplici - Fratture del setto nasale (verticali o
orizzontali) Provocano abbondante
- Scomposte emorragia → sangue nel muco pericondrio e
nel muco periostio → ematoma → fibrosi o
- Esposte necrosi cartilaginea → collasso del dorso
nasale.
- Con dislocazione della cartilagine del setto
- Lussazioni del setto (isolata o complesse).
Clinica
Sintomi
- Dolore ed epistassi
- Ecchimosi periorbitarie
- Edema dei tessuti molli (spesso maschera l’entità reale della deformità)
- Deviazione e appiattimento della piramide nasale
- Difficoltà respirazione e movimenti mimici
- Perdita della sensibilità regionale della cute
- Riduzione dell’olfatto
- Enfisema sottocutaneo (in quei pz che cercando di soffiarsi il naso, hanno determinato un passaggio di aria
attraverso la lacerazione del muco periostio)
- Fistole rinoliquorali
Segni
- Scalino tra mascellare/frontale ed ossa nasali
- Deviazione del setto (segno di frattura)
Diagnosi
• Telecranio (proiezione laterale ed AP)
• TC.

Terapia: Ossa nasali riposizionate mediante pinze di Ash (non si riducono mai tramite accessi chirurgici ma sempre in
modo chiuso); si inseriscono poi tamponcini (evitare sanguinamento nasale). Una mascherina sul naso favorisce la
corretta ossificazione.
FRATTURE NOE (NASO-ETMOIDO-ORBITARIE)

Sono fratture centro facciali che in genere avvengono per un trauma diretto alla regione del naso (incidente col motorino
senza casco). L’etmoide è un osso molto poco resistente costituito da una lamina perpendicolare e una orizzontale e la
parte alta (lamina cribra) è in stretta connessione con la fossa cranica anteriore per cui oltre a costituire le pareti mediali
dell’orbita fa parte della fossa cranica anterioreà Sono fratture che presentano spesso il coinvolgimento della fossa
cranica anteriore, quindi quello che può succedere è la rinoliquorrea perché si può creare una fistola di liquor.

Terapia: I principi del TRATTAMENTO sono sempre gli stessi e si associano al fatto che una frattura di questo tipo
isolata è rara e più spesso la troviamo associata. Si effettuano delle incisioni subciliari e si trattano le ossa del naso.

APPROFONDIMENTO: La frattura naso-orbita-etmoide (N.O.E.) è la frattura che coinvolge l'area di confluenza


dell’osso etmoide, del naso e dell’ orbita e in alcuni casi anche dell’osso frontale con conseguente coinvolgimento del
pavimento della base cranica anteriore. Le fratture NOE spesso si associano alle fratture delle ossa proprie del naso e, a
seconda del tipo di frattura (dislocazione dei frammenti ossei) e del coinvolgimento o meno del canto mediale orbitario,
sono classificate secondo Markhowitz in fratture N.O.E. di tipo I, II, III.

N.O.E. DI TIPO I: Nelle fratture N.O.E. di tipo I, vi è un unico grande


frammento N.O.E. relativamente composto, recante il tendine del canto
mediale. Le ossa nasali possono essere coinvolte nel focolaio fratturativo e,
tuttavia, possono offrire un valido sostegno alla sintesi chirurgica.

Fig 1. Il canto mediale dell’orbita rimane attaccato al frammento osseo


fratturato.

N.O.E. DI TIPO II: Nelle fratture unilaterali tipo II il tendine cantale rimane
attaccato ad un frammento d’osso depiazzato ed è possibile stabilizzarlo con
un filo di sutura. Nelle fratture bilaterali le ossa nasali sono spesso coinvolte
ed in questi casi può essere necessario un innesto osseo per ricostituire il
dorso nasale.
La figura 2 mostra una frattura di tipo II.

N.O.E. DI TIPO III: Nelle fratture di tipo III vi è un distacco del tendine del
canto mediale dell’orbicolare orbitario. Quando vi è il distacco del canto
mediale si ha un aumento della distanza intercantale (distanza fra gli occhi, di
norna 35 millimetri) con normale distanza fra le pupille (distanza interpupillare)
dal lato della frattura. La depressione del complesso osso nasale- osso frontale
è caratteristica di questo tipo di frattura specie se bilaterale e con il
coinvolgimento delle ossa proprie del naso. Tali fratture possono essere
monolaterali o bilaterali, con o senza interessamento delle ossa proprie del naso.

Non raramente si ha una comunicazione tra la scatola cranica e l’esterno con la


fuoriuscita di liquido cefalo rachidiano. Anche il sistema di drenaggio lacrimale
è intimamente legato alla regione NOE e può essere danneggiato durante il
trauma. Il chirurgo deve valutare la pervietà / continuità del sistema naso-
lacrimale al momento del trattamento chirurgico.
Fig. 3. N.o.e. di III. Distacco del canto mediale.
L’intervento, in sintesi, consiste nel riallineare i frammenti della frattura. La contenzione (stabilità dei frammenti ossei)
chirurgica prevede l’esposizione del focolaio di frattura e la contenzione con placche e viti in titanio (materiali
biocompatibili) con il conseguente ripristino, nei limiti del possibile, della funzionalità e dell’estetica. In caso di
traumatismi particolarmente gravi con perdita di sostanza ossea e/o cutanea il ripristino della funzionalità e dell’estetica
può essere parziale o mancato.
Si esegue una incisione sulla mucosa orale a ferro di cavallo con esposizione del focolaio di frattura (fig 7-8). Riduzione
delle fratture. Sintesi con placche e viti in titanio (fig 10 esempio generico di sintesi con placche e viti). Per accedere ed
arrivare alla parte superiore della frattura si esegue una incisione chirurgica attraverso i capelli vedi fig. 9 (da orecchio
ad orecchio) che permette, scollando la cute della fronte, di arrivare alla radice del naso e alle cornici orbitarie. Questo
permette di ridurre le fratture della radice del naso (fig 9), di apporre innesti ossei e consente la stabilizzazione con
placche e viti.

Fig 7 fig8 fig 9 fig10

Tra le possibili complicanze si segnalano le più frequenti: pseudo-artrosi, mancata/incompleta sintesi dei frammenti
ossei, processi infettivi anche gravi, sequestri ossei, perdita della sensibilità del territorio di innervazione della II branca
del V paio dei nervi cranici, perdita della visione, diplopia, paresi del terzo, quarto e sesto nervo cranico (complicanza
neurologica), fistola liquorale, anosmia (perdita dell’olfatto).
Dopo l’intervento è possibile avere dolore con eventuale infiammazione delle parti interessate, gonfiore delle periorbite
che può protrarsi anche per alcuni giorni, tumefazione e difficoltà nella masticazione e deglutizione. Si raccomanda per
questo, di seguire scrupolosamente le indicazioni del chirurgo operatore per la gestione della fase post-chirurgica come
l’applicazione del ghiaccio, la dieta, le eventuali terapie farmacologiche e le precauzioni necessarie.

Qualora Lei scegliesse di non sottoporsi all’intervento chirurgico la frattura, se non trattata, determina inesorabilmente
la mancata/ parziale fusione dei frammenti ossei.
FRATTURE MANDIBOLARI

Anatomicamente la mandibola presenta diverse porzioni:


- Sinfisaria
- Parasinfisaria (tra sinfisi e corpo, tra canino e I molare)
- Corpo mandibolare
- Angolo mandibolare
- Ramo mandibolare
- Processo coronoideo (inserzione del muscolo
temporale)
- Processo condiloideo → fratture mandibolari
piu’frequenti!
- Regione alveolare (su cui si inseriscono i denti)

Essendo la mandibola, un osso pari, simmetrico e a forma


di arco, l’energia cinetica trasmessa dal trauma in una
regione può determinare un trauma diretto nella zona d’impatto, e un trauma indiretto nella zona contro laterale. Per cui
una frattura nella zona parasinfisaria a destra, può determinerà una frattura indiretta del condilo o dell’angolo contro
laterale. Se l’impatto è sinfisario l’energia cinetica, che scarica posteriormente, determina una fratture dei due condili.

Classificazione
1. Rapporti con i tessuti circostanti
• Semplici o composte
• Chiuse o esposte
2. Tipi di fratture
• Incomplete o parziali
• A legno verde
• Complete con perdita di osso durante l’impatto (es. colpo di pistola)
• A triangolo basale: presenza di un piccolo blocchetto nella porzione inferiore
• Comminute (una serie di rime di fratture, a vetro)
• Semplici (con una sola rima di frattura)
• Complesse (più rime di fratture)
• Segmentali (2 rime di fratture con spostamento di un blocco osseo

Fratturate in modo completo vuol dire che: sono fratturate in modo completo (corticale-midollare-corticale), e vi è una
disgiunzione. Incomplete: non vi è disgiunzione dei capi ossei e non vi è mobilità.

3. Decorso
• Favorevole → quando le linee della frattura sono allineate in direzione contraria rispetto a quella muscolare.
Non si ha spostamento del segmento osseo leso
• Sfavorevole
4. Presenza di elementi dentari
• Elementi dentari sufficienti
• Edentulo o con pochi elementi dentari
• Dentizione di latte o dentizione mista
5. Andamento
• Orizzontale
• Verticale
6. Simmetria
• Monolaterali
• Bilaterali
7. Localizzazione
• Della sinfisi e regione tra i 2 canini
• Della regione canina
• Del corpo, trai canini e l’angolo
• Dell’angolo in corrispondenza del 3 molare
Del ramo mandibolare, tra angolo e incisura sigmoide
• Del processo coronoide
• Del processo condilare → è la frattura più frequente perché questa è l’area più sottile della mandibola. Il trauma
avviene in direzione paramediana o mediana. Se il trauma avviene in regione mediana si ha rottura del condilo
bilaterale e della sinfisi. Se il trauma avviene in regione paramediana si ha la rottura del condilo controlaterale
e della regione parasinfisaria.

8. In base all’inserzione dei muscoli 9. Posizione trauma:


- Intrageniene - Flessione
- Retrogeniene - Schiacciamento
- Intramiloidea - Scollamento
- Retromiloidea - Torsione
- Intra o retromasseterina - Scoppio
- Condiloidea
Ndr da domanda scritto: le fratture intrageniene non provocano spostamento.

Diagnosi:

Anamnesi: Il paziente vi riferirà di aver avuto un trauma (incidente, aggressione)

Esame Obiettivo

• Mobilità in sede di frattura


• Malocclusione: è il primo segno rilevabileà Alla palpazione bimanuale si rilevano malocclusione, movimento
dell’osso, sensazione di scalini
• Crepitio
• Edema
• Lacerazione, ematomi ed ecchimosi dei tessuti molli
• Movimento anomalo della mandibola
• Parestesia

Segni certi: Segni incerti:


• Deformazione dell’osso fratturato • Parestesie, dolore alla pressione
• Mobilità del frammento fratturato • Mobilità dentaria / perdita di denti
• Asimmetria facciale • Alterazioni estetiche del volto e funzionali
• Crepitio mandibolare • Ostruzione vie aeree, edema

Ortopantomografia, indagine di I livello, che viene sempre fatta. Semplice e con basso costo. Evidenzia bene la rima di
frattura. Spesso una frattura della regione sinfisaria può non essere evidenziata, e in questo caso ci aiuta la TC.

TC in proiezione assiale, coronale e 3d

Telecranio

Trattamento: L’occlusione rappresenta l’obiettivo della terapia! Si espone il segmento osseo fratturato, si scheletrizza
il periostio, si pone il pz in occlusione applicando ferule (strumenti metallici in titanio) sulle arcate dentali superiori e
inferiori e dunque si ottiene la contenzione.
Nb. In caso di frattura dell’angolo e del ramo, se la linea di frattura è in prossimità dell’elemento dentario nella maggior
parte dei casi esso va mantenuto per non perdere la continuità ossea; è invece estratto in caso di insorgenza di parodontiti
apicali.
Frattura del processo coronoideo: rara data la protezione offerta dall’arcata zigomatica
Tecniche di osteosintesi

1. Fissazione intermascellare chiusa (in caso di frattura mandibolare senza spostamento). Se non c’è
spostamento non abbiamo bisogno di effettuare una riduzione, ma facciamo direttamente una
contenzione.

[Terapia incruenta] si possono usare:


- Ferule: filo metallico fissato all’arcata inferiore e superiore mediante altri fili metallici che tengono saldoil
tutto.
- Legature di Ernst: più rapide rispetto al ferulaggio, si inseriscono tra I e II premolare e tra premolare
emolare.
- Dispositivi a supporto osseo per fissazione intermascellare mediante viti, placche, miniplacche
interarcata: rapida applicazione (richiede 5 minuti contro l’ora richiesta dalle ferule)

2. ORIF (open reduction-internal fixation, riduzione aperta e fissazione interna): quando c’è spostamento (non
favorevole) o si tratta di una frattura pluriframmentaria (comminuta) o vi è una comunicazione con l’esterno
(esposta).
Placche e viti con titanio; la posizione delle placche in titanio deve tener conto di:
- Necessità di preservare le radici dentarie
- Necessità di preservare il nervo alveolare inferiore
- Necessità di preservare la forza di inserzioni muscolare
Oggi sono presenti placche che, in virtù della loro morfologia, permettono il loro utilizzo come fissatori esterni
anche se sono applicate internamente (la placca acquisisce una maggior forza contenitiva).
Nel caso di frattura sinfisaria al posto della placca si possono utilizzare due viti, fili metallici, una vite ed una placca,
una placca e ferule, due placche (tecnica più usata, evita un movimento anteroposteriore della mandibola una placca
è posta a livello del bordo inferiore della mandibola a livello del n. alveolare inferiore ed una sotto le radici dentarie.

3. Fissazione esterna: non molto utilizzato (difficile posizionamento, cicatrici esterne). Non richiede in genere
che il pz tenga fili dopo l’intervento (questi sono rimossi durante l’intervento).

Nb: Accessi extraorali: in genere in caso di grosse fratture (si utilizzando placche di ricostruzione).

Approfondimento sulle placche: Le placche in titanio in commercio oggi ce ne sono di tantissimi tipi. Oggi possiamo
usare placche che sfruttano due concetti importanti: Load Sharing e Load Bearing.
• Load sharing: queste placche vengono posizionate sul profilo osseo e fissate con delle viti, in questo
modo gli spostamenti si scaricano sia sulla placca sia sull’osso.
• Load bearing: le placche non aderiscono perfettamente all’osso, ma c’è un po’ di spazio, e gli
spostamenti scaricano completamente sulla placca. Questo è molto utile in caso di fratture comminute, su cui
non possiamo scaricare.
Nel caso di fratture complete di corpo, sinfisi, e parasinfisi utilizziamo 2 placche, perché 1 placca è posta sul margine
inferiore, e un’altra in un’area giusto al di sotto degli apici dentali, per non ledere i denti. Applichiamo due placche
perché esistono forze di torsione sulla mandibola. Una sola placca determinerebbe una torsione dei frammenti.
Frattura del condilo
Tra le fratture mandibolari quelle più frequenti sono quelle condilari perché in tale regione l'osso é più sottile in
quanto deve articolarsi nella cavita gleinoidea dell'osso temporale e se avesse una struttura più spessa, in caso di
trauma, si determinerebbe l'ingresso del condilo nel neurocranio con maggiori complicanze.
Il condilo è la porzione terminale della mandibola che si articola con il temporale; è divisibile in tre regioni:
• Testa: all’interno della capsula articolare condiloidea (le sue fratture non possono essere trattate
chirurgicamente). Possibile complicanza anchilosi ATM
• Collo: molto sottile che si rompe più facilmente
• Regione subcondilare

Sul condilo si inserisce il m. pterigoideo esterno che tende a trazionare il condilo anteromedialmente. La contrazione di
entrambi i pterigoidei causa protrusione. Il condilo determina l'altezza verticale della mandibola:

• Se il condilo viene a rompersi da un solo lato e si porta anteromedialmente, vi è una riduzione dell'altezza
verticale della mandibola → essa sarà spinta dai muscoli masticatori verso il lato fratturato, traumatizzato e
sarà portata in alto. Per cui nel caso di una frattura monocondilare (trauma parasinfisario) si osserva:
• Morso crociato omolaterale (denti dell'arcata inferiore sono posti lateralmente rispetti a quella dell'
arcata superiore)
• Morso aperto controlaterale (denti non riusciranno più a toccarsi tra di loro) per la
laterodeviazione mandibolare + precontatto omolaterale.
• Nel caso in cui invece c' è una frattura bicondilare (trauma sinfisario), si osserva:
• Retroposizione della mandibola → per perdita di altezza verticale di entrambi i segmenti ossei
della mandibola, di entrambi i condili perché non avviene la protrusione.
• Precontatto posteriore → la mandibola viene spinta posteriormente dai muscoli masticatori
• Morso aperto anteriore → i gruppi molari posteriori vengono spinti dietro e quindi vengono a toccare
con quelli superiori determinando una mancata chiusura della bocca.
Classificazione:
Le fratture possono essere distinte in base alla sede in: Il collo anatomico è distinto dal collo
- Intracapsulari (Alte) → quando avvengono all' interno della capsula chirurgico da una linea che passa al
del condilo mandibolare. centro del piano delimitato da altre
Non possono essere trattate chirurgicamente perché bisognerebbe due linee di riferimento:
riposizionare il segmento osseo fratturato e porvi delle placche di • Una passa tangenzialmente
osteosintesi, ma tale regione è troppo limitata per farlo. Quindi queste all' incisura sigmoidea,
fratture si trattano con una terapia di tipo medico (mediante apparecchi delimitando tutto il condilo
ortognatopedici). mandibolare.
- Extracapsulari (Basse) → fratture del collo condilare • L' altra linea invece si va a porre al
- Condilari alte di sotto della capsula articolare e
- Condilari basse quindi differenzia la
- Subcondilari: al di sotto di una linea passante per l’incisura sigmoide testa del condilo dal collo.
e perpendicolari a una llinea parallela al margine posteriore del ramo Quindi le fratture che possiamo
-
trattare chirurgicamente sono le
Possono inoltre essere:
• Composte/scomposte fratture non del collo anatomico bensì
• Complete/incomplete del collo chirurgico del condilo.
• Con o senza lussazione (avremo spostamento dell’osso
nel caso in cui la rima di frattura sia parallela all’andamento
delle fibre muscolari)
• Mono-bi-/condilari
• Esposte/non esposte (a seconda che ci sia o meno esposizione dei
monconi ossei fratturati)
Clinica
Determinano malocclusione, scialorrea, difficoltà alla masticazione, atteggiamento antalgico e otalgia.

Diagnosi
- Ortopantomografia (RX)
- Tomografia computerizzata (TC).
In modo particolare se abbiamo la ricostruzione con sezioni coronali è possibile osservare la medializzazione
del condilo e anche la perdita di altezza verticale dell'osso mandibolare. Sono disponibili anche immagini di
tc tridimensionale che ci aiutano a vedere come il condilo viene medializzato.

Terapia
Approcci chirurgici
• Pre-auricolare → fratture alte.
• Retro-mandibolare→ fratture basse. Attenzione a non lesionare il VII che passa attraverso la ghiandola
parotidea.
• Endoscopico→accedendo dall'interno della bocca attraverso l'utilizzo di strumenti ruotanti e curvi. In
questa metodica si evita di lesionare il faciale.

Una volta ridotta la frattura, quindi riportato il condilo nella sua posizione normale, possiamo
utilizzare diverse placche per l'osteosintesi di questo segmento osseo:

- Placca singola (non si usa più):data l’elevata forza dello pterigoideo c’è un maggior rischio di rifrattura

- Placca lambda: permette una normale fissazione del condilo


- Due placche: che vengono posizionate una che va sull’incisura sigmoide e una sul margine posteriore
della mandibola che sono le due linee di trazione e compressione.
- Placca trapezoide: azione simile alla placca lambda e alle due placche, utilizzata di routine perchè tiene
conto di quelle che sono le linee di resistenze e di forza. Queste linee decorrono attraverso delle
particolari angolazioni del condilo e posizionando la placca in questo modo è possibile ridurre queste
linee di forza, quindi avere una fissazione rigida, stabile.

RICORDA: Il timing è di 14 giorni. E’ meglio non trattare una frattura immediatamente perché c’è l’edema
iniziale,i tessuti sono tumefatti,c’è dolore e cosi si puo fare anche profilassi antibiotica pre-operatoria.

1. Approccio pre-auricolareà Si incide cute, sottocute, fascia del muscolo temporale, fibre temporali del
VII n.c.Si va ad incidere lo strato cutaneo e sottocutaneo. Una volta incisa la fascia ci si porta sull' arco
zigomatico, al di sotto del quale è presente il condilo mandibolare per cui si va a deperiostare (scollare il
periostio) questo segmento osseo, lo si va a riposizionare nella sua posizione fisiologica e si favorisce la
sintesi mettendo le placche dette prima.

Quindi i due passaggi sono riduzione e sintesi. Infine si sutura.

ü Vantaggi: non comporta danni estetici perché l’incisione viene effettuata in una zona
posteriore del viso.
!!!Svantaggi:

- Solo per le fratture alte del condilo mandibolare.


- Ridotta sensibilità del paziente in questa zona.
- Possibile sviluppo della Sindrome di Frey → il pz alla masticazione suda in regione preauricolare
per anomala rigenerazione di fibre del n. auricolo-temporale (ramo del n. mandibolare) che viene
danneggiato. Può essere evitata ponendo del tessuto fasciale o il lembo di Smas (superficial muscolar
aponeurotic system: va dal platisma alla galea aponeurotica) che viene inciso tra parotide e
sottocutaneo. Ovviamente dobbiamo stare attenti al nervo faciale quando utilizziamo questo tipo di
incisione.

2. Approccio retroangolomandibolareà Bisogna portare superiormente la ghiandola parotidea in modo da


non ledere il nervo faciale. Viene inciso anche in questo caso il tessuto cutaneo e sottocutaneo. L' incisione
viene effettuato circa 1,5mm posteriormente all' angolo della mandibola, si va ad incidere la fascia della
parotide sulla sua porzione inferiore stando attenti al nervo marginalis mandibolae e ci si porta sul piano
osseo, andando ad incidere le fibre del muscolo massetere. Si va per via smussa, quindi subperiostea, ad
esporre il segmento osseo fratturato, cosi si riposiziona e si fissano le placche.Tutti i pazienti nel post
operatorio devono essere seguiti con della ginnastica articolare, altrimenti non riescono a ripristinare e
rinforzare i muscoli masticatori che erano stati danneggiati durante l'evento traumatico.

ü Vantaggi: completa esposizione del ramo mandibolare e del condilo, minimi esiti
cicatriziali.
"!!!Svantaggi: possibili danni transitori o permanenti del VII.

3. Approccio endoscopicoà Ha bisogno di particolari strumenti perchè viene effettuato per via intraorale,
quindi si bypassano la parotide e il nervo facciale. Dall' esterno viene introdotto il trocar, che ha un diametro
inferiore ad 1cm, attraverso il quale vengono posizionate le viti delle placche.
L' approccio endoscopico, se si ha lo strumentario, andrebbe utilizzato sempre.

Svantaggi: è più difficile ridurre una frattura quando si ha un forte medializzazione, perchè prima di
posizionare gli strumenti di osteosintesi è necessario riposizionare il segmento osseo nella giusta
posizione.!

ETA’ PEDIATRICA

Il condilo è la regione in cui sono presenti i nuclei di accrescimento i quali potrebbero


essere ridotti/bloccati dal posizionamento di una placca di osteosintesi.
Possibile un trattamento funzionale (non chirurgico).

Eventualmente si può rimuovere solo il frammento osseo se questo provoca un’interferenza con la
normale architettura del cavo orale (e quindi con i normali movimento masticatori).
In caso di ricorso alla chirurgia si fa ricorso a placche riassorbibili (si degradano nell’arco di alcuni mesi).

Fratture Dell’angolo: Le fratture dell’angolo sono spesso indirette e sono trattate con due placche sovrapposte
posizionate in base ai principi della biomeccanica di Sciampì. Una placca viene messa lungo il margine
inferiore della mandibola e una lungo la linea obliqua mandibolare che sono i punti di tensione e di
compressione che si hanno durante la masticazione. Nell’occlusione possiamo avere un pre-contatto da un lato
e questo ci indica che molto probabilmente c’è una frattura angolare.

Per fare la riduzion della frattura si deve sempre porre il pz in occlusione. Poi si deve fare una contenzione con
ORIF e mettiamo le placche. A volte non riusciamo con un trapano a fare dei fori perpendicolari all’osso allora
usiamo il trocar: con una piccola incisione lungo la guancia si inserisce questo dispositivo che ha un canale
che ci permette di fare dei buchi.
Evoluzione in campo chirurgico

• Inizialmente le fratture venivano trattate mediante fili metallici → dopo aver riposizionato i
segmenti ossei, si legavano e bloccavano attraverso fili metallici.
• Si è passati poi all' utilizzo di mezzi di fissazione quali placche e viti in titanio e infine alla
via endoscopica.
• La vera evoluzione nasce nel 2010 con la navigazione chirurgica: introdotta in
neurochirurgia, oggi utilizzata anche nei grossi traumi del massiccio facciale. Si basa su un
sistema fondato sulla tecnologia GPS: si fa eseguire al paziente una TC preoperatoria che
viene successivamente caricata nel neuronavigatore, costituito da un satellite, un elaboratore
e un probe. I dati vengono caricati nell’elaboratore e matchati attraverso dei punti identificati
alla TC → si può valutare preoperatoriamente come ottenere il corretto posizionamento di
un segmento osseo lateralizzato.
L’ immagine TC corretta del segmento osseo si ottiene attraverso un mirroring, ovvero si
analizza specularmente il segmento controlaterale.
• Addirittura è possibile oggi ottenere mezzi di fissazione customizzati, ovvero costruiti su
singolo paziente che aderiscono perfettamente e seguono tutte le linee di resistenza.
DEFORMITÀ DENTO-SCHELETRICHE
Le deformità dei mascellari sono una particolare forma di malformazione cranio-facciale. In generale le
malformazioni cranio-facciali derivano da alterazioni dell’embriogenesi.
Embriologia: Il mascellare superiore consta di cinque centri di ossificazione (malare, orbito-nasale, nasale,
palatino, incisivo) già visibili al 2° mese di vita intrauterino e che si saldano intorno al 6°à Quindi la maggior
parte della patologia legata ad un errata fusione si verificheranno in questo arco di tempo.
La mandibola invece ha un’origine connettivale: ha origine dalla cartilagine di Meckel e costituisce il primo
arco branchialeà intorno al 2° mese di vita intrauterina la cartilagine di Meckel viene sostituita da osso dando
origine alla mandibola. L’accrescimento mandibolare è estremamente complesso perché ci sono delle forze
che tendono a far divergere i due poli e poi c’è un intenso rimodellamento periostale. Tutto corrisponde a dei
meccanismi biologici che sono: apoptosi, riassorbimento, apposizione e così via. Questo complesso gioco di
forze determinerà quella che è la forma della mandibola. Una situazione simile la ritroviamo poi per tutte le
ossa che andranno a costituire lo splancnocranio.
Alla nascita abbiamo una predominanza dei cavi orbitari, lo splancnocranio risulta essere più piccolo rispetto
al neurocranio. I rapporti scheletrici sono differenti a seconda di quando si ha la nascita e la fine della crescita.
In particolare, alla fine della crescita abbiamo un’espansione prevalentemente di tipo verticale con lo
splancnocranio che si espande verso il basso e in avanti. Mentre nel neonato tutto è più raggruppato verso il
centro, man mano nella crescita il mascellare superiore si sposta in basso, richiamando con sè la mandibola.
Chiaramente la crescita non è solamente sul piano coronale ma avviene su tutti i piani, quindi si espande in
larghezza, profondità e altezza. Non bisogna pensare allo sviluppo di una singola componente ossea ma
dobbiamo pensare allo sviluppo dell’unità morfo-funzionale che costituisce questi due elementi che vanno in
stretta connessione e che poi avranno delle funzioni molto importanti.
Eziopatogenesi: Da cosa deriva l’accrescimento del cranio? L’accrescimento del cranio è un processo
multifattoriale che deriva sia dal patrimonio genetico dell’individuo, quindi dalla fisiognomica dei genitori,
sia da comportamenti funzionali che avvengono dopo la nascita quali la masticazione, la fonazione ecc… Si
parla in effetti di “parafunzioni”, abitudini viziate come ad esempio mordersi il labbro, tenere la lingua sotto
il palato, alcune forme di balbuzie, sono responsabili durante l’accrescimento di accrescimento anomalo delle
strutture ossee. Immaginate un bambino che mette la lingua sotto al palato determinerà la formazione di un
palato ogivale e quindi di una malformazione. Il classico ciucciotto dei bambini è uno di quegli elementi che
può determinare una crescita anomala. Ed infatti si è visto che su 2000 bambini in età prescolare, circa il 54%
dei soggetti senza malocclusione aveva comunque un’abitudine viziata. Quindi in definitiva si riconoscono: la
componente genetica e la componente ambientale e di tipo sociale.
Epidemiologia. Da un punto di vista epidemiologico le deformità più comuni sono le terze classi scheletriche,
poi la prima classe scheletrica e infine la seconda classe scheletrica.
All’interno della popolazione:
- 35% normocclusione (domanda scritto)
- 60% malocclusione (da moderata a grave)
- 5% deformità dentofacciale in pz sindromico/con alterazioni genetiche accertate
Solo in una minoranza dei casi la deformità è attribuibile ad una causa specifica, nella restante parte dei
casi invece si verifica una complessa combinazione di fattori ambientali ed ereditari.
L’equilibrio tra le forze muscolari di lingua, muscoli della masticazione e mimici può essere minato da:
- Alterazioni della deglutizione
- Respirazione orale (a bocca aperta)
- Traumi nell’età della crescita
- Abitudini viziate (ciuccio, biberon, succhiamento del pollice)
Clinica. Da un punto di vista clinico noi possiamo avere:

• Una retrusione della mandibola (mandibola spostata all’indietro)


• Una retrusione mascellare (mascella spostata all’indietro)
• Una protrusione mandibolare (mandibola spostata in avanti)
• Un eccesso di sviluppo verticale del mascellare superiore
• Asimmetrie facciali spesso associate a quadri sindromici di malformazione [vedi sopra]
Il concetto è sempre lo stesso e cioè le alterazioni dei rapporti reciproci e relativi tra la mandibola e il mascellare
superiore, rispetto al cranio o rispetto all’occlusione. Queste due componenti possono interagire tra loro in
modo diverso, perché magari sono cresciute in modo diverso con lo sviluppo dei diversi quadri di deformità.
Uno spostamento delle parti scheletriche (mandibola o mascellare superiore) corrisponde ad una alterazione
dell’occlusione? Non necessariamente perché è possibile che ci sia un compenso da parte dei denti che riescono
a ritrovare una giusta occlusione. Però quando questo è particolarmente importante allora si avrà anche una
malocclusione dento-scheletrica.
Classificazione di Angle
Angle ha stilato una classificazione dei rapporti occlusali sagittali, quindi non delle parti scheletriche ma del
piano occlusale che però spesso corrispondono. Quindi in base alla posizione di due elementi, le cosiddette
chiavi canine e molari ha stilato queste tre classi:

• Prima classe Angle = Normoocclusione: il


canino superiore si colloca distalmente, di circa
mezza cuspide, rispetto al canino inferiore
(chiave canina) e la cuspide mesio-vestibolare
del primo molare superiore, ingrana con il solco
mesio-vestibolare del primo molare inferiore
(chiave molare).
• Seconda classe Angle = Disto-occlusione, si ha
quando la cuspide mesio-vestibolare del primo
molare superiore, occlude mesialmente al solco
mesio-vestibolare del primo molare inferiore.
Questa classe, a seconda della posizione degli
anteriori, è divisa in due sottoclassi dette
divisioni:
o I DIVISIONE: si ha una seconda
classe, a livello posteriore, ed un
aumento dell’overjet negli anteriori.
o II DIVISIONE: si ha sempre, a livello posteriore, una seconda classe, ma si presenta
un’assenza di overjet a livello anteriore.
• Terza classe Angle = mesio-occlusione, si ha quando la cuspide mesio-vestibolare del primo molare
superiore ingrana distalmente al solco mesio-vestibolare del primo molare inferiore. La terza classe
corrisponde quasi sempre al progenismo. “quasi sempre” perché potremmo anche avere un’ipoplasia
mandibolare che spiega questo quadro o anche forme miste.
Poi ci sono una serie di rapporti occlusali anche sul piano coronale (frontale), sia trasversali che verticali,
quindi possiamo avere:

• Un DIASTEMA: è la distanza che esiste fra due denti vicini. Si riscontra soprattutto tra i due incisivi
centrali superiori (es Eddie Murphy).
• Un MORSO APERTO: spazi ben visibili dovuti al mancato contatto fra elementi dell’arcata superiore
ed elementi dell’arcata inferiore.
• Un MORSO CROCIATO LATERALE (CROSSBITE): le due arcate non combaciano perfettamente,
nell’immagine vedete un crossbite a destra.
• Una LINEA MEDIANA DEVIATA: le due linee inter-incisive non corrispondono.
• OVERJET: ndr aumento distanza anteroposteriore tra incisivi fisiologico entro i 2mm, patologico
oltre i 2mm.
• OVERBITE (SOVRAMORSO): spazio verticale tra margine incisale superiore inferiore;
normalmente misura 2-4mm. Nell’immagine vedete che gli incisivi superiori chiudono dietro della
mandibola (possibile nel prognatismo mandibolare o progenismo).
• Un MORSO PROFONDO: incisivi superiori chiudono sovrapponendosi a quelli inferiori.
• L’AFFOLLAMENTO, quando abbiamo un’enorme quantità di elementi dentari sovrannumerari in
arcata, come nel caso in cui le arcate sono contratte, ovvero quando i mascellari non sono espansi in
modo normale, ma sono contratti, e quindi le gemme dentali non hanno spazio per uscire in modo
corretto creando così un affollamento, una situazione in cui i denti possono emergere anche a livello
vestibolare o a livello linguale.

Inquadramento clinico: L’Esame obiettivo è come sempre un’analisi essenziale, la eseguiamo con una
semplice ispezione e analizziamo:

• Le bozze frontali,
• L’attaccatura dei capelli,
• Le caratteristiche del bordo orbitario,
• Le arcate zigomatiche
Quindi quello che noi chiamiamo “euritmia del viso” cioè un approccio globale alla valutazione del paziente.
Va poi valutato:

• Lo spessore muscolare del labbro,


• La competenza/incompetenza labiale,
• Il rapporto labio dentale e il rapporto labio gengivale,
• L’eventuale presenza di “gummy smile” ovvero l’evidenza delle gengive nel sorriso (questo è legato
al fatto che il mascellare superiore ha un eccesso verticale di crescita e quindi scende più in basso e
quindi le labbra non lo riescono a coprire in modo corretto.
• Dinamiche nasali
• L’angolo naso-labiale, quindi le cosiddette pieghe naso-labiali, che variano in base alla struttura ossea
sottostante, per cui se questa è spostata in avanti allora avremo una riduzione delle naso-labiali, se
invece è spostata indietro ne avremo un aumento
• Gli angoli mandibolari, che ci permettono di definire una condizione che si definisce iper-divergenza
o ipo-divergenza, cioè l’aumento dell’angolo mandibolare verso il basso o verso l’alto
Diagnosi
1. Anamnesi medica ed odontostomatologica: es. eventuali trattamenti ortodontici, abitudini viziate,
motivazioni di natura estetica.
2. Valutazione clinica dell’occlusione e dell’estetica facciale
3. Esame fotografico del volto e del cavo orale (visione frontale e laterale, labbra a riposo con e senza
sorriso).
4. Imaging
- RX arcate dentarie (OPT).
- Teleradiografia in proiezione LL, PA (principali) e submento-vertice → Rx cranio a 360°.
- Tracciati cefalometrici effettuati sui radiogrammi (utile a capire se bisogna agire su mascellare o
mandibola).
- TC/RMN dell’ATM.
- Esame EMG (insieme al precedente → quando alla malocclusione si associano disturbi a carico
dell’ATM).
- Esame scintigrafico (quando si rileva un iperfunzionamento dei nuclei d’accrescimento).

RX e TC: Sicuramente l’esame obiettivo, l’ispezione, è fondamentale ma dobbiamo anche valutare le basi
ossee: è necessario andare a effettuare degli esami di tipo radiologico. Quelli che si utilizzano sono le classiche
radiografie del cranio: Ortopantomografia e Telecranio (antero-posteriore e latero-laterale a volte submento-
vertice). Queste radiografie vengono effettuate mantenendo un rapporto di 1:1 e questo è fondamentale per
effettuare quelle analisi cefalometriche che ci permettono di fare la diagnosi e valutare i rapporti tra il
mascellare superiore e la mandibola. Oggi possiamo anche utilizzare metodiche innovative come la TC Cone
Beam.
ANALISI CEFALOMETRICA: La diagnostica per immagini ci
serve per fare un’analisi cefalometrica. L’analisi cefalometrica è una
metodica che permette di valutare quelle che sono le relazioni delle
parti ossee; possiamo dire che una persona ha un’eccessiva crescita
di questo o quel segmento osseo utilizzando alcuni punti di repere ben
precisi che ci permettono di tracciare degli angoli e gli angoli sono
invariati rispetto alle distanze.
Ad esempio in una radiografia latero-laterale del cranio potremmo
valutare gli angoli:

• SNA–Sfenoide-Naso-Punto più prominente del mascellare


superioreà che nella popolazione generale è di circa 82 ±
3.50
• SNB–Sfenoide-Naso-Punto-più-prominente-della-
mandibola
Con questi angoli potremmo valutare il rapporto tra le parti
scheletriche che dovrebbe avere il soggetto caucasico tipico per capire, rispetto a questo quanto devia il nostro
paziente.
La stessa cefalometria oltre che sul piano sagittale viene fatta anche sul piano frontale.
ANALISI PROFILOMETRICHE: Mantenendoci nel campo della “diagnostica per immagini” noi utilizziamo
molto le analisi profilometriche in cui effettuiamo un accurato studio fotografico. Sulle fotografie ottenute
tracciamo determinate linee che ci evidenziano le diverse proporzioni tra le porzioni del corpo.
RILIEVI GIPSOMETRICI: Ancora molto importanti sono i rilievi gipsometrici, questi vengono presi dal
dentista con materiale gommoso che successivamente si solidifica e viene utilizzato per ottenere calchi in
gesso. A cosa ci servono i rilievi gipsometrici? Una volta prese le impronte queste vengono inserite su un
apparecchio che si chiama articolatore, il quale non fa altro che riprodurre quella che sarebbe la normale
occlusione del paziente. Questa informazione è importantissima perché ci fa capire quali sono i movimenti che
le basi devono fare per riottenere la normoocclusione che cerchiamo.
VTO CHIRURGICO (Visualizzazione Obiettivi di Trattamento): Fatta la diagnosi si procede a tutta una serie
di esami per valutare quale debba essere lo spostamento chirurgico che deve ottenere questo paziente, questi
esami costituiscono appunto il VTO chirurgico.
Ci sono tutta una serie di criteri per valutare l’euritmia di un volto e quindi: la divisione nei tre segmenti, terzo
inferiore, terzo medio, terzo superiore e i vari rapporti percentuali che ci sono tra questi, il terzo medio misura
circa il 42% rispetto alla totale estensione del volto; la distanza tra le commissure della radice del
nasoàInsomma sono tutta una serie di valutazioni di tipo estetico che devono essere fatte prima di
programmare il corretto spostamento delle basi ossee.
Oggi stiamo studiando in dettaglio un tipo di procedimento digitalizzato per fare questa cosa. C’è un software
che tramite la TC, ci permette di calcolare questi angoli cefalometrici in modo automatico e, soprattutto, ci
permette di sovrapporre alla parte scheletrica l’acquisizione del volto fatta con delle telecamere 3D.
Digitalizzando queste informazioni noi possiamo anche digitalizzare gli spostamenti e quindi possiamo
simulare al computer, in preoperatorio, qual è lo spostamento che vogliamo dare alla mandibola, al mascellare
superiore etc. non solo, avendo aggiunto la componente dei tessuti molli, possiamo anche vedere cosa
succederà al profilo del paziente quando spostiamo le basi ossee e quale teoricamente sarà il risultato estetico.
Quindi è un aiuto in più perché riuscire a capire prima se noi spostiamo quella componente ossea, quello che
poi determina nella realtà è molto complicato. Inoltre, sempre con questa metodica associata all’uso di una
stampante 3D, si possono stampare dei wafer chirurgici che ci permettono di definire l’accoppiamento finale
tra le due arcate e di stamparle, così sul tavolo operatorio abbiamo la perfetta corrispondenza. Questa cosa già
si fa oggi con metodiche analogiche e lo fa l’ortodontista.
Obiettivi della terapia: Quindi cosa dobbiamo prospettarci nel trattamento di questo tipo di patologia.
ü Ripristino dell’occlusione statica e dinamica (per permettere a questi pazienti di masticare
bene.)
ü Armonizzazione delle proporzioni facciali
ü Stabilizzazione a lungo termine (è vero che noi cerchiamo di risolvere questi problemi, ma
questi problemi potrebbero essere legati a quelle parafunzioni di cui vi parlavo prima, per cui è
importante risolvere questi problemi in maniera definitiva, anche perché spesso i pazienti he si
rivolgono a noi per questi problemi sono giovani)
ü Salute parodontale (considerate che spesso questi pazienti fanno delle terapie ortodontiche
molto lunghe e molto invasive che possono portare anche a dei problemi parodontali, per cui noi
dobbiamo anche cercare di evitare i danni che possono essere fatti da una ortodonzia spinta)
ü Salute dell’articolazione temporo-mandibolare, che è una struttura molto complessa. Quando
noi andiamo a fare una chirurgia su queste strutture è molto probabile che andiamo ad alterare i
normali rapporti di quest’articolazione e possiamo noi stessi generare dei problemi di
disarmonia morfo-funzionale, causare cervicalgie o problemi legati proprio al non più corretto
riequilibrio dell’articolazione, quindi mettiamo apposto l’occlusione ma poi creiamo problemi
all’articolazione
ü Mantenimento e miglioramento delle vie aeree: quando spostiamo ad esempio la mandibola in
avanti noi aumentiamo anche la via respiratoria, aumentiamo quello che è lo spazio respiratorio,
quindi miglioriamo in un certo senso anche una condizione che precedentemente poteva portare
a delle apnee notturne, proprio perché la lingua cade all’indietro. Infatti molto spesso i pazienti
che vengono da noi per OSAS, cioè per questo problema delle apnee notturne, hanno una
ipoplasia della mandibola, la mandibola è all’indietro e questo può portare a una riduzione del
volume aereo.

Trattamento. Una volta acquisite queste informazioni possiamo effettuare la scelta del trattamento.
L’approccio terapeutico vede chiaramente il chirurgo in prima linea ma sicuramente siamo in un ambito
multidisciplinare che vede coinvolti anche l’ortodontista, l’implantologo se è necessaria una riabilitazione
protesica, il logopedista se è presente ad esempio uno di quei difetti parafunzionali visti all’inizio.
Si distinguono sostanzialmente tre fasi:
- Fase 0: stabilire il programma terapeutico
- Fase 1: ortodonzia pre-chirurgica → le arcate dentarie sono preparate nel migliore modo
possibile all’intervento (eliminare i compensi dentari, riposizionare i denti in maniera ottimale
nelle singole componenti).
- Fase 2: chirurgica → preceduta da un VTO (Visual Treatment Objectives o Visualizzazione
degli Obbiettivi di Trattamento) nient’altro è che l’espressione grafica del piano di trattamento.
- Fase 3: ortodonzia post-chirurgica: parte a 3-4 settimane dall’intervento e dura 6-8 mesi in genere.
NB. Possibili procedure ancillari: rinoplastica, mentoplastica, lipofilling, liposuzione submentale,
malaroplastica
Ricapitolando quindi le deformità dei mascellari possono essere legate ad un difetto o ad un eccesso di crescita
del mascellare superiore o del mascellare inferiore (mandibola). Però possiamo anche avere forme monolaterali
(asimmetrie) con ipoplasia o allungamento mascellari o mandibolari.

DEFORMITA’ LEGATE AD ASIMMETRIE

Le asimmetrie facciali sono un capitolo molto eterogeneo, legato non tanto alla disarmonia tra i due distretti
ossei, quanto al fatto che ci sia una crescita anomala e asimmetrica in uno di questi due. Le deformità legate
ad asimmetrie sono prevalentemente asimmetrie sul piano coronale. Dei vari distretti interessati il più comune
è comunque la mandibola. Ci possono essere ovviamente forme per eccesso e forme per difetto, quindi un
incremento o una riduzione.
Questo è un caso in cui, già guardandola in volto, si nota la deviazione della linea mediana importante, per cui
si può pensare che vi sia una iperplasia mandibolare di destra, però dobbiamo fare attenzione perché potrebbe
essere in realtà anche una ipoplasia mandibolare di sinistra. Quindi per poter definire queste cose dobbiamo
sempre fare un’analisi cefalometrica, studiando le occlusioni (se la paziente ha un cross bite a sinistra e ha un
open a destra vuol dire che ha avuto un accrescimento a destra) e soprattutto valutando da quanto tempo è
presente il problema.
Se è veloce i compensi dentali non riescono ad avvenire quindi vuol dire che vi è una iperplasia in fase attiva
(e quindi avremmo il quadro dentale che abbiamo visto prima cross da un lato e open dall’altro). Va anche
fatta una scintigrafia con tecnezio che ci permette di valutare l’attività del nucleo di crescita all’interno del
condilo il quale normalmente al termine dell’età di crescita (16-18 anni) si spegne; si potrebbe però riattivare
a seguito di diverse patologie: che possono essere o di natura tumorale, neoplastica, a livello condilare, lo
dovete sempre ipotizzare, oppure legate ad un anomalo accrescimento, ad esempio un’anomala ripresa non
ben definita dell’accrescimento, una riattivazione di questi nuclei localizzati a livello condilare.
Nel caso in cui il nucleo fosse attivo (captante alla scintigrafia) l’intervento dovrà essere volto a eliminare il
nucleo: condilectomia perché si tratta di una situazione non stabile ma che tenderà ad aumentare. Nel caso in
cui invece il nucleo non è attivo possiamo pensare a un intervento di osteodinamica cioè al riposizionamento
delle basi.
Il trattamento chirurgico: Quali sono gli obiettivi terapeutici:

- normalizzazione del contesto facciale


- ricombinazione armonica delle parti del volto all’interno del contesto
Si fa con una serie di tecniche chirurgiche di osteotomia, che permettono di spostare i segmenti ossei nelle
varie dimensioni dello spazio, secondo il VTO-chirurgico elaborato. Ci sono delle tecniche osteotomia per il
mascellare superiore e delle tecniche di osteotomia per la mandibola.
1) Queste sono, per il MASCELLARE SUPERIORE:
- L’osteotomia di Lefort I classica
- La Lefort I a più frammenti
- L’osteotomia alta secondo Bell
- L’osteotomia maxillo-malare
- L’osteotomia settoriale posteriore secondo Shuchart
- L’osteodistrazione del mascellare superiore
Diciamo che queste sono tutte le tecniche esistenti però, per il riposizionamento dei mascellari classici, si
utilizzano principalmente le prime due.

L’OSTEOTOMIA DI LEFORT CLASSICA Consente di staccare il mascellare superiore dalla restante parte
dello splancnocranio e di correggere le deformità.
1. Incisa la mucosa a livello del fornice vestibolare da un secondo premolare all’altro.
2. Scheletrizzazione del mascellare per via sottoperiostale fino al raggiungimento del tuber e dei
processi pterigoidei.
3. Scheletrizzazione del pavimento nasale dall’apertura piriforme.
4. Esecuzione del taglio osteotomico dal tuber all’apertura piriforme bilateralmente.
5. Disgiunzione del setto nasale e dei processi pterigomascellare dal mascellare.
6. Con le pinze di Rowe si esegue la downfracture, cioè abbassiamo il mascellare e lo mobilizziamo su
tutti i piani.
7. Si utilizza la mandibola come guida per capire quale occlusione ottenere: la mandibola
viene ricoperta da uno sprint intermedio e rimettiamo in occlusione il mascellare con il
nuovo spostamento sulla mandibola.
8. Si posizione quindi un blocco intermascellare e si fissa il mascellare superiore con delle
semplici placche di titanio, che possono essere in alcuni casi anche riassorbibili.
NB. Il mascellare si può spostare nei tre piani dello spazio; il peduncolo vascolare si può avanzare
sino a 10-12 mm → il diagramma di discrepanza informa sui limiti entro i quali spostare il mascellare
(oltre i 15 mm rischio di recidiva) data la trazione muscolare.

L’OSTEOTOMIA DI LEFORT A PIU’ FRAMMENTI: Quando dobbiamo farlo in più frammenti è perché
vogliamo ottenere anche un aumento della trasversalità dell’arcata superiore. Magari il palato è contratto e
quindi noi con una semplice frattura del mascellare non riusciamo ad ottenere anche un’espansione del palato,
per cui in quel caso oltre all’osteotomia di tipo Lefort descritta, dobbiamo fare delle osteotomie sagittali, lungo
la sutura palatina, per cui il mascellare può essere diviso in due, tre o addirittura quattro pezzi.
L’OSTEOTOMIA DI BELL è molto più complessa ed è riservata ai casi in cui vi è un importante ipoplasia
del mascellare superiore.
L’OSTEOTOMIA DI TIPO MAXILLO-MALARE viene effettuata principalmente quando ci sono delle
malformazioni per cui è necessario posizionare dei distrattori.
Difetti di crescita trasversali del mascellare superiore
Un distruttore allarga il palato (mobilitazione lenta) → formazione di osso da capi ossei osteomizzati.
Terapia → Osteotomia Le Fort I seguita da osteotomia della sutura intermascellare.
NON si fa downfracture (non c’è mobilitazione completa verso il basso del mascellare); NON si
posizionano placche.
2) Passiamo poi all’osteotomia della MANDIBOLA:
- l’osteotomia sagittale dei rami mandibolari, che è la forma classica (A)
- l’osteotomia intra-orale verticale del ramo mandibolare (B)
- l’osteotomia mediana medio-sinfisaria
- l’osteotomia del bordo inferiore o mento-plastica
- l’osteotomia sub-apicale secondo Cole

OSTEOTOMIA SAGITTALE: La più utilizzata è sicuramente l’osteotomia sagittale dei rami mandibolari che
viene eseguita facendo un’incisione lungo la linea obliqua interna nella regione premolare, si espone il ramo e
il bordo inferiore della mandibola, questo tipo di osteotomia permette di salvare il nervo alveolare inferiore
(trigemino) che decorre all’interno della mandibola per non dare
ipoestesia (diminuzione della sensibilità) al paziente. Il concetto che
dovete sapere è che è un’osteotomia di tipo sagittale, cioè noi non
andiamo a tagliare la mandibola in modo verticale, e non lo facciamo
per un motivo molto semplice, perché dentro c’è il nervo mandibolare,
quindi se noi lo andassimo a tagliare fregheremmo il nervo. Quindi
facciamo questa osteotomia che permette di preservare il nervo perché
viene effettuata, in alto, al di sopra della lingula, quindi al di sopra
dell’ingresso del nervo mandibolare nella mandibola. Ci mettiamo al
di sopra della lingula, ci portiamo in modo sagittale in basso verso il settimo molare e, a quel punto,
osteotomizziamo la corticale vestibolare. Quindi ci sarà uno scivolamento dei due monconi l’uno sull’altro,
con al centro il nervo.
OSTEOTOMIA VERTICALE: L’altro modo per osteotomizzare la
mandibola preservando il nervo è questo qui di tipo verticale, che
permette al di dietro della lingula di osteotomizzare un segmento
mandibolare e ottenere lo spostamento di quest’ultimo.
MENTO-PLASTICA: Gli altri interventi sono più rari, quello che
invece è molto utilizzato, spesso in associazione agli interventi di
ortognatica, è la mento-plastica, che viene eseguita sempre sulla base
del VTO-chirurgico, per cui può essere una mento-plastica di
avanzamento o di arretramento. A volte le mandibole oltre ad avere lo
spostamento in avanti hanno anche un mento molto prominente, per cui non andrebbe corretto con il semplice
spostamento mandibolare, ma viene addolcito con una mento-plastica. Anche in questo caso, dopo lo
spostamento del segmento anteriore osteotomizzato, questo viene fissato con dei mezzi di fissità in titanio.
SUB-APICALE: L’osteotomia sub-apicale di Cole viene effettuata sempre medialmente ai due forami
mandibolari, preservando il nervo, e permette lo spostamento di tutto il segmento inter-incisivo anteriore della
mandibola, ma anche questa viene eseguita molto raramente.
Come completamento di queste che sono le procedure di riposizionamento, spesso questi pazienti vengono
sottoposti nei mesi o anni successivi a delle procedure che chiamiamo ancillari:
• RINOPLASTICAà È intuitivo che se noi spostiamo il mascellare superiore, spostiamo anche la spina
nasale anteriore e quindi il naso, o comunque la proiezione della punta nasale e dell’angolo naso-
labiale per cui vanno spesso eseguite delle correzioni successive per rendere il tutto un po’ più
armonico. Oppure, quando noi spostiamo il mascellare superiore verso l’alto, incontriamo il setto
nasale e i turbinati, per cui il setto e i turbinati devono essere rimossi o rimodellati, altrimenti si
verrebbe a creare una deviazione settale, se noi andiamo ad impattare senza queste procedure.
• LIPOFILLINGà spesso è necessario quando ci sono delle ipoplasie così importanti che non possono
essere corrette con il semplice spostamento, in questo caso si procede al prelievo del grasso da varie
regioni del corpo e lo si va, dopo centrifugazione oppure filtrazione, ad infiltrare.
• MODIFICHE DELLA REGIONE SUBMENTALE
• MALAROPLASTICA
A volte quando si vuole modellare meglio le strutture ossee perché magari non si è riusciti a farlo con le
procedure chirurgiche, si possono utilizzare delle protesi che attualmente, tra l’altro, stanno andando un po’
più in disuso perché, essendo di questo materiale MedPore o polipropilene, che è molto poroso, può essere un
terreno infettivo. Comunque il concetto è che possono essere impiantate e rimangono in sede.

Complicanze
Preoperatorie
o Preparazione prechirurgica sbagliata
Intraoperatorie
o Riposizionamento improprio
o Bad fractures
o Fistole oroantrali e nasali
o Emorragie
o Lesione dell’infraorbitario (mascellare) o dell’alveolare inferiore (mandibola)
o Perdita di elementi dentali
Postoperatorie
o Edema Questi tre segni sono normali in fase post-
o Ecchimosi operatoria; durata ed entità variabili, se eccessive, è
o Dolenzia del terzo medio e inferiore della faccia una complicanza.
o Infezioni
o Esposizione delle placche di osteosintesi
o Necessità di reintervento chirurgico (recidive della malocclusione, insorgenza di disturbi dell’ATM)
→ raro
OSTEODISTRAZIONE
Tecnica nata in campo ortopedico oggi utilizzata anche nella chirurgia maxillo-facciale. Praticando un’osteotomia
lungo l’asse minore dell’osso e praticando un progressivo allontanamento dei due capi ossei, si genera un tessuto di
granulazione che permette l’allungamento dell’osso.

Questa tecnica trova particolare utilizzo nelle malformazioni facciali, specie in quelle dell’osso mandibolare.
Vi sono sindromi che fanno sì che sia necessario ricostruire sia le strutture ossee (che sono ipoplastiche) sia le
strutture dei tessuti molli.
Nelle sindromi del I e II arco brachiale si configura un quadro complesso di fortissima asimmetria (ramo, condilo,
ATM, padiglione auricolare, VII n.c., muscoli masticatori).
Ipotesi eziologica: alterazioni dell’a. stapedia.

CLASSIFICAZIONE DI PRUNZANSKY-MULLIKEN
I) Condilo normale di dimensioni ridotte
II) a) Condilo alterato per forma e dimensioni
b) Condilo alterato gravemente con ATM rudimentale e dislocata anteromedialmente
III) Assenza di condilo, processo coronoideo, ATM, parte alta del ramo
In IIa e IIb il mascellare superiore è posizionato un po’più avanti rispetto a quello inferiore.

L’OSTEODISTRATTORE è un sistema a vite senza fine che si aggancia a due placche metalliche di osteosintesi. Si
attua una frattura lungo l’asse di accrescimento, si posiziona il dispositivo a livello di due capi dell’osso con delle viti
transcorticali e poi, tramite questo dispositivo a vite senza fine, è possibile ruotare giorno per giorno ed allontanare i
due capi (ogni rotazione corrisponde ad un allontanamento di 1 mm àè questa la quota ottimale)
Inizialmente questi dispositivi erano monovettoriali; oggi ne sono disponibili di bivettoriali.

In caso di ipoplasia mandibolare bilaterale si ricorre ad un’osteodistrazione orizzontale bilaterale (utile anche nelle
craniostenosi e nelle craniofaciostenosi).
NB Fondamentale il ricorso alla TC!

L’osteodistrazione è utile anche nella regione del palato, dello zigomo, del mascellare, del frontale ecc.

35
Chirurgia Maxillo-Facciale

CISTI E FISTOLE MEDIANE


• Cisti e fistole del dotto tireoglosso (M>F, più spesso entro i primi 5 anni di vita)
• Cisti e fistole bronchiale
Embriologia
Sono dovute ad alterazioni dello sviluppo embriologico come la mancata obliterazione del dotto tireoglosso.
Le varie cisti hanno estrinsecazione verso l’esterno e un’ampia base d’inserzione sull’osso ioide (provvedere
all’asportazione anche di una sua porzione centrale!).
Sede
- Sottoioidea (più frequente)
- Sottomentoniera
Formazioni di diametro intorno ad 1-2 cm a superficie liscia e consistenza teso-elastica. Contenuto filante,
mucoide, muco-purulento (sovra infezione).
Fistole tireoglosse:
• Complete (apertura a livello del forame cieco della base della lingua ed apertura sulla linea mediana del collo
tra osso ioide e fossetta del giugulo).
• Incomplete (un solo orifizio cutaneo mediano e sottoioideo con tragitto discendente dal quale esce
saltuariamente materiale (esterne, più frequenti) oppure si canalizzano verso la base della lingua (interne).
Sintomatologia
Assente eccetto i casi in cui si raggiungono dimensioni ragguardevoli o si verifichi infezione

Diagnosi
- Clinica
- Strumentale(ecografiaàcisti,fistolografia (mdc in fistole),xeroradiografia (migliora contrasto con l’osso); TC
con mdc, RMN,test con radionuclidi)
- Diagnosi differenziale: tiroiditi ectopiche,linfadeniti sottomentoniere da piogeni o
M.tubercolosis,cisti dermoidi,lipomi,emangiomi

Terapia
Asportazione chirurgica di fistole/cisti e della porzione centrale dell’osso ioide.

NOTE CONCLUSIVE
Tumori della base della lingua e tumori della tonsilla interessante la base della lingua
L’intervento è composito;monoblocco tumore-mandibola,segue intervento di ricostruzione.

Tumori del mascellare superiore


Il tumore può invadere il contenuto orbitario costringendo il chirurgo ad asportare, oltre che il
tumore,l’orbita integralmenteàintervento molto demolitivo (incisione di Weber-Ferguson). Difficile follow-
up post operatorio.

Tumore molle di Pott


Sinusite acutaàinteressamento dell’osso frontaleàfistolizzazioneàascesso epidurale.
Operazione chirurgica non complicata;presente quasi sempre una compartecipazione di tutto l’osso spugnoso
della base cranica a livello del frontale.

Un tumore del seno mascellare ha prognosi peggiore quando interessa la porzione posteriore al linea di Ohngren
(pur avendo dimensioni minori si comportano da T3)

Linea di Ohngren= va dal canto mediale dell’occhio fino all’angolo mandibolare omolaterale. Divide seno
mascellare in infrastruttura (porz. Ant.-Inf,) e sovrastruttura (Post.-Sup.) la quale ha una prognosi peggiore.
ODONTOIATRIA

Aggiornato con le Sbob 2018 da Giorgia Polito (:


Odontoiatria

PATOLOGIA ODONTOIATRICA

COORDINATE DENTARIE
Si riferiscono ai quadranti. La prima cifra indica il quadrante, a partire da quello superiore destro si va in senso orario
(1,2,3,4). La seconda cifra indica il dente (in senso mesio-distale).
Glossario: Mesiale = verso la linea mediana; Distale = lontano dalla linea mediana; Vestibolare = verso il vestibolo orale
(esternamente); Linguale/Palatale = verso il cavo orale (internamente).

STRUTTURA DELL’ELEMENTO DENTARIO


- Smalto: tessuto inorganico che riveste la corona
costituito per lo più da idrossiapatite, fortemente
radiopaco all’RX.
- Dentina: meno densa all’RX rispetto allo smalto,
più ricca di sostanze organiche.
Calcificato, a struttura tubulare. I tubuli contengono
prolungamenti cellulari degli odontoblasti (cellule di
derivazione neurale al confine tra dentina e polpa)
NB Lo smalto costituisce una barriera resistente, la
struttura tubulare sottostante facilita la diffusione di
processi infettivi e tossine verso la polpa.
- Cemento: tessuto duro che avvolge la radice del
dente dando attacco ai legamenti che alloggiano il
dente nella corticale ossea.
- Polpa: costituita da vasi sanguigni e linfatici, terminazioni nervose. Responsabile del trofismo della parte
dentinale.
- Corona: Clinica (porzione esposta) Anatomica (da porzione superiore con margine incisale e cuspidi fino al
colletto dove si restringe).
NOTA: gli abbozzi dentari sono presenti alla nascita. La mineralizzazione della corona si completa agli 8-10 anni
(incisivi e molari sono già formati a 2 anni).
- Placca: quando fisiologica è costituita da un biofilm di 100-300 strati di batteri commensali (circa 200 specie).
Ecosistema complesso in cui cooperano più microorganismi.
Patologica quando >300 strati
NB Praticamente impossibile asportare completamente la placca; lo spazzolamento è la più frequente causa di
batteriemia.
La placca batterica è responsabile di tutte le malattie dentali!!

ERUZIONE DENTARIA
Il primo dente definitivo ad erompere è il primo molare inferiore, generalmente intorno ai 6 anni, insieme agli incisivi
inferiori. Tra i 6 e i 9 anni avviene l’eruzione di tutti gli incisivi, tra i 9 e 13 anni quella dei canini e dei premolari, tra i
12 e i 14 anni il secondo molare. Il terzo molare erompe tra i 18-22 anni.
Il germe di ciascun dente definitivo completa la sua calcificazione intorno ai 4-6 anni.
L’eruzione avviene perché al polo inferiore del dente si ha la formazione delle radici, l’apposizione di tessuto duro
spinge il dente verso l’alto.
Al momento dell’eruzione il follicolo (membrana che riveste e protegge l’abbozzo dentale) si fonde con la gengiva.
L’ortopantomografia ci dà indicazioni sull’età del soggetto.

3
Odontoiatria

DISODONTIASI

Si definisce “disodontiasi”:
- In senso etimologico → eruzione dentale anomala la quale, se mancata, configura un quadro di inclusione
dentaria
- In senso clinico → infiammazione del sacco pericoronario (pericoronarite) con cui la disodontiasi stessa spesso si
identifica.

È più frequente per il III molare (rapporto inferiori:superiori di 20:1), rara per gli altri denti.
Il germe del III molare nasce da un’appendice del germe del II molare, con asse obliquo o perpendicolare rispetto a
quello del II molare. L’accrescimento mandibolare può dislocare l’asse di questo dente che, accrescendosi lungo una
direzione non parallela al II molare, finisce col rimanere intrappolato e andare incontro ad un’eruzione incompleta o
adirittura inclusione.
Ne risulta che normalmente il molare del giudizio si sviluppa ed erompe sempre dal basso in alto e dall’indietro e in
avanti secondo la curva di raddrizzamento di Capdepont (ripete, in senso opposto, quello che si è realizzato durante
l’accrescimento mandibolare).
In realtà l’eruzione avviene quasi sempre in maniera anomala (disodontiasi), principalmente per l’insufficienza dello
spazio in cui il dente deve erompere. Se il dente rimane incarcerato o non erompe normalmente, il follicolo non si
fonde con la gengiva ed entra in contatto con il cavo orale, nel recesso che si forma germi del cavo orale si insinuano e
vi permangono determinando una pericoronarite.

Le deviazioni dell’asse possono essere mesiali o distali:


- Mesio-versione può essere:
o Obliqua → la porzione antero-inferiore della superficie di masticazione è immobilizzata al di sotto del colletto
posteriore del secondo morale. Se l’obliquità del dente è esagerata, il movimento di raddrizzamento che
compie normalmente diventa impossibile.
o Orizzontale → l’asse è perpendicolare rispetto a quello del secondo molare e il dente si trova in posizione
orizzontale (corona avanti e radice indietro).
- Disto-versione: la superficie triturante guarda in alto e posteriormente
Entrambe raramente sono pure, ma si presentano quasi sempre unitamente ad una certa inclinazione che può essere:
vestibolare (faccia vestibolare o interna della mandibola) o linguale (verso la lingua nell’arcata inferiore) o palatale
(verso il palato nell’arcata superiore).
Sia la disodontiasi come tale che le sue complicanze infiammatorie, hanno come punto di partenza la pericoronarite,
che può essere a sua volta favorita da una tasca parodontale, da una parodontite periradicolare del II molare o da una
sua estrazione complicata con revisione strumentale dell’alveolo.
Complicanze
PERICORONARITE
La pericoronarite può essere sierosa (sintomi che tendono a risolversi in un paio di giorni) o purulenta (processi
infiammatori più significativi).
La soluzione di continuo che dà accesso ai germi è in genere non visibile, quindi all’ispezione il dente del giudizio non
appare, poiché la sua eruzione non si è realizzata.
Clinica
- Congestiva semplice: dolore nella regione retromolare che aumenta con la masticazione.
Mucosa posteriore al II molare arrossata ed edematosa, la pressione in questo punto provoca dolore di modesta
entità e fuoriuscita di qualche goccia di siero o sangue lì dove si realizza una discontinuità della mucosa per
comparsa della cuspide molare (il III). Può:
a) Guarire (spontaneamente o dopo opportuna terapia)
b) Evolvere nella forma suppurativa

- Suppurativa: caratterizzata da una triade: Otalgia, Serramento e Odinofagia.


o Otalgia riflessa→ dolore notevolmente più intenso ed irradiato all’orecchio (per anastomosi tra corda del
timpano del facciale e nervo linguale, ramo della III branca del trigemino).
o Disfagia e odinofagia monolaterale → dovute al drenaggio linfatico che porta a linfangite e linfadenite pilastro
anteriore. L’infiammazione si estende verso il pilastro linfatico e la tonsilla.
o Serramento mandibolare → contrattura antalgica del massetere e dello pterigoideo interno; non è presente
dolore alla masticazione.

4
Odontoiatria

La palpazione dell’osso ne fa apprezzare l’integrità, mentre la pressione sul cappuccio gengivale


pericoronarico fa fuoriuscire qualche goccia di pus.

NB La bilateralità ci suggerisce che verosimilmente non ci troviamo di fronte ad un processo


patologico a carico dei denti.

Terapia
- Terapia antibiotica e rivalutazione.
- Intervento odontoiatrico con chirurgia si effettua in presenza di infiammazioni essudative
importanti che determinano due o tre recidive o dopo un singolo episodio clinicamente molto
rilevante si decide di intervenire. Consiste nell’eseguire una breccia ossea, asportare la corona
e far avanzare il blocco radicolare.
In genere l’atteggiamento, a meno di un esordio molto impegnativo, è il watchful waiting → è
pur sempre possibile che il dente trovi uno spazio e, se pur non dovesse riuscire a erompere
completamente, questo potrebbe almeno facilitare la pulizia e quindi rimuovere i patogeni dalla
sede del processo patologico.

Nb. Mentre il dente del giudizio fuori asse non è in grado di determinare sfasamenti di posizione
degli altri denti, nei canini la deviazione dall’asse può avere conseguenze gravose sullo sviluppo
armonico dell’arcata dentale e del mascellare; andrebbe pertanto corretta precocemente.

Complicanze a carico dei tessuti cellulari sottocutaneo e sottomucoso


La sintomatologia può scomparire in pochi giorni o persistere provocando una raccolta ascessuale
sottomucosa.
Ä Raccolta ascessuale sottomucosa: nella disto-vestibolo-versione; tumefazione a grande asse
verticale parallela alle fibre del massetere.
Serramento marcato dei mascellari (per contrattura antalgica del massetere e per la miosite reattiva)
Ä Ascesso di Escat: peritonsillare, nella disto-linguo-versione
Ä Ascesso di Terracol: sottotonsillare,nella disto-linguo-versione
Ä Ascesso Di Senator: del pilastro anteriore o del faringe, nella disto-linguo-versione
Queste tre raccolte sono caratterizzate da: tumefazione del velopendulo particolarmente dolorosa,
disfagia, serramento dei mascellari.
Ä Ascesso migrante di Chompret e L’Hirondel: nelle mesio-vestibolo-versioni; l’ascesso, formatosi al
III molare, si arresta all’altezza dei premolari.
Tumefazione rotondeggiante, fluttuante, dolente, ricoperta da cute tesa, lucida, arrossata.

DD con parodontite purulenta apicale a carico dei premolari: compressione sulla tumefazione
facendo percorrere in senso inverso il pus → fuoriuscita di qualche goccia di pus dal cappuccio
mucoso che ricopre il III molare se si tratta di disodontiasi.

Complicanze a carico della mucosa: gengivite ulcero-membranosa (o “neurotrofica”)


Compare il più delle volte in assenza di una fenomenologia clinica evidente a carico del III
molare in disodontiasi. Presenta caratteristiche cliniche proprie:
- Monolateralità ed omolateralità al dente in disodontiasi.
- Comparsa di ulcere gengivali membranose che originano a livello della regione del cappuccio
gengivale del III molare e che si interiorizzano man mano (arrestandosi in genere all’incisivo
centrale omolaterale).
- Aspetto assolutamente normale del restante tessuto gengivale.
- Tendenza alla recidiva finchè il III molare in disodontiasi non è eliminato.
L’eziologia è da collegare a turbe trofiche della mucosa gengivale di natura riflessa
neurovegetativa per irritazione della III branca del V n.c, prodotta dal III molare in disodontiasi;
tale deficit, creando una condizione di minore resistenza gengivale, faciliterebbe l’impianto della
flora fuso-spirillare respondabile della gengivite ulcero- membranosa.
La diagnosi anche in assenza di segni propri della pericoronarite, non è difficile sulla base dei dati
semiologici.

5
CARIE DENTARIA

Introduzione: La carie dentaria è un processo distruttivo a carico dei tessuti duri del dente. Epidemiologicamente rilevante
data l’altissima prevalenza (in media un soggetto di 16 anni ha 4 carie); essendo direttamente connessa ad igiene orale e
ad alimentazione le statistiche a riguardo sono influenzate dal livello socio- economico-culturale della popolazione in
esame.

Patogenesi La carie è un’affezione ad eziologia multifattoriale che prevede l’interazione obbligatoria di 3 diversi
componenti: ospite suscettibile, dieta ricca di carboidrati fermentabili, microrganismi ad attività cariogena.
Lo Streptococco mutans (anaerobio facoltativo Gram+) è l’agente patogeno più importante delle carie dentali.
Caratteristiche peculiari:
1. Tropismo particolare per gli elementi dentari → l’acido lipoteicoico aderisce fortemente alla pellicola
salivare.
2. Capacità di organizzare la placca muco batterica → quest’ultima è costituita fisiologicamente da molti strati di
batteri diversi che, a differenza del mutans, aderiscono meno bene alla superficie dentaria. Tale placca viene
stabilizzata grazie al biofilm polisaccaridico costituito dallo stesso mutans che produce glucani insolubili a
partire dal glucosio alimentare, grazie all’azione della glucosiltransferasi che forti legami α1,3 (salivarus crea
invece deboli legami α 1,6.); il glucano così prodotto va a formare la struttura polisaccaridica semipermeabile
(biofilm) che costituisce un reticolo che da alloggio ai batteri oltre che una riserva energetica per i batteri stessi.
(lo zucchero di recupero viene utilizzato anche per produrre altro lattato che contribuisce a danneggiare lo
smalto).
3. Capacità di acidificare l’ambiente rapidamente → Il mutans, infatti, è capace di convertire in pochi sec. Il
glucosio introdotto con gli alimenti in acido lattico tramite enolasi; in quel punto a contatto con il dente il pH
scende intorno a 4 con dissoluzione chimica dello smalto (l’integrità dello smalto cede intorno a 5,5)à I difetti
dello smalto fanno si che altri agenti cariogeni meno aggressivi attecchiscano.
NB Altri forti acidificatori (sanguis, mitis, salivarus, lactobacilli) non hanno la capacità di aderire fortemente
ai denti però all’interno della cavità creata dallo S.mutans possono alloggiare diverse altre specie batteriche,
es.Lactobacilli → progressione del danno.

Patogenesi e clinica
La carie è un processo asintomatico e interessa lo smalto (danneggiato in tempi molto lunghi) e la dentina (nel quale il
processo è più rapido per via della struttura canalicolare di questo tessuto).
• I primi fastidi cominciano a manifestarsi quando, danneggiato lo smalto, le tossine batteriche raggiungono la
polpa (tessuto vitale) causando piccoli fenomeni vasomotori (iperattività vasomotoria) → non si ha ancora
flogosi ma solo iperemia pulpare: il pz lamenta fastidi per stimoli chimici (dolce) o termici (es. acqua fredda
– segno clinico dell’iperemia pulpare). L’iperemia pulpare non è indicazione alla devitalizzazione: se si cura
la carie, il circolo pulpare torna alle condizioni normali.
• L’iperemia pulpare è seguita dalla flogosi della polpa (pulpite acuta sierosa): questa è prevalentemente legata
ad una carie dentaria lasciata progredire nel tempo; è la causa più frequente di nevralgia secondaria del V n.c.;
clinicamente si caratterizza per un dolore che permane oltre lo stimolo che lo ha determinato.

Profilassi della carie

Fluoroprofilassi
Il fluoro è l’agente principale della profilassi della carie dentaria. Durante l’istodifferenziazione del dente (quindi nei
primi 10 anni di vita, ma in particolare nei primi 6) porta alla formazione di fluoroapatite (molto resistente, ma rischio
fluorosi con macchie e screziature non eliminabili tramite ablazione) → la terapia sistemica riduce del 50% l’incidenza
delle carie dentarie; la terapia topica (dentifricio) è utile nella misure in cui lo smalto presenta comunque scambi ionici
con l’ambiente e possono crearsi quindi legami ionici con l’OH (temporanei, la terapia va continuata nel tempo). Il
Fluoro ha anche un’azione su S.mutans: blocca l’enolasi (enzima della glicolisi) inducendo un aumento del pH (ridotta
degradazione smalto).
DOLORE DENTALE

La causa primaria del dolore dentale è l’ infiammazione dei tessuti dentari, peridentari (pericoronariti/ parodontiti
marginali o apicali) o intradentari (questi ultimi rappresentati dalla polpa dentaria). Infatti,l’infiammazione della polpa
dentaria (meglio nota come pulpite) è la causa del 90% dei casi di nevralgia dentaria ed è sempre secondaria ad una carie.
Il restante 10% dei casi va attribuito alla flogosi dei tessuti peridentari. Ricordiamo che mentre nella pulpite acuta esistono
cause idrostatiche o immunologiche alla base del dolore, nell’infiammazione dei tessuti peridentari vi è sempre
un’infezione alla base.

• PERICORONARITI (vedi prima)


• PULPITI
• PARODONTITI

PULPOPATE E PARODONTITI APICALI


PULPOPATIE
Il termine pulpopatia definisce tutti i processi infiammatori, regressivi e degenerativi che possono coinvolgere il
tessuto pulpare, determinandone infine la necrosi.
L’eziologia delle pulpopatie si fa risalire a tre fattori:
1. Batterico → complicanza di un processo carioso (più frequente), di una parodontite marginale o di una
malattia infettiva;
2. Fisici → meccanici: traumi (propriamente detti, da forze ortodontiche eccessive, occlusale come restauri
scorretti), bruxismo e digrignamento; termici: 55° è il limite termico di tolleranza della polpa, oltre il quale il
tessuto va in necrosi.
3. Chimici → es materali da otturazione
Clinica: Il processo iniziale è asintomatico, quando è proprio in prossimità della polpa, comincia la sensibilità al
caldo, al freddo, allo zucchero, al dolce, mentre quando è interessata la polpa si ha la comparsa di dolore-> si
tratta di una nevralgia secondaria del trigemino. Non si riesce ad identificare precisamente il dolore, ma il paziente
identifica la regione territoriale innervata da quel tratto trigeminale. Si tratta di un territorio estremamente
reflessogeno: ecco perchè questo dolore può non essere attribuito ad un dente; a volte un dente dà dolore a tutte
e 3 le branche trigeminali, o può coinvolgere solo la brance oftalmica che dà dolore alla regione della tempia,
dell'occhio, all'orecchio, regione latero cervicaleà le possibilità di reflessogenicità a distanza sono enormi, e
quindi non si riesce subito a capire che è un dente.
Esistono domande specifiche che però possono aiutare a capire se si tratta di un problema dentale, in quanto la
nevralgia legata ai denti presenta della caratteristiche peculiari:
• Il paziente non può mettersi in decubito disteso, perchè aumenta l'afflusso di sangue e quindi si deve alzare sta
"impoltronato" o in piedi
• Incremento del dolore sotto stimolo termico, chimico, quindi se beve acqua fredda o se mangia zuccheri che vengono
rapidamente acidificati e incrementano la flogosi.
La classica nevralgia trigeminale, definita un tempo essenziale, è tipica del pz di 60/70 anni di sesso femminile.
Presenta le seguenti caratteristiche : la crisi nevralgica è folgorante, il paziente ha una scarica elettrica
violentissima generalmente della durata di pochi secondi ,pochi attimi che può essere accompagnata a reazioni
muscolari e una reazione di tipo reattivo del sistema simpatico con vasodilaztazione, rinorrea , lacrimazione, puó
quindi compartecipare anche il SNA,ma folgorante, pochi attimi e poi scompare improvvisamente, il paziente sta
in pieno benessere fino alla prossima crisi. Nella pulpite il paziente ha un dolore costante, si acutizza e non ha un
triggerà Il paziente che ha un dolore pulpitico in genere ha dolore violento per 48-72 ore poi, se non fa nulla, la
polpa va in necrosi e il dolore scompare, perché il dolore è legato, essenzialmente, all’aumento pressorio e
all’accumulo di citochine per l’edema. Invece classicamente la nevralgia trigeminale si associa a triggerà il
paziente ha una crisi dolorosa violenta quando o prende vento, o si lava la faccia, o si fa la barba, o si tocca, cioè
ci sono zone di stimolazione che scatenano la crisi dolorosa.
Anatomia Patologica: La patologia pulpare presenta una serie di quadri caratteristici che si manifestano in
relazione all’entità del coinvolgimento pulpare e alle caratteristiche della flora batterica.

IPEREMIA PULPARE: Stadio iniziale e reversibile; può regredire od evolvere in pulpite conclamata. È caratterizzata da:
- Dilatazione delle arteriole e delle venule → lieve aumento di volume della polpa accompagnata da reazione dolora di
breve durata.

PULPITE ACUTA SIEROSA


Stadio infiammatorio avanzato ed irreversbile. Può essere parziale o totale in relazione all’entità dell’interessamento
del tessuto pulpare. Si distinguono due fasi:
I. Iperemia vasale attiva, trasudazione di liquido povero di proteine nello spazio extravascolare;
II. Aumento della viscosità ematica e formazione di microtrombi. Parallelamente si ha marginazione e
migrazione leucocitaria.
L’aumento volumetrico dei tessuti extravascolari va a determinare un’amento dei coefficienti pressori ed ingorgo vascolare
→ ridotto apporto di sangue arteriolare e del deflusso venulare.
È caratterizzato da un dolore di fondo, che persiste oltre lo stimolo che lo ha determinato e che è accentuato da stimoli
termici e chimici; aumenta quando il paziente è disteso od in seguito ad uno sforzo (poiché aumenta l’afflusso ematico).
Il dolore è irradiato lungo i tronchi nervosi trigeminali (non localizzato, ma diffuso all’emiarcata corrispondente) di
forte intensità; raramente è riferito all’emiarcata antagonista o controlaterale (sinalgia dento- dentaria): la diagnosi del
dente interessato, quindi, è difficile (specie in presenza di più carie) → ricorso all’RX.
Il trattamento si basa sull’utilizzo di analgesici, antinfiammatori (primo intervento), trattamenti di endodonzia (la
polpa è rimossa e sostituita da un sigillante permanente).

PULPITE ACUTA PURULENTA


La forma sierosa, senza opportuna terapia, può evolvere nella forma purulenta; ciò è dovuto al progressivo aumento
nell’essudato dei leucociti → l’essudato si raccoglie in piccoli ascessi disseminati che danno luogo ad una fusione
totale della polpa. La dissoluzione del tessuto pulpare è determinata da enzimi proteolitici leucocitari e batterici.
La sintomatologia dolorosa, sempre con carattere di nevralgia secondaria, diventa più intensa, continua e pulsante.
È accentuata dal caldo e attenuata dal freddo → DD. forma sierosa.

NECROSI PULPARE
Lo stadio terminale delle pulpopatie è rappresentato dalle necrosi pulpari nella quale, per strozzamento dei vasi al
formae apicale, il pz non avverte più dolore. In relazione all’agente eziologico e alle modalità di insorgenza può
essere:
- Coagulativa: insorge per improvvisa ischemia, legata all’interruzione traumatica del fascio vascolonervoso, o per
danni chimico o termico → denaurazione rapida delle proteine intracellulare con blocco dell’azione lisosomiale.
- Colliquativa: si verifica nella maggior parte delle necrosi batteriche (streptoccocchi, stafiloccocchi, spirilli e
bacillo perfringens → indotta da enzimi proteolitici e caratterizzata da fenomeni di autolisi.
- Gangrenosa: quando non complicata da parodontite apicale acuta è asintomatica → all’E.O. polpa necrotica,
insensibile e scura; nelle forme aperte la polpa è esposta, rammollita, grigia e fetida.
Se ignorata, può complicarsi con una parodontite apicale acuta.
La polpa necrotica va asportata (devitalizzazione) perché ricca di germi che possono estendere il processo infettivo.
Bisogna devitalizzare perchè una volta che la polpa è andata incontro a questi fenomeni, non c’è più possibilità di restitutio
ad integrum.

PARODONTITI APICALI
Processi infiammatori del parodonto. La parodontite apicale è un processo infiammatorio del tessuto parodontale
periapicale o periradicolare; è sempre conseguenza di una carie dentale che causa necrosi pulpare. La carie,infatti, comporta
un difetto nello smalto e nella dentina sottostante, con conseguente perdita di sostanza a livello apicale. È necessario che
il dente sia necrotico per ottenere una parodontite apicale acuta, quindi la parodontite apicale è una complicanza della
necrosi pulpare.
Criterio topografico: Criterio eziologico
- Apicali - Endodontiche, da necrosi pulpare (spesso in regione periapicale).
- Marginali - Marginali, da accumulo di placca mucobatterica nel solco
- Superficiale (gengivale) gengivale.

Clinica: Il dolore della parodontite apicale è diverso rispetto agli altrià Infatti, nella pulpite il paziente dice che ha un
dolore nevralgico, diffuso a mezzo volto; mentre il dolore della parodontite apicale è invece localizzato e il paziente indica
esattamente il dente che fa maleà il dente coinvolto può essere individuato picchiettando i denti con un abbassalingua. La
forma cronica è asintomatica e può talvolta esordire come tale.
Esistono casi in cui la parodontite acuta purulenta decorre asintomatica poiché il materiale di raccolta non è sotto pressione:
è quanto accadde per la parodontite del secondo premolare e dei molari superiori, da cui il processo può estendersi ai seni
mascellari, determinando piuttosto un quadro di sinusite di origine dentaria, caratterizzata da dolore gravativo
monolaterale, rinorrea monolaterale e cefalea.

PARODONTITE ENDODONTICA APICALE ACUTA


Complicanza della necrosi pulpare; la polpa necrotica permette facilmente il passaggio di batteri e tossine nel tessuto
parodontale sito intorno all’apice dell’elemento dentario → qui i germi trovano tessuto vitale che reagisce con un processo
infiammatorio di difesa.
I microrganismi maggiormente implicati sono streptococchi, stafilococchi, lactobacilli, actinomiceti, bacterioides,
veillonella.

Clinica: tensione locale a carico del dente con dolore localizzato che aumenta con masticazione e compressione verticale.
Il dente viene spinto in fuori dall'alveolo e il paziente rivela un precontatto in occlusione durante la masticazione che
non è rilevabile clinicamenteà questo è dovuto all’edema sottostante.
All’EO il dente coinvolto può essere individuando picchiettando i denti con un abbassalingua.

Diagnosi ed Evoluzione: all’RX si evidenzia una piccola zona radiotrasparente in continuità con il periapice
dell’elemento interessato.
Il processo può:
- Guarire in seguito a terapia antibiotica;
- Cronicizzare;
- In rari casi la raccolta purulenta può drenarsi attraverso la camera pulpare o lo spazio parodontale → in tal
caso il dente perde le connessioni con l’alveolo e diventa mobile;
- Più frequentemente la raccolta purulenta diffonde verso il periostio (ascesso sottoperiosteo) e poi verso i
tessuti molli (ascesso sottomucoso e/o sottocutaneo) con formazione successiva di ascessi e/o flemmoni
perimascellari e perimandibolari → quando l’ascesso diventa sottomucosco/sottocutaneo, il pz avverte un
aumento della tumefazione ed una netta diminuzione del dolore perché il pus non è più sotto tensione.
- Rara la diffusione del processo alle ossa mascellari con insorgenza di una osteomielite.

