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CAPITOLO V “Bisanzio.

5.1 La tradizione dell’Impero:

Dissolto a Occidente nel V secolo, l’impero romano continuò la sua millenaria vicenda a Oriente. Obbiettivo

fu la riconquista dei territori mediterranei dove si erano formati domini barbarici, sui quali l’imperatore

intese riaffermare la sua autorità. [Vittoria sui Vandali (533 – 534) , Vittoria sugli Ostrogoti (535 – 553) e

recuperarono le coste meridionali della penisola iberica in mano ai visigoti nel (553 – 554)]

Il grandioso programma fu sostenuto da varie riforme:

1. Sul piano religioso egli si impegno a tutela della Chiesa e della fede (rafforzando il potere dei

vescovi, rendendosi garante dell’ortodossia, colpendo duramente le dottrine ereticali, e

perseguitando tutti i culti non cristiani.

Per fronteggiare la crescente inefficienza della giustizia, portò alla redazione di un nuovo codice, il

Corpus Iuris Civilis, che raccolse e selezionò criticamente le leggi in vigore.

L’impresa di Giustiniano fu ispirata da una visione universale e rappresentò l’ultimo tentativo di restaurare

l’autorità dell’Impero romano sull’Oriente e sull’Occidente, ma i successori non ebbero le risorse militari e

finanziarie per governare stabilmente l’intero spazio Mediterraneo.

La calata dei Longobardi (569), il primo assestamento degli slavi nei Balcani (592) e l’abbandono definitivo

della penisola iberica nel (629) spostarono per sempre il baricentro dell’impero verso Oriente.

632 – 645 = I territori di Siria, Palestina, Mesopotamia, Armenia, Egitto e nord Africa caddero sotto il

dominio arabo.

Nell’età di Eraclio (610 – 641) e dei suoi successori si completò il passaggio dalla fase tardo antica

dell’impero a quella propriamente bizantina (tant’è che si cominciò ad utilizzare il termine basileus) a

seguito di una profonda ristrutturazione. Furono create nuove unità amministrative, i thémata (temi), posti

al comando di uno stratego, che assommava l’autorità militare a quella civile.

678 = Gli arabi assediano Costantinopoli.


681= I Bulgari creano un regno nei Balcani.

726 = Il basileus Leone III proibì la venerazione delle immagini sacre, aderendo al movimento che ne

considerava idolatrico il culto e ne predicava la distruzione.

Gli obbiettivi erano:

• Indebolire il potere dei monasteri e confiscarne le terre.

• Creare un fronte interno compatto contro il pericolo islamico.

La mancata adesione delle regioni bizantine dell’Italia centro – settentrionale segnò però l’irreversibile

allontanamento della Chiesa di Roma da quella orientale.

Provenienti dalle pianure a nord dei Carpazi percorse dagli unni, gli slavi si erano insediati sin dal VI secolo

nei Balcani in piccole comunità di villaggio. Decisiva si rivelò la missione dei monaci Cirillo e Metodio che,

per favorire la diffusione del cristianesimo, tradussero la Bibbia in slavo elaborando un nuovo alfabeto

(detto poi cirillico) derivato dal greco.

Gli slavi occidentali (croati, sloveni, boemi, moravi, slovacchi e polacchi) furono cristianizzati dai missionari

legati ai franchi e alla Chiesa di Roma.

I bulgari, i serbi e i macedoni, come poi gli slavi orientali (ucraini e russi), rimasero legati alla Chiesa di

Costantinopoli.

Approfittando della crisi dell’impero Islamico, Bisanzio riprese l’iniziativa nella seconda metà del IX secolo. I

discendenti di Basilio I (867- 886) riuscirono ad affermare la successione ereditaria al trono, in discontinuità

con la tradizione elettiva della carica imperiale di imperatore. Ciò permise alla dinastia dei Macedoni (867 –

1057) di guidare l’Impero a una rinnovata fase di sviluppo politico, economico e militare. In Asia Minore la
riconquista si spinse fino alla Sira, alla Mesopotamia e all’Armenia. Il recupero delle isole di Creta e di Cipro
e
segnò la fine dell’egemonia navale araba e il riavviarsi delle relazioni commerciali con l’Occidente. Basilio II

(976 – 1025) riconquistò l’intera penisola balcanica, annientando il regno dei bulgari.

La sua influenza irradiava su un’area di civiltà che andava da Venezia al principato di Kiev e che è stata
definita

il <Commonwealth Bizantino>.

L’esercito impegnato nelle guerre di espansione era tornato ad essere composto da soldati stipendiati, che

sostituirono le milizie formate dai contadini. La piccola proprietà fu comunque tutelata e i villaggi rimasero
le

unità fiscali di base.

L’investimento nel commercio fu sempre marginale nella società bizantina. La ricchezza continuò a basarsi

sulla terra. La grande proprietà fondiaria ottenne nel corso dell’XI secolo crescenti concessioni di immunità,

che sottrassero al controllo dello stato territori sempre più ampi e accrebbero l’autonomia dei latifondisti. I

vincoli posti al commercio si trasformarono in fattori di debolezza quando cominciarono ad operare in


Oriente

i mercanti occidentali: la concessione nel 1082 di privilegi commerciali ai veneziani segnò l’inizio del declino

economico di Bisanzio.

26 agosto 1071 = Battaglia di Mantzikert, segna l’avvio dell’erosione territoriale dei turchi selgiuchidi.

Pur avviandosi al declino, la civiltà bizantina mantenne le proprie caratteristiche: le tradizioni imperiali, il

predominio dell’elemento greco, e la connotazione ortodossa del cristianesimo.

CAPITOLO VI “Islam.”

6.1 La civiltà in espansione:

Il vasto territorio della penisola arabica era sempre rimasto ai margini degli imperi bizantino e persiano.

L’Arabia era abitata da tribù di beduini che praticavano l’allevamento e il commercio lungo le grandi piste

carovaniere che collegavano le oasi e che assicuravano la circolazione delle merci dalla più fertile regione

meridionale (Arabia FelixI) verso i mercati dell’Egitto, della Siria e della Mesopotamia.
L’unico elemento di coesione era costituito dal pellegrinaggio al santuario della Ka’ba in occasione della

fiera annuale che si teneva alla Mecca. Il pellegrinaggio, aperto a tutti i culti, era occasione per una tregua,

durante la quale si concludevano affari, si saldavano debiti e si componevano conflitti. A garantire il culto a

tutte le fedi e a organizzare la fiera era il potente clan dei Quarayshiti.

MAOMETTO:

Nato a Mecca intorno al 570 da un ramo del clan dominante, Maometto crebbe nel mondo delle carovane

ed entrò così in contatto con le religioni più diffuse, dall’animismo politeista al monoteismo ebraico e

cristiano. Ritiratosi in meditazione spirituale ebbe nel 610 la rivelazione fondamentale: l’angelo Gabriele gli
ordinò di diffondere la parola di Dio (Corano). La predicazione di un monoteismo rigoroso, senza

compromessi, che richiedeva la sottomissione assoluta (islam) del fedele alla volontà di Dio (Allah) [1)

Sottomissione al volere di Dio. 2)Preghiere giornaliere, di devozione e non richiesta. 3) Elemosina. 4)

Digiuno. 5)Pellegrinaggio alla Mecca.], pose Maometto in contrasto con le grandi famiglie meccane, che

fondavano il proprio potere sul rispetto delle varie religioni, base della fortuna economica della città. Il

profeta fu costretto a riparare con i seguaci nell’oasi di Medina nel 622, data della cosiddetta migrazione

(égira) da cui ha inizio il calendario islamico. La comunità raccolta intorno a Maometto si organizzò in forme

nuove, non più sulla base dei vincoli tribali bensì sulla condivisione della stessa fede, che sottoponeva tutti i

musulmani alla suprema autorità del profeta: sin dall’inizio l’islam propose un modello politico in cui la
sfera

spirituale era indistinguibile da quella temporale. Maometto guidò personalmente le razzie contro i vari

clan, costringendoli a sottomettersi. Dopo anni di conflitti anche Mecca cedette nel 360 e fu eletta a luogo

sacro dell’islam. La predicazione di Maometto riuscì a dare un’identità unitaria a una moltitudine di

irrequiete tribù: da allora il mondo arabo si trovò a godere di un’eccezionale compattezza religiosa e
politica

e a essere identificato con il mondo musulmano. Maometto muore nel 632.

Il problema della successione nella guida della vita pubblica fu risolto con la creazione delle figura del

califfo, incaricato di tenere unita la comunità di fare rispettare la legge divina (sharia) contenuta nella

rivelazione e negli insegnamenti del profeta.

I primi quattro califfi, tutti parenti di Maometto, guidarono anche sistematiche campagne di guerra contro i

più ricchi e fertili territori bizantini e persiani che confinavano con le regioni desertiche dell’Arabia.
Con l’elezione di Alì nel 656 esplose il conflitto tra quanti pretendevano che il califfo dovesse appartenere

alla famiglia di Maometto (sciiti) e quanti sostenevano il principio elettivo (questi ultimi erano chiamati

sunniti o kharigiti).

Il nuovo califfo Mu’awiya, del clan degli Omayyadi, introdusse un modello imperiale sull’esempio bizantino
e

persiano, con capitale amministrativa posta a Damasco (con una salda rete di funzionari che affermò il

principio ereditario del califfato.).

L’espansione si arrestò solo di fronte alla reazione dei franchi, che si opposero agli arabi a Poitiers nel 732, e

dei bizantini, che sconfissero l’esercito islamico in Anatolia nel 740. La rapidità e il successo dell’espansione

furono dovuti all’organizzazione dell’esercito, alla debolezza degli imperi confinanti e ai conflitti etnici

religiosi che laceravano le regioni periferiche dei Bizantini.

Ebrei e cristiani potevano vivere in una condizione di <protet> (dhimmi) pagando un tributo che li poneva

al riparo da persecuzioni.

750 = Inizio dinastia califfale degli Abassidi.

Il potere centrale imitò i modelli imperiali persiani, con un apparato burocratico distinto in tre rami

(cancelleria, esattoria fiscale e amministrazione militare) e posto sotto il controllo del visir, potentissimo

funzionario di corte. Il territorio fu suddiviso in province rette da governatori locali, gli emiri, dotati di
estese

prerogative.

Nell’età degli Abbasidi l’impero conobbe un considerevole sviluppo economico.

• Nell’agricoltura il miglioramento delle tecniche favorì la bonifica di vaste aree e l’introduzione di

nuove colture.

Lo sviluppo delle città, alcune delle quali raggiunsero le centinaia di migliaia di abitanti, creò una

domanda crescente di prodotti di consumo e diede impulso alle produzioni artigianali.


• La ricchezza si fondò soprattutto sul gigantesco bacino commerciale costituito dall’immenso ambito

geografico dell’impero, ben integrato da una rete fittissima di vie di traffico marittime dell’estremo

oriente.

Eccezionali furono in particolare le esperienze dell’islam europeo, nell’ <al – Andalus> iberico governato

dagli Omayyadi e nella Sicilia conquistata dagli emiri aghlabiti tra 827 e 902. In Spagna una straordinaria

miscela etnica e religiosa fece del califfato, e in particolare della capitale Cordova, un luogo di convivenza

civile e di eccellenza intellettuale e artistica, che filtrò in Occidente l’antica cultura ellenistica grazie a
filosofi,

medici e matematici come Avicenna e Averroè. Tra IX e X secolo, Palermo e la Sicilia divennero una delle

aree più fiorenti dal punto di vista economico e culturale, poste com’erano al centro di tutte le rotte del

Mediterraneo. Più in generale, la civiltà islamica si pose all’avanguardia sul piano culturale, come mostra la

raccolta di novelle de Le Mille e Una Notte, in cui vennero rielaborate le tradizioni letterarie indiana,

persiana e siriaca, intorno alla figura del califfo abbaside Harun al Rashid (766 – 809).

732 = Battaglia di Poitiers.

LE TESI PIRENNE

1) I caratteri generali.

• L’islam è un elemento periodizzante, cambia radicalmente la storia d’Europa, è il primo

vero elemento di discontinuità con il passato romano.

• Il Mediterraneo non è più Mare Nostrum, ma un mare islamico.

• L’inizio del Medioevo è da posticipare al passaggio tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII

secolo.

Le tesi economiche di Pirenne si dimostrano però molto deboli (ritrovamenti archeologici dimostrano il

continuo degli scambi commerciali tra il mondo bizantino e le diverse aree dell’Europa).

L’Iconoclastia (unicamente materiale slide professoressa Plebani)

712 = Lituprando è eletto sovrano longobardo.


715 = Papa Gregorio II varca il soglio pontificio.

717 = Leone III diviene imperatore.

717 – 718 = Dopo un lungo assedio musulmano attorno alle mura di Costantinopoli, Leone III comincia ad

affrontare il problema della produzione, diffusione e commercializzazione delle immagini sacre realizzate

dai centri monastici.

Papa Gregorio ribadisce che la venerazione di immagini sacre è consentita in quanto mezzo di mediazione

tra i fedeli e la divinità.

723 = Il califfo ordina di eliminare le immagini sacre da tutte le chiese cristiane (uniformandone la

decarazione a quella ammessa dal credo ebraico e islamico).

726 = Leone III ordina di non esporre icone nei luoghi pubblici dell’impero bizantino.

L’editto viene esteso anche all’Italia bizantina con la quale però Leone III ha anche un contenzioso in

relazione alla pesante fiscalità imposta dal papa. L’editto di iconoclastia è la classica goccia. Il papa esorta

tutta l’Italia alla disobbedienza e il popolo esegue. Falliscono i tre sicari mandati dall’imperatore per

uccidere il papa. L’esarca Paolo tenta di uccidere il papa marciando con un esercito su Roma ma le truppe

dei Longobardi gli parano la strada. Paolo desiste e viene scomunicato da Gregorio II. L’Italia bizantina è allo

sbando.

