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La bambina che non voleva nascere

La bambina fissava interessata la strana creatura che ballava nella stanza.


L’odore tipico della sala d’incubazione era quello di detersivo alla lavanda, ma da quando
l’uomo-gatto era entrato, tutti i profumi, le luci e i suoni artificiali erano stati assorbiti, mentre gli
stimoli naturali erano stati accentuai. C’era una strana puzza di corpi umani non ancora sviluppati, il
grigiore proveniente dalle finestre illuminava la stanza solo in parte e l’unico rumore era quello dei
tonfi dell’uomo-gatto che ricadeva a terra dopo ogni saltello.
La bambina non riusciva a smettere di guardarlo. La creatura si avvicinava al neonato per il quale
danzava, come se lo ascoltasse. Poi apriva la teca, lo sollevava e annuiva, e lo buttava nel suo sacco
rattoppato con i pon-pon che aveva usato durante l’esibizione.
Eccola, la creatura giungeva dalla bambina. La piccola già sapeva che cercava lei, anche se stava
ancora controllando un foglio stropicciato e guardava di qua e di là tra le teche. Aveva il muso di un
gatto ma gli mancava il pelo, cosicché sarebbe potuto essere scambiato per un uomo orribilmente
mutilato se chi lo guardava non si aspettava di vedere in vita sua un uomo-gatto. I bambini lo
vedevano perché non si aspettavano di non vederlo.
“Oh, eccoti qua!” I suoi occhi si illuminavano e le pupille si dilatavano visibilmente, diventando
circolari. Avanzava a balzi fino alla bambina e si sporgeva verso di lei, coprendo la luce proveniente
dalla finestra e facendole sentire chiaramente il suono profondo del proprio respiro.
Dopo averla fissata per un po’ sembrava soddisfatto. “Tocca a te, principessa! Vediamo cosa ho
qui per te…”
Frugava nel sacco rattoppato. Buffi suoni provenivano da quello, e i bambini ridacchiavano.
Nessuno piangeva.
“Uh! Marionette!”
Sopra alla bambina spuntavano tre personaggi. L’uomo-gatto in realtà aveva solo due braccia, ma
era molto molto bravo.
Erano tre bambole di pezza, di cui una stava in una piccola culla giocattolo. Le altre due erano un
uomo e una donna. Lui aveva per occhi dei centesimi, lei delle pasticche.
“Charles Duskien è stato cresciuto così, ti dico! Cosa puoi volere di più di una figlia che somiglia
a Duskien?”
“Chiara, no. Senti qua: ‘non c’è nulla di più inutile di un bambino. Perché il mondo è da divorare
oggi, abbiamo sbagliato se lasciamo avanzi per il domani’.”
“E chi sarebbe?”

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“Il tuo caro Charles! Vedo che lo conosci bene! La cresceremo come una Sofia, come sua
cugina…”
“Non ci provare neanche! Tutte le Sofia che conosco sono morte sotto ai quarant’anni!”
Dieci minuti dopo, la bambola di pezza che era stata nella culla aveva addosso un panno nero
stracciato, dei piercing ottenuti con la pinzatrice e una bandana viola.
La bambina già da un paio di scene scuoteva la testa come meglio poteva.
“Piccola cara” sussurrava riemergendo la faccia dell’uomo-gatto. Le bambole stavano affondando
sotto il campo visivo della bambina e lottavano per rimanere nel margine dell’esistenza, ma il loro
padrone le spingeva giù con crudele noncuranza.
“Hai il diritto di rinunciare quando vuoi, ma sarebbe una scelta saggia vedere prima come va a
finire la storia, non credi? Lì vicino ho preso un bambino, ma non prima che fosse venuto a
conoscenza della trama completa. Non mi sembra sensato che ci fermiamo così presto…”
La bambina non lo ascoltava e continuava a scuotere la testa. L’uomo-gatto tirava su il sacco con
una mano e con l’altra cercava di disfarsi dell’ultima bambola di pezza. Lei faceva strani suoni e
nuotava verso la finestra, e per un attimo sembrava avere la meglio sull’uomo-gatto. Lui però la
strattonò di colpo. La bambola finiva dentro, ma il sacco volava a terra. Ne uscivano profumi,
suoni, luci stroboscopiche e fiori, tantissimi fiori.
“Oh no! Oh no! Che disastro!”
L’uomo-gatto era velocissimo, saltellava di qua e di là, e molti fiori erano già nel sacco prima di
aver raggiunto terra. Poi però c’erano dei passi in corridoio. L’uomo-gatto aveva esaurito il suo
tempo: si avvicinava alla bambina e sussurrava.
“Mi dispiace, non oggi! Comunque tutti dovremmo avere un’occasione di rinunciare, quindi
tornerò presto! Se sarai ancora della stessa idea che non ne valga la pena, ti porterò via con me,
promesso.”
Poi correva, e mentre la porta si apriva saltava giù dalla finestra. D’un tratto la luce tornava,
qualche bambino piangeva e la fragranza alla lavanda tornava a penetrare nel cervello passando dal
naso.
Un infermiere si avvicinava alla bambina.
“Mi spiace, piccolina, ma stanno già litigando. Non sanno che nome metterti. E dire che ormai i
nomi propri sono così poco importanti, basterebbe una proposta che non venga da nessuno dei due,
ormai discutono solo per non darsi ragione. Ma io certo non posso…”
L’infermiere vedeva qualcosa per terra. Si chinava, e quando la bambina lo vedeva ricomparire
aveva in mano un fiore viola. Guardava la bambina, poi ancora il fiore. Era un infermiere furbo.

