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Atelier di teologia 2017-2018

Parola e immagine

«Cercate il mio volto!» (Sal 27,8)


Avvicinarsi all’Icona

Nascita, generazioni
• Nella veglia pasquale – madre di tutte le veglie – abbiamo cominciato al buio, con
quella piccola fiammella del cero pasquale. Abbiamo cantato per questo cero, poi ci siamo
seduti e abbiamo ascoltato la parola di Dio. La prima pagina ascoltata è proprio la prima
pagina della Scrittura.

Lettura di Gen 1,1-5

• È l’inizio del libro della Genesi. Genesi significa ‘generazione’, ‘nascita’. C’è un’espres-
sione che ritma tutto il libro, molto chiaramente, appare undici volte (una è una ripetizione):
questo è il libro delle generazioni, queste sono le generazioni di. È un libro in dieci capitoli,
e questi dieci capitoli sono dieci generazioni. Cinque volte prima di Abramo, in Gen 1–11,
cinque volte da Abramo in poi. Nel primo libro, il libro della nascita, tutto nasce e cresce, si
moltiplica, la vita si spande. È il libro dove tutto nasce.

• Allora in Gen 5,1 leggiamo: «Questo è il libro della generazione di Adamo», e poi si
narra la nascita di Set. Ma non è l’uomo il primo a generare qualcosa. Se in Gen 1 Dio crea
il cielo e la terra, poco dopo vedremo l’uomo che viene fatto dalla polvere del suolo e dal
respiro di Dio, in Gen 2,7 (tra l’altro, anche qui, come in Gen 1,1-2, è la prima vera azione di
Gen 2,4-7).

• È in Gen 2,4 che leggiamo queste parole per la prima volta: «Queste sono le origini
del cielo e della terra, quando vennero creati». Cosa vuol dire? Nel resto del libro questa
espressione è sempre volta a ciò che segue, introduce il nuovo capitolo: il cielo e la terra
generano qualcosa. Dio dà la vita al mondo e il mondo può farla passare, gli uomini pos-
sono ‘procreare’. E infatti in Gen 2,9 e Gen 2,19 si vede che è dalla terra che Dio trae le
piante, gli animali… e anche l’uomo viene dalla polvere della terra e dal soffio (figlio della
terra e del ‘cielo’?).

• E all’inizio? Prima di questi ‘dieci capitoli’ di cui è fatta la Genesi, noi leggiamo 1,1–2,3,
che è un grande, magnifico inno alla creazione, dove vediamo che tutto viene alla luce.
Come dice il salmo: «egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto» (Sal 33,9).
Il mondo non viene generato da Dio, e questo è importante: le generazioni cominciano
più tardi. Se fosse generato da Dio, se fosse un’emanazione di lui o qualcosa del genere, il
mondo non sarebbe veramente altro da lui.

• E invece la Scrittura lo dice dal primo versetto: «Dio creò il cielo e la terra». È chiaro: è
proprio un’altra cosa. È legato a Dio, viene da lui, e allo stesso tempo è altro da sé. Ed è

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importante, perché per esserci una vera relazione si deve essere in due: non si può essere
da soli. Una nuova ‘natura’ appare accanto a quella di Dio.

In principio Dio creò il cielo e la terra


• Allora cominciamo a leggere questo capitolo. Sono parole che sono un abisso: in
questa pagina è presente già tutto il resto, come un seme. È una pagina che è l’inizio ma è
anche la fine: se descrive ciò che c’era in principio, in realtà dice già la nuova creazione e
come questa si compie nell’eschaton. Pagina iniziale della Scrittura, è più in verità quella
finale.

• L’inizio della Scrittura, fin dalla sua sintassi, è avvolto nel mistero – è una buona immag-
ine del fatto che l’inizio è avvolto nel mistero, che è disponibile all’uomo. E nemmeno la
fine lo è, come dice Gesù in Mc 13,32: «Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno
lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre». Se il giorno della nostra morte ci è
sconosciuto, così il giorno del nostro concepimento: nessuno l’ha visto. Ecco, come per
l’uomo, così per il mondo: la sua origine e il suo compimento sono avvolti nel buio.

• Comunque si vocalizzi il testo ebraico, infatti, il v. 1 è un problema. Partiamo dalla let-


tura che ne hanno fatto i LXX e la Vg.: «In principio Dio creò il cielo e la terra». In ebraico
sono sette parole – e non è un caso: tutto in Gen 1 ha un senso, è una miniatura perfetta,
senza sbavature.
Dio crea queste due cose, il cielo e la terra. Se prendiamo Gen 1,1 come il titolo di tutto
ciò che verrà subito dopo, allora possiamo intendere questo v. come un’espressione polare.
Se dico cielo e terra intendo anche tutto ciò che c’è tra una e l’altra. Si dicono i due poli op-
posti per dire tutto quello che ci sta in mezzo. Allora si starebbe semplicemente dicendo:
“In principio Dio creò tutto ciò che c’è”.
In Sir 42,24-25 leggiamo: «Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra, egli
non ha fatto nulla d’incompleto. L’una conferma i pregi dell’altra: chi si sazierà di contem-
plare la sua gloria?». C’è una dualità nella creazione: c’è il cielo e la terra, la polvere e il
respiro, la luce e il buio, l’uomo e la donna. E si capisce che, nel momento in cui si dice che
ci sono due cose, gli scenari che si prospettano sono due: o l’unione di questi due o la loro
lotta.