Se il processo purulento nel parodonto non viene risolto, la situazione evolve verso l’ascessualizzazione. La
raccolta purulenta si fa strada nella midollare, quindi attraverso la corticale e infine al di sotto del periostio
(ascesso perimascellare o perimandibolare). Quando l’ascesso si fa strada attraverso i tessuti molli la
decompressione determina una riduzione del dolore e la comparsa della tumefazione nelle possibili logge di
drenaggio (sottolinguale, sottomandibolare, laterocervicale con rischio di usura del fascio vascolo-nervoso
del collo pterigomandibolare). Associata alla tumefazione è la linfadenopatia con febbre.

Classicamente i molari superiori possono dare un empiema del seno mascellare, perchè gli apici degli
elementi dentari sono in comunicazione con i seni mascellari, quindi un molare superiore può dare empiema
sinusale. Gli incisivi comunicato con le fosse nasali e possono dare rinorrea. Es. Premolare inferiore di
sinistra: può diffondere nel vestibolo, nella cavità orale; può dare un ascesso cutaneo, se siamo sotto
l'inserzione muscolare; si può avere un ascesso in regione sottomandibolare.
Un essudato apicale può impegnare varie logge del collo: Le logge sono molte e solo l'una in comunicazione
con l'altra: sottomentale, sottolinguale, sottomandibolare, laterocarvicale ( anteriore e posteriore) sono le
logge più importanti, a loro volta in comunicazione con la loggia mediastinica, perchè la parte bassa dello
spazio laterofaringeo comunca in sede retrosternale con la loggia medistinica. Nella loggia sottolinguale è
importante il muscolo miloideo che divide il pavimento orale in due, una parte superiore e una inferioreà
tutte le infezioni sopramiloidee si vedono nella bocca, mentre quelle sottomiloidee si vedono dall'esterno.
Ovviamente l'interessamento sottomiloideo è più grave di quello sopramiloideo. Una causa di morte classica
nell'800 nel pz matabolico era l'angina di Ludwig, processo infettivo purulento che interessava quattro, quindi
logge, le due sottolinguali e le due sottomandibolari, quindi tutto il pavimento. C'era tumefazione quindi la
lingua si sollevava sotto al palato e il pz moriva per asfissia. Oggi si vede solo nel pz immunocompromesso.

Diffusione dell'ascesso nell'endocranio: Da questo territorio è possibile comunicare anche con l'endocranio,
attraverso il drenaggio venoso. Generalmente sono due i punti di accesso:
· La vena centrale della retina: la vena facciale attraverso i vasi retinici comunica con l'endocranio; i processi infettivi
centrofacciali possono dare emboli settici nella vena facciale, che possono dare luogo a fenomeni di flogosi retrobulbare
e poi endocranica
· Tuberosità del mascellare superiore posteriore: qui vi è un plesso venoso, plesso pterigoideo, un gomitolo di vasi che
sta sopra al dente del giudizio superiore, che attraverso varie vene comunica con il seno cavernoso, per cui emboli
settici possono raggiungere l'endocranio.
Quindi in pz immunocompromesso se presenta tumefazione del labbro superiore massiccia o una flogosi tuberositaria
importante copritelo presto e bene con antibiotici, e se compaiono sintomi neurologici verificate.

PARODONTITE ENDODONTICA APICALE CRONICA


Raramente evoluzione di una forma acuta; spesso de novo per ridotta virulenza dei germi, più efficiente risposta
immunitaria specifica o per permanenza del fattore irritante.
La continua azione dei monociti/macrofagi e le sostanze da essi liberate porta alla stimolazione del riassorbimento
osteoclastico dell’osso alveolare → formazione di tessuto di granulazione (granuloma apicale) con proliferazione di
nuovi fibroblasti atti a riparare le cellule lese, fibre collagene, nuovi vasi sanguigni e cellule dell’infiammazione
cronica.
NB. Nel granuloma spesso sono presenti residi epiteliali di Malassez → granuloma cistico → evoluzione verso cisti
radicolare.

Clinica: quasi sempre asintomatico, anche a masticazione; lieve dolenzia alla percussione sulla parete vestibolare.
Diagnosi: RX → presenza di osteolisi circoscritta, a contorni netti a carico dell’osso periapicale.
Evoluzione: spesso riacutizzazioni fino a fusione purulenta del tessuto di granulazione. La sintomatologia si attenua
con l’apertura della raccolta purulenta nei tessuti molli perimascellari (diminuisce la tensione endoossea della
raccolta). A volte il granuloma evolve in cisti radicolare.

PARODONTITE MARGINALE

È un fenomeno cronico, multifocale, non generalizzato estremamente frequente in caso di scarsa igiene dentale. Se
non trattata adeguatamente, questa forma di parodontite può evolvere ad ascesso parodontale.

N.B. bisogna prestare molta attenzione quando si fa diagnosi di malattia parodontale. Alcune patologie sistemiche,
quali l’istiocitosi e alcune forme di linfoma, simulano la sintomatologia della parodontite. Tuttavia è necessario
ricordare che la malattia parodontale è un fenomeno multifocale ma non generalizzato; Interessa tutti e quattro i
quadranti; per cui un processo osteolitico che interessa solo un quadrante in un pz con una buona igiene dentale
potrebbe essere indice di una malattia sistemica e non di un problema dentario.

COINVOLGIMENTO OSSEO:

In un pz non oncologico e non immunodepresso, tutti i processi infiammatori sono accompagnati da osteite. Nei pz
oncologici ed immunocompromessi, le strutture ossee sono molto più fragili; di conseguenza in questi pz l’osteite,
derivante da processi infiammatori, si evolve , prima, in osteomielite e, successivamente, in osteonecrosi. Tipica è
l’osteonecrosi della mandibola e delle ossa mascellari nei pz con mieloma multiplo in trattamento da 24 mesi con acido
zoledronico. L’acido zoledronico è un farmaco antineoplastico capace di ostacolare il riassorbimento osseo ed utilizzato
soprattutto in pz con metastasi.

Fisiologicamente, l’osso è un organo estremamente dinamico poiché soggetto a continuo rimodellamento che consente di
riparare danni da microfratture e microtraumi. Il rimodellamento è il risultato dell’equilibrio tra due processi: il
riassorbimento osseo e la deposizione di tessuto osseo. L’acido zoledronico, bloccando il riassorbimento osseo, altera
l’equilibrio tra i due processi e, quindi, impedisce il fisiologico rimodellamento. Le ossa mandibolare e mascellari
normalmente sono sottoposte a molte sollecitazioni meccaniche dovute alla masticazione. Le microfratture che ne derivano
non vengono rimodellate in pz trattati con acido zoledronico. Il mancato rimodellamento comporta la formazione di
schegge ossee che, lacerando la mucosa orale, causano un’infezione suppurativa con infiammazione. La flogosi comporta
osteomielite e successivamente osteonecrosi; le ossa mandibolare e mascellari vanno in necrosi.

Quindi, l’osteonecrosi è sempre secondaria a processi infiammatori che possono riguardare tanto le strutture ossee stesse
che quelle dentarie(in quest’ultimo caso la flogosi si estende ai denti vicini e alle ossa soprastanti o sottostanti). Oggi si è
notevolmente ridotto l’uso di questo farmaco in pz con mieloma multiplo dal momento che sono stati introdotti altri farmaci
di pari efficacia ma privi di questo effetto collaterale, come il bevacizumab( che è un antiangiogenetico).

In ogni caso, prima di iniziare una terapia del genere, è bene che il pz si sottoponga a un’accurata visita dentale per ridurre
il rischio di osteonecrosi. A terapia iniziata, inoltre, necessita di una continua assistenza odontoiatrica dal momento che le
complicazioni infettive in questa categoria di pz sono difficili da trattare; obbligano il medico a sospendere i farmaci
oncologici o a cosomministrarli con quelli non oncologici con il rischio di pericolose interazioni; in entrambi i casi si
interferisce con il trattamento della patologia. Comparando il tasso di mortalità dei vari centri oncologici in rapporto
all’assistenza odontoiatrica, si riscontra una notevole differenza: I centri oncologici che forniscono una buona assistenza
odontoiatrica vantano un tasso di mortalità inferiore rispetto a quello dei centri sprovvisti di questo tipo di assistenza.

Un’altra importante classe di farmaci che da osteonecrosi è rappresentata da quella dei bifosfonati. I bifosfonati sono
analoghi del pirofosfato, si legano all'idrossiapatite e riescono a interferire coi processi metabolici degli osteoclasti,
bloccando il metabolismo dell'osteoclasta che va incontro all'apoptosi, dunque elimina quasi completamente gli osteoclasti,
bloccando il riassorbimento osseo.

I bifosfonati vengono usati nelle metastasi ossee, ad esempio lo zolendronato, perchè è talmente potente e rende l'osso
talmente compatto che la metastasi ossea è bloccata proprio meccanicamente. Lo zometra mette in piedi un pz con mieloma
vertebrale in 2 mesi, era un farmaco eccezzionale, poi è stato sostituito da altro. Qualsiasi processo infiammatorio dell'osso
causa necrosi, quindi per ripristinarne l'integrità è necessaria prima una fase di pulizia, che viene mene nel momento in cui
i bifosfonati bloccano gli osteoclasti; dunque la necrosi non viene rimossa bensì si estende e causa l'osteonecrosi secondaria
ad un processo infiammatorio (ad es. dentario).

Oggi nei pz oncologici non si usano più, ma sono ancora ampiamente usati nell'osteoporosi. Il rischio della compressina
di zolendronato è minimo, > 1:10000. Diverso è il discorso dei pz oncologici, infatti nel caso di pz che fanno farmaci
sistemici e che hanno un'infezione dentaria il rischio di sviluppare osteonecrosi è di 1:10, estremamente frequente.

La ricerca è andata avanti quindi oggi ci sono altri farmaci, più utilizzati nel pz oncologico, tra cui il Denosumab, un Ab
monoclonale, umano, un analogo dell'osteoprotegerina, diretto contro RANK, la proteina di attivazione dell'osteoclasta,
così potente che non funziona solo sull'osteoclasta maturo ma su tutta la catena midollare che porta alla maturazione
dell'osteoclasta, ha un potere antiriassorbitivo fenomenale, ha soppiantato lo zolendronato, usato fino a due anni fa. Oggi
si usa:
• X-Geva: molto usato nei reparti oncologici, 1x28 gg, somministrazione sottocutanea, 120 mg, non va ospedalizzato il
pz, quindi anche i costi, nonostante il farmaco di per sè costi di più, alla fine sono inferiori in quanto non è necessaria
ospedalizzazione.
• Prolia: usato per l'osteoporosi, 1 fiala da 60 mg sottocute ogni 6 mesi, molto efficace e molto vantaggioso, anche da un
punto di vista odontoiatrico.

Essi espongono ad un marcato rischio di osteonecrosi, anche maggiore dei bifosfonati, ma mentre i bifosfonati restano
attaccati all'osso per anni, questi sono Ab monoclonali, quindi sospesa la terapia hanno una vita di 3-4 settimane; è vero
che si devono rigenerare i precursori quindi ci possono volere anche 3 mesi, ma poi l'osso torna normale, ecco perchè se
usati perl'osteoporosi sono vantaggiosi da un punto di vista odontoiatrico, perchè se devo intervenire basta sospendere per
3 mesi e non avrò alcun problema.

Oggi non si parla più di osteonacrosi da bifosfonati o da antiriassorbitivi, ma di osteonecrosi da farmaci, in quanto causata
anche da anti-angiogenetici (in quanto viene meno il supporto vascolare, infatti si osserva anche in pz trombofilici o
sottoposti a terapia ormonale, soprattutto androgenica) e anti-tirosinchinasici (imatinib, sunitinib). Il problema di base è
sempre lo stesso, si dovrebbe intervenire prima tramite bonifica a livello orale, poichè si parte sempre da processi infettivi,
dato che sono farmaci estemamente efficaci, nonostante gli effetti collaterali.

Caso clinico: pz con K linguale, T2 N1, operata con emiglossectomia e collo, ha fatto radioterapia sul focolaio 5 anni fa.
adesso k polmonare inoperabile, con seconadrismi ossei, più importante al femore, deve iniziare il denosumab e il medico
ha chiesto una consulenza per sapere se potesse assumere il farmaco. Presenta tre denti con lesioni apicali croniche ma
che possono riacutizzarsi, il 34, il 35 e il 17. Il protocollo classico sarebbe estrarre i tre denti e iniziare la terapia ma ha
fatto radioterapia e c'è un rischio di OSTEORADIONECROSI e se si fosse riscontrato in seguito ad estrazione non si
sarebbe potuto trattare, dunque ho consigliato di fare il denosumab senza estrazioni, in maniera incongrua, ma almeno
così c'è un possibilità di 9:10 che vada bene, ce la giochiamo.

INFO SPARSE
• Focus sul sintomo dolore in odontoiatria: non solo è quello che guida le diagnosi,ma guida anche le domande di
esame!
• È corretto affermare che nella disodontiasi il dolore auricolare è un dolore irradiato
• Lo spazzolamento è la più frequente causa di batteriemia (molto più di un’estrazione dentaria!)
• L’osteonecrosi è un’osteomielite che evolve verso la necrosi
NEOFORMAZIONI DEI MASCELLARI DI ORIGINE DENTARIA

Traggono origine dai tessuti embrionali dentoformativi.


Epoca dell’intervento della noxa patogena
- Stadio iniziale di gemma dentaria (cisti epidermoidi)
- La quota embrionale epiteliale ha già differenziato in ameloblasti (ameloblastoma)
- Tutti i tessuti embrionali hanno assunto capacità dento-formative (odontomi)
- La corona del dente è formata/anche la radice si è completamente sviluppata (cisti dentigene)

TUMORI DI ORIGINE DENTARIA

AMELOBLASTOMA (radiotrasparente)
Tumore benigno a struttura epiteliale o fibroepiteliale. Colpisce soprattutto in 3a-4a decade.
Eziologia ancora incerta: disturbi genetici → abnorme proliferazione dei residui epiteliali del Malassez e
proliferazione degli epiteli di una cisti germinale.
Si caratterizza per:
- Lento accrescimento RX → immagine osteolitica uni-/multi-loculare
- Elevata aggressività locale con bordi ben definiti (eccetto la forma
- Alta frequenza di recidiva desmoplastica)

Può localizzarsi a livello della zona posteriore del mandibolare o della zona posteriore del mascellare (raramente).
Si riconoscono diversi istotipi: follicolare (più frequente), plessiforme, mista, con cellule acantomatiche, con cellule
granulose, con cellule basali e desmoplastiche → non vi sono significative differenze di comportamento in base
all’istotipo.
La prima fase è quasi completamente asintomatica, nella seconda possiamo avere:
- Espansione della corticale ossea
- Mobilità degli elementi dentari
- Malocclusione
Il trattamnto può essere:
Þ Conservativo → enucleazione della malformazione e follow-up lunghi ogni 6 mesi al massimo (recidiva
documentata anche a 20 anni di distanza).
Þ Aggressivo → recidiva, lesioni estese ed aggressive; si attua resezione ossea e ricostruzione tramite lembi o
innesti.
NB. l’istotipo solido (multicistico) va resecato con margini di sicurezza di 1-2 cm (in caso contrario recidiva 90%).

FIBROMA AMELOBLASTICO
Si ipotizza possa essere una miscela di elementi epiteliali e mesenchimali neoplastici. Si distinguono:
• Fibroadenoma ameloblastico = depositi di dentina
• Fibrodontoma ameloblastico = depositi di dentina e smalto (NON è chiaro se questo e il fibroma ameloblastico
siano due entità distinte o fasi evolutive di una stessa lesione).
Hanno crescita lenta, con rischio di recidive.
Colpisce maggiormente bambini e giovani adulti, più spesso il mascellare superiore.
RX → area osteolitica ben definita con aspetti sia uni- che multi-loculari.
Va trattato mediante resezione con margini di sicurezza in osso sano.

ODONTOMA (radiopaco)
Tumore benigno misto (varie strutture del dente in stadi diversi di sviluppo) che origina da un’anomala attività degli
elementi dentoformativi sia nell’epoca di sviluppo che di calcificazione.
Può essere diviso in:
- Complesso→ regione molare della mandibola; spesso si accompagna ad inclusione dentaria:
ü Macroscopicamente: massa rotondeggiante spesso bernoccoluto
ü Microscopicamente: smalto, dentina, cemento sparsi irregolarmente
- Semplice → dentinomi e cementomi (c’è un singolo tessuto dentale)
- Composto → strutture simili ai denti (normale distribuzione di smalto, dentina, polpa, cemento)
Derivano dall’iperproduzione di germi dentari ad opera della lamina dentaria (tessuto embrionario da cui originano i
tessuti dentali) e dalla frammentazione di un singolo germe.
La regione più colpita è quella incisivo-canina. Presenta una capsula fibrosa.
Inizialmente asintomatico, possono manifestarsi dolori nevralgici (compressione di rami del V n.c.).
RX → massa endossea circoscritta calcificata; può provocare espansione ossea.
La terpia è conservativa → enucleazione e curettage
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CISTI DI ORIGINE DENTARIA

Neoformazioni benigne a sviluppo endosseo originanti da un’alterazione dello sviluppo degli elementi dentoformativi
(cheratocisti, cisti odontogene) o da un processo infiammatorio a carico delle radici (cisti radicolare).

CHERATOCISTI
In genere è unico (lesioni multiple quando d.>3 cm). Possiede una parete sottile fortemente aderente all’osso; contiene
materiale bianco-giallognolo friabile che ernia al taglio.
• Origine: lamina dentaria primitiva o suoi residui
• Sede: angolo della mandibola, mascellare (meno frequentemente)
• AP: presenza di epitelio cheratinizzato con varianti ortocheratosiche e paracheratosiche (presenza nuclei in
cellule strati superficiali)
• Epidemiologia: M>F, picco d’incidenza in 2a e 3a decade.
• Rx: immagine osteolitica uni-/multi-loculare
DD → cisti radicolare/follicolare/ossea traumatica, ameloblastoma, mixoma, tumori benigni non odontogeni,
granuloma e tumore gigantocellulare.
Rispetto alle altre cisti odontogene è più aggressiva e ha una crescita più rapida; causa usura della corticale ossea.
In gene asintomatica, può causare:
- Deformità ossee (usura corticale) - Infezioni
- Parestesia del n. alveolare inferiore - Spostamento e mobilità dentale

Il trattamento consiste in: enucleazione, escissione della massa ossea sovrastante in caso di eventuali interessamento.
Successivo follow-up clinico-radiologico per almeno 5 anni (recidive: 25-60%).

CISTI GERMINALE
Neoformazione cistica dei mascellari. Nella sua cavità c’è una corona di elemento dentario che non ha ancora
completato lo sviluppo maturativo. Poco frequente, colpisce bambini ed adolescenti.
Il trattamento si basa sull’eliminazione della cisti e dell’elemento dentario in esso contenuto.

CISTI FOLLICOLARE (o “pericoronaria”)


Origina da una degenerazione cistica dell’epitelio esterno o del reticolo stellato del sacco follicolare di un dente non
erotto. Può essere mono-/bi-laterale; interessa più spesso terzi molari e canini. L’incidenza maggiore tra 2a e 4a
decade.
Spesso asintomatica, ha una grande capacità di crescita. Può causare espansione ossea e può estendersi a seno
mascellare a al pavimento orbitario (nei casi di localizzazione nel mascellare superiore).
RX → zona osteolitica uniloculare con la corona di un elemento dentario che non è erotta; margini ben delimitati e
radiopachi.
DD → fibroma ameloblastico, cisti solitaria, cheratocisti uniloculare, ameloblastoma endocistico.
Il trattamento comporta l’estrazione dell’elemento dentario associato alla lesione ed al tessuto blando che la compone
(nei bambini si tende a preservare l’elemento dentario).

CISTI RADICOLARI
Più comune neoformazione interessante le ossa mascellari e la mandibola. Origina dall’espressione di un processo
cronico periapicale a carattere produttivo. M>F, maggiore incidenza tra i 20-60 anni. Pz con carie destruenti o con
storia di traumi, che abbiano determinato la necrosi della polpa dentaria e pericoronarite.
Si accompagna a dolore, gonfiore, riassorbimento osseo (quando la cisti raggiunge notevoli dimensioni).
La diagnosi si basa su OPT, TC, Rx (area radiotrasparente, uniloculare, omogenea, a margini netti in rapporto con un
apice radicolare dato che può infiltrare il mascellare).
DD → granuloma apicale (↓diametro, margini meno definiti).
Trattamento endodontico devitalizzante degli elementi dentari coinvolti e successiva enucleazione della cisti.
Quando il dente non è vitale à avulsione dello stesso e successiva enucleazione della cisti.

CISTI RESIDUA
Cisti radicolare che residua all’estrazione dell’elemento dentario. Colpisce solitamente pz edentuli.
Quadro istopatologico sovrapponibile al precedente. Clinicamente, è silente fino a determinare tumefazione.
La diagnosi può essere occasionale e la terapia consiste nell’enucleazione della cisti

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DOLORE CRONICO IDIOPATICO TESTA-COLLO

Introduzione: Si tratta di un argomento molto importante soprattutto per quanto riguarda i numeri. In Italia la
prevalenza è intorno al 26% di dolore cronico generale ( pelvico,muscolare). Di questo qui, il 50% è testa
collo. Essenzialmente ci sono tre tipi di sindromi dolorose del nostro territorio:

• Sindrome della bocca urente o che brucia


• Dolore facciale idiopatico persistente (o algia facciale atipica)
• Nevralgia trigeminale

SINDROME DELLA BOCCA URENTE


Epidemiologia Patologia in passato poco frequente che oggi ha una prevalenza importante. La sindrome della
bocca urente viene classificata oggi nelle manifestazione dei disturbi somatici, e di tutte le manifestazioni
somatiche il 90% sono s. della bocca urente, quindi è molto importante. NB. test su ansia-depressione e su
qualità del sonno sono borderline (alterati ma non soddisfano i criteri).
Maggiore incidenza nella V-VI decade, F>M con un rapporto di 3:1.
Clinica: Manifestazione dolorosa il cui sintomo frequente (ma non esclusivo) è il bruciore che interessa in
maniera quasi completa il cavo orale (dalla cute periorale ai pilastri, a volte è coinvolto anche il faringe,
possibile interessamento dei denti) Più precisamente c’è una disestesia orale: c’è un’anomalia sensoriale che
si manifesta con disturbi misti e talvolta mal definibili (il pz riferisce di aver assaggiato acqua bollente ,di
avere un senso metallico, amaro, sabbia tra i denti di saliva densa, di corpi estranei, di ruvidità delle mucose,
una serie di situazioni sgradevoli che a volte non riesci neanche bene a tratteggiare).
Ndr da domanda scritto: sensazione di xerostomia senza evidenza di iposcialia: SBU.
La caratteristica è che la sintomatologia si presenta in assenza di segni clinici evidenti (mucosa integra).
Tuttavia a volte lesioni orali possono comparire su base posturale: il pz per alleviare il dolore compie
movimenti con la lingua continui e parossistici.
Altre caratteristiche:
- Andamento tipico durante la giornata (il pz sta abbastanza bene al mattino per vedere
la sua sintomatologia peggiorare nell’arco della giornata)àDD con dolore da ulcera
(continuo)
- Il sonno non è interrotto dal dolore ma in caso di risvegli notturni il dolore riprende; nonostante
ciò possono coesistere nel 75% disturbi del sonno.
- Il dolore scompare durante i pasti = caratteristica importante per la diagnosi
differenziale! Indagare attentamente su questo punto.
NB. Molti pz sono erroneamente indirizzati verso diagnosi di Sjorgen.

Forme miste/sfumate:10%. Inoltre nel 97% dei pz abbiamo un’associazione con altre patologie:
- Acufeni
- IBS (sindrome intestino irritabile)
- Low back syndrome
- Fibromialgie

Diagnosi: Per fare la diagnosi sono necessarie 3 domande da pore al paziente:

• Quale è la cronologia del fastidio durante la giornata. Tipicamente al mattino sembra che il disturbo sia
passato, poi compare dopo 2 ore, incalza durante la giornata con picco serale.
• Se il dolore si attenua o se addirittura il disturbo scompare mangiando. In caso di risposta positiva la
diagnosi diventa molto probabile: l’unica manifestazione che si comporta cosi con il cibo è la bocca urente,
qualunque altro disturbo, carenze, erosioni ,essendoci un danno all’epitelio, aumenta mangiando il dolore.
• Se il disturbo compare durante il sonnoà il disturbo NON è presente durante il sonno, ma ci sono disturbi
sonno correlati: il pz si sveglia ma non per il bruciore, che compare dopo lentamente quando il paziente è
sveglio.
È fondamentale il contatto empatico con il paziente: Il pz somatico è un pz che manifesta un disagio
psicologico, psichiatrico, il paziente caratterialmente è destabilizzato, ha delle forti rigidità emotive. E’ un
paziente che tende a fare resistenza quindi fargli capire che stiamo nel campo dei disturbi somatici è molto
difficile.
La resistenza che fa il pz è emozionate, tutto quello che dice che fa, è proprio espressione di questa lotta
profonda che ha con se stesso. Si lavora con gli psichiatri soprattutto in cui il pz acquisisce questa
consapevolezza di disturbo somatico, ma NON sono pazienti psichiatrici.
Il paziente somatico è una persona che trasforma un disagio psicologico psichiatrico, in un sintomo. Questo è
un paziente che ha un disturbo lieve, ansioso o del tono dell’umore, sono borderline, non arrivano a livelli
patologici, non rientrano nella patologia di depressione. Sono pazienti che imbrigliano il proprio
comportamento in schemi molto rigidi e manifestano con un sintomo poi il disagio al quale sono cronicamente
predisposti.
Modello biopsicosociale: Tale modello prevede la coesistenza di 3 elementi possibili:

• Componente Psicologica
• Un Substrato Biologico Centrale E Periferico
• Sociale

La patologia ha una serie di possibili fattori scatenanti:


• Possono essere di natura psicologicaà Talvolta nasce da un qualcosa di molto più profondo,
aspirazione, progettualità, vittorie e sconfitte, quindi un qualcosa di molto personale, Talvolta
perdita di utilità sociale,ad esempio il pensionamento, nella donna più spesso quando i figli vanno
via di casa.
• Ma spesso è un motivo odontoiatrico (50%) → una pulizia dentale, un’impronta, la rimozione
di un dente o comunque una procedura che abbia creato un disagio psicologico nel pz.
In questo stesso pz il sintomo può “spostarsi” dal cavo orale in altre regioni del corpo.

Substrato biologico:

A livello centrale, studi basati su risonanza funzionale e TC/PET rivelano ipofunzione di alcune aree
serotoninergiche, dopaminergiche, noradrenergiche (specie in prossimità delle vie discendente
dopaminergiche di controllo del dolore) ed alterazioni a livello della corteccia prefrontale → quadro molto
simile a quello riscontrato nella depressione; verosimilmente i pz in questione, in virtù del forte carattere,
riescono a creare un blocco alla depressione maggiore e sviluppano al suo posto un sintomo somatico.
Cosa pensiamo accadi in questi pazienti? Il primum movens è sicuramente il disagio, il pz va incontro ad
una usura cronica del suo ambiente, psicologica,fisica, uno stato di sofferenza psicologica graduale, non c’è
un singolo evento. Chiaramente la risposta biologica di fronte a questa battaglia psicologica è il consumo di
mediatori centrali (serotonina,dopamina) e se l’usura supera le capacità di reintegro, il pz va in carenza
serotoninergica centrale. Questo è l’elemento tipico della depressione maggiore, ma in questi pazienti non
si realizza, quindi non sfociano come dovrebbe essere in una sindrome depressiva o altri disturbi psichiatrici,
ma manifestano un sintomo somatico.
Ci può essere una progressione verso una sindrome depressiva? Può succedere ma è raro, e in questi casi
scompare il sintomo, come se fossero incompatibili insieme. Generalmente il pz non evolve in sindrome
depressiva.

Vi sono due tipi di alterazioni periferiche:


- Recettoriale: iperespressione dei recettori algogeni (specie TRP1 vanilloide)
- Delle piccole fibre e amieliniche (Fibre C: responsabili di sens. Nocicettiva): ridotte di 4 volte

A livello perifericoàIn tutti i pz c’è sicuramente un danno neuropatico periferico, che prevede sia le piccole
fibre (small fiber) fibre C amieliniche che sono ridotte di quattro volte. Inoltre contestualmente c’è una
iperespressione dei recettori alogeni, iperespressi di 4 volte. Il danno periferico è un esito di questo danno
centrale. Danno periferico che non è soltanto il distretto testa collo, spesso i pz possono avere anche globus
faringeo, fibromialgia, colon irritabile, vertigini e cosi via,quindi il pz ha spesso altri disturbi somatici. È un
sintomo variabile nel tempo.

NB. Una piccola quota di casi di SBU sono su base organica (danno vascolare):importante l’anamnesi.
Possibile associazione con altre patologie psichiatriche:psicosi il pz,vivendo in una sua realtà
personale,rende la diagnosi complicata.

Reversibilità: Entro certi limiti è reversibile, dipende da quanto tempo il pz ha il problema. Se il dolore persiste
da tempo compaiono poi dei danni cerebrali come atrofia della zona corticale, come se il dolore cronico
potesse dare poi un danno centrale permanente. Per capire se il pz sta meglio non serve la scala VAS del dolore,
perché il pZ ha il bruciore, servono i test per la qualità della vita, quindi su ciò che comporta il bruciore sul
funzionamento del pz come individuo. Poi si può approfondire con RMN.

Terapia: Importante che il pz acquisisca consapevolezza del problema in maniera controllata senza
destabilizzare le sue fasi →
• instaurare strategie di comunicazione efficaci e portarlo gradualmente alla diagnosi.
• Il medico/odontoiatra è accompagnato nel processo diagnostico e terapeutico da uno
PSICHIATRA!

Terapia classica = clonazepam topico (rivotril) + paroxetina

Trattamento della componente perifericaàUso topico clonazepam (rivotril), amitriptilina in gocce (laroxyl)[5
gocce in 5 cc di acqua 4-5 volte al dì]. Preferire il primo (il laroxyl dà secchezze). Questi hanno effetto sedative.

Trattamento sistemicoà per la componente neuropatica sistemica


- Gabapentina
- Pregabalin (Lyrica):preferito dato che ha anche un effetto antiansia e ipnotico (sonnifero)

Trattamento della componente centrale: SSRI e SNRI più I farmaci del sonno
- Paroxetina: cura sonno e ansia NO per pz sovrappeso, cardiopatico, disturbi della sfera sessuale
- Sertralina NO per pz sovrappeso, OK per cardiopatici
- Citalopram, escitalopram se il pz è sovrappeso
- Duloxetina se il pz presenta disturbi somatici multipli

Nel pz giovane mirtazapina 5mg/sera


Nel pz anziano Trazodone 50mg/sera

NB: Non usate BDZ (oltre i 30 giorni) perché l’abuso e i fenomeni di tolleranza e dipendenza determinano
danni cognitivi terribili.

NB. → Il pz con SBU euforico se trattato con SSRI rischia di incorrere in una crisi maniacale
MALATTIE AUTOIMMUNI BOLLOSE

Introduzione: Le malattie che si accompagnano alla formazione di bolle mucose (orale-faringee-


congiuntivali-esofagee-genitali) e cutanee sono moltissime. Alcune sono quindi di pertinenza del dermatologo
perché hanno un set prevalentemente cutaneo, altre no, interessando prevalentemente le mucose. Tra queste il
cavo orale è il territorio di insorgenza dei casi più gravi e a più elevata mortalitàà Quindi saper ispezionare
una mucosa e capire se è presente o meno una malattia bollosaà nel cavo orale si hanno segni prodromici che
se individuati permettono la diagnosi precoce.

Le due malattie bollose autoimmuni più frequenti sono il pemfigo volgare (non il Foliaceo di interesse
dermatologico) e il pemfigoide delle mucose, (colpisce spesso la congiuntiva ed è un caso grave perché la
cecità può insorgere in tre mesi). Queste malattie o iniziano nel cavo orale e dopo vari mesi evolvono alla cute
oppure rimangono confinate qui.
• Se con la garza peli la lingua e il pz ha un occhio rossoà si deve pensare al pemfigoide.
• Se avete una gengivite in cui l'epitelio se ne va o le labbra con bolle e il pz ha un abbassamento di voce
e ha il setto nasale che dà piccole epistassi, ci dobbiamo muovereà è la descrizione del pemfigo
volgare.

Autoimmunità: Tali patologie sono definite autoimmuni perché nella patogenesi si identifica un antigene di
ancoraggio intraepiteliale/subepiteliale che viene riconosciuto non self (generalmente una proteina
desmosomiale o della lamina basale). E pertanto aggredito da un autoanticorpo patogeno (IgG)à Si viene così
a formare un legame tra questo autoanticorpo e la proteina di ancoraggio. Dissolvendo il legame, si crea una
bollaà La bolla è subepiteliale se per esempio l’antigene è sulla membrana basale, oppure può essere una
bolla intraepiteiale (cioè lo strato basale resta adeso) se l’antigene si trova in profondità: ad esempio se si trova
tra le cellule dello strato spinosoà il cleft è a livello dello strato spinoso. In generale distinguiamo 3 tipi diversi
di cleft:
• Sottoepiteliale
• Intraepiteliale alto
• Intraepiteliale basso

Antigeni del penfigo:


• Anti DSG3
• Anti DSG1
Quindi antidesmogleina3 è il più importante del pemfigo volgare e seguita dalla desmogleina 1.

Antgeni del pemfigoide:

• Anti-a6b4 integrina (sia la subunità alfa6 che la beta4 può essere immunogena)
• Anti PB 180 (BP=Bullous pemphigoid)
• Anti BP 230
• Anti laminina 322
• Anti collagene VII (non ci interessa perché da malattie miste muco cutanee)

Ci sono quindi quadri istologici che sono differenziati dalla localizzazione della bolla. Le bolle possono essere
subcornee, soprabasali, entrambi quindi intraepiteliali, subepiteliali. Questa minima differenza condiziona
malattie totalmente diverse. Le forme subcornee non ci interessano perché non colpiscono il cavo orale
(Pemfigo foliaceo).

Connettiviti: manifestazioni nel cavo orale fino a 6 mesi prima di altre sedi.

PEMFIGO VOLGARE
È una patologia bollosa che parte con lesioni singole, isolate, ingravescenti del cavo orale (sede più frequente
è quella orofaringea) e nell’arco di 18 mesi diventa sistemica.

Patogenesi: Il bersaglio delle IgG è la desmogleina 3 con conseguente risposta autoimmune. La desmogleina
3 è una proteina desmosomiale di ancoraggio delle 2 placche di emidesmosomi: è molto abbondante nelle
mucose, particolarmente orofaringea dove abbonda in sede soprabasale, nello specifico nella parte iniziale
dello strato spinoso. Man mano che lo strato spinoso si solleva, si riduce, per cui è molto abbondante proprio
nella parte iniziale dello strato spinoso.

Esistono 4 forme di cui le più colpite sono la 1 e la 3:


- Isoforme 3 → pemfigo volgare,
- Isoforma 1 → pemfigo foliaceo, una forma molto superficiale, subcornea, a prognosi buona , raro
che evolve in pemfigo volgare (separati da una barriera immunologica).
- Isoforme 3 e 1 →pemfigo volgare muco-cutaneo (prima la 3 e poi la 1).
La malattia comincia come anti-DSG3 (malattia mucosa) → subisce una epitope spreading phenomenon verso
anche la 1 → diventa 3+1 estendendosi alla cute, quindi la risposta cutanea si ha come amplificazione della
risposta autoimmune, determinando una malattia che richiede trattamenti maggiori e con una mortalità più
elevata. Una desmogleina ha una struttura molto complessa, più epitopi nella stessa molecola, alcuni Calcio-
dipendenti altri Ca-indipendenti, alcuni patogeni e altri no, alcuni determinano epitope spreading nella stessa
molecola altri in altre molecole. EC1 è il più immunogeno. La 3 e la 1 sono molto simili, la 1 ha 5 RUDs (unità
ripetitive), la 3 ne ha 2à Essendo simili, un attacco verso la 3 può sfociare in un attacco verso la 1. Comincia
dalla 3 e non dalla 1 perché è più fragile perché i siti Ca-indipendenti sono più fragili e si espongono più
facilmente, è più immunogena.
Raramente invece la mattia ha origine direttamente come forma mucocutanea.

Avere anche la 1 significa avere più alta morbilità e mortalità. In tutte le m. autoimmuni più antigeni sono
coinvolti, peggio è: aumentano le recidive, i dosaggi dei farmaci. La mortalità è 5-8% legata soprattutto alla
terapia, è importante poterla curare con meno farmaci; tuttavia senza la terapia il pz muore per le infezioni.

Desmosoma: Un desmosoma, o macula adhaerens è una giunzione di natura proteica tra cellule non
esclusivamente ma soprattutto epiteliali adiacenti che salda i rispettivi citoscheletri (in particolare i filamenti
intermedi, quindi nel caso di un epitelio filamenti di cheratina) donando al tessuto di cui le cellule fanno parte
resistenza alla trazione ed altri traumi fisici. In pratica i desmosomi impediscono anche la separazione cellulare
della pelle, che potrebbe verificarsi in seguito a stiramento o pressioni superficiali.
I costituenti del desmosoma si possono classificare in base alla loro localizzazione. Pertanto si distingue una
componente proteica citoplasmatica, una trans membrana ed una extracellulare. I desmosomi si legano ai
filamenti intermedi attraverso strutture proteiche citoplasmatiche quali:
• Desmoplachine, proteine che si legano direttamente ai filamenti intermedi;
• Placo globine, proteine che si legano direttamente a delle placofiline ed entrambe sono strettamente
collegate alla desmoplachina.
Pertanto il legame con i filamenti intermedi è mediato da queste tre proteine. Il legame extracellulare e quindi
con la cellula adiacente avviene ad opera di proteine appartenenti alla famiglia delle caderine quali in
particolare: desmogleina e desmocollina. Tali proteine sporgono dalla membrana plasmatica verso la matrice
extracellulare entrando in mutuo contatto con le strutture omologhe adiacenti. Le proteine della famiglia delle
caderine sono calcio-dipendenti: perciò, a seguito di una carenza di calcio nello spazio intercellulare (ovvero
tra due cellule epiteliali, nella parte basolaterale), il desmosoma viene distrutto e l'alta stabilità meccanica
annullata.
Siccome i desmosomi sono molto abbondanti nello strato spinoso, lo strato più colpito è quello spinoso e in
tutto lo strato spinoso, la parte in cui è più abbondante la desmogleina è la parte bassa, soprabasale .

Il gruppo di immunopatologi di Buffalo (molto all’avanguardia) ha affermato che non basta il legame della
desmogleina con l’anticorpo (first hit), quando si lega c’è bisogno che succede altro, ci deve essere un second
hit (che da poi il distacco), qualcosa di successivo che segna l'inizio, ma siamo ancora in alto mare
nell'individuarlo. Esistono delle ipotesi:
• O i filamenti si sfilano perché la desmogleina si danneggia,
• O nuovi desmosomi non possono essere riassemblati perché c’è un ingombro sterico,
• O si innesca l’apoptosi
Insomma qualcosa deve succedere all’interno della cellula affinché si abbia il distacco. Tutto questo è
importante perché è frequente in clinica che il paziente vada in remissione clinica (cioè non ha più lesioni) ma
non in remissione immunologica, cioè ha ancora autoanticorpi nel sangue, ma non sono più patogeni.

Anatomia patologica: La malattia si localizza in sede soprabasale, nello strato spinosoà bolla intraepiteliale
soprabasaleà è importante fare questa precisazione del soprabasale perché c’è anche la forma subcornea del
pemfigoide foliaceo. In questo caso quindi lo strato basale è intatto e si ha la formazione di un’apertura a
cerniera (cleft) al di sopra. Il segno caratteristico è l’acantolisi a livello dello strato spinoso (acantolisi bassa,
mentre nel foliaceo è alta) → perdita di contatto tra le cellule adiacenti con formazione di bolle. A differenza
della cheratosi, le bolle si sollevano, si pelano, (la cheratosi non si stacca) molto spesso il tetto viene via e si
ha una mucosite erosiva o ulcerativa (dove c’è giallo, c’è fibrina quindi ulcerativa).
Clinica: La malattia inizia nel cavo orale: piccola lesione bollosa singola → diffusione delle bolle →
persistenza delle bolle →erosioni. Il tempo di evoluzione è di circa 3 mesi. La caratteristica è che la lesione
presente non guarisce oppure tende un po’ a guarire e poi ne compaiono altre.

Il segno di Nikolsky è positivo (come in tutte le malattie bollose) → strofinando una garza sulle bolle, l’epitelio
si stacca completamente. Anche col dito si può fare il Nikolsky, sollevando l'epitelio.

Nb. La biopsia orale è complicata perché si perde il tetto e spesso si fa diagnosi di flogosi cronica. Quindi
spesso il pz non ha la diagnosi e cominciano lesioni in altri territori mucosi, come la congiuntiva appunto.
Queste lesioni, che possono anche un po' sconfinare, si infettano.

Oltre al cavo orale, sono coinvolti anche:


- Occhi → congiuntivite bilaterale, caratteristica che indirizza il sospetto verso una malattia bollosa.
- Naso → la regione più colpita è il setto; il segno più comune sono le crosticine sulla mucosa
nasale;
- Epiglottide → segno caratteristico è l’abbassamento del tono della voce;
- Esofago (nostra casistica 20%, altre casistiche 45%), regione genitale, regione ungueale.

Sembra una gengivite da tartaro (riferendosi ad una slide), se vedete una cosa del genere e magari il paziente
ha anche astenia, febbricola, sistemicamente non vi quadra, fate attenzione perché può essere esordio anche
di una malattia ematologica come una leucemia acuta. Vi ricordo che un paziente leucemico che comincia a
formare blasti appartenenti alla serie bianca in genere, presenta due caratteristiche: a livello midollare
anemia e sideropenia con tendenza alle emorragie e nel cavo orale con i traumi che ci stanno diventano
frequenti, ma la cosa caratteristica è la frequenza dell’impegno orale perché i blasti, bene o male, si ricordano
che il loro ruolo è dove c’è infezione, hanno una pallida memoria, quindi accorrono in massa nelle zone
gengivali, quindi infiltrano le gengive, danno tumefazione e generalmente aree di necrosi. Quindi un impegno
gengivale diffuso in un paziente che dal punto di vista sistemico è compromesso, richiede un approfondimento
(almeno un emocromo).

Diagnosi In queste malattie occorre:


• Clinica: nikolsky positivo
• Morfologia: Cleft/distacco (acantolisi) intraepiteliale
soprabasale
• Immunologia: si fa su tessuto o siero. Sul Tessuto del
pz si fa immunofluorescenza diretta cercando anticorpi
depositati, nella indiretta prendiamo il siero del pz e
l'esofago di scimmia, li cimentiamo, l'anticorpo si lega
e poi lo si ricerca (c'è un passaggio in più). Su prelievo
si fa ELISA per anticorpi anti DSG. Il test ELISA
consente di vedere questo autoanticorpo verso cosa è
diretto, quindi ci sono dei pozzetti con antigeni diversi,
coniugando il siero del paziente capite verso quale
antigene è diretto questo autoanticorpo patogeno.

o Immunofluorescenza diretta→ tipico pattern a “rete di pescatore (Nelle malattie subepiteliali


che colpiscono la membrana basale l’immunofluorescenza ha aspetto lineare (pemfigoide)).
L’immunofluorescenza diretta utilizza sonde, marcatori e fluorescenza per identificare
anticorpi patogeni negli spazi intracelluari, da cui deriva un aspetto a rete di pescatore, quindi
identifica la risposta immunologica e dov’è localizzata, non identifica l’antigene bensì
identifica l’igG patogena, ma non a cosa è legata.
o Immunofluorescenza indiretta → possibilità di falsi negativi: ripetere il test in caso di
alto sospetto clinico,
o ELISA per anticorpi anti DSG1 e 3 → più specifico e specifico rispetto ad
immunofluorescenza indiretta; risultati non quantitativo a concentrazione
anticorpale elevata.
Spesso ci si affida solo alla clinica e all’ELISA per fare diagnosi; in realtà bisogna sempre seguire tutti i
passaggi per la diagnosi e quindi è importante anche l’analisi morfologica, soprattutto per escludere un
eventuale pemfigo paraneoplastico → simile al pemfigo volgare ma con aspetto più disordinato ed ELISA
negativo.

Come detto, molto spesso ci si affida alla clinica e poi direttamente all' ELISA. Può andare bene, ma ci sono
casi particolari. Ad es. ELISA negativo, ma clinica, morfologia e immunologia positive. Può essere coinvolto
un altro antigene, es. desmocollina, desmoplachina. Però ci può essere un po' di stain anche più sotto, sulla
MB. Quest'aspetto è tipico del pemfigo paraneoplastico, cioè forma di pemfigo nell'ambito di una malattia
oncologica, espressione di una risposta immunologica aberrante. Quindi se ho ELISA negativo oppure un
aspetto disordinato (un po' intraepiteliale, un po' subepiteliale, un po' di linfociti T della memoria), devo
sospettare una forma paraneoplastica.
Prognosi: Il passaggio dal coinvolgimento mucoso orale al coinvolgimento mucoso/cutaneo sistemico rende
la patologia più grave e necessita di un dosaggio più alto. D’altro canto una terapia non corretta aumenterebbe
il rischio di infezioni.

Terapia
- Corticosteroidi sistemici (prednisone per os): gold standard (hanno ridotto la mortalità dal
100% al 5-10%); principale obiettivo è ridurre l’infiammazione e la produzione di anticorpi
(follow-up) → remissione di malattia. Una volta ottenuto questo, si riducono le dosi al
dosaggio minimo richiesto per il mantenimento.
- Immunosoppressori (azatioprina, ciclofosfamide, MTX, ect): terapia adiuvante per i non-
responders e in pz che sviluppano complicanze.
- Plasmaferesi, fotoforesi extracorporea, immunoassorbimento selettivo, IVIg e
rituximab: trattamenti alternativi in non responders. Il Rituximab è un farmaco di scelta
per le malattie bollose, abbatte completamente i livelli di linfociti così il pz non ha più
anticorpi immunologici ed è molto efficace. Si discute tanto sul come usarlo, se in
monoterapia, insieme agli steroidi o agli immunosoppressori, la posologia.
PEMFIGOIDE DELLE MEMBRANE MUCOSE

Introduzione: I pemfigoidi sono un gruppo molto eterogeneo, colpendo cute e mucose; il pemfigoide delle
membrane mucose resta confinato alle mucose: cavo orale, laringe, faringe, congiuntiva sono le zone più
colpite. Si tratta di una malattia ad elevata morbidità ma non elevata mortalità.
Si tratta di una malattia da auto IgG diretti verso strutture
cellulari della membrana basale → tutto l'epitelio si solleva,
rimane il corion, quindi si forma una bolla subepitaliale.
L’impronta che ha è cicatriziale, i due epiteli si toccano.
L'antigene più comune e importante è BP180: Bullous
pemphigoid, 180 è il PM. É una molecola complessa, la parte
più immunogena è quella più vicina alla membrana, cioè
NC16Aà quindi l'autoIg contro BP180 con l'epitopo
NC16A è quello più comune nel pemfigoide. Gli epitope
spreading possibili sono una marea: possono essere
intramolecolari (nella stessa molecola ci sono 2 siti
antigenici) e intermolecolari (compare la progressione verso
un'altra molecola, BP230), configurando un guazzabuglio di
possibilità immunologiche e anche cliniche perché non ce n'è
uno che si comporti in maniera uguale all'altro clinicamente e come risposta alla terapia, probabilmente perché
le possibilità immunologiche sono infinite. Molto recentemente è uscito un lavoro scientifico dal King's
College di Londra che nel pemfigoide orale congiuntivale (cioè entrambe le componenti) ha identificato un
subset di malattia molto grave quando nella stessa molecola abbiamo 2 antigeni e con doppia risposta
anticorpale IgA e IgG. Quindi tentiamo di standardizzare, ma non è così semplice.

Antigeni:
• BP180
• BP230: è l'altra molecola + comune, generalmente segue BP180, e si trova sempre nella lamina lucida
• Integrina α6 β4: α6 più corta e superficiale (fenotipo orale), quella β4 è più lunga ed è a uncino
(fenotipo coniuntivvale), (entra in connessione con la laminina) entrambi sono antigeni (colpita l'una
o l'altra o entrambe)
• Laminina 332
• Laminina γ1, una volta chiamata P200 (è il peso chimico, poi fu identificata)

Su ogni antigene ci sono più epitopi e in ogni malattia sono coinvolte diverse molecoleàgruppo eterogeneo.
Se abbiamo un pemfigoide contro α 6, abbiamo un interessamento prettamente orale; se prevale β4, si
manifesta un fenotipo congiuntivaleànon si sa perché se colpisce l'una dà interessamento di un distretto e
viceversa.
Oggi cerchiamo di distinguerli in base all'antigeneà Questo è importante:
• Per la patologia: Se l’antigene è nella parte più alta, all’interno della membrana basale (BP180,BP230,
integrina alfa6) la malattia fa il suo corso, si forma la bolla; ma se l’antigene è nella parte più profonda
(lamina densa) (integrina beta4, laminina332) il paziente sviluppa nel tempo un tumore solido, quindi
se l’antigene è più profondo il paziente va in follow up per tumori solidi.
• Per la terapia: in quello orale potrebbero bastare gli steroidi locali (Clobetasolo, Betametasone), quello
oculare potrebbe richiedere il Rituximab.

Clinica: Il pemfigoide colpisce cavo orale, laringe, esofago, congiuntiva.


• A livello oculare si evidenziano:
o Simblefaron: linee cicatriziali, imputabili alle sinechie a livello congiuntivale. In seguito alla
rottura delle bolle
o subepiteliali si ha esposizione dei corion, che si uniscono e si saldano, iniziano a cicatrizzare
→ si ha connettivizzazione dell'occhio, briglie cicatriziali, adesione alla palpebra. Il primo
segno è la progressiva diminuzione del fornice congiuntivale con connettivvizzazione dello
stesso.
o Può rapidamente portare alla cecità.
o Entropion: introflessione del margine palpebrale verso l’interno.
o Spesso si associa trichiasi: anomalia di posizione delle ciglia, dirette verso il bulbo oculare,
spesso consegue a processi di retrazione cicatriziale della palpebra → le ciglia graffiano la
cornea producendo infiammazione e danno del bulbo oculare.
o Districhiasi: ciglia che nascono dagli orifizi delle ghiandole di Meibomio)
DD → congiuntivite virale, batterica e allergica etc.
Nb. Quando la malattia è esclusivamente localizzata a livello della congiuntiva si preferisce il termine
di pemfigoide cicatriziale.

• Nel cavo orale la cicatrizzazione non crea grandi problemi perché è più resistente, tuttavia in alcuni
pz si può manifestare fibrosi moderatamente invalidante.

• Sulla cute le bolle restano tese e ben visibili.

• L'interessamento della mucosa laringea può comportare restringimento delle vie aeree.

• Può colpire anche le vie genitali, la bolla è subepiteliale, i corion si saldano e si ha cicatrizzazione.

Caso clinico: una pz con lichen planus per 10 anni poi ha presentato congiuntivite cicatriziale, positivo
all'ELISA e biopsia per BP180. Si pensa che la flogosi lichenoide nel tempo abbia esposto gli antigeni
innescando questo tipo di risposta immunitaria.

Caso: Signora di 70 anni, che seguiamo da 10 anni per picco monoclonale, sviluppa malattia bollosa, la pz
probabilmente ha un mieloma multiplo.
D:La proliferazione anticorpale delle cellule B che danno autoimmunità può essere associata allo sviluppo di
leucemie?
R: Malattie bollose possono associarsi a malattie ematologiche, ma riteniamo che non sia dovuto alla
proliferazione dei cloni B, ma più all'attività periferica che si viene a creare. La strada dell'autoimmunità è
lunga, piena di eventi, prima dei B ci sono i T e prima altre cellule e molecole, inoltre queste interagiscono
tra loro, quindi è molto complesso. Tutto sommato però le leucemie sono rare.

Diagnosi: La diagnosi prevede lo stesso iter del pemfigo


- Clinica
- Istologia
- Immunofluorescenza
o Diretta → linea continua subepiteliale di
autoanticorpi (IgG e/o C3) caratterizzata da
infiltrato della lamina propria (eosinofili,
linfociti e neutrofili).
o Indiretta e immunoblotting → identificano gli
autoanticorpi circolanti; in particolare con la
Salt Split (immunofluorescenza indiretta) è
possibile distinguere gli antigeni della
porzione epiteliale (BP180, BP230 e β4
integrina) da quelli della lamina propria
(laminina 5)

A Napoli analizziamo solo la risposta contro BP180 e BP230. Quindi si fa il Salt Split: mettiamo un pezzettino
di una biopsia in una soluzione ipertonica (cloruro di sodio) si staccano i filamenti, poi si fa
l'immunofluorescenza diretta:
-Se il colorante resta sopra, siamo in campo BP180 e BP230
-Se va sotto, siamo in campo delle laminine, che è una malattia più grave e richiede un trattamento più
aggressivo. Inoltre il contatto β4-laminina 332 è un punto cruciale della cangerogenesi, per cui i pz
con pemfigoide contro laminina 332 vanno in follow up per il rischio di sviluppo di tumori solidi
(colon-retto, polmone, esofago).
Il Salt Split ha ottima sensibilità, ma bassa specificità, ci dice solo che c'è una risposta immunologica e dove,
però può essere utile per come gestire i pz.

Ci sono anche forme solo oculari e qui fare le biopsie congiuntivale per l'immunofluorescenza è molto
complesso ed è poco fatta. Qui se BP180 è negativa, probabilmente la β4 è positiva.

Quindi cosa si fa? Ispezione, identificazione, sorveglianza per qualche settimana, in caso di resistenza cercare
di capire la morfologia delle lesioni e se mandarlo in diagnostica o meno. Importante valutare le localizzazione
(occhio, cavo orale, laringe, genitali), che ci indirizzano verso una malattia sistemica progressiva.

DD con pemfigo: Cosa c'è di diverso rispetto al pemfigo? Qui i bordi sembrano più alti, ma in realtà le lesione
è più profonda.

Pemfigo paraneoplastico: in realtà è una malattia a se stante, in cui c'è un po' di pemfigo, un po' di pemfigoide
e anche altro perché è una risposta spuria, disordinata, in cui il pz non ha una reazione immunologica contro
un antigene, quindi si vedono quadri misti con una serie di antigeni. Quindi quando vediamo forme non pure,
dobbiamo sospettare una forma paraneoplastica. Si pensava fossero rare, ma in realtà non è così.

Terapia: Prima della terapia bisogna valutare: epatite B e C, CMV, HIV, VZV e tutte le indagini per malattie
infettive che possono essere riattivate (TBCà in questo caso bisogna fare isoniazide).
- Terapia standard o convenzionale → corticosteroidi, azatioprina o ciclofosfamide.
Nelle forme localizzate alla sola mucosa, si usano formulazioni topiche; quelle a
localizzazione multidistrettuale o esclusivamente a localizzazione congiuntivale e/o
laringea o pz refrattari alle terapie topiche, necessitano di terapie sistemiche. Va fatta a
questi dosaggi di steroidi, altrimenti causa resistenza. Risponde il 90% dei pz, il 10%
non risponde o ha effetti collaterali eccessivi. In questi si va avanti coi farmaci
biologici.Fino a 2 anni fa si provava per 6 mesi per ottenere risultati, adesso si aspettano
2 mesi.
- Terapia biologica → Rituximab.
É un anticorpo monoclonale anti CD20, che ha determinato una vera svolta: elimina i linfociti
B nativi e maturi. Si presume che agisca anche sui B della memoria, reservoir e sui cloni che
rimangono, importanti per le recidive.. Tuttavia è considerato di seconda linea e riservata a pz
che non rispondono alla terapia convenzionale o che presentano troppi effetti collaterali a causa
del costo elevato.
- Terapia immunobiologica → IVIg. Carico di Ig esogene ad alto dosaggio in vena, generalmente
2-3g/ kg; vanno fatte per 20 mesi, comunque solo in seconda battuta perché oltre alla marea di
effetti (slide), si attiva il catabolismo in generale delle Ig, come se fosse una plasmaferesi. É molto
efficace nelle malattie acute, malattie immunologiche, neurologiche e anche qui. Il prof le usa o
quando il pemfigo è molto grave o nel pemfigoide soprattutto. Rischi: tromboembolismo da
immunocomplessi ed emoconcentrazione, bassi livelli di IgA. Per evitare effetti collaterali si
introduce prima, dopo 2 mesi, in non responders oppure in un pz giovane che vuole avere figli e
quindi non faccio immunosoppressori, ma do steroidi, proteggendo la capacità fertile, e se non
risponde passo ai biologici, cioè si è diventati più drastici in questo senso.
Se ne fanno 1 o 2 per abbassare i livelli di autoanticorpi, a Boston 24.

La qualità di vita è straordinaria: teniamo presente che il pz con 3 IVIg e 4 Rituximab è guarito, cioè è in
remissione clinica.
PATOLOGIA FUNZIONALE DELLE GHIANDOLE SALIVARI

Il Flusso salivare è determinato da salivazione, respirazione (asciuga il cavo orale) e deglutizione.


Il 35% della popolazione soffre di xerostomia → esso è un sintomo, con riduzione della salivazione.
La mancanza reale di saliva è data da danno biologico di rilevante importanza

Ruoli della saliva:correttezza del linguaggio,igiene della bocca,mantenimento del trofismo delle mucose,salute dento-
parodontale.
Diagnosi
Il pz ha sintomatologia tipica:
- Il pz trae beneficio col cibo, riesce a dormire di notte → S. della Bocca urente
- Il pz non riesce né a mangiare, né a dormire; risultati dubbi → scintigrafia delle ghiandole salivari maggiori →
conferma del danno

A questo punto, bisogna chiedere al pz se fa Radioterapia:


• Sì → Iposcialia da RT
• No → o Anamnesi farmacologica (TCA, antistaminici, beta-bloccanti, BZD, ARBs, ACEI) =
Iposcialia da farmaci (è la causa più frequente!)
o Screening Immunologico (S. Sjogren:SSA e SSB, FR)
o Anamnesi/sierologia da HCV
Utili nella diagnosi: ecografia e biopsia

Terapia
Pilocarpina (prima valutazione a 4-8 settimane; le controindicazioni sono: glaucoma, bradiaritmie, ostruzione Vie
urinarie/vie biliari)
Sostituti salivari

Iperscialia: rara. Cause: problematiche odontoiatriche, problemi neurologici di natura vascolare, Parkinson →
scopolamina, tossina botulinica di tipo A
SCIALOLITIASI DELLE GHIANDOLE SALIVARI

Uno dei quadri clinici più comuni nell’ambito delle patologie interessanti le ghiandole salivari.
M > e tra 2° e 6° decade.
Per le caratteristiche anatomiche:
o 80-90% dei casi è interessata la ghiandola sottomandibolare à calcoli nel parenchima e più frequentemente nel
dotto di wharton
o Nel 6-20% dei casi è interessata la parotide à calcoli più frequentemente a livello parenchimale. Ricorda che il
dotto di stenone sbocca tra il 3°e 4° molare superiore. E’ ben evidente anche da un punto di vista clinico quando facciamo
aprire la bocca al paziente: vediamo quella papilla del dotto che sbocca nel cavo orale.
o 1-2% ghiandola sottolinguale

Eziopatogenesi: accumulo consistente di depositi nel dotto della ghiandola = ostacolo al reflusso della saliva =
infezioni a carico del dotto e della ghiandola in toto.
Si ipotizza che la stagnazione di saliva associata a un danno dell’epitelio del dotto possa risultare in una formazione di
un calcolo per precipitazione di sali di calcio.

I fattori che potrebbero contribuire alla formazione del calcolo sono:


o Fattori anatomo-fisiologici locali:
- ghiandola più bassa rispetto al dotto escretore
- accentuata tortuosità del dotto
o Fattori biochimici: viscosità – densità - concentrazione di mucina - ioni calcio ed enzimi
- maggiore densità della saliva a livello sottomandibolare
- maggiore concentrazione di mucina, di ioni calcio e di enzimi rispetto alla saliva prodotta dalla parotide
o Infezioni batteriche, virali a carico del dotto che si assocerebbero ad uno stato infiammatorio dei tessuti coinvolti
che fornirebbe materiale organico indispensabile per la successiva conglomerazione dei precipitati salini. Prove di
questa ipotesi: presenza di micro-organismi all’interno dei calcoli.
o Malattie dismetaboliche o disendocrine à iperparatiroidismo che causa aumento del calcio a livello salivare
favorendone la precipitazione.
o Fattori traumatici e corpi estranei
La presenza di protesi (dentarie) non congrue nel cavo orale e le sostanze che vengono utilizzate per le otturazioni
dentarie possono creare delle ostruzioni al deflusso salivare.
o Fattori nervosi e neuro umorali
Abbiamo l’aumento della velocità del transito salivare che riduce l’assorbimento degli elettroliti del lume e
aumenta la concentrazione e saturazione di ioni calcio e fosfato. Lo scambio che avviene tra lume salivare e
capillare è regolato dalla pompa sodio potassio.
Possiamo anche notare l’alterazione della regolazione degli sfinteri duttali e le alterazioni secretive del parenchima.

Fasi della formazione dei calcoli:


1. Diachilia à alterazione qualitativa e quantitativa della saliva con
o ↑ della mucina causato da metaplasia sebacea dell’epitelio di rivestimento per stimoli irritativi cronici
o ↑ del contenuto di elettroliti mucino-associati
o ↑ del ph per blocco dell’azione dei tamponi naturali
o ↑ del materiale inorganico corpus colato

2. Micro litiasi à precipitazione massiccia di calcio e di oligoelementi intorno al nucleo organico dando origine alla
formazione dei cosiddetti sferoliti.
Questi per apposizione di ulteriori quantità di sali, si accrescono diventando microliti i quali portano a ectasia
duttale che causa ristagno secretivo e infiltrato infiammatorio periduttale.

3. Litiasi conclamata à sovvertimento dell’architettura ghiandolare con infiltrazione infiammatoria parenchimale e


fenomeni sclero-atrofici.

Composizione dei calcoli


o Nucleo centrale rappresenta il 10 - 20% del volume = mucina, cellule epiteliali duttali, batteri, lipidi, colesterolo,
detriti cellulari, cellule flogistiche
o Strati laminari (rappresenta l’ 80 – 90 % del volume ) di sostanze minerali come sali di calcio
Sintomatologia
Dipende da:
1. Dimensioni dei calcoli,
2. Localizzazione
3. Grado di ostruzione dei dotto
o © dal calcolo [ostruzione primaria]
o © dall’edema infiammatorio della parete duttale [ostruzione secondaria])

Distinguiamo 2 quadri clinici:


¤ Da ostacolo meccanico
§ Fase acuta à colica salivare
Manifestazione improvvisa e tipicamente in corrispondenza dei pasti specialmente molto gustosi.
Dolore improvviso e acuto localizzato in un punto preciso a livello del pavimento orale, della base della lingua
e della regione sottomandibolare. La ghiandola può apparire ↑ di dimensioni e consistenza duro-elastica.
A livello del pavimento orale si apprezza alla palpazione una tumefazione dura in corrispondenza del decorso
del dotto e talvolta si può osservare la punta del calcolo.
La sintomatologia può cessare spontaneamente con secrezione abbondante di saliva densa o anche con
l’espulsione del calcolo.
§ Fase cronica
o Permanenza del calcolo à ulcerazione della parete à fistolizzazione endorale
o Irritazione prolungata à fenomeni sclero atrofici à possibile stenosi (anche complete)
Rarissima degenerazione maligna dell’epitelio duttale sottoforma di carcinoma squamocellulare

¤ Da infiammazione
o Tumefazione del parenchima ghiandolare
o Dolore nella regione della ghiandola
o Essudazione purulenta del dotto in fase più avanzata (più frequentemente in caso di calcolosiintra-
parenchimale)
o Sclerosi o colliquazione purulenta
Angina di ludwing
Stato infiammatorio acuto dello spazio sottomandibolare con diffusione nello spazio sottolinguale attraverso le
fasce e il sistema linfatico à indurimento del pavimento orale con edema, cellulite diffusa peri-ghiandolare e
flemmone sovra ioideo e proiezione della lingua verso il cavo orale con ostruzione delle vie aeree. Richiede
tracheotomia d’urgenza.

Diagnosi
o Sintomi riferiti dal pz
o Esame obiettivo
1. Ispezione:
- ↓ del flusso salivare,
- Dilatazione a monte del sistema duttale,
- Tumefazione della ghiandola
2. Palpazione
La palpazione bimanuale della ghiandola con la compressione della stessa permette di valutare le sue
dimensioni e consistenza nonché la posizione del calcolo e l’evidenza di assenza o ridotta secrezione salivare.
La secrezione salivare può apparire più densa, corpus colata o purulenta in caso di infezione acuta.

o Indagini strumentali
- Radiografie tradizionali come l’ortopantomografia
- Ecografia à non per calcoli piccoli, no esatta posizione, ripetibilità
- Tc senza mdc a strati di 1 mm del pavimento orale e della regione parotidea
Nb: il 20-40% dei calcoli è radiotrasparente

Trattamento
§ Vigile attesa (singolo calcolo e senza danno parenchimale) à espulsione spontanea o dopo “spremitura”
facilitata dalla palpazione
§ Medico x il controllo della sintomatologia à antiinfiammatori, antibiotici
§ Chirurgico:
- Asportazione dei calcoli per via endo-orale
- Asportazione della ghiandola in toto per via extra-orale
La scelta tra i 2 tipi di interventi chirurgici dipende da due fattori: l’accessibilità al calcolo per via endorale e la
reversibilità o irreversibilità delle lesioni del parenchima ghiandolare conseguenti a stasi e/o infezione.
Per l’approccio orale va bene un’anestesia locale, per quello extraorale serve la generale

Asportazione del calcolo per via orale:


§ litiasi della parotide
La commissura labiale viene stirat con un apposito divaricatore per consentire la visione dell’ostio duttale.
Incannulazione del dotto di stenone: l’incisione della mucosa parallela al decorso del dotto; la presenza della
cannula facilita l’identificazione del dotto stesso.

§ litiasi della sottomandibolare


o Calcolosi del tratto anteriore del dotto di wharton
Incisione mucosa e sottomucosa del pavimento orale in corrispondenza del calcolo.
Dissezione del dotto per via smussa, talvolta utile l’incannulamento del dotto quando il calcolo non sia di
facile identificazione
Isolato il dotto, si procede alla sua incisione in corrispondenza del calcolo e sua enucleazione.
L’inserimento di un drenaggio evita al stenosi cicatriziale del dotto o l’accidentale sutura dello
stesso
Nei casi di stenosi del dotto per infiammazione cronica, si sutura la parete del dotto alla mucosa orale
creando un nuovo sbocco in corrispondenza dell’incisione chirurgica.

o Calcolosi del tratto posteriore del dotto di wharton


La tecnica chirurgica è sovrapponibile alla precedente.
In questi casi è utile l’isolamento del nervo linguale che incrocia il dotto di wharton e successivo
passaggio del dotto al di sotto del nervo stesso

Asportazione per via extraorale della sottomandibolare


Incisione a circa 2cm al di sotto dell’angolo mandibolare con preservazione del n. Marginalis
mandibulae. Isolamento e/o legatura della vena e dell’arteria facciale.
Asportazione della ghiandola con calcolo annesso previa legatura del dotto
salivare. Sutura dei piani

Complicanze dell’intevento extraorale


- Algia
- Febbre
- Trisma
- Difficoltà a deglutire / fonazione
- Fallimento terapia medica
- Ascesso ghiandolare
- Recidiva della litiasi dopo asportazione del calcolo per via orale
- Scleroatrofia della ghiandola per litiasi recidivanti.
SINDROME DI SJÖGREN
È una malattia infiammatoria autoimmune, lentamente progressiva, che interessa prevalentemente le ghiandole
esocrine. Infiltrati linfocitari sostituiscono l'epitelio funzionale, determinando una riduzione della secrezione sierosa
che provoca principalmente secchezza della bocca e degli occhi. Un terzo dei pazienti ha anche manifestazioni
sistemiche, una piccola percentuale sviluppa linfoma maligno.

Epidemiologia
La prevalenza della sindrome di Sjögren è 0,5-1%. Circa il 30% dei pazienti con altre patologie autoimmuni può
sviluppare una Sjögren secondaria. Le donne di mezza età sono le più colpite anche se può colpire ad ogni età. Il
rapporto femmine maschi è di 9:1

Eziopatogenesi
Si suppone che il fattore scatenante sia un’infezione virale persistente: coxackievirus, HTLV-1, EBV, HHV-6.
L'infezione provoca la necrosi ghiandolare, con risposta infiammatoria e immunitaria, formazione di anticorpi Ig anti-
SSA e di immunocomplessi che legano le cellule dendritiche, che sono spinte a rilasciare INF-1, sostenendo
l'infiammazione.
Sono state trovate delle associazioni tra la sindrome e alcuni polimorfismi del fattore di trascrizione STAT-4
(coinvolto nella via dell'INF-1) e del gene HLA-DQA1.

Anatomia Patologica
L'infiltrato ghiandolare è composto principalmente da linfociti T e linfociti B. Il siero dei pazienti contiene spesso
anticorpi diretti contro antigeni non organospeficifici, come i fattori reumatoidi (Ig anti-Ig) e gli anticorpi anti-SSA e
anti- SSB (Ig anti-antigeni citoplasmatici e nucleari estraibili).

Classificazione
• Primaria;
• Secondaria a:
- AR; - Vasculiti;
- LES; - Tiroidite;
- Sclerosi sistemica; - Epatite cronica attiva;
- Connettivite mista; - Crioglobulinemia da HCV.
- Miositi;

Clinica
ü Xeroftalmia: il cosiddetto occhio rosso; sensazione sabbiosa sotto le palpebre, con rossore, lacrimazione, prurito,
fotosensibilità. Questi sintomi sono attribuibili alla cheratocongiuntivite secca.
ü Xerostomia: secchezza delle fauci; difficoltà nell'ingestione di cibo secco, incapacità di parlare a lungo, carie.
All'EO si ha una mucosa orale secca ed edematosa. Si può avere ingrossamento delle parotidi.
DD. Altre cause di aumento di volume delle ghiandole salivari sono:
- unilaterali: neoplasia, infezioni batteriche, scialoadenite cronica;
- bilaterali: infezioni virali, sarcoidosi, diabete
mellito. Le altre ghiandole esocrine sono interessate
ü Tumefazioni delle parotidi; meno frequentemente; in questi casi si può
ü Fenomeno di Raynaud; avere secchezza del naso e della gola
ü Febbre;
ü Dispareunia;

Manifestazioni extraghiandolari:
ü Cute: porpora palpabile associata a crioglobulinemia;
ü Apparato osteoarticolare: artralgia, artrite, mialgia, miosite, polimisiosite;
ü Apparato respiratorio: secchezza tracheobronchiale (può complicarsi con una polmonite);
ü Apparato cardiovascolare: pericardite, blocchi A-V congeniti per anticorpi anti-SS trasferiti dalla madre al feto
legano il tessuto cardiaco.
ü Rene: litiasi, insufficienza renale da FANS (i pazienti ne fanno molto uso per il dolore);
ü Sistema endocrino: tiroidite.
Reperti immunologici
- Ipergammaglobulinemia;
- Fattore reumatoide di solito IgM verso la componente Fc delle IgG;
- ANA (anti-SSA e anti SS-B);
- Anticorpi anti-cellule salivari duttali, antitiroide, antimitocondri, antimucosa gastrica.
Criteri diagnositici
§ Sintomi oculari (almeno 1): occhi secchi per almeno 3 mesi;
§ sensazione di corpo estraneo nell'occhio; uso di gocce artificiali.
§ Sintomi orali (almeno 1): bocca secca da almeno 3 mesi; uso di liquidi per ingerire cibi secchi;
§ Segni oculari (almeno 1); test di Schimer positivo; test di Rose – Bengal positivo;
§ Segni orali (almeno 1): basso flusso salivatorio non stimolato (test di Saxon); scialografia
parotidea anomala;
§ Alterazioni istopatologiche:
- la biopsia delle labbra mostra foci di scialoadenite;
- Positività delle Ig anti-SSA e anti-SSB.

Per la diagnosi si devono verificare 4 su 6 criteri ed uno deve essere la positività agli anticorpi
oppure la positività all'istopatologia.

Terapia
Lacrime artificiali e liquidi che tengono umidificata la bocca; anti-infiammatori non steroidei;
glucocorticoidi

Ndr test di Schirmer: carta su palpebra inferiore per 5 min; se imbevuta meno di 1 cm è indicative di ridotta
produzione di lacrime. Test di Saxon: si fa masticare spugnetta dopodichè la si pesa.
Odontoiatria

NEOPLASIE DELLE GHIANDOLE SALIVARI:

Nell'ambito delle ghiandole salivari distinguiamo le ghiandole salivari maggiori e minori.


• Le maggiori comprendono la parotide, la sottomandibolare e la sottolinguale.
• Le minori invece si distribuiscono in tutta la mucosa del cavo orale e anche delle labbra e ce ne sono
a centinaia. Bisogna tener presente tutte quelle che sono le strutture vascolari, nervose e linfatiche che sono
contenute in queste ghiandole. La ghiandola più importante fra queste è la ghiandola parotide. È la più
importante perché è la ghiandola salivare maggiore di più grosse dimensioni ed è quella in cui è accolto il
nervo facciale.

Anatomia della parotide

La parotide si trova accolta


all’interno della loggia parotidea,
la loggia parotidea si trova in
corrispondenza della regione
retromandibolare e come repere
mediale dobbiamo immaginare la
faringe; ovviamente si trova al di
sopra di un muscolo, il massetere
e cosa molto importante, la
ghiandola parotidea, che si trova
all’interno della loggia, è
attraversata da un nervo di tipo
motorio: il VII paio di nervi
cranici, il nervo facciale, il quale
permette la motilità a carico di un
intero emivolto. Questo perché va
ad innervare la muscolatura
mimica facciale.

Ovviamente nella loggia sono accolte una serie di strutture non soltanto nervose, ma anche vascolari,
linfatiche. Quindi oltre al nervo facciale ci sono i vasi, che entrano anch’essi a livello della camera parotidea
e ne fuoriescono. I vasi più importanti che entrano a carico della ghiandola parotidea sono i vasi temporali,
che poi daranno origine a dei vasi per l’irrorazione sia del muscolo temporale che della fascia del muscolo
temporale; quindi vena e arteria: temporale superficiale e temporale profonda.
Ovviamente vi è una fascia parotidea superficiale e una fascia parotidea profonda; all’interno di questa è
accolta non soltanto la parotide, ma anche il nervo facciale, l’arteria carotide esterna, la vena facciale e i
linfonodi auricolari, oltre al nervo auricolo-temporale.
Il nervo auricolo-temporale è un nervo sensitivo, responsabile di tutta la sensibilità cutanea della porzione
inferiore dell’orecchio e della regione cutanea che è subito al di sotto di questa regione. La ghiandola
parotide è, tra le ghiandole salivari maggiori, quella di volume maggiore, la più grande, ha una secrezione
sierosa ed è costituita da una struttura che è formata da acini, dotti prima intercalati e poi striati e dotti
salivari infine.

Il nervo facciale decorre in questa ghiandola e la divide in due porzioni:


-una porzione parotidea superficiale o preneurale
-una porzione parotide profonda o retroneurale

All’interno della ghiandola, il nervo facciale si divide in due rami, tronchi principali, il cervico-facciale e
temporo- zigomatico; poi a loro volta questi rami si dividono in altri rami, sono quattro i rami principali.
Partendo dall’alto verso il basso abbiamo delle fibre nervose che andranno ad innervare:
o La parte sovraorbitaria, quindi il muscolo frontale, la porzione alta del muscolo frontale oltre al
muscolo orbicolare dell’occhio.
o Una porzione inferiore, una porzione zigomatica appunto, che va invece ad innervare la muscolatura
mimica dell’emivolto, della porzione superiore del terzo medio dell’emivolto.
o Un altro ramo che va ad innervare il labbro superiore
o Un altro ramo che va ad innervare il muscolo platisma.
Odontoiatria

- È un nervo misto:
• nella componente che passa per la parotide è prevalentemente motorio, dà la motilità all’emivolto;
• la componente visceroeffettrice viene fornita da un altro nervo, il nervo intermedio di Wrisberg, a
livello intracranico, che in corrispondenza dell’osso temporale fa un ginocchio, e le fibre
visceroeffettrici, attraverso i canali petrosi, raggiungono i gangli otici e stenopalatino: sono quelle che
danno la componente parasimpatica secretiva alle ghiandole in corrispondenza della cavità nasale e del
palato.
• La componente somato-sensitiva specifica va al terzo anteriore della lingua (sensibilità gustativa).
Quindi una lesione centrale del facciale oltre a paralisi periferica potrebbe dare: secchezza delle fauci e
disgeusia anteriore.

Il nervo facciale è l' vii nervo è fuoriesce dal foro stilo-mastoideo. Per cui per effettuare una chirurgia della
parotide è necessario conoscere l' uscita dal cranio del facciale. Come andiamo ad identificare il foro stilo-
mastoideo?
Semplicemente si va ad incidere in regione preauricolare e si ci porta posteriormente, quindi dietro il lobo
dell'orecchio
fino all'attaccatura dei capelli, si va ad incidere il piano cutaneo e sottocutaneo e si arriva alla fascia cervicale
superficiale. Si incide in prossimità del muscolo sternocleidomastoideo e ci si porta verso il piano profondo.
In questo piano profondo dobbiamo andare a trovare il muscolo digastrico. Perché questo muscolo e nello
specifico il ventre posteriore? Perché il ventre posteriore del muscolo digastrico rappresenta il nostro limite
inferiore profondo su cui troveremo il foro stilo-mastoideo. Il limite superiore è rappresentato dalla
cartilagine del condotto uditivo esterno, definito anche “pointer” cartilagineo. Quindi tra questa cartilagine e
la porzione inferiore della ghiandola parotidea fino alla regione del muscolo sternocleidomastoideo o del
lobo dell'orecchio troveremo il nostro nervo facciale. Trovato il nervo facciale possiamo eseguire la chirurgia
parotidea che è volta a rimuovere o l'intera ghiandola, o porzioni di questa ghiandola o soltanto piccole zone
della neoplasia con tessuto ghiandolare sano limitrofo alla neoplasia.
A seconda del tipo di patologia si effettuano diversi interventi.
Introduzione
Le neoplasie delle ghiandole salivari costituiscono il 3-4% dei tumori del distretto testa collo. L’incidenza
massima è tra la terza e la sesta decade di vita:
- Per le forme benigne intorno alla quinta decade di vita,
- Per quelle maligne, intorno alla sesta.

Consideriamo che si localizzano:


- 80% a livello della parotide,
Dove si localizzano questi tumori? Si localizzano soprattutto nella porzione preneurale, quindi in
quella porzione di ghiandola che si trova al di sopra del nervo facciale e nel caso dell’adenoma
pleomorfo, diciamo, nei 4/5 dei casi, si localizza nella regione preneurale.
o Quelli benigni, epiteliali, sono asintomatici, rappresentano la maggior parte dei tumori epiteliali e
hanno ovviamente la cute sovrastante di aspetto e colorito normale.
o Nei tumori maligni, soprattutto in stadio avanzato, vi può essere interessamento del nervo: quindi
l’interessamento delle fibre nervose può determinare una parali (attenzione! Non si tratta di paresi
infatti la paresi è transitoria.) Quindi un tumore maligno può determinare una paralisi a carico di
alcune branche del nervo facciale, cososa invece che nei tumori benigni non possiamo osservare.
- 10% a livello della sottomandibolare,
- Le ghiandole salivari minori invece sono interessate nel 9%. Ovviamente le minori hanno una
percentuale di malignità che varia tra il 35 e il 60%.
- 1% a livello della sottolinguale.

Tumori vi sono a livello della parotide e in generale delle salivari:


-Di tipo benigno
-Di tipo maligno
Le neoplasie benigne hanno la maggiore localizzazione a livello parotideo. Quelle maligne hanno una
maggiore a livello delle ghiandole salivari minori.
Quindi quanto più grande è la ghiandola tanto più sarà possibile che ci troviamo di fronte ad una patologia
che è di tipo benigno. Quanto più piccola la ghiandola tanto più frequente sarà l’osservarsi di una patologia
maligna neoplastica.
Odontoiatria

Quindi il rapporto di benigna e malignità è inversamente proporzionale alla dimensione della ghiandola.
I tumori maligni sono molto meno frequenti dei benigni, insorgono soprattutto tra la quarta e sesta decade di
vita. Cosa possono determinare? La cute sovrastante può essere adesa rispetto ai piani profondi, può
presentarsi invaginata, può presentarsi con colorito rossastro, dolente e può presentarsi con un aspetto molto
importante, quando interessano la ghiandola parotidea, ovvero una paralisi del nervo facciale. Vi sono diversi
tumori.
Classificazione dei tumori delle ghiandole salivari:

¤ Tumori epiteliali benigni:


- Adenoma pleomorfo
- Adenoma monomorfo
- Tumore di warthin (cistoadenolinfoma)
- Oncocitoma = adenoma a cellule ossifile
- Adenoma sebaceo à ghiandole salivari ectopicamente localizzate nel contesto di ghiandole
salivari normali.

¤ Tumori epiteliali maligni:


- Adenocarcinoma,
- Tumore adenoidocistico,
- Carcinoma anaplastico o indifferenziato,
- Carcinoma epidermoide
- Carcinoma in adenoma pleomorfo, cioè in un paziente che aveva inizialmente un adenoma
pleomorfo. Quindi anche i tumori benigni possono degenerare nell'arco del tempo e dare
neoplasie maligne

¤ Tumori a istoprognosi incerta:


- Il tumore mucoepidermoide
- Carcinoma a cellule acinose.
Questi tumori possono avere un comportamento clinico benigno o maligno.
In realtà a seconda del grado di differenzazione di questa neoplasia avremo un diverso decorso. Se
c'è un basso grado di differenzazione avremo un comportamento biologico simile a un tumore
benigno, se di alto grado simile a un tumore maligno.

Tumori epiteliali benigni

Adenoma pleomorfo
Rappresenta il più frequente dei tumori delle ghiandole salivari. Incidenza del 75-80%. Si manifesta
maggiormente nella 5° decade di vita. Si osserva anche nei soggetti giovani, anche nei bambini ma è molto
raro.
Il paziente si presenta con:
o Cute sovrastante rilevata rispetto a quella controlaterale
o Colorito normale
o Espansione cutanea
o Talvolta raggiunge dimensioni notevoli e appare come una “palla” lateralizzata a livello della regione
parotideo.

Clinica: essendo la crescita lenta, non c’è evidente sintomatologia soggettiva se non un senso di tensione
cutanea nella zona interessata. La neoplasia può restare immutata per anni o accrescersi enormemente dando
à asimmetria facciale, interessamento del massetere, compromissione dell’apertura della bocca e algie che
si irradiano alla regione temporale. Se il tumore origina dalla porzione retro-neurale della parotide, ad una
minima estrinsecazione superficiale può corrispondere un notevole approfondimento verso l’oro-faringe con
insorgenza di disfagia. Raramente può verificarsi paralisi.
Odontoiatria

Macroscopicamente Microscopicamente
- Localizzazione comune è a livello dell'angolo della - Presenza contemporanea di elementi epiteliali
mandibola. (organizzati aformare tubuli, alveoli o cordoni) e
- Dimensioni variabili, connettivali. In questi elementi connettivali originano
- Massa biancastra, diverse aree che sono condroidi, mixoidi e mucoidi che
- Non ha una superficie liscia ma è irregolare: derivano dalle cellule duttali mioepiteliali. Quindi questo
bernoccoluta, bozzuta, tipo di polimorfismo fa in modo che vi sia
- Mobile alla palpazione sui piani, sia superficiali che differenzazione dell' epitelio dei dotti.
profondi, quindi non ha dalle aderenze - Vi può essere una pseudocapsula, la quale nel 40% dei
- Si localizza nelle maggior parte dei casi, al davanti del casi non è completa, interessando solo una porzione della
lobo dell’orecchio o al di sotto dello stesso. neoplasia.
- Non ha un aspetto cistico, ma polilobulato Può avere un aspetto cellulare di tipo mixoide o di tipo
condroide, perchè abbiamo visto lo stroma che può essere
sia di tipo mucinoso che cartilagineo.

Trattamento: parotidectomia preneurale o totale oppure la semplice asportazione della neoplasia facendo
cadere i
limiti di exeresi in tessuto sano (enucleo-resezione).

Ndr domanda scritto: l’adenoma pleomorfo può nascere anche dal palato molle.

Cistoadenolinfoma (tumore di warthin)

Neoplasia benigna della ghiandola parotide, meno frequente dell' adenoma pleomorfo ma abbastanza
comune. Incidenza del 5-10%. M:f = 8:1
Ha la sua origine a livello della ghiandola parotidea. Spesso queste formazioni sono bilaterali (nel 17% dei
casi). Presenta, crescendo come una cisti, le stesse caratteristiche cliniche dell'adenoma pleomorfo e si è
evidenziato come questa neoformazione sia correlata a pazienti con alcune patologie e disordini immunitari.
Si osserva in pazienti con diabete, ipertensione o disturbi immunitari legati alla tiroide (tiroiditi) o soggetti
fortemente fumatori. Nel parenchima della parotide c’è un enorme quantità di cellule linfoepiteliali, che
rispondono ad uno stimolo irritativo che può essere dato anche dal fumo (con flusso retrogrado attraverso il
dotto di Stenone, raggiunge la ghiandola) che stimola una risposta eccessiva, determinando la formazione di
aggregati linfoidi che portano poi a una formazione cistica ( cisto-adeno-linf-oma: perché presenta
un’importante componente epiteliale linfatica immuno mediata).

L' aspetto macroscopio è simile ad una cisti capsulata e circonvoluta.