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“Resti tra noi, piccolina! Vado a dirgli che questo l’ho trovato sul vetro mentre lo fissavi. Non
voglio insegnarti a mentire, ma questa è a fin di bene. Torno subito!”
La bambina guardava la finestra.
Che sia per negligenza o per un imprevisto, da allora l’uomo-gatto non è più tornato a prenderla.

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Debito pagato

È bello. Sembra un tempio greco. È intelligente, simpatico, gentile. Prende ottimi voti e tutto gli
va bene, pensa la ragazza. Dev’esser fantastico essere lui.
Ma quanto è bella questa sera. Matt si costringe a interrompere il contatto visivo con Iris, ma
prima di guardare altrove lascia che i suoi occhi scorrano su di lei come la pioggia quella sera.
È tutta bagnata. Lo sono tutti e cinque, chissà dove sono gli altri. I posti su cui siedono sono di
pelle sintetica e luccicano per l’umidità. Le luci della discoteca vi si riflettono debolmente.
Oggi Iris sembra davvero gasata. L’abbiamo portata a tingersi i capelli di viola e le stanno
benissimo. Ha detto che doveva abbinarli con il vestito. Non voglio perderla d’occhio, so che non è
in lei e che dopo un picco così alto di gioia cadrà.
Tra qualche cocktail Matt dimenticherà i suoi buoni propositi e non sarà più in grado di formulare
pensieri elaborati, ma adesso proteggere Iris è davvero l’unico motivo per cui si trova qui. Il suo
sguardo nuota nella folla viva e fremente e si fa spazio a spinte per trovare gli altri.
Amanda è al bancone in fila. Ha trovato una ragazza vestita pure lei come Carla Ducher e si è
assicurata di farsi notare per non tenere solo per sé l’imbarazzo e la frustrazione. Le sembra di udire
uomini dietro di lei che fanno battute sulla Ducher e su come il suo tratto distintivo sia proprio
l’originalità. È invidiosa delle scarpe che ha comprato Iris, sono così colorate.
David sta ballando dietro a una ragazza bassa con un profumo chimico inebriante. Lei sembra
starci, o più che altro non lo respinge. Il ragazzo suppone che ciò possa essere solo perché è
intimidita. Sembra giovane ed è possibile che sia una delle prime volte che viene in discoteca.
David alza le spalle e continua sempre più deciso, lanciando solo qualche sguardo intorno ogni
tanto per assicurarsi che la ragazza non sia soccorsa da degli amici.
Claudio ha appena trovato Matt seduto al margine della sala. Gli mette un drink azzurro in mano.
Ne è venuto in possesso quando la ragazza con cui stava parlando si è zittita di colpo e si è
avvicinata a lui. Era pronto a ricambiare il bacio ma lei invece gli ha dato il cocktail prima di
correre verso il bagno, presa da dei conati.
Matt non pensava di iniziare a bere, ma ha sete. Claudio lo tira su e lui non oppone resistenza.
Non si sta divertendo molto, e dagli occhi dell’amico capisce che il sentimento è condiviso. Poi
nello sguardo di Claudio legge un’improvvisa preoccupazione. Ci mette un attimo a collegare la
cosa ai gridi arrabbiati provenienti dal bancone bar.
«Ma è Amanda?» Chiede Matt. Il volume nel locale è troppo alto e neanche lui sente ciò che ha
detto.

