“Raccontare la storia della Paramount in Italia significa – non solo – esplorare
un momento importantissimo della Storia del cinema italiano, ma rendere onore al lavoro e alla lungimiranza di grandi personalità, oggi purtroppo dimenticate, che hanno dato via a produzioni in grado di regalare al pubblico film indimenticabili. ‘LA PARAMOUNT’ – come enfaticamente dicevano tutti in quegli anni – è stata lo Studio hollywoodiano di riferimento per oltre tre decadi, generando una collaborazione senza uguali tra il cinema americano e quello del nostro Paese. Ringrazio, quindi, Paramount Channel di avermi consentito di lavorare su un progetto tanto entusiasmante e importante dal punto di vista storico quanto industriale.” Parla così Marco Spagnoli, direttore e regista del lungometraggio che celebra il longevo rapporto tra Paramount Picture e l’Italia dovuto al genio di due executive, Pilade Levi e Tony Luraschi, raccontato dalle voci e dalle preziose e indispensabili testimonianze di grandi protagonisti dell’industria cinematografica italiana. Il documentario, prodotto da Ascent Film da un’idea di Luca Cadura per Kenturio, elogia ed eleva la produzione americana ad una delle più grandi case cinematografiche nella storia del cinema e, ancor di più, a l’unica che abbia saputo, sin dagli esordi e grazie all’aiuto dei due italo-americani, creare un ponte longevo tra la vecchia e illustre tradizione cinematografica italiana alla nuova scuola americana, frizzante e intraprendente, che da sempre ha guardato con ammirazione e rispetto il suo autorevole padre, il cinema italiano, appunto. Autorevoli figure del mondo del cinema e della televisione si alternano all’interno del documentario fornendo la loro unica prospettiva: di notevole importanza il contributo fornito da Giulia Levi e Tony Luraschi i quali ci raccontano con estrema dolcezza dell’intraprendenza dei loro padri arrivati in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale per dare nuova luce e dignità alla nostra industria cinematografica, caduta in declino a causa della guerra. I loro interventi influenzarono fortemente l’industria cinematografica a livello mondiale, ad esempio, portarono dall’America il contratto fisso per gli attori che garantiva loro di collaborare con più società contemporaneamente, non dovendosi necessariamente legare ad una singola casa di produzione. La loro attitudine non si tradusse in mero fiuto per gli affari ma in spassionato amore per il cinema che ha permesso loro di far produrre in Italia capolavori come Il Conformista, Romeo e Giulietta, Le Notti di Cabiria, solo per citarne alcuni. I primati di Paramount non sono indifferenti: il documentario mostra come sia stato il primo studio a produrre in Italia e a mettere sotto contratto Isa Miranda nel 1937. Da quel momento ebbe inizio una collaborazione dinamica che vide l’Italia al centro di importanti campagne promozionali grazie al proprio patrimonio artistico, cornice di capolavori senza tempo. Le immagini di questi lungometraggi, girati nelle più importanti città Italiane, hanno contribuito a costruire l’immaginario cinematografico del Bel Paese che ancora oggi affascina e attira registi e attori da ogni parte del mondo. Il mito dell’Italia all’estero nasce proprio in questi anni di fervore produttivo: la consapevolezza di tradizioni e luoghi comuni di cui noi Italiani siamo (quasi morbosamente) gelosi, deriva da qualche iconica scena della cinematografia italo-americana. Nessun dubbio che la celeberrima scena di Vacanze Romane, in cui il giovane giornalista inserisce timidamente la sua mano nella Bocca Della Verità per evitare che gli venga risucchiata, è in definitiva derivante da leggende di matrice italiana e tedesca che raccontano di questa bocca magica capace di scovare la mano del truffatore e/o dell’impostore e di mangiarla. Così come, sempre in Vacanze Romane, iconiche sono le scene dei due giovani che scorrazzano per la Capitale in Vespa, la quale diventa simbolo ultimo del savoir-être romano e, per osmosi, italiano. Moltissimi, quindi, i luoghi indimenticabili legati al mito dell’Italia all’estero, come Cinecittà, la Roma di Ben Hur, Vacanze Romane, appunto, la Sicilia de Il Padrino o la Venezia di Indiana Jones e l’Ultima Crociata. La lungimiranza della Paramout si vide anche nel “dietro le quinte” con il lavoro di scouting e scritturazione. La casa cinematografica sarà capace di scritturare alcune delle più iconiche personalità femminili del cinema nostrano tra cui Anna Magnani, Sofia Loren, Virna Lisi, Isa Miranda: quattro meravigliose forze della natura si destreggiarono all’interno del famelico business americano, fermo portatore dello star system, alla lunga tanto stretto alla Miranda che abbandonò la produzione dopo qualche anno il suo arrivo in America. E la Lisi non fu da meno: all’estero interpreta “come uccidere vostra moglie” ma rinunciò a collaborare in molti altri film