Il non-ancora-creato e lo spirito di Dio


• Per dire che all’inizio non c’era nulla, la Scrittura dice che c’è una terra vuota e vacua.
Come in Ger 4,23: «Guardai la terra, ed ecco vuoto e deserto, i cieli, e non vi era la loro
luce». Interessante: anche qui si parla del cielo e della terra: un cielo che è senza la sua
luce, e la terra è vuota e vacua.
Per dice che non c’è nulla, quindi, l’autore biblico usa questa espressione: vuota e vacua.
Le antiche versioni greche, un po’ più intellettuali, traducono proprio così: kenon kai ouden,
vuoto e niente. E se c’è un vuoto vuol dire che non c’è ancora nulla, appunto. C’è un vuoto,
cioè non c’è nulla. O meglio: c’è una mancanza, c’è qualcosa che potrà essere riempito.

•E poi ci sono queste tenebre. Anzi, non è vero che le tenebre ci sono. Non è che esis-
tano le tenebre: non c’è una fonte delle tenebre. Semplicemente, le tenebre sono una man-
canza di luce. Quindi, la terra è vuota – cioè non c’è, è il contrario della terra abitata, os-

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pitale, che ci sarà – e le tenebre testimoniano qualcosa che non c’è. Infatti i LXX quando
parlano della terra al v. 2 dicono che è invisibile.
Questa mancanza di luce ricopre l’abisso, che è qualcosa di minaccioso, sconosciuto. E
dire abisso è dire le acque profonde, sotterranee, le acque del diluvio, le acque che rico-
prono gli egiziani – canteranno gli Israeliti in Es 15. Queste acque caotiche, che dis-
truggono, che sono l’opposto della creazione. Qualcosa di anti-creativo.

• L’unica cosa viva, l’unica cosa che c’è davvero è lo spirito, è il vento e il respiro di Dio.
Su questa massa irrequieta, caotica, su questo nulla imprendibile e indefinibile, scorre
questo respiro di Dio. Dt 32,11. Dice già Basilio «Quel si muoveva, dice costui [un siro],
viene interpretato come “riscaldava”, e “fecondava” la natura delle acque, alla maniera di
un uccello che cova e infonde forza vitale nelle uova sottoposte al suo calore. Tale è, di-
cono, il significato espresso da questa parola: lo Spirito si muoveva, cioè preparava la na-
tura delle acque alla generazione» (Sulla Genesi II, 6,3).

Il cosmo, la bellezza
• Allora Dio crea una creazione cosmica. E la parola greca kosmos ci aiuta a compren-
dere che cosa sia la creazione, così com’è uscita dalle dita di Dio (cf. Sal 8,4): il cosmo è in-
nanzitutto qualcosa di bello – pensiamo alla cosmesi – di bello e di ordinato. E già la forma
del testo dice bellezza, ordine, equilibrio. Man mano che Dio parla, come vedremo, le cose
trovano il loro posto in relazione a tutte le altre. Non c’è nessuna negazione in questo testo,
tutto è positivo. E mentre leggiamo vediamo comporsi davanti ai nostri occhi il mondo che
vediamo alzando gli occhi dal libro, anche se con qualcosa in più – o in meno, a seconda
del punto di vista.

• Il ritmo regolare di questo testo viene da alcune ripetizioni, che scandiscono questo
inno. Tre sono quelle più vistose: innanzitutto il ritornello che scandisce i giorni: «E fu sera e
fu mattina: X giorno». E poi abbiamo «Dio vide che era cosa (molto) buona», che troviamo
sette volte, e l’avvio «Dio disse», presente dieci volte.
Sì, sono dieci le parole che creano il mondo, secondo Gen 1, dieci volte in cui compare
il ritornello «E Dio disse». C’è una parola in più, la benedizione agli uccelli e ai pesci in 1,22,
introdotta da: «E Dio li benedisse». Troveremo più avanti altre Dieci parole (cf. Es 20,1-17),
nel luogo dove Israele viene creato come popolo di Dio, affrancato dal faraone e reso
libero da Dio.

• Se adesso ci avviciniamo al testo possiamo vedere che i giorni della creazione sono sei
più uno: sei giorni in cui Dio crea – l’Exameron – e uno in cui si riposa e gode di quanto ha
fatto. Questi sei giorni sono costruiti secondo un disegno ordinato, del quale forse non ce
ne accorgiamo a una prima lettura.