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«Sembra Amanda!» urla Claudio prima di incamminarsi. L’amico lo segue, torna a prendere il
drink e lo raggiunge di nuovo.
Su ogni muro del bagno c’è una citazione. Iris non conosce tutti i personaggi coinvolti.
Riguardano tutte il fatto che anche la mente più brillante abbia bisogno di svagarsi, con qualche
ricorrenza sul tema dell’uomo come animale e simili.
In effetti il frastuono proveniente da dietro l’ultima porta sembra voler dimostrare oltre ogni
dubbio che non siamo altro che bestie. Iris fa finta di niente. Mentre usa il gabinetto respira dalla
bocca perché l’odore è insopportabile. Se ne dimentica quando nella luce fioca nota le sue
bellissime scarpe, e sorride.
Una lacrima le riga la guancia.
Che palle. Voglio andare a dormire. Matt fa finta ma secondo me non si sta divertendo, se gli
chiedo di accompagnarmi coglierà l’occasione. Prima voglio bere ancora un po’. Ho paura che i
nuovi capelli attirino solo le ragazze.
Mentre esce nota uno specchio sulla parete sinistra. Non c’era prima. No, era solo la porta in
fondo che si apriva insieme alla sua. Ne esce una ragazza con i capelli castani e biondi, le braccia
magre e le occhiaie. Quindi faceva tutto quel rumore da sola? Meglio non indagare.
“Hey. Sei felice?”
“Sì sì, tranquilla.”
“Sembri aver pianto.”
“No.”
Iris lava le mani in fretta, perché sente che l’altra la sta fissando.
“Belle scarpe. E bel vestito. Io mi chiamo Ada.”
Ada ha girato la testa leggermente di lato per poter scambiare un bacio sulla guancia. Ma non
sbatte mai le palpebre? Sei felice? Che domanda fastidiosa. Hey, sei felice? Tutta colpa di quello
spot pubblicitario della città piena di scritte per quella bibita. E si salutavano così. Davvero
pessimo. Ormai non credo che riuscirò a mettermi a ballare. Però mi dispiace abbandonare gli
unici tre amici che ho.
“Mi dispiace ma credo che me ne andrò a casa adesso, scusami.”
“Si vedeva che c’era qualcosa che non andava.”
“Ciao.”
Il bagno scompare dietro Iris. Il soffitto della discoteca è pieno di orrendi tubi in acciaio.
Ovunque c’è gente intenta a saltellare e ridere. Domani mattina quanti di loro rimpiangeranno di
essersi svegliati?

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C’è anche il DJ, là in fondo. Sembra davvero preso. Seriamente però, quante persone adulte
fanno il DJ di lavoro? Non sembra che quello abbia capito che si tratta solo di un passatempo.
Matt? Scomparso.
Iris sbuffa. Intorno non lo vede, solo sconosciuti ubriachi. Prova a immergersi nel mare pulsante
improvvisando qualche ritmo con i passi e con le braccia, ma non riesce davvero a scendere sotto il
livello dell’acqua. Continua a vedere fuori, la distesa vuota e increspata della superficie.
Per fortuna qualcuno la salva. Una mano le si posa sulla pancia e lei sta per lanciare un’occhiata
fulminante alle proprie spalle, ma nota che a toccarla è stata solo una ragazzina in lacrime che si
faceva strada tra la folla. Più indietro qualcuno la sta seguendo, forse il suo ragazzo.
No. È David. Quando vede Iris che lo fissa si ferma, poi ordina alla propria faccia di eseguire un
sorriso. Si fa strada verso l’amica, che lo guarda impenetrabile. I suoi piercing e i capelli colorati
possono essere un simbolo di vitalità come di morte.
“Hai visto gli altri? Perché non rispondi? Tutto a posto? Iris, ce l’hai con me?”
Lei non lo sta neanche ascoltando. Per un attimo nella stanza c’è una sola persona. La donna
girata di spalle al centro della sala, intenta a ballare tra un uomo e un ragazzino, entrambi
interessati.
“Iris? Chi guardi?”
“Per favore portami fuori.”
“Prima di tutto scommetto che sai anche tu dov’è l’uscita, ma poi chi hai visto? Perché quella
faccia?”
“Iris! Tesoro vieni via un attimo.”
“Amanda! Eccoti. Sai chi è quella là? Iris continua a fissarla. È una con cui ha litigato?”
“Quindi l’hai già vista, Iris. Tranquilla respira. Vieni, su, ti accompagno io.”
“Oh mio Dio!” David non era così stupito da quando ha scoperto che i pinguini sono uccelli.
“Quella è…”
“David, non è il momento di fare il coglione, aiutami e accompagniamo fuori Iris. David, dove
vai? No, non lo vuoi fare davvero, brutto pezzo di…”
Iris rimane sola. Più avanti, mentre Amanda cerca di raggiungerlo, David è già avvinghiato a sua
madre.
Cosa ci fa lì non è una domanda che Iris si pone. Sa bene che la donna frequenta locali di ogni
genere. Forse uno scenario del genere se lo aspettava, prima o poi. Già sentiva che il giorno sarebbe
arrivato. Adesso spera solo che passi.
Cammina lentamente lasciandosi spintonare e arriva al bancone. Compra un tris di shot
superalcolici. David è una bestia. Sua madre pure. Dopotutto sono perfetti l’uno per l’altra. È stata