Lituprando decide di intervenire alla controversia, con il progetto di ampliare il dominio Longobardo. La

campagna è vittoriosa l’opposizione che incontra arriva unicamente da parte dei duchi longobardi che non

vogliono cedere i propri territori, occupa molte zone (anche Ravenna), comprese quelle sottoposte di fatto

all’amministrazione del pontefice.

728 = Lituprando è quindi costretto a stipulare un trattato di pace con il papa a Sutri. È l’atto conosciuto

come Donazione di Sutri.

La nuova politica della chiesa. (unicamente materiale slide professoressa


Plebani)

744 = Muore Lituprando senza lasciare figli e viene eletto Rachis.

749 = Rachis si fa monaco e il suo successore è Astolfo (che riprende la politica aggressiva con i bizantini)

751 = Conquista di Ravenna e la elegge a seconda capitale elevandola allo stesso rango di Pavia.

751= Mentre Astolfo conquista Ravenna Pipino il Breve diventa nuovo re dei Franchi, con l’approvazione di

papa Zaccaria (Si passa dai Merovingi ai Pipinidi).

Pipino è molto più del padre ad assecondare le richieste dei pontefici e imprime vistose e simboliche

modifiche alla cerimonia di proclamazione del sovrano franco.

752 = Viene eletto Stefano II, il pontefice cerca di avviare contatti diplomatici con Astolfo, il quale si rifiuta
di

riceverli.

753 = Il papa decide di mettere in atto il suo piano. Invia un messaggio a Pipino annunciandogli la propria

imminente visita. Nell’ottobre lascia Roma e si ferma a Pavia presso Astolfo comunicandogli la meta

del proprio viaggio senza comunicargli lo scopo. Astolfo non dubita della parola e lo lascia partire.

6 gennaio 754 = Pipino si incontra il papa. Il quale gli chiede di scendere in Italia e costringere Astolfo a

liberare i territori bizantini conquistati. Stefano II però non sta intercedendo per

l’imperatore, ma per la Chiesa perché la proposta avanzata a Pipino riguarda il passaggio

di quei territori direttamente all’amministrazione pontificia.

Aprile 754 = Pipino sottopone all’aristocrazia franca la richiesta di Stefano II che in cambio prevede la

dinastizzazione del potere regale dei Pipinidi e l’alleanza incondizionata della Chiesa.

Il re Franco nutre molte incertezze sul progetto del papa: i Longobardi sono alleati, Pipino era stato
adottato

da Liutprando, i Franchi non hanno alcuna ragione di contesa con il regno longobardo.
Astulfo nutre invece molte certezze: di essere stato ingannato dal papa e di un complotto ai suoi danni in

corso nel regno franco. Decide quindi di usare il fratello di Pipino, il monaco Carlomanno, per far tornare sui

suoi passi il re. Carlomanno viene arrestato con l’accusa di aver abbandonato clandestinamente il

monastero.

L’accordo tra Stefano II e Pipino è stipulato a Quierzy (Promissio Carisiatica).

Pipino, la moglie ed i due figli (Carlo e Carlomanno) ricevono l’unzione sacra ed il titolo di Patricius

Romanorum.

A Stefano II occorre un’assicurazione inattaccabile, attribuita ad un personaggio indiscutibile per poter


avere

la certezza che tuteli le pretese della chiesa e che parli, dal punto di vista giuridico, nel linguaggio dei

Franchi. Insomma, serve la cosiddetta “Donazione di Costantino”.

Pipino scende nei due anni successivi diverse volte in Italia, ma non riesce (restio a colpire i suoi alleati) ad

infliggere la sconfitta decisiva ai Longobardi.

756 = Astolfo muore e gli succede il duca di Tuscia Desiderio. Questi mette in atto una politica duplice, da
un

lato coltiva l’alleanza con Pipino (concede una delle figlie in moglie a Carlo). Dall’altra continua a

minacciare i territori papali.

757 = Muore Stefano II e gli succede Paolo I.

Per molti anni le parti restano in un difficile equilibrio.

768 = Muore Pipino il Breve lasciando il regno ai due figli: Carlo e Carlomanno.

CAPITOLO VII “Europa carolingia.”

7.1 La rinascita dell’impero.


Alla morte del padre Pipino il Breve nel 768 e del fratello Carlomanno nel 771, Carlo ( poi detto Magno)

ereditò il regno franco secondo le tradizioni germaniche. L’organizzazione sociale si fondava su

un’aristocrazia che traeva la sua forza dalla ampia disponibilità di terre e dalle capacità di mobilitare potenti

clientele armate.

Carlo guidò un’espansione militare su larga scala che procurò terre e bottini alle grandi famiglie franche, e

che nel volgere di un trentennio diede vita ad un’imponente costruzione politica nell’Occidente europeo.

Nel 772 fu avviata, oltre il Reno una lunghissima guerra (fino all’804) contro i sassoni ai quali fu imposta con

la forza l’evangelizzazione e l’assimilazione ai franchi.

Nel 774 fu conclusa la conquista del regno longobardo, che era stata sostenuta dal papa. Nel 788 fu

sottomessa la Baviera e nel 796 distrutto il regno degli Àvari sul Danubio.

795 = Adriano I muore ed è eletto pontefice Leone III che ebbe molte difficoltà a relazionarsi con le famiglie

aristocratiche di Roma.

799 = Leone III è assalito durante una processione, malmenato, accusato di peccati gravi ed imprigionato. Il

duca di Spoleto riesce a liberarlo e ad accompagnarlo presso Carlo dove rimane oltre un anno.

Nel Natale dell’anno 800 Carlo Magno fu incoronato imperatore da papa Leone III (Che aveva compiuto

L’espurgatio per sacramentum al fine di assolversi). L’atto sanciva il rapporto che da tempo aveva garantito

ai sovrani franchi la piena legittimazione del loro potere e ai papi un aiuto imprescindibile nell’opera di

evangelizzazione e nella pretesa di guidare la cristianità, proprio nel momento in cui si faceva irreversibile il

distacco dalla Chiesa d’Oriente. Carlo si presenta come il sovrano cristiano, difensore della Chiesa di Roma.

L’incoronazione rafforzava il ruolo del papa quale autorità suprema della cristianità e indeboliva quello

dell’impero bizantino, dilaniato dalle lotte iconoclastiche e costretto a riconoscere dopo pochi anni, la

dignità imperiale di Carlo. L’impero franco si proponeva infatti quale erede di quello romano e delle sue

ambizioni universalistiche.

Al vasto territorio sottomesso Carlo cercò di assicurare un’organizzazione amministrativa efficace. Essa

attinse alle tradizioni culturali di cui l’impero costituiva la sintesi: quella romana dell’ordinamento
territoriale, quella barbarica dei legami personali e quella cristiana della chiesa imperiale.

Nel palazzo aveva sede l’amministrazione centrale, coordinata dal conte palatino, un laico che esercitava la

giustizia, e dall’arcicappellano, un ecclesiastico che dirigeva la cancelleria.

L’organizzazione era comunque cosa ben diversa dalle moderne amministrazioni statali. Esso costituiva una

dominazione disomogenea, dove continuavano a mantenere un forte potere locale le famiglie


aristocratiche

radicate in ampie proprietà fondiarie e dotate di nutrite clientele armate.

Carlo stese la rete di controllo dei missi dominici, <gli inviati del signore> incaricati di sorvegliare l’operato

dei funzionari locali, e in genere nominati a coppie: un laico ed un ecclesiastico. I missi dovevano diffondere

nei territori le leggi emanate dal sovrano, note col nome di capitolari, che erano redatte nel corso delle

grandi assemblee che riunivano annualmente gli esponenti della grande aristocrazia laica ed ecclesiastica e

gli alti funzionari del regno. L’esercizio di funzioni pubbliche da parte dei vescovi, che quasi sempre

divennero missi nella propria diocesi, legittimò la crescente ingerenza del sovrano nella loro nomina.

Con la crisi del sistema scolastico tardo antico, dal V secolo la capacità di leggere e scrivere era infatti
venuta

concentrandosi nelle mani degli uomini di chiesa. Carlo Magno sostenne lo sviluppo di una fitta rete di

scuole vescovili e di centri scrittorii presso i monasteri, per elevare l’istruzione del clero e dei funzionari

pubblici. Presso la cancelleria fu elaborata anche una scrittura uniforme e particolarmente chiara, detta

<carolina>, che rese leggibili in tutto il regno gli atti pubblici.

Carlo Magno attuò riforme anche in ambito economico. Furono introdotte gabelle sul transito delle merci

sulle strade e nei porti.

Dopo un’eclissi nella produzione di monete fu reintrodotto anche un sistema monetario basato
sull’argento,

che si adeguava alle esigenza di un’economia di tipo locale, fondata sul sistema curtense, di cui contribuì ad

avviare la ripresa dei traffici su scala regionale.

Espugnata Pavia e catturato re Desiderio, Carlo Magno aveva messo fine nel 774 all’esperienza politica
longobarda in Italia. L’importazione dei legami franchi di natura vassallatico – beneficiaria o delle forme di
gestione curtense delle proprietà fondiarie alterò particolarmente gli ordinamenti economici e sociali

preesistenti. Fedele alla tradizione, Carlo Magno dispose nell’806 la suddivisione patrimoniale dell’impero

tra i figli. Unico sopravvissuto, Ludovico, ne ereditò il potere fino alla morte nel 814, favorendo un profondo

ricambio degli uomini di corte, rafforzando il ruolo pubblico dei vescovi e accentuando i caratteri sacrali

dell’ideologia sacrale.

LUDOVICO IL PIO

817 = Emana la <Ordinatio Imperii> dove ottiene dall’aristocrazia franca l’assenso a modificare le regole

della successione ereditaria.

La dignità imperiale è assegnata al primogenito Lotario, che è immediatamente associato al trono.

Agli altri due figli Ludovico assegna un titolo regale puramente formale. ( A Pipino L’Aquitania, la Borgona e

la marca di Spagna e a Ludovico la Baviera e la marca di Pannonia.)

822 = Anche il trono italiano è affidato a Lotario. (823 viene incoronato imperatore da Pasquale I).

823 = La superiorità di Lotario sui suoi fratelli è messa in discussione dalla nascita del quarto erede (Carlo)

nato dalla seconda moglie di Ludovico il Pio.

Nell’824 con la Constitutio Romana, Lotario vincolò la consacrazione papale (Eugenio II) a un preventivo

giuramento di fedeltà all’imperatore. La sua successione disposta sin dall’817 aprì invece lotte violente tra

gli eredi ben prima della sua morte nell’840.

831 = Ludovico il Pio revoca la Ordinatio Imperii e ordina che alla sua morte l’impero sia diviso

territorialmente e politicamente fra tutti i figli maschi. (A Lotario è mantenuto il titolo imperiale senza

supremazia sui fratelli).

838 Muore Pipino e gli eredi di Ludovico rimangono tre. (La parte orientale a Ludovico, la parte centrale a

Lotario, mentre, quella occidentale, a Carlo.


840 = Muore Ludovico il Pio e l’impero perde la sua unità.

Carlo e Ludovico si alleano contro Lotario.

841 = L’esercito di Lotario è sconfitto dall’esercito congiunto dei due fratelli.

842 = Giuramento di Strasburgo.

L’accordo siglato a Verdun nell’843 riconobbe a Ludovico i territori a est del Reno, a Carlo il Calvo quelli più

a Occidente, e a Lotario quelli compresi nella fascia intermedia dal nord del regno d’Italia, al quale fu

abbinato, da quel momento, il titolo imperiale.

855 = Muore Lotario e gli succede al titolo imperiale Ludovico II fino all’875.

La morte senza eredi di Ludovico II nell’875 (Viene eletto imperatore Carlo il Calvo) avviò il tracollo della

dinastia carolingia che si estinse nell’anno 887 con la deposizione del malato incapace Carlo il Grosso per

mano dei grandi del regno, poiché i Normanni riuscirono a saccheggiare Parigi. Le lotte dinastiche infatti

avevano finito col rafforzare il potere delle aristocrazie locali (Ottone), che inglobarono progressivamente

nel patrimonio le cariche pubbliche di conte, duca e marchese. In Germania sale al potere Arnolfo di
Carinzia, discendente da Ludovico il Germanico.

CAPITOLO VIII “Economia, società e politica.”

8.1 Nuovi sviluppi economici.

Dal III secolo la popolazione dell’area europea calò progressivamente di numero fino a toccare il punto più

basso nel VI secolo. Ondate di peste si susseguirono soprattutto tra il 541 (quando il contagio comparve in

Italia durante la guerra greco – gotica) e la fine del VII secolo (solo un neonato su due superava il primo

anno di vita).

Le invasioni delle popolazioni barbariche e le ondate epidemiche si attenuarono nel corso del VII secolo.

Intorno all’anno 1000 il numero degli abitanti tornò ad essere superiore rispetto a quello di mezzo millennio

prima.
Dal VII secolo non vi è più traccia di edilizia monumentale né della presenza di un commercio attivo tra le

sponde del Mediterraneo. A determinare la crisi economica non furono le invasioni barbariche o

l’espansione dell’islam, quanto piuttosto la fine dell’economia statale romana. Per secoli l’impero aveva

incentivato le attività commerciali, grazie a un efficiente sistema fiscale. Esso gravava innanzitutto sulle
tasse

fondiarie e si fondava sul ruolo economico delle città, che erano centri di riscossione delle imposte, luoghi
di

consumo e sedi di attività artigianali. La fine dell’impero significò, innanzitutto, la scomparsa del ciclo di

prelievo fiscale e di ridistribuzione della ricchezza.