Macroscopicamente Microscopicamente
- La localizzazione è al di sotto del lobo - Le cellule si dispongono in queste cavità cistiche dove può essere
dell’orecchio. presente materiale eosinofilo, linfociti, macrofagi e cristalloidi
- Forma ovoidale - Le papille sono invece costituite da uno strato superficiale,
- Superficie liscia e regolare e a limiti netti formato da cellule cilindriche, e da uno strato profondo che è
- Ha una capsula completa, che copre tutta la formato da tessuto linfoide
ghiandola. - Possiamo avere diverse forme
- Consistenza molle o teso-elastica o Una forma tipica dove si osservano uguali quantità di tessuto
- Adesa alla ghiandola epiteliale e connettivale e lo stroma invece varia dal 30 al 70%;
- Colorito grigio-roseo o Una forma povera di stroma à avremo una inferiore componente
linfoide
o Una forma ricca di stroma à avrà una componente linfoide
maggiore.
o Una forma metaplastica à avremo varie aree di metaplasia
squamosa. Ovviamente,

Eco graficamente à spazi solidi alternati a cistici


Tc à immagine rotondeggiante più o meno omogenea Fondamentale è la fnac
il trattamento può essere anche di semplice enucleazione oppure se di grandi dimensioni à parotidectomia
pre- neurale.
Odontoiatria

Oncocitoma = adenoma a cellule ossifile


Rara neoplasia benigna, interamente composta da oncociti. Macroscopicamente à capsulato e lobulato
Microscopicamente à tipici oncociti: cellule globose e rigonfie con citoplasma eosinofilo granulare
(mitocondri) derivate da cellule epiteliali degli acini e dei dotti che dopo aver esaurito la propria attività
funzionale acquistano tali caratteristiche (per mutazione o semplice involuzione.
Gli oncociti sono riuniti a formare colonne parallele o formazioni solidi tondeggianti. Trattamento: si
preferisce la parotidectomia con conservazione del nervo facciale.

Tumori epiteliali a istoprognosi incerta

Ci sono però due tumori, il mucoepidermoide e il tumore a cellule acinose che rientrano nelle neoplasia a
istoprognosi incerta

Tumore mucoepidermoide
Rappresenta il 35% delle neoplasie maligne delle ghiandole salivari e si localizza in maniera particolare a
livello della parotide e del palato.
E’ formata da cellule mucipare e epidermoidi e la prevalenza di una delle due componenti cellulari insieme
al numero di mitosi ne definisce il grado di malignità:
o Quando vi è una maggiore componente delle cellule epidermoidi, il tumore sarà ad alto grado di
malignità,
o Quando predominano le cellule mucipare rispetto a quelle epidermoidi il tumore avrà un basso grado
di malignità, con comportamento più simile a quelli benigni.
o Grado intermedio in cui sono rappresentate in misura uguale tutte le componenti cellulari.

Macroscopicamente Microscopicamente
- Superficie irregolare
- Interessa inizialmente il parenchima ghiandolare e Cellule di tipo mucosecernente e cellule
successivamente le strutture limitrofe infiltrando nel 20% dei epidermoidi. Oppure cellule
casi il nervo facciale. indifferenziate.
- La forma a bassa malignità di consistenza dura e a lenta
crescita è spesso confusa con l’adenoma pleomorfo
- La forma ad alto grado di malignità di consistenza dura, a
limiti mal definiti e poco mobile tende ad infiltrare i tessuti
circostanti coinvolgendo la cute e il nervo facciale.

Il trattamento prevede la parotidectomia totale.


Perché questo? Perché, sebbene queste neoplasie abbiano prognosi incerta, è opportuno sempre asportare la
ghiandola in toto, andando ovviamente a preservare le fibre nervose, qualora non fossero interessate dalla
neoplasia. L’aspetto ricorda i linfonodi metastatici colliquati.

Nb: il trattamento chirurgico delle aree linfatiche laterocevicali è riservato solo alle neoplasie di alto grado.

Tumore a cellule acinose:


Deriva dai dotti intercalari ed esso rappresenta circa il 15% delle neoplasie maligne.
Interessa principalmente la parotide (nel 90% dei casi si localizza qui). Massima incidenza nella 4-5 decade.

Esame obiettivo Microscopicamente


- Nodulo singolo e circoscritto Cellule tumorali tendono a conservare l’aspetto
- Consistenza duro-elastica granuloso, presentano un citoplasma ricco di granuli
- Poco mobile rispetto ai piani profondi basofili, nucleo ipercromico eccentrico, a volte con
- Si osserva deficit del facciale pre- aspetto a cellule chiare
operatoriamente in meno del 3% dei casi.

La crescita è lenta ma si può osservare una crescita deostruente e infiltrante nel 10% dei casi. Se ha
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determinato una paralisi del facciale pre operatoriamente, il nervo va sempre rimosso.
Metastasi: poco frequentemente per via linfatica (16% dei casi), infiltrando i linfonodi laterocervicali.
Ancora più raramente per via ematica (12% dei casi) a livello polmonare o encefalico.

Anche qui si fa una parotidectomia totale.


Tenete presente che si asporta quasi sempre sia con tumori benigni che maligni.
Diciamo che l' unico caso che non presuppone necessariamente di una asportazione totale è il
cistoadenolinfoma (tumore di warthin) perché è assimilabile come detto ad una cisti. Invece l' adenoma
pleomorfo va asportato totalmente o nel caso in cui sia localizzato in una porzione preneurale della
ghiandola parotidea, è asportata solo questa porzione salvaguardando quella retroneurale. Ovviamente
quando si asporta tutta la ghiandola è possibile la sindrome di frey data la superficializzazione delle fibre
dell' auricolo-temporale. Per evitare questo si può interporre una fascia che deriva dal muscolo temporale in
modo da creare uno strato tra il nervo e la cute sovrastante.
Tumori epiteliali maligni

Le neoplasie maligne
Sono poco frequenti, la quarta e la sesta decade è quella più colpita. Interessano soprattutto le ghiandole
salivari minori e interessano la sottomandibolare con una frequenza doppia rispetto a quella parotidea.
Hanno una crescita molto rapida e possono andare ad interessare il nervo facciale, determinando o paresi o
paralisi fino ad arrivare anche al 14% dei casi. Quando sono molto voluminosi determinano anche una
sintomatologia di tipo algico.

Adenocarcinoma
Rappresenta il 3% delle neoplasie maligne delle ghiandole salivari. Vi è un uguale rapporto maschi-
femmine.
Si presenta come massa di consistenza dura, non capsulata che infiltra i tessuti molli e anche le ghiandole
adiacenti. Alla tc si presenta come un qualcosa di indissociabile dal tessuto ghiandolare

Microscopicamente à aspetto tipico è tubulo papillare con presenza di muco. Notevole variabilità istologica:
- Strutture papillari mucosecernenti ben differenziate (bassa malignità)
- Strutture trabecolari (malignità intermedia)
- Strutture pleomorfe con note tipie cellulari e notevoli mitosi (malignità elevata)
Vi è una popolazione cellulare costituita da grandi e da piccole cellule; le cellule basali sono presenti e sono
di tipo adenomatoso.

Nb: nel 25% dei casi ci sono metastasi linfonodali locoregioanli; nel 205 metastasi a distanza.

Trattamento: la neoplasia viene asportata con la cute sovrastante, in toto, anche con il nervo se c' è un
interessamento di tipo nervoso + dissezione linfonodale latero-cervicale.

Concetto: quando si utilizza un qualcosa come un lembo o un muscolo o un qualcosa che passi nella regione
laterocervicale e ci troviamo di fronte a dei pazienti che hanno delle neoplasie maligne, va sempre eseguita
una linfadenectomia laterocervicale. Perchè, quando si va ad agire nella regione laterocervicale per far
passare un lembo per la ricostruzione piuttosto che si vada ad anastomizzare un lembo libero, dobbiamo
interrompere l’intera fascia cervicale. Come si effettuavano le linfadenectomie? Asportando delle fasce,
quella superficiale e quella profonda, e all’interno di queste fasce erano presenti i linfonodi che noi
asportavamo. Quindi non andavamo ad asportare i singoli linfonodi, ma andavamo ad asportare le fasce con i
linfonodi accolti al loro interno. Ricordate l’immagine della rete che tira i pesciolini: la rete è rappresentata
dalle nostre fasce, e i linfonodi rappresentano i pesciolini. Quindi, quando vado a lavorare in questa zona,
rompo le fasce, le reti e quindi se poi al paziente dovesse avere una positività linfonodale nel corso del
follow-up, non potremo essere deontologicamente puliti nell’asportare i linfonodi con la loro rete, perché
abbiamo già interrotto questa rete
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Carcinoma adenoidocistico (cilindroma)


E' invece un tumore raro per la parotide (solo 2-6%) mentre interessa soprattutto la sottomandibolare e le
salivari minori (più frequentemente anche della sottomandibolare).
Viene anche definito come cilindroma.
Origina dalle cellule duttali e mioepitiali e si può avere un quadro di crescita:
§ Tubulare,
§ Cribriforme à microscopicamente ci sono piccoli spazi ovoidali di cellule disposte ad isola. In
questi spazi vi è una sostanza amorfa ialina, eosinofila o sostanza mucoide. La forma cribrata presenta un
elevato grado di differenziazione.
§ Solido à basso grado di differenziazione.
È classificato in tre gradi. Quindi possiamo avere:
§ Grado i: aree tubulari e cribriforme e mancano quelle solide. In questo caso la malignità è media
§ Grado ii: aree cribriformi e aree miste con un ≤50% di aree solide.
§ Grado iii: aree solide più del 50%, alta malignità.

La neoplasia si accresce lungo le strutture nervose per cui spesso è possibile osservare una paralisi
intraoperatoria oppure osservare un coinvolgimento della struttura nervosa per cui il nervo non è districabile
dalla neoplasia.
L’aspetto è completamente indissociabile dall’epitelio ghiandolare.
Il dolore è uno dei primi segni clinici e può interessare la metà dei pazienti e in circa ¼ dei casi è presente
paralisi nervosa e come la metastatizzazione sia soprattutto a distanza, quindi non linfonodale. Le metastasi
di questo tumore possono rimanere silenti anche per diversi anni, anche 10-15 anni, si localizzano soprattutto
a livello polmonare.

Carcinoma in adenoma pleomorfo


Origina proprio dall’adenoma pleomorfo che shifta il suo comportamento da benigno a maligno.
Secondo alcuni autori il 2-10% delle forme benigne di adenoma pleomorfo diventa maligno. Questa
trasformazione avviene solo a carico delle cellule epiteliali e in rapporto proporzionale a:
- Età del pz
- Tempo di comparsa
- Interventi chirurgici non radicali praticati sul pregresso tumore.
Interessa soprattutto le salivari maggiori, perché nelle ghiandole salivari maggiori abbiamo proprio una
maggiore incidenza di adenoma pleomorfo, soprattutto la ghiandola parotidea, sempre per lo stesso motivo.
Macroscopicamente si presenta come massa dura mal delimitata da una pseudo capsula incompleta, di clore
bainco- grigiastra.

Esso insorge in modo silente perché insorge appunto su un adenoma pleomorfo, ma negli stadi più avanzati
può essere accompagnato da dolore e disturbi a carico del nervo facciale.
La prognosi ovviamente dipende:
- Dal grado di differenziazione dalle neoplasia,
- Dalle dimensioni,
- Dall’invasione delle strutture contigue
- La metastatizzazione non avviene per via linfatica perché va ad interessare le strutture polmonari e
vertebrali.

Trattamento: parotidectomia totale + dissezione linfonodale seguita da radioterapia.

Carcinoma indifferenziato
4% dei tumori maligni. Più frequente a livello della parotide. È frequente nella quarta decade
E' una neoplasia che ha un elevato grado di malignità con metastatizzazione molto precoce à loco regionali
e polmonari.
Clinicamente: tumefazione dolente che spesso si associa a deficit del facciale
Macroscopicamente à infiltrante che scompagina il tessuto ghiandolare. Massa di consistenza dura o duro-
elastica, poco mobile sui piani profondi.
Ha una componente costituita da cellule mucipare squamose indifferenziate;
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DIAGNOSI DELLE NEOPLASIE:

1. Accurata ananmesi,
Quali possono essere i sintomi di queste neoplasie?
§ Disfagia, perché la neoplasia può interessare la porzione retroneurale, profonda, della ghiandola
parotide, vicino al faringe;
§ Sensazione di corpo estraneo;
§ Ipoacusia quando ci troviamo di fonte a una neoplasia maligna, che va ad interessare il condotto
uditivo esterno;
§ Trisma, se la neoplasia è sempre maligna, per interessamento dei muscoli masticatori e in
particolare del massetere
(perché la parotide è accolta, nella sua loggia, proprio al di sopra del muscolo massetere);
§ Ci potrebbe essere fuoriuscita di materiale sieroso in corrispondenza dei dotti delle ghiandole
salivari.
§ Il dolore ovviamente non è un segno favorevole, ci induce a sospettate una neoplasia maligna
Le neoplasie molto lente sono ovviamente neoplasie di tipo benigno, quelle maligne sono quelle a
più rapido accrescimento e che vanno ad interessare strutture molto più rapidamente rispetto a quelle
benigne

2. Esame obiettivo con ispezione, palpazione.


§ Nell' ispezione si va a vedere come si presenta la neoplasia, come è la cute sovrastante, se c' è
una cute di colore normale o meno, se è invaginata, se vi è la presenza di un danno a carico del
facciale, le dimensioni.
§ Con la palpazione si apprezza la mobilità rispetto ai piani profondi, la dolorabilità, i margini e la
consistenza della massa stessa, la forma regolare o sfumata.

3. Metodiche strumentali:
§ Ecografia con doppler per poter apprezzare un aumento della vascolarizzazione tipica di questi
tumori. Ha elevata sensibilità. Molto utile specie nei tumori benigni che nel 90% dei casi
nascono dalla porzione superficiale ma è anche utile nel distinguere lesioni intraghiandolari da
quelle extraghiandolari. Non è in grado però di visualizzare la porzione profonda della parotide.
§ Successivamente posso eseguire qualora c'è sospetto di una neoplasia possiamo effettuare una tc
con mezzo di contrasto o una rm con mezzo di contrasto.
o Tc con mdc consente di evidenziare i rapporti tra le formazioni ghiandolari e i tessuti ossei
(ad esempio la mandibola)
o Rm con mdc consente di delineare i rapporti tra tumore e tessuti circostanti per una corretta
pianificazione chirurgica.

4. Diagnosi istologica
Posso effettuare fnac, un agoaspirato con ago sottile che consente di avere una diagnosi indicativa
verso il tipo di neoplasia perché l' esame citologico, prelevando un gruppo di cellule, non mi permette
una diagnosi definitiva ma mi dà un indicazione.
L’agoaspirato permette di distinguere un tumore primitivo delle ghiandole salivari da un linfonodo
patologico in caso di nodulo perighiandolare.
Prelievi multipli possono essere utili per diagnosticare un tumore con aspetti cistici, come il
carcinoma muco epidermoide.
Il rischio di disseminazione di cellule maligne lungo il percorso dell’agoaspirato è trascurabile
diversamente dalle biopsie a cielo aperto.
Non va mai effettuata una biopsia di queste lesioni, tranne quando ci troviamo in presenza di un
paziente con una malattia linfoproliferativa, perché tale malattia non è una malattia della ghiandola
parotidea, ma ematica, del sangue, per cui non è richiesta la completa escissione della localizzazione
parotidea di questa malattia in quanto l’escissione chirurgica non è curativa.

5. Vari tipi di intervento


Ø Per tumori della parotide:
¤ Enucleazione à prevede un’incisione del parenchima parotideo e si raggiunge la capsula
della neoplasia. La neoplasia viene liberata dalle aderenze con il tessuto ghiandolare
Odontoiatria

circostante.
¤ Enucleo resezione à prevede l’identificazione del facciale e delle sue branche principali
prima dell’incisione della parotide lungo il suo margine posteriore per raggiungere la
neoformazione tumorale e asportarla con margine di tessuto sano di circa 0,5 cm
¤ Dissezione extra-capsulare àasportazione della lesione con sottile strato di tessuto
ghiandolare indenne, senza preventiva identificazione del facciale
¤ Parotidectomia superficiale à asportazione della porzione superficiale della ghiandola che è
posizionata al di sopra del nervo facciale. Il piano di escissione è delineato dal nervo faciale
stesso e dalle sue diramazioni preventivamente individuate e isolate.
¤ Parotidectomia totale à asportazione della porzione superficiale e di quella profonda
§ Con conservazione del facciale.
§ Con sacrificio del facciale = è lo standard se il tumore aderisce o infiltra altre struttureà
Nel post-operatorio: spianamento del solco naso genieno, canto dell’occhio abbassato,
scleral show (eccessiva scopertura della sclera) perché il tono muscolare è venuto meno,
epifora (lacrimazione), spianamento delle rughe frontali, le prove funzionali sono
sorriso, bacio, gonfiore labbra, strizzo gli occhi, sollevo la fronte; quando le si chiede di
fare queste cose la signora da un lato non muove niente, anzi, quando le si chiede di
chiudere gli occhi c’è il segno di Bell (si gira l’occhio verso l’alto perché non riesce a
chiudere la palpebra).

¤ Parotidectomia totale allargata. Non andiamo ad asportare solo la struttura nervosa, ma


asportiamo anche i linfonodi laterocervicali o muscoli, strutture ossee e cartilaginee coinvolte
in questo processo neoplastico

Andrebbe innanzitutto identificato il nervo facciale, quindi da dove esce il facciale?


• Dal foro stilo mastoideo (quindi procediamo con l'identificazione del foro detta precedentemente e del
decorso del facciale)àQuesta è una tecnica anterograda.
• Poi abbiamo una tecnica retrograda: si parte dalle fibre terminali del nervo facciale e si va in modo
retrogrado ad asportare quel tessuto ghiandolare da cui fuoriescono queste fibre. Quindi non si va ad
identificare il tronco principale del nervo, ma le diramazioni del nervo facciale, i rami terminali, si
procede dall’avanti all’indietro. Alcuni preferiscono utilizzare una tecnica piuttosto dell’altra. Noi
preferiamo sempre utilizzare la tecnica anterograde

E’ importante identificare anche il nervo auricolotemporale che si trova un paio di cm al di sotto del processo
mastoideo sulla faccia laterale del muscolo sternocleidomastoideo.

Ø Nel caso di una formazione sottomandibolare, si asporta l’intera ghiandola sempre con
incisione di tipo orizzontale.
Ø Tumori a carico delle ghiandole salivari minori sono a livello del mascellare superiore
solitamente

6. Radioterapia quando è indicata.


o Pz con malattia residua dopo la chirurgia
o Presenza di esteso coinvolgimento linfonodale (più di 2 linfonodi metastatici)
o Rottura capsulare
o Per turmori indifferenziati e ad alto grado
o Presenza di invasione peri-neurale
o Malattia avanzata = coinvolgimento del nervo faciale o della porzione profonda.

Complicanze chirurgiche

o Sindrome di frey à si verifica in seguito alla lesione o alla sezione del nervo auricolo-temporale,
ramo del nervo mandibolare, che attraversa la parte superiore della ghiandola.
Causata dalla re innervazione naomal delle ghiandole sudoripare e dei vasi cutanei dei territori di
distribuzione del nervo auricolo-temporale da parte delle fibre parasimpatiche.
Ha latenza di 1-14mesi e può regredire spontaneamente o mediante sezione intratimpanica del nervo
di jacobson e della corda del timpano.
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- iperemia cervico-facciale
- abbondante sudorazione della cute iperemica in risposta ad uno stimolo gustativo.

o Lesione del n. facciale: molto frequente, 3 tipi di lesione


- Neuroaprassia, interruzione temporanea, magari perché lo abbiamo stirato
- Assonotmesi, un po’ più seria ma recuperabile
- Neuronotmesi lo abbiamo tagliato

Paralisi transitorie del facciale à sono molto comuni (8-38%). Possono permanere fino a 3-6 mesi.
Paralisi permanente del facciale à è rara ed strettamente correlata al fatto che l’intrevento
chirurgico venga eseguito su un tumore primitivo (paralisi si verifica nell’1% dei casi) o per una
ricaduta locale (paralisi si verifica nel 40%)
Nb: la paralisi del facciale è di tipo periferico e si presenta dal lato leso con:
- asimmetria facciale
- abbassamento della commessura labiale
- appiattimento del solco naso-labiale e delle rughe frontali
- allargamento della rima palpebrale
- epifora
- lagoftalmo
- deviazione della rima buccale verso il alto sano nel tentativo di mostrare i denti
- impossibilità di fischiare e gonfiare le guance
- impossibilità di chiudere le palpebre

Classificazione di deficit temporale:


- GRADO I, caratterizzato da assenza o lievi paresi dell’angolo della bocca
- GRADO II, presenza di paresi di uno o più territori del n. facciale conservando i movimenti
- GRADO III, paralisi totale con compromissione di tutti i movimenti per 3-6 mesi
Il ramo marginale che va al depressore dell’angolo della bocca e alla porzione bassa del linguale è quello più
doppio, e più facilmente compromesso, quindi questi pt quando ridono non riescono sempre a farlo. Se la
cosa è più seria, è interessato il tronco comune, c’è un problema che coinvolge tutte 5 le diramazioni.

Ricostruzione. Dopo l’asportazione del tumore è possibile ricostruire il facciale,


- con una neurorrafia, si prende una porzione di n. surale e si fa un’anastomosi termino-
terminale; questo però deve essere fatto subito nell’intervento, bisogna preservare le
diramazioni terminali quindi è una tecnica complessa che può essere fatta solo in determinati
casi. Queste tecniche si chiamano di “facial reanimation” in generale, queste di cui vi sto
parlando sono anche funzionali, in quanto permettono di ripristinare la funzione
- oppure in modo differito è possibile fare una ricostruzione utilizzando il n. masseterino, che
può essere utilizzato andando ad anastomizzare con i monconi a valle, per cui il pt dopo
l’intervento può sorridere stringendo i denti. Si deve fare poi una serie di fisioterapie per
permettere al cervello di capire che per sorridere bisogna fare un movimento diverso da quello
che si faceva prima
Esistono queste tecniche in centri specialistici in continua evoluzione, altre tecniche non funzionali: fili
in sospensione per sollevare la rima, pesetti per cercare di far chiudere la palpebra ed evitare la cheratite,
vengono usati dei muscoli, come il m. temporale; i risultati però non sono eccezionali, una volta che il
nervo è andato via non c’è molto da fare.
OFTALMOLOGIA

Aggiornato con le Sbob 2018 da Giorgia Polito (:


ANATOMIA OFTALMOLOGICA

Componenti principali: Possiamo dividere l’apparato della vista in:


§ Occhio
§ Nervo ottico (che abbandona l’occhio per portare le informazioni ai centri corticali superiori)
§ Annessi oculari (pareti dell’orbita, le strutture ossee, muscolari, fascia del Tenone, sopracciglia, palpebre, congiuntiva,
apparato lacrimale)

OCCHIO/BULBO OCULARE: Circa il 70% delle informazioni che l’organismo riceve sono attraverso l’apparato visivo.
Questo è possibile perché l’occhio trasforma, attraverso potenziali di azione, le onde luminose in impulsi elettrici che verranno
poi elaborati a livello dei centri corticali.
Il raggio luminoso penetra nell’occhio attraverso la pupilla, una struttura costituita prevalentemente da fibre muscolari “muscoli
iridei(sfintere e radiale)” (l’iride è l’anello che circonda la pupilla), la quale modula la quantità di luce in “entrata”à negli
ambienti più chiusi la pupilla è dilatata mentre è chiusa quando c’è più luce.
Ovviamente questo può essere anche indotto farmacologicamente. Noi per poter esaminare il fondo nei dettagli abbiamo bisogno
di dilatare la pupilla e questo può avvenire con alcuni farmaci. Ci possono essere anche delle patologie in cui la pupilla è
ristretta o dilatata.

Il raggio, una volta entrato attraverso la pupilla, deve attraversare una serie di strutture prima di colpire la retina che è la porzione,
o meglio, la membrana, che è deputata alla percezione del segnale luminoso e alla trasformazione del segnale luminoso in impulso
elettrico mediante i fotorecettori: coni e bastoncelli.

Le strutture che il raggio luminoso deve attraversare sono:


• La cornea;
• Il cristallino;
• La camera anteriore e la camera posteriore;
• Fotorecettori retinici.
L’occhio è costituito da un sistema di lenti che vengono appunto attraversate dai fasci luminosi e che costituiscono il diottro
oculare. In ordine anteroposteriore:
• La cornea;
• L’umore acqueo
• Il cristallino
• L’umor vitreo
Di solito si considerano la cornea e il cristallino come lenti dell’occhio perché il potere diottrico, le deviazioni, dell’umor
acqueo e dell’umor vitreo è quasi nullo. Si può affermare quindi che questo sistema ha un potere diottrico di circa 62 diottrie
in riposo accomodativo (cornea:43 cristallino:19); con l’accomodazione il cristallino può raggiungere 33 diottrie portando
il totale a 76. Si precisa che la lente più potente dell’occhio è la cornea perché qui è presente la maggiore differenza di
indice di rifrazione (aria:1 - cornea:1.37 - cristallino:1.4).

I raggi luminosi vengono fatti convergere attraverso questo sistema di lenti (se sono integre) perfettamente sui punti retinici
delle due retine. Qualunque alterazione di una o più lenti impedisce la convergenza dell’immagine sulla retina causando i
difetti di vista. I problemi legati a difetti di vista o refrazione, vengono quindi corretti con delle lenti appropriate. Il criterio
della lente è quello di far convergere o divergere, a seconda dei casi, l’immagine affinchè cada sulla retina.

• Per campo visivo si intende la porzione di spazio visibile dagli occhi immobili (campo binoculare)
• Per acuità visiva si intende la capacità di distinguere due punti come separati (normalmente basta un angolo
di primo di grado (1’).

Cristallino

I parametri di spessore sono:


Retina = 240-250 µm
Fovea = 190 µm
Cristallino = 3-6mm
Cornea = 550 mm (range 540-560)
Struttura: All’interno del bulbo si possono distinguere:
- Polo anteriore e un polo posteriore e la camera del vitreo;
- Asse interno (l’asse ottico) → congiunge il polo anteriore e il polo posteriore, dall’apice della cornea alla
retina. NB. Non bisogna fare confusione tra asse ottico e asse visivo. Questo corrisponde al tragitto seguito
dai raggi luminosi provenienti da un oggetto fissato con lo sguardo che dal centro della cornea (vertice)
raggiungono la fovea.
- Equatore (circonferenza tracciabile sulla superficie esterna del bulbo giacente nel piano perpendicolare
all’asse anatomico ed equidistante dai poli anteriore e posteriore)
- I meridiani (che attraversano perpendicolarmente all’equatore, o meglio che non attraversano, ma sono dei
cerchi che passano per il polo anteriore e il polo posteriore).
Presenta tre cavità:
§ Camera anteriore = tra cornea (ant) e iride (post)
§ Camera posteriore = tra iride (ant) e cristallino (post)à (è un triangolino, da non confondere con la
camera del vitreo)

§ Camera del vitreo = tra cristallino (ant) e retina (post); massa gelatinosa con funzione di sostegno,
mantenimento, nutrimento.

• L’Umor Acqueo, che bagna camera anteriore e posteriore, è prodotto dai corpi ciliari
(strutture prevalentemente muscolari, che presentano i legamenti del cristallino per
l’accomodazione), che fanno parte dalla membrana intermedia a livello della camera
posteriore, passa nell’anteriore attraverso il foro della pupilla ed drenato nei sistemi
linfatici e venosi dal tessuto trabecolato, li presente a livello dell’angolo camerulare. Le
funzioni dell’umor acqueo sono: esercita una pressione sulle pareti del bulbo (mantenedone
la forma) e nutrire strutture come la cornea e il cristallino che sono avascolari e quindi le
sostanze disciolte nell’umore acqueo attraverso tutti i soliti meccanismi studiati penetrano
all’interno di queste strutture avascolari. Ovviamente il mantenimento di una pressione
stabile tra i 16 e massimo i 17 mmHg è frutto del perfetto equilibrio tra produzione ed
escrezione di umore acqueo. Se ne viene prodotto troppo o c’è un impedimento al deflusso
per una serie di motivi la pressione endoculare aumenta. Questa pressione può aumentare
fino al punto di danneggiare le sensibilissime fibre del nervo ottico. Quello che accade è
che si perde una porzione del campo visivoà cioè si hanno dei veri e propri scotomi cioè
delle zone del campo visivo che sono cieche. Un esempio di patologia che causa un
incremento della pressione intraoculare è il GLAUCOMA, che è una patologia
estremamente invalidante, perché spesso è asintomatica, ma quando si ha la comparsa dei
primi sintomi i danni già ci sono. Tra le concause di questa patologia che colpisce il nervo
ottico e poi le strutture e le cellule, retiniche c’è un aumento della pressione intraoculare.
Ci sono varie forme di glaucoma per esempio c’è una forma di glaucoma congenito, in cui
questa camera non si forma bene, è una malformazione, e quindi si ha un aumento della
pressione endoculare e si interviene chirurgicamente perché poi ci possono essere vari
danni.

Ricordiamo che fisiologicamente c’è una pressione all’esterno per mantenere il bulbo e le
membrane esterne oltre a esercitare una pressione riparano entro certi limiti da urti, botte,
insulti e traumi in genere. Esiste anche una pressione interna dovuta all’umore acqueo che
esercita questa pressione sulle pareti.
• Il corpo vitreo, presente in camera posteriore, è gelatinoso, trasparente e incolore. Esso ha
svariate funzioni: sostegno del bulbo, di protezione delle compressioni perché entro certi
limiti contrasta pressioni esterne al bulbo; una funzione ottica perché è trasparente e permette
il passaggio del raggio luminoso; una funzione nutritiva (alcune strutture come la cornea
infatti sono avascolari e quindi per il loro nutrimento dipendono dall’umore acqueo,
analogamente la retina è riccamente vascolarizzata ma il corpo vitreo costituisce un ulteriore
nutrimento per la retina stessa).

Membrane: Il bulbo oculare è delimitato da tre membrane o tuniche concentriche:


Tonaca fibrosa (o esterna) → cornea (ant.), sclera
(post.)
Þ La cornea è la prima lente del diottro oculareà è trasparente, priva di vasi e ricca di fibre
nervose sensitive (è molto sensibile agli stimoli dolorifici). È costituita prevalentemente
da fibre collagene disposte in maniera estremamente regolare. Superficialmente, l’epitelio
corneale, se danneggiato da graffi, rigenera piuttosto facilmente; i danni sono più gravi
quando la perforazione è più profonda.
Þ La sclera è opaca (non permette il passaggio della luca) e riccamente vascolarizzata. È
formata da fibre collagene con struttura a reticolo (disordinata). Essa, insieme ai liquidi
dell’occhio, contribuisce a mantenere la forma del bulbo in caso di sollecitazioni intense.
Presenta posteriormente la lamina cribrosa (attraversata da vasi e nervi).
Tonaca intermedia vascolare (uvea/coroide) → è delimitata da sclera (ext) e retina (int); ha un colore scuro
ed è riccamente pigmentata, vascolarizzata ed è ricca anche di tessuto muscolare. È costituita da tre
porzioni che, antero-posteriormente sono:
- Iride → è la parte colorata dell’occhio che delimita il foro pupillare. Ha due componenti
muscolari: muscolo sfintere e fibre radiali; dalla contrazione e decontrazione di questi
muscoli, a seconda della quantità di luce che deve raggiungere la retina, il foro pupillare si
allarga (midriasi) o si stringe (miosi).
- Corpi ciliari → composta dal muscolo ciliare e dai processi omonimi; il m ciliare è
responsabile del fenomeno dell’accomodazione, agendo sui legamenti del cristallino: esso è
infatti legato al muscolo ciliare permette l’aumento e la diminuzione della curvatura del
cristallino e la variazione di spessore, facendo convergere le immagini sulla retina.
- Coroide → contribuisce alla vascolarizzazione e al nutrimento della retina. La stessa retina è ricca
in vasi, terminazioni, capillari e così via, ma al nutrimento degli strati esterni retinici contribuisce
anche la rete di vasi della coroide;

ACCOMODAZIONE: L'accomodazione in oculistica, o processo accomodativo, è il meccanismo autonomo


dell'apparato visivo, attuato attraverso l'aumento della curvatura della superficie anteriore
del cristallino tramite il muscolo ciliare, che permette di creare sulla retina immagini a fuoco di oggetti posti a
distanza inferiore rispetto al punto remoto o infinito nella visione emmetrope. L’accomodazione avviene
grazie alla presenza del muscolo ciliare e delle fibre che legano il muscolo ciliare al cristallino. Con l’avanzare
degli anni, si perde l’elasticità, il cristallino accomoda di meno e a una certa età per vedere da vicino si indossa
la lente. È un fenomeno quasi fisiologico: il cristallino modifica meno la sua curvatura.
Il CRISTALLINO, che è la seconda lente del diottro oculare, è una struttura lenticolare posta tra iride e
corpo vitro; è avascolare, perciò il suo nutrimento dipende dall’umor acqueo. Si distinguono un polo anteriore,
uno posteriore ed una parte centrale, che è la più antica, tanto che fino ad una certa età le cellule continuano
ad andare incontro a proliferazione. La parte più interna del cristallino è il nucleo del cristallino formato da
fibre e non da cellule perché il cristallino si accresce per divisione cellulare; le cellule più vecchie restano nella
parte centrale ed assumono un aspetto nastriforme, mentre le cellule più giovani sono all’esterno. Il tutto è
racchiuso in una capsula. Il cristallino è privo di vasi sanguigni come la cornea ma è anche privo di terminazioni
nervose, a differenza della cornea.
Il mantenimento della trasparenza è fondamentale per la sua corretta funzionalità: infatti, quando colpito dai
raggi luminosi li devia leggermente: la curvatura di questo sistema di lenti è tale che l’immagine converga
sulla retina. Qualunque problema morfologico/patologico di questo sistema di lenti può alterare la visione. Se
l’immagine non cade a fuoco sulla retina si hanno disturbi della visione.
→ Con l’età il cristallino perde elasticità, quindi si fa fatica a mettere a fuoco da vicino, diciamo che è quasi
fisiologico che da una certa età in poi bisogna avere lenti da vicino per leggere. Questo è dovuto alla perdita
progressiva di accomodazione del cristallino. La cataratta può essere acquisita, senile, traumatica e congenita
(come il glaucoma che può essere presente dalla nascita).

Tonaca interna (o nervosa) → retina


Distinguiamo partendo dal polo posteriore al polo anteriore:
• Una retina deputata alla visione che è la retina ottica vera e propria che si trova anteriormente la parte
cieca.
• La parte cieca retinica è la parte che riveste i corpi ciliari e l’irideà Perché l’iride e i corpi ciliari non
sono solo coroide, l’uvea, ma nelle parti posteriori sono retina. Inoltre anche embriologicamente hanno
una certa affinità.
Nello specifico distinguiamo:
o Zona maculare: zona retinica in cui c’è la massima acuità visiva e dove sono presenti solo i
coni che sono responsabili della visione fine. Ricordiamo che esistono una serie di patologie
della macula legate e a problemi sistemici come diabete, aterosclerosi e altre malattie sia a
patologie proprio maculari per cui il paziente a una certa età comincia a vedere sempre meno.
o Papilla del nervo ottico (depressione): regione priva di coni e bastoncelli in cui convergono
tutte le fibre che provengono dalle varie regioni retiniche che andranno a formare il nervo
ottico che da qui fuoriesce
o Fovea: parte della macula; al suo interno c’è la foveola e una leggera escavazione del fondo
o Ora serrata: punto di partenza della parte cieca della retina (tra la cieca e quella deputata alla
visione)

Nell’esame del fondo è fondamentale esaminare la papilla e la macula, in particolare per quanto riguarda la
loro sedeà In un fondo vedete la papilla e la fovea al centro della regione maculare. Nell’esame di un campo
visivo la papilla del nervo ottico prende il nome di macchia cieca. Si tratta di uno SCOTOMA FISIOLOGICO.
Ciò significa che la papilla del nervo ottico è insensibile alla luce, quindi non può essere eccitata dai raggi
luminosi perché non sono presenti i coni e i bastoncelli.

L’esame del campo visivo è un test che consente di rappresentare graficamente la porzione di spazio che si è
in grado di vedere tenendo lo sguardo dritto in avanti; in altri termini è un metodo che serve a misurare la
visione dello spazio che circonda l’occhio. Si ricorda che il campo visivo viene distinto in binoculare (ciò che
è visibile con entrambi gli occhi) e monoculare (si fa riferimento a un solo occhio); i campi visivi monoculari
di tutti e due gli occhi si sovrappongono in modo parziale nella zona binoculare. L’esame del campo visivo è
un test fondamentale nella diagnosi e nella valutazione del glaucoma, ma può risultare di notevole utilità
anche nello studio di alcune patologie a carico di retina, nervo ottico e sistema nervoso centrale; talvolta può
essere utile anche nell’individuazione di alcuni tumori cerebrali. Il paziente deve appoggiare mente e fronte
a un’apposita struttura; l’occhio non esaminato viene coperto. Il paziente deve fissare un punto che si trova
al centro dello strumento e deve premere un apposito pulsante ogniqualvolta percepisce di fronte a sé uno
stimolo luminoso, anche se di scarsa intensità. È fondamentale non ricercare stimoli luminosi spostando lo
sguardo; l’attendibilità dell’esame del campo visivo risulta ridotta nel caso in cui si prema il pulsante senza
che vi si stato uno stimolo luminoso, se si perde spesso la fissazione e se si danno risposte differenti
relativamente alla medesima area. Il metodo sopradescritto è noto come perimetria e ha sostituito la
vecchia campimetria, metodica che prevedeva che gli stimoli luminosi venissero proiettati su una parete.

La retina è formata da più strati di cellule, ognuno con una funzione specifica, che va dalla percezione
dello stimolo luminoso alla sua trasformazione in un impulso che viene trasmesso al cervello attraverso il
nervo ottico.
L’epitelio retinico contiene coni (visione diurna, dei colori e dei dettagli) e bastoncelli (visione
crepuscolare). Gli strati più esterni, che vanno dai fotorecettori fino allo strato delle cellule ganglionari,
servono principalmente alla trasmissione del segnale percepito dai coni e bastoncelli fino alle fibre che
formano il nervo ottico. Quest’ultimo, poi, agisce come un cavo della corrente elettrica che porta il segnale
fino al cervello. Precisiamo che ci sono una serie di connessioni con altre cellule che sono di sostegno, di
nutrimento, servono ad amplificare ed inibire il segnale che sono le cellule amacrine, le cellule orizzontali
e così via.

ANNESSI OCULARI: Gli annessi sono una serie di strutture come i


muscoli extraoculari, le palpebre, la congiuntiva, l’apparato lacrimale, la
cavità orbitaria.
1. MUSCOLI EXTRAOCULARI: Lo sguardo è volto nelle varie
direzioni grazie ai muscoli oculo-estrinseci, volontari. Sono
sei e sono: 4 muscoli retti e 2 muscoli obliqui.
§ Retti: RS (III), RI (III), RM (III), RL (VI).
Sono importanti per i movimenti verso l’interno
(mediale), verso l’esterno (laterale), verso l’alto e
verso il basso. Ogni movimento ovviamente
avviene per l’azione sinergica sia dei muscoli
agonisti che di quelli antagonisti.
§ Obliqui: superiore (IV) e inferiore (III).
Sono responsabili dei movimenti di rotazione del
bulbo oculare nelle varie direzioni e ai
movimenti verso l’alto e verso il basso.

Dal corretto funzionamento di tutti questi muscoli ne deriva la NB. Il terzo nervo cranico o oculomotore,
visione corretta dell’ambiente circostante. Il movimento di un che innerva la maggior parte dei muscoli
extraoculari, è responsabile anche
singolo occhio prende il nome di “duzione”. Il movimento invece dell’innervazione dell’elevatore palpebrale,
di tutti e due gli occhi, se sono nella stessa direzione prende il muscolo localizzato sulle palpebre che ne
nome di “vergenze”, diversioni in direzioni opposte permette l’apertura e la chiusura.
“divergenze”. → Dunque un danno del terzo nervo
cranico determina notevoli danni ai
movimenti oculari.

I nervi cranici che innervano i muscoli extraoculari sono: III (oculomotore), IV (trocleare) e VI
(abducente). L’oculomotore o III è quello che innerva la maggior parte dei muscoli extraoculari ad
eccezione del VI che innerva il retto laterale e del IV che innerva l’obliquo superiore. Quindi quasi
tutti dall’oculomotore o III; fanno eccezione il retto laterale (innervato dal VI o abducente) e il IV (o
trocleare) che innerva l’obliquo superiore. L’oculomotore innerva anche l’elevatore palpebrale che è
quel muscolo responsabile dell’apertura e chiusura dell’occhio. Un altro muscolo è importante ed è
l’orbicolare delle palpebre, che è un muscolo che gira intorno all’occhio come uno sfintere. È innervato
dal VII nervo o facciale. I nuclei dei nervi cranici sono nel mesencefalo.
Qualunque patologia a carico dei muscoli extraoculari o dei nervi che innervano questi muscoli può
provocare anche alterazioni della visione. Tra le patologie che riguardano i muscoli extraoculari
abbiamo le varie forme di strabismo (a seconda della direzione, strabismi orizzontali e strabismi
verticali) per le quali si interviene chirurgicamente. Nello strabismo congenito, come anche nella
cataratta e nel glaucoma congeniti, cosa accade se uno dei due occhi ha un impedimento nella visione
corretta? Che le due retine non ricevono immagini identiche, cioè nei punti retinici corrispondenti non
ricevono immagini identiche. Le due immagini vengono poi trasmesse ai centri corticali superiori e se
le due immagini sono perfettamente sovrapponibili si ha il meccanismo della fusione e noi vediamo
una sola immagine; ma se le immagini non sono sovrapponibili, perché colpiscono punti retinici diversi
come per esempio nello strabismo monoculare, il cervello va in confusione e si può avere il fenomeno
della soppressione. Ciò significa che un occhio viene eliminato, e pure essendo sano dal punto di vista
della visione, se non si interviene in tempo si può perdere. Questo è il fenomeno dell’AMBLIOPIA, o
“occhio pigro”. Si parla spesso di “penalizzazione dell’occhio” quando si chiude l’occhio di un
bambino a una certa età e in certe condizioni si chiude l’occhio buono in modo che il cervello riceve
sempre e solo l’immagine dell’occhio peggioreàe siccome si impara a vedere non si rischia
l’ambliopia.
Negli adulti si parla spesso di DIPLOPIA o “visione doppia”. Può accadere per vari motivi: per una
paralisi di un muscolo, per un problema; quando non arrivano due immagini perfettamente simili e
speculari, si vede un’immagine doppia. Il cervello dell’adulto non sopprime, quello dei bambini
sopprime. Infatti il problema dell’ambliopia è che a volte il genitore non sa, non se ne accorge e il
bambino stesso non si accorge di sopprimere e di vedere con un solo occhio e quando fanno la visita
oculistica magari è troppo tardi. Il cervello quando è in una fase plastica si può rimediare, da una certa
età in poi l’occhio non si può rimediare. Tutte le patologie congenite, insorte nella tenerissima età,
possono provocare la perdita dell’occhio.
2. APPARATO LACRIMALE: L’apparato lacrimale è costituito da:
• Una serie di ghiandole di cui la ghiandola lacrimale principale è a livello
dell’angolo supero-temporale. Queste sono deputate alla produzione delle lacrime
che hanno azione trofica e protettiva. Il V (trigemino) innerva le ghiandole
lacrimali.
• Un sistema di distribuzione (palpebre)
• Uno di escrezione e drenaggio (nell’angolo mediale).
3. CONGIUNTIVA: La congiuntiva è una sottile membrana che riveste la superficie interna
delle palpebre: è riccamente vascolarizzata (in presenza di un processo patologico → occhio
rosso).
4. PALPEBRE: Le palpebre sono formazioni muscolo-fibrose che hanno funzione protettiva.
Parte della componente muscolare è data dall’elevatore palpebrale (III); a questo si aggiunge
una porzione del muscolo orbicolare (VII – facciale) e il muscolo di Muller (SNAs= catena
simpatica cervicale).
SEMEIOTICA CLINICA E STRUMENTALE DI INTERESSE OFTALMOLOGICO

ANAMNESI
Tipi di deficit visivo

Disturbi soggettivi
• Dolore → peribulbare, retrobulbare, oculare (sup e/o profondo), poco localizzato (tesione, peso cefalea);
• Fastidi oculari → prurito, senso di corpo estraneo, lacrimazione riflessa o continua.

Alterazioni oggettive macroscopiche


• Occhio rosso (associato o meno a dolore)
• Alerazioni della superficie oculare
• Asimmetria della dilatazione (anisocoria)
• Anomalie palpebrali → ptosi, edema, neoformazioni
• Alerazioni della posizione del bulbo oculare → esoftalmo, enoftalmo
• Secrezioni oculari

VISITA OTALMOLOGICA DI BASE

La visita oftalmologica è costituita da:


1. Esame della visione
2. Esame degli annessi
3. Esame del film lacrimale
4. Oftalmoscopia

1. Esame della visione


Lo scopo è la distinzione tra deficit visivo di tipo refrattivo e deficit visivo da anomalie delle vie ottiche di altro tipo;
non può prescindere dalla valutazione di acuità visiva, sensibilità al contrasto, visione dei colori, adattamento al buio,
percezione del movimento ed esame del campo visivo.
Test della visione centrale
Si utilizzano tavole ottotipiche, che mostrano caratteri di dimensioni via via più piccole, posizionate ad una distanza di
5m, alla quale i raggi giungono all’occhio paralleli per abolizione dello stimolo accomodativo.
Þ Per acuità visiva si intende la capacità dell’occhio di discriminare dettagli più piccoli di un carattere ad una
determinata distanza; viene misurata quella naturale (senza l’uso di correzione refrattive) e corretta;
quest’ultima rappresenta l’indice più significativo della funzione visiva centrale.
Þ Foro stenopeico → lente di prova opaca con un piccolo foro al centro: fa sì che solo i raggi allineati e a fuoco
raggiungano la retina, escludendo quelli periferici sfocati dal vizio di refrazioni; consente di discriminare un
deficit visivo refrattivo da uno trasmissivo.
Visus da vicino: Viene valutato facendo leggere al pz caratteri di dimensioni progressivamente più piccole, riportate su un
ottotipo a distanza di 35cm.
Griglia di Amsler (quadrato 10x10 diviso in 400 quadrati)
Usata per valutare i 20° centrali del capo visivo; è il test più usato per indagare la funzione maculare. La griglia viene
mostrata ad un occhio per volta (a 30cm); mentre fissa un punto posto al centro, il pz dovra verificare se le linee della
griglia sono dritte (assenza di metamorfopsie) e se vi sono porzioni della grigia non visibili (scotomi).
Test della visione a colori (test di Ishihara ndr domanda scritto)
Sono utilizzate tavole pseudoisocromatiche, che presentano dei patterns elementari (numeri o figure geometriche)
formate da colori primari isocromatiche immerse in uno sfondo composto da un mosaico di macchie di colori
secondari → i pz con deficit della visione dei colori non possono vedere i patterns e vedono solo lo sfondo colorato.
Test della sensibilità al contrasto
Si utilizzano schede prestampate, mostrate al pz in condizioni standardizzate di luce, su cui vengono riportate linee
scure parallele orientate in maniera diversa su uno sfondo più chiaro. Poiché il contrasto tra linee e sfondo varia, la
sensibilità al contrasto verrà misurata in base a quante linee saranno individuate dal pz.
Adattamento al buio
Il soggetto viene lasciato al buio per 30’ e successivamente viene mostrata una mira a bassa luminosità all’occhio da
testare. Si può quindi misurare una curva di adattamento al buio, misurando il tempo necessario al soggetto per
individuare uno stimolo.

2. Esami degli annessi


Tonometria
Valutazione indiretta della Pressione intraoculare (normalmente 14-18mmHg) → per la valutazione diretta, servirebbe
un ago dentro l’occhio (invasivo). I tonometri possono essere:
- Contact: ad appiattimento (valutazione della forza necessaria per appiattire la superficie corneale) e ad
indentazione (applicazione di piccoli pesi);
- No contact: a soffio (un soffio appiattisce l’apice corneale); meno precisa, ma non invasiva e per questo usata
come screening.
Il valore rilevato può essere influenzato da:
§ Curvatura corneale
§ Spessore corneale (normalmente è circa 550 µm, quando esso scende si verifica una sottostima della
P.intraoculare e viceversa)
Alla Tonometria vanno affiancati Pachimetri (per lo spessore) e Topografi (per la curvatura)

4. Oftalmoscopia (esame del fondo oculare)


Il globo oculare è fatto in modo che tutti i raggi che entrano nell’occhio ritornano verso la sorgente luminosa.
Per osservare il fondo oculare, è necessario che ci sia una fonte luminosa al centro degli occhi dell’operatore; questi
fasci luminosi entrano negli occhi del pz e ritornano verso la sorgente luminosa (posta vicino agli occhi dell’operatore)
→ in questo modo si osserva il campo pupillare illuminato.
Se il fondo oculare presenta delle irregolarità, allora i raggi luminosi fuoriescono dal proprio occhio in tutte le direzioni
e si osserva il processo della Leucocoria (nei neonati, può indicare patologie congenite o un retinoblastoma).
Tipi di oftalmoscopia:
§ Diretta = dà grosse informazioni a seconda di dove sia diretta l’osservazione (polo posteriore, periferia retinicaà
importante la sua valutazione per la diagnosi di retinopatia del prematuro)
§ Indiretta = una lente positiva convessa è posta tra osservatore e pz

ESAMI SPECIFICI
Oftalmometria, Cheratometria
L’oftalmometro è fondamentale per la valutazione del segmento anteriore dell’apparato oculare e soprattutto della
curvatura corneale, in particolare all’apice.
Ci informa se la superficie oculare è simmetrica, se c’è Astigmatismo (regolare o irregolare), permette di valutare se
c’è un Vizio di rifrazione (secondo regola o contro regola) e se c’è Cheratocono.
N.B. Astigmatismo = differenza tra i due meridiani principali corneali (in teoria dovrebbero avere la stessa curvatura o
al massimo differenziarsi per mezza diottria all’apice corneale).
È irregolare se cambia la curvatura della cornea in base alla porzione analizzata.
Topografia
Le indagini precedenti ci informano sulla curvatura dell’apice corneale, questa invece ci informa sull’andamento di
tutta la curva corneale. Ancora, grazie alla topografia andiamo a valutare non solo la superficie corneale ma anche la
faccia interna della cornea (informazioni fondamentali quando va eseguita una chirurgia refrattiva).
Esame Biomicroscopico/lampada a fessura
Ci dà informazioni su cornea, camera anteriore, cristallino, retina (soprattutto polo posteriore), coroide
e sclera (laddove sia evidente, es. miopia, dove l’occhio è più grosso del normale; N.B. ogni 3
diottrie/1mm in più nell’asse anteroposteriore).
Con la lampada a fessura abbiamo questo fascio che incide sulla cornea: una parte è riflessa e una rifratta.
Esaminiamo per illuminazione diretta, indiretta, retroilluminazione tutte le strutture di nostro interesse
spostando una sorta di microscopio; è anche possibile allargare la fessura e vedere tutto il campo.

Esame del campo visivo → Valutazione del glaucoma e di eventuali alterazioni cerebrali ischemiche

Tomografia corneale / Pentacam


Informazioni dirette automatiche sulla superficie anteriore e posteriore della cornea e sul cristallino,
valutando anche la densità corneale, quindi lo spessore.

Ultrasuoni / Ecografia oculare


Utilizzati moltissimo in ambito oculistico in A-Scan e B-Scan per valutare quando c’è una cataratta ed il
fondo oculare non si vede. Permettono anche il calcolo dell’asse antero-posteriore.

Fluorangiografia retinica
La fluorangiografia retinica (FAG) è una tecnica importantissima per diverse malattie vascolari retiniche
come la retinopatia diabetica: infatti la tecnica evidenzia alterazioni degenerative, vascolari e
neovascolari del fondo oculare. L’angiografia è una ripresa fotografica del fondo oculare (che un tempo
veniva fatto con il rollino), successiva all’iniezione in vena di un colorante che è la fluoresceina (pH>6),
una sostanza capace, se illuminata con luce particolare, di emettere a sua volta fluorescenza; il suo spettro
di assorbimento è quello della luce visibile. Il colorante ha delle proprietà chimiche tali che gli
permettono di essere disciolto in soluzioni alcaline; la sua fluorescenza non è legata alla concentrazione
di colorante, quindi se se ne mettete di più questa non cambia. In pratica clinica non viene iniettata in
forma pura ma alla concentrazione di 10-20%, con una quantità che varia tra 1 e 5 cc. Una volta iniettata
si lega alle proteine del plasma e viene in seguito eliminata tramite il fegato e i reni in circa 24h. Quando
il paziente effettua quest’esame la cute assumerà un particolare colorito scuro e anche l’urina si colora di
marrone.

Ndr da domanda scritto: la fluorescina si usa in concentrazione di 10-20%

NB: Dal punto di vista della legge italiana c’è un netta differenza fra mezzo di contrasto e colorante che
consiste nella presenza di Iodio nei primi e la loro assenza nei secondi. Per la presenza di Iodio, i MdC
possono essere allergizzanti, per tale ragione la legge italiana “in maniera abbastanza confusa” afferma
che nella struttura in cui si esegue l’esame col mezzo di contrasto, dev’essere presente un anestesista e
rianimatore, mentre per i coloranti non ce n’è bisogno.

Il paziente viene fatto distendere, la testa deve essere bloccata e le pupille iperdilatate, una serie di specchi
permettono di direzionare la luce proprio all’interno delle pupille del paziente.
La luce emessa segue questo percorso:
• Filtro d’eccitazione che rende la luce di colore blu.
• La luce blu illumina il fondo oculare e rende la fluoresceina visibile
• La luce emessa dalla fluoresceina incontra il filtro d’arresto che lascerà passare solo alcune
lunghezze di luce che andranno ad impressionare la pellicola (cioè a creare l’immagine).

Lo strumento è fatto in modo tale da permettere di inclinare il fascio di luce ed illuminare zone periferiche
del fondo oculare a seconda delle necessità, così da riuscire a fotografare tutta la retina. Inoltre sarà
possibile fare delle fotografie di diversi formati, dal panoramico, 50°,10° per avere fotografie più
dettagliate oppure che comprendono più porzioni di retina. Esistono diversi tipi di obiettivi delle macchine
fotografiche (es: 1:1, a grand angolo, teleobiettivi) per cui c’è la possibilità di fotografare sia una grossa
parte del fondo oculare (circa il 60%), sia una piccola. Oggi il tutto è anche collegato a dei computer e dei
database. La macchina è collegata a due monitor, sul primo seguiamo l’immagine in tempo reale sul
secondo vanno ad impressionarsi gli scatti che facciamo.
Fondo oculare: Il polo posteriore dell’occhio comprende: il disco
ottico, la macula e i vasi arcuati che si portano intorno la macula. Tutto
la restante parte della retina viene considerata periferia dell’occhio
divisa a sua volta in: media periferia ed estrema periferia, separate
dell’equatore della retina. Malattie che possono interessare le zone
periferiche sono ad esempio le fasi iniziali di distacco della retina,
mentre la maggior parte delle malattie interessa la regione centrale,
ovvero il polo posteriore e queste sono le più importanti perché un
danno centrale si traduce in una riduzione dell’acuità visiva.
Una caratteristica importante che ci permette di distinguere le porzioni
al di là ed al di qua dell’equatore è la visibilità dei vasi della coroide.
Di norma fra retina e coroide si frappone lo strato pigmentato, il quale
verso la periferia si fa sempre più rarefatto esponendo i vasi della
coroide. I vasi della coroide hanno delle vene dette vorticose e questo
cerchio dell’equatore si va passare per queste vene perciò se io guardo
il fondo dell’occhio di un paziente, quando vedo la vena vorticosa so
che sto all’equatore.

Sul fondo oculare appariranno la testa del nervo ottico, cioè il disco
ottico, e sulla sinistra la regione maculare (e la fovea), cioè la zona deputata alla visione.

Su un fondo oculare normale è possibile evidenziare con facilità i contorni netti del disco ottico (Il disco
ottico ha le dimensioni di 1-1,5mm). Questo ha un colore arancione, un po’ roseo, che tuttavia ci appare
biancastro per l’utilizzo del flash prima dello scatto (per tale ragione il colore differisce da quello che si
vede oftalmoscopicamente). La retina ha un colore bianco/grigio e ha uno spesso che è circa 200micron,
quindi un quinto di un millimetro, appare di colorito roseo perché sotto la retina c’è la coroide, che è una
specie di spugna piena di vasi in cui passa il sangue. Per cui il colore rosso intenso della coroide, traspare
attraverso la sottile retina. Questo è importante da ricordare, dal momento che durante il distacco di retina
questa appare proprio di colorito grigio per il
distacco dalla sottostante coroide. La regione
maculare si trova nella zona temporale retinica,
tuttavia senza punti di riferimento all’osservazione
di una foto simile, non sarebbe possibile
determinare se si tratti dell’occhio sinistro o destro.
Per tale ragione sono stati studiati delle convenzioni
(il professore parla nel caso specifico di quella della
Canon) che posizionano dei punti di riferimento che
ci permettono di discernere fra i due fondi ocularià
per capire se si sta guardando l’occhio destro o il
sinistro bisogna notare la posizione della macula à
la macula appare sempre situata temporalmente al
disco ottico (cioè nell’occhio sinistro si trova a
destra).
I vasi hanno un caratteristico decorso: originano a
partire dal disco ottico, dopodiché assumono un aspetto “ad arcata” che si porta intorno la regione maculare. I
vasi hanno una doppia morfologia: osserveremo vasi più grandi e scuri e vasi più piccoli e chiari, le prime vene
e le secondo arterie, in un rapporto di 3 a 1. Quindi a partire da disco ottico avremo un’arteria e una vena
centrale della retina che si dividono per andare ad irrorare e drenare tutto il fondo oculare con un decorso che
circonda la regione maculare. La zona maculare è ricca di capillari e presenta al centro una piccolissima parte
che appare un po’ più scura (la fovea) di circa 500micron che non è vascolarizzata.
Fasi della FAG: Si inietta il colorante (vene del gomito o quelle della mano) e dopo pochi secondi (10-15 sec)
arriva nella circolazione dell’occhio (giovane circa 10; anziano circa 25, in alcune patologie, come diabete 20-
30 sec, in altre come l’arteriosclerosi, anche fino ad un minuto). Generalmente si dice che esiste un tempo
“braccio-retina, cioè un tempo in cui una volta iniettato un colorante, esso arriva nella retina. Nella
fluorangiografia si fa una prima foto in cui i vasi appariranno scuri, perché il colorante non è stato ancora
iniettato e si usa un filtro verde per evidenziare bene i vasi. Dopodichè cominciano le cinque fasi:
1. Fase coroideale: La coroide è uno strato della retina ricco di sangue,
quasi una spugna e il fondo dell’occhio appare arancione proprio per
la presenza della coroide, mentre la retina in sé ha un colorito bianco
grigio.

Si iniettano i grossi vasi coroideali profondi rispetto ai quali i vasi


retinici, non ancora iniettati, appaiono scuri. La parte centrale della
macula non presenta alcuna fluorescenza. Bisogna sapere che dal
punto di vista fisiologico un 10% della popolazione ha dei vasi
chiamati cilioretinici, che partono dal disco ottico, portano sangue
alla retina, però hanno provenienza coroidale. Questi vasi si
iniettano quando si inietta la coroide.

Tra la fase coroideale e la fase arteriosa è pochissimo il tempo, per


cui all’inizio si fanno fotografie una dietro l’altro in modo da
accorgersi se funziona tutta l’irrorazione dei vasi.

2. Fase arteriosa iniziale: è ben visibile la


fluorescenza di fondo della coroide dovuta al
riempimento della cariocapillare. I vasi arteriosi si
iniettano di colorante, ma i capillari intorno alla
macula non sono ancora iniettati.

3. Fase artero-venosa: il colorante inizia a comparire nei capillari


e nelle venule. Il vaso venoso però non è riempito
completamente: c’è un flusso laminare, scorre prima lungo i
bordi e poi verso il centro. La zona maculare appare grigio scuro
per la presenza di un epitelio pigmentato molto spesso che non
ne permette la visualizzazione col colorante e per la presenza di
xantofillina.
4. Fase venosa: in cui tutte le vene sono riempite e in
cui si vede meglio la circolazione capillare a livello
maculare, si vedono bene tutti i vasi. Si evidenzia bene
la rete di capillari attorno alla fovea.

5. Fase tissutale: dopo 20 minuti si parla di fasi tardive in cui il


colorante tende ad uscire dai vasi. Compaiono delle chiazze bianche
perché la coroide, che si era riempita di colorante, ha difficoltà a
svuotarsi completamente. Queste sono le fasi in cui si fanno
fotografie del fondo a circa 60° e si può vedere il disco ottico con la
fluoresceina nei vasi e la zona maculare che appare scura. Se
facciamo un ingrandimento maggiore e quindi a 30° si fotografa
soltanto il centro. Oggi si fanno più fotografie di diverse zone della
retina e poi il software le riunisce per avere immagini più grandi e
complete.
Da notare è che il colorante appare bianco nelle immagini, per
cui, ad esempio, se c’è un vaso lesionato, il colorante uscirà da
esso e saranno visibili delle chiazze bianche

Quando parleremo della retinopatia ipertensiva osserveremo variazioni della morfologia dei vasi arteriosi e
cambiamenti negli “incroci”, cioè i punti di sovrapposizione di arterie e vene, dove la pressione esercitata
dal vaso arterioso finisce per l’occludere il vaso venoso. Questo fenomeno può portare all’innesco di
pericolose trombosi oculari e cerebrali.

Questo è un esempio di retinopatia diabetico si possono notare delle


alterazioni tipiche fra cui l’aumento di calibro dei vasi venosi e il disco
ottico di aspetto bianco, in cui si vede il punto di emergenza dei vasi.
Questa si chiama escavazione, che di norma è fisiologica, o meglio la
sua profondità può molto variare fra un individuo e l’altro. Risulta
inoltre particolarmente evidente nel glaucoma.

Angiografia con verde d’indocianina:


Il verde di indocianina ha delle differenze notevoli con la fluoresceina perché è fluorescente nello spettro
dell’infrarosso, quindi 760-800 nm (prima era 600). È utile spesso fare un’angiografia dinamica, cioè fare
dei filmati. Ci sono due preparazioni del verde di indocianina, una con lo iodio (mdc) e l’altra senza
(colorante); il più utilizzato è il secondo. Le indicazioni sono per studio delle patologie della coroide
(alterazione maculare senile, infiammazione e tumori).
La differenza fondamentale con la FAG è che il verde di indocianina non esce dai vasi della coroide
perché ha un legame farmacoproteico di 98 per cui non filtra le fenestrature della coriocapillare à studio
della circolazione coroidale e della neovascolarizzazione sottoretinica: i vasi della coroide normalmente
non si vedono perché
l’epitelio pigmentato li copre,
ma con l’utilizzo dello spettro
infrarosso l’epitelio
pigmentato viene superato e i
vasi evidenziati. NB: nei
soggetti miopici l’epitelio è
molto assottigliato quindi i
vasi della coroide potrebbero
già evidenziarsi.
Ndr molto utile per i vasi occulti della DMLE.

Effetti collaterali dell’utilizzo della fluoresceina e del verde di indocianina


Gli effetti collaterali generalmente si limitano a nausea, vomito, vertigini (effetti vagali, nel 5-10%).
Sono rarissimi i pazienti allergici al verde di indocianina, mentre con la fluorescina sono relativamente
più frequenti.
Altri effetti collaterali sono: prurito, orticaria, eritemi, rari casi di shock anafilattico
vero e proprio. In gravidanza il suo utilizzo definisce una controindicazione relativa.

Prima dell’esame:
• Verificare l’azotemia, la creatininemia e il quadro proteico (controindicazione: proteinuria di
Bence-jones).
• ECG.
• Valutare la glicemia (se superiore ai 250 non si può effettuare l’esame).
• Anamnesi farmacologica per verificare eventuali allergie ai farmaci: i pz generalmente se
sono allergici ad aspirina, antibiotici, anestetici (tra i farmaci più allergizzanti) lo sono
anche al colorante.
• Si fa assumere cortisone la sera e la mattina prima dell’esame se il paziente riporta di avere delle
allergie. Se invece ci sono state già reazione di sensibilità proprio durante l’angiografia (anche
semplicemente prurito), non si fa e basta, perché la seconda reazione potrebbe essere molto più
grave.

Ipo/iperfluorescenze
Ci sono casi patologici di ipo o iperfluorescenze.
Ipofluoroscenze à nella retinopatia diabetica c’è una chiusura dei vasi, sia capillari che più grandi, quindi
nell’immagine vedremo delle zone scure. L’emorragia, che se pur costituita da sangue è esterna ai vasi, non si colora
ma appare nera.
Iperfluorescenzeà c’è la fuoriuscita del colorante dai vasi; questo accade sempre nel diabetico, dove dai vasi lesionati
esce sangue e man mano le chiazze piccole si uniranno in una chiazza più grande.

Tomografia ottica computerizzata, OCT


OCT è una metodica di imaging retinico non invasiva, non a contatto; permette l’analisi in vivo del
tessuto retinico, del nervo ottico e del corpo vitreo e permette scansioni del segmento anteriore. In
generale con l’OCT si possono studiare quasi tutte le patologie della retina. La tecnica si basa sul grado
di assorbimento o di dispersione di una luce che attraversa un tessutoà Lo strumento misura, in unità
di tempo, la differenza nella fase delle onde di ritorno dei due percorsi (endoculare e di riferimento).
All’OCT è possibile quindi distinguere il segmento esterno da quello interno, la fovea, lo spessore
della retina, che normalmente è di 250 micron, e tutti gli strati da cui è composta. Inizialmente i primi
apparecchi, siccome i vari strati avevano una riflessione diversa, davano colori diversi, oggi invece il
colore è stato abbandonato e si fa il bianco e nero. Con le apparecchiature più moderne non solo ci
permettono di distinguere i vari strati ma ci permettono anche di visualizzare i fotorecettori e altri
elementi più specifici.

→ Un edema appare come una zona di aumentato spessore della retina, a volte fino ai 1000.
→ Nell’ambito di un’atrofia ci permette proprio di vedere quali sono gli strati interessati.

Indicazioni:
§ Diagnosi di patologie maculari
§ Patologie della coroide
§ Monitoraggio della progressione della patologia indagata e della risposta al trattamento eseguito
§ DD patologie retiniche
§ Analisi della testa del nervo ottico e dello spessore delle fibre nervose retiniche

Al momento la cosa interessante è che hanno riunito in un solo apparecchio (cosa che prima facevano due
apparecchi diversi) la fluorangiografia, l'indocianina, l'OCT, e un nuovo tipo di OCT (OCT-A). Questo
apparecchio poi oggi serve anche ad un'altra cosa cioè serve a studiare il nervo ottico e in particolare il
glaucoma. Se con l’apparecchio durante l'angiografia si nota la presenza di liquido bianco che è fuoriuscito da
una zona si può procedere con l'OCT per andare a vedere se dove c'è il liquido bianco ci sta dell'edema. Per
cui posso sovrapporre l'OCT all'angiografia; questo perché se faccio solo l'OCT l'edema può stare ovunque e
me lo devo andare a cercare, invece se faccio anche l'angiografia e vedo già dov'è l'edema e faccio la scansione
in quella zona direttamente velocizzo di molto i tempi e lo faccio anche meglio. Questo apparecchio che è un
apparecchio straordinario fa anche altre cose perché utilizza oggi una tecnologia che si chiama multicolor.

OCT multicolor: ci sono tre raggi che fotografano tre livelli della retina (interno, centro, esterno). Succede
che siccome sono colori differenti, quando praticamente c'è un edema a livello del centro della retina (cioè un
edema intraretinico) comparirà se è al centro con una prevalenza di colore verde, se al contrario comparirà un
colore sul bianco allora ci troviamo a livello degli strati interni della retina (cioè a livello delle fibre nervose),
se è una cosa che comparirà negli strati profondi della retina ha un colore che va sul rosso.
Poi ad esempio possiamo andare a valutare lo spessore della retina in termini quantitativi usando vari filtri e
anche i colori e quindi capire dove e quanto la retina risulta ispessita (normale sui 230 in alcuni casi può
arrivare oltre i 500 micron di spessore). Ancora esempio di edema cistoide dove la retina arriva a quasi 700
micron di spessore.

Oftalmoscopia a scansione laser È una tecnica in cui un raggio laser sul fono oculare lo scannerizza in un
decimo di secondo. Permette di fare una foto e quindi angiografia e permette anche di tagliare e quindi oct,
quindi è una tecnica che ti consente di vedere tutte e due contemporaneamente.
LA PUPILLA
La pupilla è il forame da dove entrano le stimolazioni per sollecitare la retina. L’integrità di questa struttura è
importante, anche se è una struttura virtuale.
Essa è costituita da un foro circolare delimitato dall’iride.
Il diametro pupillare generalmente è uguale in ambedue gli occhi: in questo caso le pupille si dicono isocoriche.
Se invece le pupille non hanno lo stesso diametro, allora dobbiamo descriverle come pupille anisocoriche, cioè non
uguali.
La pupilla può variare di diametro sia fisiologicamente che patologicamente. Ad esempio, si denota un aumento del
diametro pupillare nell’attacco acuto di glaucoma, oppure una riduzione del diametro pupillare nelle iridocicliti, oppure
ancora un’alterazione del diametro pupillare in caso di aderenze del cristallino che vanno ad alterare l’orletto pupillare.
Inoltre, è possibile farmacologicamente variare il diametro pupillare. E ciò è utile prima di tutto dal punto di vista
diagnostico, ma anche terapeutico.
Il Riflesso Fotomotore (MIOSI)
In condizioni fisiologiche, un fotone eccita il fotorecettore retinico e la pupilla come risposta si restringe: va incontro a
MIOSI. È Importante conoscere la via afferente e la via efferente di questo riflesso pupillare.
Il riflesso pupillare fotomotore è un riflesso che controlla il diametro pupillare in risposta ad un’intensità di
luce. Questo è un riflesso importantissimo, perché se la pupilla si restringe, la deduzione è che questa persona che
stiamo valutando presenta una funzionalità della via visiva e delle strutture che la vanno a comporre.
In condizioni normali le pupille di entrambi gli occhi rispondono in maniera identica allo stimolo luminoso
indipendentemente dall’occhio stimolato. Infatti la luce di ingresso in un occhio produce costrizione sia della pupilla
dello stesso occhio, sia della pupilla dell’occhio controlaterale. Questo riflesso si chiama riflesso fotomotore
consensuale ed è molto importante perché ci indica che la via visiva è integra.
La via afferente visiva è costituita dal nervo ottico, mentre la componente efferente del riflesso è data dal nervo oculomotore,
che innerva, con la sua componente parasimpatica, il muscolo costrittore della pupilla.
o Via afferente: nervo ottico
o Via efferente: nervo oculomotore, via parasimpatica
La miosi, quindi, avviene grazie all’attivazione di una serie di nuclei e ha come azione finale la stimolazione del
muscolo costrittore della pupilla:
1) La retina à [Quando un raggio di luce eccita un fotorecettore si innesca un meccanismo biochimico di
fototrasduzione retinica: il raggio di luce attraversa tutta la retina, che è formata da dieci strati (e quello dei
fotorecettori è quello più esterno, più a contatto con la corolla) ed eccita le cellule gangliari, messe di lato per
far sì che la luce vi arrivi immediatamente.]
2) Nucleo Pre-tettale del mesencefalo
3) Nucleo di Edinger-Westphal à [nucleo mesencefalico, che ha forma di farfalla. Si trova all’interno del nucleo
oculomotore comune. È caratterizzato dalla presenza di fibre internucleari che assicurano che lo stimolo giunto
da una retina stimoli entrambi i nuclei.] Da qui emergono le fibre pre-gangliari parasimpatiche.
4) Ganglio Ciliare à [si trova all’interno dell’orbita] Da qui emergono le fibre post-gangliari parasimpatiche.

Le fibre post-gangliari sono conosciute come fibre CILIARI BREVI. Queste fibre, assieme al contingente di
fibre che innerva il muscolo obliquo inferiore, giungono al globo oculare e vanno ad innervare il muscolo
costrittore della pupilla (o dell’iride).
La MIDRIASI, invece, è dovuta all’azione del muscolo dilatatore della pupilla.
Ne è responsabile il sistema orto-simpatico e la via è completamente diversa, comprendendo comunque una serie di
nuclei nel percorso:
1) La Retina à [in questo caso lo stimolo è dato da assenza di illuminazione retinica] [questo step può essere
anche bypassato, in quanto esistono molti stimoli che possono causare dilatazione pupillare, senza passare
dall’assenza di luce: emozioni, ormoni, ansia]
2) Ipotalamo à [è qui che arrivano gli stimoli emotivi, quando la retina è bypassata]
3) Lamina 7 del midollo spinale (centro ciliospinale)
Le fibre pre-gangliari che escono dal midollo, si dirigono a livello paravertebrale, verso la catena del
simpatico paravertebrale.
4) Ganglio cervicale superiore del simpatico
Le fibre post-gangliari escono dal ganglio e si dirigono, insieme all’arteria carotide interna, a livello
intracranico, formando il PLESSO PERI-CAROTIDEO; una volta a livello intracranico le fibre viaggiano con
il nervo trigemino (V) fino al GANGLIO DI GASSER, all’interno della piramide del temporale, dove però non
si arrestano, per poi continuare con le fibre della branca oftalmica del trigemino fino al GANGLIO CILIARE,
ancora senza sosta alcuna. Per analogia con le fibre ciliari brevi, a causa del mancato arresto nel ganglio, queste
si denominano fibre CILIARI LUNGHE. Esse innervano il muscolo dilatatore della pupilla.
Farmacologia della pupilla
Farmacologicamente possiamo modificare il diametro pupillare semplicemente agendo sui muscoli costrittore della
pupilla e dilatatore della pupilla. Questi due muscoli sono involontari, quindi io non li posso influenzare
volontariamente, ma solo farmacologicamente.
FARMACI MIDRIATICI
• PARASIMPATICOLITICI, anticolinergici:
o Atropina
Istillata nell’occhio di un soggetto, crea un aumento del diametro pupillare duraturo nel tempo, di
almeno 7-8 gg, inoltre essa causa anche cicloplegia, bloccando il muscolo ciliare.
Quindi devo avere necessità di usarla! Se devo tenere la pupilla dilatata solo per poche ore,
somministriamo un farmaco atropino-simile, che ha lo stesso effetto ma che è meno duraturo nel
tempo.
à Ho necessità di usare l’atropina quando
1) ho bisogno di tenere dilatata la pupilla per molto tempo, come in una uveite recidivante,
2) per motivi diagnostici nei vizi rifrattivi nei bambini, poiché questi hanno un’accomodazione
molto accentuata che tende a miopizzare l’occhio, aumentando il raggio di curvatura del
cristallino. In questi casi, per evitare di effettuare una diagnosi erronea, miopia invece di
ipermetropia, devo bloccare l’accomodazione provocandogli quindi una cicloplegia.
o Atropino-simili (ciclopentolato, tropicamide)
Infatti, per motivi diagnostici, se devo effettuare un esame di un fondo oculare, mi basta la
tropicamide, un parasimpaticolitico che mi aumenta il diametro pupillare senza creare un effetto
duraturo come l’atropina. La tropicamide mi dura 3-4 h e così la pupilla ritorna allo stato precedente
dopo circa 3h.

• SIMPATICOMIMETICI:
o Azione diretta: fenilefrina, epinefrina, efedrina
o Azione indiretta: cocaina, idrossiamfetamina
Altri farmaci che mi aumentano il diametro pupillare sono sicuramente quelli che hanno un’azione diretta sul simpatico:
i farmaci adrenalinosimili, come la fenilefrina, l’epinefrina, l’efedrina, o quelli ad azione indiretta, come la cocaina,
che dilata la pupilla ma non con la stessa efficacia di un farmaco ad azione diretta.

FARMACI MIOTICI
• Parasimpaticomimetici:
o Diretti: acetilcolina, pilocarpina
Per quanto riguarda la acetilcolina, anche se essa mi dà una riduzione del diametro pupillare di una
certa importanza, non si adopera perché viene metabolizzata rapidamente dalle colinesterasi a livello
della giunzione neuromuscolare. Quando si operava la cataratta in passato, l’acetilcolina era utile
perché subito dopo aver rimosso il cristallino in toto con la pupilla dilatata si aveva la necessità di
restringere istantaneamente la pupilla, per poi mettere i punti. Chiaramente l’unico farmaco che ci dava
una costrizione veloce era proprio l’acetilcolina e quel poco tempo d’azione bastava per restringere la
pupilla e mettere i punti. L’acetilcolina oggi si utilizza in pochi casi, come nelle aderenze tra iride e
cristallino: restringendo la pupilla si cerca di far staccare iride e cristallino (es. in uveiti ant).
Farmaco un po’ più duraturo nel tempo, è la pilocarpina perché, in quanto analogo, non viene
metabolizzato dalla colinesterasi. Anche se oggi la pilocarpina ha perso importanza, essa serve ancora
nel glaucoma ad angolo chiuso, perché restringendo il diametro pupillare, la radice dell’iride viene
avanti e libera l’angolo da ingorghi o speroni, facendo defluire più rapidamente l’umor acqueo dalla
camera anteriore. Questo farmaco si usa sempre di meno, però, perché adesso si preferisce agire con
dei farmaci che riducono la produzione di umor acqueo, come per esempio i beta-bloccanti, gli inibitori
dell’anidrasi carbonica o dei farmaci che mi creano un’ipotonia agendo direttamente “come stato
infiammatorio del corpo ciliare”.
o Indiretti: bloccanti delle colinesterasi (fisostigmina / eserina)
• Simpaticolitici
I simpaticolitici sono poco adoperati nella pratica clinica perché non hanno un tempo di durata lungo e una
commercializzazione valida.

ANOMALIE DELLA PUPILLA


Anomalie statiche della pupilla
o Anisocoria (pupille diverse)
o Miosi (entrambe le pupille hanno un diametro ridotto, come nella triade di Hutchinson nella sifilide)
o Midriasi (entrambe le pupille hanno un diametro aumentato, come nell’amaurosi).

Anomalie dimaniche della pupilla


o Areflessia amaurotica
o Areflessia paralitica
o Pupilla di Argyll-Robertson
o Pupilla tonica di Adie
o Fenomeno pupillare di Marcus-Gunn
ARIFLESSIA AMAUROTICA: In caso di amaurosi da danno totale delle cellule gangliari retiniche, da sezione del
nervo ottico, da trauma cranico in cui si è avuta una frattura a livello del canale ottico provocando una sezione del
nervo ottico, che cosa succede a questo soggetto quando lo vado ad illuminare? Non si restringe né la pupilla
direttamente illuminata, né la pupilla controlaterale.
AREFLESSIA PARALITICA: in questo caso il paziente vede ma ha una paralisi a carico del muscolo costrittore
della pupilla, e quindi una paralisi del 3° paio di nervi cranici: il soggetto presenta un corteo di sintomi collegato ad
una paralisi di tutto il 3° paio di nervi cranici: non adduce, quando lo osservo noto che l’occhio va verso l’esterno
ha quindi un eccesso dell’abduzione (per prevalente azione del nervo abducente), presenta ptosi palpebrale per
coinvolgimento del muscolo elevatore della palpebra, midriasi.

PUPILLA DI ARGYLL- ROBERTSON: oggi si osservano molto raramente poiché sono associate a sifilide; è una
condizione molto caratteristica. Vi è, infatti, abolizione del riflesso miotico alla luce ma non alla convergenza ed alla
accomodazione. Quindi se il paziente sta leggendo da vicino ed accomoda avrà miosi ma se lo illumino no.

PUPILLA TONICA DI ADIE: è una patologia molto specialistica ma talvolta si riscontrano soggetti che hanno una
MEDIA MIDRIASI CON SERIA DIFFICOLTÀ NELLA VISIONE DA VICINO per una paralisi parcellare di qualche
fibra della componente parasimpatica ell’oculomotore; è una forma benigna che si normalizza con qualche goccia di
pilocarpina diluita: infatti la diagnosi di pupilla tonica di Adie si fa con la prova dei colliri con una diluizione molto
elevata di pilocarpina che dà immediatamente una spiccata costrizione pupillare.

Più importante è il FENOMENO PUPILLARE DI MARCUS – GUNN che è da mettere in relazione alla ariflessia
amaurotica: il soggetto è parzialmente ipovedente per cui illumino la pupilla e questa prima incomincia a stringersi e
poi nonostante io mantenga la sorgente luminosa costante, la pupilla non mantiene il diametro ridotto ma un po’ alla
volta si dilata e fa questo scherzetto di oscillare fino a dilatarsi (ictus pupillare). Questo fenomeno mi fa dire che
quest’occhio ha avuto un danno parcellare al nervo ottico (una neurite ottica retrobulbare, una papillite che si è
risolta lasciando una quota di assoni che non funzionano più).
GLAUCOMA
Il termine glaucoma deriva greco “glaucos” che significa grigio-azzurro, che è il colore che l’occhio assume allo
stadio terminale della malattia o fin dall’inizio delle forme congenite. Il glaucoma è una neuropatia ottica
progressiva, ad eziologiaa multifattoriale caratterizzata dall’aumento della pressione endobulbare al di sopra dei
normali valori di 18 mmHg. Tale pressione, in realtà, può variare per molteplici fattori per cui, si parla di glaucoma
solo nel caso in cui la pressione superi i 20- 22 mmHg; esistono glaucomi a bassa pressione in cui il paziente
manifesta la malattia.
La patologia è caratterizzata principalmente da:
• Ipertensione endooculare: Un’elevata pressione arteriosa, come detto, è un fattore diagnostico ma non è
sufficiente ad effettuare diagnosi. Esiste la condizione fisiologica di Ipertono Oculare, tale condizione si
differenzia rispetto al glaucoma perché:
o Il tono oculare è >21mmHG (come nel Glaucoma)
o Papilla ottica rosea e normoescavata (nel Glaucoma è alterato)
o Campo visivo normale (nel Glaucoma è ridotto).
o Quindi mancano le caratteristiche tipiche del glaucoma tranne IOP.

• Alterazioni del campo visivo → un danno cronico e progressivo del nervo ottico: perdita progressiva di
cellule gangliari retiniche -RGC- e dei loro assoni con ripercussioni anatomiche a carico di tutta la vita ottica
passando per il corpo genicolato laterale fino alla corteccia cerebrale occipitale.

Le alterazioni visive del glaucoma


sono alterazioni particolari: Tali
alterazioni sono invalidanti. Una
volta che la vista comincia ad
offuscarsi, lo studio del campo
visivo diviene il principale
strumento diagnostico.
Bisogna distinguere la funzionalità
visiva (ossia l’insieme di:
acutezza visiva, campo visivo,
capacità di percepire i colori, il
contrasto etc…) dall’acutezza
visiva o visus (l'acutezza visiva o acuità visiva o visus è una delle
abilità visive principali del sistema visivo ed è definita come la
capacità dell'occhio di risolvere e percepire dettagli fini di un oggetto
e dipende direttamente dalla nitidezza dell'immagine proiettata sulla
retina.). Il glaucoma, ovviamente, influenza anche le capacità di guida
del paziente, sia per una diminuzione della vista periferica sia per diminuzione delle capacità di adattamento
al buio. {Il professore inizia una lunga parentesi sul fatto che in Italia l’esame oculistico per la patente viene
effettuato NON da oculistici a causa della necessità politiche}.

• Alterazioni del disco ottico → Il disco ottico o papilla ottica è la sede di confluenza delle fibre nervose che
attraverso i forami sclerali, lamina cribrosa, abbandonano il bulbo oculare e formano il nervo ottico, ma è
anche il punto di ingresso dell’arteria centrale della retina e di uscita della vena centrale della retina. È una
struttura ovalare con un’escavazione fisiologica al centro il cui diametro e profondità è variabile da soggetto
a soggetto (per es il dimetro può diminuire e essere quasi assente l’escavazione o aumentare ma i margini
restano netti con un color roseo del disco rientrando quindi in una situazione normale), c’è un peduncolo
vascolare e un anello neuro retinico. Possono esserci papille asimmetriche anche nello stesso soggetto per
le anisometropie con un occhio emmetrope e l’altro non con una miopia di 3-5-6 diottrie e si ha una
variazione leggera anche della conformazione del disco ottico.

Nel glaucoma c’è una accentuazione della sua escavazione fisiologicaà fino a diventare una escavazione
glaucomaosa. Con il progredire dell’escavazione si ha anche un progressivo sbiancamento (spostamento dei
vasi verso il settore nasale) fino ad arrivare, in fase terminale, all’atrofia del disco ottico e, di conseguenza,
alla diminuzione dell’acuità visiva. {in foto l’escavazione appare come l’aurea chiara intorno al disco
ottico}. Il glaucoma comporta un interessamento primitivo anche delle fibre nervose retiniche che
corrispondono all’assone delle cellule ganglionari confluendo alla testa del nervo ottico. Sono direttamente
soggette all’aumento della P.O. e statisticamente si è visto che il danno prioritario è delle cellule ganglionari
e poi degli assoni ed è proprio la perdita delle fibre nervose che comporta l’accentuazione dell’escavazione.
In più possiamo rilevare anche emorragie.

Patogenesi: La neuropatia ottica glaucomatosa è caratterizzata dalla morte delle cellule gangliari retiniche con
conseguente degenerazione delle fibre nervose che costituiscono il nervo ottico.

La teoria meccanica giustifica le alterazioni in base alla IOP:


-Stress meccanico sulle fibre nervose a livello della lamina cribiosa;
-Riduzione della perfusione nel microcircolo della testa del nervo ottico;
-Blocco trasporto assonale retrogrado -> diminuzione di fattori neurotrofici -> apoptosi

La teoria vascolare, conseguente a quella meccanica ma possibile anche con IOP basso, dice che una diminuzione
del flusso ematico porta a:
-Alterato trofismo delle cellule ganglionari;
-Apoptosi.

Il problema principale, è la possibilità del deflusso dell’umor acqueo.