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proprio una illusa. Ha passato la giornata in giro a divertirsi, dimenticandosi che sarebbe dovuta
tornare a casa prima o poi, o facendo il possibile per dimenticarlo. Che senso ha uscire con gli amici
se non si sa cosa fare? Se tutti avete gli occhi lucidi e non sapete neanche il perché? Come può
valerne la pena se poi la giornata finisce e ti svegli domani e…
I suoi pensieri iniziano a ruotare come la stanza. Tuttavia la sua mente, mentre era ancora più o
meno sobria, ha fatto in tempo a forgiare un’idea, che ora si aggira sola e terrorizzata nelle strade
buie e malfamate della sua mente ubriaca.
Iris prende un sottobicchiere e nota con soddisfazione che è possibile scriverci utilizzando
l’unghia. Dopo aver composto il messaggio si alza e barcolla fino ad arrivare da Matt.
“Ti cercavo” dice spingendosi tra le sue braccia. Valuta che potrebbe passare così il resto della
serata. Finalmente, per qualche istante, si sente davvero al sicuro, come se fosse avvolta in un
guscio. Poi sente il sudore dell’amico e si discosta.
“Anche noi ti cercavamo” mente Claudio da lì di fianco. “Hai visto Amanda? Dice che una
ragazza le aveva rovesciato il drink addosso perché avevano gli stessi vestiti, però prima hanno
litigato di brutto.”
“Sta bene” risponde a caso Iris, senza collegare il nome alla persona. “Matt, devi venire con me.”
“Agli ordini mio capo” risponde lui mettendole una mano sulla guancia. Lei prova un lieve senso
di disgusto nel vederlo ubriaco. Lo porta verso il bagno femminile, lui si oppone brevemente ma lei
si gira e lo guarda come se fosse un ragazzino stupido che non ha capito nulla della situazione. Lo
sguardo è convincente e lui la segue.
Nei bagni femminili una donna cammina avanti e indietro davanti agli specchi mentre sbraita al
telefono in inglese. Sembra una chiamata importante e Iris bisbiglia.
“C’è mia madre.”
Matt inizia a farfugliare rassicurazioni ma lei gli mette il dito sulle labbra.
“Devi versarle un drink in faccia.”
“Cosa stai dicendo? Senti, ti è venuto adesso in mente mentre ascoltavi la faccenda di Amanda ma
credimi, è un’idea stupida e te ne accorgerai a momenti.”
“Stai zitto! Ho un piano. Se non lo fai tu lo faccio io.”
“Iris, no.”
“Sto andando.”
“Brutta… Procurami il drink, hai bevuto troppo e so che lo faresti. Ma non finisce qui, te lo
assicuro. Domani facciamo i conti.”
“Domani facciamo tutti i conti che vuoi, vieni dai.”

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Mentre comprano l’ennesimo cocktail, Amanda è uscita a prendere una boccata d’aria. Guarda le
stelle e pensa che la stronza che le ha rovinato il vestito non diventerà mai qualcuno. Come tutte le
altre ragazze vestite da Carla Ducher che Amanda abbia mai visto. Cosa la spinge a ritenere di fare
eccezione? Quali prove possiede? Non ne ha ancora, ma state a vedere. Oh, se si dimostrerà
speciale. In futuro.
“Ma tua madre stava ballando con David! Oh, mi dispiace, non avrei dovuto dirtelo.”
“Sai che me ne frega” risponde Iris. “L’hai inzuppata per bene? È andata in bagno a pulirsi?”
“Sì, ma non ti consiglio di raggiungerla. È convinta che sia stata una ragazza con una bottiglia di
champagne lì di fianco e le stava per mettere le mani addosso.”
“Matt.”
“Mh?”
“Grazie.”
“Ce ne possiamo andare adesso?”
“Sì.”
Intanto una donna alta, dalle labbra verdi e le palpebre rosse, sta versando abbondante acqua sulla
propria spallina. Ci aggiunge distrattamente uno sputo. Guarda lo specchio con odio e vede una
ragazza piccola e simile a un cammello alle proprie spalle.
“Mi hanno detto di darti questa” dice quella lasciando sul ripiano sotto lo specchio un
sottobicchiere con numerose incisioni. Troppe. La donna non ha voglia di starle a leggere tutte.
“Chi?”
“Non so, mi ha dato cinque euro.”
La ragazza si allontana. La donna legge:
“Il ragazzo che ti ha puntata è David. La sua famiglia è ricca e tradizionalista. Passaci la notte.
Assicurati di uscirne con un bambino in pancia e sarai sistemata a vita.”
La donna lancia giù il poggiabicchiere, sbuffa ed esce. È atterrato girato dall’altra parte. In un
bagno c’è un buco. Una ragazza da lì riesce a vedere il riflesso delle scritte nello specchio. Non le
piace bere o andare in discoteca, e riuscire a leggere il messaggio al contrario sarebbe la parte più
interessante della serata:
“So che ti devo qualcosa. Lo dici sempre e hai ragione. Diciamo che se davvero riesci in questa
impresa il debito è pagato e non ci vediamo mai più.”
La ragazza ci pensa e decide che non può capirne il significato senza contesto. Tira lo sciacquone
e se ne dimentica.
“Piove ancora? Cheee palleee…”
“Non fermarti lì come un’idiota” dice Iris ridacchiando.