La scomparsa delle imposte statali rimise però in circolazione, sul lungo periodo, una maggiore quantità di

ricchezza. Tra il VII e l’VIII secolo essa contribuì a far nascere una domanda economica nuova, proveniente

ora dalle aristocrazie locali, dai grandi e medi proprietari fondiari, laici ed ecclesiastici. I sovrani carolingi

protessero e incentivarono i nuovi mercati portuali ( emporia) che vennero sviluppandosi sulle coste del

Mare del Nord, dove si commerciavano merci di lusso e beni di largo consumo.

Fra III e IV secolo anche i liberi coltivatori (coloni) furono costretti dalle leggi imperiali a risiedere sulla terra

presa in affitto per non sfuggire al pagamento delle tasse. In tal modo la condizione dei coloni e quella degli

schiavi che lavoravano una terra dotata di una casa (servi casati), tesero ad assimilarsi.

La caratteristica di fondo della trasformazione dell’Occidente europeo fu la profonda ruralizzazione della

società, conseguente alla crisi delle città.

La società si raccolse soprattutto intorno a grandi proprietà fondiarie, dette villae o curtes, entro cui si

svilupparono nuove forme di organizzazione del lavoro agricolo. Il paesaggio europeo subì a sua volta una

profonda trasformazione per effetto del contrarsi degli insediamenti e dell’abbandono delle terre coltivate.

8.2 Le città.

Già alla fine del IV secolo, le città lungo la via Emilia apparvero al vescovo di Milano Ambrogio come

<cadaveri di città semidistrutte>.

L’impianto di età romana fu sostituito da nuovi poli aggregativi intorno alle istituzioni ecclesiastiche: la
cattedrale, il battistero, il cimitero, il palazzo del vescovo. Venuti meno gli organi dell’amministrazione
municipale romana (le curie), i poteri pubblici delle città furono

quasi ovunque suppliti dalle gerarchie ecclesiastiche raccolte intorno ai vescovi.

Con l’impero carolingio, le città tornarono a essere valorizzate nelle loro funzioni giurisdizionali. Si usa

parlare, infatti, di rinascita carolingia delle città anche dal punto di vista culturale: alcuni componimenti

poetici (le laudes civitatum) esaltarono nuovamente sia le vestigia dell’impianto urbanistico romano (i

monumenti, le piazze) sia gli edifici del nuovo ordine cristiano (le mura, le chiese).

In altre aree ancora, la funzione commerciale delle città fu garantita dalle reti di traffici su ampia scala: così

negli emporia delle coste del Mare del Nord, e in alcune città portuali del Mediterraneo, come Venezia,

Napoli, Amalfi, Genova. In questi centri il commercio stimolò lo sviluppo di un’attività manifatturiera,

soprattutto nel settore tessile, nelle costruzioni navali e nell’artigianato artistico.

Alla conservazione della centralità politica della città contribuì in maniera determinante la presenza del

vescovo, soprattutto in Italia e in Gallia.

Tra V e VI secolo la debolezza del potere esercitato nelle città dai rappresentanti del potere regio ( conti

duchi ecc) fece sì che le prerogative vescovili si ampliassero dal campo della cura pastorale fino ad
assumere

funzioni civili di supplenza per esempio in ambito giudiziario.

Il vescovo acquisì la pienezza dei poteri pubblici quando la dissoluzione dell’impero carolingio rese

inefficace, quando non inesistente, quando non inesistente, la presenza dei conti nelle città.

A riconoscere l’esercizio di tali poteri di fatto intervenne poi, dal X secolo, in molte sedi episcopali italiane e

tedesche, la concessione formale da parte dell’imperatore del districuts, vale a dire del potere di
costringere

e obbligare.

La sua attività giurisdizionale e amministrativa fu sostenuta da un gruppo professionale di giudici e di notai.

8.3 La crisi dell’impero.


Nella seconda metà del IX secolo la divisione dinastica dell’impero carolingio, combinandosi con la sempre

maggiore autonomia delle aristocrazie locali, accentuò la frammentazione dell’ordinamento pubblico.


L’esito

finale, alla deposizione di Carlo il Calvo nell’887, fu la disarticolazione dell’impero in più regni e

l’attribuzione della dignità imperiale, in linea di massima, al titolare del regno italico.

Sia gli imperatori sia i re dovettero la loro posizione all’appoggio dei gruppi aristocratici locali. Il loro potere

fu però quasi sempre precario perché all’interno dei regni si formarono grandi dominazioni politiche

autonome, che si usano indicare con il termine di <principati>. Avvenne infatti che gli ufficiali pubblici

inizialmente di nomina imperiale riuscirono a rendere ereditaria la propria funzione, a trasmetterla cioè di

padre in figlio, riducendo la capacità di controllo del sovrano e l’efficacia del suo governo. I conti e i

marchesi, cioè, si trasformarono in grandi signori e dinasti locali: l’origine della loro autorità derivava

dall’ordinamento imperiale ma il loro potere era fondato su nuove basi, ampiamente svincolate dal

controllo di qualsiasi autorità pubblica.

Dalla fine del IX secolo i conti e i marchesi esercitarono le loro funzioni su territori ormai differenti dalle

circoscrizioni pubbliche, perché di minore e diversa estensione e che gli storici preferiscono chiamare
contee e marchesati. L’autorevolezza dei poteri locali si fondava su diversi fattori: l’acquisizione
patrimoniale

delle cariche pubbliche e la loro trasmissione ereditaria; il possesso di ingenti veni fondiari; la rete di

alleanze e di clientele armate con le aristocrazie del territorio.

Vescovi e monasteri ottennero dai sovrani delle concessioni di immunità che esoneravano le loro proprietà

dall’autorità e dal controllo degli ufficiali pubblici. Anche i grandi proprietari laici ottennero

progressivamente esenzioni simili, finendo col creare ampie isole di giurisdizione autonoma nell’ambito

delle contee, dei marchesati e dei ducati.

Il regno dei franchi occidentali, distaccato ormai dall’888 da ogni effettiva dipendenza dal potere imperiale

subì un accentuato frazionamento causato dall’emersione di potenti principati. Solo alla fine del X secolo si

affermò la potenza dei conti di Parigi che con Ugo Capeto ottennero il titolo regio nel 987. Il re, anche dopo

la stabile affermazione dinastica, non riuscì mai a esercitare una vera autorità su tutte le regioni da cui pure

derivava il suo titolo.


Il titolo regio acquisì prestigio ma si risolse soprattutto nel coordinamento delle grandi dinastie signorili e

delle gerarchie episcopali. La dipendenza dei grandi signori dal re fu poco più che formale, soprattutto nel

sud della Francia, dove accanto a vari ducati e contee ampiamente autonomi, si formarono anche due regni

di carattere regionale lungo il bacino del Rodano, quello di Borgogna e quello di Provenza, poi assorbito dal

primo.

Più instabile fu la situazione che si determinò nel regno italico, dove il conflitto per il trono fu duraturo per i

numerosi pretendenti e per gli interventi dei pontefici. Territorialmente, il regno ricalcava quello
longobardo

e carolingio, e continuarono a rimanerne fuori i domini bizantini, arabi e longobardi del meridione. A

contendersi la corona furono soprattutto gli esponenti di quattro principati territoriali: i duchi e marchesi di

Spoleto, Toscana, Ivrea e del Friuli. Schierati in fronti contrapposti essi coinvolsero nei loro conflitti anche i

re di Borgogna e di Provenza e i duchi di Carinzia. [Rodolfo di Borgogna (924 – 926), Ugo di Provenza (926 –

945) e Berengario II di Ivrea (950 – 961).

Al titolo di re d’Italia era connessa la dignità imperiale, con la consuetudine carolingia dell’incoronazione da

parte del pontefice. Per questo, quando il re di Germania Ottone I fu sollecitato dal papato a intervenire

contro Berengario II ricevette, oltre a quella di re d’Italia nel 961, anche la corona imperiale nel 962. Da quel

momento si saldò il nesso tra le corone, e i re di Germania cominciarono a scendere periodicamente in


Italia

per poter cingere altre corone.

Nel regno dei franchi orientali, l’elezione di Arnolfo di Carinzia (887 – 899) ritardò di qualche tempo la crisi

dell’autorità regia, che anche in Germania dovette fronteggiare la presenza di ampi ducati regionali di

origine etnica o di derivazione carolingia. Il re, eletto dai grandi del regno, appartenne sempre a queste

stirpi ducali, ed ebbe soprattutto un ruolo simbolico, di giudice supremo e di guida militare. Nel suo lungo

regno (963 – 973), Ottone rafforzò in modo decisivo l’autorità regia e avviò l’espansione verso l’Oriente

inglobando il ducato di Boemia e creando nuove sedi vescovili, come quella di Magdeburgo.

L’incoronazione a Roma nel 962 di Ottone I restaurò l’autorità imperiali su nuove basi. Rispetto all’età

carolingia, essa era centrata fortemente sull’area tedesca, e da allora i re di Germania divennero i naturali

candidati alla dignità imperiale. Non potendo contare su un apparato burocratico, gli imperatori della
dinastia sassone rinunciarono a emanare leggi e a esercitare la giustizia, puntando a concedere privilegi ai

propri interlocutori locali attraverso diplomi. Il rilancio del ruolo sacrale dell’imperatore ribadì la sua
funzione di protettore della cristianità: con il

privilegium del 962 Ottone riconobbe le donazioni carolingie alla Chiesa, ma stabilì che il papa, una volta

eletto, dovesse prestare giuramento all’imperatore.

Enrico III (1039 – 1056)

Le famiglie romane che si contendono il pontificato sono i Crescenzi e i conti di Tuscolo.

Papa Benedetto IX (Tuscolo) è eletto nel 1033.

Molte autorità vedono nell’elezione di Benedetto IX una scelta ineccepibile.

1045 = Sollevazione contro Benedetto IX. E viene portato sul trono pontificio Silvestro III. Benedetto mette

in vendita la dignità pontifica che viene comprata da Gregorio VI. (L’età dei tre papi).

Enrico III Scende in Italia per chiarire la situazione.

1046 = Enrico III convoca i tre papi a Sutri. Silvestro III viene deposto ed è portato sul soglio pontifico

Clemente II

1047 = Secondo sinodo che depone Benedetto IX.

8.4 Le nuove invasioni.

La perdita di autorevolezza degli ultimi imperatori carolingi fu determinata in parte anche dall’incapacità di

garantire la sicurezza del territorio dell’impero dalle incursioni che dal IX secolo furono condotte da alcune

popolazioni. A differenza delle grandi migrazioni delle stirpi barbariche, i nuovi aggressori non miravano a

insediarsi stabilmente ma a razziare bottino.

SARACENI

Le prima a manifestarsi furono le incursioni dei Saraceni, il saccheggio più celebre fu quello della basilica

vaticana di Roma nell’846. Solo con la fine del X secolo le scorrerie saracene andarono esaurendosi.
UNGHERESI

Dalla fine del IX secolo cominciarono a compiere periodiche spedizioni di saccheggio in vaste regioni

dell’Europa centrale e in Italia anche gli ungari, una popolazione di nomadi allevatori e cavalieri proveniente

dalle steppe attorno agli Urali settentrionali e insediatasi nell’antica Pannonia, la regione che da loro prese
il

nome di Ungheria.Furono i re di Germania della dinastia sassone a porre loro delle disastrose sconfitte tra il

933 e il 955. Da quel momento gli ungari si stabilizzarono nel proprio territorio, dedicandosi principalmente

all’agricoltura, e si convertirono al cristianesimo cattolico sotto i re Stefano I (1001 – 1038).

VICHINGHI

Con la denominazione nortmann (<uomini del nord> in lingua franca) apparvero sulle coste dell’Europa del

nord dalla metà del IX secolo gruppi di pirati provenienti dalla penisola scandinava, capaci di risalire con
navi

dal pescaggio assai ridotto il corso dei fiumi e così depredare città e abbazie dell’interno. L’espansione

scandinava si propagò a raggiera lungo diverse direttrici. Dalla Norvegia mossero verso la Scozia, l’Irlanda,

l’Islanda e la Groenlandia i cossi detti < vichinghi>. Dalla Svezia, risalirono i grandi Fiumi dell’Europa

orientale, fino a spingersi verso Bisanzio, i cosiddetti < vareghi> o <rus>, che diedero poi vita al primo

embrione della Russia incentrato su Kiev. Dalla Danimarca si spinsero verso l’Inghilterra e la Francia i

<normanni>. Nel X scolo le iniziali incursioni si trasformarono infatti in vere e proprie conquiste territoriali.
Particolarmente rilevante e destinata a durare nel tempo, fu la creazione di un ducato nella Francia

settentrionale, che da loro prese il nome di Normandia, a opera del capo Rollone, cui nel 911 il re Carlo il

Semplice assegnò il titolo di conte (e poi duca) ottenendone in cambio il giuramento di vassallaggio.

CAPITOLO IX “I poteri locali.”

9.1 L’organizzazione economica: il sistema curtense.

In età carolingia le grandi proprietà fondiarie organizzarono l’attività agricola intorno ad aziende (dette

curtes in Italia e villae nell’Europa del nord) caratterizzate da una bipartizione funzionale. Nella riserva

padronale o <domìnico> (dominicum, sala, casa), il proprietario faceva condurre i lavori direttamente dai

propri schiavi (servi prebendari), che vi risiedevano a totale carico, alloggio e vitto (prebenda), del padrone.