Tale è prodotto dal corpo ciliare, passa fra cristallino e iride e viene
riassorbito dal trabecolato. Ovviamente ci possono essere diversi
problemi a ostacolare questo normale deflusso come un cristallino più
grande che sposta l’iride in avanti e diminuisce l’angolo (dove c’è il
trabecolato) e la camera anteriore (tale alterazione può predisporre ma
non sempre è patologica), il gene della Miocillina (GLC1A, chr1, il
3% dei pazienti POAG presenta mutazioni, è una glicoproteina con
funzione sconosciuta espressa dal trabecolato, iride e corpi ciliari),
etc….

L’accumulo dell’umor acqueo a livello del trabecolato può portare


alterazioni ultrastrutturali nella parte iuxtacanalicolare:
-proliferazione nodulare del collagene extracellulare;
-Frammentazione delle fibre collagene;
-Degenerazione delle cellule endoteliali;
-Ispessimento della membrana basale.

Classificazione: Esistono vari tipi di glaucoma:


• Ad angolo aperto (primario e secondario)
- Primario: a bassa pressione
- Secondario: esfoliativo; pigmentario; indotto dal cristallino
• Ad angolo chiuso
- Primario: acuto, intermittente e cronico
- Secondario a cataratta, s. Marfan, retinopatia diabetica etc
• Congenito (primario e secondario)
• Gluacoma a pressione critica bassa NTG
• Glaucoma assoluto
• Altri glaucomi secondari sono: neovascolare, da blocco pupillare (voluminosa cataratta, trauma
bulbare, melanoma dell’iride, importante infiammazione), steroideo.

GLAUCOMA AD ANGOLO APERTO: Il glaucoma ad angolo aperto è la forma più diffusa (0,2 – 2% < 40 aa; 8% > 70
aa; 10% > 80 aa) ed è caratteristico dell'età adulta avanzata (> 65 anni). Le statistiche più recenti indicano una
percentuale progressivamente crescente dovuta sicuramente all’allungamento della vita media della popolazione. Si
tratta della terza causa di cecità nel mondo: 13.5 milioni di persone sono affetta da glaucoma, di queste, 5.2 milioni
sono cieche. La prevalenza varia (nei diversi studi) dallo 0.4% al 8.8% nei soggetti con età >40anni. In media la
prevalenza è del 1.9% nei bianchi, 0.58% negli asiatici, 6.7% nei neri. (In Islanda, per esempio, probabilmente anche
per l’isolamento genetico, in alcune zone si è arrivato da una prevalenza del 20%).
E’ dovuto ad una chiusura cronico degenerativa dei processi trabecolari per inspessimento delle lamelle; in
particolare non è un evento acuto ed è caratterizzato da:
• Alterazione al livello del trabecolato, in particolare del reticolo, con riduzione dei forami al suo interno →
ostacolo al deflusso;
• Angolo iridocorneale ampio (> 35°)

Fattori di Rischio: I principali fattori di rischio sono:


Generali
- Età: esiste infatti una correlazione positiva tra l’aumento dell’età (>40) e la PIO, probabilmente anche
dovuto all’aumento delle altre condizioni che possono incrementare la pressione intra oculare come
obesità, aumento della pressione arteriosa, aumento della frequenza cardiaca.
- Sesso
- Obesità
- Razza: si è visto che nella razza afro-arabica la pressione intra oculare è maggiore rispetto alla media,
mentre nella popolazione giapponese tale valore tende a diminuire con l’avanzare dell’età.
- Malattie vascolari: con vari meccanismi diminuiscono la capacità dei vasi della macula e della
retina di compensare l’aumento della pressione oculare favorendo l’ischemia.
◦ Ipertensione, aterosclerosi, diabete: ad un aumento di 100mmHg della pressione sistemica si
associa un aumento di 2,5 mmHg della PIO che, anche se non significativo, può accompagnarsi
ad altri rischi.
◦ Ipotensione: fenomeno che riguarda il pz iperteso in trattamento farmacologico → la PA ↓
troppo nelle prime ore del mattino, proprio quando la PIO ↑ → compressione ischemica delle
arterie.
Locali
- Miopia > 6 D → diminuisce l’elasticità della sclera.
- Dd PIO fra i due occhi > 6 mmHg o variazioni circadiane > 4 mmHg.
- Ipertono.
- Glaucoma controlaterale.
- Dispersione pigmentaria.

Fattori di rischio a forte associazione:


• IOP (ad un aumento di 100mmHg della pressione sistemica si associa un aumento di 2,5 mmHg della PIO che,
anche se non significativo, può accompagnarsi ad altri rischi);
• Età (esiste infatti una correlazione positiva tra l’aumento dell’età e la PIO, probabilmente anche dovuto
all’aumento delle altre condizioni che possono incrementare la pressione intra oculare come obesità, aumento
della pressione arteriosa, aumento della frequenza cardiaca);
• Razza (si è visto che nella razza afro-arabica la pressione intra oculare è maggiore rispetto alla media, mentre
nella popolazione giapponese tale valore tende a diminuire con l’avanzare dell’età);
• Storia familiare
Fattori di rischio a moderata associazione:
• Miopia;
• Diabete (si è vista sia una correlazione diretta tra le due patologie che una correlazione indiretta dovuta alla
maggiore incidenza di ipertensione (che si associa direttamente al glaucoma) in tali pazienti)
• Obesità;

Fattori di rischio a debole associazione:


• Ipertensione arteriosa;
• Emicrania;
• Sindrome Vasospastica.
Clinica: La sintomatologia è insidiosa e tardiva (compare solo quando sono compromessi > 80% degli assoni e del
n. ottico) → i danni funzionali seguono quelli anatomici, inoltre il pz può progressivamente “abituarsi” alle
alterazioni campimetriche e interpellare il medico in fasi avanzate (es. urta le persone che gli vengono incontro).
Tipica è la triade:

• Ipertono oculare: condizione che in sè non è sufficiente per la diagnosi diagnosi in quanto da un lato abbiamo
visto che esistono soggetti che presentano valori di PIO maggiori del normale senza avere glaucoma,
dall’altro esistono pazienti che manifestano glaucoma anche con valori di PIO pari a 16mmHg (Glaucoma a
bassa pressione. N.b non c’entra nulla lo spessore corneale).
• Escavazione patologica del disco ottico: è verticale e asimmetrica; si rende via via più visibile la lamina
cribrosa sottostante con suo denudamento e pallore progressivo del disco ottico. La papilla escavata
(formata dalla confluenza di tutte le fibre a 360°) è la
prima zona interessata dall’aumento della PIO e le sue
alterazioni, molto precoci, provocano anomalie del
campo visivo (perimetrici). Tali danni decorrono in 4
fasi:
- Perdita di tessuto neurale focale;
- Aumento del diametro dell’escavazione
fisiologica (aspetto a scodella);
- Allargamento ulteriore dell’escavazione con
spostamento dei vasi ottici da centrali a nasali;
- Atrofia del n. ottico, con sostituzioni delle fibre
nervose da parte delle cellule della glia.

L'escavazione del disco ottico dovuta a glaucoma deve essere posta in diagnosi differenziale con quella
prodotta da:
- Coloboma del disco ottico → assenza dalla nascita di tessuto ottico;
- Fossetta colobomatosa della papilla → solitamente monolaterale, si presenta come un’escavazione
grigiastra che occupa solitamente il settore temporale inferiore del disco ottico;
- Morning Glory Syndrome → malformazione congenita del disco ottico che può presentarsi contrattile;
- Tilting della papilla → displasia del disco ottico che si presenta ovalare;
- Stafiloma peripapillare.

• Riduzione del campo visivo: Le prime alterazioni sono sempre strutturali e visualizzabili solo con l'esame
OCT (fase preperimetrica → il campo visivo è normale). Progressivamente vengono alterate le fibre
nervose, si creano danni perimetrici quindi si parla di glaucoma perimetrico e quindi c'è un'alterazione
funzionale oltre che anatomica. L’ acuità visiva, che può essere conservata per moltissimo tempo, viene
infine intaccata fino alla cecità assoluta, per via del progressivo restringimento della rima neurale, del
contorno del disco ottico cui conseguono le modificazioni vascolari (possibile osservare nelle fasi
avanzate anche emorragia a fiamma → superficiale, a livello dello strato interno della retina che segue
l'andamento delle fibre nervose → prognosi estremamente infausta). Oltre alle alterazioni dell’acuità
visiva si evidenziano anche alterazione del senso cromatico.

Diagnosi
• Misurazione della PIO
Data la grande variabilità dei suoi valori non offre informazioni assolute, anche se si ritiene in linea
di massima che valori < 22 mmHg siano poco dannosi. Essendo la malattia molto lenta, è
estremamente importante lo screening dopo i 40 anni: il pz con glaucoma anche in fase molto
precoce ha delle variazioni pressorie circadiane (> 5 mmHg; mai > 24 mmHg) che non sono presenti
nella popolazione generale; nei soggetti glaucomatosi l’assunzione di un carico d’acqua di 1l
provoca un aumento significativo (>3 mmHg) della PIO nell’ora successiva.

• Campimetria
La valutazione delle alterazioni del campo visivo distingue 6 stadi:
1. Aumento degli angioscotomi iuxtapapillari (dovuti a neovascolarizzazione)
2. Scotomi isolati paracentrali
3. Scotomi arciformi
4. Interessamento dei settori nasali
5. Visione tubulare (isolotti centrali)
6. Perdita totale del residuo campo visivo
La campimetria perimetrica può essere eseguita in due modi:
→ Campimetria cinetica (perimetro cinetico di Goldmann): una mira (luce d’intensità fissa e
dimensione nota) stimola il campo visivo del pz dalla periferia al centro da tutte le direzioni dello
spazio; la parte centrale del campo visivo, molto più sensibile, viene valutata con una luce più piccola
e meno intensa.
Si segnano i punti in cui lo stimolo è percepito e si traccia una linea isottera (unisce i punti con la
stessa sensibilità). Si ottiene un tracciato in cui sono evidenziate zone che vedono e quelle che non
vedono lo stimo; in posizione paracentrale c’è una macchia scura fisiologica che è la proiezione sul
campo visivo della macula retinica.

ü Vantaggio: rapido
!Svantaggi: operatore dipendente; possibile perdita dell’allineamento tra occhio di operatore e
quello del pz
→ Campimetria statica o automatica: volta a superare l’operatore-dipendenza della metodica
precedente. Si basa sul principio che le prime compromissioni del campo visivo si rendono evidenti
intorno ai 30° di settore circolare; il pz fissa una cupola luminosa sempre sul centro e su tale cupola si
accendono delle luci di intensità a posizione randomizzate. Il risultato può essere espresso con una
scala numerica o grafica (più usata).
• Oftalmoscopia
Alterazioni della papilla ottica tipiche.

Terapia
Farmacologica:
§ Miotici: prarasimpaticomimetici diretti ed indiretti; riducono il diametro pupillare ma stirano
l’angolo irido-corneale e aumentano la superficie del trabecolato. Gravati da effetti collaterali quali
miopizzazione temporanea (1-2h), possibile formazioni di cisti nel margine interno dell’iride.
§ Adrenergici: aumentano il deflusso e riducono produzione umor acqueo.
§ β-bloccanti → I scelta timololo somministrato in collirio. Hanno l’effetto di ridurre la secrezione mediante
la diminuzione della vasodilatazione arteriosa e aumentare il riassorbimento provocando la miosi e
aumentando la superficie dell’angolo irido-corneale. Sono controindicati nell’asma, nei BAV e nelle
bradicardie data la presenza di una quota di farmaco passante in circolo (prima della loro prescrizione
procedere con un’accurata anamnesi ed una visita ECGgrafica).
§ Prostaglandine, prostanoidi: attivatori del deflusso uveo-sclerale. Effetto collaterale: colorazione
dell’iride (diventa marrone) scuro per migrazione del pigmento dagli strati profondi a quelli
superficiali.
§ Inibitori topici dell’anidrasi carbonica, necessaria alla secrezione dell’umor acqueo.
Chirurgica
Viene effettuata quando la terapia medica non ha successo.
§ Trabeculoplastica YAG-laser à consiste nel bersagliare il trabecolato con dei micro con dei
microspots che formano piccole cicatrici; queste retraendosi dilatano i fori trabecolari vicini (% di
successo non molto alta) L’intervento esonera dalla terapia medica e blocca la progressione della
malattia ma non migliora l’acuità visiva (intervenire precocemente).
Indicazioni: ipertono oculare farmaco-resistente, situazione funzionale dell’occhio già
compromessa, età giovane.
§ Trabeculotomiaà crea una comunicazione nuova e più efficace tra camera anteriore e spazi
sottocongiuntivali.

GLAUCOMA AD ANGOLO CHIUSO: Il Glaucoma ad angolo chiuso è anatomicamente diverso da quello ad angolo
aperto e si caratterizza per:
Oftalmologia

• Alterazione pre-trabecolare: la radice dell'iride si addossa sul trabecolato;


• L'angolo iridocorneale (angolo a livello del trabecolato, che si forma tra la superficie della radice
dell’iride e quella posteriore della cornea è molto ristretto), circa 12°, rispetto a quello normale di
35°→ l’iride va avanti verso la cornea chiudendo l’angolo idiro-corneale. All’apice di questo
angolo c’è il trabecolato, per cui se è ristretto il trabecolato funziona poco fino a essere occluso
dalla radice dell’iride che, con un angolo molto ristretto, si addossa completamente al trabecolato
bloccandolo.
• È generalmente acuto i sintomi compaiono improvvisamente e variano da cefalea e dolore fino ad arrivare
a sintomi legati all’attivazione del parasimpatico, quali nausea e vomito.

Esiste una predisposizione su base anatomica (camera anteriore più stretta) che può scatenare eventi acuti in
alcune circostanze (specie midriasi, ipertensione, carico d’acqua). Negli anni il riflesso pupillare diminuisce,
lo spessore dell’iride aumenta per accumulo di pigmento e il deflusso attraverso il foro diviene minore →
circolo vizioso perché l’accumulo di liquido in camera posteriore spinge sempre più in avanti l’iride.
Clinica
Prodromi:
- Visioni di aloni colorati in midriasi: si verifica di sera → in midriasi prolungata il deflusso diminuisce,
la PIO aumenta e la cornea si imbeve di liquido provocando la rifrazione luminosa.
- Dolore: gravativo, aumenta con la visione da vicino.
In presenza di questi sintomi portare subito il pz al P.S. oculistico in quanto un attacco acuto di
glaucoma è imminente.
Sintomi/segni da attacco acuto:
- Dolore: intenso ed irradiato all’emicranio corrispondente;
- Disturbi neurovegetativi: nausea vomito e bradicardia→ dd colica addominale acuto;
- Marcata riduzione del visus: annebbiamento della vista;
- Edema palpebrale reattivo;
- Blefarospasmo (antalgico);
- Iperemia congiuntivale: iniezione pericheratica, il cosiddetto “occhio rosso”;
- Edema corneale: lo spessore corneale può addirittura raddoppiare con colorazione azzurro-
cinerea della cornea ed iride simile ad un vetro opaco → l’edema corneale è responsabile delle
alterazioni del visus;
- Midriasi: media e non rispondente alla luce;
- PIO ≈ 40-90 mmHg: a questi livelli si può misurare la pressione anche senza l’ausilio di strumenti,
con la manovra di ballonamento → si mettono gli indici sulla palpebra e con uno si preme, con l’altro
si percepisce chiaramente un’onda di ritorno elastico; nel glaucoma acuto tale manovra evidenzia
una consistenza lapidea dell’occhio (al contrario dell’iridociclite in cui appare floscio) → elemento
principale di dd tra le due condizioni, oltre al fatto che nel glaucoma tale manovra è indolore.
L’attacco acuto di glaucoma va differenziato, oltre che dall’ iridociclite, anche da:
§ Congiuntivite: con essa ha in comune il dolore; la congiuntivite però ha un occhio del dal colorito
rosso vivo (e non rosso scuro come nel glaucoma) e una pupilla reagente alla luce (nel glaucoma è
in media midriasi e non reagente alla luce).
§ Uveite: c’è miosi.

Terapia
Farmacologica: di fase acuta
§ Diuretici osmotici drastici (Mannitolo): rimuovono principalmente l’acqua contenuta nell’umor vitreo
(non umor acqueo) → tale decompressione posteriore consente la retrocessione delle strutture posteriori
dell’occhio che comprimono meno la papilla ottica.
§ Inibitori dell’anidrasi carbonica: acetazolamide os/ev.
§ Β-bloccanti: diminuzione della secrezione dell’umor acqueo, miosi.
§ Miotici (Pilocarpina): allargano l’angolo irido-corneale; tuttavia la miosi porta una porzione maggiore
di iride a contatto con il cristallino rendendo più difficile il passaggio del liquido dalla camera anteriore
a quella posteriore → se possibile non vanno usati in prima scelta.
!Mai provocare ipotensione sistemica → nell’anziano può essere letale.

Chirurgica: prevenzione delle recidive


Oftalmologia

• Iridotomia: Si crea una comunicazione ampia tra camera posteriore e quella anteriore a livello della base
dell'iride, si effettua una trabelectomia, una fistulizzazione in modo che il liquor prodotto posteriormente
defluisca in camera anteriore, aprendo così l’angolo. Se si interviene in tempi precoci la patologia si risolve
e la pressione si normalizza automaticamente.
• Iridectomia: si demolisce un porzione di iride; oggi poco usato.
Nb: viene eseguito anche sull’occhio controlaterale come profilassi (colpito nel 50% dei casi)

Glaucoma ritardivo cronico: È una via intermedia tra quello acuto e cronico semplice, in cui ci sono occlusioni
non totali dell’angolo che comportano un aumento della PIO di 30-40 mmHg. Il soggetto se ne accorge perché
aumentando la pressione al di sopra di certi valori subentra dolenzia e in fase acuta la sintomatologia è diversa.

GLAUCOMA CONGENITO: Condizione rara (1/12500 nati), ma rappresenta il 4% delle cause di cecità infantile.
Eziologia: È dovuto ad un ostacolo pre-trabecolare congenito, generato da residui all’angolo irido-corneale per
mancato riassorbimento del tessuto mesodermico che occupa la camera anteriore alla nascita. Altri condizioni:
anomalie oculari concomitanti, neurofibromatosi, omocisteinuria, infezioni in gravidanza causa di malformazioni.
Clinica
Subdolo, è possibile che come unico segno presente fino ai 4-5 anni vi è un aumento delle dimensioni
del globo oculare (cornea) . I problemi insorgono nel tempo, infatti, l'aumento della PIO fino all'età di
4-5 anni determina un aumento delle dimensioni del globo oculare e del diametro corneale.
- Buftaltmo: contrariamente all’adulto, sotto la spinta della PIO aumenta il diametro antero-
posteriore (normalmente 17 - 18 mm) → occhio di bue
- Assottigliamento della sclera: traspaiono i vasi della coroide → il “bianco appare “celeste”.
Per quanto riguarda la sintomatologia:
- Fotofobia con Blefarospasmo
- Segno oculo-digitale di Franceschetti: il bambino si strofina gli occhi con le dita
- Alterazioni del campo visivo periferico: per danni al nervo ottico
- Alterazioni corneali gravi: ↑ diametro, opacamento (stria di Maab) e ipertono oculare

Diagnosi
È importante che sia precoce affinchè la prognosi sia positiva
• Misurazione del diametro antero-posteriore per via ottica o tramite fascio di ultrasuoni
• Tonometria in anestesia generale→ i farmaci anestetici possono influenzare la PIO!

Tenendo conto del fatto che nel bambino l’aumento della PIO influenza le dimensioni del bulbo, il monitoraggio,
per valutare se la terapia farmacologica funziona, può facilmente essere effettuato con la misurazione dell'asse
anteroposteriore tramite ultrasuoni: il fascio di US incontra le 5 diverse interfacce presenti nell’occhio, ovvero, la
superficie anteriore della cornea, la superficie posteriore della cornea, la superficie anteriore del cristallino e
l'interfaccia tra il vitreo e la retina sottostante, e ad ognuna di esse viene parzialmente rifratto; per cui conoscendo
la velocità degli ultrasuoni nei diversi mezzi possiamo dedurre le distanze valutando il tempo necessario affinchè
l'eco ritorni alla sonda.
Terapia
Intervento di goniotomia: perforazione con ago chirurgico dell’angolo irido-corneale per far arrivare l’umor
acqueo nelle trabecole corneali → se effettuato prima che si instaurino alterazioni irreversibili a carico del n.
ottico, risulta completamente risolutivo.

GLAUCOMA A BASSA PRESSIONE: Esiste anche una condizione in cui parliamo di glaucoma nonostante un valore
di Pressione intraoculare basso, Glaucoma a bassa pressione. Quest’ultimo è dovuto al fatto che nella determinazione
della pressione intraoculare gioca un ruolo fondamentale anche il valore della pressione del liquor: infatti, in
corrispondenza del disco ottico troviamo la lamina cribrosa dove passano tutte le fibre, gli assoni provenienti dalle
Oftalmologia

cellule ganglionari mentre posteriormente alla stessa troviamo il LCR che si trova nelle guaine del Nervo Ottico
(estroflessioni delle meningi cerebrali) tra la pia madre e l'aracnoide. Quindi la lamina cribrosa divide 2
compartimenti: anteriormente c’è il vitreo con una pressione di 18-19 mmHg e posteriormente le fibre giungono al
peduncolo ottico, nervo ottico dove c ‘è il LIQUOR con una pressione di 7-8 mmHg. C’è una pressione translaminare
che corrisponde alla differenza tra i due compartimenti separati dalla lamina cribrosa costituendo l’equilibrio tra la
pressione del liquor a livello delle guaine del nervo ottico (perché all’interno di queste guaine c’è liquor che si pone
in diretto contatto, attraverso il forame ottico, con il liquor cerebrale. Infatti in corso di ipertensione endocranica
l’aumento della pressione si traduce in aumento della pressione oculare) e quella intraoculare che va rispettato. Tale
rapporto è 16:8. Se varia una di queste due pressioni, cambia il rapporto che normalmente è presente tra il globo
oculare e le guaine del Nervo Ottico. L'equilibrio si ha quando si ha un rapporto di 2:1, cioè 16:8.

Se fisiologicamente l’1% di soggetti ha normalmente un pressione di 23-25 mmHg, perché poi anche un soggetto
con 18 di PIO può essere glaucomatoso? Perché la pressione trans laminare è fondamentale e può variare in diverse
condizioni.
• Nel soggetto glaucomatoso aumenta la p. oculare mentre quella del liquor resta uguale, quindi il rapporto va a
discapito della pressione vigente a livello posteriore, cioè del LCR, quindi varia la pressione trans laminare. Nel
momento in cui si ha una diminuzione della pressione endocranica e quella intraoculare resta invariata, si ha un
aumento relativo della pressione intraoculare in quanto, in realtà, aumenta il rapporto tra la pressione
intraoculare e la pressione a livello del liquor, cioè la pressione trans laminare. La pressione cerebrale del LCR
può ridursi a 3-5, non per questo essere patologici, rientrando comunque nei valori normali, ma, variando, poi
la p trans laminare che aumenta è come se il soggetto avesse un ipertono intraoculare e di conseguenza le fibre
nervose vanno in sofferenza in corrispondenza del disco ottico.
• Nel soggetto con ipertono senza glaucoma il rapporto tra le due pressioni resta invariato perché se aumenta la
p. oculare e aumenta anche quella del liquor nell’ambito di un range fisiologico il rapporto resta uguale. Quindi
il concetto fondamentale è che il rapporto resti costante.

GLAUCOMA SECONDARIO: Si tratta di un glaucoma che segue ad altre patologie, come ad esempio cataratta,
trauma, etc…
• Pigmentato = occlusione trabecolato da parte di pigmento irideo (s. da dispoersione del pigmento)
• Exfoliativo = da pseudoexfoliatio lentis
• Facogenico = da sublussazione del cristallino
• Facomorfico = da cataratta intumescente
• Traumatico
• Neovascolare
• Indotto da steroidi

GLAUCOMA ASSOLUTO: Si tratta di un glaucoma in cui, per una serie di ragioni, nell’occhio si stabilisce una
pressione aumentata tale da avere pressioni sopra i 50-60mmHg e porta a chiusura dell’arteria centrale della retina
e perdita completa della visione.

DIAGNOSI: Come detto, uno dei problemi principali è riuscire ad effettuare una diagnosi in tempo, prima che il
glaucoma porti alterazioni visive.

Anamnesi: Importante per individuare i Fattori di Rischio come età, sesso, razza, DM, miopia elevata, S.
vasospastica e altri.

Esame Obiettivo: Con particolare attenzione alla misurazione della PIO con la tonometria.
Oftalmologia

Studio del campo visivo: In origine lo strumento era fatto a mano dagli
ottici e c’erano dei punti luminosi che si accendevano e si spegnevano,
il soggetto doveva premere un tasto quando vedeva la luce.
Attualmente gli strumenti sono tecnologicamente avanzati e lo studio
è computerizzato.
Col glaucoma si ha una perdita della sensibilità visiva (quindi le luci
fioche non vengono percepite) e diminuzione della vista periferica (le
luci in periferia non vengono percepite). Il risultato finale sarà simile
al tale:

Il cerchio di quadratini rappresenta il campo visivo e le zone


chiare rappresentano la luminosità buona, grigio
intermedia, scure pessima.

Tonometria – studio della pressione oculare: La pressione oculare è un dato fondamentale (vedere paragrafo di
approfondimento).
• Nella Tonometria di Goldman, lo studio avviene attraverso
l’applicazione di un cilindro sulla cornea. Lo strumento mostrerà
all’ottico due semicerchi, regolando lo strumento -tramite rotellina- sarà
possibile far sovrapporre i semicerchi, quando i semicerchi di
sovrappongono si avrà la misura della pressione. Possibile effettuare
anche l’operazione opposta, prima di calibra lo strumento a 20mmHg e
poi si poggia sulla cornea: se i semicerchi si toccano stiamo a 20mmHg
(terzo cerchio in esempio), se si distanziano esternamente (primo
cerchio in esempio) sarà meno di 20mmHg, se si distanziano
internamente (secondo cerchio in esempio) la pressione sarà maggiore
di 20mmHg.

Oggi si usa anche la Tonometria a soffio.


Oftalmologia

Studio delle fibre nervose e delle cellule gangliari: Lo studio del


campo visivo e la tonometria, erano studi troppo tardivi. Si è notato
che le prime alterazioni erano a livello delle fibre retiniche e delle
cellule gangliari della retina (alterazioni già presenti a paziente
asintomatico)à l’OCT per lo studio delle fibre del nervo ottico. Si
centra manualmente il disco ottico, quindi l’apparecchio effettuerà
una scansione a 360° del disco ottico e definirà varie zone da
analizzare e ne studierà la densità di fibre ottiche.

Chiaramente la densità fisiologica delle fibre ottiche varia in base


all’età e alla zona. Lo strumento paragonerà i dati del paziente con
dati di riferimento ed effettuerà un paragone dando il responso sulle
aree a densità minore (rosso), a densità intermedia (giallo) e a densità normale (verde).

In figura, possiamo vedere la densità del paziente (linea


nera) rispetto ai dati di riferimento (aree verdi, gialle e
rosse). Nei cerchi possiamo notare spicchi normali
(verdi), spicchi con numero minore (gialli) e spicchi con
numero patologico di fibre (rosso). (OD occhio destro,
OS sinistro)
Lo studio dura pochissimi secondi. Oltretutto il
computer potrà paragonare i dati del paziente a distanza
di tempo, così da avere un quadro dell’evoluzione della
patologia.

Lo studio delle cellule gangliari, è uno studio


importante perché è capace di prevedere in maniera
anticipata i danni del glaucoma. La diminuzione delle
cellule gangliari è la prima alterazione evidenziabile.
Ultimamente sono stati inventati strumenti capaci di
analizzarne il numero, si tratta di strumenti
estremamente sofisticati. L’analisi è simile a quella
vista per la retina.

Questi due strumenti, quindi permettono di diagnosticare anticipatamente il glaucoma rispetto ai primi sintomi. Ciò
nonostante, queste alterazioni sono già segno di glaucoma, quindi ci permette di diagnosticare il glaucoma ancora
asintomatico ma non di sapere da quanto tempo è presente la patologia.

Altri:

• Gonioscopia, che serve per la misurazione dell’ampiezza angolare, importante perché ci sono soprattutto due
forme di glaucoma: cronico semplice e acuto. La differenza tra essi è proprio nell’angolo iridocorneale, poiché
in quello cronico semplice l’ampiezza angolare è perfettamente normale, mentre in quello acuto l’angolo è
ristretto ed è causa del cosiddetto attacco acuto del glaucoma. Nel glaucoma congenito ci sono malformazioni
a carico dei residui embrionali a livello del trabecolato e dell’angolo per cui la goniosocopia è importante, perché
vediamo oltre l’ampiezza angolare anche la situazione anatomica del trabecolato e nel glaucoma neovascolare
si formano dei neovasi davanti al trabecolato che lo occludono completamente. Importanti i tomografi che vanno
a valutare la superficie anteriore, la superficie posteriore della cornea e l’ampiezza della camera anteriore per
cui avremo anche info anatomiche dell’angolo iridocorneale; mentre il topografo da informazioni solo sulla
superficie corneale. Importante anche l’angolo ireo-cornale perché può predisporre alla chiusura del trabecolato.
• Esame biomicroscopico della papilla corredato da eventuali foto per monitorare nel tempo le modifiche
morfologiche, ma questo è poco importante.
• Ultrabiomicroscopia (UBM) attraverso la quale si studiano elementi della camera anteriore e poi con
oftalmoscopi si può fare l’esame del fondo oculare e del disco ottico, andando a esaminare l’accentuazione
dell’escavazione. Quindi biomicroscopicamente, con una lente, un oftalmoscopio, un apparecchio fotografico
si riesce a avere già info sulla presenza o meno del glaucoma.

Sarà il futuro l’applicazione nelle tecnologie dell’effetto RAMAN: Quando una onda elettromagnetica incide su una
struttura, una piccola parte di energia torna dietro con una frequenza diversa e il salto di frequenza dipende
dall’oscillazione molecolare. In questo modo, valutando i vari salti di frequenza, si risale alla struttura molecolare
Oftalmologia

di ciò che analizziamo. Per esempio noi abbiamo ricostruito la composizione molecolare dell’acanthamoeba, un
agente che da grossi problemi alla cornea con ulcere fino a dare enucleazione con l’uso di lenti a contatto. Abbiamo
poi visto come si estrinsecava l’ effetto della biguanide su colture di Acanthamoeba risultandone un’azione sul
nucleo l’effetto su nucleo. In alcuni Paesi come Cina si sta diffondendo la ricerca di microrganismi tramite il
riconoscimento della composizione molecolare che è esclusiva di quel microrganismo risultando più semplice.
Questo per dire che l’applicazione di queste nuove tecnologie influisce molto nella medicina.

TERAPIA: Il trattamento chirurgico e farmacologico nel glaucoma serve solo per prevenire ulteriori danni che si
possono presentare nella progressione della malattia glaucomatosa, infatti la terapia non ripara i danni già avvenuti.
Bisogna capire quando iniziare la terapia e quando cambiarla in base alla valutazione dei risultati (IOP,
struttura/funzione, qualità della vita).

Tra i fattori da considerare nella terapia, ci sono:


-IOP iniziale;
-Razza;
-Entità del danno perimetrico;
-Aspettativa di vita;
-Compliance;
-Target IOP.

TERAPIA FARMACOLOGICA: La terapia farmacologica si basa su farmaci che mirano a:


• Ridurre la produzione di umor acqueo come:
o β bolccanti, in particolare timololo in collirio, che si instillano nel sacco congiuntivale andando ad
agire sui processi ciliari. Purtroppo però una parte di questi arriva tramite il sacco lacrimale a livello
sistemico andando ad interagire con il sitema cardiocircolatorio.
o Inibitori dell'anidrasi carbonica che bloccano una componente della filtrazione che determina la
produzione dell umor.
o α-stimolanti che favorendo la vasocostrizione riducono la produzione di umor acqueo.
• Aumentare il deflusso dell'umore acqueo come:
o α stimolanti
o analoghi delle prostaglandine

Tale terapia va continuata per tutta la vita ma può creare grossi problemi sulla superficie cornea, anche se ad oggi il
problema è un pò diminuito. Essa, infatti, distrugge lentamente microvilli presenti sulla superfice corneale che hanno
il compito di trattenere il film lacrimale con conseguente insorgenza dei fastidi oculari tipici (bruciore, astenopia,
stanchezza visiva con cefalea, nausea, occhio secco, quando si sforza la vista).

Per tale motivo bisogna distinguere bene i pazienti con ipertono rispetto a quelli con glaucoma, perchè non si ha la
necessità di sottoporre questi pazienti a un trattamento che comunque porta ad una serie di complicanze.

Azione Ipotonizzante
Meccanismo Farmaci
Diminuire Beta bloccanti
produzione Inibitori anidrasi carbonica
umore Agonisti adrenergici non selettivi
acqueo Agonisti adrenergici alfa-2 selettivi
Aumento Parasimpaticomimetici
deflusso Agonisti adrenergici non selettivi
trabecolare Prostamidi
Aumento Analoghi delle prostaglandine
deflusso prostamidi
uveo-sclerale Agonisti adrenergici alfa-2 selettivi

TERAPIA CHIRURGICA: La terapia chirurgica mira a creare nuove vie di deflusso.

• La trabeculectomia mira a creare una nuova via di deflusso dell’umor che viene deviato sotto la congiuntiva
e riassorbito dalla congiuntiva.
Oftalmologia

PRESSIONE INTRAOCULARE
La pressione intraoculare (PIO) è la pressione che tiene normoconformato l’occhio; è dovuta all’equilibrio tra la
produzione e l’eliminazione dell’umor acqueo. Sulla base di dati statistici è considerato normale una PIO = 16 ± 2,5
mmHg. Va considerato che subisce delle variazioni circadiane durante le 24h (apice della produzione di umor acqueo
→ 5-8 AM; minimo → tardo pomeriggio) anche di 3-6 mmHg. In posizione supina la PIO può aumentare di 0,3-6
mmHg, infatti alcuni tonometri richiedono il pz supino. Inoltre al di sopra dei 40 anni cresce costantemente,
soprattutto nelle donne. Ricordiamo che la PIO è correlata alla PA in maniera minima (↑100 mmHg PAS ↑2-4
mmHg PIO) e che le variazioni di PIO sono maggiori nei diabetici (in cui il suo valore è maggiore), nei miopi, obesi,
soggetti con familiarità per glaucoma, negli afroamericani.
Misurazione della PIO: Per la misurazione diretta bisognerebbe utilizzare una metodica cruenta, pertanto nella
pratica clinica si utilizza una metodica indiretta basata sulla legge di Lambert-Fick che afferma che la pressione
necessaria ad applanare una porzione a diametro noto di una sfera è uguale alla pressione esistente all’interno della
sfera stessa per l’area della superficie applanata. La pressione si calcola, quindi, come misura della resistenza alla
deformazione del bulbo sfruttando uno strumento che prende il nome di tonometro ad applanazione. Esistono vari
tipi di tonometro: quelli contact (appianazione e indentazione) e quelli non contact (a soffio): quelli non contact
risultano migliori sotto il profilo igienico, non essendoci un contatto diretto, mentre l’attendibilità è maggiore con il
tonometro a contatto.
Questo metodo, però, presuppone dei valori standard per altre variabili, in particolare per lo spessore della cornea
che invece è maggiore alla periferia che all’apice corneale, dove è circa 540-560 micron. Questo metodo per la
valutazione della pressione dà per scontato che ogni cornea che andiamo ad applanare abbia questo spessore, mentre
in realtà, un 5-7% della popolazione ha una cornea con spessore maggiore o minore di quello di riferimento. Se lo
spessore corneale è di 400 micron (cioè inferiore) ci sarà una sottostima della PIO di almeno 10-12mmHg, quindi
abbiamo una pressione molto più bassa di quella effettiva, viceversa con valori più elevati ci sarà una sovrastima.
Per cui alla tonometria bisogna sempre associare una pachimetria, cioè la valutazione dello spessore corneale,
perchè se quest'ultimo è differente dallo standard bisogna apporre delle correzioni. La pachimetria ha assunto
un’importanza particolare soprattutto per chi si sottopone a un trattamento di chirurgia refrattiva, che consiste nel
rimodellare la superficie corneale in modo da eliminare il difetto refrattivo (nell’occhio miope si appiattisce l’apice
corneale, si fa un ablazione dello stroma corneale, e si assottiglia la cornea).
Una volta valutato lo spessore bisogna poi nuovamente analizzare i valori della PIO. Questo perché è possibile
evidenziare persone che, a prescindere dallo spessore corneale, hanno una “pressione intra oculare normale “di 22-
23-24-25 mmHg invece che di 16-17; non parliamo di sotto o sovrastime della pressione, perché la pressione è stata
misurata bene e corretta, normalizzata, eventualmente con la pachimetria. È una % minima, inferiore all’1% che va
comunque individuata se no può essere sottoposta a terapia inutile con successivi danni a livello locale e sistemico.
Tali pazienti sono detti soggetti con ipertono oculare senza glaucoma. Quindi l’ipertensione oculare NON è sintomo
di glaucoma e la presenza di Fattori di Rischio non implica necessariamente che l’ipertensione oculare sfoci in
glaucoma in una percentuale però molto bassa
Inoltre si deve tener presente che durante le 24 ore non sempre la pressione intraoculare resta costante ma abbiamo
una variazione fisiologica che va dai 3 ai 6 mmHg nell’occhio normale, variazione che sarà più marcata nel
glaucomatoso. Come cambia fisiologicamente la pressione sistemica (se facciamo un holter pressorio nelle 24h i
valori cambiano mantenendosi in un range normale), anche quella oculare varia con un ritmo circadiano sia nel
soggetto sano che con glaucoma.Nel soggetto sano pero’ la variazione è minima, mediamente varia di 1 -1.5 mmhg,
mentre nel glaucomatoso nelle 24 h è più accentuata, con variazioni che shiftano anche di 5-6 mmHg (questo
potrebbe essere un criterio per differenziare il glaucomatoso dal soggetto con ipertono). È importante tener presente
tale fenomeno e tenere conto dell’orario in cui facciamo la tonometria, perchè se noi troviamo durante la giornata
16-18 non possiamo escludere a prescindere un glaucoma in quanto, se siamo nella fase bassa della giornata,
avremmo in realtà 18+6 mmHg che equivale a 24 ovvero un valore patologico. Quindi la misurazione va fatta nel
momento in cui figura statisticamente il picco massimo della P.O che coincide con le ore 14 o 15, ma se la facciamo
alle 18 alle 19 ci può essere anche una differenza di 6 mmhg rispetto al picco massimale. Ci sono oggi strumenti per
monitorizzare la PO tramite applicazione di lenti a contatto con sensori che rilevano automaticamente la PO,
Oftalmologia

rilevando i picchi massimali nelle 24h, ma sono pochissimi i centri che ne sono in possesso, in quanto non è uno
strumento necessario. Si deve, inoltre, ricordare che in posizione supina la PIO aumenta di 0,3 fino a 6 mmHg.
Questa variazione è maggiore nei pazienti con glaucoma. Si deve tener presente questa cosa perché con alcuni
tonometri la misurazione veniva effettuata in posizione supina e quindi bisognava sapere che in quella posizione
potevamo avere un aumento della PIO fino a 6 mmHg.
In definitiva quando si fa la tonometria non bisogna accontentarci del singolo valore ma se il caso anche ripeterla
più volte.
Produzione e riassorbimento: La pressione intraoculare è determinata dall’equilibrio tra produzione e
riassorbimento dell’umor acqueo, ove entrano in gioco anche eventuali ostacoli presenti a valle come la pressione
delle vene episclerali, che, se aumenta, sarà responsabile di una maggiore resistenza al deflusso.
Quindi la Po è data da FxR+Pv, dove:
F è il tasso di formazione dell’acqueo.
R è la resistenza al deflusso dell’occhio all’umor acqueo.
Pv è la pressione venosa episclerale
• Produzione umor acqueo
o 75% meccanismo attivo operato dai processi ciliari
o 25% fenomeno di diffusione ed ultrafiltrazione secondo gradiente
• Riassorbimento umor acqueo: Passa nella camera posteriore e poi tramite il forame pupillare (spazio
virtuale tra superficie posteriore dell’iride e quello anteriore del cristallino) e tramite il canale dello
Schlemm è riassorbito a livello del trabecolato ovvero il sito in cui avviene anche la regolazione del flusso
grazie alla presenza di un reticolo di fibre mesenchimali che si apre in modo variabile in base alle necessità,
e da qui viene poi riassorbito dalle vene episclerali. L’80% viene drenato per questa via mentre un ulteriore
10% viene drenato tramite le vie sovracoroidali (coroide, ma è una parte minima) che però assume
importanza in alcune malattie particolari.
È un sistema di compenso automatico poiché i processi ciliari producono in continuazione l’umor acqueo e in
continuazione avviene il riassorbimento; quindi la quantità che esce è uguale a quella che entra, quindi è sempre
mezzo pieno e mezzo vuoto. Quando questo equilibrio si altera (come nel glaucoma cronico semplice) o per aumento
della produzione di umor acqueo (ipersecrezione in una % inferiore dei casi) o più facilmente per una difetto del suo
riassorbimento a livello delle vene episclerali (per un ostacolo al deflusso di umor acqueo che può essere presente
in relazione all’aumento pressorio delle vene episclerali) si ha un aumento della pressione intraoculare con il
glaucoma.
In base al sito di insorgenza dell’ostacolo si possono distinguere le due forme di glaucoma:
• Nel glaucoma cronico semplice in cui l’angolo è ampio, l’alterazione è a livello del trabecolato per cui ho un
peggioramento cronico con ostacolo del riassorbimento dell’umor acqueo.
• Nell’attacco acuto di glaucoma la radice dell’iride si addossa al canale a causa di un aumento dello spessore del
cristallino che spinge la radice anteriormente verso l’angolo irido-corneale che si riduce anche a 15-18° e che
fa si che facilmente la radice dell’iride possa spostarsi in avanti occludendo ulteriormente il trabecolato
raggiungendo una pressione di 80 mmHg con tutta la sintomatologia di dolore, edema, blocco pupillare in
media midriasi. Bisogna intervenire immediatamente perchè i danni che si possono avere sono permanenti,
irreversibili, intervenendo possiamo solo bloccare la progressione della malattia.

Danno Da Pressione Intraoculare Elevata: Una elevata P.O. determina una progressiva degenerazione delle fibre
nervose papillari con due meccanismi:
• Vascolare per compromissione del supporto vascolare papillare
• Meccanico per compressione diretta delle fibre nervose
Un aspetto molto importante è la relazione tra pressione intraoculare e il ritmo di distruzione delle cellule ganglionari
che sono le cellule da cui si dipartono gli assoni che formano le fibre nervose che convergono poi radialmente a
livello del disco ottico formando il nervo ottico.
Nel glaucoma ci sono sia danni anatomici che danni funzionali. Il danno anatomico si riferisce proprio alle lesioni
Oftalmologia

a livello di queste cellule ganglionari che portano a un’atrofia e ad assottigliamento delle fibre nervose per cui
avremo alterazione del disco ottico, che è il punto di convergenza delle fibre nervose. Quindi in funzione del danno
ganglionare si ha un danno delle fibre nervose e quindi un’accentuazione dell’escavazione fisiologica e la presenza
di un pallore del disco ottico. La distruzione di queste cellule è continua anche in presenza di una pressione oculare
bassa che è un fenomeno fisiologico (che non c’entra nulla col glaucoma) come la degenerazione cerebrale.
Normalmente un certo numero di queste cellule decade nel tempo inevitabilmente ma quelle che restano sono tali
da consentire un’ottima visione. Nel glaucoma, per l’aumento pressorio, il decadimento cellulare è molto accentuato,
con una velocità maggiore, raggiungendo una situazione limite in cui il numero di cellule danneggiate è tale da
determinare l’insorgenza dei difetti visivi, rappresentativi del danno funzionale, che si manifesta prima con il
restringimento del campo visivo come nel glaucoma cronico semplice e poi con riduzione dell’acuità visiva. La
perdita di queste cellule aumenta in modo non lineare con la PO: infatti in relazione alla pressione intraoculare il
ritmo di distruzione cellulare è esponenziale. Mentre nel soggetto di 40 anni una pressione patologica di 30 mmHg
porterà alla perdita di un certo numero di cellule ganglionari per esempio in 5 anni, la stessa pressione in un soggetto
di 80 anni determinerà lo stesso danno in 5 mesi. Quindi in rapporto all’aumento dell’età, a parità dell’aumento della
pressione intraoculare, il danno che avviene a livello di queste cellule è maggiore e nell’anziano si estrinsecherà in
definitiva in tempi minori. Quindi la pressione intraoculare critica varia da soggetto a soggetto e nello stesso soggetto
può variare soprattutto in rapporto all’età. Una pressione > di 21 mmHg è meglio tollerata in un soggetto di 20 anni
rispetto al soggetto di 70 anni.
Nel glaucoma semplice abbiamo un aumento della pressione di poco al di sopra della norma, 7-8 mmHg, quindi non
si ha la sintomatologia eclatante che caratterizza invece quello acuto, il soggetto non avverte nessun fastidio.
Lentamente e progressivamente, però, si creano i presupposti per un otticopatia glaucomatosa. I primi danni che
si istaurano sono a livello del campo visivo, il soggetto vede bene i 10/10 ma lentamente si formano piccole
alterazioni campimetriche, il campo visivo si restringe sempre di più, ma con una tale lentezza che il paziente si
abitua a tale difetto e va dall’oculista solo in fase terminale (quando, oramai, urta le persone che gli vengono contro)
. Il danno visivo già si è instaurato purtroppo ed è oramai insorta una visione tubulare. Solo dopo possiamo avere
una diminuzione dell’acuità visiva e atrofia ottica. Per questo è importante valutare il danno anatomico
precocemente, infatti prima di arrivare al danno funzionale (perdita dell’acuità visiva) è necessario che almeno una
certa quota di cellule gangliari muoiano determinando l’atrofia del nervo ottico (fibre gangliari sono sostituite dalle
cellule neurogliali). Quindi il più insidioso è il glaucoma cronico semplice in quanto tale danno anatomico si
trasforma molto lentamente in danno funzionale, invece nel glaucoma acuto si ha una sintomatologia eclatante:
dolore forte che si irradia alla fronte, annebbiamento della vista e iniezione pericheratica (occhio rosso). In realtà
l’iniezione pericheratica è un sintomo che può rappresentare un numero enorme di patologie, quali glaucoma,
congiuntivite, uveite anteriore, le quali necessitano di terapie differenti, per cui è fondamentale una diagnosi corretta
in modo da non arrecare danno con terapie errate. Nella congiuntivite il colore dell’occhio è rosso vivo, abbiamo
dolenzia e la pupilla reagisce bene alla luce. Nell’attacco acuto di glaucoma il colore dell’occhio è rosso scuro,
perché sono interessati i vasi profondi, abbiamo dolenzia e, essendo aumentata la pressione, abbiamo un edema
diffuso di tutta la superficie corneale con una pupilla in media midriasi fissa, non reagente alla luce. Nell’uveite si
ha miosi, anche se comunque si ha annebbiamento alla vista per un accentuato effetto tindall in camera anteriore.
Nell’uveite la terapia prevede l'uso di midriatici, mentre nell’attacco acuto di glaucoma bisogna usare dei miotici,
quindi è completamente differente la terapia.
Il glaucoma può anche essere secondario ad una fistola carotido-cavernosa, in quanto la formazione dell’umor
acqueo dipende anche dalla resistenze delle vie di deflusso all’umor e dalla pressione delle vene episclerali. In
condizioni normali, infatti, il sangue arterioso della carotide interna va a finire nel seno cavernoso (la carotide
decorre per un certo tratto nel seno cavernoso). Nei traumi può accadere che si rompa la carotide proprio nel seno
cavernoso (fistola carotido-cavernosa) e che fuoriesca sangue arterioso ad elevata pressione nel distretto venoso; la
vena oftalmica, che si immette nel seno cavernoso, trova in questo modo un ostacolo al deflusso e quindi, abbiamo
un glaucoma secondario proprio perchè il sangue non riesce a drenare nelle vene episclerali per l’ostacolo al deflusso
dovuto all’aumento della pressione nel seno cavernoso e tutto il sangue refluo dall’orbita non riesce a defluire. Si
ha una congestione di tutte le strutture extraoculari, in particolare dei muscoli, che spostano l’occhio verso l’esterno,
si ha un esoftalmo pulsante sincrono con i battiti cardiaci, si ha iniezione pericheratica tipo caput medusae e un
aumento della pressione intraoculare. La fistola carotido-cavernosa può interessare anche la carotide esterna, perchè
la parete del seno cavernoso è vascolarizzata da rami che provengono dalla carotide esterna quindi quando questi
rami si spezzano per un trauma all’interno del seno cavernoso si avrà una fistola a basso flusso con un quadro clinico
più attenuato.
- Esoftalmo pulsante sincrono con i battiti cardiaci
- Iniezione pericheratica tipo caput medusae
- ↑ PIO
PATOLOGIE DEL CRISTALLINO

Cristallino: Il cristallino costituisce la seconda lente del sistema oculare ed è un diottro sferico biconvesso con una
superficie anteriore (raggio di curvatura 10 mm) più piatta di quella posteriore (con raggio di curvatura di 6mm)
unite a livello dell’equatore lenticolare. Il punto centrale della faccia è detto polo anteriore, il punto centrale della
faccia posteriore, polo posteriore e la linea che unisce i due poli è chiamata asse della lente.

Per quanto riguarda la sua struttura è possibile distinguere tre strati importanti:
• Capsula che raccoglie tutto il materiale corticale, ha uno spessore di 3-6 mm ed è trasparente. E’ formata
da fibre di collagene; e le lamelle che la compongono sono poi cementate d auna sostanza mucoproteica.
Si distingue una capsula anteriore spessa circa 10 micron e una capsula posteriore di 6 micron. In prossimità
dell’equatore, punto di unione delle due micapsule, essa si ispessice formando la membrana pericapsulare
su cui si inseriscono le fibre zonulari.
• Epitelio sottocapslare: singolo strato di cellule cubioidi che diventano progressivamente più alte e oblique
in prossimità dell’equatore fino a diventare dibre parenchimali e determinando così la formazione della
zona germinativa.
• La sostanza propria costituisce l’80% del cristallino ed è formata in massima parte da formazioni di aspetto
lamellare. Nel parenchima si distingue una corteccia e nucleo
E’ importante fare questa distinzione perché alcune cataratte non sono totali ma coinvolgono strati del cristallino.

Il cristallino è composto prinicplamente da acqua (65%) destinata a ridursi con l’età, specie nella parte nucleare,
concentrazioni elevate di potassio e magnesio, basse di calcio, elevate di azoto, oligopeptidi insolubili e solubili,
bassa percentuale di lipidi e soprattutto di glucidi. Tra gli zuccheri il cristallino usa il glucosio che viene attinto
dall’umor acque e non il glicogeno.

Assieme al diottro oculare partecipa al meccanismo della visione con un potere di circa 19 diottrie. Risulta situato
nella camera posteriore tra iride e vitreo ed è mantenuto in sede dal suo legamento sospensore o zonula di Zinn, che
prende inserzione all’equatore della lente e ai processi ciliari dell’uvea. A seconda dello stato contrattivo dei
processi ciliari, le fibre zonulari si tendono e si rilasciano cambiando la curvatura della superficie lenticolare
anteriore (il soggetto mette a fuoco anche oggetti a distanza ravvicinata). L’accomodazione a partire dai 40-45 anni
comincia a divenire progressivamente meno efficiente con l’età →
PRESBIOPIA.
Cambiamenti del potere di rifrazione del cristallino (es. pz stabile riferisce improvvisamente di vederci bene da vicino)
possono essere dovuti a:
- Cataratta (però col tempo l’opacamento comporta riduzione dell’acuità visiva)
- DM (riduzione dell’indice di rifrazione dell’umor acqueo)
Affinché un soggetto sia EMMETROPE entrano in gioco 3 variabili:
- Cristallino: lente biconvessa di circa 19 diottrie (non varia da soggetto a soggetto)
- Superficie corneale: il raggio di curvatura della superficie corneale può variare anche molto da un soggetto
all’altro (5-9 mm) → variando questo raggio, possiamo avere grandi variazioni della refrazione (su questo
principio si basa la chirurgia refrattiva)
- Asse antero-posteriore del globo oculare: circa 20,5 mm; grossolanamente → 1 mm = 3 diottrie.
Questi parametri sono strettamente interconnessi.

Patologie del cristallino: La patologia del cristallino comprende:


• Anomalie di trasparenza (opacizzazione per alterazione delle proteine lenticolare, eccezion fatta per i casi di
cataratta traumatica dovuta a rottura della capsula/trauma contusivo, 24-48h, non è repentina). Sono legate
all’invecchiamento fisiologico → in età senile coinvolge un’alta percentuale di soggetti. La trasparenza (e
quindi la funzionalità) del cristallino dipende da:
o Composizione dell’umor acqueo
o Integrità anatomico-funzionale della capsula lenticolare
o Particolare equilibrio chimico-fisico delle proteine lenticolari
• Anomalie di forma e/o posizione: traumatiche, congenite, sindromiche.

ALTERAZIONI DELLA FORMA E DELLE DIMENSIONI DEL CRISTALLINO

FORMA:
• Coloboma del cristallino→ appiattimento dell’equatore del cristallino in un settore (quasi sempre quello inferiore) in
cui mancano le fibre della zonula. Nelle zone circostanti possono esserci piccole opacità lenticolari. Spesso rilevato
un astigmatismo irregolare.
o Spesso è associato a coloboma dell’iride e della coroide.
• Lenticono→ protusione coniforme della superficie della porzione assiale del cristallino. Spesso è associato ad
altre alterazioni congenite.
o Lenticono anteriore: deformazione conica anteriore della porzione centrale, di diametro 3-4mm;
o Lenticono posteriore: rara anomalia del periodo neonatale o infantile; protuberanza circolare o ovale della
zona assiale posteriore, di 2-7mm di diametro;
• Lentiglobo: deformazione emisferica generalizzata
• Microfachia: diametro inferiore alla norma, reperto isolato o in pz con sindrome di Lowe
• Microsferofachia: cristallino piccolo e sferico (raggio di curvatura minore sia anteriore che posteriore) e si riscontra
nelle sindromi di Marfan, Well Marchesani, e Iperlisinemia (più comune perché associata a queste sindromi).

POSIZIONE:
• Ectopia lentis→ cristallino spostato in alto e verso l’esterno. Poiché il campo pupillare rimane solo in parte
occupato dal cristallino si manifesta con diploidia monoculare.
• Eredofamiliare: indebolimento della zonula secondario a:
o Sindrome di Marfan: presente nell’80% dei casi una dislocazione verso l’alto, bilaterale, simmetrica e
non progressiva del cristallino. In alcuni casi il cristallino è anche piccolo e sferico (microsferofachia);
o Sindrome di Weill-Marchesani: la microsferofachia è il carattere principale; una dislocazione verso il
basso può verificarsi tra i 10 e i 25 anni di età;
o Omocistinuria: dislocazione verso il basso del cristallino, con perdita dell’accomodazione per danno
zonulare;
o Iperlisinemia: presente microsferofachia;
o Ectopia lentis familiare: non è associata a difetti sistemici;
o Aniridia: a volte associata ad ectopia lentis.
• Acquisita: Secondario a:
o Traumi (causa più comune)
o Macroftalmo
o Tumori uveali anteriore
o Ciclite cronica
o Cataratta prematura (le fibre zonulari tendono a indebolirsi e si rischia di andare incontro a
dislocazione)
o Sifilide
Ø Sublussazione→ il cristallino mantiene parzialmente i suoi rapporti anatomici. Sintomi: iridodonesi (tremolio
dell’iride), irregolare profondità della camera anteriore, mancato parallelismo tra sezione ottica della cornea e quella
della faccia anteriore del cristallino (visibile alla lampada a fessura).
Ø Lussazione:
- Anteriore = in camera anteriore → iridociclite e glaucoma secondario acuto
- Posteriore = nel vitreo → l’occhio diviene improvvisamente afachico( mancante di cristallino): oltre alla
correzione ipermetropica si rileva iridodonesi ed aumento della camera anteriore.

CATARATTA:

Epidemiologia: nei paesi meno industrializzati, come Africa, Asia, America Latina, la cataratta è di gran lunga la
maggior causa di cecità (AV<1/20). Si stima che circa 12-15 milioni di individui, per la maggior parte residenti nelle
aree sopra citate siano ciechi a causa della cataratta. Nel paesi industrializzati è la seconda causa di cecità legale
dopo la retinopatia diabetica.

Seppur gli studi epidemiologici sulla cataratta senile siano ormai numerosi e sempre più frequenti in letteratura,
risulta difficile confrontare i dati raccolti a causa delle differenze esistenti nelle metodologie diagnostiche e di
classificazione utilizzate le quali influiscono notevolmente sui risultati dello studio per quanto esso sia
statisticamente corretto.

Classificazioni: Si tratta di una opacizzazione del cristallino, può essere classificata per età di insorgenza
(Congenita; Infantile; Giovanile; Presenile; Senile), per eziologia (Traumatica; Metabolica; Tossica, Complicata),
morfologia (Capsulare; Sottocapsulare; Nucleare; Corticale), per maturità.

Nel definire una cataratta, quindi, si tiene conto di:


- Etiologia;
- Morfologia;
- Maturità;
- Età d’insorgenza.
Classificazione etiologica:
• Cat. Senile (sottocapsulare, nucleare, corticale);
• Cat. Traumatica (ferita perforante bulbare, contusione bulbare, radiazioni infrarossi e ionizzanti, shock elettrico);
• Cat. Metabolica (diabete, ipoglicemia, galattosemia –unica cataratta reversibile, nel neonato, eliminando dalla
dieta il galattosio-, malattia di Fabry, malattia di Wilson).
• Cat. Tossica (steroidi –infatti è un effetto collaterale, così come il galucoma, a lungo termine di chi segue terapie
cortisoniche es.trapianti-, clorpromazina, amiodarone, miotici);
• Cat. Complicata (uveite anteriore, malattie ereditarie retiniche e vitreoretiniche, miopia elevata si parla di
cataratta complicata se associata ad altre patologie, glaucoma, diabete, etc…);
• Cat. Secondaria ad infezioni materne (Rosolia, Toxoplasmosi, malattia citomegalica), fra le cause principali di
cataratta congenita, oltre all’uso di farmaci in gravidanza e metaboliche;
• Altre (farmaci in gravidanza, sindrome di Down, sindrome di Werner, distrofia miotonica, cataratta ereditaria,
etc..)

Classificazione morfologica:

• Capsulare;
• Sottocapsulare (sono quelle che determinano più velocemente un calo del visus a parità di opacità rispetto a
una cortico-nucleare) – fra le più frequenti;
• Nucleare – fra le più frequenti;
• Corticale – fra le più frequenti (generalmente sono cortico-nucleari, raro sia solo nucleare o solo corticale);
• Lamellare – spesso sono legate a opacità congenita (nell’immagine, le ultime due righe in basso sono tipici
quadri di cataratte congenite);
• Suturale;
• Totale – può dare la leucocoria (riflesso biancastro nel campo pupillare) come segno clinico classico; la
laucocoria è presente anche in cataratte non totali.

N.B. la leucocoria può essere data anche da retinoblastoma – tumore maligno più frequente in età pediatrica mentre
il melanoma maligno della coroide è il più diffuso in età adulta a livello oculare. Quindi c’è bisogno di effettuare
ecografia oculare per capire se si tratta di una lesione della cornea, cristallino, vitreo o retina così da differenziare di
quale patologia si tratta (cicatrice corneale, cataratta, retinoblastoma).

Classificazione per età d’insorgenza: La cataratta è fortemente associata all’età, infatti in popolazioni con età media
maggiore sarà maggiore l’incidenza di cataratta
• Congenita;
• Infantile;
• Giovanile;
• Presenile;
• Senile.

Classificazione per maturità:


• Cat. Immatura;
• Cat. Matura;
• Cat. Intumescente;
• Cat. Ipermatura;
• Cat. Morgagnana.
Più una cataratta è matura, più e dura. Un tempo, in età adulta, si aspettava la piena maturità per operare perché
l’intervento intracapsulare risultava più agevole con cataratta più dura. Dopo l’intervento i pazienti dovevano usare
una lente di potere elevato perché era molto limitato il recupero. Oggi la chirurgia è cambiata, si usano gli ultrasuoni
e conviene operare quando la cataratta non è troppo dura così da poterla liquefare più agevolmente (si opera intorno
ai 2-3/10 o prima se è necessario per il recupero delle funzioni lavorative del paziente –piloti, autisti, etc…-).

Quadro Clinico Cataratta: Nel considerare il quadro clinico, bisogna considerare i:


• Sintomi soggettivi - il paziente parlo di annebbiamento, il paziente potrebbe riferire di disturbi visivi recenti seppur
presente da tempo la cataratta anche perché non tutte le cataratte evolvono linearmente, hanno un’evoluzione a strappi
(sottocapsulari evolvono più velocemente, corticali più lenti, inizialmente possono portare solo miopia per variazione
della forma). Il paziente potrebbe lamentare di vedere giallognolo perché il cristallino risulta più opaco, in una cataratta
bilaterale, quando operato solo un lato, la differenza di colori sarà maggiormente percepita (chiudendo un occhio alla
volta);
• Sintomi morfologici - osservazione alla lampada a fessura;
• Sintomi funzionali - come calo del visus).

CATARATTA CONGENITA Opacità della lente presente alla nascita o sviluppatasi nei primissimi mesi di vita. È causa del
10-40% delle cecità infantili. NB: opacità congenite del cristallino → 0,4% dei neonati (nella maggioranza dei casi non sono
problematiche)

Cause
- Radiazioni, farmaci agenti nel I trimestre di gravidanza
- Malattie metaboliche (della madre o dell’embrione): es. galattosemia, ipotiroidismo, diabete gestazionale
- Infezioni della madre nei primi due trimestri di gravidanza (es. CMV, toxoplasma, rosolia)
- Malnutrizione materna in gravidanza
- Condizioni ereditarie
- Traumi meccanici: briglie amniotiche
Localizzazione
- Polare anteriore - Piramidale (formazione di fibre che si
- Polare posteriore dispongono le une sulle altre)
- Fusiforme (opacità che si estende dal polo - Pulverulento (opacità puntiformi)
anteriore a quello posteriore)

La diagnosi precoce è fondamentale al fine di scongiurare il rischio di AMBLIOPIA (mancato sviluppo della capacità
visiva) per privazione monolaterale dello stimolo visivo.
Segni e sintomi
• Clinici:
o Nistagmo: compare verso il 3° mese di vita; indice prognostico negativo.
o Strabismo precoce
o Leucocorie
• Comportamentali:
o Difficoltà di esplorazione dell’oggetto osservato dal bambino
o Segno digito-oculare di Franceschetti (il bambino comprime un occhio con le dita)
o Interruzione dello sviluppo psicomotorio
o Regressione delle capacità acquisite (forme tardive)
Diagnosi:
• Anamnesi familiare: ricerca delle possibili cause (infezione o assunzione di farmaci in gravidanza, cat. Ereditaria).
• Esame clinico oculare: interessamento mono o bilaterale, densità e morfologia della cataratta, patologie associate a carico
del segmento anteriore e posteriore (opacità corneali, microftalmo, glaucoma, vitreo primario, iperplastico persistente,
corioretinite, retinopatia rubeolica), funzione visiva (presenza o meno di fissazione centrale, nistagmo, strabismo – ci
possono essere alterazioni della motilità, esotropia nel monolaterale – occhio esotropico presenta cataratta-, nistagmo nel
bilaterale).
• Esame clinico generale: va posta particolare attenzione alle patologie associate (rosolia, difetti metabolici o biochimici,
ritardo mentale).
Terapia
→ Conservativa: ha lo scopo di migliorare la visione dell’occhio peggiore e di rieducare all’ampliopia.
→ Chirurgica: Consiste nell’asportazione del cristallino e la sostituzione con una lenta intraoculare o con lente a
contatto o con una correzione a tempiale. L’intervento deve essere il più precoce possibile quando le opacità sono
bilaterali e occupano completamente il campo pupillare; in caso contrario è opportuno rimandare l’intervento.
• Bilaterale avanzata: intervento entro poche settimane dalla nascita per rischio che l’occhio vada incontro ad ambliopia;
• Bilaterale immatura: intervento procrastinato in base all’acui0àt visiva;
• Monolaterale: sia la cataratta matura che un’afachia monolaterale non corretta favoriscono l’insorgenza di ambliopia.

Oggi si può introdurre un cristallino artificiale nell’occhio di un bambino. Essendo l’occhio ipermetrope, sarà necessario
sottoporre il bambino a diversi interventi chirurgici durante l’infanzia così da favorirne l’acuità visiva.

CATARATTE ACQUISITE

SENILE (forma più comune).


Fisiopatologia: Alterazione dei processi biochimici che mantengono la trasparenza del cristallino: ↓proteine solubili, ↓K+,
↑NaCl causano un accumulo di H2O tra le fibre corticali → discontinuità delle fibre lenticolare → imbibizione → opacamento
Clinica: Annebbiamento e riduzione lenta e progressiva dell’acuità visiva in assenza di dolore o altri segni di patologia
oculare. Negli stadi iniziali → possibile una riduzione del senso cromatico (frazione blu-violetto). Rara la presenza di diplopia
monoculare (ectopia lentis).
Varianti morfologiche
- Corticale: opacizzazione della porzione corticale ant o post. C’è una riduzione del visus e la pupilla ha un colore
grigiastro e non più nero.
In genere è bilaterale (anche se non contemporanea).
- Nucleare: meno frequente della forma precedente. Il pz lamenta, oltre alla riduzione del visus, un’accentuazione
dei disturbi con luce intensa a causa della miosi; inoltre si vede una miopia che insorge per l’aumentato indice di
rifrazione che fa sì che il pz riporti un miglioramento della visione da vicino.
- Sottocapsulare posteriore: la meno frequente ma tipica degli steroidi. Il calo visivo dipende dalla posizione delle
opacità (più sono centrali più incrociano l’asse ottico).

Stadi della cataratta


1. Cataratta iniziale/incipiente: interessamento di una parte limitata
2. Cataratta intumescente: cristallino ↑ di volume, camera anteriore ↓ in profondità (possibile glaucoma acuto)
3. Cataratta matura: il cristallino diminuisce di volume perché le fibre perdono acqua
4. Cataratta ipermatura: le fibre degenerano e si rammolliscono
5. Cataratta di Morgagni: il nucleo appare come un “sole rossiccio” o come un’ombra scura nel terzo inferiore
della pupilla

SINTOMATICA:
La più frequente è quella diabetica → opacità a “fiocco di neve”. L’iperglicemia porta alla formazione dei GAG che sarebbero
responsabili, tramite la via dei pioli, della coagulazione delle proteine lenticolari. Altre cause: galattosemie, stati prolungati
di ipotiroidismo, pz con dermatite atopica, distrofia di Steinert.

TRAUMATICA
Ferite perforanti bulbari, contusione bulbare, radiazioni infrarosse e ionizzanti, shock elettrico. In caso di perforazione la
rottura della capsual anteriore inevitabilmente comporta cataratta per rapida idrolisi del cristallino; invece nei traumi contusivi
comunque si può accellerare il processo che porta alla cataratta con un caratteristico aspetto a rosetta.
COMPLICATA
Risultato di un’affezione intrabulbare cronica (uveiti, glaucoma, distacco di retina, emorragie prolungate, tumore). La
causa più comune è l’iridociclite cronica.
METABOLICA
DM, ipoglicemia, galattosemie, malattia di Fabry (carenza di 2-galattosidasi-A), malattia di Wilson.
DA CORTICOSTEROIDI
Causa da medicamenti più comunemente responsabile di opacizzazioni sottocapsulari posteriori.
DA FENOTIAZINA
Opacità stellari bilaterali sottocapsulari anteriori. Altre manifestazioni correlate sono: pigmentazione dell’endotelio
corneale, atrofia dell’EPR (epitelio pigmentato retinico), retinopatia pigmentosa.
DA MIOTICI
Bromuro di demecario (inib. Colinesterasi)
Interruzione della terapia → riduzione/scomparsa dell’opacità
SECONDARIA
Dovuta ad una proliferazione delle cellule epiteliali dopo estrazione capsulare della cataratta. Si corregge con
capsulotomia di YAG-Laser (questa aumenta il rischio di distacco della retina) → il pz si posiziona davanti la lampada
a fessura, viene focalizzata in corrispondenza della capsula posteriore del cristallino e viene distrutta questa stessa.

NOTA SULLA LAMPADA A FESSURA


Consente di osservare:
Superficie anteriore della cornea Superficie anteriore del cristallino
Camera anteriore (in condizioni fisiologiche è virtuale) Superficie posteriore del cristallino
Terapia:
Indicazione: Non si opera sempre e subito, generalmente l’indicazione all’intervento esiste quando il visus misurato è
inferiore a 3-4/10.
Gestione preoperatoria del pz →date le altissime percentuali di successo dell’intervento adesso, a differenza di quanto si
faceva in passato, non si aspetta che la cataratta avanzi e già un’opacità lieve-moderata pone indicazione per l’intervento
chirurgico. È importante determinare il potere della lente intraoculare necessario per raggiungere la refrazione desiderata →
la BIOMETRIA prende in considerazione due parametri: cheratometria (misura della curvatura della superficie anteriore
della cornea) e lunghezza assiale antero-posteriore.
Limitazioni→ impongono rinvio/particolare cautela. Uveiti di recente guarigione, sinechie irido-capsulari, vaste opacità
corneali (la cheratoplastica dovrebbe precedere la correzione della cataratta), appiattimento della camera anteriore, glaucoma,
malattie sistemiche come DM, IPA (ipertensione arteriosa), emopatie.
Controindicazioni→ focolai infettivi degli annessi oculari, malattie infettive sistemiche (specie se in fase acuta),
glaucoma con marcata ipertrofia, occhio amaurotico (cieco).

Estrazione intracapsulare: l’intero cristallino è


rimosso con un criodo attraverso una larga apertura
sclero-corneale. Ormai è un’operazione obsoleta.
Svantaggi: impossibilità di impianto in camera
posteriore per l’assenza della capsula posteriore,
maggiore incidenza di complicanze per perdita di vitreo
o di rotture o distacchi retinico. Il cristallino artificiale si
colloca in camera anteriore.

Estrazione extracapsulare: prevede una capsulotomia


che permette la rimozione della parte interna (anteriore)
della cataratta attraverso un taglio chirurgico sufficiente.
La capsula posteriore è lasciata in situ con conseguente
impianto in camera posteriore del cristallino. Vantaggi:
conservazione del diaframma, la capsula posteriore.
Svantaggi: più difficile da eseguire e quindi elevata
incidenza di complicanze, attendere uno stato più
avanzato di cataratta, opacizzazione della capsula
posteriore in molti casi e necessità di un trattamento
YAG-laser (forma di facoemulsificazione) per eliminare l’opacizzazione.

Facoemulsificazione: . Tecnica più moderna e utilizzata. Prevede:


• Creazione di un tunnel corneale
• Un primo taglio corneale detto Capsuloressi curvilinea a livello della capsula anteriore del cristallino (2,5
mm) attraverso il quale si introduce una piccola sonda ad ultrasuoni (1,8 mm) con la quale si frammenta il
contenuto del cristallino;
• Contemporaneamente un’altra sonda aspira questo materiale lenticolare → si svuota il cristallino lasciando
solo la capsula posteriore (completamente trasparente)
• Si impianta una lente intraoculare (se il pz aveva un vizio refrattivo può essere reso emmetrope → recupero
superiore al 100%) e assicurare il tutto con materiale viscoelastico (silicone, idrogel ecc). NON SONO
NECESSARI PUNTI.
• Rimozione del materiale viscoelastico e della corticale residua. I materiali viscoelastici si distinuono in bassa
coesione, tendon a rimanere nell’occhio e devono essere ripuliti, o ad alta coesione, tendono essere mobilizzati
molto più rapidamente.
L’intervento dura 10’ e dopo 30’ il pz può essere dimesso; le complicanze sono rare.

Vantaggi: taglio piccolo, cicatrizzazione più breve, minore astigmatismo, stabilizzazione più rapida dello strato
refrattivo;

Svantaggi (più teorici che pratici): maggior incidenza di complicanze durante l’apprendimento, possibilità che nucleo-
corteccia e vitreo si mescolino con difficoltà nell’aspirazione, rischio di danno all’iride, impossibilità di utilizzo in
caso di sclerosi nucleare avanzata, costo dell’attrezzatura. Se cataratta troppo dura, l’uso di molti ultrasuoni aumenterà
la temperatura rischiando di danneggiare l’occhio.

Complicanze:
- Intraoperatorie→ rottura capsulare posteriore con perdita di vitreo; dislocazione posteriore della IOL
(lente intraoculare) con rischio di emorragia vitreale, distacco retina ed uveiti ed edema maculare;
migrazione posteriore dei frammenti del cristallino con rischio di glaucoma, uveite, distacco retina,
edema maculare.
- Post-operatorie precoci→ edema corneale, pervietà della ferita, prolasso irideo, endoftalmite batterica.
- Post-operatorie tardive→ opacizzazione della capsula posteriore (cataratta secondario), edema maculare
cistoide, distacco retinico, sindrome di contatto vitreale, sindrome da prolasso vitreale, sindrome del tramonto.
INFIAMMAZIONI DELLA SCLERA

EPISCLERITI

Caratteristiche generali: L’episclerite è un’infiammazione che colpisce il tessuto episclerale, ossia quel tessuto che
riveste la zona superficiale interposta tra la congiuntiva e la sclera. E’ spesso bilaterale, benigna e circoscritta. Presenta
un esordio acuta, caratterizzato da iperemia rosso brillante, non c’è particolare lacrimazione, il dolore è piuttosto
modesto rispetto alla sclerite il cui sintomo fondamentale è proprio il dolore.

Eziologia: Si tratta, come nel caso dell’uveite, di patologie a cavallo tra l’infiammazione e l’autoimmunità perché il
primo segno spesso riconduce all’insorgenza di un’artrite reumatoide; è importante, dunque, una consulenza
immunologica e reumatologica per escludere una patologia autoimmunitaria sistemica.

• 70% dei casi sconosciuta


• 5% collegata ad artrite reumatoide
• 10% infezioni sistemiche

Trattamento: Il trattamento è locale con steroidi e fans, ma è possibile trattarli anche con steroidi sistemici dal momento
in cui vengono riscontrate patologie immunologiche concomitanti.

SCLERITE

La sclerite è una patologia infiammatoria cronica, più rara dell’episclerite.

Clinica:
• Infiammazione ed edema dei tessuti scelerali
• Iniezione del plesso episclerare superficiale e profondo
• Dolore forte
• Lacrimazione importante
• Fotofobia
• Riduzione dell’acuità visiva

Classificazione:
• Anteriore, forme cliniche più comuni:
o Diffusa (60%) = benigna
o Nodulare = zona interpalpebrale, progredisce in 1/3 dei casi
o Necrotizzante.
• Posteriore forma clinica più rara legate a papillouveiti o a processi infiammatori dell’orbita e del nervo otttico.

La forma necrotizzante è la più distruttiva (complicanze 90% dei casi) ed è altamente suggestiva di malattie sistemiche;
mortalità a 5 anni del 2% se non si inizia terapia anti-infiammatoria.
INFIAMMAZIONI ASPECIFICHE DELL’ORBITA
(anche chiamate pseudotumor orbitario)

Le infiammazioni dell’orbita sono malattie a cavallo tra la patologia infettiva e autoimmune. Si definisce come una
infiammazione aspecifica con decorso acuto, subacuto o cronico e con caratteristiche anatomo-patologiche comuni,
senza cause infettive o neoplastiche o traumatiche dimostrabili.
- Specificheà sono più rare e possono essere legate alla granulomatosi di Wegener, alla sarcoidosi, alla
tubercolosi, possono essere secondarie a sinusiti etc.
- Aspecifiche (idiopatiche), più frequenti (non vi sono cause infettive, neoplastiche, traumatiche
dimostrabili). L’infiammazione orbitaria idiopatica è la malattia orbitaria più frequente dopo l’orbitopatia di
Graves e le malattie linfoproliferative.

Decorso:
- Acuto
- Subacuto
- Cronico

Clinica
- Esoftalmo: segno clinico principale, dovuto alla lesione espansiva con “effetto massa”; può essere:
o Congenito/acquisito
o Mono-/Bi- laterale
o Assile/non assile (o dislocato)àassile monolaterale fa pensare ad una patologia del nervo ottico o
ad un angioma cavernoso mentre il non assile ovvero il dislocato fa pensare ad una patologia della
ghiandola lacrimale che spinge l’occhio in basso e medialmente
o Pulsante (sincrono con il polso → generalmente fistola carotico cavernosa) /non pulasante
- Ptosi
- Chemosi (edema congiuntivale)
- Alterazioni della motilità e neuropatia ottica

La presentazione clinica è variabile a seconda della localizzazione, del grado di infiammazione e fibrosi,
dell’effetto massa. NB. in genere (ma NON esclusivamente) unilaterale.

Spesso non è facile distinguerle da un’orbitopatia di Graves (nell'orbitopatia di Graves la presentazione è di solito
bilaterale e più raramente unilaterale); talvolta possono shiftare verso forme neoplastiche di tipo linfomatoso.
Probabilmente sono una condizione borderline (un tempo definite psudotumor). Un tempo queste condizioni
venivano definite come pseudotumor: all’inizio del secolo scorso (1905, Birch-Hirschfeld) vi fu l’introduzione del
termine pseudotumor per indicare tutti i processi espansivi dell’orbita al di fuori delle lesioni neoplastiche, che
non erano neoplasie però potevano simularle. [Soltanto col successivo avvento della TAC si è potuto avere
l'inquadramento nosologico di molte patologie un tempo misconosciute].

Classificazioni:
Importante è la classificazione secondo Rootman (1988) che suddivide queste patologie in:
• Sindromi infiammatorie idiopatiche acute e subacute;
• Infiammazioni sclerosanti idiopatiche;
• Infiammazioni granulomatose non infettive idiopatiche.
Le più frequenti sono le infiammazioni idiopatiche acute e subacute.
Le sindromi infiammatorie idiopatiche in base alla localizzazione orbitaria si distinguono in:
• Anteriori
• Diffuse
• Apicali
• Miositiche (sono in particolare queste forme che possono essere confuse con l’orbitopatia di Graves)
• Lacrimali.
ANTERIORE:
• Presentazione clinica acuta o sub-acuta
• Dolore modicamente presente, segno tipico ma non esclusivo di queste sindromi infiammatorie orbitarie
• TC: massa a margini irregolari in rapporto con la sclera; estensione variabile fino al nervo ottico.
• Talvolta si associa a episodi di sclerite che possono coinvolgere l'orbita e il nervo ottico.

DIFFUSA: interessamento di tutta l’orbita


• Presentazione clinica acuta o sub-acuta: remittente o progressiva
• Dolore modicamente presente
• TC: lesione diffusa con aumento di densità dopo mdc.

APICALE: localizzazione all’apice dell’orbita. Potenzialmente pericolosi perchè possono coinvolgere più facilmente il
nervo ottico causando deficit visivi importanti.
• presentazione clinica sub-acuta o cronica
• dolore presente
• TC: infiltrazione irregolare dell’apice con possibile estensione lungo i muscoli o il nervo ottico. In questa forma
non è sufficiente la TC, ma spesso è necessaria una RMN con soppressione del grasso per poter visualizzare
meglio l’apice orbitario.

LACRIMALE:
• presentazione clinica acuta o sub-acuta
• dolore presente, con tumefazione
• TC: aumento di volume irregolare della ghiandola lacrimale e dei tessuti adiacenti.
Questa forma può simulare un carcinoma della ghiandola lacrimale o patologie linfoprolifeative (importante
diagnosi differenziale): se alla TAC si evidenzia erosione ossea saremo più portati a pensare ad una neoplasia,
se invece abbiamo dolore e tumefazione improvvisa è più probabile un processo infiammatorio. A tal proposito,
bisogna precisare che l’orbita non ha stazioni linfonodali, ma presenta tessuto linfoide che chiaramente può
essere interessato da lesioni linfoproliferative, specie il linfoma MALT, che è il più frequente.

MIOSITICA
• presentazione clinica acuta o sub-acuta
• dolore presente con i movimenti oculari
• TC: presentazione tipica perché, a differenza della orbitopatia di Graves (aumento di volume di tutti i muscoli
oculari estrinseci e in particolare del ventre muscolare) è interessato generalmente un solo muscolo, con
aumento di volume e rigonfiamento del tendine.
Ricapitolando d.d. infiammazione miositica- Graves: Nel Graves la malattia è tipicamente bilaterale con aumento
di volume del ventre muscolare di più muscoli oculari estrinseci, nell'infiammazione miositica la manifestazione è più
spesso unilaterale con ingrossamento di un solo muscolo a livello del tendine e dolore che tipicamente si estrinseca con
i movimenti oculari.
Terapia: La terapia si basa principalmente sull’utilizzo di cortisone, anche perché si è visto che spesso queste
infiammazioni aspecifiche sono a patogenesi autoimmune. Laddove con il cortisone non riusciamo ad ottenere una
restituito ad integrum o in caso di recidiva è necessario effettuare una biopsia escissionale per avere una diagnosi
istologica: è fondamentale escludere che si tratti di un processo neoplastico. Nel caso in cui la diagnosi istologica
confermi la infiammazione aspecifica la terapia, oltre al cortisone, prevede l’aggiunta di immunosoppressori,
radioterapia e, di recente, anche se off-label, anche di anticorpi (terapia biologica).
L’orbita si comporta come se fosse una grande articolazione: come sarà capitato ad ognuno di noi di avere dei fenomeni
infiammatori articolari che talvolta scompaiono senza terapia (o evolvono in maniera subdola), così può accadere a
livello orbitario.
UVEITI

Introduzione: Nell’ambito delle patologie autoimmuni dell’occhio il gruppo più importante è rappresentato dalle uveiti.
L’uveite è un processo infiammatorio a carico dell’uvea, ovvero la porzione della tonaca vascolare composta da: iride,
coroide e corpo ciliare. Si tratta di un danno endoteliale dei vasi oculari con rottura della barriera emato-oculare ed
essudazione di proteine e leucociti.
Epidemiologia Responsabili di circa il 10-15% dei casi di cecità nei paesi industrializzati (questa percentuale è in calo
non in maniera assoluta ma relativo dato l’aumento dei casi di cecità secondari a DMLEàin altri termini, tale riduzione
si è avuta non perché siano diminuite le uveiti, ma perché sono aumentate le cecità causate da Degenerazione Maculare
legata all’età, in rapporto all’incremento dell’età media della popolazione).
L’incidenza di uveite= 12-15/100000/anno (massima tra i 20-50 anni). Il rapporto tra uveiti anteriori e posteriori è di
3:1, quindi le uveiti anteriori sono più frequenti di quelle posteriori.

Inoltre le uveiti non costituiscono una entità unica: si conoscono oltre 50 tipi di uveite diversi per
• morfologia,
• alterazione funzionale,
• storia naturale,
• etiologia,
• patogenesi,
• complicanze,
• sensibilità o resistenza ai farmaci “soprattutto ma non necessariamente steroidei”

Non sempre si riesce ad arrivare a una diagnosi corretta, cioè spesso non si ha la sicurezza diagnostica nell’ambito di
questa patologia, perché talvolta si presentano dei quadri misti che pongono dubbi sul fatto che si tratti realmente di
uveite o di un’altra patologia. Va inoltre ricordato che è spesso recidivante (99%): raramente il problema si risolve
definitivamente alla prima insorgenza.

Eziologia: Si distinguono:
- Associata a malattie sistemiche (Bechet, MICI, IBS, Whipple, infezioni parassitarie, lue, AIDS,
gonorrea, TBC, GW, endocardite batterica, spondilite anchilosante, AR, LES, sarcoidosi, DM,
psoriasi, leucemie).
- Uveiti rientranti nell’ambito di patologie strettamente oculari.
- Ad eziologia ignota.
NB In passato la causa principale era rappresentata da foci infettivi vicino l’occhio; oggi invece sono le
malattie autoimmuni.

• Uveiti + Malattie sistemiche: 48% (*), 34% (**)


• Uveiti oculari specifiche: 23,9% (*), 27% (**)
• Etiologia sconosciuta: 27,4% (*), 39% (**)
(*)= Rothova, 1989
(**)= Pivetti, 1993

Associazione con malattie sistemiche: Molto frequentemente l’uveite si associa a malattie sistemiche. Le patologie
sistemiche associate ad uveite costituiscono un gruppo molto ampio ed estremamente variegato, che comprende da
patologie infettive a patologie dismetaboliche a patologie autoimmuni che possono riguardare molti apparati:

Orecchio, naso e gola


• Sinusiti infettive
• Tonsilliti
Denti
• Infezioni dentali-gengivali
• Afte orali (behcet)
Apparato gastrointestinale
• Ulcera peptica
• Infezioni parassitarie
• Morbo di Crohn
• Rettocolite ulcerosa
• Colon irritabile
• Salmonella e HLA-B27
• Stipsi cronica
• Morbo di Whipple
• Allergie alimentari
Apparato urogenitale
• Sifilide
• AIDS
• Gonorrea
• Chlamydia (S. Reiter)
• Vaginite (Trichomonas v.)
• IUD
• Cistite recidivante
Apparato cardiorespiratorio
• Tubercolosi
• Granulomatosi di Wegener
• Fumo di sigaretta
• Endocardite batterica
• Farmaci betabloccanti
Apparato osteoarticolare
• Spondilite anchilosante
• Artrite giovanile pauciarticolare
• Arterite reumatoide
• Artrite psoriasica
Cute
• Eczema infantile
• Psoriasi
• Eritema nodoso
• LES
• Orticaria
• Sarcoidosi
• Lebbra
Dismetabolismi
• Diabete mellito
Affezioni neurologiche e psichiatriche
• Sclerosi multipla
• Reticolosarcoma
• Sindrome depressiva
• Stress
• Behcet
Emopatie
• Leucemia
• Mieloma
Sindromi o complessi polisintomatici
• M.di Behcet
• S. Vogt-koyanagi-Harada
Classificazione
- Acuta/cronica, con possibile riacutizzazione
- ACUTA O CRONICA
• Molti casi di uveite anteriore: idiopatica, spondilite anchilosante, S. di Reiter, iridoclite
eterocromica di Fuchs.
• VKH (Vogt-Koyanagi-Harade)
• Toxoplasmosi
• Sindrome dei punti bianchi
• Necrosi retinica acuta
• Infezioni batteriche post chirurgiche
• Trauma

- CRONICA
• ARG
• Coroidopatia tipo Birdshot
• Coroidopatia serpiginosa
• Uveite tubercolare
• Uveite post chirurgica (propionibacterium acnes)
• Linfoma intraoculare
• Oftalmite simpatico
• Coroidite multifocale
• Sarcoidosi
• Uveite intermedia/ pars planite
- Eziologica→ infettive/autoimmuni (la maggior parte)à Un tempo c’era una grossa prevalenza della
componente infettiva, mentre oggi la gran parte delle uveiti è data da un disordine autoimmunitario.
- Granulomatosa/non granulomatosa
• GRANULOMATOSA:
- Sarcoidosi
- Oftalmite simpatica (diffusione anche all’occhio controlaterale attraverso il nervo ottico; come
trattamento si preferisce un evisceratio bulbis)
- Uveiti associate alla sclerosi multipla
- Corpi estranei intraoculari
- VKH
- Sifilide
- Tubercolosi
- Altri agenti infettivi
L’uveite granulomatosa è spesso associata a sclerosi multipla la quale come prima manifestazione può dare
neurite, diplopia o uveite.
- Unilaterale/bilaterale
- Esogene (infettive)/endogene (da flogosi interna dei tessuti periorbitari per contiguità o diffusione ematica.).