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Matt la raggiunge e allarga la giacca cercando di coprire anche lei. Gli riesce poco, ma il gesto è
apprezzato.
“Siamo in tempo per la metro?”
“Secondo te è così presto? Sono le due.”
Iris sbadiglia in risposta. Matt le mette la mano davanti alla bocca.
“Ahi! Mi hai morso! Adesso diventerò anch’io un vampiro.”
“No. I maschi diventano pipistrelli, solo noi donne possiamo essere vampire.”
“Mi stai dicendo che io posso volare e tu no?”
“Anch’io posso volare.”
“I vampiri non volano.”
“Solo una volta nella vita.”
“Ah sì?”
“Salgono su un precipizio e saltano.”
Matt le toglie il cappello di lana e le scompiglia i capelli con la mano bagnato. Iris lo spinge via
ma poi gli si getta subito addosso.
La pioggia si fa più intensa, e la ragazza inizia a sentire le mani pizzicare.
“Matt?”
“Grandine. Vieni.”
Si riparano in un vicolo, sotto il tendone di un ristorante giapponese chiuso. Lì vicino c’è un
piccione morto che riflette la luce dei lampioni come se fosse cosparso d’olio.
Iris guarda Matt negli occhi. Anche da ubriaco, continua a sembrarle il ragazzo più bello che
conosca. Lui è la sua unica soddisfazione. Sente di piacergli davvero così com’è. Sono amici da
anni e spesso Iris si chiede come avrebbe fatto senza di lui.
Questa volta Matt sembra voler sostenere il suo sguardo. Iris non se lo aspettava. Lui non regge
mai più di qualche istante, si mette sempre a guardare altrove.
Poi Matt le si avvicina. Sembra che voglia sussurrarle qualcosa nell’orecchio. Ma deve aver
sbagliato mira, perché la ragazza sente le labbra dell’amico premersi sulla propria guancia e nota
presto con orrore che tra di esse emerge anche la lingua.
“Matt!”
Lo spinge sotto la pioggia. Lui la guarda da lì, immobile. Per un attimo il suo sguardo le fa paura.
Non aveva mai dubitato di lui prima. Quell’attimo è abbastanza da far sì che crolli anche il suo
ultimo pilastro. Una diga cede, le lacrime scorrono e Iris abbassa velocemente il viso, scossa dai
singhiozzi.

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Sente le parole di scusa, il dolore nella voce di lui, ma poi le sue mani la avvolgono e non le
sembrano più le stesse mani da cui così spesso si è lasciata accarezzare. Quando le dita del ragazzo
le stanno scorrendo sul viso lavandolo dalle lacrime Iris abbassa la testa e lo morde.
Un urlo, il panico e lei che corre in mezzo alla strada. Un clacson in lontananza, non per lei. Per
lei? La grandine che la colpisce su una tempia, lo scricchiolio sull’asfalto e le sue gambe, non
pronte allo scatto, che vacillano. Perde l’equilibrio, urta un muro, raggiunge un altro vicolo e si
nasconde in una piccola rientranza semicircolare nel muro. È una vecchia fontana in disuso da
tempo. Una sporgenza nel soffitto la mantiene relativamente asciutta.
Iris ci si siede dentro. I minuti passano, forse le ore. Si sveglia più tardi e scoppia a piangere. La
pioggia è finita e le fanno male i muscoli. Si adagia per terra e passa diverso tempo così.
Finalmente si addormenta di nuovo, con la speranza di non svegliarsi questa volta.

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