Nella parte a conduzione indiretta, o <massarìcio>, i lavori erano portati avanti da famiglie di coltivatori

liberi o servi cui erano affidati degli appezzamenti ( mansi, sortes, case massaricie) con patti a lunghissimo
termine.

Lo stretto legame tra le due parti era rappresentato dall’obbligo per i contadini del massaricio di prestare

corvées sulle terre del dominico, a integrazione del lavoro degli schiavi. Questo modello di organizzazione

economica, detto <sistema curtense>, prese corpo nell’VIII secolo nelle aziende agrarie regie e abbaziali

situate tra la Loira e il Reno e si diffuse in Italia solo dopo la conquista franca.

Il sistema curtense perseguì sempre un obbiettivo di autosufficienza, per soddisfare i bisogni immediati, ma

poiché non tutte le aziende producevano tutte le merci di cui avevano bisogno venne intensificandosi lo

scambio delle eccedenze. Il surplus agricolo fu commercializzato, insieme con gli strumenti di lavoro e gli

altri manufatti artigianali.

Il sistema curtense fu redditizio e permise notevoli accumulazioni di ricchezza che molti proprietari

investirono nella costruzione di mulini ad acqua o di fabbriche di birra, ricavandone ulteriori profitti. La

frammentazione della proprietà fondiaria, distribuita talora tra centinaia di appezzamenti, favorì
l’emersione

di una piccola e media proprietà di contadini indipendenti.

Dal IX secolo tutti coloro che lavoravano la terra con le proprie mani, fossero servi casati, liberi affittuari o

piccoli proprietari, si ritrovarono progressivamente sottomessi allo stesso modo al potere signorile. Episodi

come la rivolta contadina di Stellinga, in Sassonia, nell’841, furono il sintomo dell’affermazione di un

dominio aristocratico sempre più oppressivo.

9.2 Il potere politico: l’ordinamento signorile.

Protagonisti della frammentazione dei poteri locali non furono solo le grandi famiglie di ufficiali pubblici,

conti e marchesi, ma anche famiglie di enti ecclesiastici che incrementarono i propri possessi fondiari

tramite donazioni, acquisti a usurpazioni di terre. Alla metà del IX secolo i beni fondiari della Chiesa

ammontavano ormai a un terzo circa di tutta la terra disponibile: gli abati e i vescovi più potenti

controllavano territori pari a quelli dei proprietari laici e svilupparono la loro egemonia in modi simili.

Nell’età post-carolingia venne così affermandosi un sistema sociale orientato in senso aristocratico che si

fondava anche sugli arricchimenti resi possibili da sistema curtense. Ai visti gruppi costituiti da persone
imparentate per via paterna e materna si andò sostituendo una famiglia

formata soltanto dai discendenti in linea maschile di un medesimo antenato, che si usa chiamare lignaggio
patrilineare.

Se la famiglia aveva dinastizzato una carica pubblica assommava anche i territori in origine appartenenti
alla

circoscrizione amministrativa corrispondente, ora anch’essi inglobati nel patrimonio familiare. Intorno alle

grandi proprietà, laiche ed ecclesiastiche, vennero così formandosi poteri di comando, di giustizia e di

esazione fiscale, che costituirono il fondamento del potere signorile. Due tendenze caratterizzarono questo

potere:

1) Il carattere territoriale, l’estendersi cioè a tutti i residenti di una certa zona.

2) La patrimonializzazione dei diritti pubblici, che in origine erano di pertinenza delle istituzioni regie e

che i signori assimilarono tra il IX e X secolo, rafforzò la fisionomia locale del potere, garantendo ai

signori un controllo più efficace del territorio e dei suoi abitanti.

A proventi che erano i tipici dei sovrani (il fodro e l’abergaria) i signori sommarono altri tributi, spesso

straordinari (indicati con i termini di taglie, collette, accat), e donativi, censi e richieste di varia natura ed

entità. Quando il signore esercitava tali diritti nei limiti del suo possesso fondiario e sui suoi lavoratori, servi

ed affittuari, si usa parlare di <signoria fondiaria>. Il caso più frequente era però la signoria estesa a tutti i

residenti di una determinata area, indipendentemente dalla proprietà delle terre, che potevano

appartenere al signore stesso, ad altri proprietari o agli stessi contadini: in tal caso si parlava di <signoria

territoriale> o di <banno>. Ovunque però si verificarono fenomeni di sovrapposizione e di concorrenza fra i

diversi poteri signorili, dando luogo a contenziosi e conflitti spesso violenti.

9.3 I legami sociali: vassalli e benefici.

Le tendenze alla frammentazione locale del potere controbilanciate anche nell’età delle signorie dalla fitta

trama di relazioni personali, soprattutto vassallatiche, che legavano tra loro i grandi e piccoli signori, e i

signori ai propri seguaci. La rete di relazioni di fedeltà personale, che si aggregava intorno a poli molteplici,

costituì il vero collante della società occidentale europea tra l’VIII e l’XI secolo.

Furono i franchi a perfezionare nel corso dell’VIII secolo uno speciale rapporto di natura personale che

vincolava tra loro due individui, prevedendo uno scambio tra servizio militare e beneficio corrispettivo. Il

successo politico e militare dei carolingi dipese in larga misura dalla diffusione di tali legami di fedeltà

armata.
Con il giuramento di fedeltà a un individuo eminente (senior, signore) il vassallo (dal termine celtico

latinizzato vassus, servitore) entrava nella clientela di un potente, impegnandosi a prestare per lui un

servizio in genere di carattere militare. In cambio, il signore si impegnava a mantenerlo concedendogli delle

fonti di reddito, quasi sempre terre da sfruttare. Il bene concesso perlopiù in godimento vitalizio, come

corrispettivo del servizio prestato era chiamato <beneficio>.

Questo tipo di rapporti vassallatico – beneficiari si diffuse in tutto il territorio dell’impero carolingio su ogni

livello: il re aveva un largo seguito di vassalli e fra questi sceglieva gli ufficiali del regno per tenerli vincolati a

sé; a loro volta gli aristocratici si dotavano di proprie clientele armate, che ne incrementavano il prestigio e
il

potere.

Nell’ordinamento carolingio alla morte dei titolari sia le cariche di ufficiale pubblico sia i benefici dovevano

ritornare, almeno formalmente, al re che li assegnava a un’altra persona. Nella prassi però comune che i

grandi benefici e gli uffici pubblici fossero riconfermati agli eredi del defunto. La tendenza a rendere
ereditari i benefici si consolidò tra il IX e XI secolo, fino a valere anche per i benefici minori, cioè quelli

concessi dai signori ai propri vassalli.

9.4 Violenze e conflitti: l’incastellamento.

A partire dalla seconda metà del IX e lungo tutto il X secolo nelle campagne dell’Occidente europeo fu

edificata una fitta trama di nuovi castelli. Ma rispetto alle epoche precedenti, in cui la fortificazione del

territorio era stata promossa dall’autorità pubblica, l’iniziativa di erigere un castello ripose ora all’esigenza

dei signori di garantirsi una base dalla quale esercitare la propria egemonia sul territorio. I grandi
proprietari

fondiari, laici ed ecclesiastici, e le famiglie che avevano dinastizzato le cariche pubbliche, utilizzarono il
clima

diffuso di insicurezza per consolidare il proprio potere sugli uomini. Erigere un castello divenne un mezzo

per estendere l’autorità dei signori su tutti i residenti delle aree limitrofe: in cambio della difesa, essi

potevano pretendere di esercitare le prerogative di natura pubblica, il districtus o banno.

La moltiplicazione dei castelli fu un fenomeno complesso, che assunse caratteristiche specifiche nelle

diverse regioni. La popolazione, prima dispersa nei villaggi e nelle fattorie isolate, si concentrò ora nei nuovi

abitati fortificati. Il castello, infatti, attirava abitanti e si proponeva sovente anche come sede di mercato e
di
attività artigianali oltre che di servizi amministrativi.

La diffusione delle signorie incentrate sui castelli favorì la formazione di specialisti della guerra che

aiutavano i potenti nell’esercizio del loro dominio e ne difendevano i beni. In una prima fase fu il servizio

militare più che l’origine sociale a determinare la loro fortuna: non solo figli cadetti di famiglie

aristocratiche, ma anche contadini agiati che possedevano armi e cavalli e tempo a disposizione per

esercitarsi, e talora servi fedeli il cui signori donava tali risorse. Affrancati dagli oneri signorili, questi

guerrieri furono chiamati < cavalieri>. I cavalieri furono protagonisti dei conflitti dell’epoca, spesso

compiendo violenze, rapine e saccheggi ai danni dei più deboli. Per disciplinarne il comportamento, su

iniziativa di alcuni vescovi della Francia meridionale si diffuse dalla fine del X secolo il movimento delle

<paci o tregue di Dio>, che mirava a imporre la sospensione delle violenze in certi periodi dell’anno, e a

vietarle contro ecclesiastici e contadini.

CAPITOLO X “Le esperienze cristiane nel primo millennio.”

10.1 Le chiese locali e l’età dei concili

La diffusione del cristianesimo nell’impero romano fu accompagnato da un’organizzazione sempre più

ordinata delle comunità di fede chiamate <chiese> (assemblee di credenti).

Responsabile di ogni comunità era il vescovo, guida spirituale e amministrativa della comunità, affiancato

dai preti, incaricati della predicazione e delle celebrazioni liturgiche (sacerdoti), e dai diaconi che
svolgevano

compiti di assistenza e di amministrazione.

All’aumento dei fedeli corrispose un crescente incremento delle ricchezze, per i lasciti in monete, oggetti

preziosi, edifici e soprattutto terre, che fecero delle chiese maggiori delle potenze economiche con

patrimoni equivalenti a quelli delle grandi famiglie aristocratiche. Questi beni erano inalienabili, tutelati

sacralmente da confische ed esenti dalle imposte.

L’autorevolezza dei vescovi crebbe nel tempo insieme alla loro assunzione di funzioni di guida non solo

spirituale ma anche civile e politica delle città.

Tra IV e V secolo, raggruppamenti di più diocesi furono sottoposti all’autorità di un vescovo di rango

superiore detto metropolita, che confermava e consacrava i vescovi della propria provincia. Alcune sedi
maggiori, fondate da apostoli, affermarono la loro preminenza sulle province circostanti: Roma in

Occidente, Alessandria in Egitto, Antiochia in Oriente. Insieme a Costantinopoli e a Gerusalemme, i loro

metropoliti ebbero il titolo di patriarchi.

A lungo, fino a tutto il X secolo, la Chiesa cattolica fu infatti priva di un’organizzazione centralizzata e di un

vertice quale sarebbe poi stato il papa. Un ruolo centrale nella vita delle chiese fu allora svolto dalle

assemblee del clero. Esse erano convocate periodicamente dai metropoliti in sede provinciale ( sinodi), per

decidere questioni organizzative e disciplinari. Meno frequenti erano le grandi adunanze ( concili) cui

convenivano in gran numero i vescovi delle varie province della cristianità: nei concili universali, convocati
in

genere dagli imperatori, si definivano le verità di fede (dogmi) si regolamentavano i riti liturgici e si

emanavano le leggi ecclesiastiche (canoni).

325 NICEA -> Convocato da Costantino -> Condannò l’arianesimo e approvò il Credo, la professione di fede

cattolica.

381 COSTANTINOPOLI -> Convocato da Teodosio -> Confermò il credo e affermò la natura dello Spirito
Santo.

451 CALCEDONIA -> Convocato da Marciano -> Condannò il monofisismo e sancì l’uguale preminenza del

patriarcato di Costantinopoli rispetto alla sede

apostolica di Roma.

Il problema principale fu quello di conciliare il principio del monoteismo con la molteplicità delle persone

divine (la Trinità). Le dispute dottrinali si concentrarono sulla definizione della natura di Cristo.

Nel IV secolo si confrontarono la dottrina che sosteneva la natura umana di Cristo, difesa da Ario di

Alessandria, e quella che sosteneva la consustanzialità (cioè l’identità di sostanza e di natura) del Figlio col

Padre, promossa da Anastasio sempre di Alessandria. Nel V secolo il patriarca di Costantinopoli, Nestorio,

sostenne la duplicità della natura, mana e divina, di Cristo (Nestorianesimo), mentre tra l’Egitto e la Siria si

diffuse la dottrina che sosteneva l’unicità della natura divina di Cristo (monofisismo).
Gli imperatori cercarono di salvaguardare l’unità della cristianità emanando editti e convocando concili per

formulare dogmi universalmente accettati ( ortodossi = <retta dottrina>) di contro a credenze ritenute

erronee (eresie).

10.2 Il monachesimo.

Accanto alle forme monastiche imperniate sul più totale isolamento si diffuse la pratica del cenobitismo,

ossia della <vita in comune> dei monaci, nella condivisione della preghiera, della penitenza, del lavoro e

dell’alimentazione. I capi delle comunità erano detti abati (<padri>).

Il monachesimo non fu caratteristico del cristianesimo delle origini, ma si sviluppò solo a partire dalla fine

del III secolo quando, soprattutto in Egitto, Palestina e Siria, alcuni cristiani si rifugiarono a condurre vita

eremitica nel deserto ai margini delle città e dei villaggi. Le regole seguivano l’esempio di Gesù mettendo in

pratica i principi evangelici della povertà, castità e obbedienza.

10.3 Il monopolio ecclesiastico della cultura

Rispetto al diffuso alfabetismo delle città romane, la società occidentale dei secoli VII – XI fu una società

analfabeta. Leggere e scrivere era ormai necessario solo agli uomini di Chiesa per accedere alle Scritture e

diffonderne il messaggio.