perché la sua forte integrità non le permise di essere “la nuova Marilyn”, così come la società americana la voleva e, inoltre, anche lei fu restia al modus operandi dello star system. Il figlio dell’attrice ci racconta bene quanto fosse frustrante vivere in un ambiente così munito di regole così ferree; fa quasi rabbrividire il solo pensiero che la major avesse pieno controllo sulla vita lavorativa e privata di attori e attrici delle produzioni americane. Comunque, le attrici ammiccarono al pubblico americano e sedussero lavorativamente i registi con il loro fare all’italiana: “l’Italia ha sempre affascinato gli Americani, non so dire se per il nostro modo di vivere, di prendere la vita alla giornata” afferma teneramente Giulia Levi, mentre si ripetono in sequenza alcune immagini della Loren e del suo debutto negli States. Le dive portarono oltre oceano il simbolo, diventato iconico, della bellezza italiana acqua e sapone e della figura della donna forte e indipendente, nonostante l’ambiente rispettasse l’imperativo della misoginia e della “stiffness of the control”; Tony Luraschi ce la racconta così: suo padre entrò a far parte degli studi nel 29’ e fu l’addetto ai controlli di censura assieme ad altri collaboratori di dubbia apertura mentale. Luigi, grazie anche alla grande complicità con Billly Wilde, seppe raggirare i controlli e a far godere al pubblico di un prodotto cinematografico di qualità. “Alle volte vorrei che ci fosse ancora la censura, quanto ci divertivamo a prenderci gioco di quei burocrati!”, scrive nei suoi diari il regista al ricordo dell’executive. Anni, si è detto, di grande fervore artistico e di forte condivisione politico- culturale (siamo negli anni del dopo guerra e il piano Marshall prevedeva anche una piccola selezione di film americani da donare agli italiani) che ci hanno fatto conoscere personalità come Audrey Hepburn che, seppur britannica, esordisce sul grande schermo proprio con Vacanze Romane. Rappresenta la donna americana simbolo di eleganza, di classe e di portamento, fedele e amante del duro lavoro, la quale si distanzia notevolmente dalla donna italiana, spontanea, vivace e passionale, che potrebbe volentieri accoglierti con un sorriso ed un piatto di spaghetti. Certo, stereotipi che, fortunatamente, dopo quasi un secolo fanno venire la pelle d’oca, ma che all’epoca hanno portato molta fortuna e posto americani e italiani su un unico terreno comune di pace e amicizia. Il 1966 segnò la fine della Hollywood classica e l’inizio di un sistema di corporation costituito da grandi gruppi finanziari che collaborarono, finanziarono, produssero film intrattenendo i rapporti con l’Italia e con il cinema italiano. Le diverse personalità italiane e americane si intrecciarono e si fusero dando vita a produzioni come Romeo e Giulietta, Il Conformista, The italian job… Senza dimenticare uno dei produttori italiani più autorevoli del periodo, Dino de Laurentiis che, con grande maestria, fu capace di portare in America la forza della tradizione del cinema Italiano sapendosi destreggiare tra la complessità e la brutalità del cosiddetto “sistema americano”, un complesso intreccio di costi, ricavi ed organizzazione. Tonino Pinto, fermamente, ritiene che “bisognerebbe fare un corso all’università per cercare di far capire quanto è difficile produrre in America”. Gli anni 70’ poi contribuirono alla creazione del mito del cinema americano contemporaneo in Italia e furono questi gli anni che determinarono la lunga ascesa della produzione targata stelle e strisce. Lungometraggi meravigliosi nacquero come il Padrino, il Padrino II, nato dalla spinta di Luraschi, e il Padrino III, che venne girato a Cinecittà, l’ultima volta che questo luogo vide una produzione made in America. Il forte rapporto di condivisione continuerà fino agli anni 80’ su una prospettiva televisiva con la promozione di “Happy days”, altra big icon che abbiamo ereditato oltre oceano. La maggior parte degli adolescenti degli anni 70’ ebbero una formazione alla happy days, tra Converse All Star e solidi valori familiari e di amicizia, sulla spinta di quello che poi, in definitiva, era il modello dello zio Sam che si protraeva dagli anni 50’. Modi di pensare, usi e costumi americani, quindi, divennero parte integrante della vita dei giovani italiani contribuendo a fortificare ancora di più il mito americano. Ad oggi, continuano ad essere numerosi i registi eternamente affascinati dall’Italia e dagli usi e costumi che si porta dietro e che, spesso, vengono considerati all’estero come vanto e prestigio ma forse ora appaiono stantii e ghettizzano il popolo italiano ad un ultimatum di mangia spaghetti e suonatori di mandolino. Comunque, notevoli sono le produzioni contemporanee che puntano sul Bel Paese, come la Paramount, che continua egregiamente su spinte contemporanee e di rinnovamento ad intraprendere felici rapporti con le produzioni italiane.