Clinica: In caso di uveite è fondamentale condurre una anamnesi molto accurata: è importante tenere in conto di età,
sesso, razza ed etnìa ad esempio, perché ci sono delle forme più frequenti in alcuni gruppi piuttosto che in altri; bisogna
inoltre valutare i sintomi (e se sono evidenti clinicamente), le risposte a eventuali terapie precedenti in caso di recidiva.
• Sintomi generali: dolore, fotofobia e deficit del visus
• Segni generali: miosi, calore, iperemia congiuntivale con iniezione pericheratica, edema (la cornea
viene imbibita da umor acqueo.

Localizzazione:

In base alla localizzazione, classifichiamo l’uveite in:


• Anteriore 60,6%
• Irite
• Ciclite anteriore
• Iridociclite (la più frequente)
• Intermedia 12.2%
• Ciclite posteriore (parsplanite)
• Ialite
• Retinocoroidite basale
• Posteriore 14.6%
• Coroidite focale, multifocale o diffusa
• Corioretinite
• Retinocoroidite
• Neuroretinite
• Panuveite 9,4%: quando è coinvolta l’uvea in toto

Le uveiti anteriori sono quindi le più frequenti, nettamente prevalenti rispetto alle intermedie e alle posteriori (che
hanno una incidenza piuttosto simile tra loro), mentre le panuveiti, fortunatamente, sono le meno frequenti.
UVEITI ANTERIORI

Cause § M. HLA B27 correlate


§ Idiopatiche § ARG
§ Spondilite anchilosante § Iridociclite eterocromica di Fuchs
§ S. di Reiter § Sarcoidosi
§ M. infiammatoria intestinale § Sifilide
§ Artrite psoriasica § Crisi glaucomatociclitiche
§ M. di Behcet § Masquerade syndrome

Clinica
- Dolore intenso (da spasmo del m. ciliare)
- Iperemiaà una delle cause di “occhio rosso” è appunto l’iridociclite
- Lacrimazione per irritazione dei nervi conreali ciliari
- Fotofobia
- Calo del visus (per precipitati corneali/opacizzazioni del cristallino/edema maculare reattivo). Una delle
complicanze è la cataratta, che viene identificata in questo caso come “cataratta complicata” in quanto si
associa ad un’altra patologia: l’intervento è spesso necessario, ma chiaramente è un intervento più
complesso rispetto a quello che interessa una cataratta normale.

Segni obiettivi rilevabili con la lampada a fessura:


• Congestione pericheratica (assente nella Fuchs);
• Tyndall positivoà diffrazione della luce per presenza di elementi corpuscolati in un mezzo ovvero
precipitati corneali (proteine a PM maggiore, normalmente c’è umor acqueo). Si distingue un Tyndall
umorale e uno cellulare
• Fibrina (irite plastica)
• Ipopion (raccolta di essudato infiammatorio purulento nella camera anteriore dell’occhio. E’ dovuto
a cause batteriche o a condizioni post-operatorie)
• Ipoema (raccolta di sangue nella camera anteriore dell’occhio, soprattutto nei casi di uveite traumatica)
• Piccole macchioline di opacità sull’endotelio corneale (superficie posteriore della cornea)
• La pupilla può mostrarsi irregolare a causa di un processo infiammatorio in seguito al quale si vengono a
formare delle aderenze irido-lenticolari, ovvero tra iride e cristallino. Se le aderenze sno a 360° parliamo di
seclusione pupillare: maggiori sono le aderenze e maggiori saranno le difficoltà dell’umor acqueo di
passare dalla camera posteriore alla camera anteriore, causando un aumento del tono oculare aumentando
di conseguenza la sensazione di dolore, dovuto essenzialmente allo spasmo del muscolo ciliare.
Con lo studio dell’iride si osservano:
ü Anomalie della forma (spesso legate a sinechie irido-lenticolari)
ü Congestione iridea
ü Capacità di dilatazione alterataà miosi (spasmo muscolo ciliare)
ü Vascolarizzazione iridea anomala
ü Neovascolarizzazione/pigmentazioni anomale a livello dell’angolo irido-corneale

Trattamento: Il trattamento prevede prima una somministrazione di cortisone sistemica e successivamente una
somministrazione locale; se c’è un’infezione batterica si somministrano antibiotici a largo spettro. La cosa importante è
che a livello locale si somministra un cicloplegico per ridurre lo spasmo del muscolo ciliare e quindi ridurre il dolore; i
cicloplegici, inoltre, sono anche dei midriatici e quindi hanno anche la funzione di rompere le aderenze irido-lenticolari.
Il trattamento sistemico, in questi casi, sarà gestito dall’immunologo o dal reumatologo, cercando di introdurre per
quanto possibile i farmaci biologici.
UVEITI INTERMEDIE:

Cause di uveite intermedia


• Sarcoidosi
• M. infiammatoria intestinale
• Sclerosi multipla
• M. di Lyme
• Ciclite posteriore (parsplanite, cioè infiammazione della pars plana: sono le più diffuse)

Le uveiti intermedie (le più frequenti sono le pars-planiti) sono caratterizzate da:
• Decorso subdolo ed insidioso: cronicizzano e si rivelano per lo più per le complicanze.
• Sintomi scarsi: miodesopsie (“mosche volanti”, non specifiche delle parsplaniti) annebbiamenti visivi.
• Sintomi obiettivi a livello periferico del fondo oculare: la cosiddetta maculopatia “cellophane” (cioè si osserva
una vera e propria membrana a livello maculare), la presenza di cellule infiammatorie vitreali, di essudati a palla
di neve o uova di formica mobili a livello ialoide posteriore. Tali essudati possono aumentare di volume, neo
vascolarizzarsi con emorragie retiniche. Il reperto più frequente è dato dalle cellule infiammatorie vitreali.
L’interessamento dei vasi può sfociare in una vera e propria vasculite retinica.

UVEITI POSTERIORI
Cause di uveite posteriore:
• Retiniti focali (toxoplasmosi, oncocerchiasi, cisticercosi, masquerade syndrome)
• Retiniti multifocali (sifilide, herpes simplex, citomegalovirus, sarcoidosi, masque rade
syndrome, infezioni da candida, meningococcosi)
• Coroiditi focali (toxocariasi, tubercolosi, nocardiosi, masquerade syndrome)
• Coroiditi multifocali (istoplasmosi, oftalmite simpatica, VKH, sarcoidosi, coroidite serpiginosa,
coroidopatia Birdshot, masquerade syndrome)

Le uveiti posteriori sono soprattutto su base infiammatoria. Spesso si associano a infezioni da Citomegalovirus
specialmente in pazienti immunodepressi, risultando dunque una delle complicanze più frequenti nei pazienti
con AIDS.

NB un esempio di uveite posteriore è la corioretinite evoluta da toxoplasmosi: una cicatrice a livello coroidale
che quanto più è vicina alla macula tanto più può dar luogo a deficit visivi.

Clinica
- Dolore legato allo stato infiammatorio meno diffuso rispetto alla uveite anteriore in cui lo spasmo del
muscolo ciliare fa da padrone
- Iperemia Fotofobia, Calo del visus
- Miodesopsie (Mosche volanti dovute ad addensamento umor vitreo, più evidenti se si fissa una
superficie chiara)
- Fotopsie (Flash o lampi luminosi, anche al buio e a occhi chiusi)
- Metamorfopsie (Oggetti deformati)
- Scotomi (Negativo: macchie nere. Positivo: macchie colorate o scintillanti)

Scotomi: deficit cioè area di cecità, parziale o completa, nel campo visivo; gli scotomi possono essere positivi o
negativi. Positivi quando il soggetto avverte il deficit del campo visivo, negativi quando pur essendo presente questo
deficit il paziente non lo avverte. Uno scotoma fisiologico è il punto di emergenza del nervo ottico.

Segni obiettivi:
• Alterazioni vitreali
• Edema retinico
• Emorragie
• Perivasculite
• Vitreite (non sempre presente)
PANUVEITE:
• Sifilide
• Sarcoidosi
• VKH
• Endoftalmiti infettive (la causa più drammatica di panuveite; a sua volta, una endoftalmite infettiva può essere
una complicanza post-chirurgica oppure una complicanza di una lesione coroideale che ha invaso tutto il
segmento anteriore e quello posteriore)
• M di Behcet
Ripeto: nessuno vi verrà a chiedere l’elenco delle cause: solo bisogna capire quali sono le situazioni più frequenti e
l’importanza della patologia in generale.
Si può avere uno scompaginamento tissutale tale da comportare cecità e talvolta bisogna ricorrere a evisceratio bulbis
dato il rischio per l’occhio controlaterale. Evisceratio bulbis: Consiste nello svuotare il contenuto del bulbo oculare
mentre si mantiene la sclera e l’inserzione dei muscoli oculari (migliore risultato estetico).
Presenta un quadro fluorangiografico di uveite diffusa con atrofia e cicatrizzazione dell’EPR post-uveite
(panuveite diffusa).

Panuveite post-chirurgica: si può essere costretti a procedere a chiusura d’emergenza in presenza di ferite
perforanti; può però essersi già verificata una contaminazione tissutale nell’ambito del trauma.

Diagnosi
1. EO
2. Esami di laboratorio: ↑VES e PCR (aspecifici), emocromo e formula leucocitaria alterati
3. Visita oculistica
4. Visita odontoiatrica (i foci da cui parte l’infezione possono essere a livello dei denti, per
comunicazioni tra seni mascellare, frontale e cavità orbitaria)
5. Visita urologica o ginecologica (per infezioni che possono dare secondariamente uveite)
6. Visita immuno-reumatologica

Terapia: L’approccio terapeutico è mirato a:


• Riduzione del dolore
• Antinfiammatori steroidei e non steroidei, sia locali che generalià il cortisone per eziologia vitale, ma
non va usato quando la febbre è alta perchè la blocca e impedisce di comprendere l’eziologia; FANS
sia locali che generali
• Antibiotici, Antivirali, Antimicotici, Antiparassitari (per le uveiti infettive)
• Decongestione iridea
• Cicloplegici come ciclopentolato (dato lo spasmo ciliare; Midriatici (valutando l’angolo ed il tono)
Nell’iridociclite (uveite anteriore) vi è lo spasmo ciliare, da qui la necessità di effettuare una terapia con
cicloplegici (atropina) sia per decongestionare l’iride che per ridurre il dolore.
• Riduzione del tono: Un altro segno clinico dell’uveite anteriore è l’ipertono secondario: laddove ci sono
aderenze irido-lenticolari molto estese si viene a determinare l’impossibilità per l’umore acqueo di passare dalla camera
posteriore a quella anteriore, per cui si può andare incontro a un ipertono secondario. L’atropina ha come effetto
principale quello di mettere a riposo il muscolo ciliare (e quindi ridurre il dolore) e di decongestionare l’iride: mettendo
a riposo il muscolo ciliare, essa riduce anche la produzione di umore acqueo, favorendo quindi la riduzione del tono.
L’atropina è, dunque, un ipotonizzante aspecifico: chiaramente, se c’è un tono molto elevato, ci si aiuta anche con
ipotonizzanti classici, che agiscono direttamente sul tono, quali
• Beta-bloccanti
• Alfa-bloccanti
• Analoghi delle prostaglandine-prostamidi
• Inibitori dell’anidrasi carbonica
• Mannitolo

Chemioantiboticoterapia: In caso di uveiti di tipo virale bisogna escludere, o comunque controllare con molta
attenzione, l’utilizzo del cortisone il quale, viceversa, è il farmaco di prima scelta nelle uveiti autoimmuni (a questo
possono associarsi immunosoppressori come CSS(ciclofosfamide)/AZP(azatioprina) o biologici(infliximab, rituximab).
In caso di virus erpetici va somministrato aciclovir ad alti dosaggi.
In caso di infezione batterica si possono usare in prima istanza antibiotici ad ampio spettro o, se si ha la possibilità di
isolare il germe responsabile (mediante prelievo dell’umore acqueo e coltura batterica), bisogna fare l’antibiogramma
ed usare l’antibiotico mirato.
Autoimmuni: In caso di uveiti autoimmuni la terapia cortisonica (per via sistemica) può essere abbinata ad
immunosoppressori, come la ciclosporina o l’azatiprina, controllando i dosaggi e gli effetti collaterali in collaborazione
con gli internisti.

Quindi, in sintesi, la terapia delle uveiti autoimmuni si avvale di:


• Cortisone (prima linea)
• Biopsia escissionale, per diagnosi istologica
• Immunosoppressori
• Terapia biologica (anticorpale), in epoca più recente
Anche per la terapia, quindi, è necessaria una stretta collaborazione tra oculista ed internista.

La terapia delle uveiti presuppone una giusta diagnosi, altrimenti può essere controproducente.
Il cortisone come farmaco di elezione per le uveiti deve essere somministrato sia per via generale che locale.

NOTE FINALI:
Un glaucoma neovascolare può essere dovuto a complicanze dell’uveite
L’uveite può invece essere una rara complicanza post-chirurgica di interventi sul segmento anteriore.
PANUVEITE:
• Sifilide
• Sarcoidosi
• VKH
• Endoftalmiti infettive (la causa più drammatica di panuveite; a sua volta, una endoftalmite infettiva può essere
una complicanza post-chirurgica oppure una complicanza di una lesione coroideale che ha invaso tutto il
segmento anteriore e quello posteriore)
• M di Behcet
Ripeto: nessuno vi verrà a chiedere l’elenco delle cause: solo bisogna capire quali sono le situazioni più frequenti e
l’importanza della patologia in generale.
Si può avere uno scompaginamento tissutale tale da comportare cecità e talvolta bisogna ricorrere a evisceratio bulbis
dato il rischio per l’occhio controlaterale. Evisceratio bulbis: Consiste nello svuotare il contenuto del bulbo oculare
mentre si mantiene la sclera e l’inserzione dei muscoli oculari (migliore risultato estetico).
Presenta un quadro fluorangiografico di uveite diffusa con atrofia e cicatrizzazione dell’EPR post-uveite
(panuveite diffusa).

Panuveite post-chirurgica: si può essere costretti a procedere a chiusura d’emergenza in presenza di ferite
perforanti; può però essersi già verificata una contaminazione tissutale nell’ambito del trauma.

Diagnosi
1. EO
2. Esami di laboratorio: ↑VES e PCR (aspecifici), emocromo e formula leucocitaria alterati
3. Visita oculistica
4. Visita odontoiatrica (i foci da cui parte l’infezione possono essere a livello dei denti, per
comunicazioni tra seni mascellare, frontale e cavità orbitaria)
5. Visita urologica o ginecologica (per infezioni che possono dare secondariamente uveite)
6. Visita immuno-reumatologica

Terapia: L’approccio terapeutico è mirato a:


• Riduzione del dolore
• Antinfiammatori steroidei e non steroidei, sia locali che generalià il cortisone per eziologia vitale, ma
non va usato quando la febbre è alta perchè la blocca e impedisce di comprendere l’eziologia; FANS
sia locali che generali
• Antibiotici, Antivirali, Antimicotici, Antiparassitari (per le uveiti infettive)
• Decongestione iridea
• Cicloplegici come ciclopentolato (dato lo spasmo ciliare; Midriatici (valutando l’angolo ed il tono)
Nell’iridociclite (uveite anteriore) vi è lo spasmo ciliare, da qui la necessità di effettuare una terapia con
cicloplegici (atropina) sia per decongestionare l’iride che per ridurre il dolore.
• Riduzione del tono: Un altro segno clinico dell’uveite anteriore è l’ipertono secondario: laddove ci sono
aderenze irido-lenticolari molto estese si viene a determinare l’impossibilità per l’umore acqueo di passare dalla camera
posteriore a quella anteriore, per cui si può andare incontro a un ipertono secondario. L’atropina ha come effetto
principale quello di mettere a riposo il muscolo ciliare (e quindi ridurre il dolore) e di decongestionare l’iride: mettendo
a riposo il muscolo ciliare, essa riduce anche la produzione di umore acqueo, favorendo quindi la riduzione del tono.
L’atropina è, dunque, un ipotonizzante aspecifico: chiaramente, se c’è un tono molto elevato, ci si aiuta anche con
ipotonizzanti classici, che agiscono direttamente sul tono, quali
• Beta-bloccanti
• Alfa-bloccanti
• Analoghi delle prostaglandine-prostamidi
• Inibitori dell’anidrasi carbonica
• Mannitolo

Chemioantiboticoterapia: In caso di uveiti di tipo virale bisogna escludere, o comunque controllare con molta
attenzione, l’utilizzo del cortisone il quale, viceversa, è il farmaco di prima scelta nelle uveiti autoimmuni (a questo
possono associarsi immunosoppressori come CSS(ciclofosfamide)/AZP(azatioprina) o biologici(infliximab, rituximab).
In caso di virus erpetici va somministrato aciclovir ad alti dosaggi.
In caso di infezione batterica si possono usare in prima istanza antibiotici ad ampio spettro o, se si ha la possibilità di
isolare il germe responsabile (mediante prelievo dell’umore acqueo e coltura batterica), bisogna fare l’antibiogramma
ed usare l’antibiotico mirato.

Autoimmuni: In caso di uveiti autoimmuni la terapia cortisonica (per via sistemica) può essere abbinata ad
immunosoppressori, come la ciclosporina o l’azatiprina, controllando i dosaggi e gli effetti collaterali in collaborazione
con gli internisti.

Quindi, in sintesi, la terapia delle uveiti autoimmuni si avvale di:


• Cortisone (prima linea)
• Biopsia escissionale, per diagnosi istologica
• Immunosoppressori
• Terapia biologica (anticorpale), in epoca più recente
Anche per la terapia, quindi, è necessaria una stretta collaborazione tra oculista ed internista.

La terapia delle uveiti presuppone una giusta diagnosi, altrimenti può essere controproducente.
Il cortisone come farmaco di elezione per le uveiti deve essere somministrato sia per via generale che locale.

NOTE FINALI:
Un glaucoma neovascolare può essere dovuto a complicanze dell’uveite
L’uveite può invece essere una rara complicanza post-chirurgica di interventi sul segmento anteriore.
PATOLOGIA INFIAMMATORIA OCULARE

1-PALPEBRA:

Nella palpebra anatomo-chirurgicamente si distinguono due foglietti: quello anteriore (cutaneo o muscolare) e quello
posteriore (tarsocongiuntivale). Si tratta di una struttura estremamente ricca di ghiandole:
- Ghiandole di Meibomio, ghiandole lacrimali tarsali che producono la componente lipidica delle lacrime.
- Ghiandole di Zeis, ghiandole sebacee delle palpebre, che si associano ai follicoli piliferi delle ciglia.
- Ghiandole di Moll, ghiandole sudoripare delle palpebre, che si associano ai follicoli piliferi delle ciglia.
Spesso, proprio l’interessamento di queste ghiandole è la causa della patologia infiammatoria palpebrale.

ORZAIOLO: L'orzaiolo è un'infiammazione acuta delle ghiandole sebacee alla base delle ciglia. È generalmente causato da
una infezione batterica da stafilococco. Può essere:
- Esterno → suppurazione della ghiandola di Zeis (sebacea posta tra le ciglia);
- Interno → suppurazione della ghiandola di Meibonio (sebacea in porzione tarsale delle palpebre).

Clinica: Rigonfiamento nella palpebra che si accompagna a dolore intenso.


Terapia: Impacchi caldo-umidi, antibiotici, pulizia della regione

CALAZIO: È una cisti (precisamente un lipogranuloma) localizzata nella palpebrae dovuta all'infiammazione cronica della
ghiandola di Meibomio a causa dell'ostruzione del dotto escretore della stessa.

Clinica
- Segni dell’infiammazione in fase acuta (dolor, calor, rubor, tumor),
- Cisti granulomatosa (dolorosa → in fase acuta; non dolorosa → in fase cronica).

Terapia
1. Nella fase acuta ha ancora una certa valenza la terapia farmacologica → il cortisonico più che l’antibiotico;
2. Nella fase cronica (si è formato il granuloma vero e proprio) la terapia è solo chirurgica → incisione
orizzontale esterna o verticale congiuntivale.

BLEFARITE Infiammazione del margine palpebrale caratterizzata da: iperemia, tumefazione, squame e detriti adiposi
(untuosi). Le blefariti posso essere infettive (S.epidermidis, , S.aureus, HSV, HZV).
Si divide in:
- Anteriore → più frequente e benigna; dovuta a malfunzionamento della ghiandola di Zeis, spesso si
accompagna ad un vizio di rifrazione non corretto.
- Posteriore → in genere legato a malfunzionamento della ghiandola di Meibonio

2-CONGIUNTIVA

La congiuntiva è una membrana sierosa che riveste la superficie delle palpebre e il bulbo oculare anteriore → quando le
palpebre si chiudono la congiuntiva palpebrale scivola su quella bulbare con l’ausilio del film lacrimale e lo distribuisce sulla
sclera.

PTERIGIO: Proliferazione triangolare della congiuntiva, ricca di vasi, che partendo dalla regione palpebrale della
congiuntiva bulbare invade la cornea aderendovi saldamente.
L’eziologia è ignota; spesso è dovuto a stimoli irritativi di varia natura es. sabbia, vento, luce solare, ripetuti nel
tempo). Soggetti a rischio sono muratori, marinai, contadini.
Non è una patologia infettiva ma può andare incontro a recrudescenza a seguito di infiammazioni.
Complicanze: Tende a progredire verso il centro della cornea e a provocare astigmatismo; può interferire anche pesantemente
quando è centrale.
Terapia: È problematica poiché la patogenesi è ignota. Il trattamento è chirurgico (escissione) e si effettua quando si alterano
le capacità visive; tuttavia non è sempre risolutivo date le frequenti recidive.
CONGIUNTIVITI: Le congiuntiviti sono fenomeni infiammatori a carico della congiuntiva con:
• Bruciore e prurito
• Edema palpebrale e coniuntivale
• Iperemia congiuntivale
• Calore
• Ipersecrezione lacrimale
• Sensazione di corpo estraneo

Classificazione
- Clinica: catarrale, sierosa, purulenta, membranosa, secca.
- Eziologica: infettiva, non infettiva (allergica, reattiva).
- Temporale: acuta, subacuta, cronica.

• CONGIUNTIVITE BATTERICHE: Infiammazioni della congiuntiva provocate da batteri che sul piano patogenetico e
sintomatologico si distinguono in:
- Catarrali → haemophilus, pneumococco;
- Sierose; S. epidermidis = 75-90%
- Purulente → stafilococco, streptococco e gonococco; Corynebacterium = 20-75%
S. aureus
- Membranose → corinebacterium.

A livello della congiuntiva vi è una flora commensale che, in condizioni particolari (come la ridotta produzione di lisozima), può
dare infezioni opportunistiche. La congiuntivite batterica può essere primitiva o secondaria a processi infiammatori delle vie
lacrimali.

Diagnosi
• Anamnesi: occhi colpiti simultaneamente/a distanza di massimo 12-24h l’uno dall’altro (DD con forme virali che sono
spesso monolaterali)
• Clinica: iperemia congiuntivale, secrezione abbondante, sensazione di corpo estraneo, bruciore, edema palpebrale,
fotofobia.

Terapia: Si parte con una terapia antibiotica empirica (aspettare il responso dell’antibiogramma imporrebbe un ritardo troppo
importante all’inizio della terapia); antibiotici dopo antibiogramma nelle forme croniche o recidivanti. Nb → in caso di terapia
antibiotica (in tutte le forme batteriche) mai bendare l’occhio (garantire lo scolo delle secrezioni).

Congiuntivite Gonococcica: In passato era frequente causa di cecità nei bambini (il gonococco causa facilmente perforazione
corneale). Profilassi alla Credè: da fare nel giro di qualche ora dalla nascita → nitrato d’argento.

Congiuntivite Membranosa: Oggi è rara e il germe responsabile è C. difteriae. Una membrana bianca densa (aderente e difficile
da asportare) ricopre la palpebra superiore e scende sulla congiuntiva bulbare rendendo impossibile la visione membrana.

• CONGIUNTIVITI VIRALIà vedi cheratiti virali, si parla infatti di cheratocongiuntiviti perché non sono mai
congiuntiviti semplici, in quanto il virus si estende alla cornea e non solo alla congiuntiva.

• CONGIUNTIVITI MICOTICHEà vedi cheratiti, si parla anche qui di cheratoconiuntiviti.

• CONGIUNTIVITE FLITTENULARE: Forma non infettiva da rimandare probabilmente ad ipersensibilità e tossine


batteriche endogene in soggetti (in genere bambini) con diatesi linfatica.
Si formano bolle congiuntivali; da temere l’interessamento corneale, anche dopo le recidive (frequente nei mesi
invernali) in concomitanza con malattie dell’apparato respiratorio, dove vengono prodotte queste tossine.
Terapia→ steroidi, trattamento delle infezioni concomitanti.

• CONGIUNTIVITE ALLERGICHE: Forme stagionali (più comuni, legate all’impollinazione nei periodi
primaverili/autunnali) e forme perenni (legate ai microclimi ambientali, nell’80% dei casi ci sono aggravamenti
stagionali). Colpiscono qualsiasi età con sintomi bilaterali di:
- Prurito (segno specifico)
- Chemosi pallida
- Edema periorbitale fino alla chiusura delle palpebre Possono essere:
- Atopiche (Tipo I),
- Da Farmaci,
- Primaverili (Tipo III),
- Lacrimazione
- Fotofobia

La gravità della sintomatologia è legata all’intensità dell’esposizione.


Altri segni: essudato biancastro, storia di atopia all’anamnesi, raro coinvolgimento corneale.
- Nella palpebra inferiore ci sono spesso follicoli → iperplasia → noduli (dd ipetrofia papillare).
- Nella palpebra superiore l’ipertrofia dei vasi perpendicolari alla superficie congiuntivale può portare a papille
(“congiuntiva ad acciottolato romano” → definite anche congiuntivite gigantocellulare) visibile al ribaltamento
della palpebra.
La presenza contemporanea di follicoli e papille fornisce diagnosi di certezza.

Terapia delle c. allergiche


- Terapia desensibilizzante delle vie respiratorie → forme secondarie a processi allergici respiratori.
- Terapia desensibilizzante → forme gravi.
- Antistaminico collirio/cortisone topico (casi più gravi) per 1-2 giorni → forme da contatto.
- Cromoglicato di sodio, eliminazione dell’allergene, antistaminico/cortisone → forme stagionali.
- Crioterapia → ulcere corneali.

Congiuntivite Primaverile: Eziologia ignota, forse rimandabile ad una sensibilizzazione alla luce solare. Colpisce i soggetti
tra 5-6 e 13-14 anni. Il soggetto ha intensa ipertrofia papillare con aspetto acciottolato e presenta uno strofinamento
estremamente fastidioso con intensa fotofobia che predomina il quadro sintomatologico.
Nei casi gravi si hanno alterazioni del limbus (punto di passaggio tra sclera e cornea) e formazione di aree di opacizzazione
fino a ulcere a scudo a livello corneale (lo “scudo” è la grossa copertura dei linfatici al di sopra della cornea).
Cheratite Atopica: Patologia persistente a carico delle palpebre con peggioramento stagionale. Insogenza in giovane età
(M>F). Sintomi: prurito, bruciore, lacrimazione, sensazione di sabbia negli occhi, possibili problemi del visus. È correlata a
dermatite atopica (15-40% dei pz) → maggiore incidenza di cataratta.

3-CORNEA:

La tonaca fibrosa dell’occhio è costituita posteriormente dalla sclera e anteriormente dalla cornea. La cornea è trasparente,
assolutamente avascolare e si continua con la sclera a livello del limbus sclero-corneale. essa è costituita da 5 strati che
dall’esterno all’interno sono:
1. Epitelio pavimentoso pluristratificatoà a rapida rigenerazione: entro 24-72h permette la restitutio ad integrum.
2. Membrana di Bowman
3. Stroma
4. Membrana di Descemet
5. Endotelioàcostituito da cellule perenni che quindi non si rigenerano in caso di danno. Quello che accade è invece
una ipertrofia delle cellule per occupare gli spazi lasciati vuoti. Chiaramente l’ipertrofia ha dei limiti. Quando il
danno diventa graveàendoteliteàscompenso corneale.

La cornea è rivestita da:


- Congiuntiva, col suo epitelio pluristratificato,
- Film lacrimale, sua volta costituito da 3 strati strato acquoso, strato lipidico (sebaceo), strato mucoso.
Il film lacrimale ha una funzione di idratazione ed è il primo fattore di protezione dell’occhio→una sua
alterazionepuò creare un danno a tutto l’occhio. Grazie all’ammiccamento, il film viene distribuito a tutta la superficie
corneale.

Le CHERATITI sono infiammazioni che interessano il tessuto corneale caratterizzate da:


- Iperemia,
- Iniezione pericheratica
Rientrano infatti nelal SINDROME DELL’OCCHIO ROSSO di cui fanno parte cheratiti, coniuntiviti, scleriti, uveiti e attaco
di glaucoma acuto.
- Fotofobia,
- Lacrimazione
- Dolore, costante ed intenso → la cornea è delicata, spicolata, trasparente ma è ricca di terminazioni nervose. Esso
è talmente significativo, che ci sono forme di ulcere corneali in cui il dolore viene lenito solo dalla morfina.
Patogenesi: In genere al livello corneale si forma un’area grigiastra a margini sfumati, e in genere c’è una caduta di ampi
lembi epitelio corneale. Compaiono lesioni multiple e ciò può evolvere nella formazione di una vera e propria ulcera corneale.
Classificazione:
In base all’EVOLUZIONE TEMPORALE distinguono:
• Forme acute
• Forme croniche
Spesso sono di tipo allergico → segno clinico caratteristico è il prurito.

In base all’ EZIOLOGIA distinguiamo forme infettive e non infettive


In base alla TOPOGRAFIA le cheratiti sono distinguibili in:
• Superficiali interessano l’epitelio, la membrana di Bowman e gli strati anteriori del parenchima corneale (fino allo
stroma),
o diffusa
o punctata superficiale epidemica

• Profonde → il coinvolgimento dell’endotelio configura una cherato-endotelite.


o cherato-endoteliali infiammatorie
o cheratiti profonde suppurative

• Ulcere corneali:
o cheratoipopion
o ulcere marginali corneali
o ulcere di Mooren

È importante differenziare tra superficiale e profonda perché, ricordando i cinque strati, una lesione che interessa l’epitelio
pavimentoso stratificato e la membrana di Bowman superficialmente può risolversi in una restitutio ad integrum una volta
vinto il processo infiammatorio. Più si va in profondità, quindi più si va ad intaccare lo stroma, e più è probabile che si abbia
una guarigione dal processo infiammatorio ma non più con una restitutio ad integrum, bensì con un esito cicatriziale. Esiti
cicatriziali si definiscono in due modi:
• nubecole, cicatrici visibili soltanto con lampada a fessura, quindi attraverso un’apparecchiatura, uno strumento
necessario oftalmico;
• leucomi, cicatrici corneali visibili ad occhio nudo (da leucos: bianco). Laddove c’è un leucoma pensiamo subito
all’esito di un processo infiammatorio che ha intaccato necessariamente lo stroma.

CHERATITI SUPERFICIALI: Si tratta di processo flogistico circoscritto all’epitelio, alla capsula di Bowman e agli strati
anteriori del parenchima e allo stroma. Le cheratiti superficiali possono essere divise in: diffuse e punctata superficiale
epidemica.
• Diffuse: In genere sono quelle sotto forme batteriche e spesso si associano ad un episodio congiuntivale: da qui l’idea
di cherato-congiuntivite (è possibile che in un processo cheratitico sia coinvolta la congiuntiva così come un processo
congiuntivale possa causare una cheratite). Quelle croniche possono avere una causa di tipo allergico, oltre a quella
batterica, anche se non sempre si riesce su quelle croniche a capire l’agente eziologico.
Clinica: aria grigiastra a margini sfumati e a sede superficiale. Successivamente per la caduta dei lembi di epitelio
corneale compaiono delle erosioni. L’edema può estendersi agli strati anteriori del parenchima corneale favorendo
la comparsa di una vera e propria ulcera corneale. L’ulcera corneale superficiale o profonda predispone all’instaurarsi
di un processo infettivo. Per ulcera corneale, superficiale e profonda, si intende una lesione a carico del parenchima.
È uno dei segni che spesso può associarsi, non necessariamente, all’uso di lenti a contatto per una disepitelizzazione.
Questo non vuol dire che ci sia un processo infiammatorio, ma solo un danno meccanico, in questo caso facilmente
riparabile.
• Punctata superficiale: La lesione è costituita da opacità puntiformi che compaiono negli strati superficiali della
cornea (non supera lo stroma) monolateralmente o bilateralmente. È diffusa e spesso associata a congiuntivite
(cherato-congiuntivite). La sua origine è legata a processi infettivi specialmente, ma non solo, di tipo virale. Questo
è importante perché da un punto di vista terapeutico mentre su quelle batteriche è evidente come il trattamento sia
fondamentalmente di tipo antibiotico, in questi casi, nelle cheratiti superficiali, essendo virali, il trattamento in genere
è fondamentalmente di tipo cortisonico, il cui assorbimento è favorito dalla disepitelizzazione. Il cortisone aumenta
il tono oculare (PIO) e teoricamente uno penserebbe che sia controindicato. Ma nel caso specifico è un trattamento
di elezione proprio perché il cortisonico, in assenza di un antivirale specifico, è una delle migliori armi che abbiamo
da un punto di vista terapeutico. Quindi, sotto controllo dell’oculista, c’è l’indicazione al trattamento cortisonico
locale anche perché se non curate, possono evolvere in forme profonde.
CHERATITI PROFONDE: Sono quelle più pericolose, come è intuibile. Talvolta sono anche esiti di un uso improprio di
una lente a contatto che si è infettata e che può determinare problemi, ma spesso sono esiti di processi infiammatori
importanti, quindi queste possono comportare più facilmente dei danni corneali importanti e talvolta, in alcuni casi, si può
richiedere, nell’evoluzione della malattia, la necessità di un vero e proprio trapianto di cornea nel caso di esiti cicatriziali
invalidanti.
v Cherato-endoteliali infiammatorie:
§ Cheratite disciforme
§ Cheratite a settore
§ Cheratite profonda diffusa
v Cheratiti profonde suppurative:
§ Ascesso corneale centrale
§ Ascesso anulare della cornea

Cheratite disciforme: È la cherato-endotelite profonda più frequente e viene definita “disciforme” per la presenza di un
disco centrale/paracentrale di varia origine. Ha di solito un’origine virale, anche se non sono rare forme batteriche o allergiche
o tossiche. Generalmente è monolaterale e provoca edema corneale. Si rilevano in genere processi flogistici corneali a sede
parenchimale, associati costantemente ad interessamenti infiammatori dell’endotelio (e questo è un problema perché
l’endotelio è costituito da cellule perenni che non si rigenerano) o uveite anteriore (portando forte dolore).

Nell’intervento di cataratta, per es., si utilizza il facoemulsificatore, uno strumento ad ultrasuoni che può a ledere anche le
cellule endoteliali. Quando una cataratta è particolarmente dura, crepacea, quindi una cataratta di vecchia data, si è costretti
ad utilizzare una potenza maggiore di ultrasuoni e questo può portare a lesioni delle cellule endoteliali. Chiaramente essendo
cellule perenni nel caso lì può favorire l’instaurarsi di processi infiammatori oppure talvolta, poiché è una complicanza
traumatica, il processo settico può insorgere in seguito. Raramente succede, ma se nel corso dell’intervento si è venuti meno
alla sterilità, si può andare in contro ad un episodio drammatico quale una cheratite suppurativa o profonda che può portare
persino a danni irreversibili. Può essere legata a traumi perforanti in cui suturi il bulbo ma non hai la possibilità di essere
sicuro che il trauma non abbia causato processi suppurativi, ossia una endoftalmite, cioè un processo settico a carico del
bulbo oculare che generalmente coinvolge tutte le strutture ma che talvolta può essere localizzata o al vitreo o soltanto alla
cornea.

Clinica: ampia area tondeggiante opalescente corrispondente ad un edema corneale a sede centrale o paracentrale. In tale
zona l’edema fa sì che la cornea si imbibisca e raggiunga spessori anche importanti.

In genere cosa vediamo alla lampada a fessura? La presenza di processi dell’infiammazione dei residui endoteliali che sono
un segno classico tipico anche dell’uveite; in più anche processi infiammatori a carico delle strutture endoteliali profonde, a
carico dell’endotelio. Nelle uveiti anteriori sono segni presenti pressoché sempre. Laddove lo stesso processo suppurativo
nell’endotelio si accompagni a dolore, questo è un classico sintomo dell’uveite. Il dolore è dovuto a uno spasmo del muscolo
ciliare; laddove in un quadro di endotelite sia presente dolore importante, il sospetto che possa trattarsi di una patologia
complicante in un’uveite è frequente.

La terapia si basa sull’uso di antibiotici (dato il rischio di sovrainfezioni) sia locali che sistemici.

Cheratite a settore: Le cheratiti a settore sono in genere caratteristiche soprattutto dell’Herpes Zoster, quindi sono
soprattutto di origine virale, ma può essere anche di origine batterica o allergica. L’infiltrazione corneale è circoscritta ad un
settore della cornea e per questo è definita a settore. Ha forma triangolare base limbus (il limbus è quella zona di confine tra
la congiuntiva e la cornea) e l’apice al centro. L’evoluzione è in genere lenta.

Profonda diffusa: L’edema corneale e l’endotelio-Deschemettite (spesso i processi infiammatori profondi coinvolgono
facilmente l’endotelio e la membrana di Deschemet, perciò si parla di endotelio-Deschemettite, è facile che siano coinvolte
tutte e due le strutture) interessano quindi tutta la cornea. In genere è virale o allergica e può essere bilaterale. È facile che
possa essere una complicanza drammatica di mancanza di asepsi durante un intervento chirurgico a bulbo aperto.

Ascesso corneale centrale (cheratiti profonde suppurative): Iniziale infiltrazione a margini sfumati nella porzione centrale
della cornea; seguono l’interessamento uveale e la formazione di un ascesso corneale centrale con raccolta di materiale
purulento che può spingersi in camera anteriore ed aprirsi meccanicamente in esse (ipopion) → uveite anteriore (atropina +
cicloplegici) a carico del bulbo oculare e possibile perdita della funzionalità dell’occhio. Sono dei processi flogistici corneali
che portano a morte del tessuto interessato e alla perdita dell’occhio, proprio perché a seguito di un ascesso corneale centrale
è facile che si possa avere addirittura una perforazione corneale, con tutte le complicanze che possono derivare. Gli ascessi
corneali di questo genere talvolta sono complicanze drammatiche di un uso improprio di lenti a contatto. Non vuol dire che
non si devono usare. Tuttavia a volte si va al mare e ci si tuffa, ma il mare non è sempre pulito e fin dalla serata può palesarsi
subito una patologia grave. Quindi anche un uso improprio di un mezzo proprio può determinare l’insorgenza di una patologia
importante.

Ascesso anulare della cornea: Consegue perlopiù a una ferita perforante a 10-11gg. L’agente infettante è sempre un batterio,
lo Pseudomonas aeruginosa; è una delle complicanze drammatiche delle patologie a bulbo aperto. Sono rarissime, ma talvolta
capita che un intervento di catarattaà spesso basta un errore nel processo di sterilizzazione dei ferri da provocare un evento
drammatico. Ecco perché va mostrata massima attenzione per i protocolli e le procedure. Comporta: edema corneale, uveite,
anello giallastro rilevabile a livello della cornea.

ULCERE CORNEALI: Perdita di sostanza dovuta a lesione (anche minima) dell’epitelio corneale attraverso cui penetrano
soprattutto batteri; a questa penetrazione fa seguito un infiltrato corneale. L’infiltrato infiammatorio quanto più è superficiale
tanto più facilmente guarisce e dà restitutio ad integrum. Più è profondo e più guarisce con esiti: nubecola (visibile solo
strumentalmente) o leucoma (visibile ad occhio nudo). Più è profonda e più quest’ulcera può andare in contro a perdita di
tessuto con danni maggiori e maggior dolore. Talvolta come esito raro, ma può succedere, può aversi uno sfiancamento della
cornea, un cheratocono, che in genere è una patologia a se stante, indipendente dal processo infiammatorio che però può
essere un esito di ulcere molto profonde. In genere il cheratocono è una patologia legata allo sfiancamento: la cornea perde
la sua sfericità e assume una forma conica. La sfericità è una delle caratteristiche fondamentali per considerarlo nell’ambito
del diottro oculare.

• Disepitelializzazioni Semplici si risolvono anche spontaneamente o con sostituti lacrimali;

• Ulcere Superficiali si risolvono con un’adeguata terapia → l’ulcera diventerà un’ulcera detersa con comparsa
di trasparenza e guarigione.

• Ulcere Profonde se interessano significativamente lo stroma si può avere guarigione con perdita di
parenchima e quindi formazione di una cicatrice e leucoma corneale.
Leucoma è un tessuto cicatriziale che incide sulla funzione dell’occhio in base alle sue dimensioni, densità ed
estensione in profondità. Se il danno cellulare è stato molto ampio si può andare incontro a scompenso corneale.
DD: Nubecola → si differenzia dal leucoma per il fatto che non si individua ad occhio nudo ma con la lampada
a fessura.
• Perforazione Corneale si osserva quando l’ulcera è molto profonda. Il segno tipico è l’uscita di umor acqueo
attraverso la ferita corneale. In caso di perdita della camera anteriore, si avranno processi infettivi che possono
dare luogo ad aderenze tra cornea e strutture posteriori → esita in leucoma!
Talvolta in seguito alla perforazione si può avere cedimento corneale con sviluppo di cheratocono → cioè si
perde 1/6 anteriore della tunica fibrosa dell’occhio e si perde la caratteristica di calotta sferica della cornea,
che assume forma conica. Ciò avviene più raramente per infiammazione e più frequentemente per alterazioni
della struttura della cornea.

• Cheratoipopion è un’ulcera corneale associata ad essudato purulento in camera anteriore (ipopion).


Laddove abbiamo la presenza in camera anteriore di pus pensiamo ad un processo infettivo di tipo
battericoà Tipicamente è secondario a infezioni batteriche esogene da ferite corneali accidentali o
chirurgiche. Spesso sono presenti streptococco e pneumococco. Qualora sia presente del sangue (ipoema)
possiamo pensare anche ad un trauma o lesione traumatica. Si manifesta con: fotofobia, lacrimazione, segni
classici dei processi infiammatori, sensazione di corpo estraneo, dolore, iniezione pericheratica, iperemia
congiuntivale. Per i processi infiammatori, a differenza delle patologie infiammatorie in cui spesso si
comincia a fare una terapia di attacco, è fondamentale spesso individuare l’agente eziologico.
Necessariamente spesso si fa un esame colturale prelevando il pus e il materiale da una sede infiammata. La
terapia si basa su:
• Antibiotici ad ampio spettro in mancanza di antibiogramma (via locale e sistemica)
• Midriatici (per evitare aderenze e per ridurre la funzione del muscolo ciliare)
In base all’ EZIOLOGIA, le cheratiti si distinguono in:

v Infettive:
§ Batteriche: ulcerative e interstiziali;
§ Virali: superficiali e profonde;
§ Micotiche;
§ Chlamydia;
§ Acantamoeba.

v Non infettive: (traumatiche, da agenti fisici/chimici, da alterato trofismo, da alterazioni del film lacrimale).
§ Cheratoconi secca;
§ Cheratite da lagoftalmo;
§ Cheratite filamentosa;
§ Cheratite neurotrofica o neuroparalitica.

INFETTIVE

- BATTERICHE

• Infiltrative (non suppurative) → interessano lo stroma corneale in profondità causando opacità localizzate; sono in
genere forme specifiche (lue, TBC, lebbra). Spesso un meccanismo di difesa della cornea è quello di favorire la
vascolarizzazione; di conseguenza però perde una caratteristica propria che è la trasparenza. Si tratta di un
meccanismo per fare arrivare ai tessuti difese immunitarie. Questo se da un lato vince il processo ha come contr’altare
il fatto che può determinare la perdita della trasparenza e dare calo della visione.

• Non infiltrative (suppurative) → la loro prima lesione è una modesta e circoscritta perdita di sostanza
epiteliale senza interessamento dello stroma corneale.
Segni: ulcera (I stadio), ascesso (II stadio), ipopion (III stadio).

A seconda del danno, della profondità, dall’agente eziologico, dalla sua resistenza e della carica batterica si può
avere una restitutio ad integrum o una cicatrizzazione. In genere in queste forme spesso non è sufficiente una terapia
locale ma bisogna associare anche una terapia di tipo sistemico, soprattutto quando abbiamo forme da Pseudomonas
o da Staphylococco con una grande carica batterica.

- VIRALIà CHERATOCONGIUNTIVTI-> Si chiamano così perché non sono mai congiuntiviti semplici, in
quanto il virus si estende alla cornea e non solo alla congiuntiva.

o SUPERFICIALI
• Herpes simplex; Può dare un’infezione primaria spesso asintomatica mentre le lesioni
caratteristiche si hanno in genere in episodi di riattivazione. Il virus di riattiva in condizioni di
indebolimento delle difese immunitarie (es. abrasioni corneali o congiuntivali → somministrazione
di cortisonici in presenza di alterazioni epiteliali).
• A livello congiuntivale: iperemia, sensazione di corpo estraneo e bruciore;
• A livello della cornea: inizialmente cheratite dendritica si formano delle
arborizzazioni per la formazione di piccole vescicole lungo i nervi sensitivi corneali
(rami del trigemino); queste tendono a confluire e ad ulcerarsi con perdita di epitelio
(cheratite vescicolare) evidenziabile con lampada a luce blu e fluorescina.
La cheratite è centrale e dà alterazioni delle funzioni visive. A differenza delle altre cheratiti non
si ha dolore → il virus che infetta le terminazioni nervose blocca la conduzione dello stimolo
dolorifico.
Nella terapia sono previsti analgesici + CCS + aciclovir + cicloplegici (x Tranfa).

• Herpes Zoster, quando è in forma crostosa non dà problemi; nella forma attiva invece può
coinvolgere anche l’occhio e va protetto con antivirali. In genere è sempre preceduta da
manifestazioni cutanee (vescicole localizzate a livello distrettuale e vivo dolore con interessamento
metamerico).
• A livello congiuntivale: iperemia, secrezione mucosa o sierosa.
• A livello della cornea: disepitelizzazioni dolorose di modesta entità.

• Adenovirus (molto importanti). Sono forme cherato-congiuntivali molto diffuse nel periodo di
inverno e in piena estate. Talvolta colpiscono soggetti con una riduzione delle proprie difese
immunitarie: giovani donne subito dopo le mestruazioni o soggetti che si sono sottoposti ad un
grosso stress. Caratteristiche:
• Lacrimazione e fotofobia
• Sensazione di corpo estraneo
• Presenza di follicoli sulla superficie della cornea sotto la congiuntiva tarsale
• Tumefazione dei linfonodi locoregionali (preauricolari e sottomandibolari) → quasi
patognomonico

C’è anche un frequente interessamento corneale: inizialmente c’è una cheratite puntata con elementi
opachi che tendono a confluire e che possono dare problemi di visione anche a mesi dalla risoluzioneà
Spesso negli adenovirus a livello corneale si formano degli infiltrati che sono esiti di disfacimento delle
strutture virali. Questi col tempo possono essere riassorbiti e andare via, in quanto dopo alcuni mesi il
processo infiammatorio si risolve, esita in infiltrati corneali e lì per lì si ha un astigmatismo, ossia la
presenza di un’alterazione della curvatura corneale, che però nella maggioranza dei casi, dopo un
periodo da 6 mesi a un anno, questi precipitati si riassorbono e si ha un ripristino della funzionalità
corneale.

Il decorso è asincrono: asimmetria nell’entità dei sintomi e nella loro comparsa nei due occhi (il primo
occhio presenta sintomi più marcati → questo agevola la dd con le forme batteriche).
Terapia→ CCS, FANS, antibiotici (scongiura la sovrainfezione batterica per l’immunosoppressione
indotta da CCS).

o VIRALI PROFONDE

Possono essere endogene o esogene. Quando si ha un interessamento dell’uvea, una reazione uveale secondaria, è
importante mettere a riposo il muscolo ciliare. Quindi vanno dati dei cicloplegici per ridurre lo spasmo del muscolo
ciliare e per ridurre la produzione di umore acqueo.

- MICOTICHE

Sono spesso molto specifiche e di solito secondaria ad una pre-esistente infezione o ad abrasioni. I segni clinici
sono quelli classici delle cheratiti. Per quanto riguarda l’anatomia patologica si possono osservare: intorbidimento
dell’umor acqueo, cheratoipopion, chiazza necrotica biancastra, pieghe della membrana di Descemet, precipitati
endoteliali → ulcere → perforazioni. Per la diagnosi sono sempre necessari i prelievi (non solo clinicamente ma
c’è bisogno di un riscontro laboratoristico). In questi casi la terapia è fondamentalmente una terapia sistemica. Un
tempo c’era un collirio antimicotico ma aveva un utilizzo così raro che l’industria farmaceutica l’ha ritirato. È
fondamentale, come nelle forme virale, dare un farmaco per sia sistemica.

• AcanthamoebaàDa una cheratocongiuntivite da inclusi. È la complicanza più drammatica di una lente a


contatto infettata o onseguenza di tuffi in acque inquinate. La sera bisogna intervenire di urgenza.

• Candida albicans → formazione di una chiazza necrotica biancastra;

• ChlamydiaàÈ una cherato-congiuntivite cronica contagiosa anche se il più delle volte è una congiuntivite,
inoltre non è raro anche il problema a livello corneale. C’è una reazione follicolare enormemente sviluppata e
violenta (i follicoli possono essere visibili ad occhio nudo). E’ una importante causa di cecità nel terzo mondo.
Inizia come una congiuntivite, quindi si estende alla cornea nelle fasi avanzate → evento temibile perché si
forma tessuto neovascolare opaco detto “panno tracomatoso corneale”, che annulla la capacità diottrica della
cornea stessa. Stadi di sviluppo:
o Prodromi: aspetto vellutato della congiuntiva, modesta ipertrofia congiuntivale.
o Tracoma iniziale: iperplasia follicolare, rari noduli, fine vascolarizzazione limbare.
o Tracoma florido: nodulo tracomatoso, iniziale panno corneale con modifiche del profilo palpebrale
(rovesciata verso l’interno → le ciglia strusciano la cornea e aggravano il danno).
o Tracoma cicatriziale: estensione del panno corneale (per inizio dell’attività fibroblastica) → si estende
sull’iride.
o Tracoma evoluto: esiti cicatriziali → la cicatrice prende il nome di stria di Arlt (tralci fibrosi paralleli
al margine libero della palpebra superiore), evoluzione verso la cecità Il pz in questa fase NON è
contagioso. Sono frequenti ectropion (rotaz. Esterna palpebrale) ed entropion (rotaz. int. palp.).

Si contrae per contatto con secrezioni uro-genitali di persone affette da uretrite non gonococcica (possibile anche
trasmissione verticale). Spesso soggetti che hanno queste forme sono asintomatici, o con pochi sintomi, perché la
Chlamydia è un intracellulare quindi non dà grossa sintomatologiaàal massimo possiamo avere iniezioni
congiuntivali indolenti senza grossa sintomatologia. In questi casi è necessario un riscontro attraverso
l’immunofluorescenza diretta e poi, essendo la clamidia un oculo-genitale, è una patologia di coppia. C’è quasi un
rimbalzo per cui se uno dei due partner è affetto da una Chlamydia facilmente può trasmetterlo all’altro a meno
che non abbiano rapporti sessuali per scelta.

La Clamydia può dare anche una forma particolare di congiuntivite della Congiuntivite da inclusi (o “da piscine”).
Un tempo la C. trachomatis causava il tracoma una patologia molto severa a livello palpebrale e corneale.

Terapia→ tetracicline, eritromicina (bambini e in gravidanza).

CHERATITI NON INFETTIVE

Cheratiti Traumatiche: Si possono osservare: abrasione corneale (evidenziabile con fluorescenza, guarigione spontanea),
presenza di corpi estranei sulla cornea, lesioni profonde che interessano integralmente la cornea.
Complicanze: infettive, esiti cicatriziali ed opacità corneale residua, collasso corneale.

Cheratite Attinica: Fa seguito a: radiazioni solari, abbagliamento con una superficie riflettente o radiazioni UVA.
Nella forma puntata si ha distruzione di piccoli punti dell’epitelio mette allo scoperto le terminazioni nervose.
È una condizione molto dolorosa (il dolore si scatena di notte e dura 24-48h).
La diagnosi è semplice sulla base dell’anamnesi e dell’eritema cutaneo circostante spesso presente
La terapia si basa su emollienti ed antibiotici.

Cheratiti Da Acidi Ed Alcali: Ustioni palpebro-cherato-congiuntivali. Quelle da acidi determinano la coagulazione delle
proteine → formazione di una lieve barriera protettiva → sono meno gravi di quelle da alcali. In ogni caso sono la principale
emergenza in oculistica → richiesto un immediato lavaggio dell’occhio. La terapia si basa sul tamponamento del pH
(bicarbonato, aceto diluito, acido basico, succo di limone).

Ustione Da Calce Viva: La calce viva forma Ca(OH)2 con sviluppo di enorme calore. Non bisogna mai neutralizzarla solo
con l’acqua → aggiungere saccarosio (formazione di saccarato di calcio).

Alterazioni Del Trofismo/Del Film Lacrimale:


• Cheratite neuroparalitica/neuroparalitica
Paralisi del V (I branca, cioè l’oftalmica) nervo cranico → modifiche degenerative da denervazione della cornea (ulcere
distrofiche).
Si presenta con: iperemia congiuntivale, vescicole corneali, erosioni puntiformi, perdita di specularità. Non
presenta dolore (“test del capello”à Al paziente togliamo un capello e sfreghiamo la cornea. Laddove c’è
una cheratite neuroparalitica il paziente non avvertirà nulla proprio perché ha un’anestesia corneale. Un
soggetto normale, dopo sfregamento corneale con un capello, lamenta un intenso dolore).

• Cheratite filamentosa o cheratocongiuntivite secca (da evaporazione/ipolacrimazione)


È una patologia del cosiddetto occhio secco, dovuta in genere ad iposecrezione lacrimale per cui viene a mancare il
concetto di lubrificazione e il muco essiccato forma filamenti. Ci sono aeree di disepitelizzazione alternate a zone in cui
è disposto il muco prodotto.La cornea reagisce cheratinizzandosi: l’epitelio non è più pavimentoso stratificato ma
diviene come se fosse un epitelio cutaneo. È in genere una patologia che si associa a molte patologie di tipo
autoimmunitario e sistemicoà A parte lo Sjogren, che è la patologia simbolo, spesso un’iposecrezione lacrimale può
portare danni anche in altre patologie autoimmuni. Il reumatologo o l’immunologo spesso chiede all’oculista il test di
Schirmer. Il test di Schirmer è un test quantitativo per misurare la produzione delle lacrime. Viene posta una strisciolina
di carta bibula nel fornice congiuntivale e si misura in un arco temporale di cinque minuti quanta produzione lacrimale
vi èà Si ha occhio secco se è imbevuta meno di 10 mm. È un test semplice di tipo quantitativo. Non ci dice la qualità
di lacrime che produciamo ma la quantità. Se ho uno Shirmer test basso, una bassa lacrimazione di base, avrò molte più
difficoltà a portare una lente a contatto di chi ha una lacrimazione ottimale o brillante. La terapia di base è l’uso di
sostituti lacrimali. Proprio perché ci sono 3 fasi nel composto lacrimale (acquosa, mucosa, sebacea) la ditta farmaceutica
cerca di produrre lacrime con maggiore componente liquida oppure con una maggiore componente lipidica a seconda
del tipo di patologia presente.
NB La “secca” ha tre stadi: infiltrazione, regressione, cicatrizzazione; segue guarigione o cheratoipopion. In entrambi i
casi si può andare incontro a opacità corneale, a decorso cronico; in questo caso si fa ricorso a sostituti lacrimali
(gelatinosi).
• Cheratite da lagoftalmo
Fa parte delle mal posizioni palpebrali: ectropion, paralisi del VII ecc. infatti può essere una complicanza della
paralisi del VII nervo cranico (m. orbicolare delle palpebre). Viene meno uno dei meccanismi fondamentali
dell’ammiccamento, della distribuzione del film lacrimale → sofferenza ed essiccamento della cornea → cheratite
puntata superficiale, subedema → xerosi → cheratinizzazione congiuntivale e cornealeà un meccanismo di difesa
della cornea è perdere l’epitelio pavimentoso stratificato e divenire una sorta di epitelio cutaneo, cheratinico.
Terapia→ lacrime artificiali/multicellulosa, pomate antibiotiche riepitelizzanti, tarsorrafia (casi estremi in cui si
fa sutura fra palpebra inferiore e superiore).

CHERATOCONGIUNTIVITE VERNAL: Processo infiammatorio cronico ricorrente, > 60% dei casi è bilaterale.
È una congiuntivite tarsale superiore con riacutizzazioni in primavera/estate. In genere inizia in età prepuberale e
termina spontaneamente a ≈ 10 anni dalla comparsa (M>F).
Eziologia non nota. Spesso il soggetto ha storia di allergie stagionali, asma, eczema; nel 50% c’è sensibilizzazione ed
allergie specifiche.

Sintomi:
- Prurito intenso
- Lacrimazione
- Bruciore
- Sensazione di corpo estraneo
- Fotofobia
Aggravamento dei sintomi con vento, luci intense e polvere.

Segni: iperemia congiuntivale, ipertrofia papillare e papille giganti, presenza di papille al limbus, essudato fibrinoso e
filante.
Rischio di formazione di ulcere corneali, neovascolarizzazione, superinfezioni.

ALTERAZIONI FLOGISTICHE

Emorragia Sottocongiuntivale: Frequente soprattutto negli anziani. È asintomatica ed è possibile spia di alterazioni
sistemiche (IPA, DM, diatesi emorragica). Compare spontaneamente o per sbalzi pressori (tosse, starnuti). Giovani →
secondaria a traumi (in questi possono essere utilizzati colliri eparinici). Ha risoluzione spontanea; giovano colliri eparinici

Pinguecola: Rilievo giallastro, ovalare, ai lati della cornea in regione paralimbare, nasale e temporale. Non sintomatico e
non richiede terapia
MALATTIE BOLLOSE AUTOIMMUNI DELL’ORBITA

PEMFIGOIDE CICATRIZIALE OCULARE: Il Pemfigo ottico (Ocular Cicatritial Pemphigoid, OCP) è una patologia
autoimmune in cui autoanticorpi diretti contro la giunzione desmosomiale attaccano la lamina basale con la
conseguente formazione di una bolla.
La bolla è ben evidenziata, dopo biopsia, dalla colorazione ematossilina-eosina e all’immunofluorescenza indiretta;
consente la diagnosi. Può essere presente come forma a sé stante (in questo caso la biopsia va praticata a livello
oculare) oppure in associazione a varie forme di patologia sistemica e autoimmune (in cui non è necessario
bioptizzare l’occhio).
Manifestazioni cliniche: La patologia può coinvolgere la pelle e/o le altre membrane mucose (es.: orale, faringea,
laringea, esofagea, vaginale, uretrale, anale) oltre a manifestarsi con il suo segno patognomonico, la congiuntivite
cronica cicatriziale. L'attivazione fibroblastica secondaria alle influenze delle citochine infiammatorie con
produzione di collagene e la conseguente cicatrizzazione sono i meccanismi esitanti nella patologia della
congiuntiva. La progressiva fibrosi causa profonda insufficienza lacrimale, disfunzione delle ghiandole di
Meibonio e riduzione della produzione di mucina. La formazione di symblepharon, di Trichiasi o distichiasi e la
cheratinizzazione progressiva, causano disfunzioni epiteliali della cornea, difetti dell'epitelio corneale persistenti,
ulcere stromali, cicatrici Corneali, neovascolarizzazione e perfino perforazione. Il symblepharon può provocare
distorsione palpebrale con introflessione del margine palpebrale (entropion cicatriziale) talvolta soltanto un
entropionizzazione delle ciglia (trichiasi).

Stadiazione A seconda dei reperti clinici, la progressione della patologia può essere stadiata in 4 gradi:
- I GRADO: caratterizzato da congiuntivite cronica con lieve disfunzione epiteliale della cornea e/o
della congiuntiva; fibrosi sottoepiteliale della congiuntiva, meglio ravvisabile al tarso congiuntiva le
come sottili strie biancastre
- II GRADO: caratterizzato dalla cicatrizzazione della congiuntiva con contrazione della stessa,
alterazioni anatomiche e restringimento dei fornici.
- III GRADO: caratterizzato dalla presenza di symblepharon (aderenze tra la congiuntiva bulbare e
palpebrale); la cicatrizzazione subepiteliale altera la direzione delle ciglia e ne causa crescita
aberrante. In aggiunta, può verificarsi entropion cicatriziale, con conseguente perdita del visus.
- IV GRADO: è l'ultimo stadio; l'occhio è completamente asciutto, con cheratinizzazione della cornea e
anchyloblepharon (riduzione della rima palpebrale per una fusione parziale o completa dei bordi
palpebrali) che immobilizza il globo oculare.
A seguito di disfunzioni della palpebra, può svilupparsi una grave cheratopatia, insufficienza
lacrimale e esposizione corneale. Possono inoltre essere presenti epiteliopatia corneale, il persistente
deficit epiteliale, le ulcere stromali e la neovascolarizzazione. La cornea può essere totalmente
ricoperta da cicatrici, vascolarizzata e cheratinizzata.

Diagnosi: Le indagini di laboratorio indirizzano il sospetto diagnostico, ma la diagnosi di conferma è data dalla
biopsia prelevando un cilindretto di congiuntiva e tessuto sottocongiuntivale fino alla membrana basale.
Trattamento: La patologia va trattata prima da un punto di vista sistemico per determinarne la riduzione
dell’attività, una volta che il processo si spegne, si passa al trattamento il symblepharon chirurgicamente. Tentare
di trattare chirurgicamente questa manifestazione durante una fase attiva di malattia comporterebbe infatti un
peggioramento della patologia stessa, stimolando la formazione di aderenze.

CAUSE DI OCCHIO
ARROSSATO
- Allergiche: Acute (stagionali o perenni); Croniche (vernal, atopica, papillare gigante)
- Infettive: virali, batteriche, da funghi, da parassiti, da inclusi
- Autoimmuni: episcleriti, pemfigoide, uveiti, vasculiti
- Non specifiche: sindrome dell’occhio secco, corpi estranei, acne rosacea, agenti chimici
- Attacco acuto di glaucoma
Oftalmologia
ALTERAZIONI PALPEBRALI

Funzione: Le palpebre hanno la funzione di copertura del bulbo e di distribuire il film lacrimale su di essa tramite
l'ammiccamento per mantenere umida la cornea e favorire la visione; inoltre ospitano varie ghiandole secretorie
esocrine (soprattutto lacrimali).

Anatomia: Anatomicamente abbiamo:


• Una porzione anteriore (muscolo-cutanea) con funzione costrittiva
• Una posteriore (tarso-congiuntivale); costituita dal tarso e congiuntiva, più l’espansione del muscolo di Muller
(innervato dal simpatico) e dell’elevatore palpebrale (funzione elevatrice, innervato dall’oculomotore).
Inferiormente alla palpebra inferiore e superiormente a quella superiore ci sono le “borse” (accumuli di grasso;
laterale, mediale e medie inferiormente; mediale e media superiormente → superiormente non c’è la borsa
laterale perché la loggia laterale è occupata dal lobo palpebrale dalla ghiandola lacrimaleà (Attz nelle
blefaroplastiche superiori di non andare a danneggiare la ghiandola lacrimale!).

Anatomo- chirurgicamente vanno ricordati i tendini laterale e mediale (tendini cantali) → strutture di supporto
fondamentali, oltre all’impalcatura connettivale della palpebra data dal tarso. Medialmente si trovano il tendine anteriore
e posteriore tra cui c’è il sacco lacrimale (l’orbicolare contraendosi schiaccia il sacco). C’è anche uno pseudo-tendine
esterno (molti ne negano l’esistenza, perché è difficile da vedere anche chirurgicamente) che è un rafe dato
dall’addensamento delle fibre laterali dell’orbicolare embrionale.

Il sistema è differente nella palpebra superiore e inferiore.

• Nella inferiore troviamo il retrattore palpebrale, struttura pseudomuscolare che dal retto inferiore (che abbassa
l’occhio) si espande verso la palpebra e la abbassa quando si guarda verso il basso (altrimenti avremmo un
ostacolo). Il retrattore si inserisce in un punto che all’esterno è visibile come la piega che la palpebra inferiore
effettua quando invitiamo il paziente a guardare in basso.
• In alto c’è l’elevatore della palpebra, che è il corrispettivo del retrattore perché contribuisce sempre ai
movimenti di verticalità. Si trova inoltre anche il Muller, piccolo muscolo liscio che si contrae quando entra in
azione il simpatico (ad es. paura). Può lavorare da solo, senza che ci sia patologia dell’oculomotore, il Graves
(eccitazione del Muller) e la Claude-Bernard-Horner (paralisi del tratto cervicale pericatorideo del simpatico;
si caratterizza per ptosi e miosi).

Quindi, procedendo in senso anteroposteriore,la palpebra risulta composta da 4 strati: cute; muscolo orbicolare
dell’occhio; tarso; congiuntiva. Importanti punti di repere chirurgici sono il solco palpebrale superiore ( per le incisioni
in caso di ptosi o altri interventi) e il solco palpebrale inferiore.

Patologia palpebrale: La ghiandola lacrimale ha 2 lobi: orbitario e palpebrale. Possono esserci lesioni che coinvolgono
uno solo dei lobi e non per forza entrambi.
• Patologie malformative
• Malposizioni
• Funzionali
• Traumatiche
• Infiammatorie
• Neoplastiche

MALFORMAZIONI:
Un COLOBOMA della palpebra è un difetto del margine palpebrale caratterizzato dalla mancata chiusura o apertura
delle palpebre. È una mancanza congenita che si forma nella vita embrionale.
Nella maggior parte dei casi è un reperto isolato della palpebra superiore tipicamente all’incontro tra il terzo interno e
il terzo medio, in assenza di altre anomalie sistemiche; più spesso a tutto spessore. A livello della palpebra inferiore
avvengono al congiungimento tra terzo medio e terzo esterno, in associazione con altre anomalie sistemiche (es.
disostosi mandibolo-facciale). Più spesso sono parziali, bilaterali nel 20% dei casi.

PIEGHE EPICANTALI = pliche cutanee verticali in corrispondenza del canto interno (mediale), possono
coprire le caruncole. In base alla posizione della plica cutanea:
- Epicanto palpebrale → piega cutanea mediale distribuita in maniera simmetrica tra le palpebre.
- Epicanto tarsale → cute che origina dal bordo della palpebra sup. e si estende al canto mediale prima di dividersi.
- Epicanto sopraccigliare → piega del sopracciglio che si estende alla superficie esterna del naso.
- Epicanto inverso → piega che dalla palpebra inf. Si dirige in alto verso il canto mediale (l’unico che va operato).

BLEFAROFIMOSI = accorciamento della rima palpebrale

Sindrome della tetrade congenita = blefarofimosi + blefaroptosi + epicanto inverso + telecanto


(distanza occhi aumentata con normale distanza pupillare).
Correzione chirurgica in età prescolare (attendere un discreto sviluppo della radice del naso).

MALPOSIZIONI PALPEBRALI:
- Entropion
- Ectropion
- Floppy eyelid syndrome
- Lagoftalmo paralitico
- Ptosi (attz! a non confonderla con la blefarocalasi che è un eccesso di pelle. Nella ptosi si ha un “abbassamento della
palpebra superiore” che va a coprire il bordo pupillare. Ovviamente l’intervento sarà diverso perché nella blefarocalasi
verrà asportata cute o cute e muscolo orbicolare, nella ptosi bisogna agire sull’elevatore palpebrale)
- Retrazione palpebrale
-Anomalie del canto
Le più comuni sono l’entropio,l’ectropio,la ptosi e la retrazione palpebrale.

ENTROPION (INTROVERSIONE PALPEBRALE): Rotazione all’interno del margine palpebrale (con conformazione
normale) senza alterazione delle ciglia che risultano normali e ben allineati. In caso vi sia una introflessione delle ciglia
(dovuta ad una distorsione del margine palpebrale oppure ad un cattivo allineamento delle ciglia) si parla di trichiasi.
Entropion e trichiasi spesso coesistono, ma si può avere anche entropion senza trichiasi o trichiasi senza entropion. La
dischitiasi è invece un'anomala posizione delle ciglia.
Quando l'entropion non è subito evidente all'osservazione, si può invitare il paziente a serrare gli occhi: in questo modo si
renderà visibile l'alterazione palpebrale.
Complicanze: Le ciglia che abradono la cornea possono a lungo andare provocare ulcere corneali particolarmente dolorose
vista la ricchezza di terminazioni nervose in questa sede.

Classificazione: Può essere:


- Spastico → spasmo delle fibre marginali del m. orbicolare; rimandabile a processi infiammatori (infezione,
corpo estraneo), esiti post- operatori, conseguenza di blefarospasmo (in questo caso,per risolvere l’entropion
bisogna rimuovere la causa del blefarospasmo).

- Senile (il più frequente) → per:


o Lassità verticale (rilassamento m. retrattorio o del septum orbitae).
o Lassità orizzontale (tarso-legamentosa), spesso determina enoftalmo. Il meccanismo eziopatogenetico
dell’enoftalmo, in caso di lassità orizzontale, consiste nell‘atrofia del grasso retro- e periorbitale con
diminuzione della pressione del globo oculare contro il tarso e spasmo dell’orbicolare indotto dallo
sfregamento delle ciglia sulla cornea.
L’entropion di tipo senile è il più frequente e spesso porta gli anziani a ricorrere all’uso di cerotti od altri provvedimenti
meccanici tampone allo scopo di distendere la palpebra nella maniera più corretta possibile. (NB: la differente
eziopatogenesi condiziona la scelta del tipo di trattamento chirurgico).

- Cicatriziale → Consiste in un accorciamento della porzione palpebrale posteriore; rimandabile a traumi, infezioni,
autoimmunità quali il pemfigo o la sindrome Stevens-Johnson.

- Meccanico → Si manifesta a seguito di tumori, eccesso di cute o dermatocalasi (aumentata lassità cutanea per l’età
avanzata).
- Congenito:
o Primitivo → atrofia del tarso/ipertrofia muscolare pretarsale
o Secondario → presente in caso di en-/micro-/an-oftalmo (enoftalmo = bulbo spostato all’interno, microftalmo
= bulbo più piccolo, anoftalmo = bulbo assente).

A differenza degli altri tipi di entropion, che necessitano sempre di terapia chirurgica, l’entropion congenito spesso tende
ad autorisolversi grazie al normale accrescimento di ossa e tessuti molli. Pertanto, quando si è davanti ad un entropion
congenito,bisogna valutare e gestire le eventuali complicanze, soprattutto quelle a carico del bulbo,nell’attesa che la
patologia receda spontaneamente ed intervenedo chirurgicamente solo quando il rischio per il bulbo oculare sia troppo
elevato o sia passato troppo tempo per sperare in una risoluzione spontanea.

Terapia
Trattamento chirurgico
Dipende da:
- Condizioni del pz
- Severità dell’entropion
- Grado di lassità (verticale o orizzontale)
- Posizione delle palpebre nello sguardo
- Elasticità del bordo palpebrale

Per valutare il grado di lassità orizzontale:


• Test di distrazione di Hill: tirando la palpebra si vede quanto può essere stirata (normalmente 6 mm) e il
tempo di ritorno in posizione.
• Trazione in basso e rilascio

Per valutare il grado di lassità dei tendini cantale e mediale si esegue il Test di distrazione. La palpebra, durante questo test,
viene spostata in senso laterale o mediale, verificando quanto può stirarsi ed utilizzando questo dato per definire il grado di
lassità dei tendini.

Trattamenti temporanei: L’entropion può prevedere delle forme di trattamento temporaneo:


• Bende/cerotti sull’occhio interessato,
• Suture evertenti (più comuni) utilizzate soprattutto negli anziani ed aventi lo scopo di vincere la tensione tarsale che
hanno determinato l‘entropion
• Suture rasverse.

L’obiettivo principale dei trattamenti è sempre quello di tentare di stabilizzare la palpebra, agendo quindi sull’impalcatura
muscolo-tarsale
Trattamento permanente: Il trattamento permanente di entropion è previsto per l‘entropion senile e congenito. Per
quest’ultimo, in genere, si tende ad attendere (watch and wait) lo sviluppo delle strutture palpebrali e si interviene solo in
caso di compromissione funzionale oculare (complicanze). In caso di intervento chirurgico su entropion congenito, si procede
a resezione orbicolare-tarsale. L’entropion cicatriziale, a causa della perdita di tessuto palpebrale a cui è associato, prevede
un trattamento differente da quello degli altri tipi di entropion.
I trattamenti permanenti per l’entropion cicatriziale sono:
• Palpebra superiore → frattura del tarso, trapianto lamellare superiore.
• Palpebra inferiore → riposizionamento della lamella anteriore, resezione cuneiforme del tarso, separazione delle
lamelle con impianto della mucosa, rotazione del tarso marginale (tecnica di Trabut), trapianto di cartilagine (da
regione auricolare/palato duro), escissione tarsale.

ECTROPION (EVERSIONE PALPEBRALE): Rotazione all’esterno del margine palpebrale. La conseguente persistente
esposizione della congiuntiva tarsale compromissione della continuità del film lacrimale danni alla cornea. . Bisogna
tenere in considerazione la contituità del film lacrimale, in quanto sue interruzioni espongono la cornea ad ulcere, dermatiti
ed infezioni. Durante la notte il rischio è maggiore,in quanto col sonno tutte le funzioni secretorie lacrimali si
riducono,riducendo,di conseguenza,lo spessore del film lacrimale, facilitando la formazione di zone corneali scoperte.
Gradi
1) Semplice eversione del margine
2) La rotazione del margine mette a nudo una porzione di congiuntiva tarsale
3) Tutta la congiuntiva tarsale è messa a nudo
Eziologia
Si può dividere in:
- Congenito: spesso associato ad altre malformazioni
- Acquisito:
ü Senile: per lassità orizzontale/del tarso, perdita del tono orbicolare
ü Infiammatorio
ü Meccanico: per neoformazioni o ematomi
ü Cicatriziale: per ustioni, traumi, dermatiti, tumori
ü Paralitico: paralisi del VII nervo cranico (M. Orbicolare). La paralisi del nervo faciale può anche causare lagoftalmo
(eventualmente associato all’ectropion),dato che questo nervo innerva l’orbicolare.
In caso di ectropion paralitico,data la tendenza del nervo a riprendersi dai danni,seppur nell’arco di mesi,si tende a
non intervenire subito chirurgicamente,a meno che non vi siano condizioni di urgenza o la certezza
dell’irreparabilità die danni al nervo faciale.

Terapia
• Clinica → Il trattamento clinico dell’ectropion consiste nell’adozione di misure atte alla riepitelizzazione corneale e
al ripristino della continuità del film lacrimale, saranno pertanto utilizzati sostituenti lacrimali e riepitelizzanti
corneali.
• Chirurgia → di elezione rispetto al trattamento clinico mira alla stabilizzazione del tarso ottenuta con comportamenti
simili a quelli adottati in caso di entropion.
NB Possibile il ricorso a trapianti di cute in presenza di perdita di tessuto (es. forme cicatriziali da ustioni).
RICORDA: Bisogna specificare che vi possono essere,soprattutto in casi di ectropion mediale,alterazioni di tipo
funzionale,ma non anatomico,delle strutture deputate al deflusso lacrimale (es. Alterazioni della pervietà del ponticino
lacrimale che,quindi,non può pescare nel canto).Tali alterazioni spesso sono responsabili,in misura maggiore
dell’ectropion,delle disfunzioni lacrimali e dei danni conseguenti.

FLOPPY EYELIED SYNDROME


Ectropion atonico delle palpebre. Nella FES si ha infatti una diminuzione delle fibre di elastina nel tarso e
nell’orbicolare pre-tarsale,con una conseguente perdita di tono della palpebraà per la sua flaccidità la palpebra
si everte autonomamente, specie nel sonno. Quindi il soggetto dorme con la cornea esposta, provocando con il
tempo vari problemi corneali. Generalmente bilaterale, coinvolge soprattutto le palpebre superiori. È associata
a obesità, patologie congiuntivali e corneali (congiuntivite papillare cronica, cheratite puntata superficiale).
Principali segni clinici:

- Eversione facile delle palpebre


- Possibilità di plicatura del tarso senza sforzo
- Segni congiuntivali/corneali per esposiz. notturna
- Sintomatologia più grave al mattino (perché durante la notte la cornea può rimanere senza protezione).

Terapia
Chirurgica:
§ Resezione pentagonale
§ Cantoplastica esterna
È possibile anche associare le due tecniche.
RETRAZIONE PALPEBRALE: Può colpire la palpebra superiore e/o inferiore. Segno tipico dell’oftalmopatia di Graves
che di solito si manifesta con una retrazione contemporanea della palpebra superiore e inferiore,ma esistono anche casi di
alterazioni asimmetriche.
Eziopatogenesi
• Alterata secrezione delle catecolamine (aumenta attività m. di Muller),
• Infiammazione del muscolo di Muller,
• Esoftalmo (causa più frequente),
• Coinvolgimento del complesso dell’elevatore della palpebra.
Caratteristica fondamentale è l’esposizione sclerale (scleral show).

Clinica: Provoca danni estetici e funzionali.


• I danni estetici sono caratterizzati dal tipico sguardo attonito che provoca grossi scompensi psicologici. In fase iniziale,
si cerca di riequilibrare gli ormoni per vedere se la retrazione scompare. Se ciò non accade, quasi sempre, si deve ricorrere
alla chirurgia, in particolare si esegue un intervento sul muscolo di Muller per far scendere la palpebra a livelli normali
(vedi dopo).
• Le conseguenze funzionali sono legate a problemi dell’ammiccamento con conseguente alterazione del film lacrimale,
sensazione di corpo estraneo, fotofobia, irritazione cronica della congiuntiva ed esposizione sclerare (scleral show); uno
dei segni del Graves, il segno di Stellwag, indica il ritardo del tempo di chiusura palpebrale, dovuto proprio alla retrazione
e all’ipereccitazione. Altri segni sono: Graefe: incapacità della palpebra superiore ad abbassarsi nei movimenti dello
sguardo verso il basso; Dalrymple: aumento della rima palpebrale; Moebius: difetto di convergenza.
A peggiorare la situazione ci possono essere anche alterazioni delle ghiandole lacrimali, perché è una malattia
autoimmunitaria che colpisce il connettivo dell’orbita compreso quello della lacrimale (ciò determina alterazione dei test
della lacrimazione). Questi tipi di conseguenze sono un problema specialmente di notte quando, in alcuni casi, l’occhio
può non chiudersi e restare esposto a danni. Il retto inferiore, infatti, porta in basso l’occhio, annullando il riflesso di Bell
(di protezione corneale, vedi dopo in ptosi) che, quindi, non ce la fa a portarlo in alto; questo, insieme alla retrazione
palpebrale, espone la cornea ad insulti esterni.

Terapia Il trattamento di elezione è di tipo chirurgico e può consistere in:


• Mullerotomia (allentamento muscolo Muller): recessione (si recedono i muscoli quando li vogliamo indebolire). È
poco invasivo e risolve sempre il problema
• Mullerectomia (ablazione muscolo Muller): resezione (si resecano quando li vogliamo rafforzare). E' un trattamento
proposto spesso ai pz con Basedow quando non sono necessari approcci più aggressivi: in questo modo si maschera
l'esoftalmo trattando solo la retrazione palpebrale.
Talvolta,nella retrazione palpebrale inferiore,sono necessari la recessione dei retrattori o il ricorso ad innesti autologhi (fonti
sono rappresentate da tessuti cartilaginei, aponeurosi del muscolo temporale, fascia lata, sclera) od eterologhi.

PTOSI: Caduta della palpebra superiore per deficit dell’elevatore palpebrale (innervato dal III nervo cranico, oculomotore),
con perdita di aderenza tra bulbo oculare e palpebre (condizione presente anche nell’enoftalmo,col quale spesso è associata
la ptosi palpebrale). Ovviamente quando per la ptosi la palpebra "cade" sul forame pupillare si ha una riduzione dell'acuità
visiva -> ambliopia = deficit visivo in assenza di alterazioni anatomiche dell'occhio (occhio pigro).
Devono essere trattate con cura perché possono essere causa di ambliopia, soprattutto nei bambini. Ricordiamo che
l’ambliopia può essere: ambliopia diretta, quando coprono il bordo pupillare (indicazione all’intervento) e ambliopia
indiretta. Sono patologie subdole perché, spesso, sono anche cause occulte di astigmatismo, perché le ptosi possono generare
un peso sulla cornea bloccando l’accrescimento simmetrico dei due occhi, determinando astigmatismo (questa è una ragione
funzionale e non estetica per la quale operiamo la ptosi).

Nell’esame delle ptosi è importante constatare:


- Grado
- Funzione dell’elevatore
- Posizione della plica palpebrale
- Disturbi oculomotori segno di Charles Bell: valutazione del normale meccanismo di difesa del globo oculare
consistente nella rotazione supero (più frequente) / infero-laterale (Bell inverso) dei bulbi oculari e palpebre
chiuse durante il sonno. La verifica del segno di Bell è molto importante,in quanto indirizza il tipo di trattamento.
I pazienti con ptosi senza buon riflesso di Bell devono fare attenzione a sottoporsi al trattamento chirurgico.
Infatti,operando la ptosi, con pazienti senza segno di Bell, si rischia di danneggiare il globo oculare.
- Segni associati
Per la valutazione della ptosi le fasi considerate sono:
1) Fase statica:
- Distanza bordo palpebrale superiore – limbus sclerocorneale
- Apertura palpebrale (normalmente 9 mm).

2) Fase dinamica:
- Funzionalità dell’elevatoreà escursione dell’elevatore valutata facendo guardare il pz prima in alto e poi in basso (vn:
10-15mm; buona > 8 mm, moderata 4-8 mm, mediocre 2-4 mm, scarsa <2 mm).
In caso di assenza totale di funzionalità, si può intervenire solo effettuando una sospensione al frontale: si ancora il
muscolo elevatore al frontale in modo da permettere l'elevazione anche se minima della palpebra superiore corrugando
la fronte (in questi casi la palpebra è quasi fissa). Bisogna sempre fare attenzione che il pz non abbia una lacrimazione
scadente e a non alzargli troppo la palpebra perchè rischierebbe di dormire con gli occhi aperti con conseguenti danni.
In casi di funzionalità buona, spesso si può operare un rinforzo dell’elevatore o si può tentare di riagganciare il muscolo
elevatore al tarso,da cui risulta staccato in caso di ptosi. Il trattamento chirurgico è guidato,nei tempi e nelle
metodiche,dalla presenza di ambliopia o dal rischio che questa possa svilupparsi. Anche se oggi si cerca di cerca di
prevenire l’ambliopia tramite tecniche di stimolazione visiva, una terapia chirurgica aggressiva resta la prima scelta.

- Ricerca di difetti associati alla motilità oculo-palpebrale (es. strabismo) dovuti al fatto che il muscolo elevatore
superiore decorre in contiguità al m. retto superiore,infatti, spesso insieme alla ptosi si possono associare altri
difetti,come lo strabismo. Negli adulti inoltre la ptosi palpebrale può deformare la cornea provocando un astigmatismo
indotto.

- Verifica della presenza di eventuali sincinesie (es. sincinesia oculo-mandibolare fenomeno di Marcus-Gunn dovuto
a fibre anomale che collegano il III nervo cranico e nervo mandibolare, con risoluzione della ptosi durante la
masticazione, o ipercorrezione con retrazione palpebrale). Bambini che hanno normalmente la ptosi li si invita a
masticare e durante la masticazione la palpebra si eleva.
3) Valutazione del Grado della ptosi:
• Ptosi bilaterale
- I grado = il margine palpebrale arriva al limbus corneale
- II grado = il margine palpebrale arriva al forame pupillare
- III grado = il margine palpebrale supera il forame pupillare (elevato rischio di ambliopia) impedendo la visione in
maniera completa (elevato rischio di ambliopia).