La scrittura e la produzione culturale divennero monopolio della Chiesa: basti osservare come le storie di

alcune popolazioni barbariche (franchi, longobardi e anglosassoni) furono composte rispettivamente, da un

vescovo (Gregorio di Tours) e da due monaci (Paolo Diacono e Beda il Venerabile).

10.4 Le riforme della Chiesa.

Gli aristocratici che riuscivano ad ottenere le cariche vescovili (ed i relativi privilegi) erano però quasi

sempre sprovvisti di un’adeguata preparazione e spesso anche di autentica vocazione. Accadeva così molto

spesso che vescovi e abati continuassero a seguire lo stile di vita dell’aristocrazia laica, a occuparsi di

politica, a combattere in guerra, a svagarsi in cacce e banchetti, a mantenere concubine. A sua volta, il clero

inferiore era in genere incolto, spesso nemmeno in grado di leggere e comprendere le scritture.

La necessità di interventi di riforma fu avvertita già dai sovrani carolingi. Obbiettivi principali dei loro

interventi furono quelli di restituire prestigio religioso alle autorità ecclesiastiche ed efficacia all’azione

pastorale.

Con il Privilegium del 962 Ottone I ribadì anche il controllo imperiale sull’elezione pontificia, che era già

stato sancito dalla Constituzio Romana di Lugovico il Pio nell’824. Da allora e fino al 1058 i papi furono tutti
legati al trono imperiale.

Dal X secolo si fecero sempre più avvertite, in diversi ambiti della società cristiana, due esigenze principali di

riforma: la moralizzazione dei costumi del clero, auspicato più degno e adeguato a svolgere il proprio ruolo

pastorale e liturgico, e la tutela delle istituzioni ecclesiastiche dalle ingerenze e dai condizionamenti del

mondo laico.

L’autorità papale, oltre che subordinata a quella imperiale, era infatti ostaggio locale delle grandi famiglie

romane che si contendevano la scelta dei pontefici.

Protagonisti principali dei movimenti riformatori furono i monaci dell’abazia di Cluny, fondata nel 910 in

Borgogna.

La riforma promossa da Cluny non contestava le ricchezze e i beni ecclesiastici, che anzi erano visti come

legittimi perché dimostravano il fulgore delle Chiesa. Essa proponeva invece di rimodellare in senso

monastico tutta la Chiesa, privilegiando la centralità della preghiera, della purezza del corpo, la funzione del

clero quale mediatore del sacro. I monaci di Cluny elaborarono un nuovo stile di vita monastico basato sulla

specializzazione liturgica, sulle opere di misericordia e sullo studio. Il lavoro manuale fu invece demandato

ai conversi (pur avendo abbracciato lo stile di vita monastico non avevano ricevuto gli ordini sacri) e ai servi.

Riconoscendo il primato papale, Cluny ottenne l’autorizzazione a porre sotto la propria autorità i monasteri

che accettassero il nuovo modo di vivere la regola benedettina.

Rispetto al monachesimo riformato le aspirazioni dei movimenti laicali, che insistevano sul valore della

povertà, erano i più radicali e mettevano in discussione la Chiesa come istituzione. Per questo il clero

riformatore smussò spesso gli eccessi dei movimenti pauperistici.

Significativa fu l’opera del cluniacense Leone IX (1049 – 1054), che chiamò a Roma alcuni dei principali

esponenti riformatori e ingaggiò una dura battaglia contro simonia e concubinato.

CAPITOLO XI “La Chiesa pontificia.”

11.1 L’affermazione monarchica del papato.


GREGORIO VII (1073 – 1085)

Con l’elezione a pontefice del cluniacense Ildebrando di Soana nel 1073, il processo di riforma delle

istituzioni ecclesiastiche raggiunse il suo culmine. Il progetto di Gregorio VII (1073 – 1085) fu quello di

imporre alla Chiesa un modello fortemente gerarchizzato del corpo ecclesiastico, escludendo i poteri laici
da

ogni ingerenza nella vita religiosa. Il nuovo impianto monarchico della Chiesa, con il papa unico vertice, e la

netta separazione di stili di vita tra laici ed ecclesiastici, fondata sul celibato del clero, differiva

dall’ordinamento anteriore.

La nuova struttura gerarchica che enfatizzava il ruolo del papa, proponendolo come guida morale della

Chiesa, minava l’autorità del potere imperiale. La rivendicazione gregoriana della libertà della Chiesa

(libertas ecclesiae) da ogni potere laico mise in discussione la natura dei rapporti tra papato e impero.

Gregorio VII diede fondamento dottrinale al primato papale attraverso un testo (Dictatus papae 1075)

costituito da un insieme di proposizione che ne definivano ruoli e funzioni. Esso ribadiva l’autorità superiore

del papato sua sulla Chiesa sia sui poteri laici: solo il papa poteva istituire e deporre i vescovi, convocare i

concili, giudicare e legiferare senza essere a sua volta giudicato, deporre gli imperatori, sciogliere i sudditi

dall’obbedienza ai sovrani.

Era così delineato il progetto di una monarchia universale della Chiesa che fu attuato progressivamente da

Gregorio VII e dai suoi successori. Il papato aveva trovato sin dal 1059 un importante appoggio politico nei

normanni, che si erano dichiarati fedeli alla sovranità pontificia in cambio del riconoscimento dei titoli di

duca di Puglia e di Calabria. Gregorio, in particolare, puntò a fare riconoscere la supremazia del papato da

parte di numerosi sovrani cristiani, che gli si dichiararono vassalli: dal principe di Kiev ai re cristiani di

Inghilterra, Ungheria e Croazia, ai regni iberici. La contrapposizione tra papato e impero si focalizzò sulle

designazioni dei vescovi.

Preoccupati di difendere le ricchezze materiali e la loro autonomia, i vescovi si schierarono in genere con

l’imperatore. Nel 1076 Enrico IV convocò un concilio di vescovi tedeschi che dichiarò deposto il papa,

aprendo un duro conflitto. Gregorio VII reagì scomunicando l’imperatore, sciogliendone i sudditi da ogni

obbedienza. Di fronte alle prime ribellioni aristocratiche Enrico IV indusse il pontefice a revocare la

scomunica con un clamoroso atto di penitenza: nell’inverno del 1077 si umiliò restando per tre giorni
davanti al castello appenninico della contessa Matilde di Canossa, dove Gregorio era ospite, finché non fu

ricevuto.
Dopo conflitti e trattative si giunse ad un accordo sottoscritto a Worms nel 1122 da Callisto II ed Enrico V. Il

concordato stabiliva che l’elezione dei vescovi dovesse essere fatta ovunque, nel rispetto dei canoni, dal

clero e dal popolo delle città, e distingueva la consacrazione spirituale, riservata al clero, dall’investitura

temporale, lasciata all’imperatore. Dal conflitto uscì comunque rafforzata l’autorità pontificia, mentre

l’ideologia imperiale fu minata: da allora le ambizioni universalistiche degli imperatori furono

irreversibilmente ridimensionate.

11.2 Dissensi, eresie e nuovi ordini religiosi.

Il movimento ereticale più diffuso tra XII e XIII secolo in diverse aree europee fu quello dei catari (<puri>).

Miscelando nuclei di cristianesimo a credenze di tipo dualistico di origine orientale, la loro teologia

presupponeva l’esistenza dei principi del bene e del male, incessantemente contrapposti. Il rifiuto di alcuni

sacramenti come il battesimo e l’eucarestia e la contrapposizione di una propria Chiesa, con propri

sacerdoti, a quella cattolica, scatenò su di loro due persecuzioni.

Inizialmente gli eretici furono scomunicati attraverso bolle papali come la Ad Abolendam di Lucio III del

1199 li equipararono ai rei di lesa maestà, condannandoli a morte. La lotta inasprì ulteriormente nel 1208

quando venne bandita dal papa una crociata, condotta da aristocratici, contro i catari di Albi nella Francia

meridionale, che provocò stragi della popolazione.

Alla metà del secolo i meccanismi di funzionamento dei tribunali dell’inquisizione vennero perfezionato con

l’introduzione, per esempio, della tortura degli imputati.

Straordinario successo e vastissima diffusione in tutta Europa ebbero soprattutto gli ordini fondati dal

castigliano Domenico di Guzman (1170 – 1221) e dall’umbro Francesco di Assisi (1182 – 1226). Entrambi

centrarono la propria predicazione sull’esigenza di un ritorno alla povertà evangelica e i loro ordini furono

detti <mendicanti> perché non possedevano beni e vivevano delle elemosine e delle offerte dei fedeli tra i

quali insediavano i propri conventi.

Domenico Promosse un ideale di cristianità ortodossa fondato su una solida cultura teologica e sulla

predicazione del Vangelo come antidoto alle suggestioni ereticali.

I frati domenicani ebbero approvata la propria regola da Onorio III nel 1216, e si distinsero nei decenni

successivi come inquisitori, in virtù della loro preparazione della loro preparazione dottrinale.
Francesco fu invece straordinario esempio di una vita improntata alla povertà assoluta, all’umiltà,

all’esaltazione degli ideali di pace e di fratellanza. L’intransigenza pauperistica gli attrasse i sospetti di eresia

e solo la sua dichiarazione di fedeltà all’autorità della Chiesa consentì la costituzione dell’ordine dei

francescani, detti <minori> in segno di umiltà e sottomissione.

Su incoraggiamento di Francesco, Chiara di Assisi (1194 – 1253) fondò un gruppo di <sorelle> caratterizzato

da un’intensa spiritualità e da un’ideale di vita di povertà e di preghiera

11.3 Il cristianesimo orientale: ortodossia e scismi.

Nell’impero bizantino la Chiesa continuò a dipendere dal ruolo sacrale attribuito al sovrano. L’imperatore

era vicario di Dio sulla terra e garante della difesa e del rafforzamento delle comunità cristiane. Dal VII
secolo le sedi patriarcali di Alessandria, Gerusalemme e Antiochia si ritrovarono fuori dall’impero per

l’avanzata islamica, e solo quella di Costantinopoli poté appoggiarsi all’autorità secolare. A differenza della

Chiesa cattolica, però, le chiese locali mantennero una forte autonomia, in una struttura centrata sulle

assemblee consiliari e priva di un vertice gerarchico come quello che in Occidente si venne stabilendo
dall’XI

secolo intorno all’autorità del papa.

In un clima conflittuale, papa Niccolò I, si ingerì nella scelta del patriarca di Costantinopoli scomunicandone

nell’863 il titolare Fozio, nominato dall’imperatore al posto del monaco Ignazio nell’858. Sancendo lo

scisma, Fozio accusò a sua volta di eresia la Chiesa cattolica, condannandone la formula concernente lo

Spirito Santo introdotta da tempo nel Credo ed estranea a quella fissata dal concilio di Nicea del 352, che lo

faceva discendere solo dal Padre. In gioco era anche il controllo delle diocesi dell’Italia meridionale, e le

controversie dottrinarie e liturgiche.

Offrirono pretesto per la scomunica reciproca tra il papa Leone IX e il patriarca Michele Cerulario nel 1054.

Lo scisma tra la Chiesa orientale, che da allora si proclamò <ortodossa>, e quella cattolica, che rivendicò il

primato universale del pontefice, non fu più ricomposto.

11.4 Gli ebrei: dalla tolleranza alle persecuzioni.

Nella cristianità l’accusa prevalente fu quella di deicidio, per aver consegnato Gesù ai romani affinché lo

condannassero. La Chiesa fu perciò favorevole alla loro emarginazione dalla vita civile. Tra X e XI secolo

comparvero le prima comunità ebraiche anche nelle città italiane e tedesche. Agli ebrei furono impediti
l’acquisto di terre e l’iscrizione alle corporazioni dei mestieri: le uniche attività economiche loro consentite

rimasero il commercio e il prestito a interesse, proibito invece ai cristiani.

Il concilio lateranense del 1215 impose loro di portare un segno di riconoscimento sull’abbigliamento per

evitare rapporti con i cristiani.

Dal XIII secolo in varie città d’Europa, ma anche nei paesi musulmani, comparvero zone riservate

obbligatoriamente agli ebrei (ghet).

Fu nelle città tedesche che si verificarono nel 1096 i primi casi di sommosse popolari antiebraiche (pogrom),

anche come conseguenza dell’annuncio della prima crociata contro gli infedeli. I massacri e gli incedi dei

luoghi di culto (sinagoghe) posero le basi dell’antisemitismo europeo, che vedeva negli ebrei dei nemici

irriducibili del cristianesimo e che sospettava nella loro vita appartata la pratica di culti abominevoli.

La comparsa della peste nel 1348 - 1350 avviò una nuova ondata di pogrom: accusati di aver provocato

volontariamente l’epidemia, gli ebrei furono ovunque massacrati.

CAPITOLO XII “Crescita demografica, espansione agraria e sviluppo dei

commerci.”

12.1 L’aumento della popolazione.

A partire dal IX – X secolo iniziò un po’ ovunque nell’Occidente europeo una lunga fase di incremento

demografico destinato a durare tutto il XIII secolo. Frenato forse dalle invasioni di saraceni, ungari e

normanni, l’aumento demografico si fece continuo quando esse si arrestarono nel corso del X secolo. Cifre
attendibili sulla popolazione si hanno per l’Inghilterra grazie alla sopravvivenza del cosiddetto

Domseday Book, una sorta di censimento a fini fiscali degli abitanti del regno, compilato tra il 1080 e il
1086.

12.2 L’espansione delle campagne.

La crescita della popolazione andò di pari passo con l’estensione delle coltivazioni. La crescente pressione

demografica costrinse infatti a produrre una quantità maggiore di risorse, innanzitutto alimentari. Si diffuse

un vasto fenomeno di occupazione di terre, dissodamenti e di colonizzazioni.


A partire dal XII secolo fu introdotta anche la rotazione triennale delle terre, che metteva a riposo una parte

dei compi ogni tre anni, anziché due, accrescendone la fertilità.

Fu perseguita invece la coltura estensiva, soprattutto di cereali da pane, e di colture specializzate od

orientate alle produzioni manifatturiere urbane.

Ciò avvenne soprattutto a detrimento della varietà di coltivi che era stata tipica del sistema curtense,

funzionale all’autoconsumo della singola famiglia contadina.

La crisi del sistema curtense, dove già nel X secolo l’equilibrio tra la riserva signorile e i mansi aveva

cominciato a favorire i secondi, si accentuò. Il dominico, cioè la terra gestita dal signore attraverso i propri

servi, tese a scomparire tra XI e XII secolo, frazionato tra contadini di varia condizione giuridica. Le aziende
si

trasformarono e i campi furono tutti concessi in affitto. Anche le corvées cui i contadini erano stati tenuti

scomparvero, sostituite da canoni in denaro.

12.3 Dall’economia della terra all’economia degli scambi.

Anche i coltivatori più agiati furono in grado di vendere maggiori quantità dei loro prodotti e di reinvestire

gli introiti in denaro nell’acquisto di merci di altro genere. Da un’economia basata esclusivamente sulle

rendite agrarie si passò progressivamente ad un’economia trainata dagli scambi.

Tornò ad essere curata anche la rete delle vie di comunicazione terrestri e acquee, dopo che per secoli era

mancata la manutenzione della lastricatura delle antiche strade romane.

Lungo le vie di comunicazione si moltiplicarono i luoghi di scambio e di mercato.

L’espansione degli scambi fu sostenuta da una crescente disponibilità di moneta. Alla riforma monetaria di

età carolingia fece seguito la proliferazione di zecche e la moltiplicazione di emissioni di denaro, a base

d’argento, per iniziativa di molti signori laici ed ecclesiastici e di alcune città.

12.4 La rinascita delle città.

Fenomeno connesso alla crescita demografica, agricola, manifatturiera e commerciale fu quello dello

sviluppo urbano che caratterizzò un po’ tutte le regioni europee a partire dai secoli X e XI.
Caratteristica comune dello sviluppo urbano fu la sua stretta connessione con le attività manifatturiere e

commerciali. I mercanti e gli artigiani vi acquisirono un peso politico rilevante che li affiancò talora

contrapponendoli, all’aristocrazia legata alla terra.

Nelle città medievali gli abitanti delle città si differenziarono invece da quelli delle campagne per una

mancata divisione del lavoro. La forte espansione urbana trasse la sua forza dalla continua immigrazione
verso le città, per l’attrazione

esercitata dalla prospettive di migliori condizioni di lavoro e di vita.

L’articolazione sociale delle città Italiane era molto più varia, comprendendo anche proprietari fondiari

titolari di diritti signorili, giudici, notai etc. Le nostre città mantennero sempre una funzione di centralità

rispetto al territorio, mentre le città del nord furono quasi ovunque isole protette da privilegi economici,

fiscali e amministrativi, separate dal territorio circostanze.

12.5 La crescita delle attività produttive e dei commerci.

Gli scavi archeologici, per esempio, attestarono dal X secolo il ritorno alle costruzioni di edifici in pietra, che

richiedevano maggiori capacità tecniche: case dunque non più capanne. Intenso fu lo sviluppo delle

tecniche di estrazione e di lavorazione dei metalli, per la manifattura degli strumenti agricoli e delle

armature per i cavalieri. Nella campagne si diffuse dall’XI secolo il mulino ad acqua. Dal XII scolo si diffusero

sulle coste atlantiche anche i mulini a vento.

L’attività manifatturiera si intensificò nei villaggi, nei domini signorili e soprattutto nelle città,

differenziandosi in vari settori produttivi, taluni anche nuovi e qualificanti. Nelle città si svilupparono gruppi

di artigiani specializzati, organizzati in corporazioni (<arti>, <gilde>). Il settore in più forte espansione fu

quello tessile, e in particolare quello laniero. Introdotta dagli arabi in Sicilia, si diffuse in varie aree italiane,

francesi e tedesche anche la produzione di tessuti di seta.

La più ampia disponibilità di beni incrementò le attività commerciali.

Per la posizione geografica al crocevia dei flussi di scambio tra Oriente e Occidente tra nord e sud

dell’Europa, e per la precocità della crescita delle loro città, i mercanti italiani furono gli iniziali protagonisti

dell’espansione commerciale. Tra X e XI secolo alcune città costiere meridionali, come Amalfi, Bari e Napoli,
si inserirono nel commercio mediterraneo, creando una rete di stazioni commerciali nei porti della Siria,

della Palestina, dell’Asia Minore e del Mar Nero, punto d’arrivo della carovane mercantili dall’Oriente, e

dando vita a intensi rapporti di scambio con gli aravi e i bizantini. A esse si affiancò presto Venezia che finì

con l’ottenere nel 1082 da Bisanzio la libertà di commercio in tutto il territorio dell’impero, e divenne lo

snodo principale dei traffici mercantili tra l’Europa continentale e il Mediterraneo. Pisa e Genova, a loro

volta, si batterono, anche con azioni di pirateria e di saccheggio, per la conquista della Sardegna e della

Corsica, costituendo basi mercantili nelle regioni musulmane: in Sicilia, in Spagna e sulle coste africane. Fra

XI e XII secolo le città marinare italiane acquistarono un sostanziale monopolio dei commerci mediterranei,

scalzando i mercanti greci ebrei e musulmani.

CAPITOLO XIII “La diffusione dei rapporti feudali”

13.1 Dalla fedeltà personale al raccordo politico.

L’aristocrazia sviluppò un sistema di rapporti fondato sullo scambio tra fedeltà militare offerta da un vassus

e impegno di protezione garantito da un senior attraverso la concessione di un beneficio.

Due fasi di evoluzione principali:

1. Dura fino al X secolo, i rapporti vassallatico – beneficiari servono da collante dell’ordinamento

pubblico. (Nell’impero carolingio i vassalli non erano ufficiali del regno, bensì conti, marchesi e missi. Il

vassallo non poteva esercitare le funzioni pubbliche sulle terre ottenute in beneficio, che non

appartenevano al suo patrimonio ma gli erano concesse solo come compenso economico della sua

fedeltà militare. Fu solo con la dissoluzione dell’impero tra IX e X secolo che le grandi famiglie

aristocratiche resero ereditarie sia le cariche che i benefici.

2. Dall’XI secolo quando, con lo sviluppo dei poteri signorili, tali legami si rivelarono uno strumento

utile per collegare tra loro i nuclei di potere dispersi. Fu l’estrema frammentazione del potere

pubblico che trasformò la natura dei rapporti vassallatici. Inoltre, i benefici, anche i minori, erano

ormai incorporati nei patrimoni dei vassalli e resi ereditari dall’Edictum de Beneficiis di Corrado II

del 1037. Da quel momento i rapporti vassallatici mutarono definitivamente, trasformandosi da

legami di fedeltà personale di tipo militare in raccordi di tipo eminentemente politico. Solo per

questa età è dunque appropriato parlare di rapporti di tipo feudale.


Il feudo divenne lo strumento preferenziale di concessione di diritti pubblici e ciò consenti di coordinare

intorno a nuove gerarchie quei poteri locali che l’eccessiva frammentazione esponeva al pericolo di

isolamento. Viceversa, tali poteri poterono inquadrarsi in rapporti di subordinazione che non intaccavano la

loro autonomia.

Il coordinamento dei signori locali in compagini territoriali più ampie attraverso i nuovi strumenti feudali fu

accompagnato dal XII secolo dall’elaborazione di un vero e proprio diritto feudale. Per assicurarsi la fedeltà

dei vassalli taluni principi imposero di prestare un omaggio cosiddetto <ligio>, che in caso di conflitto era

considerato superiore a tutti gli altri omaggi prestati. Il tradimento degli obblighi di fedeltà feudale tra il

signore e il vassallo fu configurato nei termini del crimine di <fellonia>.

Nemmeno i cavalieri vanno confusi con i vassalli: potevano diventarlo, ma non lo erano in quanto tali. Il

rapporto tra signore e vassallo era un rapporto tra pari.

13.2 Autorità universali e legami feudali.

Le aspirazioni universalistiche del papato, di proporsi cioè come vertice politico assoluto della cristianità e

non solo come capo della chiesa cattolica, trovarono nei raccordi vassallatici lo strumento per attuarsi. La

consacrazione papale rafforzava l’autorità dei regnanti, che grazie al legame feudale non erano costretti a

rinunciare alla piena sovranità sui propri territori. Il primo importante omaggio di fedeltà al pontefice fu

prestato nel 1059 dal normanno Roberto il Guiscardo a Niccolò II (1058 -1061), che gli infeudò i ducati di

Puglia e di Calabria, legando così durevolmente al papato le vicende dei normanni e dell’Italia meridionale.

Federico I (1152 – 1190), in particolare, intervenne nell’organizzazione dei territori tedeschi, rimaneggiando

i ducati <etnici>, smembrando alcuni principati e creando nuove signorie territoriali.

A differenza dei pontefici, gli imperatori non furono in grado di utilizzare gli strumenti feudali a sostegno

delle proprie ambizioni universalistiche.

L’apogeo feudale pontificio fu raggiunto da Innocenzo III (1198 – 1216) che elaborò il principio che il papa

riceveva da Dio sia il potere spirituale sia quello temporale, e delegava l’autorità temporale ai sovrani, che

dovevano esercitarla sotto la sua guida.

CAPITOLO XIV “La formazione dei regni.”


14.1 Le monarchie feudali.

Il processo di ricomposizione territoriale che appare caratterizzare la storia politica dell’Occidente tra XI e

XIII secolo ebbe i suoi principali protagonisti nelle monarchie.

Dalla frammentazione politica che era seguita all’impero carolingio presero corpo intorno ai nuovi poteri

monarchici alcune aree che avrebbero poi definito alcune delle principali identità politiche nell’epoca

successiva: la Francia, l’Inghilterra, l’Italia meridionale, la penisola iberica. Esito comune fu infatti la

stabilizzazione, all’inizio del XIII secolo, di regni capaci di inquadrare i dispersi poteri signorili, ecclesiastici e

urbani locali in una rete di vincoli che faceva ormai capo alla figura di re.

Ogni re era in origine un grande signore territoriale, essi avevano stabilizzato i propri patrimoni fondiari,

avevano reso dinastiche le cariche pubbliche di derivazione carolingia, ed erano riusciti a imporre la propria

autorità su un territorio relativamente ampio. La novità fu rappresentata con le conquista militari,


attraverso

le relazioni diplomatiche, o mediante le vicende dinastiche, e di presentarsi come principi superiori agli altri

e capaci di ricomporre la frammentazione dei poteri locali.

I nuovi poteri monarchici seppero differenziarsi dai signori locali in vari modi.

• Rivendicando titoli e funzioni superiori.

• Elaborando quindi nuovi contenuti ideologici, carismatici e giuridici della legalità.

• Instaurando con i grandi signori territoriali relazioni feudali che sottolineassero la loro posizione di

preminenza.

Nel processo di ricomposizione politica e territoriale guidata dalle monarchie ebbero un ruolo centrale le

relazioni feudali, al punto che gli storici usano correntemente l’espressione <monarchia feudale>.

Le monarchie si dotarono cioè di apparati burocratici sempre più articolati, potenziando anche le
cancellerie

e gli organi centrali di governo, e facendo crescente ricorso alla scrittura ad uso amministrativo. I nuovi

monarchi poterono infatti avvalersi della ritrovata circolazione monetaria e dell’espansione dell’economia

europea per remunerare i burocrati del servizio svolto.


La potestà regia era orientata verso un esercizio territoriale della propria autorità, cioè sulla capacità di

comando su tutti gli abitanti di uno spazio definito.

Cardine di questo sforzo regio fu l’imposizione del principio della superiorità del tribunale regio su quelli

signorili, con l’obbligo dei sudditi di fare ricorso alla giustizia del re in caso di delitti particolarmente gravi

oppure in appello.

14.2 Il regno di Francia.

Il regno dei franchi occidentali, dopo la dissoluzione dell’impero carolingio, corrispondeva grosso modo

all’area della Gallia romana e costituiva, tra X e XI secolo, un’area politica caratterizzata da un sistema di

principati. La dinastia dei Capetingi che aveva assunto nel 987 il titolo regio controllava infatti solo uno dei

principati territoriali in cui era frammentata la Francia dell’epoca. Il dominio diretto dei Capetingi era

limitato a un’area ristretta compresa tra la Loira e la Senna.

La debolezza del potere dei Capetingi si trasformò paradossalmente in un fattore di forza per la loro

affermazione monarchica. Proprio perché debole, il loro esercizio della regalità non era avvertito come una

minaccia effettiva dagli altri potentati locali, che lo accettavano in quanto simbolo dell’unità del regno e di

garante nelle dispute tra i grandi signori. Per questa via i Capetingi mantennero vivo il regno per tutto l’XI

secolo e posero le basi per l’aumento del proprio potere nel secolo successivo. Assicuratosi il pieno

controllo del principato <reale>, infatti i Capetingi assunsero il compito effettivo di protettori delle chiese e

di garanti delle paci di mercato in aree soggette ad altri principati, così guadagnandosi il sostegno delle

gerarchie ecclesiastiche e delle città del regno.