• Ptosi monolaterale
- Lieve < 2 mm
- Moderata 2-4 mm
- Severa > 4 mm

Classificazione:
• Congenita
• Acquisita
• Pseudopoptosi

PTOSI CONGENITA: La ptosi congenita semplice, che rappresenta il 75% di tutti i casi di ptosi, è la forma di ptosi più
frequente. In genere è unilaterale (75%), dovuta a distrofia primitiva dell’elevatore. La rarefazione e la dispersione delle fibre
muscolari striate è proporzionale alla funzione dell'elevatore. È una patologia a carattere sporadico e di rado familiare;
raramente porta ad ambliopia (il bambino spontaneamente iperestende il capo (non è un torcicollo) in modo da far sì che
anche l’occhio ptosico sia raggiunto dalla stimolazione luminosa) il meccanismo di compenso è efficace.
Le forme associate ad anomalie oculo-palpebrali sono classificabili in base alla patologia associata:
- Paralisi congenita del III nervo cranico - Fibrosi congenita dei muscoli extraoculari
- S. di Marcus-Gunn (la ptosi si risolve se il pz mastica) - Malformazioni congenite facciali

L’intervento chirurgico in questo tipo di ptosi può essere associato a complicanze. Infatti, se il muscolo ha perso la sua
funzione in modo congenito, non è detto che se operiamo per risollevare la palpebra questa si rilassi completamente: si avrà
quello che si definisce “lid lag” (legato all’elevatore), cioè una palpebra che non segue nei movimenti verso il basso, ma
rimane più in alto, e lo si nota molto durante la notte quando l’orbicolare non compensa questo lag. Fortunatamente, grazie
al riflesso di Bell, la cornea va verso l’alto e si riesce a proteggere l’occhio.
PTOSI ACQUISITE
1) Neurogene
- Periferiche: lesione a livello della porzione intra-orbitaria del nervo, exotropie non concomitante, midriasi,
perdita dell’accomodazione.
- Nucleari: perdita della mobilità, modificazione della pupilla senza perdita dell’accomodazione.
- Sopranucleari

2) Miogene
- Ptosi nella oftalmoplegia esterna progressiva (50% dei casi)
- Ptosi miastenica (la ptosi può essere il primo segno dell’astenia bisogna fare subito diagnosi di esclusione);
- Ptosi nella malattia di Steinert
- Ptosi nel morbo di Basedow

3) Aponeurotiche: le più frequenti delle acquisite, sono dovute alla deiscenza/disinserzione della fascia muscolo-
aponeurotica dell’elevatore palpebrale superiore. Tipiche dell’età senile, possono essere causate da patologie
ricorrenti (es. congiuntivite cronica). È caratteristico uno strato traslucido dal lato cutaneo o congiuntivale della
palpebra di fatto corrispondente al tarso. Il trattamento è chirurgico, e dal momento che in questi casi l'elevatore
funziona bene, lo si riattacca semplicemente in posizione corretta sul tarso.

4) Traumatiche hanno una patogenesi plurifattoriale

5) Meccaniche: forza muscolare intatta, in presenza dell‘impossibilità dell'elevatore della palpebra di svolgere la sua
funzione per via di processi tumorali o di tessuto cicatriziale.

PSEUDOPTOSI La funzione dell’elevatore della palpebra è normale; la palpebra è abbassata per una serie di condizioni
cliniche:
- Microftalmo dove è presente un bulbo più piccolo;
- Enoftalmo in cui si nota l'arretramento del bulbo oculare;
- Tisi (atrofia del bulbo rimandabile a processi infiammatori o lesione perforante)
- Ipotropia (anomalie dei meccanismi muscolari deviano il bulbo verso il basso)
- Dermatocalasi (l'eccesso di cute a livello della palpebra superiore che si accumula in età senile, causando una
caduta della palpebra stessaàuna caduta palpebrale è un problema funzionale; il più delle volte è solo un
problema estetico però). La blefarocalasi invece è dovuta ad un rilasciamento delle borse palpebrali e non
solo della cute.

NOTE FINALI
Pz senza segno di Bell quando operati hanno il rischio di riportare danni al globo oculare.
In caso di scarsa funzionalità dell’elevatore si può intervenire solo operando un rinforzo frontale.
In caso di buona funzionalità si può operare un rinforzo dell’elevatore o tentare di riagganciare l’elevatore del tarso

NEOPLASTICHE

Possiamo avere qualsiasi tipo di tumore proprio perché c’è varietà di tessuti (spinaliomi, basaliomi, sarcomi, leiomiomi,
neurofibromi). Vi chiederanno, ai fini dell’esame, i tumori della pelle, voi ditegli anche gli altri. Per i tumori della pelle
abbiamo: Basaliomi, Spinaliomi, Melanomi. Il basalioma, è molto frequente (in alcuni paesi è un tumore sociale, ad es.
Australia) e molti dermatologi tendono a trattarli in maniera impropria (esistono, infatti, delle pomate che hanno effetto
discreto sul tumore, addirittura con scomparsa di quelli piccoli e superficiali). Spesso si riscontra in soggetti geneticamente
predisposti che tendono a farli, ripetitivamente, in tutto il volto. I raggi UV sono predisponenti, soprattutto negli individui di
fototipo basso.

TRAUMI

Nei traumi si deve ricorrere alla chirurgia e alla ricostruzione palpebrale strato per strato.
TRAUMI ORBITO-OCULARI

Negli ultimi anni sono molto aumentati i traumi oculo-orbitali in quanto abbiamo avuto un incremento degli incidenti
sul lavoro, delle attività lavorative meccanizzate ed un aumento degli incidenti automobilistici.

TRAUMI ORBITARI
La frattura orbitaria che si può così classificare, in base alla sua entità:
Þ FRATTURA SEMPLICE: riguarda solo la componente orbitaria ed è prettamente interesse dell’oftalmologo. Si può
a sua volta classificare come pura (se non è coinvolto il bordo orbitario) ed impura (quando esso è coinvolto). Ne
esistono di vari tipi, tra i quali:
1. Blow-out → è causata da un aumento improvviso della pressione intraorbitaria.
Spesso si presenta a causa di un trauma improvviso contusivo da tappo di champagne o palla da tennis che
colpisce il bulbo oculare: il colpo aumenta la pressione intraorbitaria e causa una sorta di esplosione
dell’orbita.
Infatti a causa dell’enoftalmo la palpebra non aderisce più
Triade:
perfettamente al bulbo e avremo ptosi; a causa della
- enoftalmo, compressione della branca mascellare del trigemino (V),
- ptosi palpebrale, invece, avremo la ipo-anestesia.
- ipo-anestesia della regione zigomatico-mascellare.
Questo tipo di frattura causa spesso la rottura del pavimento dell’orbita (quella più debole tra le pareti) e
conseguente dislocazione di tessuto (in genere del grasso periorbitario, ma anche di muscoli o altre strutture
intraorbitarie) verso il seno mascellare → segno caratteristico è l’enoftalmo.
2. Blow-in → è causata da un trauma contundente alle ossa del cranio (non direttamente sul bulbo oculare)
come l’osso mascellare o l’osso parietale. È frequente la rottura del tetto orbitario, ma non per forza.
La direzione dei frammenti orbitari è verso l’interno ed è per questo motivo che la si definisce blow in.
È caratterizzata da esoftalmo poiché il trauma riorganizza la geometria dell’orbita diminuendone il volume e
spiazzando più fuori il bulbo oculare. DD. Con altre condizioni in cui si ha esoftalmo, quali:
- Emorragia retro-orbitaria
- Enfisema dell’orbita
Se l’esoftalmo è anche PULSANTE, allora si deve pensare a due condizioni che possono esserne la causa:
a) rottura del tetto orbitario con erniazione del tessuto cerebrale a livello orbitario;
b) una fistola carotido-cavernosa ad alto flusso.
Þ FRATTURA COMPLESSA: risulta associata ad altre fratture del massiccio cranio-facciale e, proprio per questo
motivo, è di interesse multidisciplinare. Di solito interessa nel complesso l’oftalmologo ed il chirurgo maxillo-
facciale.
I corpi estranei possono essere rappresentati anche da frammenti ossei: quando piccoli e non problematici possono
anche rimanere nell’orbita (il rischio correlato all’intervento e il rischio di non trovare il corpo estraneo, troppo
piccolo, rendono controindicato l’intervento stesso).
È importante considerare se questi corpi estranei possono innescare processi infiammatori/granulomi e causare col
tempo danni sensibili nell’orbita, se comprimono il nervo ottico o le strutture bulbari.

Inizialmente è importante valutare le condizioni generali del pz (stato di coscienza, eventuale presenza di altri traumi,
ecc.), problemi locali (a livello bulbare, orbitario, del nervo ottico), stato dei tessuti molli ed ossei perioculari.
In oftalmologia, a differenza di quanto si osserva negli approcci maxillo-facciali o otorinolaringoiatrici, l’indicazione
principale è il ripristino della funzionalità (visiva, muscolare, dell’apparato lacrimale).
Nell’ambito di una funzionalità normale si valuta il dismorfismoà valutare l’acuità visiva, eventuali dislocamenti
bulbari, asimmetria palpebrale, motilità oculo-palpebrale, anestesie della regione orbito-fronto-zigomatica
(possibilmente presenti in fratture del pavimento dell’orbita), liquorrea (possibilmente presente in caso di frattura del
tetto), anosmia (possibilmente presente in caso di fratture della lamina cribrosa). La diagnostica per immagini è un
ausilio spesso imprescindibile. La TC senza mdc è in genere la metodica più semplice e rapida per una corretta
valutazione delle lesioni ossee dell’orbita (almeno in proiezioni assiali e coronali).
Segni indicativi di frattura
- Depressione dei canti
- Emorragia sottocongiuntivale
- Ptosi palpebrale
- Dislocazione bulbare
- Anestesie del territorio d’innervazione del V nervo cranico
- Alterazione della motilità oculo-estrinseca
NB Considerare la contiguità dell’orbita con cervello, seni paranasali, seno cavernoso.
Dopo la valutazione delle condizioni generali del paziente, si passa ad analizzare la condizione traumatica locale →
l’orbita.
1) Esame obiettivo: valutazione dell’acuita’ visiva e della motilita’ oculare.
a. Valutazione dell’acuità visiva
Si chiederà al paziente se vede e se ci sono alterazioni nel suo campo visivo; si indagherà l’eventuale
presenza di diplopia → essa ha un importante significato diagnostico in quanto indica la presenza di un
danno, una rottura della periorbita (il periostio dell’orbita) oppure di un fenomeno di incarceramento
muscolare in una rima di frattura orbitaria.
b. Valutazione della motilità oculare
Può dare informazioni su eventuali deficit muscolari: nelle fratture orbitarie, infatti, può avvenire il fenomeno
dell’incarceramento muscolare → un muscolo (spesso il retto inferiore nella frattura del pavimento orbitario)
rimane incarcerato nella rima di frattura limitando i movimenti oculari; l’alterata motilità oculare ci deve,
quindi, far pensare ad una frattura con incarceramento.
Esistono test per valutare la motilità oculare.
c. Ricercheremo poi i seguenti segni:
• Dislocazione del bulbo all’interno dell’orbita:
§ Enoftalmo è segno della frequente frattura blow out;
§ Esoftalmo è invece segno della frattura definita blow in.
• Danno bulbare.
• Emorragia retro-bulbare.
• Presenza di enfisema palpebrale (aria nel sottocute) → frattura con comunicazione tra cavità orbitaria
ed un seno paranasale (classico l’enfisema da comunicazione con il seno etmoidale, dovuta a frattura
della parete mediale dell’orbita).
• Asimmetria palpebrale.
• Ipo-anestesia della regione orbito-fronto-zigomatica, normalmente innervata dalle branche del V nervo
cranico (trigemino) → indica una condizione di frattura orbitaria, spesso del pavimento, che ha
danneggiato o compresso (edema) il nervo (classicamente una blow-out).
• Liquorrea → fa pensare ad una frattura del tetto dell’orbita.
• Anosmia →fa pensare ad una lesione della lamina cribrosa.
2) Diagnostica per immagini viene in aiuto:
a. TC senza m.d.c.
Esame di scelta: permette di visualizzare bene sia le strutture ossee che i tessuti molli.
Si effettua in proiezioni assiale e coronale, talvolta essere utile la proiezione sagittale; in particolare, la TC in
proiezione coronale risulta fondamentale quando vogliamo verificare il fenomeno dell’incarceramento
muscolare.
b. RM
È da evitare se si ha il sospetto che nell’orbita siano contenuti corpi estranei metallici.
Non necessariamente si ha un visus compromesso e/o diplopia. Ci possono essere delle fratture dell’orbita in cui la
periorbita non è stata intaccata, nonostante sia presente una lesione a livello del pavimento dell’orbita: non
necessariamente queste lesioni devono essere trattate chirurgicamente. Quando non si hanno alterazioni del visus non
pensiamo ad una sofferenza grave del nervo ottico → possiamo concentrarci sulla frattura: se si tratta di una frattura
complessa, richiamiamo lo staff chirurgico interdisciplinare; se invece è una frattura semplice, dobbiamo valutare la
presenza dei movimenti oculari:
- Se l’occhio è bloccato, ed i movimenti oculari non sono permessi, effettuiamo subito
una TC coronale per visualizzare la sede dell’incarceramento muscolare (immagine)
e programmare l’intervento risolutivo, che non sarà per forza chirurgico.
Inoltre effettuiamo il Test della duzione forzata: pinziamo la sclera e proviamo a
forzare passivamente i movimenti oculari di rotazione.
1. Se il test è positivo significa che c’è un incarceramento abbastanza importante e
quindi si effettua un intervento in urgenza per liberare il muscolo.
2. Se è negativo, invece, si effettua terapia cortisonica e si osserva il paziente per
stabilire le modalità successive d’azione. Potremo sia escludere l’intervento (se il paziente recupera le
capacità motorie con il solo cortisone), sia procrastinarlo nel tempo in modo da ottenere un riassorbimento
dell’edema (sempre grazie al cortisone) e lavorare in un ambiente sicuramente più favorevole.
- Se l’occhio è libero di muoversi, facciamo comunque una TC, per avere una visione generale dell’orbita e
indagare la sede di una eventuale frattura. Somministriamo, inoltre, una terapia corticosteroidea.
1. Se il paziente migliora, la continuiamo e non interveniamo sulla frattura eventuale, in quanto essa non ha
creato grossi danni ed il paziente sta rispondendo.
2. Se invece non c’è risposta alla terapia dobbiamo intervenire chirurgicamente per ridurre la frattura.
Oftalmologia

Come si interviene chirurgicamente


Dopo aver fatto il test della duzione forzata, si espone la frattura ampiamente, si liberano di
conseguenza i tessuti molli (muscoli, tendini, grasso) imbrigliati e si riduce la frattura con tecniche
di osteosintesi (fili e placche metalliche per accostare i lembi).
Per lesioni di maggiori dimensioni è possibile anche riempire i difetti ossei con impianti autologhi o
eterologhi. Infine si correggono le eventuali lesioni delle parti molli.

TRAUMI DEL NERVO OTTICO


Il nervo ottico non è un tessuto che dopo una lesione si riforma. Basta un’assenza di irrorazione di
20-30’ per causare cecità (evenienza drammatica che può verificarsi in tutti gli interventi sull’orbità
→ a volte lesioni pre-esistenti non evidenti, magari in pz con DM, fanno sì che piccole manovre
possono causare conseguenze gravissime, il cosiddetto “tocco del diavolo”).
Perciò, quando un paziente presenta alterazioni visive in rapido peggioramento, pensiamo subito ad
un danno o ad una compressione del nervo ottico. La compressione si può presentare per un semplice
edema che fa peso sul nervo oppure a causa di una frattura del canale ottico che può creare un danno
molto severo al nervo in pochissimo tempo.
Classificazione dei traumi del nervo ottico
Traumi diretti
1) Da penetrazione di un corpo estraneo (che va a ledere il nervo ottico).
2) Da avulsione o strangolamento del nervo (es. si forma un edema intorno al nervo ottico che va a
strozzarlo).
3) Da frattura del canale ottico (in cui un frammento osseo va
a colpire il nervo). Traumi indiretti
1) Da improvvisa decelerazione della testa (come accade nei “colpi di frusta” conseguenti ad incidenti
stradali).
Nel canale ottico può verificarsi compressione del nervo ottico (frammenti ossei, edema) → è
necessario intervenire entro 24-48h:
- Si somministra un bolo di cortisone (metilprednisolone, che presenta un’azione antiedemigena
rapida) di circa 30 mg/kg.
- Contemporaneamente però disponiamo una TC senza m.d.c. in quanto vogliamo capire se c’è
stata o no frattura del canale ottico:
§ Nel caso di frattura del canale ottico, la terapia corticosteroidea non darà il risultato
aspettato perché il problema è il danno al nervo e si avrà un risultato positivo per frattura
alla TC → bisogna intervenire con un intervento chirurgico decompressivo in urgenza
(timing < di 24h).
§ Nel caso non ci sia frattura, ma il problema è solo di stampo infiammatorio con un forte
edema, il paziente risponderà positivamente al bolo di cortisone. Quindi continuiamo con
Algoritmo delle fratture orbitali

Frattura semplice:
- Occhio bloccato à test di duzione forzata:
+ à chirurgia in tempi celeri
- à CCS (chirurgia evitabile)
- Occhio non bloccato à CCS:
ü Miglioramento à continuare con CCS
ü Non c’è miglioramento à chirurgia

Visus:
- Compromesso à CCS:
ü Miglioramento à continuare con CCS
ü Non c’è miglioramento à decomprimere il nervo ottico
- Conservato:
ü Fratture semplici à valutazione di movimenti oculari
ü Fratture complesse à approccio multidisciplinare

la sua somministrazione.

TRAP-DOOR SYNDROME
Oftalmologia

Frattura a legno verde del pavimento orbitario mediale all’infraorbitaria


A legno verde = nei bambini l’osso non ha completato la maturazione,
per cui non si spezza ma si piega, proprio come il legno verde, che è
ancora immaturo.
Determina una estrema limitazione del movimento pur in assenza di segni clinici significativi;
sono, però, presenti segni vegetativi ed estrema limitazione dei movimenti oculari.
Nell’arco di 24-48h massimo bisogna sbrigliare la rima di frattura con una manovra di duzione forzata
in anestesia locale (per evitare crisi vagali) → il muscolo una volta liberato va ancorato
perifericamente e si lascia che la frattura si rimargini spontaneamente. Nella trap-door syndrome si è
abbastanza fortunati perché la rima di frattura è sottilissima e difficilmente il muscolo va a rincastrarsi
(ciò è più frequente in una frattura blow-out).
In ogni caso, successivamente avviene la autonoma consolidazione della rima di frattura e pian piano
si risolve anche la sintomatologia.
È fondamentale agire prima che la frattura si consolidi e che vada ad imbrigliare definitivamente il
muscolo.
DD. la frattura blow out non necessita di trattamento d’urgenza; in questi casi si
preferisce aspettare che si abbia una riduzione e un significativo miglioramento del
quadro edematoso per poter meglio valutare la frattura à a 7-10 giorni la frattura è
ancora presente o ha appena cominciato a consolidarsi e quindi è ancora possibile
ridurla e poi trattarla.
NB Nelle fratture orbitarie tardive dobbiamo rifratturare di proposito e ridurre la frattura; spesso
in questi casi può essere necessario un cerchiaggio (applicazione di una lamina o filo metallico
circolare a scopo contenitivo).

ENOFTALMO DA PROLASSO DEI TESSUTI MOLLI


Si tratta in questo caso della semplice frattura ti tipo blow-out, che causa rottura del pavimento orbitario e prolasso dei tessuti molli nel
seno mascellare omolaterale. In questo caso si può aspettare, se la condizione lo consente, almeno per qualche giorno. Questo per due
motivi: prima di tutto permette, con la somministrazione del cortisone, che si riassorba l’edema e che quindi si abbia una visione
migliore di tutta la condizione dell’orbita; in secondo luogo, invece, sempre per lo stesso motivo permette di dare al paziente la
possibilità di risolvere da solo la frattura, se questa non altera la funzione visiva e mobile dell’occhio. Timing di 2-10 giorni. Infatti,
malauguratamente la frattura non si risolva, al decimo giorno si può ancora intervenire per ridurre la stessa e scarcerare il muscolo.

SEQUELE ED ENOFTALMO TARDIVO


Ciò accade a causa di una condizione politraumatica del paziente. Questi magari è in coma e con tutta una serie di fratture e complicanze
da gestire, così che passano molti giorni prima che si possa prestare attenzione alla sua condizione orbitaria. La frattura, intanto, si ripara
da sola apponendo tessuto osseo in maniera anomala, il CALLO OSSEO. Quindi si dice che la frattura si è riparata con sequele. In
questo caso si può, comunque, intervenire chirurgicamente rifratturando il paziente e riducendo poi la frattura. Si può praticare un
CERCHIAGGIO se l’enoftalmo tardivo è associato a rottura della periorbita. Infatti tramite questa tecnica si riporta in avanti il bulbo
oculare con fibre e tessuti posizionati in modo tale da ricostruire la periorbita. Il timing qui è > 15 giorni.

TRAUMI BULBARI
A bulbo chiuso (diretto o indiretto) o a bulbo aperto (scoppio del bulbo).
Traumi a bulbo chiuso
Segmento anteriore
Andiamo a vedere se c’è presenza di sangue in camera anteriore (ipoema), se ci sono lesioni
dell’iride (come iridochialisi, rottura dello sfintere, lacerazioni) oppure se ci sono lesioni del
cristallino (una dislocazione, una sublussazione o una cataratta traumatica). Qui è importante
ricordare che un ipoema massivo può nascondere i quadri a carico dell’iride, soprattutto nei quadranti
inferiori del bulbo oculare.
Segmento posteriore
→ Contusivi diretti:
Rottura della coroide, foro maculare (quindi con perdita significativa della funzionalità), distacco
posteriore del vitreo, commotio retinae, contusione e lacerazione dell’epitelio pigmentato.
Ricordatevi che spesso l’emovitreo di per sé spesso si riassorbe anche con la sola terapia
farmacologica. Non dimenticate tuttavia che episodi ripetuti di emovitreo portano ad una
organizzazione del tessuto ematico presente e quindi alla perdita di trasparenza del vitreo stesso.
Oftalmologia

→ Contusivi indiretti:
- Sindrome del bambino scosso.
- Retinopatia da colpo di frusta (quello che si verifica in seguito a colpi di frusta in seguito a traumi
della strada)
- Retinopatia da manovra di Valsalva.
Esse possono causare dei traumi al livello del bulbo posteriore.
Traumi a bulbo aperto (o Scoppio del bulbo)
Deve essere distinto dalla semplice ferita o lacerazione. Spesso si ha un quadro clinico con
sconvolgimento completo dei tessuti, in pronto soccorso si cerca di riparare alla meglio il bulbo e si
cerca di ricostruirlo. Tutto ciò non sempre è possibile perciò si ricorre all’enucleazione.
TRAUMI CORNEALI
Superficiali e profondi.
I traumi superficiali interessano solo l’epitelio corneale (abrasione); quando il trauma corneale si
estende aldilà della membrana di Bowman, allora oltre all’abrasione possono essere riscontrati
edema corneale e, nei casi in cui il trauma riguardi anche il cristallino e l’iride, ipoema e cataratta.
- I traumi superficiali possono essere facilmente recuperati;
- I traumi profondi hanno una recuperabilità che dipende dalla perdita di sostanza
associata; infatti i traumi profondi spesso guariscono lasciando delle cicatrici.
Esistono due tipi di cicatrici
- Nubecola, che è un’alterazione della trasparenza corneale, visibile soltanto con la lampada a
fessura;
- Leucoma, che è un’alterazione corneale, visibile ad occhio nudo ( nubecola opacità
biancastra cicatriziale della cornea, di piccole dimensioni, di origine traumatica o
infiammatoria; quando l’opacità è di maggiori dimensioni si parla di leucoma).

TRAUMI DEL SEGMENTO POSTERIORE


Rottura della coroide, foro maculare, distacco del vitreo, commotio retinae, contusione e
lacerazione dell’EPR. NB L’emovitreo di per sé si riassorbe anche con la sola terapia
farmacologica ma episodi ripetuti portano a riorganizzazione del tessuto ematico e perdita di
trasparenza del vitreo.

TRAUMI DELL’APPARATO LACRIMALE


Contusivi e perforanti.
Possono coinvolgere: puntini, canalicoli, sacco lacrimale,
dotto nasolacrimale. Si riconoscono, in particolare:
- I traumi delle vie lacrimali alte (es. traumi ai puntini e canalini lacrimali) che si esercitano
in genere in modo indiretto per lacerazioni delle palpebre (incidenti stradali, cadute, morsi
di cane ecc).
La porzione mediale della palpebra è infatti particolarmente vulnerabile per la mancanza
di strutture fibrose tarsali di rinforzo. In particolare, però, è molto più frequente un trauma
dei canalini che dei puntini lacrimali perché questi risultano essere maggiormente rinforzati
da uno sfintere di tessuto fibroso.
→ Quindi quelli più frequenti sono a carico dei canalini superiori ed inferiori e quello comune.
Una cosa importante, che vale per tutta la patologia delle vie lacrimali è che il canalicolo
inferiore contribuisce al drenaggio delle vie lacrimali per il 70%, mentre il canalicolo superiore
contribuisce al drenaggio solo per il 30%. Il che vuol dire che, non necessariamente ma spesso,
quando abbiamo un deficit del canalicolo inferiore, il soggetto avrà l’epifora (che è il segno
classico di una alterazione del deflusso delle vie lacrimali).
Questo perché talvolta il canalicolo superiore, da solo può anche essere sufficiente a drenare
le lacrime, ma non sempre. Il più delle volte, infatti, laddove c’è un danno significativo del
canalicolo inferiore si ha un deficit del deflusso lacrimale con epifora.
In genere si aspettano 12-24 ore per favorire la risoluzione dell’edema ma non oltre perché
magari, soprattutto nella lacerazione dei canalicoli, c’è il rischio di perdere la possibilità di
effettuare il trattamento e favorire la rimarginazione.
Oftalmologia

- I traumi delle vie lacrimali basse sono molto più rari perché queste sono colpite più
difficilmente. Infatti, in genere, le vie basse hanno una protezione ossea. Il più delle volte, in
questi traumi si ha un coinvolgimento del massiccio facciale in generale, che va ad esporre
anche le vie lacrimali basse. Quindi ci troviamo di fronte a fratture complicate che interessano
non soltanto l’oculista ma anche altri specialisti.
→ Ricordatevi che laddove è presente un enfisema sicuramente si ha una frattura della parete
mediale dell’orbita con interessamento anche delle vie lacrimali oltre che delle vie respiratorie
(cioè c’è comunicazione con il seno etmoidale con passaggio di aria dalle coane nasali all’orbita
ed edema).
Anche qui si aspettano 24-48 ore per favorire il riassorbimento dell’edema e degli eventuali
ematomi, prima del trattamento.

TRAUMI PALPEBRALI
Le lesioni contusive che interessano le palpebre, a causa Le palpebre sono costituite da:
della sottigliezza della cute periorbitaria, possono essere 1. Strato cutaneo (molto sottile)
anche causa di lacerazioni. Inoltre dato lo stretto rapporto 2. Strato sottocutaneo (lasso e distensibile)
tra le palpebre e le vie lacrimali spesso una lesione 3. Muscolo orbiocolare
palpebrale si associa a lesioni delle vie lacrimali. 4. Strato fibroso (tarso)
Possiamo individuare due tipi di lesioni: 5. Strato Muscolare (muscolo di Mϋller)
Lesioni che non interessano il margine palpebrale 6. Strato mucoso (congiuntiva palpebrale)
A loro volta, queste si dividono in lesioni superficiali,
quando non penetrano oltre il muscolo orbicolare e lesioni
profonde, quando coinvolgono strutture
site al di sotto del muscolo orbicolare e quindi il tarso oppure il sacco lacrimale o congiuntivale,
oppure i tendini cantali, il nervo faciale.
Lesioni che interessano il margine palpebrale
In questo caso, specie se la lesione è mediale, va valutato il possibile coinvolgimento anche dei
puntini lacrimali e quindi delle vie lacrimali di deflusso perché spesso proprio alle lesioni palpebrali
mediali si associa una lesione anche delle vie lacrimali sottostanti.
Per quanto riguarda quello che facciamo nelle lesioni palpebrali, vige la “regola del quarto”:
- Laddove c’è una perdita di tessuto a causa per esempio di una lesione neoplastica o traumatica,
fino ad un quarto dell’estensione della palpebra noi riusciamo a chiuderla in maniera diretta
ricucendo i due lembi (in genere nell’adulto anche fino ad un terzo perché i tessuti risultano più
lassi);
- Laddove invece si dovesse verificare una perdita di tessuto superiore al terzo o al quarto
allora non è possibile suturare direttamente le palpebre e quindi bisogna ricorrere a dei lembi
per ricostruire, quindi ad una plastica palpebrale.
NEUROFTALMOLOGIA
La VIA OTTICA è formata da:
1. Occhio
2. Tratto anteriore del nervo ottico
3. Chiasma
4. Tratto posteriore del nervo ottico
5. Tubercoli quadrigemellari (Collicoli) sup.
6. Corpi genicolati lat. (→ informazioni al nucleo di Edinger-Westphal, ai nuclei del III e del V nervo cranico)
7. Corteccia
La prima parte è cilindrica ed è costituita da sostanza bianca organizzata (è chiamato “nervo” pur non avendo però le
caratteristiche anatomo-fuzionali del nervo). L’emisfero dx vede la metà sx del campo visivo e viceversa.
Queste informazioni sono utili per poter localizzare il sintomo, es:
- Lesioni del tratto anteriore → disturbi bilaterali (coinvolgono tutto il campo visivo)
- Lesioni del tratto posteriore → disturbi monolaterali (opposti al lato della lesione) = emianopsia omonima
- Lesioni mesencefaliche → problemi anche alla motricità e alla pupilla
Tutto ciò facilita la diagnosi neuroradiologica.

PAPILLEDEMA
Edema della papilla ottica associato ad EH (ipertensione endocranica, caratterizzata da ↑P liquorale) per ritenzione
liquorale all’interno delle guaine. Non è un segno immediato, compare dopo alcuni giorni; allo stesso modo, al cessare
dell’EH non è detto che questo scompaia immediatamente (la lamina cribrosa che divide il tratto intrabulbare da quello
extrabulbare funge da filtro ai cambiamenti osmotici rapidi).
Esame oftalmoscopico → dilatazione dei capillari sulla superficie del disco ottico, eventuali emorragie a “scheggia”
sulla papilla (segno di grave stasi papillare).
Con l’evoluzione della patologia → papilla sollevata e ingrandita, comparsa di edemi cotonosi.
A 8-12 mesi → gliosi, atrofia della papilla che diviene bianco-grigiastra con margini indistinti.
All’esordio il pz può essere asintomatico o presentare transitori annebbiamenti visivi.
Sono fondamentali le indagini neuroradiologiche; utile anche l’angiografia retinica.
DD con pseudotumor cerebri (EH benigna: F>M, specie tra 30-50 anni in sovrappeso con disfunzioni endocrine).
Terapia à correlata alla causa di EH

PATOLOGIE DEL TRATTO INTRAORBITARIO


Sono scarse di sintomi/segni obiettivi e risultano insidiose sia per il medico che per il pz.
L’EO inizialmente può essere completamente negativo: questo è spesso sfruttato dai simulatori; in questa fase iniziale
è importante indagare i riflessi pupillari. In un secondo momento compaiono le lesioni degenerative ed il disco ottico
si impallidisce (ciò anche a 15-30 giorni dall’esordio).
NB. Un intervento rapido con cortisone assicura un buon recupero del pz; intervenire rapidamente però non è
semplice.

NEUROPATIE OTTICHE DI NATURA VASCOLARE (N.O.I.A.)


A questo gruppo appartengono le forme ischemiche aterosclerotiche ed arteritiche; più spesso queste forme
coinvolgono il tratto anteriore del nervo ottico.
La neuropatia ottica ischemica è caratterizzata da un grave calo del visus, improvviso, spesso irreversibile e
alterazioni perimetriche caratteristiche (difetti altitudinali, scotomi centrocecali).
Esame oftalmoscopicoà disco ottico edematoso con emorragie a fiamma ed edemi cotonosi, vene congeste ed arterie
sottili; essudati duri sono tardivi. Successivamente è possibile ritrovare atrofia del nervo ottico.
NB Anteriore: isolata/complicanza di patologie sistemiche od oculari.

Diagnosi à FAG (Fluorangiografia) e PEV (Potenziali evocati visivi)


Terapiaà non ce n’è una valida; CCS riducono il papilledema ma non migliorano l’acuità visiva. Vasoattivi
(prostaglandine) ed antiaggreganti utili a prevenire eventuali manifestazioni all’occhio controlaterale.
NEURITI OTTICHE EREDITARIE
- Primitiva senza manifestazioni neurologiche associate (es. neuropatia ottica di Lieber)
- Primitiva con manifestazioni neurologiche associate (es. neuropatia ottica in corso di eredoatassie)
- Secondaria ad affezioni congenite
Neuropatia ottica di Leber = M>F, esordio verso i 20 anni. È una malattia mitocondriale che si manifesta con:
- Calo del visus dapprima monolaterale (generalmente si stabilizza intorno a 1/10)
- Scotoma centrocecale alla perimetria
- Papilla iperemica a margini sfumati (oftalmoscopia)
Diagnosi → FAG e PEV. Terapia → coenzima Q10 (ndr)

PATOLOGIA ONCOLOGICA
§ Gliomi: caratteristici dell’infanzia, spesso congeniti (sono pertanto considerati amartomi più che tumori veri e
propri). Astrocitomi pilocitici di basso grado (1,2). Raramente necessitano di un trattamento.
§ Meningiomi: il nervo ottico è rivestito da meningi (caratteristica inusuale per un nervo). Sono dei veri e propri
tumori, di vario tipo:
- a lento accrescimento → presenza di corpi psammomatosi (contententi calcio e radiopachi)
- a rapido accrescimento → spesso di natura vascolare
Di fronte ad un meningioma è opportuno seguire il campo visivo e con RMN l’evoluzione della massa:
- Il meningioma tende a crescere e al momento dell’osservazione il visus è persoà asportazione di tumore e
nervo ottico in un’unica soluzione
- Visus conservatoà possibile un approccio con trattamenti radianti con γ knife (a differenza della chirurgia
tradizionale NON si richiede anestesia né apertura della scatola cranica) o radiochirurgia che bloccano la
crescita del tumore.
NB. Possibile una terapia conservativa chirurgica nelle varianti (rare) con sviluppo all’esterno del nervo ottico.
§ Neurofibromatosi di von recklinghausen (NF TIPO 1)
- Macchie caffè-latte cutanee
- Neurofibromi plessiformi
- Gliomi del nervo ottico
- Noduli di Lisch (Amartomi dell’Iride)

PATOLOGIE DEL CHIASMA OTTICO


La patologia a questo livello, soprattutto le neoplasie (es. craniofaringiomi, tumori ipofisari), portano a schiacciamenti
lenti e progressivi del nervo ottico e quindi a disturbi del campo visivo: inizialmente non totali (quadrantopsie,
emianopsie → ciò a seconda della regione sulla quale la massa agisce).
NB. “Il pz vede la sua patologia” → es. quadrantopsia in basso a dx = tumore in alto a sx).

PATOLOGIE DEL SENO CAVERNOSO


Nel seno cavernoso passano i nervi cranici III, IV e VI (che poi entrano nell’orbita attraverso la fessura orbitaria
superiore) e fibre coinvolte nell’innervazione pupillare (SNAp: le fibre dal nucleo di Edinger-Westphal arrivano
all’occhio con il III nervo cranico; SNAs: ganglio toracico sup. à plesso precarotideo).
Se per un trauma o una rottura spontanea la carotide si fissurizza, il sangue si dirige nel seno cavernoso à data la
differenza pressoria si ha inversione di flusso e il seno cavernoso e la vena oftalmica divengono arterie di fatto.
L’occhio si gonfia, i muscoli si bloccano (sembra una sindrome infiammatoria ma in realtà è un blocco del deflusso
del sangue al seno cavernoso). In questi casi il tonometro con applanazione si muove in sincrono con il polso.
Diagnosi → angiografia (eventualmente anche terapeutica
NB. Accessi: vena femorale, vena oftalmica.

PATOLOGIE DEI NUCLEI DEL PONTE


Sono disturbi della motilità (diplopie secondarie: il pz vede doppio).
È importante stabilire la sede della lesione e la sua natura (tossica o vascolare → importante l’anamnesi); va inoltre
distinta un’ipofunzione muscolare da un difetto paralitico (in cui il pz non può muovere l’occhio verso la direzione di
sguardo di quel certo muscolo).
Paralisi del VI nervo cranico (nervo abducente) = il pz non riesce a muovere l’occhio lateralmente (segue il dito
dell’esaminatore fino a un certo punto e poi non ce la fa più).
L’abducente è il nervo più lungo e quindi è quello più frequentemente colpito.
C’è esoforia (ortoforia: parallelismo degli assi visivi).
Spesso questa condizione è transitoria e dovuta a microspasmi vascolari → prima di qualsiasi cosa si aspettano 6-8
mesi in cui il pz usa bendaggi o prismi per evitare la visione doppia.
Se non si risolve abbastanza presto e la paralisi è totale, il retto mediale prenderà il sopravvento, si fibrotizza e blocca
l’occhio verso l’interno → alcuni interventi di supplenza migliorano la vita del pz (si spostano temporaneamente i
muscoli retti sup. e inf. perdendo qualcosa sullo sguardo di verticalità a favore di quello laterale).

PATOLOGIE INFIAMMATORIE DEI MUSCOLI OCULARI


Le miositi simulano una paralisi (l’occhio non si muove nella direzione di quel muscolo).
Le forme pure sono quasi sempre da rimandare a patologie autoimmuni e si diagnosticano con TC, RMN.
I muscoli più frequentemente interessati: retto inferiore, mediale e superiore (hanno in comune l’innervazione
dall’oculomotore, III nervo cranico), quasi mai il retto laterale (innervato dall’abducente).
Il muscolo obliquo superiore è importante, insieme al retto inferiore, per la lettura. È innervato dal nervo trocleare (IV
nervo cranico): una sua patologia sono di difficile diagnosi (tra i possibili test c’è lo “schema di Mess”: il pz riproduce
su carta i punti che vede doppi e quelli che non vede doppi).
ONCOLOGIA ORBITARIA

L’orbita è un locus in cui sono presenti tutti i tessuti embriologici umani: sarà possibile quindi ritrovare qualsiasi tipo
di tumore (inteso come “lesione occupante spazio”).

LESIONI CISTICHE
Nella maggior parte dei casi si tratta di coristomi.
CORISTOMA = tessuto maturo/cellule microscopicamente normali in una sede anatomica anomala.
AMARTOMA = malformazione dovuta ad un’anormale mescolanza di elementi costitutivi normali del tessuto.
Sono spesso invasivi, specie le cisti epidermoidi: queste sono frequenti nell’orbita, originano per invaginazione di
ectoderma à la cute si troverà non all’esterno (come normalmente dovrebbe essere), ma all’interno con continua
secrezione di acqua, muco, grasso all’interno della cavità insieme a peli e cellule in crescita progressiva e distruttiva
(ciò a causa dei continui maneggiamenti dell’epitelio).
La loro crescita inizia a rallentare molto tardi fino a che tutto l’epitelio non scompare e diventa impossibile
riconoscerlo, le ghiandole sebacee muoiono (e il contenuto delle cisti da sebaceo diviene acquoso) e anche le
ghiandole sudoripare si esauriscono.
NB Nonostante siano lesioni benigne è bene rimuoverle!
Localizzazioni
- Fessura frontozigomatica
- Sutura frontoetmoidale
Nb: localizzazione diverse suggeriscono che la lesione di fronte a cui ci si trova possa essere una cisti da echinococco
(cautela durante l’intervento chirurgico: rischio di shock anafilattico → ricorso a garze imbevuto di saliva che assorbono
il liquido ed impediscono all’echinococco di diffondersi).

MUCOCELE DEL SENO FRONTALE O ETMOIDALE


Lesione paracistica ritrovabile a livello dei seni frontali o etmoidali per chiusura dei dotti escretori (traumi, interventi
chirurgici) con accumulo di muco a monte → rottura della parete ossea, esoftalmo.
Alla TC sembrano tumori maligni dato che sono distruttivi; in realtà con un semplice drenaggio il problema si risolve.

LESIONI VASCOLARI
È importante differenziare le neoplastiche da quelle malformative:
- Forme neoplastiche (emangioendoteliomi, emangioleiomiomi, emangiopericitomi): forme monocellulari più o
meno aggressive con rara ma possibile variante maligna.
- Forme malformative: forme multicellulari; arterovenose (associate a malformazioni del distretto encefalico o
facciale), venose.
Le malformazioni venose si dividono in forme:
§ Ad alto flusso (es. varici): si incrementano con la manovra di Valsalva, danno immagini diverse alla TC con
pz prima prono e poi supino, il pz quando si abbassa sente dolore e ha la sensazione che “l’occhio esca fuori”;
§ A basso flusso
ANGIOMA CAVERNOSO
A metà tra lesione neoplastica e malformativa; esiste una variante dell’adulto ed una del bambino. Quasi sempre
hanno un interesse chirurgico. Ndr tumore orbitario più frequente.

ANGIOMA CAPILLARE
Alcuni lo considerano una lesione tumorale; risponde bene a bleomicina e steroidi (quindi ha quasi sempre un
trattamento di tipo medico).

EMOLINFANGIOMI
Hanno una componente venosa e linfatica; pericolosi dato il rischio di emorragie spontanee possibilmente responsabili
di cali del visus acuti.
Nb: Spesso è associata a tutta l’emiguancia, il fornice gengivale, la mucosa del naso (si sviluppano precocemente nella
vita embrionale.
Il trattamento più adeguato è in valutazione (sclerotizzazione? operazioni in fase emorragica?).
LESIONI NERVOSE VERE
Schwannomi, lesioni rientranti nella neurofibromatosi di tipo 1. Coinvolgono il SNP (es. I e II branca del V nervo
cranico).

LINFOMI
L’orbita ha ampie possibilità di essere affetta da un linfoma. Anche se i linfomi MALT sono quasi sempre isolati, i
protocolli odierni prevedono una stadiazione tramite PET total body ed agobiopsia midollare.
I linfomi possono simulare un processo infiammatorio (ciò che prima veniva definito “pseudotumor infiammatorio”) e
dato che questi rispondono parzialmente ai CCS, può esserci un errore diagnostico che identifica il pz come portatore
di un episodio infiammatorio dell’orbita → è importante il ricorso alla biopsia.

MENINGIOMA DELLA GRANDE ALA DELLO SFENOIDE


Borderline tra benigno e maligno, a lento accrescimento.
Invade sia la fossa cranica media sia la cavità orbitaria. In genere colpisce le donne di mezza età e data una certa
correlazione con il carcinoma della mammella, si può presupporre una base ormonale comune. È difficile stabilire se,
come e quando trattarli.
Segno caratteristico: esoftalmo con convessità della regione temporale.

GRASSO
- LIPOMA
- LIPOMIOSARCOMA è un tumore dell’infanzia. Data la sua rarità, non vi sono protocolli accettati in tutto il mondo
ma le casistiche suggeriscono un atteggiamento aggressivo fin dal primo momento con una exenteratio orbitae.
NB Si presenta come se fosse capsulato ma in realtà è multicentrico.

TUMORI DELLE PALPEBRE


Nascono dalla cute (tumore basocellulare e spinocellulare), diventano tumori orbitari solo in un secondo momento.
Vanno asportati con il controllo dei margini. Ndr domanda scritto: basalioma è più fq su palpebra inferiore.
Nb: In caso di tumori molto superficiali e tumori sulla guancia è invece possibile un approccio con imiquimod → non
utilizzabile sulle palpebre perché tossico per l’occhio e perché non dà garanzie sull’eradicazione delle neoplasie.
Massima aggressività per i tumori del canto interno.

METASTASI
L’orbita può essere sede di metastasi dato il rallentamento ematico a questo livello legato alla congiunzione dei torrenti
ematici di carotide int. ed est.
Cellule neoplastiche possono formarsi a livello del grasso, muscoli (attenzione a K. Mammario e polmonare).
Metastasi nella cavità orbitaria àprognosi scadentissima

TUMORI MALIGNI
Veri e propri tumori invasivi originanti per lo più dai seni paranasali e dal rinofaringe. A questo capitolo vanno aggiunti
i melanomi.

TERAPIA
La terapia medica è fondamentale per i linfomi.
La terapia chirurgica con/senza radioterapia è fondamentale negli altri casi.
I tumori confinati all’apice, specie i meningiomi, hanno bisogno fondamentalmente di una terapia radiante.
Orbitotomie = osteoplastiche/non osteoplastiche a seconda che si crei uno sportello osseo per giungere in orbita.
Si accede attraverso la fossa cranica media solo per i meningiomi della grande ala sfenoidale; nella maggior parte dei
casi oggi si accede per via laterale (quelli profondi) o anteriore (se meno profondi).
Spazi di Benedict = spazi chirurgici dell’orbita:
1) Fino all’equatore del bulbo
2) Fino a 1,5 cm del nervo ottico nel suo tratto retrobulbare
3) Dalla fine precedente alla fine dell’orbita

Tecnica di decompressione = utile quando è impossibile asportare tutta la lesione. Consiste nell’allargare lo spazio
delle cavità orbitarie.
Exenteratio orbitae = non si parla di “eviscerazione” perchè l’orbita di per sè non è un organo singolo ma piuttosto
una cavità che contiene diversi organi. Semplice o allargata à in base all’eventuale rimozione dell’osso infiltrato e
della neoformazione che ha già invaso i distretti vicini.
RETINOBLASTOMA
È un tumore maligno la cui fascia d’età più colpita è 0-3 anni; 5% di tutti i casi di cecità.
- Forma ereditaria: uni-/bilaterali; AD, penetranza 80%
- Forma sporadico: unilaterale
Anatomia patologica
- Rosette: costituite da cellule cuboidi/colonnari corte sistemate intorno ad un lume o senza alcun lume.
- Fleurettes: assi stromali fini e corti sorretti da cellule neoplastiche con parte apicale verso l’esterno.
- Pseudorosette: cellule viventi posizionate intorno ad un vaso sanguigno.
Possibile invasione di sclera, coroide, nervo ottico, spazio delle meningi.
Nb: L’invasione della coroide (altamente vascolarizzata) è il veicolo effettivo per le metastasi a distanza.
Clinica
• Leucocoria (anomalia della retina, con riflesso pupillare bianco)
• Strabismo (insieme al precedente, sono i più frequenti)
• Occhio rosso, dolente, con glaucoma secondario
• Cellulite orbitale con ipovisione
• Midriasi unilaterale ed eterocromie
In caso di bilateralità, in genere uno dei due occhi presenta un retinoblastoma in stadio avanzato.
Diagnosi
- TC, RMN à utili per la DD, per la stadiazione e la scelta del trattamento.
Nb: Calcificazioni intraoculari in bambini < 3 anni à suggestive di retinoblastoma.
Gradi di Danziger e Price (tramite studio con TC)
I. Masse con elevata densità e con calcificazioni diffuse nel bulbo oculare
II. Tumori a densità elevata coinvolgente nervo ottico e tessuti orbitali molli ma con rare calcificazioni
III. Masse intratecali/extraorbitali con marcato aumento del contrasto
- Ecografia
- FNAB: non raccomandato routinariamente, riservato a bambini con manifestazioni inusuali o per
differenziare una ripresa orbitaria di retinoblastoma da una seconda neoplasia maligna.
Complicanze: emorragia, distacco retinico, disseminazione neoplastica.
Terapia
Per la scelta del trattamento bisogna valutare:
- Se la malattia è uni-/multi-focale - Età del bambino
- Sede e grandezza del tumore - Reperti istopatologici
- Interessamento del corpo vitreo

Enucleazione → trattamento standard nei casi unilaterali e nell’occhio più gravemente colpito nei casi bilaterali.
Andrebbero resecati al massimo 10 mm di nervo ottico; un impianto post-enucleazione è richiesto sia per motivi
estetici, sia per stimolare la crescita della cavità orbitaria.
Indicazioni maggiore per l’enucleazione:
• Massa coinvolgente > 50% della retina + distacco della retina
• Invasione del nervo ottico TC-accertata (si fa anche RT)
• Occhio tisico (casi di bilateralità)
• Fallimento di approcci conservativi
Irradiazione esterna = il retinoblastoma è altamente radiosensibile
Indicazioni:
• Casi unilaterali con grande tumore non coinvolgente macula e nervo ottico
• Casi bilaterali in cui entrambi i tumori sono avanzati
• Nel tessuto orbitale in caso di invasione del nervo ottico, della sclera, in caso di recidiva orbitale

Placche episclerali = utili per tumori di media grandezza o nei trattamenti secondari di tumori recidivi/nuovi non
controllabili con foto-/crio-coagulazione.

Criocoagulazione, fotocoagulazione allo xeno = piccoli focolai tumorali, completamento della terapia radiante,
recidive iniziali.

Chemioterapia = termoterapia transpupillare (TTT) subito dopo iniezione ev di carboplatino. Utile per
retinoblastoma di piccole e medie dimensioni.
MELANOMA DELLA COROIDE
Epidemiologia
Il melanoma maligno dell’uvea è la neoplasia intraoculare primitiva più frequente nell’adulto (90% dei tumori
oculari): può originare da tutti e 3 i tratti dell’uvea.
§ Segmento anteriore: si può presentare all’iride (10%), prevalentemente nel meridiano inferiore; localizzato o
diffuso.
§ Segmento posteriore: può originare dal corpo ciliare o più spesso dalla coroide (80%)
Ha elevata tendenza a metastatizzare (unicamente per via ematica) verso il fegato, polmone, scheletro, cute e SNC.
Purtroppo non esistono terapie adeguate per la forma metastatica, la cui sopravvivenza è circa 6 mesi.
Sopravvivenza a:
5 anni→ 72%, 10 anni→ 59%, 15 anni→ 53% Importante la diagnosi precoce
Età di insorgenza:
§ Melanoma irideo = 40-47 anni
§ Melanoma della coroide/dei corpi ciliari = V-VI decade di vita
§ Dopo i 70 anni la frequenza diminuisce
§ Raro nei non caucasici
Patogenesi
• Fattori genetici: es. monosomia Cr3
• Condizioni predisponenti endogene: il rischio di sviluppare un melanoma a partire da un nevo della coroide è
basso (ma comunque più elevato di soggetti che non hanno nevi):
Ø Nevi ad alto rischio di trasformazione maligna = progressivo sollevamento all’esame oftalmoscopico,
progressivo aumento dei diametri principali all’esame ecografico
Ø Melanocitosi oculare = congenita, unilaterale, iperpigmentazione di episclera ed uvea
Ø Melanosi oculodermica “nevo di Ota” = localizzato a livello della cute periorbitale
Ø Sindrome del Nevo displastico
Ø Sindrome del Nevo atipico
• Fattori ambientali: esposizione alla luce solare (specie in caso di iride chiara); virus, agenti chimici, radiazioni,
traumi bulbari → informazioni controverse
• Istogenesi: l’ipotesi più accreditata vede come cellula d’origine del melanoma una cellula neuroectodermica
pluripotente proveniente dalla cresta neurale S100+, ligando dell’HMB45+ (la cui espressione è forse in relazione
all’attività del nevo)
• Citogenetica: alterazione dei Cr3, 6 e 8.
Anatomia patologica
Microscopicamente:
mortalità a 15 anni
Fusato A < 5%
Fusato B < 25%
Misto Grado I (prevalente componente fusata B) < 50-60%
Misto Grado II (prevalente componente epitelioide) 60-80%

Macroscopicamente:
§ Piccoli [D maggiore < = 10mm]
§ Medi [D maggiore 11-15mm]
§ Grandi [D maggiore > 15mm]
Lo spessore della sclera previene l’estrinsecazione del tumore all’esterno; il tumore in crescita riesce però a rompere la
membrana di Bruch (lamina vitrea), facendosi strada nello spazio sottoretinico.
N.B. La retina sovrastante un melanoma dell’uvea va incontro ad atrofia e degenerazione cistoide mentre quella che lo
circonda si distacca per via dei fenomeni essudativi.
N.B.2 Il tumore tende a crescere sia all’interno del bulbo (tessuti intraoculari) che all’esterno (sclera, tessuti orbitari).
Clinica
Il melanoma coroidale si sviluppa in genere in maniera asintomatica ma la presentazione clinica dipende da
localizzazione, istologia e velocità di crescita:
§ Calo del visus
§ Deficit del campo visivo
Frequente il riscontro di un distacco della retina peri/epilesionale.
Diagnosi
1. Oftalmoscopia Binoculare Indiretta: caratteristiche del tumore, eventuali alterazioni a carico delle strutture
adiacenti.
Caratteristiche all’oftalmoscopia: noduli grigio/verdastri rilevati sul piano retinico dai margini netti e con
pigmentazione variabile. Possibile aspetto fungoide in caso di lesioni più grandi.
Spesso sulla superficie: zolle di pigmento arancio, drusen, aree di atrofia dell’epitelio pigmentato, mentre
raramente si hanno forme diffuse, piatte o estese.
2. Ecografia Oculare con tecnica A-B scan: d’elezione per la DD strumentale non invasiva dei tumori del bulbo e
dell’orbita (metastasi in coroide, angiomi coroidali, osteomi, melanocitomi, nevi). Dà informazioni su:
§ Dimensioni della neoplasia
§ Struttura della neoplasia
§ Estensione della neoplasia
Inizialmente si usa la B-scan (Bidimensionale rileva forma ed estensione); l’A-scan (monodimensionale rileva
lunghezze) è usata in un secondo momento per la valutazione dello spessore (> 2mm).
3. Fluoroangiografia: DD emorragia sottoretinica e melanoma amelanotico/lesioni benigne ad alta
vascolarizzazione (Es. emangioma coroidale)
4. OCT: utile per monitorare un distacco sieroso del neuroepitelio associato al tumore
Diagnosi differenziale § Metastasi coroidali
§ Nevo della coroide § Emangioma
§ Ipertrofia dell’EPR § Osteoma
§ Emorragia sottoretinica § Melanocitoma coroidale

Terapia
Può essere Radicale o Conservativa.
Waiting Therapy: casi dubbi di piccole lesioni; i 5 fattori di rischio sono:
TO Thickness (spessore)
FIND Fluid (liquido sottoretinico)
SMALL Symptom (sintomo)
OCULAR Orange pigment (pigmento arancione)
MELANOMA Margin touching optic disc (lesione il cui margine tocca il disco ottico)

Lesioni pianeggianti 2-3,5mm di spessore senza RF per la crescitaà osservazione clinica a stretti intervalli di tempo
Piccoli melanomi pigmentatià possono essere trattati con TTT (termoterapia transpupillare), utile anche per
melanomi di maggiori dimensioni con estensione sclerale (riduce il rischio di recidive) o localizzati juxtapupillari (in
questo caso in associazione alla radioterapia con placche episclerali – Terapia Sandwich).
Il trattamento radiante più frequentemente utilizzato è la Brachiterapia (oro 198).
L’Endoresezione del tumore dopo sterilizzazione con protoni per risolvere il distacco di retina è possibile per tumori
di qualsiasi spessore con D basale < 15mm e distanti almeno 4mm dalla fovea e 3mm dal disco ottico.
Si ricorre all’Enucleazione quando la funzione visiva sia irrimediabilmente compromessa e non sia possibili ricorrere
ad un trattamento conservativo e/o la radioterapia comporti una grave compromissione dell’occhio stesso. Il rischio è
però dato dal distacco di emboli neoplasticià metastasi.
NB. dopo il trattamento sono richiesti controllo oftalmoscopici ed ecografici ogni 6 mesi (per i primi 5 anni) e poi ogni
anno.
MORBO DI BASEDOW GRAVES-OFTALMOPATIA DI GRAVES

Introduzione: Innanzitutto cominciamo col distinguere quello che è il morbo di Basedow dall’oftalmopatia
di Graves: mentre Basedow si concentrò maggiormente nella descrizione della sintomatologia generale
dell’ipertiroidismo, Graves studiò principalmente la sintomatologia oftalmologica.

L’oftalmopatia di Graves è è una patologia su base autoimmunitaria che coinvolge i tessuti orbitali ma è anche
la manifestazione extratiroidea più frequente, debilitante, della malattia di Graves-Basedow stessa (infatti
occorre prestare attenzione al fatto che non basta correggere il difetto tiroideo per migliorare la condizione
oculare: vi sono quadri clinici di soggetti che, dopo 10 anni di ipertiroidismo, hanno poi sviluppato
l’oftalmopatia). Rispetto all’ipertiroidismo, va precisato, che può essere antecedente, contemporanea o
successiva. Quindi si ritrova spesso MA NON SEMPRE a far parte del più complesso morbo di BG, una
patologia sistemica, sempre su base autoimmunitaria, che va ad interessare prevalentemente la tiroide (IgG
anti-recettore del TSG ad azione agonista) ma che può coinvolgere anche i tessuti orbitali e, più raramente, i
tessuti sottocutanei della regione pre-tibiale.

Epidemiologia: Da un punto di vista epidemiologico l’oftalmopatia colpisce più frequentemente le donne


(rapporto 4:1) soprattutto di età media, mentre ha un’incidenza minore nel sesso maschile, seppure, laddove si
presenti nell’uomo, acquisisce fattori di gravità generalmente maggiori rispetto al sesso femminile. Si riscontra
nei soggetti adulti, di 40-50 anni e, specie quando si presenta come patologia singola, non sempre è bilaterale.
Può diventarlo in un secondo momento, se i tessuti bersaglio dell’autoimmunità (ad esempio il grasso orbitario
in eccesso) vanno in circolo amplificando così la risposta immune.

Fattori di rischio: Fattore di rischio maggiore, soprattutto secondo la scuola anglosassone, è il fumo di
sigaretta, al quale andrebbe aggiunto anche lo stress, che pur non essendo il principale può essere spesso
evidenziato nell’esperienza clinica quotidiana. Altri fattori sono: la terapia radiometabolica (15% dei casi
trattati) e il sesso femminile (Questi sono fattori di rischio NON per la malattia di Graves-Basedow, ma
piuttosto per la sua complicanza a livello oculare).

Patogenesi: La patogenesi è quella di una reazione immunomediata


crociata, con formazione di IgG che attaccano le componenti perioculari OFTALMOPATIA NEL
MORBO DI BASEDOW-GRAVES
per mimetismo tra gli antigeni tiroidei ed orbitari. Si determina così un
infiltrato linfocitario e secrezione di citochine, con attivazione dei
Autoantigeni:
fibroblasti/adipociti (che hanno il recettore per il TSH) e secrezione di
glicosaminoglicani (idrofilici, responsabili di edema e ringonfiamento
Recettore del TSH ++
muscolare). Vengono ad essere colpiti il tessuto fibro-adiposo e il tessuto
Tireoglobulina +
muscolare a livello prettamente orbitarioà accumulo di carboidrati
TPO +/-
complessi (GAG) e collageneà due quadri clinici principali : uno in cui
Antigeni muscolari +/-
c’è ipertrofia del grasso retro-orbitario ed un altro in cui sono i muscoli
ad avere un grosso inspessimento, i quali muscoli perdono di elasticità
andando incontro a fenomeni di fibrosi.

Clinica: A livello dell’orbita c’è quindi un coinvolgimento dei tessuti molli, particolarmente grasso e muscoli,
quindi ritroviamo fenomeni di retrazione palpebrale, esoftalmo/proptosi, oftalmoplegia e neuropatia ottica.
Tra questi, quelli più frequentemente riscontrati sono la retrazione palpebrale e l’esoftalmo/proptosi.

SINTOMI
• Sensazione di corpo estraneo
• Lacrimazione
• Fotofopia
• Fastidio retrobulbare (che il professore paragona al dolore di compressione e fastidio che si prova
generalmente durante gli stati influenzali, piuttosto che ad una semplice cefalea)

SEGNI:
• Iperemia epibulbare
• Edema periorbitario e palpebrale
• Cheratocongiuntivite

Questi segni spesso precedono lo sviluppo dell’oftalmopatia vera e propria e sono la causa iniziale che porta i
pazienti alla visita oculistica.

ALTERAZIONE DELLA REGIONE PERIORBITARIA:

1. Retrazione palpebrale in posizione primaria di sguardo, dovuto ad


uno spasmo da ipersensibilità del simpatico.
Segni della palpebra e
a. Contrattura fibrotica dei muscoli elevatore
ü Retrazione palpebrale in
retto inferiore posizione primaria di sguardo
b. Iperfunzione del complesso elevatore dellaspaventato
ü Aspetto palpebra e retto
superiore
c. Iperfunzione secondaria del m. retto inferiore per fibrosi del
retto superiore
d. Iperfunzione del m.del Muller (sovrastimolazione
simpatica)
2. Aspetto spaventato dovuto allo scleral show. Questa è la facies
tipico del paziente con Graves-Basedow (per cui può accompagnarsi
anche a quadri tiroidei, gozzo, molto evidenti), tuttavia nel bambino
è un evento piuttosto poco frequente, essendo maggiormente
rappresentata nell’età adulta. Bisogna ricercare alcuni segni tipici:
a. Il segno di Graefe: ‘Nello sguardo verso il basso, la
palpebra superiore non segue il movimento del bulbo oculare, così che una parte della sclera
rimane scoperta’.Generalmente la presentazione è bilaterale, ma si possono avere anche
quadri patologici monolaterali, nei quali questi segni sono essenziali per fare diagnosi di
Graves.
b. Segno di Joffroy : ‘Nello sguardo verso l’alto non si ha
il corrugamento consensuale della fronte’.
3. Segno centrale nel Graves è l’esoftalmo/proptosi. Che differenza
c’è tra la proptosi e l’esoftalmo? La prima è uno spostamento
àssile, cioè non vi è dislocamento del bulbo oculare, mentre nel
classico esoftalmo la protrusione è accompagnata dal
dislocamento del bulbo oculare. L’esempio classico: una
patologia della ghiandola lacrimale determina un esoftalmo
perché spinge l’occhio in fuori e in basso, il Graves in genere
non dà un esoftalmo ma una proptosi, quindi uno spostamento
solo in avanti del bulbo; laddove, in seguito a fenomeni fibrotici,
si aggiunga anche un dislocamento bulbare, allora si potrà
parlare di esoftalmo. Ricordando che il quadro classico è
bilaterale ma non è la regola. Questa definizione pare essere
differente a seconda delle fonti:“ L’esoftalmo si distingue dalla proptosi (quando il bulbo è spinto in
avanti e in basso); quest’ultima interessa, perlopiù, un solo occhio ed è causata generalmente da
processi proliferativi all’interno dell’orbita (ad esempio, da tumori). “dal sito dell’ iapb. Precisiamo
che talvolta l’esoftalmo/proptosi è solo apparente à è la stessa retrazione palpebrale che comporta
questo effetto visivo; altre volte è proprio una sporgenza dovuta all’accumulo di tessuto retrobulbare
che sposta in avanti il bulbo. Questa esposizione eccessiva del bulbo, associata ad una esposizione
eccessiva della sclera (per retrazione di entrambe le palpebre) è, per il paziente, una seria causa di
stress. Il paziente si sente spesso osservato a causa di questo inestetismo e sovente ciò è causa
dell’instaurarsi di un circolo vizioso che alimenta lo stress e di conseguenza anche l’oftalmopatia
stessa.
4. Edema palpeprale ed Iperemia congiuntivale: entrambi questi segni sono causati dallo stato
infiammatorio orbitale.

ALTERAZIONE DELLA FUNZIONE VISIVA:


1. Cheratopatia da esposizione: La protrusione del bulbo, congiunta alla retrazione palpebrale,
espone la cornea. La cornea dovrebbe essere sempre bagnata dalle secrezioni lacrimali, specie la
notte. In questo caso, però, il film non è garantito e, di conseguenza, il trofismo della cornea
nemmeno. Possono quindi presentarsi una fotofobia, una eccessiva lacrimazione, ulcerazioni
corneali, infezioni che facilitano il fenomeno della perforazione corneale.
N.B. è importante ricordare che le infezioni della cornea sono difficili da trattare perché gli
antibiotici non riescono a penetrare in tutti i vari strati corneali, essendo del resto la cornea non
vascolarizzata.
Fortunatamente oggi non vediamo più tanti casi del genere ma in passato, quando c’è stato il netto
incremento dell’incidenza del morbo, arrivavano quadri molto severi, rasentando quasi la
perforazione bulbare, portando ad un intervento terapeutico d’urgenza. Spesso si possono anche
sovrapporre patologie infiammatorie del segmento anteriore che peggiorano la sintomatologia di
base.
2. Stabismo restrittivo: E’ causato dalla fibrosi dei muscoli oculari e dalla alterazione dei movimenti
conseguenteà i muscoli aumentano di volume, perdono di elasticità e quindi una difficoltà nel
movimento oculare stesso. I muscoli più colpiti in ordine decrescente, sono: retto inferiore, retto
mediale ed infine il complesso elevatore della palpebra, retto superiore, retto laterale. Questo
determina logicamente una difficoltà di convergenza dei bulbi oculari, evidenziabile con il segno
di Moebius, ossia ‘il paziente invitato a convergere lo sguardo, non riesce a mantenere a lungo
questa posizione’.
3. Diploidia: Sempre dovuta alla alterazione del movimento oculare. Può capitare che un occhio è
più mobile dell’altro. La diplopia si corregge chiudendo un occhio. Se osserviamo il singolo
campo visivo di un occhio, esso è perfetto. Il problema è legato ai due occhi insieme.
4. Neuropatia ottica: il tessuto contenuto nell’orbita può comprimere il nervo ottico a livello
dell’apice orbitario, causando una alterazione del visus da neuropatia. Causando un deficit visivo,
soprattutto nelle forme improvvise, aggressive ed edematose, può richiedere un intervento urgente
di decompressione per evitare la permanenza del deficit stesso.
a. Alterazione della visione centrale
b. Difetto pupillare aferente
c. Desaturazione dei colori
d. Riduzione della sensibilità alla luce
e. Difetti campimetrici: centrali e paracentrali
f. Aumento della IOP
g. Papilla ottica normale (raramente atrofica)
Il professore pone l’accento sulla non obbligatoria simmetria dell’inspessimento dei vari ventri muscolari.
Questo vuol dire che talvolta un esoftalmo poco marcato può dare una forte neuropatia ottica da compressione,
perché l’inspessimento del muscolo è più accentuato a livello del foro ottico che nella parte anteriore del ventre
muscolare.

Osservazioni:
• Il 10% dei pz viene trattato per congiuntivite allergica prima di ricevere una diagnosi esatta
• Il 20% dei pz cambia almeno 2 oculisti nonostante abbia avuto una diagnosi correttaàIl professore si
sofferma sulla componente psicologica, ossia la non accettazione della diagnosi, frequente soprattutto
nelle donne, per il carattere deturpante della patologia dal punto di vista estetico, che spinge i pazienti
a rivolgersi a più specialisti per avere una diagnosi certa.

Evoluzione: Nel quadro dell’orbitopatia abbiamo un’evoluzione caratteristica, cominciando con una fase
edematosa-attiva che è congestizia, edematosa e infiammatoria e che evolve, soprattutto a livello muscolare,
in una fase fibrotica, che colpendo i muscoli porta ad inspessimento e perdita di elasticità dei muscoli, con
fenomeni ipertrofizzanti che spingono l’occhio al di fuori della cavità orbitaria. Questo comporta due diversi
piani terapeutici a seconda del momento evolutivo della patologia.

Valutazione dell’orbitopatia: Valutiamo l’orbitopatia di Graves secondo dei parametri di attività e di


gravità, in base ai quali orientiamo la nostra scelta terapeutica.

ATTIVITA’: Si valutano: la chemosi congiuntivale, l’iperemia congiuntivale, l’iperemia palpebrale, l’edema,


il dolore retro-orbitario o il dolore coi movimenti oculari, valutando anche la possibile presenza di diplopia
sviluppatasi recentemente. Se questi segni solo alti, allora siamo in fase attiva, in fase edematosa, e quindi si
procede con la terapia immunosoppressiva con cortisone ad alto dosaggio; laddove questi valori non fossero
alti, consigliamo atteggiamenti corretti quali smettere di fumare, dormire con due cuscini per favorire lo scarico
a livello del dotto lacrimale, utilizzare sostituiti lacrimali come lubrificante della superficie oculare, eliminando
così il senso di fastidio, nonché mascherine fredde da utilizzare al mattino per favorire la decongestione del
distretto orbitario.

GRAVITA’: Si valuta la funzione visiva ( visus conservato o meno ), valutazione delle condizioni del bulbo
(la cornea, il fondo, il tono oculare), valutazione della la motilità, la valutazione dell’esoftalmo e della
funzionalità palpebrale.

Guardiamo la possibile presenza di diplopia, il movimento e la


funzione muscolare, chiedendo al soggetto di seguire una luce
presentatagli e valutando le angolazioni che l’occhio stesso
riesce a raggiungere.
ß 15o
30o à
ß 45o

Come valutiamo l’esoftalmo? Con l’esoftalmometro di Hertel (


tarato in mm ) che è ancora oggi l’unico misuratore per
l’esoftalmo, anche se molto soggettiva come metodica, con una
forte variabilità interindividuale, ammenochè non vogliamo
usare metodiche di diagnostica per immagini.

OD OS
Parametri per la valutazione della gravità
dell’esoftalmo : Apertura palpebrale
- Apertura palpebrale (normalmente dovrebbe
MRD
essere di 9mm )
- MRD : distanza dal centro della pupilla al Scleral show sup
margine palpebrale Scleral show inf
- La sclera mostrata superiormente ed
Funzione dell’elevatore
inferiormente alla cornea
- Borse Lagoftalmo
- Lagoftalmo, che soprattutto durante la notte Prolasso adiposo (borse) 0-1-2 0-1-2
può dare sofferenza corneale
HERTEL

Esami strumentali: La TC, l’RMN e l’ecografia sono utili per verificare e valutare il coinvolgimento
muscolare; spesso risultano maggiormente interessati i muscoli retto superiore e retto inferiore. L’ecografia è
utilissima per un successivo follow-up. Con la risonanza studiamo bene i tessuti molli ma peggio le strutture
ossee, ottenendo informazioni sull’ipertrofia retro-orbitaria. Quella che preferiamo è la TC per un motivo
semplice, ossia è facile da ottenere. Ci interessa solo l’orbita in proiezione assiale e coronale, così da studiare
bene la struttura ossea della cavità orbitaria ed in caso di intervento chirurgico successivo, sarà sufficiente
quell’immagine per procedere alla decompressione.
TAC dell’orbita in cui è ben evidente l’ipertrofia del ventre
muscolare retto inferiore. ( proiezione assiale )

TAC dell’orbita. Proiezione coronale con retto inferiore,


superiore e mediale ipertrofici.

Terapia: Prima di tutto bisogna sapere esistono 5 livelli di gravità dell’oftalmopatia di graves: essi si
definiscono fasi di gravita’ e dipendono dalla quantità e dalla qualità dei tessuti interessati dalla patologia;
inoltre esistono due fasi temporali della malattia, chiamate fasi di attivita’ della patologia. In base ad uno score
che dipende da entrambe queste fasi, si sceglie se trattare o no il paziente: trattare se score > 4.

- ATTIVITA’ BASSA – GRAVITA’ BASSA


Scarsi segni infiammatori, poco esoftalmo – terapia di supporto
- ATTIVITA’ ALTA – GRAVITA’ BASSA
Terapia immunosoppressiva
- ATTIVITA’ ALTA – GRAVITA’ ALTA
Solo chirurgia, talvolta d’urgenza
- ATTIVITA’ BASSA – GRAVITA’ ALTA
Solo problemi estetici o funzionali – chirurgia

Questi sono tre esempi di fase attiva della malattia, tipicamente da trattare con terapia immunosoppressiva:
cortisone in bolo, immunosoppressore e terapia radiante, per quanto attualmente si cercano i farmaci biologici.
Effetto collaterale della terapia radiante è la fibrosi della muscolatura extra-oculare.

• corticosteroidi in bolo (a basse dosi hanno attività antinfiammatoria, ad alte dosi hanno effetto
immunosoppressivo)
• radioterapia a basse dosi (è un’alternativa quando il paziente non può sopportare gli effetti
collaterali dei corticosteroidi)
• immunosoppressori (raramente)

Questo invece è un esempio di ‘fase fredda’ e fibrotica della


malattia. Da valutare se trattare chirurgicamente o meno.

Attività bassa- gravità bassa:


• Terapia medica (lubrificanti oculari)
• Terapia di supporto

Attività alta-gravità bassa:


• Corticosteroidei in bolo
• Altri immunsoppressori (metotreate, ciclosporina, rituximab, tolicizumab)
• Radioterapia (20Gy in 2 settimane)

Attività alta-Gravità alta


• Terapia medica (bolo, in urgenza se otticopatia compressiva)
• Terapia radiante
• Terapia chirurgica

Attività bassa- Gravità alta o solo problemi funzionali estetici:


• Terapia di supporto
• Terapia chirurgica
Terapia chirurgica: Per quanto riguarda il protocollo chirurgico, in ordine cronologico :
- Chirurgia ossea, decompressione della camera orbitaria, ossia il ‘contenente’, abbattendo la parete
superiore, laterale o mediale
- Chirurgia muscolareà chirurgia dello strabismo (diploidia in posizione primaria)
- Chirurgia palpebrale, perlopiù estetica
o Palpebra inferiore: recessione retrattori
o Palpebra superiore: mullerectomia
Non sempre va eseguito tutto il protocollo, ma logicamente va adeguato al singolo caso clinico.

ESEMPIO: In questo caso, con un forte strabismo, si opera solo per


chirurgia muscolare.
Il professore sottolinea che finché la posizione primaria (sguardo
fisso in avanti ) e l’inferoversione sono preservate, ossia finchè in
queste posizioni oculari non c’è diplopia, non si interviene
chirurgicamente, perché altrimenti il rapporto rischio/beneficio
propenderebbe verso il rischio.
Nello strabismo da Graves, la diplopia è invalidante per la vita di
relazione solo se si presenta nelle due posizioni sopracitate,
giustificando una chirurgia muscolare.
Se il soggetto riferisse, ad esempio, diplopia nella lateroversione, si
preferisce consigliare al paziente di muovere tutto il capo verso il
punto da fissare, evitando così la visione doppia, piuttosto che intervenire con chirurgia. Da sottolineare il fatto
che questa condizione è interdisciplinare, coinvolgendo la figura dell’oculista, del patologo dell’orbita, nonché
dell’endocrinologo, non tralasciando il forte supporto psicologico necessario per questi pazienti.
Per il Basedow esiste un programma riabilitativo complesso per i tre sintomi principale: esoftalmo,
strabismo e malposizione palpebrale, che vengono trattati con tre tempistiche diverse.
Per quel che riguarda l’esoftalmo, questo costituisce il primo problema da risolvere. Sta all’oculista
scegliere il migliore approccio tra quelli disponibili:
• Asportazione grasso (decompressione adiposa = lipectomia)
• Incremento volume orbitario (decompressione ossea). La decompressione è sempre
delle pareti (1, 2 o 3 pareti cioè la laterale, l’inferiore o la mediale) e mai del tetto
perché avremmo la discesa del cervello in orbita con pulsazione cerebrale trasmessa
all’occhio.
• L’insieme delle due.
Per quel che riguarda lo strabismo, questo è determinato dalla fibrosi muscolare. La soluzione è la
recessione dei muscoli fibrotici, di solito i retti inferiori, che vengono portati più indietro. Ciò, però,
comporta anche lo spostamento posteriore del retrattore, con conseguente abbassamento palpebrale,
quindi si devono staccare i due muscoli per rendere i due spostamenti [del muscolo e della palpebra
o dei due muscoli, se volete (N.d.R)] indipendenti.
Per quel che riguarda le malposizioni, la chirurgia palpebrale consiste in:
• Recessione del Muller
• Recessione del retto inferiore
• Asportazione delle ernie grassose che possono formarsi (lipectomia).
Interventi estetici come la blefaroplastica.
STRABISMO
Disallineamento degli assi visivi (rette che uniscono la foveola all’oggetto fissato) → Normalmente i due assi visivi
sono orientati verso lo stesso punto.
A. = Eso
Classificazioni
Esistono diverse classificazioni dello strabismo:
B. = Exo
In base all’asse lungo il quale avviene il disallineamento:
- Forme orizzontali: eso-deviazioni, exo-deviazioni C. = Iper
- Forme verticali: iper-deviazioni, ipo-deviazioni
- Forme torsionali: inciclo-deviazioni, exiciclo-deviazioni
Andando a valutare i riflessi corneali, noto che questi cadono D. = Ipo
sull’iride, anziché sulla pupilla.
In base allo stato funzionale:
- Manifesto: etero-tropie (es. esotropia è una forma orizzontale manifesta)
- Latente: etero-foria (es. ipoforia è una forma verticale latente). È latente quando il disturbo è compensato
dalla visione binoculare (test cover-uncover)
- Intermittente: può essere alternante o monofissazionale (rischio ambliopia). Inoltre possono essere forme
stabili (non si modificano nel tempo) o evolutive
(passaggio da -foria ® -tropia intermittente ® -tropia costante)
In base all’età d’insorgenza:
- Congenito: quando insorge nel periodo neonatale o nel primo anno di vita (esotropia essenziale infantile).
Ps: nello strabismo congenito non si manifesta diplopia per meccanismi di soppressione centrale.
- Acquisito:
• A circa 3-4 anni si sospetta una forma accomodativa
• Età adulta, caratterizzata dalla presenza costante di diplopia (visione doppia)
In base alla forma:
- Forma concomitante: l’angolo di deviazione (angolo formato dagli assi visivi) è costante, quindi NON si
modifica a seconda dell’occhio fissante e nelle varie direzioni dello sguardo Si valuta facendo fissare al pz un
oggetto, coprendo a turno uno dei due occhi: in entrambe le situazioni si quantizza la deviazione, che sarà dello
stesso grado nei due casi.
In questa forma generalmente non c’è nessuna lesione dei muscoli.
- Forma non concomitante (o incomitante): l’angolo di deviazione varia a seconda della direzione dello
sguardo, quindi c’è una differente entità della deviazione a seconda se il pz fissa con un occhio o con quello
controlaterale. Sono alterati i meccanismi regolanti i movimenti oculari.

STRABISMO CONCOMITANTE
Esotropie concomitanti primitive:
Accomodative: insorgono a 3-4 anni. Normalmente, i meccanismi di accomodazione per osservare da vicino sono
associati ai fenomeni di convergenza. L’ipermetropia, infatti, può essere causa di strabismo. La maggioranza dei
soggetti ipermetropi riesce ad accomodare senza tuttavia convergere (rapporto convergenza
accomodativa/accomodazione basso). In questo tipo di strabismo, invece, questo rapporto risulta essere alterato.
Esistono tre forme:
- Refrattiva rapporto ca/a normale, manca questo meccanismo fusionale. Infatti questo strabismo è una
combinazione di un’ipermetropia non corretta ed un’insufficiente ampiezza di divergenza funzionale. Il pz non
vede bene, ma non c’è diplopia. Si risolve con la correzione del difetto ipermetropico.
- Non refrattiva rapporto ca/a elevato, quindi pur correggendo il difetto di tipo refrattivo, l’occhio nel guardare
da vicino continua a deviare; in questo caso ad ogni diottria di accomodazione viene associato un certo numero di
diottrie prismatiche di CA.
- Parzialmente accomodativa = pur correggendo il difetto ipermetropico, permane una quota di strabismo
richiedente intervento chirurgico. Deriva solitamente da una forma accomodativa non adeguatamente corretta, in
cui si instaura un deterioramento della visione binoculare e comparsa di ambliopia.
Non accomodative: insorgono molto più precocemente rispetto alle prime. Purtroppo in queste forme nessuna quota
dell’angolo di deviazione è corretta correggendo il difetto refrattivo.
- Esotropia essenziale infantile: insorge nel primo anno di vita con un’elevata deviazione [50-60 D].
Si presenta con:
o Iperconvergenza binoculare
o Fissazione crociata (causa paralisi dei retti lat.)
o Anomalie refrattive
o Nistagmo manifesto/latente
o Iperestensione testa
Può essere trattato inizialmente con un bendaggio, che ha lo scopo di far esercitare l’occhio che normalmente è
deviato, la cui visione è soppressa per evitare la diplopia. Si procede all’intervento chirurgico quando siamo certi
che entrambi gli occhi hanno capacità visiva. Deve essere precoce (a 20-24 mesi) o comunque fino ad un massimo
di 8 anni di età del pz.
- Forme acquisite = insorgono nel primo anno di vita; spesso associate a deviazioni verticali (iperdeviazioni) per
iperattività del muscolo Obliquo inferiore.

Esotropie concomitanti secondarie:


- Sensoriale: un bambino privato dello stimolo sensoriale che arriva alla corteccia ha compromesso lo sviluppo
della visione binoculare e il suo occhio diventa strabico (più spesso verso l’interno). Es. cataratta congenita
- consescutiva: conseguenza di atti chirurgici eccessivi in pz con strabismo divergente

Exotropie concomitanti
- Primitive: eccesso di divergenza o insufficiente convergenza
- Secondarie: (sensoriale, consecutiva)

STRABISMO NON CONCOMITANTE


Si riconoscono:
- Forme paralitiche pure: causate da un deficit neuro-muscolare di uno o più muscoli oculomotori (cause
neurogene, miogene, vascolari o neoplastiche)
- Forme restrittive: dovute alla presenza di un ostacolo meccanico al movimento oculare (ad es. mancato
rilasciamento dell’antagonista per fratture blow-out incarceranti il muscolo retto inferiore).
DD → paralisi/incarceramento del muscolo si ottiene con la prova dell’abduzione passiva: se l’occhio si sposta, è una
paralisi. Il primo meccanismo di compenso per non vedere doppio è rappresentato dalla rotazione del capo Torcicollo
Compensatorio.

MISURAZIONE DELLA DEVIAZIONE


Test di Hirschberg: osservazione dei riflessi luminosi corneali visti in campo pupillare. Soggetti ortotropici hanno i
riflessi simmetricamente localizzate all’interno di ogni pupilla e lievemente decentrati nasalmente. L’eventuale
asimmetria mi indica la presenza di una –tropia o angolo K anomalo (angolo tra asse ottico, linea che congiunge i centri
ottici di cornea e cristallino, e asse visivo). DD non vi è movimento del bulbo alla fissazione in caso di anomalo angolo
K.
Test di Krimsky: variante del test precedente, aggiunge l’uso di un prisma per valutare la deviazione.
Cover/uncover test: si copre e si scopre l’occhio fissante e si osserva l’altro occhio; normalmente non mostra alcun
movimento, in caso di patologia invece l’occhio osservato cambierà lo sguardo correggendo la deviazione strabica.
Cover test alternato (cross-cover test): si copre alternativamente ogni occhio. Ciò interrompe la fusione binoculare e quindi
è utile per diagnosticare forie.

LINEE GENERALI PER IL TRATTAMENTO


1) Trattare sempre prima l’AMBLIOPIA
2) Trattare la componente accomodativa con lenti
3) Trattare la componente non accomodativa chirurgicamente
4) L’intervento deve mirare e concomitantizzare la deviazione
DA APPUNTI:
Sindromi alfabetiche: strabismi orizzontali il cui angolo di deviazione si modifica quando lo sguardo è
rivolto in alto o in basso. Esistono due tipi:
Ad “A”: assi visivi più convergenti in alto e meno in basso. La variazione è significativa quando c’è
differenza tra lo sguardo in basso e quello in alto di almeno 10 DP (diottrie prismatiche)
A “V”: il contrario. È significativa con differenze di 15 DP

Up-shoot o elevazione in adduzione: durante le versioni l’occhio addotto si dirige più in alto di quello
abdotto.

Fissazione omonima: il bambino osserva l’emispazio destro usando l’occhio destro e l’emispazio sinistro
usando il sinistro.

Fisiologia muscolare
a) Movimenti di adduzione Legge di Sherrington = la contrazione di un
- Retto mediale muscolo comporta il simultaneo rilasciamento
- Retto superiore (+ elevazione, dell’antagonista omolaterale.
inciclorotazione) Legge di Hering = la contrazione di un muscolo
- Retto inferiore (+ depressione, comporta la contrazione dell’antagonista
exciclorotazione) controlaterale.
b) Movimenti di abduzione
- Retto laterale Duzioni = movimenti monoculari
- Obliquo superiore (+ inciclorotazione, Versioni = movimenti binoculari sincroni e
depressione) simmetrici
- Obliquo inferiore (+ exciclorotazione, NB “Muscoli sinergisti” = compiono lo stesso
elevazione) movimento.
NISTAGMO
CONGENITO
Patologia dei centri oculomotori che si sviluppa nei primi mesi di vita oscillazioni ritmiche involontarie e
coordinate dei due occhi.
Movimenti:
- Pendolari (occhi che oscillano con pari velocità in entrambe le direzioni)
- Saccadici (lento spostamento di mira rispetto alla fovea seguito da un movimento saccadico rapido di
rifissazione)
Nb → La direzione dei nistagmi saccadici è nel senso del movimento rapido.
→ L’ampiezza del nistagmo è l’entità del movimento.
→ Piani del movimento: verticale, orizzontale, rotatorio.

MANIFESTO
Bilaterale, orizzontale, della stessa ampiezza nei due occhi, pendolare (può diventare saccadico).
Migliora con la convergenza, peggiora nel tentativo di fissare.
L’acuità visiva migliora:
- Posizionando gli occhi in una posizione nulla
- Posizionando gli occhi in un punto di minore nistagmo
- Posizionando il capo in atteggiamento di torcicollo
Ampiezza e frequenza sono uguali ad occhi chiusi/aperti.
Diminuzione delle scosse in convergenza esotropie ad angolo variabile (non concomitanti) ad insorgenza precoce.
Periodi di attivazione visiva esotropia senza nistagmo.
Periodi di disattivazione visiva possibile comparsa di ortotopie con nistagmo manifesto.
Diminuzione delle scosse con le versioni riduzione/scomparsa delle scosse di nistagmo, miglioramento dell’acuità
visiva, PAC (posizioni anomale del capo, che causano torcicollo) con occhi posizionati verso il punto neutro (posizione
primaria).

LATENTE
Secondario, orizzontale, coniugato.
Si evoca occludendo un occhio; scompare quando sono aperti entrambi gli occhi. Il nistagmo può ridursi in alcune
posizioni di sguardo con miglioramento dell’acuità visiva.
Causa torcicollo.

LATENTE-MANIFESTO
Incremento dell’intensità delle scosse di nistagmo alla chiusura di un occhio

DA DEFICIT SENSORIALI
Inadeguata formazione dell’immagine nella macula per patologie del primo tratto delle vie ottiche efferenti ed
alterazioni del feedback coinvolto nel controllo oculomotorio del meccanismo di fissazione.
Si sviluppa intorno a 3 mesi (al presentarsi del riflesso di fissazione).

ACQUISITO
- Associato a s. di Parinaud → paralisi verticale dello sguardo, deficit di convergenza (exotropia), dissociazione
luce-accomodazione.
- Tipo see-saw → movimenti alternati di inciclo-/exciclo-torsione e depressione/elevazione.
- Spasmus mutans → nistagmo asimmetrico e monolaterale, torcicollo, dondolamento del capo.
È opportuno correggere i difetti refrattivi esistenti (meglio se con lenti a contatto, capaci di muoversi sincronamente
con gli occhi).
Chirurgia:
§ Spostare il punto nullo in posizione primaria (e quindi eliminare il torcicollo)
§ Eliminare lo strabismo (esotropie da smorzamento in convergenza)
Ridurre l’intensità delle scosse di nistagmo con recessione massimale dei riflessi oculari (intervento di Biotti-Bagolini)
AMBLIOPIA (da dispensa Hackmed)
Riduzione più o meno marcata della capacità visiva di un occhio o, più raramente, di entrambi. In breve si
può dire che dipende da un'alterata trasmissione del segnale nervoso tra l'occhio e il cervello per cui il
cervello privilegia un occhio a causa della ridotta acuità visiva dell'altro.

AMBLIOPIA FUNZIONALE

L’ambliopia funzionale è una diminuzione dell’acutezza visiva di un occhio che non è giustificabile da
alterazioni organiche dei mezzi trasparenti, della retina o del nervo ottico (fundus).
L’occhio è perfettamente normale, le vie ottiche non presentano alterazioni, ma l’occhio vede male.

1. Ambliopia strabica: la corrispondenza retinica anomala e la soppressione, due meccanismi di


compenso dello strabismo, portano nel tempo alla abitudine dell’occhio a non utilizzare alcune della
retina e questo diminuisce la sua acuità visiva

2. Ambliopia da deprivazione: detta anche da arresto di sviluppo. Il bambino alla nascita vede male, e
via via, fino a 4-5 mesi di vita, la funzione visiva migliora gradualmente fino a raggiungere la situazione
normale (questo è stato evidenziato con i potenziali visivi evocati). La ambliopia da deprivazione si forma
quando in un occhio viene a mancare la stimolazione visiva e quindi manca lo stimolo alla crescita e allo
sviluppo. In questa forma c’è anche un deficit di sviluppo del corpo genicolato laterale, con ipoplasia
cellulare, ↓ del metabolismo proteico, ↓ contenuto di ACH.

3. Ambliopia anisometropica: si ha quando nei due occhi si formano immagini di grandezza diversa.
Questo richiede la soppressione di una di queste immagini, con conseguente ambliopia. Eppure in questa
situazione rimane comunque uno stimolo all’occhio che cresce in maniera normale, e l’ambliopia è
minore.

5. Ambliopia EX NON USO (iatrogena): da occlusione prolungata di un occhio a scopo terapeutico


nell’età plastica dell’occhio. Può portare ad ambiopia con meccanismo simile a quella da privazione,
anche se la brevità del bendaggio e la sua intermittenza possono prevenire la creazione di una ambliopia
seria.

6. Ambliopia binoculare: tipica dell’astigmatismo non trattato per 10-20 anni. In genere accade che il
soggetto riceva una stimolazione diversa delle cellule cerebrali delle colonne orizzontali rispetto a quella
delle colonne verticali, e quindi si crei una ambliopia simile a quella da privazione. Se la correzione
dell’astigmatismo viene fatta entro i 10 anni di vita si evita di arrivare a questi punti.

AMBLIOPIA PATOLOGICA: da lesioni organiche dell’occhio (es. lesioni sulla cornea, cataratta congenita,
retinoblastoma), che impediscono la visione distinta in un occhio. Questo provoca un fastidio nel bambino
che mette in atto il meccanismo della soppressione e quindi si crea ambliopia.

Terapia

• Rimozione delle cause (nel 98-99% delle ambliopie ci deve essere collaborazione fra il medico curante
e l’oculista), soprattutto la correzione di eventuali difetti rifrattivi.
• Penalizzazione, ossia la stimolazione dell’occhio ambliope penalizzando l’occhio che vede bene, con
risultati migliori tanto quanto la terapia è precoce.

o Occlusione parziale o totale con bende


o Atropinizzazione paralisi dell’accomodatore con atropina nell’occhio migliore, che non può
essere usato nella visione da vicino)
o Ipo o iper correzione ottica dell’occhio migliore
o Metodi misti, come atropizzazione + ipercorrezione
VIZI DI RIFRAZIONE
Definizione: La rifrazione è la deviazione che un raggio luminoso subisce nel passare da un mezzo
all’altro con indice di refrazione (n) diverso.
Diottria: La diottria è l’unità di misura del difetto
visivo ed è definita come l’inverso della distanza focale
espressa in metri. Corrisponde al potere di una lente che
fa convergere ad un metro i raggi provenienti
dall’infinito in un mezzo ad indice di refrazione pari ad
uno. Il potere di una lente lo possiamo definire come
l’inverso della distanza focale espresso in metri, quindi
se il fuoco è a 50 cm avrò che: 1/f= 1/50cm= 1/0.5m=
2D. Cioè una lente che fa convergere a 50 centimetri un
raggio proveniente dall’infinito ha un potere di 2
diottrie.
Occhio umano: L’occhio presenta diversi mezzi rifrangenti per concentrare i raggi luminosi provenienti
dall’esterno sulla retina.

EMMETROPIA: Emmetrope non è altro che un occhio, fisiologicamente normale, che vede bene da
lontano perché i raggi prodotti da un oggetto posto all'‘infinito (RICORDA: per convenzione l’infinito è
settato a 6 metri per cui dovrei usare degli ottotipi da 6m, ma non ne abbiamo,per cui o uso quelli da 5m
oppure quelli da 3m con un artifizio: cioè metto l’ottotipo a fianco del paziente e lo faccio riflettere in uno
specchio), che passano per la cornea ed il cristallino, in stato di riposo accomodativo, convergono a formare
un' immagine sulla retina; da ciò ne deriva che le immagini del mondo esterno si mettono a fuoco
nitidamente. In emmetropia l’occhio a riposo ha il punto remoto all’infinito, fuoco principale e macula
coincidono, le immagini sulla retina risultano nitide. Per distanze minori il cristallino, variando il suo
diametro (accomodazione, che si accompagna a convergenze e miosi), aumenta il suo potere diottrico fino
a convergere nel fondo oculare raggi provenienti da distanze di pochi cm.
AMETROPIE: Le ametropie sono condizioni in cui ad un punto oggetto situato all’infinito non corrisponde
un punto immagine sulla macula (ma un punto poco nitido e indefinito). Sono tutte quelle condizioni in cui
la corretta messa a fuoco, dei raggi provenienti dall’esterno sulla retina, non si verifica o richiede
un’accomodazione. Le ametropie si dividono in:
Vizi di rifrazione: Difetti dell’accomodazione:
alterazioni della rifrazione statica Alterazioni della rifrazione dinamica:
- Ipermetropia - Presbiopia
- Miopia - Eccesso/spasmo accomodativo
- Astigmatismo. - Insufficienza/paralisi accomodativi
VIZI DI RIFRAZIONE
IPERMETROPIA
Raggi paralleli provenienti dall’infinito non vanno a fuoco
sulla retina ma dietro di essa (il potere del diottro oculare è
ridotto rispetto alla lunghezza dell’occhio). Raggi luminosi
provenienti da oggetti a distanza finita (quotidianeità) sono
tanto più divergenti quanto più gli oggetti si avvicinano →
sulla retina ci saranno immagini sfuocate a tutte le distanze,
in particolare a quelle ravvicinate.

Eziologia
- Assile: asse antero-posteriore del bulbo troppo corto. Può essere uno stadio normale dello sviluppo
dell’occhio; in caso contrario il deficit non supera in genere i 2 mm (6 D).
NB. Condizioni patologiche (es, microftalmo) possono mostrare ipermetropie assili > 6 D.
- Refrattiva:
a) Da indice (riduzione dell’indice di rifrazione) = es. sclerosi corticale del cristallino, DM.
b) Da curvatura (deficit della convessità delle superfici rifrangenti del diottro oculare) = es. traumi
corneali, cheratopatie acquisite, cause congenite (cornea plana).
- Alterato rapporto anatomico tra i mezzi diottrici: lussazione/sublussazione del
cristallino, afachia congenita/traumatica/chirurgica.

Compensazione: Per permettere la messa a fuoco delle


immagini sulla retina bisogna aumentare il potere del
diottro oculare attraverso:
- Sforzo accomodativo: se questo da solo è sufficiente,
l’acuità visiva del pz è normale.
- Lenti sferiche positive (convesse) imprimenti ai raggi
incidenti una vergenza positiva.

Effetti dell’ipermetropia:
• Nessuno
• Astenopia: bruciore, dolore retrobulbare,
ammiccamento frequente, iperermia
congiuntivale, blefarite, stanchezza visiva, cefalea
• Strabismo: Può indurre la comparsa di uno strabismo convergente, può aggravare
uno strabismo preesistente
MIOPIA
La parola miopia deriva dal greco e vuol dire "occhio socchiuso": il miope,
infatti è conosciuto per l'estrema facilità con cui strizza gli occhi quando vuol
guardare in lontananza. In compenso non ci sono problemi a vedere bene gli
oggetti da vicino.
E’ la condizione refrattiva più frequente, caratterizzata dalla difficoltà di
mettere a fuoco nitidamente le immagini lontane. Raggi paralleli provenienti
dall’infinito non sono messi a fuoco sulla retina ma davanti ad essa (c’è un
disequilibrio tra asse antero-posteriore del bulbo e potere del diottro oculare).

Eziologia:
• Eccessiva curvatura di cornea e/o cristallino
• Elevato indice di rifrazione del cristallino
• Eccessiva lunghezza del bulbo
• Associazione di concause
Classificazione: Esistono vari tipi di miopia:
- Assile (più frequente): disequilibrio tra asse antero-posteriore del bulbo (in eccesso) ed il potere
del diottro oculare. Esordio in giovinezza in genere, si riconoscono due forme:
§ Lieve (o “benigna”) non evolutiva che raggiunge massimo 6-8 D;
§ Progressiva (o “maligna”), continua ad evolvere anche al termine dei normali processi di
accrescimento staturo-ponderali e può raggiungere valori superiori a 20 D.
- Refrattiva: occhio di dimensioni normali, eccesso di potere diottrico da parte di cornea e cristallino.
§ Da indice: es. opacità della lente (↑ indice di rifrazione) come nella cataratta
§ Da curvatura: es cheratocono, cicatrici post-traumatiche (↑ curvatura della cornea), sferofachie,
lenticono (↑curvatura del cristallino).
- Da rapporto anatomico: anomalie anatomiche del segmento ant. dell’occhio
(es. traumi)

Progressione della miopia: Si parla di miopia lieve (fino a 3D), moderata (3-6 D) ed elevata
(> 6D)
La forma congenita evolve più verosimilmente verso
una forma patologica, quanto più l’esordio è tardivo
tanto più è probabile che sia una forma lieve o
intermedia.
Ereditarietà: La miopia può essere ereditaria. E’ una
malattia poligenica generalmente trasmessa in maniera
AD. La forma che si eredita non è sempre dello stesso
tipo e la probabilità è diversa a seconda del numero di
genitori:
• 60% con due genitori miopi
• 30% con un genitore
• Fino al 10% se nessun genitore miope
Fattori ambientali: Tra i fattori ambientali possiamo
sicuramente ricordare che si è visto che i bambini che
vivono all’aria aperta hanno una minore incidenza di miopia. Oggi con i videogiochi sarà peggio che andar di notte,
con un prevedibile aumento della miopia. La miopia può essere aggravata dallo stress e anche dalla gravidanza. Di
solito lo stress può giustificare quindi una progressione, anche se di solito capita in miopie elevate.
Un passaggio da -4D a -4.5D non è una progressione (è poco significativo).
Miopie sindromiche: NON bisogna saperlo per l’esame

Caratteristiche della miopia del bambino:


• Modificazioni biometriche
• Fattori ereditari
• Quadri sindromici
• Fattori perinatali
• Periodo critico
Problemi clinici da affrontare:
• Miopia congenita
• Miopia del pretermine
• Miopie sindromiche
• Miopia lieve ed intermediaà progressione della miopia
• Anisometria anisomiopicaà Cos’è l’anisometropia? E’ la differenza di potere refrattivo tra i due occhi, per
cui posso avere un occhio ememtrope e un occhio miope, oppure uno più miope dell’altro, ecc… Vedremo
questo che problemi pone in termini di correzione della miopia.
Correzione della miopia:
1. Occhiali
2. Lenti a contatto
3. Chirurgia
Occhiali: L’eccesso di vergenza positiva dei mezzi diottrici dell’occhio
deve essere bilanciato da una vergenza negativa affinché si abbia un
fuoco sulla retina. Un punto all’infinito, se posto più prossimalmente alla
retina, invierà raggi divergenti che l’occhio metterà a fuoco sulla retina;
affinché i raggi a distanza maggiore rispetto al punto remoto siano messi
a fuoco sulla retina bisognerà anteporre all’occhio una lente sferica
negativa (biconcava, divergente).

Vantaggi:

• Semplici da usare
• Poco costosi
• Efficaci fino a 6-8 D
Svantaggi:

• Rimpicciolimento sopra a 8-10D


• Non tollerati se differenza >3-4Dà Tra i vantaggi notiamo che in caso di anisometropia, quindi in caso di
differenza superiore a 3-4D tra i due occhi, gli occhiali non sono tollerati. Questo perché il cervello non
riesce a fondere le due immagini in caso di grandi differenze (per esempio -3D ad un occhio e -8D all’altro).
Per cui a volte sono costretto ad usare una lente a contatto sull’occhio più miope più gli occhiali oppure
solo e lenti a contatto. Vedremo che questo problema c’è anche nella correzione dell’ipermetropia.
• Pericolosi e/o inadatti per sport e diporto
Il miope si corregge sempre con la lente meno forte che è in grado di dare una visione di 10/10. Accade spesso che il
miope gradisca, tuttavia, una correzione maggiore, perché la sera soffre di emeralopia e ottenendo una ipercorrezione
vede meglio la sera.

Ricordiamo che la correzione della miopia con le lenti adeguate NON blocca la progressione, che è spesso legata alla
crescita staturale (tant’è vero che per una correzione chirurgica della miopia si aspetta sempre il termine
dell’accrescimento). L’altezza media della popolazione è in aumento per cui questo potrebbe essere un altro fattore che
porterà all’aumento dell’incidenza di miopia.

Lenti a contatto
Vantaggi:
• Superano i limiti degli occhiali
• Nessun limite di età
Uno dei vantaggi, per esempio, è che per vedere in latero-versione il soggetto con gli occhiali deve girare
la testa, il soggetto con le lenti a contatto basta che gira gli occhi.
Svantaggi:
• Difficoltà di impiego
E’ consigliabile usare quelle morbide e usa e getta (che riducono il rischio di infezioni). Facciamo due
precisazioni: le lenti a contatto sono morbide finché sono idratate (visto che galleggiano su un mare di lacrime),
se la lascio essiccare diventa una spugna abrasiva. Inoltre ricordiamo che le lenti a contatto hanno la loro
emivita biologica, superata la quale vanno buttate (per esempio quelle settimanali vanno usate per sette giorni
massimo).
Chirurgia
- Cheratotomia radiale (oramai obsoleta) à si usava
prima, ma ora non si usa più: si facevano dei tagli per
cercare di appiattire la cornea

- LASIK (Laser ASsisted In situ keratomileusis) à la uso nei casi


in cui ho un elevato livello di miopia, mi dà risultati migliori

- Cheratectomia fotorefrattiva (PRK) à di solito si usa questa oggi,


però è consigliata fino ad un massimo di 6-8 D

Quando correggere la miopia? Va corretta SEMPRE (chi dice “eh no io non porto gli occhiali se no mi
abituo! Non vuol dire niente, se non porti gli occhiali non ci vedi, punto) e va portata la correzione a
permanenza. Le lenti corneali sono indispensabili per le miopie elevate precoci. Ricordiamo che lo
sviluppo dell’acuità visiva si ha entro i sei-otto anni e se non correggo la miopia in tempo c’è il rischio
di ambliopia.

Eccezioni:
• Miopie moderate (<-2.00D) di bambini molto piccoli
• Lenti lievemente sottocorrette per lo studio o il lavoro al computere
Occhiali anche per miopie molto elevate per grosse difficioltà con lenti a contatto
ASTIGMATISMO
Vizio di rifrazione non sferico (forma ellittica dell’occhio con due fuochi)
caratterizzato da un diverso potere del diottro oculare nei differenti
meridiani. I due meridiani (perpendicolari tra di loro) sui quali il potere è
massimo e minimo sono i meridiani principali dell’astigmatismo: essi
danno luogo (anziché un solo punto focale) a due linee di fuoco (sulla retina,
davanti o dietro di essa).
Il diottro oculare diventa assimilabile ad una lente sferocilindrica: l’immagine retinica focale è
formata da due rette separate tra loro (intervallo “conoide” di Sturmà tanto maggiore quanto
maggiore è l’astigmatismo).
Tipi di astigmatismo:
- Miopico composto: entrambe le linee focali sono
davanti alla retina
- Miopico semplice: una linea sul piano retinico e una
al davanti
- Ipermetropico composto: entrambe le linee sono
dietro la retina
- Ipermetropico semplice: una linea sul piano retinico e
una dietro
- Misto: una linea davanti e una dietro la retina
In base al meridiano più rifrangente:
- Secondo regola (diretto): meridiano tra 60° e 120°
- Contro regola (inverso): meridiano tra 0°-30° e 150°-180°
- Obliquo: meridiano tra 30°-60° e 120°-150°
In base all’eziologia individuiamo due forme:
- Corneale à cheratocono, degenerazione corneale, traumi corneali
- Lenticolare à lenticono anteriore/posteriore, ectopie, colobomi (appiattimento zona equatoriale)
Infine distinguiamo:
- Regolare
- Irregolare: la curvatura non è costante nelle varie porzioni analizzate (come nel cheratocono). In
questo caso le lenti non correggono completamente il difetto visivo, che si dimostra progressivo.
Per risolvere il problema è necessario un intervento chirurgico che corregga il problema
anatomico/degenerativo.
Terapia: È necessario anteporre all’occhio una lente cilindrica positiva o negativa: queste lenti
hanno un meridiano dell’asse e uno del potere perpendicolari tra loro à i cilindri positivi vanno
collocati con l’asse del meridiano meno ipermetrope, quelli negativi con il meridiano sull’asse meno
miope.
Meridiano dell’asse= in cui la curvatura è nulla
Meridiano del potere= dove si ha la massima curvatura e quindi massimo potere diottrico
Se l’astigmatismo è regolare questi due assi sono posti a 90° tra loro, altrimenti si parla di astigmatismo
irregolare.
DIFETTI DELL’ACCOMODAZIONE
PRESBIOPIA
Ametropia dinamica con progressiva ed irreversibile riduzione
della capacità accomodativa legata ai fenomeni di senescenza
che colpiscono corpo ciliare, cristallino, segmento anteriore e
muscolo ciliare. Ciò causa un progressivo decadimento della
capacità di mettere a fuoco in maniera adeguata gli oggetti vicini
(con allontanamento graduale del punto prossimo, ovvero la
distanza minima a cui si mette a fuoco).
Correzione: lente sferica positiva che tenga conto dell’eventuale
ametropia statica pre-esistente Tipi di lenti: monofocali,
bifocali, multifocali (“progressive”).

ECCESSO O SPASMO ACCOMODATIVO


Eccesso → riguarda spesso pz ipermetropi ipocorretti/miopi
ipercorretti in seguito ad una lunga ed intensa applicazione per
vicino (es. lettura); correggendo il vizio di rifrazione in genere si risolve anche il problema
accomodativo.
Spasmo → molto più raro; miosi e miopizzazione importante (> 10 D) con convergenza
binoculare marcata. Può essere: funzionale, secondario a flogosi (meningite, influenza),
iatrogeno (morfina, digitale, sulfamidici).

INSUFFICIENZA O PARALISI DELL’ACCOMODAZIONE


Insufficienza → si alternano periodi di perfetta visione da vicino ad altri in cui gli oggetti sono
percepiti in maniera indistinta e disordinata. Provoca disturbi astenopeici, cefalee.
Cause: sclerosi del cristallino, insufficienza del muscolo ciliare.
Paralisi → spesso associata ad oftalmoplegia interna (paralisi accomodazione + midriasi), a paralisi della
muscolatura oculoestrinseca (paralisi del III nervo cranico).
Cause: meningiti, IPA, DM, tossine, traumi, patologie intrinseche al muscolo ciliare (traumi, tumori; rare).

DIAGNOSI DELLE AMETROPIE → esami refrattometrici


I metodi per la determinazione dello stato refrattivo del diottro oculare si dividono in Soggettivi ed Oggettivi,
i primi richiedono la cooperazione del pz, i secondi invece si basano sull’osservazione da parte
dell’esaminatore di fenomeni ottici prodotti dai raggi luminosi che attraversano il diottro oculare.
REFRATTOMETRIA OGGETTIVA: L’esaminatore porta avanti le immagini senza chiedere le sensazioni al
pz.
Schiascopia: E’il metodo più preciso per determinare la rifrazione dell’occhio e si basa sullo studio del
comportamento delle ombre, di una luce inviata e riflessa dal fondo, in campo pupillare. Consiste nella
proiezione nell’occhio del pz, attraverso la pupilla, di un fascio di luce e osservazione dei suoi movimenti del
campo pupillare in seguito a movimenti di verticalità ed orizzontalità. Dopo questo passaggio si antepongono
agli occhi delle lenti sferiche e si cerca la lente in grado di determinare una condizione di emmetropia.
Si fa con uno schiàscopo (Più utilizzati gli schioscopi a striscia con sorgente luminosa interna) ed è
fondamentale nel bambino che non collabora. In particolare nel bambino, che ha un grande potere di
accomodazione, va fatto in cicloplegia, in modo da non avere un risultato influenzato dall’accomodazione. Ho
un risultato preciso. NB. Può essere effettuata anche in condizioni di cicloplegia o riposo accomodativo
(atropina, ametropina, ciclopentolato) à utile nei bambini e negli ipermetropi dove lo sforzo accomodativo
potrebbe falsare i risultati.
Oftalmometria o Cheratometria Misura del potere diottrico della parte centrale della faccia anteriore della
cornea.
La cornea, comportandosi come uno specchio, riflette le immagini proiettate da uno strumento: le
immagini saranno tanto più piccole quanto minore sarà il raggio di curvatura della cornea e maggiore
il suo potere diottrico. Esprime il raggio di curvature della cornea in diottrie ( circa 40 D) o anche in
millimetri (che è fondamentale per la contattologia, per calibrare la lente a contatto sull’occhio).
Indicazioni: astigmatismo (e differenziazione tra quello secondo/contro regola).
Topografia corneale computerizzata Studio della morfologia della faccia anteriore della cornea in toto (e
non solo la parte centrale).Si procede con la proiezione di alcuni cerchi concentrici (disco di Placido) e con
l’analisi delle immagini riflesse. Risultati in dati numerici e scale colorimetriche
Indicazioni: astigmatismo (specie gli irregolari, es. cheratocono, traumi).

Eco-biometria: metodica ad ultrasuoni usata per ottenere misurazioni metriche delle strutture ocular.
Fondamentale quando devo operare un paziente di cataratta e devo valutare il potere della lente per sostituire
poi il cristallino artificiale.

Autorefrattometria: calcolo strumentale computerizzato ed istantaneo della rifrazione totale dell’occhio.


Ricordiamo peròche la rifrazione non va mai valutata solo nell’istantaneo, perché è un qualcosa di dinamico,
che può essere anche molto complesso (pensa ad un paziente che è miope e astigmatico!) e devo sempre
comunque fare l’ottitpo. Non sempre il valore dell’autoref è affidabile e va verificato all’ottitipo.

REFRATTOMETRIA SOGGETTIVA: Il pz collabora attivamente durante l’esecuzione del test.


Metodo di Donders: Consiste nel porre il soggetto in esame di fronte ad un ottotipo a conveniente distanza e
nel provare e riprovare monocularmente lenti di segno e di potere differenti fino ad ottenere la lettura corretta
del maggior numero di caratteri. Scelta empirica da parte dell’esaminatore della lente che determina il visus
migliore
Cilindri crociati: Lente frutto di due lenti cilindriche di stesso potere ma segno opposto (quindi nullo)
anteposte all’occhio del pz a cui è già stata assegnata una correzione per l’astigmatismo.Valuta se il potere
diottrico della lente cilindrica e se l’asse dell’astigmatismo sono corretti.
Test dell’annebbiamento È importante per lo studio dei pz ipermetropi. Si parte con delle lenti positive del
valore superiore rispetto a quello che si ritiene giusto per la correzione (↓ visus, rilasciamento
dell’accomodazione); dopo alcuni minuti si passa a lenti dal potere minore in maniera graduale fino ad
individuare la lente corretta.

VALUTAZIONE ACUITÀ VISIVA: Inoltre deve essere valutata anche l’acuità visiva, cioè la capacità
dell’occhio umano di individuare come separati due punti molto ravvicinati. Su questa base, ed utilizzando la
Frazione di Snellen:
• AV = d/D
o D = Distanza a cui il dettaglio caratterizzante sottende un angolo di 1’(m)
o d = massima distanza a cui si è in grado di percepire D (m)

La visita oculistica misura l’acutezza visiva (a.v.), cioè la capacità visiva, mediante una scala in decimi
per l’espressione dell’a.v. Non è un valore assoluto, ma un valore “relativo”, cioè presa una popolazione
sana avrò una curva molto stretta e il picco corrisponde a 10/10 (posso quindi avere persone normali che
vedono più o meno di 10/10). Le tabelle ottotipiche vengono costruite per quantizzare l’a.v. In Italia
usiamo una espressione in decimi, invece nei paesi anglosassoni in ventesimi. Il più usato è l’ottotipo di
Landolt, per vari motivi: innanzitutto perché si tratta del cosiddetto VISUS CORTICALE, nel senso che
si deve basare solo sulla percezione, trattandosi di una serie di anelli e non di una serie di lettere il
soggetto non ha modo di essere influenzato dalla memoria oppure dall’intuizione, come accade invece
con le lettere. Nei bambini si usano invece le “E” di Albini e nei bambini piccoli ci sono ottotipi con le
figure.
ottotipo Landolt ottotipo Albini

Gli ottotipi hanno da un lato i caratteri in decimi (usando la frazione di Snellen) e dall’altro lato hanno un
valore in metri: la prima riga dell’ottotipo avrà segnato 0,2 e corrisponde ad 1/10 (50 centimetri), fino ad
arrivare all’ultima riga che avrà segnato 5 metri e corrisponde a 10/10. Un soggetto emmetrope sarà definito
tale se sarà in grado di vedere ad una distanza di 5 metri, con chiarezza, l’ultima riga dell’ottotipo, che
corrisponde appunto ad una visione di 10/10).
Definiamo inoltre:
• a.v. naturale à determinata senza alcuna correzione
• a.v. corretta à è quella che misuro con le lenti di valore appropriato in diottrie (RICORDA: non
si dice gradi, come nel linguaggio comune).

CORREZIONE DELLE AMETROPIE


Dovrebbe essere attutata ogni volta che ci sia astenopia o ci sia una riduzione dell’acuità visiva.
La correzione più spesso attuata è quella con lenti a tempiali (normali occhiali) a 13 mm dall’occhio.
Lenti a contatto
ü Non creano un sistema diottrico, non modificano le dimensioni dell’immagine sulla retina
ed impediscono il manifestarsi di aberrazioni di rifrazione (inevitabili invece in caso di
correzioni fisse > 5-6 D).
ü Non c’è la riduzione del campo visivo che si ha con gli occhiali.
Le lenti a contatto possono essere rigide: hanno diametro minore della cornea e possono essere
applicate meglio ed essendo gas-permeabili permettono l’ossigenazione della cornea. Se però una
parte di cornea è scoperta (anche se il suo nutrimento per azione del film lacrimale sarà migliore) la
correzione sarà meno efficace.
Inoltre non si modificano e sono efficaci nella correzione dell’astigmatismo.
Le lenti a contatto morbide hanno diametro maggiore di quello corneale e non sono gas-permeabili. L’O2
arriva con le lacrime (la lente morbida si modifica ad ogni ammiccamento ed un meccanismo a pompa
richiama il film lacrimale dalla periferia) → talvolta però si verifica ugualmente ipossia corneale.
La loro deformabilità non permette di utilizzarla per astigmatismi > 3 D; la loro porosità inoltre
favorisce l’assorbimento di germi e bacilli. → Vantaggi: migliore aderenza (utili negli sport e
nella vita di tutti i giorni).
Chirurgia refrattiva
Consente di modificare in maniera permanente il potere di rifrazione della retina; si distingue in tecniche
chirurgiche e parachirurgiche.
- Cheratotomia radiale → si usa solo per la miopia e consiste nel praticare incisioni radiali distanziate
sulla cornea fino a tutto il suo spessore. La cicatrizzazione porta la cornea a collassare parzialmente,
diminuendo il raggio di curvatura e quindi il potere convergente. È però molto difficile prevedere
l’effetto reale sulla visione.
- Incisioni coneali → alcune forme di astigmtismo.
- Epicheratofachia → utile per bambini con cataratta congenita.
- Cheratomileusi → asportazione cornea, congelamento e rimodellamento.
Laser
Si basa sull’emissione di energia sottoforma di radiazioni elettromagnetiche (luce) in fase tra di
loro e parallele; a seconda dello spettro emesso, ha effetti diversi:
- Termico: usato per la retinopatia diabetica
- Meccanico (inonizzazione della zona trattata)
Nella chirurgia refrattiva (fotocheratotomia refrattiva) si usa il laser ad eccimeri con floruro di
argon → adatto a rompere i legami C-C e C-N, a non attivo sul collagene: frammenta gli strati
proteici superficiali senza intaccare la trama collagenica ed indebolire la cornea, permettendo di
modificare la curvatura in maniera molto precisa.
LASIK → unione tra cheratomileusi e laser: viene asportata una pellicola di cornea senza distaccarla e con
il laser si effettua una lavorazione sullo stroma sottostante, rimodellandolo.

COMPLICANZE
§ Infezioni
§ Cicatrizzazione esuberante (presenza di cheloidi→ contrindicazione)
CHERATOCONO

Il cheratocono è una patologia che riguarda la cornea; esso è caratterizzato da un assottigliamento corneale e da un
conseguente e progressivo aumento della sua curvatura. Colpisce entrambi gli occhi, nella maggioranza dei casi, ma in
modo asimmetrico e quindi a stadi diversi della malattia.
L’incidenza della patologia in Campania è una delle più alte in Europa.

La cornea non è vascolarizzata, è innervata dal trigemino ed ha il potere refrattivo più alto di tutto il diottro oculare.
Essa è formata da vari strati:
- Epitelio, la parte più superficiale che voi riuscite a toccare anche col dito;
- Membrana basale di bowman, che è quella su cui si poggia lo strato di cellule epiteliale;
- Stroma, parte biomeccanica e strutturale, che ha uno spessore di circa 150 micron;
- Membrana basale di descemet, che è quella su cui poggia l’endotelio.
- Endotelio, che si affaccia nella parte più interna dell’occhio, cioè la camera anteriore, ed è la parte più nobile,
che non rigenera, mentre le altre rigenerano; l’endotelio possiede una densità cellulare media che va da 2000 a
3000 cellule per mm².

Dei vari strati che compongono la cornea, è lo stroma che tende ad assottigliarsi sempre di più; inoltre,
l’assottigliamento e l’aumento della curvatura sono entrambi eventi focali: accade, infatti, che laddove si assottiglia la
cornea, aumenta l’epitelio in quanto esso cerca di colmare questo gap che si è venuto a formare; allo steso tempo, però,
l’epitelio, non ha una la stessa funzione strutturale dello stroma e non riesce ad impedire che la cornea diventi sempre
più curva. Si crea, di conseguenza, un aumento di curvatura focale, che interessa quindi una sola porzione della cornea.
Ciò si riflette sulla visione che non è più nitida, poiché i raggi che vengono dall’infinito e che dovrebbero essere messi
a fuoco sulla retina vengono messi a fuoco prima della retina e in posizioni diverse in base alla porzione di retina da cui
sono rifratti. La patologia, così come la sintomatologia, peggiora progressivamente.

Si tratta di una patologia multifattoriale abbastanza comune, che presenta una base genetica (→ importante lo screening
familiare); infatti non c’è un fenomeno né traumatico né biomeccanico che la determina. Secondo le ultime
pubblicazioni si potrebbe trattare di una collagenopatia: il collagene 4, che è quello stromale, ha un problema di linking
tra le fibre che lo costituiscono, per cui l’adesione tra le varie fibre non è adeguata ed essa tende man mano a cedere.
Però, siccome i geni coinvolti sono vari e grossi, la caratterizzazione genetica non è stata finalizzata a nessuna terapia
genetica.

Clinica
Il paziente tipo in genere è giovane, 20-25 anni ed inizia a lamentare un progressiva visone annebbiata che non è
correggibile totalmente con gli occhiali: infatti il paziente cambia gli occhiali e per i primi mesi la vista migliora, poi
però si rende conto che dopo qualche mese ricomincia a peggiorare.
NB. In effetti potrebbe essere una semplice miopia che avanza, ma da buoni medici dobbiamo sempre sospettare un
cheratocono ed escluderlo con le indagini specifiche in pazienti che hanno:
a. Miopia progressiva
b. Astigmatismo più o meno regolare, anche lieve

Diagnosi
• Topografia corneale → studio della curvatura corneale → ottiene una vera e propria piantina a colori (da colori
caldi a colori freddi) che permette di capire visivamente a quanto equivale la curvatura corneale.
È un esame molto affidabile. Caratteristica è proprio la forma a cono della curvatura, in quanto è localizzata in un
unico punto, è focale.
• Pachimetria → studio dello spessore corneale.
• Tomografia corneale (Pentacam) → si tratta di una nuova tecnica, uno studio integrato di 5 caratteristiche
dell’occhio. Ci dà sia informazioni sullo spessore che sulla curvatura corneale.
• Lampada a fessura-oftalmoscopia → è un esame biomicroscopico dove la prima struttura, quella trasparente, che
si riesce a valutare è proprio la cornea. Questo studio permette di riconoscere delle evidenze piuttosto tardive: fare
diagnosi mediante lampada a fessura quindi non è un buon metodo! Bisogna cercare di fare diagnosi prima! E
tramite la pachimetria e la tomografia, perché la diagnosi precoce permette di intervenire in modo da bloccare la
progressione della patologia. Ad oggi le evidenze che permettono la diagnosi mediante lampada a fessura non si
riscontrano più, ma è bene conoscerle:
o Anello di Fleisher: accumuli di ferritina a livello dell’epitelio basale
o Strie di Vogt: strie verticali a livello dello stroma posteriore e della membrana di Descemet; sono dovute
all’aumento della tensione che l’endotelio non riesce a sopportare in quanto struttura molto fragile. Quindi si
formano queste strie che indicano che l’endotelio sta pian piano cedendo sotto la curvatura.
NB. Quando il cheratocono non viene curato, il progressivo assottigliamento dello stroma può portare a idrope
corneale: infatti, se la membrana di Descemet si rompe, il liquido contenuto nella camera anteriore entra nello
stroma e lo stroma si rigonfia, cioè la cornea si imbibisce. Infatti, la funzione fondamentale dell’endotelio è la
deturgescenza corneale: cioè le cellule dell’endotelio fanno da pompa che tende a estrudere acqua dallo
stroma. Questo meccanismo, dopo rottura della membrana di Descemet non funzionerà più perché la diga si
rompe, con rigonfiamento dello stroma.

Grazie a PACHIMETRIA e TOPOGRAFIA è possibile stadiare il cheratocono (la curvatura si esprime in diottrie):
Stadio 1 Raggio di curvatura di 48 diottrie;
Stadio 2 Raggio di curvatura fino a 53 di diottrie, con spessore superiore a 400 micron;
Stadio 3 Raggio di curvatura maggiore di 53 diottrie, con spessore tra 200 e 400 micron;
Raggio di curvatura maggiore di 55 diottrie, con spessore inferiore a 200;
Stadio 4 è lo stadio terminale, in cui si rischia la perforazione. Se si perfora la cornea a tutto spessore, si rischia di perdere
l’occhio.

Trattamento
1. In una fase iniziale si può gestire la patologia con degli occhiali.
Successivamente, quando l’asimmetria della patologia tra i due occhi è tale che con l’occhiale non si riesce più a
risolverla, bisogna inserire una lente a contatto in modo che la curvatura, che è focalmente aumentata, venga
meglio gestita dal punto di vista ottico. Infatti, con la lente a contatto il film lacrimale al di sotto della lente va a
colmare lo spazio che c’è tra questa piccola montagna che si è creata, il cheratocono, e la cornea.
Le lenti a contatto usate sono semirigide e non sono quelle morbide che comprate normalmente dall’ottico.

2. Negli ultimi anni, è stata ideata la tecnica del cross-linking: questo non è un trattamento solo sintomatico, ma
riesce a rallentare la progressione del cheratocono; è stato introdotto da pochissimo, 5-6 anni, ma ci sono già dati
molto importanti che ne confermano la buona riuscita e la stabilità delle condizioni dei pazienti a 5-6 anni dal
trattamento. Infatti in alcuni si è avuta addirittura una regressione della curvatura. Consiste nel:
a. Somministrare riboflavina sulla superficie corneale, in modo da imbibirne lo stroma.
b. Successivamente si effettua un trattamento con il laser: si irradia con l’ultravioletto e questa
irradiazione fa sì che la riboflavina stimoli la creazione di un linking tra le fibre.
Quindi in altri termini si crea proprio un linking tra le varie molecole di collagene, in modo da opporsi alla
progressione della perdita, invece, di adesione tra le fibre, che è alla base del cheratocono. La tecnica è anche
abbastanza veloce: l’imbibizione con riboflavina dura 30 minuti, mentre l’irradiazione 25 minuti.
NB. C’è da dire che la tecnica risulta efficace solo se effettivamente c’è del tessuto da linkare: se il collagene è
troppo poco perché lo spessore della cornea si è troppo ridotto, non ho sufficiente tessuto disponibile per il
linking; inoltre, quello che accade, man mano che se ne riducono le dimensioni, è che il rischio di bruciare
l’endotelio. Siccome l’endotelio è la parte nobile che devo preservare, non mi posso permettere assolutamente
di bruciarlo.
Quindi esiste un cut off, oltre il quale il trattamento del cross linking non è più indicato, perché potrebbe
addirittura peggiorare la situazione: attorno ai 400 micron. (ndr controindicato in stadi 3 e 4).
Quindi ecco che ritorna il concetto della diagnosi precoce: prima si diagnostica la malattia e più probabilità
abbiamo che lo spessore sia maggiore ancora di 400 micron (1 e 2 grado) e quindi di agire risolutivamente con la
tecnica del cross-linking. Se arriviamo tardi purtroppo non possiamo farci più nulla e per adesso non ci sono altre
tecniche che blocchino l’avanzare della patologia.
→ Una tecnica che ha ancora di più migliorato il cross-linking è la iontoforesi: essa si basa sulla capacità fisica
che un campo elettrico (un dipolo elettrico) ha di migliorare e rendere più profonda l’imbibizione della cornea.

3. Quando non ho più spessore (< 400 micron) non rimane che fare il trapianto di cornea.
Può essere effettuato:
• A tutto spessore, PK (penetrating keratoplasty) cioè viene trapiantata tutta la cornea con la parte centrale e
quindi sostituita con un lembo corneale.
• Come trapianto lamellare solo dello stroma, DALK (Deep Anterior Lamellar Keratoplasty) “trapianto
lamellare a spessore variabile”, che si effettua lasciando in sede l’endotelio del paziente.
Sarebbe sempre meglio effettuare un trapianto lamellare perché bisogna sempre cercare di preservare l’endotelio
al fine di migliorare la prognosi visiva del paziente. Questo poiché:
1. L’endotelio è il principale responsabile di un eventuale rigetto (quando effettuo un trapianto a tutto spessore,
c’è sempre prima o poi il rigetto → a circa 15 anni dall’intervento è richiesto un nuovo intervento).
2. Lasciando l’endotelio, lasciamo una struttura che non è malata, e che è propria del paziente: questo permette
una più veloce ripresa della capacità visiva.
Ma ci sono delle condizioni in cui non è possibile effettuare il trapianto lamellare e si deve ricorrere per forza a
quello a tutto spessore: si tratta della condizione di cheratocono aggravato da idrope corneale o in generale una
condizione di cheratocono aggravato.
Come si effettua?
a. Nella DALK con un ago particolare si entra nello stroma corneale cercando di essere quanto più profondi è
possibile (dobbiamo infatti avvicinarci quanto più è possibile alla membrana di Descemet, perché ciò
significa eliminare quanto più stroma è possibile. Quanto più ci avviciniamo alla Descemet tanto prima ci
sarà recupero della funzionalità visiva) e si induce un distacco dello stroma proprio dalla membrana di
Descemet, per mezzo di una bolla d’aria → tecnica del big bubble; bisogna stare molto attenti, infatti la
metodica è operatore dipendente e si può rischiare di distruggere la cornea del paziente; successivamente,
poi, si innesta nel paziente una lamella di stroma del donatore.
b. Nella PK invece, il trapianto è totale e quindi basta un taglio.
RETINOPATIA MIOPICA
Introduzione: È una patologia della retina associata ad un progressivo ed eccessivo allungamento dell’occhio
(aumento del diametro AP) che porta a distensione del segmento posteriore, a degenerazione del fondo oculare e
ovviamente al difetto refrattivo statico.
Epidemiologia: La miopia ha un’incidenza del 20-30% nella popolazione nord-americana, europea e australiana.
In alcune selezionate popolazioni asiatiche l’incidenza raggiunge anche l’80%. Sembra che tale prevalenza sia
dovuta all’abitudine di abituare i bambini troppo piccoli ad applicarsi ad attività, che coinvolgono la vista, a breve
distanza. Nel caso asiatico si parla dell’abitudine di far cominciare a scrivere i bambini a 3 anni, quindi si sforzano
sin da piccoli ad osservare a breve distanza. Più è precoce l’età a cui si comincia ad andare a scuola (o asilo),
maggiore è la possibilità di sviluppare miopia. Da noi il problema riguarda la tecnologia e i cellulari in mano ai
bambini, il problema ancora non s’è osservato per una questione temporale.
Classificazione: Abbiamo miopia lieve (0-3), miopia media (3-6D), miopia elevata (>6D), l’elevata rappresenta il
12-15% di tutti i miopi con una prevalenza nella popolazione generale di circa il 2%. La miopia elevata rappresenta
la settima causa di cecità legale nei paesi industrializzati.

Segni caratteristici: I principali segni di questa patologia sono:


- Stafiloma miopico
- Crescente miopico e modificazioni papillari
- Lesioni corioretiniche
Sono sempre correlati tra loro → al crescere dello stafiloma, cambia il crescente miopico e si
modifica il disco ottico.

Tutte queste lesioni partecipano alla più frequente e temibile complicanza della retinopatia → neovascolarizzazione
sottoretinica.

STAFILOMA MIOPICO (DI SCARPA): Distensione evolutiva


della parete del globo oculare interessante sclera, coroide e retina.
Può interessare non solo il polo posteriore ma anche altri settori
retinici, in ogni caso la forma più caratteristica ed avanzata è lo
stafiloma del polo posteriore → è il più frequente ed è grande asse
orizzontale sull’asse temporale: è uno stafiloma che va oltre il
disco ottico inglobandolo completamente e che nel 90% ingloba
la macula. Ha una forma di ellisse orizzontale estendensoi per 6-7
DP. L’aspetto oftalmoscopico mostra un’ectasia profonda a bordi
rotondi ed accentuati con alterazioni degenerative atrofiche
secondarie alla distensione ben visibili della retina. Questo è
differente dallo stafiloma granulare dove lo stafiloma si ferma al disco ottico. Ciò è importante perché cambia
l’aspetto e la struttura del disco ottico. Quindi: osservando uno disco ottico stretto e allungato, già si può capire che
si tratta di uno stafiloma granulare.

Nello stafiloma miopico si riconoscono diversi stadi evolutivi:


1-STADIO INIZIALE:
• Rarefazione epitelio pigmentato e rarefazione della CCP (l’atrofia è indotta dall’occlusione dei vasi della
CCP);
• Assottigliamento sclerare (porta in risalto i vasi):
• Di lieve grado: i vasi coroideali si osservano bene;
• Di grado elevato: i vasi coroideali appaiono in rilievo.
2-STADIO D’ECTASIA DEBUTTANTE: Il fondo dell’occhio non è arcuato ma comincia a formarsi uno stafiloma
che appare come una chiazza bianca (retina e coroide si assottigliano e si mette in risalto la sclera, bianca). Il primo
distretto dove appare lo stafiloma è nel settore nasale a circa 2-3DP dalla papilla. L’assottigliamento si osserva sul
polo posteriore. Difficilmente visibile.
3-STADIO D’ECTASIA CONFERMATO: Nel suo quadro più caratteristico, quello del polo posteriore, l’ectasia
è più profonda, i bordi più rotondi e accentuati. Ben evidenziabile all’ecografia.
4-STADIO EVOLUTIVO: L’ectasia diviene più profonda e più larga e si complica di lesioni degenerative atrofiche
legate alla distensione. Il bordo nasale può estendersi a grande distanza dalla papilla. La profondità dell’ectasia può
giungere fino a 6-9mm. Il piano della retina normale e quello dello stafiloma è diverso, quindi è difficile mettere a
fuoco (essendo due piani diversi) per effettuare foto.
Evoluzione Stafiloma Miopico: Lo stafiloma si evolve come un cerchio di degenerazione circondato da un
gradino. Più la miopia è elevata, più lo stafiloma avanzerà.
Attorno allo stafiloma, si può osservare una degenerazione atrofica progressiva, crescente miopico (che si trova
nella direzione in cui si trova lo stafiloma), si può osservare il disco ottico in degenerazione e persino
iperpigmentato.

CRESCENTE MIOPICO: Il crescente miopico è più spesso temporale (ma può


essere anche anulare o nasale). È un’area atrofica biancastra a forma di semiluna
rappresentante lo stiramento del complesso membrana di Bruch-epitelio
pigmentato-coriocapillare legato alla distensione sclerale posteriore. Ha
posizione omologa alla zona dello stafiloma; aumenta nella direzione in cui
evolve lo stafiloma. È uno dei segni più precoci di miopia; c’è una correlazione
tra la sua grandezza e la lunghezza assiale del globo.

MODIFICAZIONI PAPILLARI: IL DISCO OTTICO MIOPICO: Il disco ottico miopico presenta spesso una
forma variabile (in genere ovale a grande asse verticale) legata all’inclinazione del disco ottico (anch’essa
tendenzialmente particolare) e al grado di miopia. A volte ha forma arcuata, a volte è molto spesso, a volte è un
“disco inclinato”. Quando è inclinato temporalmente può mostrare, all’opposto del cono, un anello più spesso,
roseo, sollevato: “fenomeno della supertrazione”. Ad esso si possono associare uno o più riflessi brillanti, arciformi
, sul bordo nasale: “il riflesso nasale di Weiss”.
Il rapporto diametro verticale/diametro orizzontale aumenta con il grado di miopia. Nel 95% dei miopi elevati
l’escavazione fisiologica scompare.
La zona estremamente chiara (giallastra attorno al disco), si è osservato essere una cavitazione della corioide ed è
caratteristica di diversi occhi miopi.

LESIONI CORIORETINICHE
Sono rappresentate da:
- Rotture della membrana di Bruch,
- Erosioni puntate,
- Focolai corioretinici atrofici,
- Atrofia corioretinica diffuse
ROTTURA DELLA MEMBRANA DI BRUCH: Sottili strie giallo-biancastre di calibro irregolare, uniche o
multiple, orizzontali o oblique. Si tratta di vere e proprie rotture di membrana. Lungo il loro decorso si costituiscono
successivamente zone di atrofia che apparirà come il bianco della sclera. Altra caratteristica importante è la
formazione di emorragie che non sono emorragie della retina ma della membrana.
- Fluoroangiografia: luce iperfluorescente (senza diffusione nei tempi tardivi)
- Angiografia al verde d’indocianina: luce iperfluorescente
Complicanze
- Emorragie coroidali semplici → Emorragie singole o multiple rotondeggianti. Si presentano di color
rosso cupo, di forma rotondeggiante e di un diametro variante tra ¼ e IDP, a volte più chiare, a volte
più scure, possono anche convergere. Non si accompagnano mai a un distacco sieroso retinico. La loro
caratteristica principale è che non sono legate ad una neovascolarizzazione e pertanto non si
accompagnano ad un distacco sieroso retinico. Se interessano il centro della macula possono causare
una brusca riduzione dell’acuità visiva e scotoma centrale. In genere non si accompagnano a
metamorfopsia come le emorragie associate ai neovasi sottoretinici.
Evoluzione favorevole con riassorbimento in 4-8 settimane. Possibili recidive.
Alla fluoroangiografia le emorragie mascherano la fluorescenza coroideale e non è presente il leakage
caratteristico delle emorragie che si accompagnano a neovasi sottoretinici.

EROSIONI PUNTATE: Piccole atrofie della coriocapillare spesso associate a piccole zolle pigmentate.
Iperfluorescenza diffusa (Effetto finestra) alla FAG.
FOCOLAI CORIORETINICI ATROFICI: Si manifestano nell’area degli stafilomi, rotondi a bordi netti di colorito
bianco. di dimensioni da 1/5 a 1/2DP, di colorito bianco, rappresentano un’atrofia di tutto lo spessore coroideale e
possono rappresentare l’atrofia di una o più lobuli coroideali. Sono difficilmente visibili e molto piccole però più
erosioni puntate possono unirsi andando a formare dei focolai.

- Angiografia: iperfluorescenza nei tempi precoci; nei tempi tardivi si colorano per impregnazione della
sclera sottostante.

ATROFIA CORIORETINICA DIFFUSA: Focolai corioretinici atrofici confluenti formano placche atrofiche di
forma irregolare interessanti tutta la zona maculare. I focolai sono estremamente importanti perché con la loro
evoluzione si possono formare neovascolarizzazioni. Uno studio molto importante dimostrava come l’incidenza
della neovascolarizzazione era molto alta lì dove erano presenti focolai e atrofie. Nel frattempo il crescente papillare
si ingrandisce e prende forma di un anello di atrofia e tende a fondersi con l’area atrofica maculare.
Patchy atrophy and lacquer cracks predispose to the development of choroidal neovascularization in pathological
myopia.
Su 325 occhi à NVC in 33 occhi (10,2%)
NVC nell’occhio controlaterale = 34,8%
Il 29,4% degli occhi che presentavano RMB
Il 20% degli occhi che presentavano FCR

NEOVASCOLARIZZAZIONE RETINICA (NCV)


La NCV retinica miopica presenta caratteristiche peculiari:
- Lesione di piccole dimensioni, rotonda/ellittica, spesso circondata da un bordo pigmentato,
- Sedi→ principalmente in prossimità e sotto la fovea (retrofoveolare nel 50-70% dei casi),
- Distacco sieroso retinico limitato,
- Emorragie poco estese,
- Essudati profondi eccezionali.
- Alla FAG → nei giovani lesioni di piccole dimensioni con poca diffusione di colorante; nei pz di età più
avanzata si evidenzia una membrana più grande con maggiore diffusione all’angiografia.
- A volte le neovascolarizzzioni sono vicine ai focolai atrofici e ciò ne rende difficile l’individuazione.

Alla fuoroangiografia la lesione si presenta, specialmente nei soggetti giovani, di piccole dimensioni e con poca
diffusione di colorante. Nei miopi di età più avanzata a volte si evidenzia una membrana più grande e con una
maggior diffusione alla angiografia.
L’angiografia comporta sempre delle difficoltà sia per problemi ottici, sia per la presenza degli stafilomi (due piani
diversi da mettere a fuoco), sia perché sul fondo poco fluorescente i neovasi non sono ben visibili.
All’OCT appare come un sollevamento che si può accompagnare a liquido. A volte è difficile capire cosa
rappresentano le macchie scure.
- Il 50% delle neovascolarizzazioni coinvolge la fovea, cosa negativa.
- Il 30% delle degenera spontaneamente cicatrizzando, cosa positiva.
Macchia di Fuchs: È il risultato della evoluzione della neovascolarizzazione. Dopo la formazione di un distacco
emorragico acuto, l’emorragia si organizza: in associazione con la proliferazione dell’epitelio pigmentato formerà
la caratteristica chiazza scura, intorno alla quale si estenderà nel tempo un’area di atrofia corioretinica.
Secondo Gass dopo la formazione di un distacco emorragico acuto, l’emorragia si organizza e in associazione con
la proliferazione dell’epitelio pigmentato formerà la caratteristica chiazza scura. Attorno ad essa si estenderà col
tempo una area di atrofia corioretinica.
Terapia
ü Fotodinamica →iniezione ev di un farmaco fotosensibile (verteporfina) che si accumula a livello dei
neovasi.
A 15’ si applica nell’area interessata una sorgente laser.
ü Intravitreale → iniezione nel vitreo di sostanze riducenti la permeabilità vitreale e inibenti la
neoangiogenesi (anti-VEGF).
ALTRE LESIONI RETINICHE
- Foro maculare
- Distacco di retina del polo posteriore
- Retinoschisi
- Maculopatia trazionale miopica
- Distacco peripapillare dell’EPR
- Microcisti perivascolari intraretiniche
- Macula cupoliforme

SINDROME DA DISVERSIONE PAPILLARE


È una sindrome frequentemente associata alla miopia, caratterizzata da:
- Papilla ottica ovale ad asse obliquo
- Anomala emergenza dell’albero vascolare
- Semiluna inferiore congenita
- Depigmentazione ed ectasia del quadrante infero-nasale
- Difetti campimetrici supero-temporali
- Astigmatismo miopico ad asse obliquo
RETINOPATIA DIABETICA

Introduzione: La retinopatia diabetica si definisce come una alterazione del microcircolo


retinico che si traduce in un difetto di perfusione a carico del tessuto retinico con conseguente
accumulo extravascolare di lipidi e proteine ed emorragie retiniche a vari livelli (superficiale e
profondo). La funzione retinica viene, così, compromessa e con essa anche la funzione visiva. La
cosa fondamentale è che l’alterazione visiva, una volta instauratasi, difficilmente regredisce; al
massimo possiamo bloccare la progressione del danno ma per quanto concerne il difetto già
acquisito, non si può fare nulla.

Epidemiologia: La retinopatia diabetica è un problema abbastanza diffuso al giorno d’oggi e


rappresenta la prima causa di cecità negli stati uniti d’America; inoltre più del 49% dei pazienti
diabetici andrà incontro ad una retinopatia diabetica nel corso della patologia.

Storia della malattia: La durata della patologia e quindi il tempo cui il paziente è esposto a
iperglicemia giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo della retinopatia: la probabilità di
sviluppare tale malattia aumenta con gli anni di esposizione all’iperglicemia e diviene quasi il 70
% dopo 20 anni di esposizione. Proprio per questo motivo è più frequente nel diabete di tipo 1
che in quello di tipo 2:
- DM1 → la diagnosi viene fatta in giovane età e il paziente deve poi convivere con la patologia a
lungo;
- DM2 → il paziente spesso non la sviluppa solo per una questione temporale (ndr. con una
diagnosi a 60 anni dovrebbe svilupparla dopo gli 80 anni e il paziente può avere anche altre
patologie e magari muore prima di svilupparla). Talvolta però può capitare che il paziente
abbia un diabete di tipo 2 misconosciuto e la diagnosi arrivi solo grazie all’oculista per la
scoperta di una retinopatia diabetica.
Si tratta di una patologia che, se non individuata precocemente e trattata in modo opportuno, porta a
cecità assoluta bilaterale. Con le attuali tecniche terapeutiche vi è la possibilità di conservare il visus,
sempre che la diagnosi avvenga precocemente.

Fattori di rischio
Non modificabili
- Età di insorgenza,
- Durata della malatta,
- Genetica

Modificabili
- Iperglicemia (anche i picchi): abbassare la glicemia riduce il rischio di retinopatia diabetica
- Ipertensione arteriosa → accelera gravemente la malattia
- ↑ colesterolo e trigliceridi
- Nefropatia: crea un circolo vizioso visto che il diabete colpisce i piccoli vasi (cuore, occhi, cervello
e rene)
- Gravidanza → in questo caso i fattori di rischio devono essere strettamente controllati.

Screening: Il problema è capire quando inizia la retinopatia diabetica e quindi quando mandare una
paziente diabetico a fare consulenza per una retinopatia diabetica. Per patologia di così grande
interesse esistono specifiche linee guida che indirizzano i diabetologi su come muoversi e seguire i
pazienti.

È molto importante lo screening:


- DM 1 prima dei 30 anni à screening annuale a partire da 5 anni dalla diagnosi
- DM 1 e 2 dopo i 30 anni à screening annuale a partire dal momento della diagnosi
- Pz diabetico in gravidanza à controllo ogni 3-4 mesi
Il controllo glicemico intensivo diminuisce molto la rapidità d’evoluzione della forma non proliferante.
Il concetto che non è chiaro è che la gravità della malattia non è in relazione con la diminuizione
dell'acuità visiva. Questo perchè la patologia si può manifestare o con alterazione maculari (cioè da
alterata visione) ma si può pure manifestare con delle neovascolarizzazioni a livello del disco ottico.
Complicanze oftalmologiche del diabete: Quali sono le complicanze a cui un paziente diabetico può andare
incontro?
1) Retinopatia diabetica
2) Opacità del cristallino → cataratta: tra i diabetici l'incidenza di cataratta è molto più elevata
rispetto alla popolazione normale.
3) Paralisi dei muscoli oculo-estrinseci con conseguente diplopia, un sintomo estremamente mal
tollerato dal paziente a tal punto da dover bendare un occhio.
4) Alterazione refrattive in un’età non caratteristica per il loro sviluppo: cioè intorno ai 30-35 anni.
Infatti le alterazioni refrattive (ad esclusione della presbiopia) le possiamo avere
fisiologicamente fino ai 20 anni; dopo questa età, escludendo i casi di miopia patologica, non se
ne trovano. L'aumento della glicemia provoca il crescere della rifrazione dei liquidi endoculari,
quindi l'occhio tende a diventare miopico. La variazione dell'indice di rifrazione è direttamente
proporzionale al livello della glicemia, a questo tipo di variazione può verificarsi in una settimana
o in una mattinata da qui deduciamo l'importanza di una buona anamnesi.
5) Glaucoma (quello della retinopatia diabetica è particolare).
6) Blefariti e Orzaioli, in particolar modo se sono recidivanti in un paziente di 40-45 anni

Classificazione
Fase preclinica:
- Alterazione della membrana basale dei vasi con aumento della permeabilità capillare:
edemi; si associano ipercoagulabilità e disfunzione piastrinica
- Lesioni a livello del microcircolo retinico
→ Vasodilatazione con modeste e poco significative alterazioni neuronali.

Fase non proliferante:


- Lieve = Edemi e Microaneurismi ed aree di occlusione capillare
- Moderata = cominciano a comparire anche gli essudati.
- Avanzata = ci sono anche emorragie intraretiniche

Fase proliferante:
- Ischemia secondaria alla progressiva occlusione capillare
- Produzione di neovasi con loro crescita esplosiva
→ Emorragie preretiniche e vitreali, distacco retinico da trazione, vascolarizzazione dell’iride con
glaucoma neovascolare

FASE PRE-CLINICA: Il primo danno che si instaura è un’alterazione del microcircolo; le fasi che
vengono attraversate sono:
- Perdita dei periciti
- Ispessimento patologico della membrana basale
- Alterazione della barriera emato-retinica
Questa sequenza di eventi è da riferire alle alterazioni emorragiche ed essudative della retinopatia
diabetica non proliferante soprattutto.

Queste piccole alterazioni causano la formazione di un edema (uno stravaso di componente non
cellulare al livello della regione maculare). È il primo segno che si presenta nella retinopatia
diabetica, addirittura nella forma lieve insieme alla presenza di microaneurismi. È dovuto ad uno
stravaso di componente non cellulare al livello della regione maculare per una alterazione della
parete vasale.
La stessa regione maculare presenta un ispessimento: gli edemi possono essere talmente imponenti
(fino a 800-900 micron) da vedere aumentato di 10 volte il normale spessore maculare¸tuttavia non
vengono coinvolti i fotorecettori → il paziente vede ancora perfettamente, risultando completamente
asintomatico anche per parecchi mesi o anni. Se sono coinvolte le zone maculari, invece, si possono
avere discromie (giallo, blu) e diminuzione del visus (più frequente negli stadi avanzati della
malattia). Questo ispessimento si visualizza benissimo all'esame OCT, esame che ci permette di
valutare tutti gli strati retinici con una risoluzione di 4 micron o anche inferiore. L'edema
inizialmente si vede come delle macchie nere ben visibili all'OCT. Nell'edema maculare cistoide si
vedono grandi spazi, enormi. Esiste poi l'edema trazionale perchè il vitreo spesso fa delle aderenze
sulla retina, a volte fa aderenze sulla macula e può tirare la macula quindi in teoria può determinare
anche un distacco della retina. All'OCT si vedono benissimo queste aderenze che a volte compaiono
come una linea bianca e la retina diventa molto spessa.
La biomicroscopia non lo evidenzia sempre in modo perfetto, quindi è sempre meglio avere una
diagnosi di conferma con l’OCT.

FASE NON PROLIFERANTE: I vasi appaiono inoltre ectasici e sfociano nella formazione di
microaneurismi.
I microaneurismi sono estroflessioni dei vasi di grandezza 15-20 micron, cioè al limite per
l'osservazione con biomicroscopia dove si visualizzano come puntini rossastri estremamente piccoli.
Sono spesso localizzati a livello del polo posteriore, isolati o a gruppi. Non sono patognomonici, non
hanno valore prognostico (ma l’aumento delle loro dimensioni e del loro numero indicano un
peggioramento della patologia).
Dal punto di vista clinico, non c’è ancora alterazione del visus. Sono difficili da rilevare all’oftalmoscopia,
più utile la FAG perché sono iperfluorescenti e si localizzano in prossimità o nell'area sovrastante di zone
di non perfusione. Da un punto di vista istologico si presentano come estroflessioni al livello della parete
vasale.

I pazienti diabetici hanno un aumento dell’aggregabilità, dei fattori della coaugulazione e della viscosità
ematica →
per formazione di coauguli → occlusione dei capillari retinici. Si vengono a formare emorragie ed essudati.
Le emorragie possono variare da 200 a 500 micron, sono a margini regolari (aspetto ben definito,
rotondeggiante) e hanno scarso significato clinico. Possono essere di due tipi:
- A fiamme (allungate e superficiali, vicino le fibre nervose) Sono maggiormente frequenti a livello
circumpapillare perché sono dovute ad alterazioni del plessi superficiale, che stanno direttamente
a contatto con le fibre retiniche e che non sono altro che gli assoni delle cellule ganglionari che
andranno a formare il nervo ottico. Nel soggetto iperteso questa situazione è molto più evidente.
- A punta (scure e rotondeggianti, negli spazi più profondi)
Gli essudati si distinguono in:
- Cotonosi o molli → rappresentano aree di infarto dello strato nervoso retinico, infatti sono
formati da detriti (accumulo di materale catabolico) cellulari assonali; si localizzano in
prossimità del disco ottico e sono grigio-biancastri. La comparsa di essudati molli è indice
di sofferenza ischemica e caratterizza la fase “preproliferativa” in cui inizia a partire lo
stimolo per la formazione di neovasi.
- Duri → depositi di materiale lipidico e microglia (che lo fagocita); si trovano nello strato
plessiforme esterno della retina quindi nella zona più profonda fino ai fotorecettori.
Appaiono come punti giallastri di dimensioni variabili, possono formare delle lesioni
tondeggianti in corrispondenza delle zone ischemiche e talvolta possono avere una
disposizione ad anello intorno alla macula.
Quando siamo in presenza di essudati la retinopatia è già in uno stato avanzato. Possono assumere
un aspetto confluente vicino a zone ischemiche.
Entrambe queste alterazioni sono visibili alla FAG.
L’alterazione del visus è presente solo nel caso in cui le lesioni cadano sulla macula o se essa è
interessata da qualche fenomeno secondario, come spesso accade negli stadi avanzati.

FASE PROLIFERANTE: Forma progressiva con formazione di tessuto fibrovascolare extraretinico posto
in un piano anteriore rispetto alla retina e a contatto con l’umor vitreo. Tale fenomeno è dovuto alla
produzione di un fattore di crescita da parte delle cellule retiniche ischemiche (responsabile sia della
formazione che del mantenimento di questi vasi → fotocoagulazione laser: arresto della proliferazione e
regressione vasale).
In “fase preproliferativa” (fase di transizione tra forma non proliferante e proliferante) la FAG
mostra la presenza di vasi da cui dipartono capillari tronchi (occlusi). Successivamente compaiono
aree scure indicative di non perfusione retinica.
Il primo segno della fase proliferativa è la neovascolarizzazione (indotta dall’ischemia):
- Sono localizzati diffusamente ma maggiormente a carico del nervo ottico (sede circum-papillare).
- Hanno crescita esplosiva.
- Appaiono a “corona di rosario”, hanno alterazioni grossolane della morfologia di parete.
Sono estremamente fragili e non trattengono la fluorescina.
Il risultato è una “vascolarizzazione anarchica”: aree di ipervascolarizzazione ed aree non perfuse ed
ischemiche.
Importante: lo stimolo alla proliferazione viene da un evento patogenetico formatosi nella
retinopatia diabetica non proliferante à la glicemia non ha più un ruolo stimolante.
La neovascolarizzazione determina:
• Emorragie preretiniche →sono secondarie alla rottura dei fragili vasi tra retina e vitreo.
• Emorragie vitreali → si verificano occasionalmente quando il sangue si raccoglie
nell’umor vitreo con formazione di un ematoma (con possibile riempimento di tutto
l’occhio di sangue) con calo improvviso del visus senza dolore. Spesso si riassorbono
spontaneamente.
• Distacco di retina → si forma per trazione delle neoformazioni fibrose.
• Glaucoma neovascolare → è una malattia terminale; si instaura perché la
neovascolarizzazione avviene anche a livello delle trabecole dell'angolo camerulare
anteriore → blocco del riassorbimento dell'umor acqueo. La situazione è a grave e dolorosa
e può diventare ingestibile al punto da dover attuare un intervento demolitivo con
enucleazione del globo oculare.

Lo scopo della terapia è quello di bloccare la crescita dei neovasi oppure di distruggerli col trattamento
laser, altrimenti porterebbero ad emorragie o, addirittura, ad un glaucoma neovascolare che è una malattia
terminale (l'occhio ha perso tutta o quasi la funzione visiva). Tali emorragie possono essere anche
imponenti e invadere la camera vitrea, si può intervenire chirurgicamente rimuovendo il vitreo, sostituendo
con liquido biologico (olio di silicone) per tamponare meglio, e una volta asportato si può intervenire con
una fotocoagulazione in corrispondenza delle zone ischemiche e dei neovasi.

MACULOPATIA ISCHEMICA: È una delle complicanze della retinopatia diabetica, può insorgere a
qualsiasi stadio; è caratterizzata da un calo del visus graduale e senza dolore e da una riduzione della
visione centrale. Una macula si definisce ischemica quando la zona vascolare centrale raggiunge gli 800
micron. Siccome come punto di riferimento abbiamo il disco ottico che è 1,5 mm, dobbiamo sapere che i
2/3 del disco ottico equivale all'ischemia maculare. Si distinguono:
- Forma essudativa → frequente e non determina grave calo del visus; ci sono alterazioni
pigmentarie giallastre (dette drusen) e una lenta progressiva atrofia recettoriale. Un sintomo
precoce è la metamorfopsia; è presente anche una discromatopsia per giallo/blu. L'accumulo
prolungato dell’essudato provoca un’alterazione dei fotorecettori con un deficit visivo, il
problema è che ciò non avviene in tempi brevi ma anche in un anno. Si crea una schisi al
livello degli strati retinici e i fotorecettori non vengono coinvolti e quindi subiscono solo
l'effetto tossico dell'edema prolungato nel tempo.
- Forma non essudativa → meno frequente ma più grave, spesso legata all’età; è
caratterizzata da formazione di neovasi di provenienza coroidale che trasudano plasma
(provocano distacco sieroso della retina) o danno emorragia.

Non è detto che la maculopatia debba essere sempre presente può essere non presente perché si è
intervenuti farmacologicamente con anti VEGF o cortisonici per via intravitreale in modo da
bloccare questo edema e ridurlo, e poi in tal caso intervenire con la fotocoagulazione per agire dove
ci sono alterazioni al livello della parete vasale.

Sintomatologia: Il più delle volte la patologia è silente, quindi in questa situazione è proprio l'oculista che
può rilevare la prima volta la patologia sistemica. Non è raro riscontrare individui con retinopatia diabetica
non proliferante severa ma con acuità visiva intatta seppure da un punto di vista biomicroscopico appaia
un quadro disastroso.
Naturalmente, con l’avanzare della patologia comincia una sintomatologia prima
caratterizzata da scotomi e miodesopsie e poi dal calo del visus, fino ad una amaurosi totale
per danno retinico irreversibile.
Diagnosi

Acuità visiva

Motilità oculare: Può essere interessasto il sesto paio dei nervi cranici (che come sapete colpisce il retto
laterale) e riflessi pupillari perchè negli stati avanzati della retinopatia diabetica quando si formeranno i
neovasi sulla retina si formeranno pure dei neovasi al livello dell'iride e la puipilla perde la tonicità

Oftalmoscopia e Biomicroscopia permettono di evidenziare lesioni intemedio-avanzate valutando:


- Decorso e la forma dei vasi retinicià Naturalmente anche il decorso tortuoso dei vasi (soprattutto
nella retinopatia ipertensiva) e la conformazione degli stessi possono essere studiati all'esame
biomicroscopico. Soprattutto i vasi venosi che possono essere irregolari e ben evidenti come "a
corona di rosario".
- Integrità delle strutture retiniche (tutto il fondo, il disco ottico, la regione peri papillare e
l'eventuale presenza di essudati o emorragia).
- Integrità del disco ottico.

Angiografia:Utilizzata come screening

Fluoroangiografia è una tecnica fondamentale per il riconoscimento di microaneurismi, trasudati,


essudati, neovasi e zone di ischemia retinica. Rappresenta un esame di base nella retinopatia
diabetica seppure di recente sono stati formulati degli algoritmi che permettono di ricostruire
perfettamente i plessi superficiale e profondi della vascolarizzazione retinica all'angio-OCT, che sta
man mano sostituendo la fluoroangiografia.

Tomografia a coerenza ottica (OCT) consente di osservare con estrema precisione (< 4 micron) tutti
gli strati retinici al livello del polo posteriore → visualizzazione della citoarchitettura macroscopica
della retina (esterna ed interna). l’OCT permette di valutare la presenza di edema e l’aumento dello
spessore della macula (lesione precocissima). Nel paziente diabetico, quindi, è consigliato effettuare
questo esame almeno una volta l'anno.

Ecografia è importante perché permette di visualizzare le emorragie (complicanza importante della


retinopatia diabetica), che possono estendersi anche nel vitreo. In quest'ultimo caso vi è opacità dei
mezzi diottrici e quindi impossibilità di osservare il fondo oculare perciò si deve ricorrere all'eco per
analizzare l'eventuale presenza di edemi o di distacchi trazionali.

Micromillimetria/Retinogramma

Terapia: Lo scopo della terapia è quello di prevenire la fase proliferativa andando ad agire quando la
patologia non è ancora avanzata. Molte tecniche, infatti, soprattutto intravitreali, riducono le complicanze
terminali anticipando le gravi alterazioni del visus. La possibilità di individuare una forma precoce o
moderata ci permette di intervenire con
- Trattamento laser → distruggere le aree ischemiche e per riassorbire le aree edematose maculari.
Il laser invia un raggio che tende a chiudere i neovasi. Inizialmente si era visto pure che se si
utilizzava a livello della zona maculare l'edema si riassorbivaà Il raggio laser arrivava sulla retina
e impattava sull'epitelio pigmentato che divide la retina sulla coroide e forma dei buchi sull'epitelio
pigmentato per cui c’è una maggiore probabilità che questo liquido intaretinico venisse in qualche
maniera diretto verso la coroide e assorbito. L'obiettivo di questo laser era quello di trattare gli
edemi maculari e le forme proliferanti. Una delle metodologie era quella di trattare tutte le aree
ischemiche avendo poi una regressione della patologia, c'è il trattamento focale e diffuso sulla
macula, trattamenti delle aree ischemiche singole. Oggi il laser si fa pochissimo e nei trattamenti
maculari quasi mai. Perchè facendo delle iniezioni o di cortisoni o di anti-VEGF si è visto che
hanno anche un'azione sulla permeabilità dei vasi per cui gli edemi si trattano anche così.
- Farmaci anti VEGF → bloccano la proliferazione vascolare. Io sono contro perchè sono più
dolorosi e danno un aumento della pressione ( del 10% secondo il prof, 2% secondo le case
farmaceutiche)
- Cortisonici → bloccano in generale la progressione della malattia. Inizialmente si è utilizzato il
triamcinolone dove si riassorbiva l'edema e si avevano enormi miglioramenti. Dopo si è fatto uno
studio serio durato diversi anni si è visto che un numero enorme di persone dopo 2-3 anni
formavano cataratte che evolvevano più rapidamente. Si è provato a mettere una microcapsula di
1-2 mm che rilascia lentamente il cortisone. Dagli studi effettuati si è visto che la durata di questi
microinfusori è breve, circa 4 mesi o in pochissime persone 6 mesi.
Domanda di uno studente: i cortisonici intravitreali possono essere usati anche nel glaucoma
neovascolare? Sì possono essere usati per impedire la formazione del glaucoma neovascolare,
però andrebbe usato prima di arrivare a questa forma terminale.

Se la malattia è in fase più avanzata gli interventi terapeutici sono differenti:


- Vitrectomia → effettuato in caso di emorragia del vitreo; si esegue dopo un periodo di attesa
di qualche mese, in modo da attendere l’eventuale riassorbimento spontaneo.
Oftalmologia

RETINOPATIA IPERTENSIVA

Introduzione: A livello oculare la barriera emato-oculare evita che molte sostanze contenute nel circolo
ematico passino a contatto con l’epitelio retinico. Di questa barriera fa parte la barriera emato-retinica che
è costituita da:
- Epitelio pigmentato (livello esterno)
- Endotelio vascolare (livello interno)
L’aumento della pressione arteriosa comporta un alterazione del meccanismo regolativo della barriera
ematoretinica.
L’aumento della pressione arteriosa sistemica comporta l’attivazione di meccanismi di autoregolazione
con aumento del tono e diminuzione del lume arteriolare: vasocostrizione delle arterie retiniche e
spasmo delle arteriole precapillari. In questa fase, all’oftalmoscopia i vasi appariranno più sottili e con
accentuazione del loro riflesso all’illuminazione. Si individueranno anche i segni degli incroci artero-
venosi: In questi incroci, l’arteria passa al di sopra della vena e tende a schiacciarla:
- Segno di Gunn: apparente depressione della vena (aspetto “a bocca di flauto”)
- Segno di Salus: spostamento “a V” o “a S” del decorso venoso
- Segno di Bonnet: prime piccolissime emorragie a livello di questi incroci (precoce in angiografia)
- Segno dell’ingorgo: a monte la vena appare dilatata e a valle è sempre più assottigliata
Inoltre, quando la condizione ipertensiva è mantenuta per un lungo periodo, iniziano processi di sclerosi vasale
con
ispessimento della parete arteriolare e formazione di setti fibrosi nella media e nell’intima. Si modifica anche
il rapporto tra arterie e vene che normalmente è pari a 2:3 ma nella retinopatia ipertensiva diminuisce. Questi
cambiamenti che interessano la trama vasale possono essere visualizzati all’oftalmoscopia, dove, con
l’illuminazione del fondo oculare, il riflesso della luce stessa si modifica, divenendo più debole e meno brillante
in conseguenza all’ispessimento parietale vasale. I vasi sono, infatti, più spessi ed acquistano un aspetto a filo
di nylon o a filo d’argento. I vasi potrebbero sembrare non perfusi ma l’angiografia rivela il passaggio di
colorante. NB. In stadi estremi i vasi perdono il loro lume.
A lungo andare, insieme alla sclerosi vasale, si verificano episodi di ischemia retinica e conseguenze
microvascolari, come microaneurismi e teleangectasie che sono molto deboli e permeabili e causano:
• Edema retinico che può interessare anche la macula e la papilla ottica causando una
degenerazione visiva importante.
• Emorragie retiniche localizzate generalmente in superficie parallelamente ai vasi e alle fibre
nervose (il cui andamento nella retina è particolare, “arcuato”) con “aspetto a fiamme”. Più
raramente sono profonde e rotonde.
• I noduli cotonosi sono aree bianco-grigiastre più o meno sempre attorno al disco ottico (e non in
periferia). È un segno importante.
• Gli essudati duri sono esito di edema; sono piccoli ma, se si uniscono, possono formare placche
giallastre. Nelle forme più avanzate dalla porzione centrale della macula si dirigono verso la
periferia con aspetto a stella (stella maculareàsegno gravissimo) = in genere si accompagna a
papilledema del disco ottico. Gli essudati duri nel diabete sono conseguenza di un’aumentata
permeabilità vasale; nella retinopatia ipertensiva invece sono conseguenza dell’edema del disco
ottico = la loro presenza indica che ci troviamo in stadi avanzati.
• Anche la coroide può essere sede di infarti: Strie di Sieggrist = strie di atrofia della coroide e macchie
di Elsching=aree tondeggianti di atrofia coroideale.

Classificazione
Keith-Wagner-Barker:
1) Riduzione calibro arteriolare Raddrizzamento dell’albero vascolare (meno tortuoso e sinuoso)
Iniziale sclerosi vasale

2) Ispessimento stabile vasale (arterie a fil di ferro) Segni venosi agli incroci artero-venosi

3) Essudati duri Essudati molli Emorragie retiniche Edema retinico


Retina dal riflesso biancastro

Papilledema: In presenza di papilledema non bisogna far scendere la PAS troppo rapidamente per evitare che
si verifichi atrofia
del disco ottico.
Oftalmologia

NOTA: a volte è difficile distinguere i primi due stadi; gli stadi 3 e 4 non sono necessariamente
un’evoluzione dei precedenti.
Classificazione alternativa
1. Segni agli incroci artero-venosi Restringimento arteriolare

2. Emorragie Noduli cotonosi

3. Papilledema Altre alterazioni

Terapia
Controllo della PAS.
NB. Il controllo oftalmologico è utile per verificare l’efficacia della terapia antiipertensiva.

NOTE
Nelle gestosi possono esserci alterazioni notevolissime della pigmentazione del fondo
dell’occhio che però si manifestano raramente con segni di edema papillare.
Tono arteriolare aumentato àspasmi retinicià aree atrofiche dell’EPR (macchie di
Elsching). Strie di Sieggrist = strie di atrofia della coroide.

2
DMLE (DEGENERAZIONE MACULARE LEGATA ALL’ETÀ)
Introduzione: Patologia progressiva degenerativa della macula caratterizzata da almeno una delle seguenti
alterazioni:
§ Drusen (Corpi colloidi) → Forme ialine/lipidiche tra epitelio pigmetato retinico (EPR) e membrana di
Bruch visibili all’oftalmoscopio.
§ Anomalie nella pigmentazione dell’EPR (epitelio pigmentato retinico).
§ Degenerazione maculare atrofica (aree ben definite di atrofia coriocapillare o retinica).
§ Maculopatia neovascolare: fase acuta della mattia.
(Per quella cronica deve essere presente almeno uno dei primi tre, per quella acuta basta ovviamente solo il
punto 4 per fare diagnosi).

Epidemiologia: Prima causa di cecità nelle persone >50 anni; la sua incidenza sta crescendo al crescere
dell’aspettativa di vita. La sua incidenza è elevata; si osserva dai 60 anni in poi e la sua frequenza a 80 anni è
altissima (30% oltre i 75 anni). Si stima che dal 2000 al 2050 la popolazione oltre gli 80 anni aumenterà di circa
cinque volte e di conseguenza tenderà ad aumentare l’incidenza della patologia (stime effettuate evidenziano
che circa 28 milioni di persone saranno colpite dalla malattia nel 2025). E’ una malattia di grandissimo impatto
sociale (è considerata, in tal senso, al pari della cataratta, della nefropatia diabetica e del glaucoma). È una
patologia spesso diagnosticata in ritardo e confusa con la cataratta (dai medici e dagli stessi pz). Si tratta di un
errore enorme perché, al pari di altre malattie come il glaucoma, l’acuità visiva si può perdere a malattia
avanzata. Più precocemente si interviene, maggiore è la possibilità di curare il paziente. Ad oggi si assiste ad
una diagnosi tardiva nel 50% dei casi, per cui molto spesso non si può più intervenire; si tratta pertanto di
un’urgenza. Vi è tuttavia un problema “di costume” per cui la maggior parte delle persone non effettua un
semplice test che consiste nel valutare la visione di un solo occhio chiudendo l’altro e viceversa. Ne deriva che
molti giungono all’attenzione del medico non sapendo da quanto tempo non vedono bene. La degenerazione,
in origine legata ad un solo occhio, può diventare bilaterale e di conseguenza sarà molto più difficile (se non
impossibile) recuperare il primo occhio colpito per il quale la degenerazione sarà più avanzata. La consulenza
specialistica tende ad essere tardiva proprio perché inizialmente l’occhio controlaterale riesce a compensare.
Fattori di rischio
§ Età
§ Fumo (con un pacchetto il rischio x3-5)
§ IPA (controversa)
§ Razza caucasica: Vi sono tuttavia varianti che hanno un’incidenza differente, ad esempio vi è una variante
particolare che è maggiormente frequente in Giappone.
§ Dieta (trigliceridi e colesterolo)
§ Esposizione ai raggi solari (controversa)
§ Fattori genetici (familiarità)
§ Alcool

Non ci sono molti dati su tutti i fattori, la correlazione CERTA è quella con il fumo di sigaretta; per gli altri
non si hanno ancora molti dati numerici

Fisiopatologia: È definita una “Malattia Metabolica” dato che alla sua base vi sono alterazioni della funzione
dell’EPR. Esso nutre i fotorecettori consentendo il passaggio degli elementi nutrizionali dalla coroide a questi
e fagocita il segmento esterno (costituito da dischi) dei fotorecettori, consentendone il rinnovamento. Inoltre
ricicla i metaboliti della vitamina A che sono richiesti per la vista. La coroide, oltre a fornire nutrienti e ossigeno
alla retina interna (quella esterna riceve nutrimento dai capillari retinici), ne rimuove i residui. Le alterazioni
dell’EPR sono:
§ Diminuisce la densità e la distribuzione dei fotorecettori
§ Difetto nel trasporto tra vasi corioidei e fotorecettori
§ Cambiamenti ultrastrutturali EPR
§ Depositi laminari basali a livello dell’EPR
§ Progressivi cambiamenti vascolari a carico della coriocapillare
Classificazione: Le due principali forme sono: forma non essudativa (atrofica-secca) e forma essudativa
(neovascolare-umida) → si differenziano sulla base di assenza/presenza di neovascolarizzazione sottoretinica
(i neovasi partono dalla coroide e si accumulano o sopra o sotto l’EPR). La forma essudativa è associata a
prognosi peggiore in quanto la formazione di nuovi vasi comporta la formazione di un essudato (più
propriamente edema) e sollevamento progressivo dell’epitelio pigmentato retinico. Nei casi più avanzati, questi
vasi possono rompersi facilmente, provocando un’emorragia retinica. I ripetuti episodi emorragici e di
riparazione tissutale sono responsabili della formazione di una cicatrice centrale più o meno esuberante. Nei pz
affetti non trattati tempestivamente si osserva una grave ed irreversibile riduzione della visione centrale, ma
viene conservata la visione laterale.
* La terminologia “essudativa” non è propriamente corretta in quanto si tratta di edema che accumulandosi, nel
tempo, dà essudato.

FORMA NON ESSUDATIVA (DRY, ATROFICA, CRONICA): E’ dovuta a un progressivo invecchiamento (è una
forma cronica) in cui vi è un’insufficiente apporto di nutrienti e ossigeno ai fotorecettori con conseguente danno;
con l’età, inoltre, la capacità digestiva delle cellule dell’epitelio pigmentato diminuisce determinando accumulo
di sostanze residue (in particolare sostanze plastiche derivate dai cibi) che vanno a costituire i drusen che si
accumulano al di sotto della membrana di Brunch. La membrana e le cellule dell’epitelio pigmentato
degenerano, i fotorecettori vengono distrutti per assenza di nutrienti e ciò conduce all’atrofia con perdita del
visus.
§ Hard Drusen = rotonde, regolari, colore giallastro ben definite, d < 63µm. Iperfluorescenza alla FAG
precoce e progressiva
§ Soft Drusen = irregolari, dai contorni sfumati, colorito giallo pallido (a differenza degli essudati, che sono
di un giallo molto più forte) d > 63µm. Poco visibili o ipofluorescenti alla FAG nei tempi precoci. Sono
meglio visibili all’oftalmoscopia. Sono clinicamente più pericolosi in quanto la loro presenza è strettamente
correlata con alto rischio di degenerazione maculare senile verso la forma neovascolare.
A volte gli accumuli sono così importanti da determinare Distacco dell’EPR (spazio neoformato ripieno di
liquido delimitato in basso dalla membrana di Bruch e in alto dall’EPR). Hard e Soft Drusen e distacco dell’EPR
caratterizzano la forma non neovascolare.
N.B. L’Atrofia Geografica è lo stadio più evoluto della DMLA non essudativa (area centrale ben evidenziabile
rotonda/ovalare dai margini irregolari con vasi coroidali centrali ben visibili).