Tra XII e XIII secolo la propaganda regia presentò l’immagine del re come un personaggio dotato di poteri

taumaturgici. I sostenitori regi diffusero la credenza che il sovrano acquisisse dall’unzione divina nel corso

della cerimonia di incoronazione la capacità di curare, con il sol tocco della mano, alcune gravi, malattie, tra

le quali la scrofola (una forma grave di tubercolosi).

Fu a partire dall’epoca di Luigi VI (1108 – 1137) e, soprattutto, di Luigi VII (1137 – 1180) che si avviò un

primo deciso processo di consolidamento delle strutture del regno. Furono sviluppati gli apparati centrali in

primo luogo quelli concernenti l’esazione fiscale, e dislocati i primi rudimentali strumenti di controllo regio

nei territori immediatamente soggetti agli altri principi.


Anche la superiorità giudiziaria del re cominciò ad essere affermata durante il lungo regno di Luigi VII; egli

divenne progressivamente il punto di riferimento per la soluzione delle dispute tra grandi signori.

Luigi VII dovette affrontare un lungo e duro conflitto con i più potenti dei loro vicini, i Plantageneti.

Enrico (Figlio di Goffredo d’Angiò Plantageneto e Matilde, la figlia del re d’Inghilterra) sposò nel 1152

Eleonora, signora di Aquitania e del Poitou, e nel 1154 ricevette anche la corona d’Inghilterra. Egli venne

così concentrando sotto un’unica autorità un dominio vastissimo, esteso sulle due coste della Manica, e che

andava dalla Scozia ai Pirenei.

Il conflitto fu inevitabile, ma pur perdurando a lungo si risolse nel riconoscimento della presenza minacciosa

del re d’Inghilterra entro i confini del regno di Francia.

Filippo II, detto Augusto (1180 – 1223) risolse il problema dei Plantageneti.

• Attraverso una politica matrimoniale assicurò il controllo sulle aree orientali del regno.

• Con decise azioni militari strappò agli eredi di Enrico d’Inghilterra la maggior parte dei territori

francesi.

1214 = Battaglia di Bouvines (Appoggiato da Innocenzo III e Federico II di Germania, Filippo II sconfigge

Ottone IV e Giovanni I Plantageneto d’Inghilterra.)

Giovanni I Plantageneto (“Giovanni Senza Terra”) fu costretto a cedere alla Francia tutti i possedimenti a

nord della Loira.

Filippo rafforzò l’apparato burocratico:

Balivi = Destinati all’amministrazione dei beni della corona.

Prevosti = Per l’amministrazione della giustizia regia, riscossione delle imposte.

Gli obblighi dei vassalli cominciarono ad essere redatti per iscritto e la rete della fedeltà feudale fu resa più

gerarchica.
14.3 Il Regno d’Inghilterra.

Alla fine del IX secolo il re anglosassone del Wessex Alfredo il Grande (871 – 899) era riuscito a fermare

l’espansione vichinga in Inghilterra e ad avviare un’energica azione di governo, che fu poi ulteriormente

rafforzata dai successori. Il regno anglosassone unificò i numerosi poteri locali presenti sul territorio

dell’isola britannica.

Il regno era diviso in circoscrizioni territoriali in cui operavano gli agenti del re ( sherifs), incaricati della

riscossione dei tributi e dell’amministrazione della giustizia.

I grandi possessori fondiari (earl) svolgevano per il re compiti di coordinamento militare su base territoriale.

Dal 1016 si impadronì della corona, con una spedizione militare, il danese Canuto II, detto il Grande perché

capace di ottenere un dominio esteso anche alla Danimarca e alla Norvegia.

Canuto III a sua volta designò come successore sul trono anglosassone il fratellastro Edoardo il Confessore,

figlio di Emma di Normandia, che fu eletto re nel 1042 dall’assemblea dei nobili.

Il regno di Inghilterra pervenne così ai normanni per rivendicazione dinastica e per mezzo di una grandiosa

operazione militare.

Avvenne che il duca di Normandia Guglielmo, alla morte senza figli del cugino Edoardo il Confessore re

d’Inghilterra nel 1066, che lo aveva indicato sin dal 1051 come suo erede al trono inglese, si oppose

all’incoronazione di Aroldo del Wessex. Attraversata la Manica sbarcò sull’isola con il suo imponente

esercito di cavalieri ed ebbe facilmente ragione delle truppe sassoni nella battaglia di Hastings.

14 Ottobre 1066 = BATTAGLIA DI HASTINGS.

La resistenza degli anglosassoni si prolungò per qualche tempo e la conquista fu completata nel 1071, con

l’eccezione del Galles e della Scozia.

Con il colossale censimento detto Domesday Book, completato nel 1086, il sovrano registrò a fini fiscali
tutte

le proprietà fondiarie, i nomi dei vassalli e il numero dei capifamiglia del regno, anche per evitare eventuali
usurpazioni.

Gli incerti interregni seguiti alle morti di Guglielmo (1087) e di Enrico I (1135) avevano favorito un clima di

guerra interna scatenata dai baroni, risolto solo dall’ascesa di Enrico II (1154 – 1189), primo re della
famiglia

della dinastia dei Plantageneti capace di riaffermare il potere monarchico.

Molti castelli signorili furono abbattuti, ulteriori limitazioni furono poste nell’amministrazione della giustizia

e nella riscossione delle tasse, e fu introdotta un’imposta che esentava i baroni dal servizio militare. In tal

modo il peso militare dell’aristocrazia venne diminuendo mentre il progressivo espandersi

dell’amministrazione regia apriva ai baroni la partecipazione agli apparati burocratici.

Nell’assise di Claredon del 1164, Enrico II emanò delle disposizioni (Costituzioni) che rivendicavano alla

corona il pieno esercizio dell’autorità giudiziaria. Si posero le basi per un sistema (futuro common law) in
cui

le giurisdizioni particolari, a cominciare da quelle feudali, potevano essere spogliate di cause rimesse alle
corti regie, la cui articolazione tra tribunali centrali, giudici itineranti e corti locali fu ulteriormente

rafforzata.

Enrico II cercò di sottomettere alla giustizia regia anche il clero, ledendone il privilegio di immunità
garantito

dal diritto canonico.

L’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket alla guida del clero inglese, già cancelliere della corona, fu

costretto all’esilio in Francia e poi assassinato in circostanze non chiarite nel 1170. Il clamore del delitto

costrinse il re ad alcune concessioni alla Chiesa. Ma, nel complesso, la giurisdizione regia ne riuscì
rafforzata.

Vi sarà però un grande regresso con i successori.

Le lunghe assenze dall’Inghilterra di Riccardo Cuor di Leone (1189 – 1199), impegnato nella crociata e nelle

guerre di Francia, lasciarono nuovamente spazio alle rivendicazioni della nobiltà. Giovani Senza Terra (1199

– 1216) subì la deposizione dal papa per contrasti con l’arcivescovo di Canterbury, fu sconfitto a Bouvines
nel 1214 e perse i possessi in Francia.

I sacrifici imposti per finanziare le guerre in continente lo costrinsero a concedere nel 1215 un ampio

documento (Magna Charta Libertatum) che ridefiniva i rapporti tra il sovrano e i sudditi. Il sovrano era

richiamato a rispettare le antiche consuetudini e a riconoscere le prerogative dei nobili, del clero e delle

comunità mercantili cittadine; nel caso di nuove imposizioni fiscali era richiesta la loro approvazione; e fu

formato un consiglio di 25 baroni (magna curia) che avrebbe dovuto assistere il re nel governo del regno.

14.4 Il regno normanno nell’Italia meridionale.

L’Italia meridionale tra X e XI secolo appariva caratterizzata da una forte frammentazione politica.

La Sicilia, in mano agli arabi da più di un secolo, soffriva delle crescenti lotte di fazione che dividevano

violentemente i dominatori musulmani.

In un contesto così frammentato, giunsero al principio dell’XI secolo dal ducato di Normandia numerosi

cavalieri chiamati dai principi longobardi e bizantini in lotta tra loro. Nel giro di pochi decenni alcuni

avventurieri normanni riuscirono a costituire piccoli domini quale ricompensa per i servizi militari prestati.

Rainuflo Drengot ottenne la contea di Aversa dal duca di Napoli nel 1029.

Guglielmo <Braccio di ferro> d’Altavilla la contea di Melfi dal principe di Salerno nel 1041.

Prestarono inizialmente fedeltà all’imperatore, provocando la reazione del papa Leone IX.

1053 = Papa Leone IX, aiutato dalle truppe dell’aristocrazia romana e laziale e da quelle bizantine, sfida in

battaglia Roberto d’Altavilla a Civitate sul Fortore. Lo scontro è vinto dai normanni che però

decidono di sfruttare l’opportunità di scendere a patti con il pontefice, catturato e ospitato da

Roberto. Durante i nove mesi di prigionia, Leone IX riconosce la presenza normanna nel meridione,

in cambio riceve l’omaggio vassallatico e la conferma della signoria sulla città di Benevento.

(ACCORDO DI MELFI)

1059 = Papa Niccolò II ratifica formalmente gli accordi vassallatici intercorsi tra Leone IX e Roberto il

Guiscardo. Viene così confermata ai normanni la supremazia su Puglia e Calabria, accettandone la


supremazia espansionistica all’intera Italia meridionale e dandogli anche l’autorizzazione di dare inizio

alla conquista della Sicilia. 1085 = Roberto d’Altavilla tenta la conquista della Grecia bizantina ma incontra
la morte.

1061 – 1091 = Ruggero d’Altavilla comincia e conclude la conquista della Sicilia.

Urbano II gli concede nel 1098 l’autorità di legato apostolico, con il compito di ridefinire le circoscrizioni

ecclesiastiche dell’isola, profondamente islamizzata, e di nominarvi i titolari delle sedi vescovili.

A differenza della conquista dell’Inghilterra, che puntava a un regno già organizzato, la conquista normanna

del Mezzogiorno Italiano dovette dare luogo alla costruzione di una nuova monarchia.

Ruggero II riunificò i diversi principati normanni, raccogliendo l’eredità dell’ultimo duca di Puglia e Calabria

nel 1127, nonostante l’opposizione capeggiata da Onorio II.

Apertosi lo scisma tra il successore di quest’ultimo, Innocenzo II (Frangipane), [dopo qualche, ora i Pierleoni

pagano i cardinali e viene eletto Anacleto II] Ruggero è l’unico a schierarsi con Anacleto. Lotario II si schiera

Innocenzo.

Ruggero ottiene dall’antipapa il titolo di re di Sicilia e l’unzione sacra, assumendo una dignità superiore

rispetto a tutti i poteri esistenti nel nuovo regno.

1137 – 1138 = Lotario II e Anacleto muoiono.

Ruggero II seppe governare con saggezza, valorizzando le diversità culturali dei popoli del regno. Ne sono

ancor’oggi testimoni i molti monumenti artistici e architettonici ricchi di influssi delle tradizioni (Nordiche,

Bizantine, Arabe e Latine) di cui la corte normanna di Palermo fu raffinata espressione.

Il regno si fondava su una solida organizzazione feudale, introdotta proprio dai normanne e capace, come in

Inghilterra, di esercitare un deciso controllo sui baroni, e si affidava a una struttura burocratica ereditata dai

musulmani e dai bizantini.


Ruggero II rafforzò gli uffici centrali e impiegò appositi ufficiali periferici per controllare le realtà locali, una

<curia> feudale, composta da ministri e consiglieri con competenze specializzate, che gli consentì di

associare al governo i grandi del regno.

Ruggero II perseguì anche una politica espansionistica in Africa e in Grecia, che lo portò alla conquista di

Gerba (1135), Tripoli (1146) e corfù (1146).

Il controllo della feudalità e il contenimento degli sviluppi urbani, che ne mortificò le autonomie

accentuandone le differenze rispetto ai coevi sviluppi delle città comunali del centro – nord, accrebbero

tensioni che esplosero in aperte rivolte da parte dei baroni e delle città dopo la morte di Ruggero II.

Esse furono fronteggiate dal successore Guglielmo I.

Alla morte di Guglielmo II (1166 – 1189) senza eredi maschi la corona passò a Costanza, figlia di Ruggero II,

che avendo sposato nel 1186 l’erede al trono imperiale Enrico degli Hohenstaufen portò in dote il regno di

Sicilia alla dinastia sveva. Alla morte del conte di Lecce Tancredi d’Altavilla, che i baroni siciliani avevano

eletto re, Enrico VI si impadronì del regno nel 1195, reprimendo duramente la rivolta dei nobili, e

procedendo con risolutezza all’annientamento del gruppo dirigente norreno che si era affermato introno

alla monarchia. Il sovrano morì però prematuramente nel 1197.

CAPITOLO XV “L’espansione armata della cristianità.”

15.1 La reconquista e i regni iberici.

Nella penisola iberica la riorganizzazione monarchica si svolse in relazione con il grande movimento di

rioccupazione da parte dei cristiani dei territori conquistati dai musulmani. (Dal XIX secolo detto

reconquista).

La riconquista trasse una spinta ideale della lotta per la cristianizzazione delle regioni islamizzate, e per

questo godette dell’appoggio del papato. Essa fu il frutto dell’iniziativa di dinastie locali, e diede vita non a

un regno unitario ma a una pluralità di organismo minori che inglobarono nuovi territori. Nuclei di partenza

furono piccoli regni del nord della penisola: alla morte di Sancho III nel 1035, dal regno di Navarra si separò

la contea di Castiglia, che assunse dignità regia e autorità anche sul regno di Leon e sulle Asturie;
dall’unione
di alcuni principati franchi nacque il regno di Aragona, che nel 1134 si unificò con la contea di Barcellona;

nel 1139, infine, dal regno di Leon e Castiglia si separò la contea di Oporto, nucleo del successivo regno di

Portogallo.