FORMA ESSUDATIVA (WET, NEOVASCOLARE, ACUTA): I fotorecettori e l’epitelio pigmentato, a causa del
deficit di sostanze nutritive, mandano un segnale di soccorso alla coriocapillare per formare nuovi vasi. Tali
neovasi si formano sia sopra, sia sotto l’epitelio pigmentato (dietro la macula slide) con conseguente rottura
della membrana di Bruth (che collega la coroide all’epitelio pigmentato). Tali vasi sono fragili, si rompono e vi
è la fuoriuscita di sangue e liquidi e ciò porta ad alterazione con rapido e severo danneggiamento maculare.
La forma essudativa mostra caratteristicamente, all’esame del fondo oculare, una zona edematosa e si apprezza
del sangue [NB: la presenza di sangue è caratteristica e consente la diagnosi differenziale con la forma atrofica.]
All’angiografia i neovasi possono essere ben visibili (forma classica) oppure no (forma occulta) → nel 1° caso i
vasi passano l’EPR e si fermano sotto i fotorecettori; nel 2° stanno sotto l’EPR. N.B. i vasi occulti sono più
difficili da classificare, hanno evoluzione variabile, sono più frequenti dei neovasi classici (la loro frequenza
varia dal 60 all’85%), si evidenziano con angiografia al verde di indocianina). Nell’ambito della forma occulta
dobbiamo considerare una possibile evoluzione in cui i neovasi migrano sopra l’EPR accompagnandosi ad un
sollevamento dell’EPR con formazione di edema, ben visibile all’OCT.

Tipi di evoluzione: lenta e silenziosa per mesi o a pousses o progressiva con estensione delle lesioni.
La forma classica è ulteriormente distinta in:
§ Extra-foveale (la neovascolarizzazione è localizzata a più di 200µm dal centro della fovea)
§ Sub-foveale (si estende al di sotto del centro foveale)
§ Juxta-foveale (posizione intermedia tra le due precedenti)

Possiamo affermare che la malattia parte come forma atrofica che in alcuni casi può trasformarsi in
neovascolare. Quest’ultima ha una prognosi peggiore perché si ha un’improvvisa diminuzione della vista
(pertanto è una forma acuta).

NB: Esiste anche una forma molto caratteristica detta “reniforme” (la bolla di sollevamento ha la forma di un
piccolo rene), ai limiti della quale vi è la formazione di neovasi.

DEGENERAZIONE MACULARE DISCIFORME: Con il tempo la maculopatia aumenta di grandezza e


assume una forma irregolare complicandosi con essudati ed emorragie e formazione di una lesione
fibrovascolare disciforme. Negli stadi tardivi si forma una lesione sottoretinica sollevata che va incontro a
fibrosi con riduzione permanente della visione centrale. E’ quindi importante intervenire in tempi relativamente
brevi per valutare mediante esame fluorangiografico, ICG o OCT, l’eventuale necessità e la possibilità di
trattamento.
Clinica: Mentre la cataratta è progressiva nel tempo, nella DMLA acuta (essudativa) si ha una distorsione
centrale dell’immagine inizialmente (elemento utile per la DD). C’è perdita progressiva della visione centrale
fino ad uno scotoma centrale e percezioni alterate e distorte delle immagini. A seconda della zona colpita, la
sintomatologia sarà più o meno grave; questo perché differente è la localizzazione dei fotorecettori a livello
della retina. E' più facile vedere da vicino che da lontano.
Diagnosi
1. Anamnesi generale: si occupa di rilevare la sintomatologia riferita dal paziente il paziente riporterà di
vedere due alterazioni principali rappresentate dalla percezione alterata e distorta delle immagine
(essendovi edema) sia in vicinanza sia in lontananza e dalla perdita della visione centrale (da lontano).
Si va ad indagare:
a. la perdita progressiva della visione centrale fino a giungere ad uno scotoma centrale,
b. la percezione alterata e distorta delle immagini (importantissima per la dd. con la cataratta).
Nella forma atrofica la sintomatologia è evidente se questa interessa la fovea: l’atrofia, infatti, può
interessare tutto il polo posteriore senza interessare la fovea (che è una regione molto piccola di 500
micron) per cui il paziente può vedere bene; se viceversa vi è interessamento della fovea, vi è un lento
e progressivo deficit visivo.
Nella forma neovascolare vi è un improvviso calo della vista: infatti nel diabete la degenerazione
maculare è progressiva mentre la degenerazione maculare neovascolare si forma in pochi minuti e dà
una riduzione notevole dell’acuità visiva.
2. Valutazione dell’acuità visiva:
a. Ottotipo: di Snellen (lettere), ETDRS (lettere e numeri, usato in trial clinici), di Landolt (cerchi
aperti da un lato).
b. Sensibilità al contrasto: poco usato.
La misurazione dell’acuità visiva è un esame fondamentale per valutare l’andamento della
degenerazione maculare legata all’età sia nel tempo sia dopo una terapia.
3. Sensibilità al contrasto: È la capacità del sistema visivo di apprezzare il contrasto fotometrico, cioè la
differenza di luminosità che presentano due zone adiacenti. É ridotta in una serie di malattie (cataratta,
ADM) ed è quindi molto utile nella valutazione del decorso e della terapia di queste malattie. Poco
utilizzato.
4. Griglia di Amsler: bianca su quadratini neri o viceversa → il pz fissa il punto centrale della griglia e
disegnerà le linee che vede (gli appariranno distorte se c’è edema maculare); sono 400 quadratini di
5mm osservati a circa 33cm, valuta i 10° del campo visivo.
5. Oftalmoscopia: visione d’insieme della regione maculare. Oftalmoscopia binoculare
6. Biomicroscopia Retinica: evidenzia i segni indiretti della forma essudativa classica (sollevamento
grigiastro dell’EPR, essudazione sottoretinica, emorragie ed essudati lipidici intorno alla lesione).
Anche qua visione binoculare, con lente in prossimità dell’occhio ottenendo in questo modo
un’immagine al contrario (differentemente da quelle che si poggiano direttamente sull’occhio che
danno un’immagine diretta).
7. FAG: alterazioni degenerative e neovascolari della regione maculare.
8. ICG (Fluorangiografia al verde d’indocianina): neovasi occulti e feeder-vessels (vasi afferenti
neoformati).
9. OCT: prima di procedere con l’OCT, si fa lo scanning laser ophtalmoscope per vedere se è il caso di
procedere; l’OCT è una tecnica non invasiva ad HR che fornisce immagini trasversali della retina e
misura lo spessore. retinico maculare (si ottengono sezioni in vivo paragonabili a quelle istologiche).
È un esame fondamentale per osservare tutti gli strati della retina e consente di effettuare un’analisi sia
qualitativa sia quantitativa delle alterazioni degenerative maculari e dell’edema maculare che si associa
alle neovascolarizzazioni sottoretiniche. Se c’è un edema la retina arriva a 500-600 micron, mentre
normalmente ha uno spessore di 190 micron (nella zona foveale) e di 240-250 micron nelle altre zone.
Oggi l’immagine che si ottiene è visualizzata in bianco e nero perché gli strati della retina si vedono
meglio, precedentemente era a colori. Nell’ambito dell’OCT sia a colori sia in bianco e nero, il liquido
appare nero. Oggi esistono apparecchi che consentono di effettuare sia la angiografia che l’OCT per
cui se all’angiografia vediamo la presenza di edema possiamo fare scansione contemporanea nella zona
edematosa e poi tagliare nella zona d’interesse con l’OCT.
10. Microperimetria: valutazione della funzionalità visiva dei punti della retinaà permette di definire con
estrema precisione topografica la sensibilità, la sede e la stabilità della fissazione di ogni punto della
regione maculare mediante stimolazioni luminose fisse d’intensità variabile. Una persona con
degenerazione non vede gli stimoli di bassa intensità, se avanzata non vede nemmeno quelli di forte
intensità.
Evoluzione dell’occhio controlaterale: La DMLA è spesso bilaterale (anche se in maniera diversa tra i due
occhi); se nel secondo occhio di un pz con DMLA neovascolare si osservano migrazioni pigmentarie e drusen
confluenti, la probabilità di un grave abbassamento dell’acuità visiva è 60% a 5 anni.
Il rischio di conversione da forma non essudativa a forma essudativa è < 1% a 5 anni.
Prognosi: Purtroppo al giorno d’oggi non c’è una buona informazione sulla malattia e molti pazienti si
rivolgono al medico solo nelle fasi tardive della malattia. Nella stragrande maggioranza dei casi la malattia è
bilaterale, anche se interessa i due occhi in tempi diversi, e questo può essere un campanello d’allarme per quei
pazienti che hanno già perso la vista ad un occhio e notano i primi sintomi nell’altro occhio.
Profilassi: Possibile solo per la forma atrofica con: occhiali da sole, antiossidanti (vit.C, vit.E), beta-carotene,
Zn, omega3, luteina e zeaxantina (pigmenti maculari fotoprotettivi). Gli antiossidanti sono quasi inutili nelle
forme avanzate.
Trattamento:
LASERTERAPIA (ndr secondo Tranfa non è indicata)
• Convenzionaleàextrafoveolare
• Terapia fotodinamica (PTD)à foveolare

I primi trattamenti (anni ’80-90) per la forma neovascolare consistevano in laserterapia convenzionale, ovvero
distruzione dei neovasi individuati all’angiografia mediante raggi laser; poi si è visto che residuava una cicatrice
che poteva estendersi fino alla fovea e per questo motivo attualmente questa terapia non viene più impiegata
[NdR: o comunque è riservata ai soli casi di neovascolarizzazione extrafoveale, dove l'area scotomatosa
conseguente alla necrosi tissutale laser-mediata rimane al di fuori all'area visiva centrale]. Successivamente, a
partire dal 2000, è stato introdotto un nuovo tipo di laserterapia, cosiddetta fotodinamica (PDT, Photo Dynamic
Therapy), tuttora utilizzata, che consiste nell’iniezione endovena lenta, attraverso una pompa, di una sostanza
che nel giro di 15 minuti arriva nell’occhio e si accumula nei vasi. A questo punto con un grosso raggio laser
si irradiano i vasi in cui si è accumulata questa sostanza, determinandone la cristallizzazione e quindi
l’occlusione dei vasi.

TERAPIA CHIRURGICA oggi in disuso


• Rimozione
• Rotazione
RADIOTERAPIA oggi in disuso
• Teleterapia
• Brachiterapia

TERAPIA MEDICA
La terapia Fotocoagulativa Laser e la Terapia Fotodinamica migliorano la prognosi visiva della forma
neovascolare. Attualmente, però, la strada percorsa è l’iniezione intravitreale di Cortisone o Anti-Vegf (es
Avastin, può avere ADR gravi come l’ictus che insorge nel 3-5% dei casi, Lucentis, Macugen). La società
italiana degli Oculisti ha suggerito ai Medici di base di mettere in atto un piccolo test: il pz valuta la visione dei
singoli occhi, coprendosene prima uno e poi l’altro.

• Farmaci cortisonici (in particolare il triamcinolone), utilizzati per le potenti capacità antiangiogenetiche e
l’azione antiedemigena; oggi questi farmaci sono stati pressocché abbandonati per la comparsa di gravi
effetti collaterali (principalmente ipertono oculare).

• Anti-VEGF, rallentano o arrestano la progressione della neovascolarizzazione sottoretinica e quindi della


DMLE neovascolare. La somministrazione è possibile solo in alcuni grandi centri autorizzati dal Ministero.
In passato i farmaci anti-VEGF venivano somministrati per via ev nei pz con tumore metastatico del colon-
retto, seppure con complicanze gravissime, e casualmente si osservò un miglioramento della vista in un
paziente con degenerazione maculare di tipo neovascolare trattato con questi farmaci. Oggi i farmaci
autorizzati sono Pegaptanib (Magugen), Ranibizumab (Lucentis) e Aflibercept (Eylea) sintetizzati a partire
da Bevacizumab (Avastin). Rimane comunque possibile la prescrizione off label di Avastin da parte dei
medici, sotto la diretta responsabilità degli stessi e dietro consenso informato.

Inizialmente, quando si cominciò a studiare questi farmaci, si faceva una iniezione al mese per un anno,
dopo il quale si andava a verificare se la malattia era regredita e se c’erano recidive, nel qual caso si
facevano altri cicli. Oggi si fa una terapia diversa, cosiddetta “al fabbisogno”, con tre iniezioni a distanza
di un mese l’una dall’altra, dopo di che si fa un controllo visivo: se il paziente è migliorato per quanto
riguarda il visus ma ha ancora accumulo di liquido, si continua fino al miglioramento. Se dopo tre mesi non
c’è alcun miglioramento, si sospende il farmaco; se invece la patologia regredisce, si segue il paziente nel
tempo per verificare la comparsa di recidive. In questi casi si ricomincia la terapia e, dopo le tre iniezioni
iniziali, si può fare una iniezione ogni tre mesi per evitare recidive.

Altra cosa da considerare è il rischio cardiovascolare, in quanto una piccola parte di anti-VEGF iniettata
all’occhio si distribuisce a livello sistemico. Nei pazienti infartuati, in cui c’è l’occlusione di un vaso, si
somministra VEGF per stimolare la neovascolarizzazione, effetto che si va a contrastare con la terapia anti-
VEGF; perciò in questi casi è necessario un consulto con il cardiologo.
DISTACCO DELLA RETINA
Con il termine distacco di retina si definisce uno stato patologico retinico caratterizzato dalla perdita di
contatto tra la retina visiva e l’epitelio pigmentato, cioè tra l’epitelio pigmentato e i fotorecettori. Queste
due strutture, embriologicamente e fisiologicamente differenti, vengono ad essere separate da un liquido
neoformato detto liquido sottoretina. In passato si riteneva che la retina era fatta da 9 strati e l’epitelio
pigmentato era uno strato della coroide, pertanto la presenza del liquido tra epitelio pigmentato e
fotorecettori venne definita distacco di retina, ma in teoria il liquido è all’interno della retina, quindi non
si dovrebbe chiamare distacco di retina ma distacco intraretinico oppure separazione retinica.
Eziologia: I meccanismi alla base sono vari e non tutti perfettamente chiariti. Ci sono di fondo però tre
cause principali:
• La perdita della normale adesione corio-retinica, tra epitelio pigmentato e retina visivaà
Normalmente i fotorecettori e l’epitelio pigmentato hanno una natura biologica diversa e sono separati
da uno spazio virtuale che si chiama spazio sottoretinico, per cui i due strati sono in contatto tra loro
ma non hanno delle vere giunzioni anatomiche per cui non c’è una vera lesione e i due strati rimangono
adesi perché viene emessa dall’epitelio pigmentato una sostanza mucopolisaccaridica che ha quasi
un’azione viscoelastica e cementante. Questa sostanza con l’età, oppure nei soggetti miopi con
problemi di vario genere, diminuisce questa sua azione cementante e quindi c’è una minore adesione
tra fotorecettori ed epitelio pigmentato e questa è un delle cause. Allora succede che rimangono in
contatto ma c’è un gradiente pressorio diverso tra la camera vitrea e lo spazio sottoretinico, che è molto
importante. Anche altri fattori tengono uniti questi strati: il primo è il gradiente pressorio che si forma
tra la camera vitrea e lo spazio sottoretinico. Il secondo è la funzione di sostegno rappresentata dal
vitreo, che altro non è se non una gelatina che riempie l’occhio dandogli la forma sferica. Con gli anni
e in alcune malattia, come la miopia, quindi anche in soggetti giovani, il vitreo può subire cambiamenti,
perde sostanza e tende a staccarsi dalla retina. Normalmente il vitreo, riempiendo tutto l’occhio, ha
pochi movimenti, mentre nel momento in cui perde sostanza tende a muoversi nell’occhio e a staccarsi
dalla retina. Anche per motivi gravitazionali, il vitreo può tirare la retina e formare un buco, una
rottura.
• La trazione del vitreo sulla retina
• Formazione di un’apertura

Classificazione

• REGMATOGENO, definito anche idiopatico, dovuto primariamente alla rottura della retina, sarebbe
il distacco di retina da lacerazione o foro regmatoide, può essere definito come un episodio acuto e
improvviso di un lungo e cronico processo che coinvolge il vitreo, la retina e in misura minore
l’epitelio pigmentato. E’ importante questo fatto perché il distacco di retina avviene all’improvviso,
cioè a un certo punto il paziente vede quest’ombra nel campo visivo, ma ci sono delle cause che sono
andate lentamente avanti fino a portare il distacco di retina.
Distacco retina non traumatico o idiopatico:
- Senza organizzazione vitreale
- Con organizzazione vitreale
Il corpo vitreo è un gel che riempie i 4/5 posteriori dell’occhio, il quale mostra delle zone di particolare
aderenza alla retina:
o Zona maculare
o Zone periferiche → ora serrata per esempio, che rappresenta la connessione con la pars plana.
A questi livelli, in alcune condizioni, possono generarsi forze trazionali del vitreo sulla retina: può
infatti presentarsi una disidratazione del vitreo, una colliquazione della trama vitreale che causa la
formazione di vere e proprie lacune che possono confluire tra loro: vengono chiamate sinchisi e
sineresi vitreale. Si generano quindi delle forze trazionali che si scaricano su regioni in cui la retina
è atrofica → queste possono causare rotture con iniziale separazione del neuroepitelio dall’epitelio
pigmentato con accumulo, via via, di liquido sottoretinico. NB. Tra i due foglietti retinici ci sono
pompe che espellono attivamente il liquido che riesce a penetrare all’interno, specie nei giovani (dove
è più difficile che si instauri un distacco di retina).
Il vitreo è meno aderente nella parte posteriore anatomicamente, mentre è molto fortemente aderente
nella parte periferica, dove ci sono delle notevoli adesioni del vitreo con la retina. Può accadere che
il gel vitreale diminuisce di grandezza, nel diminuire di grandezza tende a staccarsi dalla parte
posteriore della retina, questa è una alterazione patologica che si chiama distacco posteriore di
vitreo, cioè il vitreo tende a staccarsi dalla retina. Questo distacco posteriore di vitreo viene avvertito
dal paziente come una nuvoletta e in più a volte si formano degli addensamenti di queste sostanze
nel liquido, normalmente trasparente. Dunque si formano degli agglomerati che vengono visti dai
pazienti come delle "mosche volanti" o miodesopsie. Inoltre quando il vitro si stacca di più e si
comincia a muovere, assecondando tutti i movimenti che facciamo, eserciterà delle trazioni sulla
retina nelle zone in cui rimane attaccato. Queste trazioni sulla retina vengono viste dal paziente, a
volte ma non sempre, come una sintomatologia che si chiama fotopsia (che sarebbero dei lampi
luminosi).
Per la forza di gravità la maggior parte dei distacchi di retina avviene nei settori superiorià La retina
si stacca a partire da sopra e quindi si osserverà una sintomatologia il campo visivo inferiore. Nei
settori inferiori, invece, la patologia è più grave, sia perché per gravità il distacco di retina va meno
velocemente avanti, sia perché interessa i settori superiori che non sono molto usati quindi il paziente
può non rendersi conto che nella periferia estrema si forma una macchia nel campo visivo.
La lacerazione di grandezza è 1 mm e mezzo: uno / due diametri papillari, mentre i fori sono 300
micron, non arrivano neanche a un diametro papillare.

• NON REGMATOGENO (SECONDARIO) Alla cui origine non c’è una rottura retinica e distinto in:
§ Traumatico → trauma contusivo violento del bulbo oculare (rapida compressione-
decompressione retinica) con distacco della retina nella pars plana, più frequente nei giovani,
dove il vitreo è competente (“Dialisi retinica”). NB: Quasi mai traumi al viso provocano
distacco di retina
§ Trazionale → retinopatia diabetica proliferante, fibroplasia retrolentale (bambini prematuri).
§ Essudativo → tumori (primitivi di retina o coroide, metastasi coroidali), corioretiniti,
infiammazione della sclera, malattie vascolari o del nervo ottico, degenerazione disciforme,
malattie sistemiche quali Les, uremia e leucemia.
È possibile, inoltre, classificare il distacco di retina in base alle caratteristiche oftalmologiche della lesione:
• Lesione a lembo o a ferro di cavallo (si stacca un lembo, spesso nasale e che va in direzione
supero- inferiore) Si osserva proprio il lembo staccatosi a v o a u.
• Fori, in questo caso più che un distacco parliamo di un’atrofia vera e propria della retina, una
degenerazione che si mostra con la formazione di fori.
• Dialisi o disinserzione retinica: in questo caso la lesione è dovuta ad un trauma e il distacco inizia
proprio a livello dell’ora serrata. Quindi non c’è una rottura prima! Si stacca proprio in direzione
antero-posteriore.
• Rottura gigante: è una rottura che interessa più di 90° di retina, e quindi più di un intero quadrante
della stessa. È associata a sindrome di STICKLER.
Lesioni predisponenti Sebbene si stimi che il 15% della popolazione presenti una rottura di retina ma non
sviluppi poi il vero distacco, esistono condizioni predisponenti che lo facilitano. Alcune di queste lesioni
sono frequenti nei soggetti miopi, per cui un buon medico d famiglia a un miope consiglia sempre di farsi
vedere il fondo oculare, anche nei soggetti molto giovani, perché ci sono delle lesioni che si formano
nell’occhio che sono più frequenti nei miopi. Queste lesioni hanno delle caratteristiche, sono irreversibili,
nel senso che una volta formate non è che scompaiono, sono legate all’età adulta, sicuramente però nel
miope si possono manifestare anche a 15 anni, rappresentano dei processi di senescenza che hanno delle
associazioni cicliche frequenti. A volte necessitano di un trattamento preventivo, cioè si fa un laser per
prevenire il distacco di retina.
§ Miopia → può predisporre al distacco per le alterazioni vitreali, quindi aumento del rischio
regmatogeno.
§ Pseudofachia o Afachia → il paziente operato di cataratta, che non presenta cristallino, ha un
aumentato rischio regmatogeno: l’assenza del cristallino fa sì che l’occhio abbia un componente
volumetrico in meno al suo interno (il cristallino artificiale non sarà spesso come quello naturale);
quindi il vitreo si muove molto di più e crea molti più fenomeni trazionali. Inoltre, per lo stesso motivo,
è meglio evitare di sottoporre precocemente ad un intervento di cataratta i pazienti, essendo il rischio
è cumulativo negli anni.
§ Lesioni degenerative della periferia della retina → irreversibili, legate all’età, hanno associazioni
reciproche frequenti, a volte richiedono trattamento preventivo;
a) Lesioni corioretinica, esterna (le meno pericolose)
b) Lesioni intraretiniche
c) Lesioni retinovitreali, interne (le più pericolose);
Nel momento in cui si forma un’alterazione all’interno della retina esterna, cioè fra la coroide e la retina,
le possibilità che queste lesioni diano dei fori è molto scarsa, perché normalmente il foro si forma sulla
retina nella parte interna, quindi quelle che sono importanti sono le lesioni interne vitreali.
LESIONI RETINO-VITREALI Distinte in:

• Degenerazione “a palizzata”
• Degenerazione “a bava di lumaca”
• Retinal tufts
• Bianco senza pressione
• Accumuli pigmentari paravascolari

Degenerazione a Palizzata (Lattice Degeneration/Degeneration grillagee/degenerazione equatoriale):


circa 1/3 dei distacchi avviene su queste lesioni, che colpiscono il 20% della popolazione e aumenta
di frequenza con l’età. È chiamata degenerazione a palizzata perché ha dei bordi generalmente netti
ma ha una forma ovalare e all’interno si vedono dei vasi assottigliati che appaiono come piccole linee
biancastre. Si riscontra un assottigliamento della retina con la formazione di microfori all’interno del
tessuto retinico stesso che appaiono rossi, perché là sotto si vede la coroideàessendo la retina grigia
se ci togli la retina la coroide si vede rosso forte, quindi se c’è un buco questo buco appare rosso molto
forte quindi lo si vede facilmente.
• I fori retinici, singoli o multipli, all’interno o ai margini della lesione, non a tutto spessore, poco
regmatogeni.
A livello di queste zone assottigliate, il fenomeno trazionale vitreale trova un terreno più predisposto
alla rottura. Quando si parla di distacco di retina e di degenerazione a palizzata possiamo avere fori e
lacerazioni retiniche che sono la stessa cosa, le une lungo il bordo e le altre al centro della retina.
• Rotture retiniche, più frequentemente lineari lungo il bordo posteriore o a ferro di cavallo
all’estremità delle lesioni. Si associano sempre a DPV.
Interessa sia miopi che emmetropi ma più cresce la miopia, più la lesione è frequente e pericolosa. È
bilaterale nel 50% dei casi e l’estensione non supera il 60% della superficie della periferia. Ha una
localizzazione nel settore superiore praticamente oltre l’80%-->settore topografico temporale
superiore e nasale inferiore assieme fanno l’87%, quindi significa che praticamente gran parte di queste
alterazioni stanno nel settore superiore, e guada caso questa topografia corrisponde a quella delle
lacerazioni, cioè queste lesioni danno lacerazioni, tanto è vero che la topografia è quasi la stessa.
- Sede: equatore, tra equatore ed ora serrata, cioè nell’estrema periferia.
- Lunghezza: 1/2 - 6 DP; Larghezza: 1 DP. NB: Quando si va a definire una grandezza sul fondo
dell’occhio, ci si basa sul disco ottico: se il disco ottico è 1,5 mm e ad esempio la lesione è di 3mm
si dice che è a 2DP. Questo perché se vedo una lesione rispetto al disco ottico posso capire quanto
è grande una lesione e quanto dista dal disco ottico.
Una lesione superiore è più pericolosa e dà più problemi: Consideriamo la struttura posteriore dell’occhio
come una sfera con all’interno due strutture: retina e coroide tra loro unite. Se si forma un foro nel settore
superiore, il vitreo passerà attraverso questo foro e tenderà ad entrare tra le due strutture. Questo liquido,
per gravità, staccherà tutta la retinaà due sono i tipi di soluzioni di continuo in questa degenerazione: fori
retinici e rotture retiniche a “ferro di cavallo”. Se il foro è nella parte inferiore, il liquido, entrato attraverso
il foro, con più difficoltà staccherà la retina, perché ovviamente per gravità non andrà nella parte superiore
ma resta in quella inferiore. Per tal motivo le lesioni delle zone superiori sono più importanti e pericolose
e vanno tutte trattate.
In caso di degenerazione a palizzata si fa una chiusura con laserà nel momento in cui c’è un buco che
porta questi due strati a staccarsi perché entra il liquido, per evitare che si stacchino definitivamente
bisogna circondare questo buco e saldarlo. Si fa del laser tutto intorno a quella che è stata la rottura o il
foro, questo laser impatta sull’epitelio pigmentato e forma una cicatrice che salda, per cui il liquido che si
è già formato non può aumentare e non può avanzare perché trova una barriera in questa cicatrice.
Chiaramente cosa si deve fare dipende da quando è stata scoperta, dall’età, se una persona tiene 80 anni
anche se ha un foro probabilmente non evolve perché lo tiene da tantissimo tempo, se tiene 20 anni
conviene trattarlo con il laser.

Degenerazione a Bava di Lumaca (Givre Degeneration/Snail track degeneration/degenrazione brinosa):


meno frequente della lesione precedente 2-12%; si ritrova più spesso nei giovani e nei miopi; sono
lesioni di dimensioni variabili che tendono ad unirsià Si presenta come dei fini puntini bianchi che si
riuniscono in queste isole oppure appaiono diffusi in tutta la zona.
- Sede: in prossimità dell’equatore, parallele (mai perpendicolari) all’ora serrata
Clinica
A) SEGNI DEL DISTACCO VITREO POSTERIORE (DPV): precedono il distacco vero e proprio
§ Miodesopsie (Corpi mobili, cosiddette “mosche volanti” che il paziente vede nel campo visivo;
possono esserci piccoli corpi mobili anche nell’occhio normale, ma quando sono grandi e fastidiosi
sono segno di distacco vitreo)
§ Nebbia visiva (col distacco del vitreo, questo si addensa, si aggregano le fibrille e perde trasparenza)
§ Fotopsia, Fosfeni dovuti alla trazione del vitreo sulla retina (lampo luminoso quando il vitreo tira la
retina; appaiono alla periferia dell’occhio e in genere vengono percepiti di sera. Può esserci fotopsia
senza distacco retinico.)
B) SEGNI DISTACCO RETINA CONCLAMATO:
§ Scotoma positivo: fase di distacco conclamato. Esso è più o meno vasto e situato nella parte del campo
visivo opposto alla zona della retina staccata (nella metà dei c:asi di distacco di retina tale distacco
avviene a carico della retina temporale superiore, il cui campo visivo corrisponde al nasale inferiore
dove il paziente percepisce pertanto un’ombra; viceversa una lesione nei settori inferiori determina
un’ombra nelle zone superiori. Nella vita di tutti i giorni utilizziamo di più i settori inferiori e quindi
siamo portati a percepire subito lesioni nei quadranti inferiori rispetto a quelle nei quadranti superiori).
§ Metamorfopsie (visione distorta delle figure), micropsie e discromatopsie se è interessata la macula.
§ Riduzione dell’acuità visiva: Il distacco di retina porta a una diminuzione della vista? Dipende, perché
se è periferico e non interessa la macula, il paziente può benissimo non accorgersene. La diminuzione
dell'acutezza visiva, cioè vedere male, può esserci solo per due casi: o perché c'è un interessamento
maculare (scendendo dal settore superiore e coinvolge anche la macula) oppure perché la rottura è
avvenuta su un vaso che ha causato una emorragia vitreale. Ebbene quando la macula è interessata il
paziente vede più storto, più piccolo, più grande e presenta tutta una serie di fastidi che rendono il
quadro più grave.
Prognosi: Il coinvolgimento della macula modifica la prognosi funzionale drasticamente. Infatti, a seconda
del coinvolgimento o meno della macula si parla di:
→ Macula ON se la macula è attaccata ancora. In questo caso bisogna intervenire prima possibile per
evitare che si stacchi. Il timing è di 24 ore, al massimo.
→ Macula OFF, in questo caso la macula è completamente staccata, quindi la prognosi è peggiore. Si
deve intervenire entro una settimana.
Evoluzione: Un distacco lasciato a sé stesso diventa rapidamente totale (la progressione è più rapida se il
distacco è superiore). La retina tende a diventare rigida (proliferazione vitreoretinica). Possono insorgere
cataratte, uveiti e si può avere la progressione verso l’atrofia del bulbo oculare.
Diagnosi:
1. Oftalmoscopia binoculare indiretta
2. Biomicroscopia con lenti a contatto
Mostrano una retina convessa, grigiastra, con pieghe variamente disposte e presenza di rotture.
3. Ecografia (casi in cui il fondo oculare non è ben esplorabile)
Fattori da valutare:
§ Sollevamento retinico (grado, sede, limiti, forma, aspetto, mobilità)à Quando dobbiamo operare un
distacco di retina, è importante disegnare la retina per capire esattamente dove si trovano le lesioni.
In genere dividiamo l’occhio come un quadrante di un orologio. In questo caso la retina sana è
disegnata in rosso e quella distaccata in blu. Al centro noi vediamo la rottura. Per gravità il liquido
si formerà attorno e passando i giorni tenderà a scendere. Dalla disposizione del liquido noi capiamo
dov’è la rottura. Anche se non vedo la rottura, dalla posizione del liquido posso orientarmi
sull’eventuale sito del foro.
§ La retina sana
§ Rotture retiniche
§ Stato delle maculeà se staccate o sollevate (aspetto e durata del sollevamento). E’ importante perché
il recupero visivo dipende da quanto tempo è distaccata. Il distacco dovrebbe essere curato in meno
di 15 giorni dall’interessamento della macula perché, superate le due settimane, si può avere una
compromissione della funzione visiva e dei fotorecettori. Entro le due settimane abbiamo un buon
recupero visivo.
§ Stato del vitreo
Bisogna studiare lo stato della macula perché se il liquidò interessa la macula rimane a lungo i fotorecettori
ne soffrono e il recupero visivo è scarso. (Distacco di retina rientra non nelle urgenze ma è un'operazione
che si dovrebbe fare al più presto. Se la macula è interessata e il paziente ha questo problema da diversi
giorni si dovrebbe operare più o meno il giorno dopo).
Profilassi
ü Utilità (età, familiarità, n°, estensione e localizzazione delle lesioni, presenza/aspetti transizioni vitreo-
retiniche, distacco dell’occhio controlaterale)
ü Tecnica più sicura → criopessia transclerale, fotocoagulazione laser

Prima degli anni ’70, quando c’era un foro nella retina si faceva un’operazione chirurgica per chiuderlo.
Praticamente si scollava la congiuntiva dalla retina, si metteva a nudo la sclera e tramite un oftalmoscopio
si identificava il foro e poi si premeva sulla sclera al livello della lesione. In questa zona si applicava del
freddo o del caldo (crioterapia o diatermia) che creavano una cicatrice che interessava la sclera, la coroide
e la retina a partire dalla sclera. Si riusciva così a chiudere il foro però formando questa cicatrice devastante.
A partire dagli anni ’70 è stato inventato il laser per uso oculisticoàLa fotocoagulazione laser, che è un
metodo ambulatoriale di facile esecuzione e di grande precisione, consiste nel circondare con spot laser la
lesione pericolosa o, nel caso di lesione molto periferica, di circondarla centralmente e di raggiungere
perifericamente l'ora serrata. Si applica una lente a contatto piuttosto grande al paziente; il laser apparirà
come una piccola mira rossa praticamente sulla retina e tutti i punti bianchi sono punti in cui il la raggio
ha incontrato la retina. La Cicatrice si forma in 28 giorni e questo è un problema. Però i primi due giorni
si forma il 50% della cicatrice allora quando facciamo questo trattamento diciamo al paziente di stare per
due giorni a riposo (fermo, non guarda tv...).
Per essere efficace il trattamento deve avere:
1) una larghezza sufficiente;
2) essere confluente;
3) di intensità tale da permettere la formazione di una salda cicatrice.

A volte i pazienti hanno in tutta la periferia della retina piccole lesioni. In questi casi si fa il cerchiaggio
laser come trattamento profilattico, di modo che se si formano delle rotture si fermerà il distacco di retina.

Trattamento: retinopessia. Il trattamento per il distacco di retina idiopatico, classico, è solo chirurgico.
Sono considerati inoperabili tutti i distacchi non recenti che abbiano dato pieghe retiniche notevoli al polo
posteriore, fisse ed avanzate. Ad es. in un distacco di vecchia data vediamo pieghe biancastre che sono
segno di fibrosi sottoretiniche che hanno fatto sì che la retina venisse tirata e pieghettata e difficile da
stirare. Non si esegue in individui anziani (per via dell’anestesia totale), non si esegue se non abbiamo più
la capacità visiva nel pz.
Principi: Individuare le rotture retiniche, rilasciare la trazione vitreale e determinare al livello delle rotture
un’adesione permanente dei foglietti retinici, eventuale drenaggio del liquido sottoretinico (puntura
evacuativa).
Trattamento ab externo
§ Piombaggio/Indentazione = inserimento di materiale sintetico inerte nella sclera che avvicina la
sclera a retina e coroideà Lo scopo è quello di creare una indentazione sulla sclera in modo da spingere
quest'ultima, la coroide e l'e.p. in contatto con la retina visiva sollevata.
§ Cerchiaggio = stesso principio, si utilizzano però delle bande di silicone intorno all’occhio.
N.B. questi sistemi modificano il profilo sclerale (il pz nel cerchiaggio diventa miopie di 3 diottrie).

Trattamento ab interno: Consiste nella vitrectomia con tamponamento dall’interno.


Con un vitrectotomo si effettua un taglio nel vitreo (che taglia, 12mila tagli/minuti, e aspira; 25-27G) e, al
posto del vitreo, si inseriscono sostanze tamponanti come il gas (retinopessia pneumatica), oppure olio,
che è utilizzato nei casi più gravi, o silicone. Le prime due si assorbono, il silicone invece deve essere
rimosso. Dopo l’inserimento di queste sostanze, il paziente deve stare nella giusta posizione per un certo
tempo per permettere alla sostanza di spingere e fare pressione proprio a livello del distacco. Lo scopo è
quello di facilitare l'accollamento selezionando le briglie e le trazioni retiniche. Ci sono differenze riguardo
al materiale utilizzato, la forma e la sede. Con uno strumento si illumina, con l'altro si taglia (taglio tipo a
ghigliottina). Usiamo aghi 28 gauge (per insulina è 27). La vitrectomia non richiede punti di sutura.

Non c’è una differenza statisticamente significativa tra tecniche ab interno/externo, nei casi medio gravi.
Nei pazienti giovani va considerato che il vitreo è più fortemente adeso. La vitrectomia è più efficace nei
pazienti in cui manca il cristallino (pz con afachia/pseudofachia).
OCCLUSIONI ARTERIOSE
Possono interessare l’arteria centrale della retina o un suo ramo e verificarsi sia in acuto che in maniera
lentamente progressiva.
Causa
- Embolo:
• Di colesterolo e fibrina
• Di natura calcifica o settica
• Gassoso
• Medicamentoso
- Trombo (più raro)
Gli emboli si associano a DM, IPA, nefrite cronica, arteriosclerosi, arteriti.
Può anche conseguire a un glaucoma assoluto
Clinica
Repentina riduzione/perdita del visus.
Diagnosi
Oftalmoscopia → edema retinico esteso alla zona infartuata (bianco-grigiastro), arteria interessata
assottigliata e talvolta esangue. Possibile comparsa (ad alcune ore) di papilledema.
NB. Occlusione dell’arteria centrale della retina → fovea dal caratteristico colore rosso ciliegia.
Terapia
Il recupero funzionale è comunque molto modesto. La terapia è efficace solo se è instaurata immediatamente →
paracentesi della camera anteriore seguita da massaggio del bulbo (tentativo di mobilizzare l’embolo);
somministrazione ev di vasodilatatori e fibrinolitici ed ipotonizzanti oculari.

OCCLUSIONI VENOSE
Queste occlusioni sono importanti dato che è come se il pz avesse avuto un ictus à una chiusura analoga
poteva verificarsi anche a livello cerebrale.
Fattori di rischio
- DM
- IPA
- Età > 50 anni
- Fattori anatomici
- Iperomocisteinemia, alta PCR (più markers che fattori di rischio veri e propri)
- Turbe della coagulazione
- Glaucoma: i pz con glaucoma hanno probabilità 5x di sviluppare occlusioni venose.
OCCLUSIONE DELLA VENA CENTRALE DELLA RETINA
Oftalmoscopi →à dilatazione dell’albero venoso retinico, emorragie retiniche (a disposizione radiale della
papilla), edema retinico e papillare, essudati cotonosi.
NB Col tempo le emorragie possono riassorbirsi mentre tendono a permanere l’edema del nervo ottico e la dilatazione
venosa.
FAG → le emorragie sono così numerose che non si distingue il polo posteriore e non si distingue una forma
edematosa da una ischemica à ripetere l’esame a distanza di qualche mese (quando le emorragie si saranno
riassorbite).
Forma edematosa= più frequente; la riduzione del visus è in genere meno grave (2/3 dei pz hanno acuità visiva ≥
5/10), ha un’evoluzione più favorevole.
NON si accompagna a neovascolarizzazione retinica.
Si forma un edema maculare di vario grado → col tempo possono interessarsi aree di atrofia con grave
calo dell’acuità visiva.
NB ≈ 10% di queste forme evolvono a forme ischemiche.
Forma ischemica = gravissima riduzione del visus all’insorgenza, prognosi infausta.
I fenomeni ischemici possono determinare neovascolarizzazione a livello di retina, papilla, iride con rischio di
glaucoma neovascolare.
Forma mista = prognosi riservata. Possibile l’evoluzione sia a forma edematosa che ischemica.
OCCLUSIONE DI BRANCA VENOSA
Possono essere:
• Emisferiche = interessano un tronco comune con coinvolgimento di un
emisfero retinico. Sono simili per sintomatologia e prognosi all’occlusione
della vena centrale.
• Del ramo temporale = riduzione del visus in funzione del coinvolgimento
maculare
• Del ramo nasale = non essendo coinvolta la macula NON c’è riduzione del visus, con possibile
insorgenza di scotomi.
NB: La vena retinica principale a livello del disco ottico si bipartisce in un ramo temporale (superiore) ed
un ramo nasale (inferiore).
NB: Sono coinvolti i settori superiori
NB: Varianti anatomiche (es. tronco d’origine comune per v. temporale superiore, v. nasale superiore e v.
nasale inferiore) elicitano lo sviluppo di emorragie sia a livello del settore superiore che di quello
inferiore.
Il sangue, sotto la spinta dell’elevata pressione e dell’intenso flusso ematico, supera gradualmente la
resistenza legata all’ostacolo → ciò consente da una parte la riperfusione del vaso ostruito e dall’altra
lo sviluppo di anastomosi veno- venose.
Diagnosi: In questi casi è importante la FAG.
Terapia
- Fotocoagulazione per distruggere le arie ischemiche, per prevenire la neoformazione vasale e ridurre l’edema
retinico.
- CCS, farmaci anti-neoangiogenesi (iniezione intravitreale)
PATOLOGIA LACRIMALE

GHIANDOLE LACRIMALI: La ghiandola lacrimale principale è una


ghiandola a secrezione esterna composta da due lobi: uno intra-orbitario
ed uno lobulo palpebrale. È situata nella loggia lacrimale, nel quadrante
superotemporale dell’occhio, dove il legamento sospensore della
palpebra la divide in due lobi. Qualche volta a causa di lassità di questo
legamento che la sostiene si ha un’ernia della ghiandola lacrimale che
quindi si evidenzia come una pallina sottocutanea nell’angolo sotto
ciliare esterno. Ovviamente esistono dei tentativi di riposizionare la
ghiandola nella sua corretta posizione e far scomparire questa
cosiddetta “borsa”. Talvolta i chirurghi plastici non fano bene diagnosi
e la interpretano come un inestetismo, una borsa appunto, e dunque
rimuovendola causano dei danni. La ghiandola lacrimale principale non
produce né muco né sebo ma produce solo acqua e lisozima, un enzima
antibatterico; quindi la prima disinfezione dell’occhio avviene attraverso
la produzione del liquido lacrimale.
Le ghiandole lacrimali accessorie, anch’esse a secrezione sebacea nel
complesso producono acqua, muco, lisozima e lipidi. Sono:
o Ghiandole tarsali di Meibomio: ghiandole sebacee modificate.
o Ghiandole ciliari di Zeis: sono ghiandole annesse direttamente ai follicoli piliferi delle ciglia.
NB. La chiusura delle ghiandole lacrimali accessorie di Zeis causa l’orzaiolo, quella fastidiosa formazione cistica
spesso dolorosa che si ha a livello della palpebra.
o Ghiandole di Moll: ghiandole sudoripare a secreto prevalentemente lipidico.
Si localizzano nello spessore palpebrale, proprio tra le due precedenti e sempre in vicinanza ai follicoli piliferi
ciliari.

Lacrime: Tutto il sistema lacrimale produce lacrime, che sono costituite da un liquido complesso che contiene grasso
muco ed enzimi. Tutto ciò serve a costituire un film vero e proprio che rimane al davanti della cornea e che è il primo
dei mezzi diottrici: nell’ economia della visione, infatti, la limpidità e l’adesività sulla cornea del film lacrimale sono
fondamentali per vedere bene e quando questo film si altera o è assente, e quindi la sua adesività sulla cornea si altera,
si avranno conseguenze sulla visione.
Bisogna ricordare che il film lacrimale è importante anche per la nutrizione corneale. La cornea infatti non ha vasi ed è
questo che la rende trasparente, tuttavia in alcune condizioni, come i processi infiammatori, la cornea viene invasa da
neo vasi e si perde la trasparenza con conseguente alterazione del visus. La nutrizione della cornea deriva dal film
lacrimale e quindi, quando questo film è ammalato o assente, viene a soffrire l’epitelio corneale e si ha una cheratopatia
che prende il nome di Dry Eye Syndrome, sindrome dell’occhio secco. Questa patologia non è affatto una banalità
perché non solo si riduce lo stato di nutrizione della cornea ma si riduce anche fortemente la qualità della vita del pz, il
cui occhio si presenta estremamente irritato e dolente. Un’altra cosa da tener presente è che i disturbi del sistema
lacrimale sono spesso correlati a patologie di ordine generale, più spesso a patologie autoimmuni (sindrome di Steven
Johnson o alla sindrome di Sjogren). Tutte le malattie autoimmuni posso coinvolgere anche la ghiandola lacrimale.
Pensate alla sindrome di Steven Johnson o alla sindrome di Sjogren. Spesso la diagnosi si fa perché sono cointeressate
anche le ghiandole salivari.

Test: Test per valutare un’alterazione della produzione lacrimale:


- Test di Schirmer → è un test molto semplice che anche un medico non specialista può eseguire.
Si pone una strisciolina di carta bibula all’interno della palpebra inferiore, si aspettano due minuti circa (ndr 5
min) e si va a vedere quante lacrime hanno imbibito questa strisciolina. In condizioni normali dovrebbe risultare
imbibita di circa la metà (1,5 cm). Se non è così allora c’è una ipolacrimia. Il test che si può fare in due versioni,
con o senza anestesia (ma questo è un discorso più specialistico).
- Break-up test o test con la Fluoresceina (o anche con il Rose Bengala) → test specialistico. I coloranti si
appongono sulla cornea sotto forma di collirio e poi si esamina il tempo di permanenza di questo colorante sulla
cornea. Nel momento in cui si percepisce che il film, che è tutto tinto, si incomincia a rompere (break) significa
che in quel momento la contiguità del film si è interrotta. C’è un tempo minimo fisiologico al di sotto del quale
il film è patologico: se il tempo di break up è troppo basso vuol dire che la qualità del film è scadente.

Quando si ha una patologia a carico del sistema lacrimale, siccome possono esserci anche problemi di natura oncologica,
bisogna associare sempre la palpazione dei linfonodi.
CANALICOLITI INFIAMMAZIONE DEL
DACRIOCISTITI DOTTO NASOLACRIMALE
PATOLOGIA DELLE GHIANDOLE LACRIMALI
FORME INFIAMMATORIE
Dacrioadeniti: Possono essere: acute, subacute, croniche. Sono quasi sempre idiopatiche e quasi mai batteriche;
generalmente non sono contagiose e non si giovano dell’uso di antibiotici. Possono essere associate a patologie delle
salivari (è importante andare ad indagare la ghiandola sottomandibolare). Insorgono in maniera acuta. Il paziente si
sveglia la mattina con l’occhio e la palpebra gonfi e con senso di dolenzia; risponde molto bene ai cortisonici. Quando
gli episodi si ripetono nel tempo va sempre considerata la biopsia per verificare se si tratti davvero di una dacrioadenite
acuta o di qualcosa di più complesso. (Diagnosi differenziale con linfoma o pseudolinfoma della ghiandola, che
all’inizio può essere confuso con una dacrioadenite, perciò biopsia in caso di recidiva).
La sarcoidosi per esempio, così come altre patologie granulomatose (es. tubercolosi), può essere causa di dacrioadenite.
Oppure ancora possono essere dei veri e propri linfomi. Siccome tutte queste forme rispondono ai cortisonici il rischio
è che le si sottovaluti e si lascino non diagnosticate, con tutte le conseguenze che ne derivano. I segni della risposta ai
cortisonici devono essere abbastanza immediati, 4-5 giorni, al massimo una settimana. Se alla sospensione del
cortisonico si ha un secondo episodio, allora bisogna fare la biopsia. Spesso le lesioni associate alle altre patologie sono
bilaterali mentre quelle idiopatiche sono monolaterali. Durano giorni o ore, rispetto alle forme tumorali.

FORME ONCOLOGICHE
Di solito sono processi cronici che durano mesi. Due tipologie
o Lesioni linfoproliferative:
• Lesioni policlonali che sono indice di infiammazione cronica
• Pseudolinfomi (tumefazioni benigne frequentemente associate a Sjogren)
• Linfomi franchi (MALT più frequenti, forme poco aggressive).

Se si tratta di un linfoma è necessari una stadiazione accurata, attraverso PET-TAC e biopsia midollare: bisogna
distinguere la malattia localizzata (solo ghiandola lacrimale, si fa radioterapia) da quella generalizzata (terapia medica
con autoanticorpi se si tratta di una forma meno aggressiva, o chemioterapia se la malattia è più aggressiva).
Bisognerebbe escludere la presenza di cofattori: alcune sono legate a infezioni batteriche, virali, ad ipofunzionalità del
sistema immunitario, epatite C per esempio, infezione da H. pylori. Quindi la diagnosi è fondamentale e la si può fare
solo attraverso una biopsia. Perché bisogna capire se si tratta di una lesione ancora nella fase non tumorale o francamente
tumorale. Fortunatamente a livello della ghiandola lacrimale si parla quasi sempre di linfomi tipo MALT, dunque a
bassa aggressività, però i protocolli internazionali prevedono che si faccia comunque la stadiazione completa.

o Lesioni epiteliali
L’altra categoria invece, quella delle lesioni epiteliali, è più problematica: la diagnosi deve essere precisa perché è uno
di quei casi dell’oculistica in cui l’intervento può portare a morte del paziente. Esistono due forme principali:
1) Adenoma pleomorfo (o tumore misto della ghiandola lacrimale)
È un tumore lento, dotato di pseudocapsula, inesorabilmente progressivo e aggressivo; deforma le ossa della
cavità perché col tempo produce una sorta di escavazione delle ossa della cavità orbitaria senza però
infiltrazione. La cosa più importante è che non va eseguita la biopsia: queste lesioni vanno asportate in toto
senza rompere la capsula → esiste la possibilità che questo tumore si trasformi in una forma maligna, cioè
diventi un adenocarcinoma e sembra che la rottura della capsula sia uno dei fattori favorenti. Oltre al fatto che
la rottura della capsula può essere causa di recidive che quindi necessitano di secondi interventi.

2) Carcinoma adenoideo cistico: Il più frequente ma ne esistono diversi tipi. Può ritrovarsi anche a livello
così come il tumore di Warthin si può trovare nelle lacrimali (tutti i tumori delle lacrimali si possono ritrovare
nelle salivari). Ha una storia di mesi, meno lenta dell’adenoma pleomorfo, che ha una storia di anni. Questa
forma necessita di biopsia; tuttavia la nostra scuola, laddove la diagnostica strumentale (risonanza, Tac) ci dice
che la lesione può essere asportata in toto, preferisce sempre eseguire l’asportazione in toto, che poi in fondo è
equivalente ad una biopsia escissionale.
Per fare la diagnosi differenziale con l’adenoma si potrebbe guardare una vecchia foto e notare una asimmetria
dell’occhio (spostato in basso e medialmente) che, se presente da molti anni, potrebbe significare adenoma
pleomorfo o verso altre lesioni come la cisti dermoide. Se invece la foto era normale, significa che c’è un
qualcosa che sta crescendo da poco tempo. Per quanto riguarda il dolore, le forme oncologiche, consentendo
un adattamento, non permettono di provocare dolore. Le forme infiammatorie, invece, modificandosi
acutamente determinano dolore più facilmente.
Biopsia incisionale → in anestesia locale, con un piccolo taglio si preleva un pezzetto della lesione e basta.
Biopsia escissionale → asportazione di gran parte della massa; a seguito poi della diagnosi istologica, e quindi solo a
posteriori, sapremo se è stata realmente una biopsia escissionale o una rimozione terapeutica.

Quindi fondamentalmente l’approccio è: biopsia incisionale per le lesioni che voi pensate, sulla base del sospetto clinico,
siano linfoproliferative, e biopsia escissionale per le lesioni epiteliali, sempre sospettate sulla base della storia e
dell’imaging.

Terapia: L’intervento che si fa è l’orbitotomia, che può essere osteoplastica o non osteoplastica, a seconda che per
entrare si pratichi o meno uno sportello osseo:
a) Si rimuove la massa e si pratica eventualmente una pulizia dello sportello.
b) In seguito si può o non si può rimettere a posto il segmento osseo praticando un’osteosintesi.
Ovviamente sarebbe opportuno chiarire se si tratta di una lesione benigna o maligna al momento di decidere se
ricostruire o meno lo sportello osseo.
Tenete sempre presente che le lesioni epiteliali delle ghiandole lacrimali diffondo per via nervosa, non per via
ematica. Le metastasi avvengono attraverso i nervi e attraverso i canali assiali dell’osso: il riposizionamento dell’osso
può essere un problema perché rischia di riportare sul sito alcune cellule che si trovano già nella midollare. Purtroppo
ci sono delle condizioni in cui è necessario fare una chirurgia radicale e quindi una exenteratio orbitae.

Il tipo di tecnica da utilizzare una volta raggiunta la cavità orbitaria tramite l’orbitotomia, dipende dal tipo di lesione:
Þ Evisceratio → si toglie il cappelletto del bulbo, che corrisponde al segmento anteriore, cioè si levano la cornea,
l’iride e il cristallino mentre si lascia la sclera attaccata ai muscoli. In passato una volta svuotato l’occhio si lasciava
vuoto e chiaramente diventata molto piccolo. Oggi invece si tende a riempire di nuovo questo vuoto con una
chirurgia ricostruttiva che consiste nel mettere delle biglie di idrossiapatite di opportuna dimensione e poi suturare
lungo la sclera in modo da avere una ricostituzione di questa “pallina” che continua a muoversi perché la sclera è
ancora attaccata ai muscoli. Quindi la lente a contatto, la protesi che metterete sopra, colorata, fatta artigianalmente
e praticamente indistinguibile dall’occhio normale, avrà anche la sua motilità. N.B. Non si fanno evisceratio per i
tumori. Si fanno o per i glaucomi vascolari o per le endo-oftalmiti o per i traumi (es. scoppi del bulbo dovuti a
petardi).
Þ Exenteratio orbitae: pulizia di tutta la cavità orbitaria.
Þ Enucleazione: rimozione completa del bulbo oculare. I muscoli sono mantenuti intatti. Possono essere osteoplastiche
o non osteoplastiche a seconda che per accedere si pratichi o meno uno sportello osseo. Il risultato estetico
dell’enucleazione è invece meno bello.

Esiste un caso in cui si arriva all’asportazione delle vie lacrimali di efflusso e/o della ghiandola lacrimale?
L’asportazione della ghiandola lacrimale viene fatta in tutti i casi in cui può essere pericolosa per la vista o per la vita.
Ad es. una gh. Lacrimale ripetutamente infiammata può tramutarsi in un’infiammazione dei tessuti orbitari e
danneggiare la vista. Se c’è un tumore, questo va asportato, sia che esso sia benigno (per le deformità) sia che sia
maligno (associato a radioterapia)à Il vuoto lasciato dalla ghiandola viene sostituito da tessuto di granulazione e si
ristabilisce la normale simmetria del volto alterata dal tumore. Si cerca di avere un approccio conservativo e, dove
possibile, associare un multitrattamento (chemio, radio, chirurgia).
Se una ghiandola viene levata, viene a mancare la parte acquosa del film: a volte le accessorie riesco a sopperire a
questa mancanza, mentre nella maggioranza dei casi si devono usare dei sostituti sotto forma di collirio. Esistono molti
tipi di lacrime artificiali e si sta cercando di trovare un prodotto che evapori poco, migliorando la stabilizzazione e
l’adesione sull’occhio. Di solito sono costituiti da carbossimetilcellulosa e acido ialuronico. Quando parliamo, invece,
del sacco lacrimale, che può essere anch’esso sede di tumori, in quel caso, deve essere asportato. Quest’intervento di
dacriocistectomia viene eseguito anche in persone molto defedate, che prendono anticoagulanti. Come conseguenza si
avrà molta lacrimazione (ma poiché si fa spesso in pz. anziani che già lacrimano poco, non ci dovrebbero essere
problemi).
VIE LACRIMALI DI EFFLUSSO
Le vie lacrimali di efflusso si trovano nell’angolo opposto a quello lacrimale, cioè si trovano alla radice del naso e
comunicano con le cavità nasali. NB: Le patologie che interessano queste vie sono anche di interesse
otorinolaringoiatrico perché il deflusso avviene nel naso. I turbinati sono l’ultima stazione e se si ipertrofizzano (come
nel raffreddore) avremo un problema lacrimale. Stessa cosa si può avere nella sinusite.
Sono costituite da una porzione pre-saccale e da una porzione post-saccale a seconda se facciamo riferimento alle
strutture che si ritrovano prima del sacco lacrimale o dopo di esso.
Vie Lacrimali pre-saccali Vie lacrimali post-saccali
1) Puntini lacrimali 1) Sacco lacrimale
2) Canalicoli lacrimali (uno superiore ed uno inferiore 2) Dotto naso-lacrimale, che è in diretta comunicazione con
che vanno poi a sboccare, singolarmente o dopo le cavità nasali nella cui mucosa si va a continuare (meato
essersi riuniti in un unico condotto comune, all’interno inferiore).
del sacco lacrimale)

Clinica: Il sintomo più frequente delle alterazioni a carico delle vie lacrimali di efflusso è la lacrimazione, meglio
definita come epifora:
- Può essere chiara, cioè vediamo solo acqua, oppure può essere sporca, nel senso che c’è muco.
1) Chiara → le lacrime non entrano proprio nel sistema di efflusso e cadono subito sulla guancia
diventando evidenti. In questo caso si parla di una patologia della via alta di efflusso, pre-saccale.
2) Sporca → le lacrime entrano nel sistema e vi rimangono senza poter defluire verso il naso, diventando
infette: questo lo si vede quando premendo sul sacchetto lacrimale fuoriesce pus. In questo caso si parla
di una patologia della via bassa di efflusso, post-saccale.
- La maggior parte delle lacrime evapora e solo una piccola parte va a finire nelle vie lacrimali di efflusso.
Questo spiega perché alcune persone che hanno un problema di deflusso non sempre manifestano la patologia;

Nb. Il fatto che si abbia un’epifora non vuol dire di per sè che le vie lacrimali siano occluse, possono essere anche solo
stenotiche. Inoltre possono esserci anche altre causa di epifora:
- Patologie produttive: stato d’animo, congiuntivite, infiammazione, corpo estraneo.
- Difetto della pompa di aspirazione lacrimale (orbicolare che preme sul sacco durante le manovre di
ammiccamento)
1) Per capire che c’è un problema alla pompa si mette una siringa con della soluzione fisiologica, la si inietta
nel sistema e il paziente dice “la sento in gola”. Voi sapete che il canale nasolacrimale va a finire nel meato
inferiore e poi le lacrime vengono inghiottite. Fate un piccolo esperimento: mettetevi un collirio salato e
dopo qualche minuto dovreste sentire il sapore salato in bocca. Se non lo avvertite consultate un medico.
Se si sente il sapore salato significa che le vie sono anatomicamente libere ma non si sa se sono
funzionalmente valide (la funzione di aspirazione potrebbe essere compromessa), per questo si fa il Johns
test (vedi dopo). È un test pratico e vi fa capire anche la velocità dello smistamento delle lacrime. Questo
è un test soggettivo.
2) Esiste perciò anche un metodo obiettivo: Johns test.
Si instillano nel fornice congiuntivale delle gocce di fluoresceina sterile che si dovrebbe ritrovare nel naso
→ contemporaneamente si introduce un cotton fioc nel naso e dopo circa 2 min si valuta alla luce di Wood
se sono presenti tracce di colorante sul cotton fioc.
3) Sondaggio di tutte le vie
lacrimali. Si usano delle sonde, le c. sondaggio nasolacrimale
sonde di Bowman, di diametro
crescente (si parte da tre zeri e si
arriva ad 1 che è la più spessa)
che servono sia a scopo
diagnostico sia a scopo
terapeutico: le si inserisce nel
sistema (non è una manovra
banale) fino a toccare il
pavimento nasale e si vede
laddove c’è l’ostacolo (stenosi)
→ se l’ostacolo è piccolo lo si può dilatare con delle sonde man mano sempre più spesse, ed è quello che
si fa nel neonato. Il sondaggio delle vie lacrimali si fa nel bambino con dacriocistite, generalmente prima
dei 6 mesi d’età; superato l’anno di età allora il sondaggio può essere non più sufficiente e quindi potrebbe
essere necessaria anche un’intubazione delle vie lacrimali stesse. Dai 4 anni in poi si tratta come un adulto,
con una dacriocistorinostomia, con lo svantaggio che, in giovane età, l’osso è ancora malleabile e più
probabile che il foro osseo vada incontro a stenosi.
PATOLOGIE DELLE VIE LACRIMALI
TRAUMI
L’integrità delle vie lacrimali andrebbe sempre indagata ogni volta che c’è una frattura orbitaria od una lesione delle
palpebre o anche quando c’è stata una chirurgia del naso per fini estetici, perché trovandosi il dotto all’interno della
cavità nasale ci può essere una eventuale lesione. Quando il pz arriva in pronto soccorso con le vie lacrimali tranciate
bisogna immediatamente ricostruirle, è dunque un’urgenza, perché se si innesca il processo di cicatrizzazione non è più
possibile recuperare. Spesso se il pz è politraumatizzato si tende a sottovalutare le vie lacrimali e quindi il soggetto
arriva dall’oculista quasi sempre quando ormai è troppo tardi. Bisogna intubare il dotto, il canalicolo e poi suturarlo con
il canalicolo intubato (se non facciamo così, chiudiamo il canalicolo). Bisognerebbe avere sempre un’oculista in equipe
per le emergenze.

LESIONI INFIAMMATORIE
Si distinguono le lesioni infiammatorie che coinvolgono le vie lacrimali pre-saccali da quelle che convolgono le vie
post-saccali. Le occlusioni alte interessano: chiusuta punticini, canalicoli, canalicolo comune; quelle basse: chiusura del
sacco, dotto naso-lacrimale e tubrinati.
• Classiche infiammazioni delle vie pre-saccali sono le CANALICOLITI INFETTIVE. La canalicolite è
un’infiammazione dei dotti lacrimali, i quali cominciano a livello della caruncola, divergendo poi in uno superiore,
uno inferiore ed infine uno comune arrivando a livello del sacco lacrimale ( Il canalicolo inferiore partecipa
all’escrezione del liquido lacrimale al 70%, quello inferiore al 30% ). Si caratterizzano per un’epifora persistente
dovuta o a ostruzione diretta o ad una eversione secondaria al livello del puntino lacrimale con fuoriuscita di pus
alla digitopressione della zona sacculare. Oltre alla lacrimazione: impedimento della visione soprattutto da vicino,
dolore al canto interno ed eventuale dilatazione dei punticini lacrimali.
Classificazione:
- Le forme acute possono essere batteriche (Staphilococco, Streptococco, Pneumococco), virali (da Herpes
simplex o zoster) ma anche da radioterapia, chemioterapia o possono essere dovute all’utilizzo di colliri
antiglaucomatosi. Queste forme devono essere risolte subito, in quanto possono autorisolversi con esiti
cicatriziali e conseguente stenosi delle vie di efflusso lacrimale.
- Le forme croniche possono derivare direttamente da una cronicizzazione delle forme acute, oppure possono
essere primarie e dovute a loro volta a patologie come la sarcoidosi, la vasculite di Wegener o il morbo di
Crohn. Sono più frequenti nelle donne e si caratterizzano per una tumefazione dolente della regione del sacco
lacrimale → si sviluppa, infatti, a questo livello, il flemmone (un ascesso).
Tipologia:
o CANALICOLITI NON SUPPURATE O FOLLICOLARI:
§ congiuntivite angolare da germi banali
§ Terapia antibiotica
o CANALICOLITI SUPPURATE
§ causata da germi banali (stafilococchi, streptococchi…)
§ digitopressione: rigurgito di pus
§ Terapia: drenaggio e lavaggi ripetuti con soluzioni antibiotiche
o CANALICOLITI CON CONCREZIONI :
§ inizialmente lacrimazione e prurito, poi tumefazione non dolente
§ digitopressione: materiale muco-purulento
§ germi: batteri (Actinomices israelii, fusobatteri, enterobatteri, micobatteri…); spirochete
(sifilide); funghi (aspergillus niger, candida albicans,…)
§ interessa i tessuti sottoepiteliali
§ Terapia: asportazione concrezioni mediante incisione canalino + antibiotici
Eziologia:
o CANALICOLITI VIRALI:
§ stenosi: interessa l’epitelio canalicolare
§ Cause: vaccini, varicella, parotite, mononucleosi, herpes simplex…
§ Terapia: prevenzione. Cicatrizzazione lasciando in loco tubicino per 1-2 sett; se ostruzione è
diffusa o marcata: tubicino di Jones

o CANALICOLITI DA CHLAMIDIA TRACHOMATIS:à Occorre soffermarsi su quella da Chlamidia


Trachomatis che rappresenta circa 30% di tutte le canalicoliti ed è per questo che spesso si cerca, con un
tampone, un test all’immunofluorescenza diretta per gli antigeni del batterio.
§ infezione oculogenitale ipertrofia della mucosa stenosi cicatriziale
§ sospetto confermato da esame microbiologico
§ Terapia: antibiotici specifici

o CANALICOLITI ALLERGICHE:
§ congiuntivite allergica prurito canto interno sfregamento aumentato contatto con
allergene con mucosa canalino ingorgo vascolare,edema stenosi

o CANALICOLITI IATROGENE:
§ farmaci(vidarabina, acyclovir, demecarium, fisostigmina, neostigmina,epinefrina…) radioterapia,
chemioterapia con 5-fu, reazione infiammatoria ai tubi al silicone

o CANALICOLITI IDIOPATICHE: solo lacrimazione persistente senza altri sintomi. Anche quelle iatrogene
sono da tenere in considerazione, come per i pazienti sottoposti a radioterapia, determinando problemi alle
ghiandole lacrimali, soprattutto in passato, spesso si intubavano preventivamente i canalicoli per evitarne
occlusioni da canalicolite.

• Le infiammazioni delle vie post-saccali, invece, si identificano prevalentemente con le DACRIOCISTITI perché
coinvolgono il sacco lacrimale e il dotto nasolacrimale. Quando le dacriocistiti diventano croniche possono dare
anch’esse il cosiddetto flemmone, cioè l’ascesso, che può anche fistolizzare all’esterno. Bisogna agire prima che si
formi la fistola e non aspettare che si arrivi al flemmone. Il flemmone dovrebbe sparire dallla medicina odierna
perché molto prima si dovrebbe fare la diagnosi grazie alla spremitura del sacco e alla evidente fuoriuscita di
muco/pus. Quindi quando si fa la diagnosi di dacriocistite c’è l’indicazione all’intervento chirurgico. Particolare
attenzione va posta al flemmone delle vie lacrimali di deflusso, che necessariamente richiede ospedalizzazione dal
momento che, tramite la vena angolare, l’infezione può facilmente progredire fino al seno cavernoso, portando a
infiammazione dello stesso ed exitus del paziente. È pertanto una delle poche condizioni patologiche delle vie
lacrimali che richiede ospedalizzazione. Qual è il segno clinico che ci dà informazioni di un processo che sta
evolvendo negativamente ? La febbre. È necessario intervenire con terapia antibiotica ad ampio spettro d’urgenza
e drenaggio chirurgico del flemmone per via anteriore.
Epidemiologia: In base all’età si distingue una forma dell’adulto e una del neonato.
§ Per quanto riguarda quella dell’adulto una volta era una patologia tipica dei contadini. Oggi accanto a questa
quota che continua ad esserci vediamo arrivare professionisti di qualsiasi genere, questo perché esiste un
aumento della frequenza delle sinusiti croniche che possono causare chiusura del dotto lacrimale dal basso,
a livello del turbinato inferiore, e siccome la mucosa del naso continua nella mucosa del dotto e quindi del
sacco lacrimale, si può avere il co- interessamento di queste strutture. Nell’adulto è più frequente nelle
donne che nell’uomo, varie sono le teorie a riguardo : teoria anatomica, dal momento che il dotto nelle
donne è anatomicamente più stretto di quello dell’uomo, nonché la teoria ormonale, secondo cui sono i
diversi livelli ormonali a determinare la maggiore predisposizione della donna allo sviluppo della
dacriocistite.
§ Quella del neonato invece si caratterizza spesso per la unilateralità e per il fatto di essere talvolta
accompagnata ad altre patologie malformative sistemiche del neonato. Nel neonato generalmente è una
condizione da imperforazione della valvola di Hasner, quindi un’occlusione meccanica delle vie lacrimali
e la scelta terapeutica sarà meccanica, con il sondaggio della pervietà delle vie lacrimali, così da permettere
il deflusso del liquido lacrimale. Dal punto di vista clinico l’epifora dalla nascita è persistente o
intermittente e vi si associa una secrezione mucopurulenta alla digitopressione.
Quasi tutti i bambini alla nascita hanno gli occhi lacrimosi → dopo qualche giorno queste lacrimucce
devono finire. Se continuano ad avere gli occhi lacrimosi bisogna sospettare che ci sia dacriocistite. Questa
dacriocistite è dovuta al fatto che una membranella che si trova nel sacco lacrimale e che normalmente con
il primo vagito si rompe, non si rompe e quindi le lacrime ristagnano. All’inizio la lacrima è pulita, poi gli
occhi diventano cisposi e quando sono così si deve mandare il bambino dall’oculista.
Eziologia:

MICROBIOLOGIA:

DACRIOCISTITE ACUTA: DACRIOCISTITE CRONICA:


• Staphilococcus Aureus…………………….32% • Stafilococchi……………………………….61%
• Staphilococcus Epidermidis……………….32% • Streptococchi ……………………………..19%
• Streptococcus pneumonie…………………10% • Bastoncelli gram+…………………………12%
• Haemophilus Influenzae………………….…6% • Haemophilus ………..………………….…..7%
• Coliformi………………………………………3% • Enterobatteri ..……………………………..12%
• Flora cutanea mista………………….………4% • Altri gram - ………………………….……….6%
• Clostridium Perfrigens………………….……3% • Propionebacterium………………….……..12%
• Nessun agente………………………….…..16% • Altri anaerobi………………………….……..3%

Diagnosi: In caso di occlusione delle vie lacrimali si può indagare con metodologia statica e dinamica: vedi test di
Johns e altri dopo. È stata proposta, inoltre, la dacriocistografia, rinoscopia, TC.

Terapia:

§ Massaggio → (la gran parte dei neonati risolve la malformazione entro l’anno d’età con i soli massaggi)
§ Terapia medica
§ Sondaggio → ha trovato la sua indicazione storica proprio come presidio per curare la dacriocistite nel
neonato: con il sondino si rompe questa membrana e il problema è risolto.Tuttavia è importante che il
sondaggio sia fatto entro il primo anno di vita perché dopo questo tempo le possibilità di successo si
abbattono drasticamente.
§ Intubazione delle vie lacrimali → inserimento nelle vie lacrimali di un filo in silicone che viene lasciato in
situ per un anno. Il bambino può fare tutto, il filo a stento si vede, il nodo sta nel naso. Tuttavia, a differenza
del sondaggio, l’intubazione richiedere l’anestesia generale e capite bene che nel bambino questa è una
grossa responsabilità. Esiste una discussione sui tempi perché talvolta la dacriocistite regredisce
spontaneamente. La nostra scuola comunque è per un intervento quanto più precoce possibile, anche perché
se entro i 3 mesi la patologia non regredisce è improbabile che guarisca poi in seguito.
§ Intervento chirurgico → La dacriocistite nell’adulto, o la dacriocistite nel bambino che non è guarita
nonostante l’intubazione, richiede l’intervento chirurgico. Nell’adulto bisognerebbe eseguire l’intervento
quanto prima mentre nel bambino bisogna attendere almeno il quarto/quinto anno di età in quanto solo
allora l’anatomia canalicolare sarà ben sviluppata. L’intervento è la dacrio-cisto-rino-stomia (DCR). Si fa
una breccia ossea a lato del naso abbastanza grande, si aprono la mucosa del naso e la mucosa del sacco e
si abboccano i due lembi in maniera tale da creare una anastomosi. Le lacrime invece di scendere nel canale
lacrimale vanno direttamente in cavità nasale. Questo procedimento funziona anche nei casi in cui si alterata
la pompa. In questo modo le lacrime invece di essere convogliate nel sacco dalla pompa aspirante vengono
convogliate mediante l’inspirazione. Spesso non lo si fa perché si pensa non sia corretto fare un intervento
invasivo ad un paziente con le vie lacrimali pervie. Tuttavia ciò che i colleghi non capiscono è che al
paziente non interessa la pervietà delle vie lacrimali ma la lacrimazione. Per molte professioni, ad esempio
quelle che richiedono di lavorare continuamente al computer, lacrimare continuamente costituisce un
grosso handicap.
Quando invece le vie lacrimali sono state completamente abolite (per esempio a seguito di un’asportazione
di un basalioma dell’angolo interno), c’è la possibilità di inserire delle protesi di materiale biocompatibile.
Purtroppo però queste protesi devono essere portate a permanenza e non sempre sono ben sopportabili e
agevoli per il paziente. Il problema è che non sono dentro l’organismo, come tante protesi di materiale
biocompatibile che esistono, ma sono all’esterno. C’è una parte che sta dentro e una parte che è esterna alla
congiuntiva e viene mantenuta da dei collaretti che drenano, i quali collaretti possono infettarsi, spostarsi,
richiedere sostituzioni ecc. Rappresentano quindi l’ultima spiaggia. Ci sono stati dei tentativi di ricreare le
vie lacrimali utilizzando la safena o la mucosa buccale ma fino ad ora non hanno avuto grande successo
perché il problema di questi tessuti è che collassano.
Per correttezza vi dico che esiste oltre alla DCR la possibilità di intervenire per via endoscopica dal naso. Questa
strada è preferita dagli otorini ma non dagli oculisti. Per noi oculisti la via dall’esterno è migliore perché
§ Ci consente di avere un quadro più ampio
§ Possiamo fare un’anastomosi più solida
§ La via endoscopica non ha la stessa percentuale di successo della via ab esterno
§ L’intervento ab esterno è più rapido
§ L’intervento endoscopico difficilmente può essere fatto in sola anestesia locale
§ La cicatrice lasciata dall’intervento ab esterno è minima
TUMORI
Il segno più frequente del tumore sono le lacrime ematiche, quindi la fuoriuscita di sangue con le lacrime ed
eventualmente anche dal naso. I tumori più frequenti del sacco sono i linfomi mentre ci sono rari casi di carcinomi e
melanomi molto aggressivi.
Quando le vie lacrimali sono state completamente abolite (per esempio a seguito di un’asportazione di un basalioma
dell’angolo interno), c’è la possibilità di inserire delle protesi di materiale biocompatibile. Purtroppo però queste protesi
devono essere portate a permanenza e non sempre sono ben sopportabili e agevoli per il paziente. Il problema è che non
sono dentro l’organismo, come tante protesi di materiale biocompatibile che esistono, ma sono all’esterno. C’è una
parte che sta dentro e una parte che è esterna alla congiuntiva e viene mantenuta da dei collaretti che drenano, i quali
collaretti possono infettarsi, spostarsi, richiedere sostituzioni ecc. Rappresentano quindi l’ultima spiaggia. Ci sono stati
dei tentativi di ricreare le vie lacrimali utilizzando la safena o la mucosa buccale ma fino ad ora non hanno avuto grande
successo perché il problema di questi tessuti è che collassano.
TOSSINA BOTULINICA:

Introduzione: L’uso medico della tossina botulinica nasce in campo oftalmologico per la terapia degli
strabismi in particolare per quelli di tipo orizzontale, intorno agli anni 70. Lo strabismo è una patologia in cui
l’occhio devia orizzontalmente o verticalmente, correggibile da un punto di vista chirurgico agendo sulla
lunghezza del muscolo: tagliandolo e ancorandolo in punti differenti della sclera. La terapia chirurgica agisce
sulla lunghezza del muscolo, la terapia con tossina botulinica, invece, agisce sulla forza del muscolo.
Considerando ad es. uno strabismo orizzontale in cui i 2 retti, mediale e laterale, che spostano il globo verso
l’esterno e verso l’interno, ( sono muscoli antagonisti, cioè se uno si contrae l’altro si rilascia) non funzionano
in maniera corretta. Se uno è eccessivamente contratto, “tira troppo”, e quindi l’occhio devia con conseguenze
soprattutto se nei bambini e se monoculare (vedi soppressione dell’ambliopia), creando problemi allo sviluppo
e alla funzione di quell’occhio. Pertanto si ricercarono una serie di sostanze che potessero indebolire il
muscolo iperfunzionante, anziché rimetterlo in asse tramite la chirurgia: Il Dott. Scott di San Francisco saggiò
per primo nel m. extraoculare iperfunzionante quantità estremamente diluite di tossina botulinica, sia su
volontari che su scimmie.

Tossina botulinica: E’ una tossina prodotta dal Clostridium Botulinum, batterio che di per sé non è tossico,
infatti è un batterio ubiquitario che noi ingeriamo continuamente con l’alimentazione e non succede nulla.
Produce spore, forme quiescenti che si formano in condizioni di anaerobiosi e che sono tra i più potenti veleni
conosciutià Le spore sono estremamente resistenti al calore e le conserve mal sterilizzate possono mantenere
in vita le spore che producono tossina botulinica per cui quando si mangia un alimento contaminato si va
incontro ad un avvelenamento che può portare anche alla morte.

Il meccanismo d’azione consiste nel blocco al livello delle terminazioni colinergiche del rilascio di achà ne
deriva una paralisi muscolare reversibile. Si conoscono 7-8 tipi di tossina botulinica indicate con le lettere
dell’alfabeto, sono tutte delle catene polipeptidiche, differenti per proprietà antigeniche e per proteine bersaglio
vescicolari: sintaxina, sinaptobrevina ecc altre proteine vescicolari responsabili del rilascio di ach. Quindi
quando iniettiamo la tossina botulinica in un muscolo iperfunzionante con un meccanismo di endocitosi una
delle 2 catene della tossina penetra all’interno, lisa uno o più proteine di questo complesso e la trasmissione
dell’impulso si blocca, il muscolo iperfunzionante si blocca, l’occhio tornerà in asse, agendo così solo sulla
forza del muscolo e non sulla lunghezza.

Parlare di un trattamento per lo strabismo però è troppo generico, ne esistono vari tipi: orizzontale, verticale,
a piccolo angolo, a angolo elevato ecc. diciamo che per alcuni tipi di strabismo prevalentemente orizzontale e
a piccolo angolo, si può utilizzare la tossina botulinica, mentre per i verticali è molto più difficile raggiungere
il muscolo per la conformazione anatomica.

Tossina VS intervento: L’intervento chirurgico è definitivo, ma può essere anche ipo o ipercorrettivo, ed è
irreversibile a differenza della tossina. Nei pz giovani il cervello è estremamente plastico per cui rimettendo
l’occhio in asse, per forme lievi,, si impara a tenerlo dritto, mentre negli adulti terminata l’azione della tossina
l’occhio potrebbe non tornare dritto o con leggere e piccole deviazioni, oppure riuscendo però a tenerlo dritto
con un po’ di volontà.

In campo strabologico la tossina botulinica, oltre ad essere una alternativa alla chirurgia per alcuni tipi di
strabismo, è stata utilizzata inseguito ad interventi chirurgici, per esempio in pz ipercorretti oppure per una
residua deviazione, perché l’intervento chirurgico per quanto fine e preciso è comunque irreversibile e un po’
grossolano perché si agisce sulla lunghezza del muscolo e in questi casi la tossina viene considerata come la
rifinitura, reversibile.

Indicazioni: Le indicazioni si sono poi allargate ad altre patologie: in campo oftalmologico ci sono 2 patologie
neuroftalmologiche e sono il blefarospasmo e l’emispasmo.
• Il BLEFAROSPASMO è una distonia focale. Le distonie sono patologie caratterizzate da spasmi
involontari di uno o più muscoli, di uno o più distretti muscolari; una distonia è focale quando riguarda
un solo muscolo. Nel blefarospasmo e nella distonia focale il muscolo ipercontratto ed iperfunzionante
è l’orbicolare delle palpebre, che è quello sfintere che circonda l’occhio responsabile della chiusura
delle palpebre, innervato dal VII. Il blefarospasmo è una patologia estremamente rara ed invalidante
nelle forme gravi, in cui il paziente apre e chiude continuamente gli occhi, e che nelle forme gravi, in
cui lo spasmo si arresta pochissimo, il soggetto viene considerato funzionalmente cieco. Per tale
patologia la terapia con tossina botulinica è stata ed è tutt’oggi miracolosa. In passato si imbottivano i
pz con farmaci psichiatrici con dosaggi anche elevati ma con risultati scarsi. E’ certamente un disturbo
dei nervi con ipereccitabilità ma ciò non giustificava quella terapia, ma che può essere di supporto nel
caso in cui ci siano delle forme ansioso-depressive. Stiamo parlando di blefarospasmo essenziale per
il quale si ipotizzano ma non si conoscono le cause; poi ci possono essere forme secondarie a farmaci
neurolettici, a traumi, a tumori di alcune zone cerebrali. Invece per le distonie ci sono degli studi
geneticià sono stati identificati e caratterizzati alcuni geni.
Si suppone che per il blefarospasmo ci sia uno squilibrio tra circuiti cerebrali eccitatori ed inibitori,
però ad oggi siamo ancora lontani dall’identificare una causa certa. Per cui la terapia del blefarospasmo
è una terapia sintomatica. Si praticavano in passato miomectomie (si estirpava il mm orbicolare) e
neurectomie (si estirpavano fibre del VII) in un caso e nell’altro i risultati erano pessimi, per cui
l’avvento in campo medico della tossina botulinica è stato veramente una rivoluzione. Questi pz non
potevano guidare, leggere, attraversare la strada, guardare la TV, cucinare ecc. Ovviamente la terapia
è reversibile, per cui la riduzione dello spasmo dura in media 3-4-5 mesi, ma è comunque un risultato
straordinario.

• Un’altra patologia che spesso veniva confusa dagli oftalmologici con il blefarospasmo è
l’EMISPASMO, che è lo spasmo di un solo occhio. Il blefarospasmo è di solito bilaterale può insorgere
in un solo occhio e poi coinvolgere anche l’altro; l’emispasmo è e resta monolaterale, può coinvolgere
anche gli altri muscoli del volto (sempre di un lato). Non è una distonia focale ma la causa più probabile
è un conflitto vascolare tra un vaso e un nervo, che in condizioni fisiologiche viaggiano senza
interagire, altrimenti c’è uno stimolo irritativo a carico del nervo e da qui lo spasmo. Anche per
l’emispasmo la tossina botulinica dà buoni risultati ma c’è anche la possibilità di proporre al pz un
intervento chirurgico, che è abbastanza complesso perché è praticato in una zona che è la rocca petrosa
del temporale, mettendo un isolante tra vaso e nervo (facciale) e nella maggior parte dei casi è
risolutivo, ma molti pz preferiscono la terapia botulinica 2 volte all’anno piuttosto che l’intervento.

• Un’altra patologia oftalmologica in cui può essere usata la tossina è il NISTAGMO, esistono varie
forme di nistagmo in cui vi è un’iperattivazione di tutti i muscoli ma in particolare RL e RM: esempio
di un bambino con apparente deficit dell’attenzione in realtà incapace di fissare lo sguardo sulla
lavagna e trattato con tossina botulinica nei 2 muscoli RL e RM. Non per tutte le forme di nistagmo
si sono avuti risultati soddisfacenti.

Altre applicazioni:

• PARALISI CEREBRALI INFANTILI, nelle quali i bambini non possono effettuare terapie
riabilitative poiché hanno delle contrazioni continue degli arti, per cui si fanno delle iniezioni continue
della coscia e della gamba, che gli consente di stare in piedi e fare esercizi di tipo riabilitativo,

• Un altro campo un po’ controverso è quello logopedico nelle DISFONIE SPASMODICHE, in cui i
muscoli laringei sono estremamente contratti e si interviene con delle iniezioni a livello delle corde
vocali
• E’ stata utilizzata in alcune forme di CEFALEA, nelle quali si sfrutta il meccanismo di blocco del
rilascio di ach, riducendo lo spasmo e il dolore ad esso associato, inoltre inibisce anche la liberazione
di altri mediatori coinvolti.

Modalità d’uso: In campo oftalmologico, le iniezioni vengono effettuate con siringhe simili a quelle
dell’insulina,senza anestesia per il m.orbicolare, in 3-4 punti del muscolo, in dosi 2000-2500 volte al di sotto
della Dose minima Letale. Si evita l’orbicolare nella parte alta perché se la tossina diffonde al m. elevatore
palpebrale ci sarà una ptosi palpebrale.

Esistono in commercio vari preparati, in campo oftalmologico si usa prevalentemente la tossina di tipo A, in
quello neurologico anche la tossina di tipo B.

Effetti collaterali:

• Effetti collaterali sistemici sono estremamente rari, per le dosi usate a livello oftalmologico,
• Effetti collaterali locali possono essere dovuti alla diffusione della tossina ad altri muscoli come
l’elevatore provocando ptosi palpebrale,

Si dice che non attraversa la BEE, tuttavia in alcuni studi sperimentali è stato visto un trasporto assonale
retrogrado al midollo ma per le dosi usate in ambito oftalmologico, non si sono mai osservati effetti di questo
tipo, forse in ambito neurologico dove veniva usata per torcicolli spasmodici e in quel caso i muscoli sono più
grandi.

Valutazione del trattamento:

• Nel caso di pz con strabismo possiamo valutare in maniera oggettiva la riduzione dell’angolo di
deviazione.
• Nel caso del blefarospasmo non abbiamo una valutazione oggettiva della riduzione dello spasmo ma
solo un riscontro soggettivo del pz, valutabile attraverso questionari, riguardanti anche le attività
quotidiane che è in grado di compiere per es. attraversare la strada ecc.
• I soggetti con bassi livelli socioeconomici di solito hanno una risposta migliore in termini di
accettazione dell’efficacia terapeutica del trattamento rispetto a quelli con un elevato stile di vita, che
cercano la correzione completa del difetto.

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