Alla base della reconquista era la crisi generale del mondo musulmano.

L’XI secolo vide la continua avanzata degli eserciti cristiani verso sud, fino alla conquista di Toledo nel 1085

da parte del re di Castiglia e Leon, Alfonso VI, che vi trasferì la capitale. Per reazione il califfato fu

conquistato dalla dinastia berbera degli Almoravidi nel 1086, la cui robusta organizzazione politica e
militare

frenò l’avanzata cristiana.

La seconda fase della reconquista riprese solo verso la fine del XII secolo lungo tre direttrici principali,

corrispondenti all’espansione dei regni di Portogallo, Castiglia e Aragona. La vittoria degli eserciti cristiani

uniti a Las Navas de Tolosa, presso Cordova, nel 1212 aprì la strada per la conquista delle principali città

musulmane.

I regni cristiani iberici dovettero affrontare al proprio interno problemi analoghi a quelli che nelle coeve

monarchie europee venivano definendo i rapporti fra un potere regio in via di affermazione e
un’aristocrazia

resa sempre più potente dalle rendite militari.

Alfonso VI (Leon e Castiglia)[1072 – 1109] fu il primo sovrano a puntare sulla sacralizzazione del potere

monarchico per esaltarne l’autorità: egli si proclamò <imperatore> di tutta la Spagna, ottenendo il

riconoscimento del re di Aragona.

Alfonso VII [1126 – 1157] riuscì a imporre alla nobiltà una serie di prestazioni collettive e subordinare i

benefici dei vassalli alla prestazioni dell’omaggio al re. Le città riconquistate e i centri di nuova fondazione

ricevettero dai sovrani franchige e privilegi che prevedevano consigli municipali liberi dall’influenza della

nobiltà.

Nel regno di Aragona, che si reggeva sull’accordo giurato tra il re e le élites delle diverse regioni, il luogo
della mediazione politica fu rappresentato dalle assemblee (cortes) che riunivano periodicamente i

rappresentanti dei baroni, del clero e delle città mercantili.

15.2 L’area imperiale e l’espansione verso est.

Mentre in varie aree dell’Occidente la ricomposizione politica fu promossa dall’affermazione dei regni, fra

XII e XIII secolo l’area imperiale, e soprattutto il regno germanico e l’Italia centro – settentrionale, rimasero

caratterizzate da una notevole frantumazione locale dei poteri. L’impero non riusciva a proporsi con la

medesima capacità delle altre monarchie come struttura di inquadramento del territorio, a fronte della

forza persistente delle signorie territoriali, dei principati, delle città e delle comunità alpine. La debolezza

dell’impero derivava anche dalla mancata affermazione del principio dell’ereditarietà della corona.

Dopo la morte di Enrico V nel 1125, la lotta per la corona si polarizzò tra la casata dei duchi di Svevia e

quella dei duchi di Baviera. Fu solo l’elezione a re di Germania, nel 1152, di Federico I di Svevia, discendente

per parte di madre dalla casa di bavarese, a ricomporre il dissidio che lacerava l’aristocrazia germanica.

Federico I (imperatore dal 1155 – 1190 ) incrementò i domini della casata degli Hohenstaufen concentrati

nelle regioni sud – occidentali della Germania, affidandoli all’efficiente amministrazione dei propri

ministeriali.

Le frequenti assenze dalla Germania degli imperatori li indussero a riconoscere con sempre maggiore

frequenza la piena sovranità territoriale dell’aristocrazia.

Federico II (1212 -1250), per esempio, concesse ampi poteri ai vescovi nel 1213 (Bolla d’oro) e ai principi nel

1231 (Statutum in favorem principum), tra i quali il divieto ai loro sudditi di potersi appellare alla giustizia

dell’imperatore.

Grande importanza nella storia tedesca ebbe anche il movimento di espansione territoriale verso l’Europa

orientale, abitata ancora da popolazioni pagane.

Agli inizi del XIII secolo protagonisti della cristianizzazione forzosa furono soprattutto gli ordini monastici dei

Cavalieri Teutonici e dei Portaspada, fondati nel 1198 e 1202. Nei territori conquistati, che dilatarono

stabilmente l’area d’influenza tedesca e imperiale sulla Prussia orientale e sulla Livonia, si trasformarono

nuove signorie ad opera dei nobili e dei cavalieri tedeschi o di dinasti locali.
15.3 Le crociate in Terrasanta.

Uno degli aspetti del rinnovamento dell’XI secolo fu la diffusione crescente della pratica del pellegrinaggio

nei luoghi sacri della cristianità: a Roma, a Gerusalemme e a Santiago di Compostela.

Dalla metà dell’XI secolo si consolidò anche l’uso da parte dei pontefici (Alessandro II nel 1064) di
concedere

l’indulgenza a chi partecipasse alla reconquista armata della penisola iberica contro i musulmani.

Da allora cominciò a essere ritenuto legittimo battersi contro gli infedeli per difendere i pellegrini cristiani e,

più in generale, per diffondere il cristianesimo, se necessario anche con la forza.

Il <pellegrinaggio armato> acquistò dimensioni imponenti nel momento in cui fu indirizzato alla liberazione

della Terrasanta, cioè dei luoghi in cui era nato e vissuto Gesù, che erano stati occupati ormai da secoli dagli

infedeli. In particolare, l’accesso a Gerusalemme era reso sempre più oneroso dalla dominazione della

dinastia turca dei selgiuchidi. L’esortazione venne direttamente dal pontefice, Urbano II, in occasione di

un’assemblea di feudatari e cavalieri francesi tenuta nel 1095 a Clermont. Il papa fece appello ai cavalieri

cristiani a porre fine alle lotte fratricide e a intraprendere un pellegrinaggio di espiazione in Terrasanta. Nel

1096 si avviò una spedizione armata che raccolse alcuni dei maggiori esponenti dell’aristocrazia francese e

normanna (PARTECIPANTI: Ugo di Vermandois, Goffredo di Buglione, Baldovino di Boulogne, Raimondo


diProvenza, Roberto di Fiandra, Boemondo e Tancredi d’Altavilla, Legato di Urbano II: Ademaro di Monteil
e

Roberto di Normandia).

1096 = Riunione degli eserciti europei a Costantinopoli.

1097 primavera = Partenza da Costantinopoli.

1097 maggio = Conquista di Nicea.

1097 – 1098 = Antiochia assediata e conquistata.

1097 – 1098 = Tancredi d’Altavilla conquista Tarso, Baldovino di Boulogne conquista Edessa.
1098 primavera – 1099 estate = Raimondo di Provenza conquista Tripoli.

1099 Giugno = L’esercito crociato giunge in vista di Gerusalemme.

15 Luglio 1099 = Gerusalemme è conquistata, Goffredo di Buglione assume il titolo di Advocatus Sancti

Sepulcri.

L’elite di questi regni era composta da nobili e cavalieri che nei paesi d’origine erano chiusi dalla

primogenitura ereditaria, e che nei territori d’oltremare trovavano invece occasioni di promozione sociale e

di guadagno economico.

Per difendere i luoghi sacri e per proteggere i pellegrini furono istituiti degli ordini monastici militari:

dapprima i cavalieri del Santo Sepolcro e gli Ospedalieri di San Giovanni nel 1099, e poi i Templari nel 1118.

Sottoposti a disciplina monastica, i cavalieri dovevano osservare i voti di povertà, castità e obbedienza, e

difendere la cristianità con le armi.

I regni cristiani non furono in grado di resistere a lungo di fronte alla reazione musulmana.

Condotta tra il 1147 e 1148, la spedizione si risolse in un nulla di fatto. Pochi decenni dopo si formò una

nuova potenza islamica tra Egitto e Siria, sotto il dominio del sultano di origine curda Salah ed – Din Yusuf

(<Saladino>) che riconquistò quasi tutti i territori occupati dai cristiani ed entrò trionfante in Gerusalemme.

Una nuova sepedizione fu guidata direttamente di persona dall’imperatore e dai re di Francia e di


Inghilterra

tra il 1189 e 1192. Anche questa volta i risultati militari furono scarsi, per le divisioni tra i sovrani.

La riconquista musulmana di San Giovanni d’Acri, nel 1291, segnò la fine della presenza crociata in Oriente.

Pur inquadrandosi nell’idea della militia Christi, cioè della lotta contro i nemici della cristianità, le prime

spedizioni avevano costituito degli episodi a sé stanti, contingenti, privi di un disegno organico.

Esso venne maturando solo a partire dal pontificato di Innocenzo III (1198 – 1216)
In precedenza infatti le spedizioni militari in Terrasanta erano state indicate nei termini di pellegrinaggio e
di

viaggio di oltremare.

Da allora si diffuse l’idea di crociata per indicare le azioni militari dirette sia alla difesa dei luoghi della

cristianità sia alla repressione dei suoi nemici interni, in primo luogo gli eretici.

Innocenzo III per esempio, indisse nel 1208 una crociata contro i catari della Francia meridionale.

I crociati potevano partire individualmente o aggregarsi alle spedizioni minori che ogni anno muovevano
per

la Terrasanta o l’est europeo.

Le crociate non si nutrirono solo di ideali religiosi e di interessi politici, ma offrirono anche occasioni di

arricchimento ai mercanti che si insediarono nelle città costiere degli stati crociati per incrementare i propri

commerci.

Temendo un peggioramento delle condizioni di commercio a Bisanzio, i veneziani offrirono ai crociati che si

erano radunati a Venezia nel 1202 di trasportarli in Oriente in cambio di una spedizione contro

Costantinopoli.

La città fu presa e saccheggiata nel 1204: anziché puntare a Gerusalemme i crociati si spartirono con i

veneziani i territori dell’impero, dando vita a un nuovo <impero latino d’Oriente> destinato a sopravvivere

per circa un sessantennio. Dopo questa impresa, cui seguirono altre quattro spedizioni maggiori nel corso

del XIII secolo, il movimento crociato venne esaurendo gli ideali religiosi originari e si dimostrò incapace di

realizzare gli obbiettivi militari. Conseguenza negativa fu anche la crescente intolleranza da parte dei

musulmani nei confronti dei pellegrini e dei mercanti occidentali.

CAPITOLO XVI “La ricchezza economica.”

16.1 Il <boom> demografico.

L’incremento di popolazione che si era avviato dal IX – X secolo, e che aveva già assunto dimensioni
consistenti nel corso dell’XI – XII secolo, divenne impetuoso nel corso del XIII secolo.

L’indicatore più spettacolare della crescita demografica fu l’incremento della popolazione urbana, che

riguardò un po’tutte le regioni europee. Le città furono attraversate da uno slancio edilizio mai conosciuto

fino ad allora, con l’allargamento delle cinte murarie a comprendere nuovi spazi, la riduzione delle aree non

ancora edificate e spesso lasciate a campo, la costruzione in altezza delle abitazioni, a cominciare dalle
torri.

Tra le manifatture ebbe grande sviluppo quantitativo e qualitativo quella tessile, in particolare la
produzione

di stoffe e lana.

Il commercio a largo raggio conobbe nel corso del XIII secolo una generale ripresa, favorita dalla maggiore

sicurezza delle vie di collegamento garantita dalla accresciute condizioni di stabilità politica. Nel continente
i

mercanti si concentrarono principalmente in tre aree: le fiere di Champagne, le Fiandre e l’area del Mar

Baltico.

Furono soprattutto i mercanti italiani a dominare il commercio internazionale, per la loro presenza sia in

Europa sia nel Mediterraneo.

Dal XIII secolo, ebbero un ruolo in primo piano i mercanti Genovesi e Veneziani, che si scontrarono per la

supremazia.

I genovesi tornarono attivi nell’area mercantile di Costantinopoli al seguito della restaurazione dell’Impero

Bizantino per opera di Michele Paleologo nel 1261, che compensò l’appoggio militare e finanziario dei

genovesi con ampie concessioni per commerciare a Costantinopoli e nel Mar Nero. La battaglia navale della
Meloria del 1284, che inflisse durissime perdite a Pisa, segnò la supremazia di

Genova nel Mediterraneo occidentale.

Alla figura avventurosa del singolo mercante si vennero sostituendo forme di impresa più evolute, che

associavano più individui negli investimenti, nei rischi e nei profitti.


La circolazione di monete di specie diversa sollecitò lo sviluppo di nuovi servizi finanziari, offerti da

operatori specializzati, i cambiatori o banchieri, che assicuravano il cambio delle monete e il prestito del

denaro. Furono essi a diffondere nuovi strumenti di pagamento come le lettere di cambio, che
consentivano

di trasferire il denaro da un banco all’altro senza rischiosi spostamenti materiali di monete.

Caratteristiche dell’epoca non furono più solo le figure di ecclesiastici e religiosi come nei secoli precedenti,

ma anche nuove figure di laici come, in primo luogo, i mercanti e i notai.

La figura che più di ogni altra incarnò le trasformazioni del periodo fu quella del mercante.

Essi svilupparono una vera e propria cultura mercantile, cioè un sapere tecnico che li portò a innovare le

forme societarie e gli strumenti contabili e finanziari. Problematica fu invece la questione del prestito a

interesse, condannato moralmente dalla chiesa come usura. Nonostante l’individuazione di mezzi leciti per

percepire un interesse, molti mercanti in punto di morte usavano donare parte dei cospicui patrimoni

accumulati ai poveri o alle chiese per mondarsi l’anima dal peccato di usura. Non a caso, la credenza in un

luogo intermedio dell’aldilà, il purgatorio, nel quale i peccatori pentiti avrebbero scontato una pena

emendatrice, cominciò ad affermarsi proprio tra XII e XIII secolo.

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