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• Nei primi tre giorni vengono fatte tre separazioni: il giorno dalla notte, le acque sotto il
firmamento da quelle sopra, la terra asciutta dalle acque dei mari. Dio agisce su quegli ele-
menti che non esistevano nel v. 2: la tenebra, l’abisso e la terra. Attraverso queste separaz-
ioni si creano dei grandi spazi, ‘fissi’: la volta del cielo, i mari, la terra.
Dal quarto al sesto giorno, invece, compaiono delle creature poste in quegli ambienti,
‘mobili’, che abitano ciò che è stato fatto nei primi giorni.

I. Luce (giorno-notte) → luminari


II. Firmamento (acque s.-i.) → pesci e uccelli
III. Terra (asciutto-mari) → animali terrestri, uomo e donna

• Il terzo e il sesto giorno, poi, ci sono due opere per giorno. Nel terzo giorno Dio fa
emergere la terra dalle acque inferiori e poi fa crescere su di essa tutta la vegetazione, men-
tre nel sesto giorno crea gli animali terrestri e poi crea l’uomo e la donna. Anche la vege-
tazione si divide in due sottogruppi: c’è l’«erba verde» (1,30), donata in cibo agli animali,
mentre l’erba e ogni albero da frutto che produce seme è cibo per l’uomo.

E Dio disse: Sia la luce! E la luce fu


• Restiamo su questo giorno unico. Il primo atto della creazione è una parola, Dio crea
con la parola. Abbiamo visto che prima di questo atto non c’è ancora niente, c’è solo lo
spirito, questa ruakh che aleggia sul caos, su questo nulla dal quale Dio sta per creare il
mondo.
E questo respiro di Dio, questa sua intima vita, si articola in una parola, che in ebraico è
y hi. È una parola fatta senza consonanti, non ci sono blocchi nella voce, ci sono solo vocali
e

e una aspirata. Quello spirito si articola, Dio gioca con il suo respiro e la parola: yehi ‘or.
Si poteva dire semplicemente che Dio creò la luce, ma no, Dio parla per creare la luce: la
luce è una parola di Dio, la luce è la parola di Dio. Sal 33,6.

• E questa parola subito avviene, si realizza, c’è come un controcanto: yehi ‘or, wayehi ‘or.
La parola di Dio si realizza e comincia ad esistere qualcosa d’altro. Esiste qualcosa che è al-
tro ma che è intimamente legato a ciò che l’ha creato, ed è ovvio.
Ed è bello che in questo yehi iniziale, Sia!, è nascosto l’inizio del nome di Dio, YHWH, Si-
gnore. Non indaghiamo troppo su questo nome, ma una cosa è chiara: ha a che fare con il
verbo ‘essere’. Es 3,14: «Io sono colui che sono», «Io sarò ciò che sarò».
L’essere è ciò che ama, e ciò che ama crea, fa esistere qualcosa che è altro da sé e allo
stesso tempo vive di sé. L’amore fa esistere l’altro, dà spazio all’altro.

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• La prima cosa creata è la luce. E questo è davvero originale, a dire il vero. Se volessimo
riassumere tutta la creazione in poche parole, in una sola cosa, diremmo che la terra è stata
creata. Oppure, il cielo e la terra, come al v. 1. Invece no, in questo giorno unico, come
vedremo, viene creata la luce.
E adesso lo schema di prima ci è utile, perché vediamo questa stranezza. La luce viene
nel primo giorno, ma le fonti della luce solo al quarto, come ornamento del cielo.

Il mistero della luce


• Che cosa è nascosto qui? Come fa Dio a creare la luce senza creare il sole, o la luna? È
chiaro il messaggio: non è il sole che fa la luce, il sole è simbolo di altro, che lo precede.
Nel cantico delle creature Francesco loda il Signore per le sue creature, «spetialmente mes-
sor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande
splendore, de te, Altissimo, porta significatione». Il sole porta significatione, il suo
splendore è simbolo di altro.

• Pensiamo all’esperienza che facciamo della luce. Noi non vediamo la luce. Noi vedi-
amo le cose illuminate, se c’è luce c’è tutto il resto. Puoi essere in una stanza con una tavola
imbandita davanti, ma se non c’è luce non puoi accedere a nulla.

• Ed è per questo fatto – la luce è la chiave per vedere tutto il resto – che essa è stata
ben presto associata alla sapienza. La sapienza, la luce dell’universo.
E questa cosa semplice e inspiegabile – da dove viene la luce – è come un invito per
l’uomo a cercare la fonte di questa luce. Da dove viene la luce?

• Nella Scrittura, mentre Dio si rivela, si fa conoscere, c’è la risposta. È nascosta qua e là,
in qualche salmo: Sal 4,7; 44,4; 89,16; 90,8.
Da dove viene la luce? Dal volto di Dio. Ecco l’icona. La conoscenza dei misteri del mon-
do è possibile all’uomo davanti al volto di Dio.

• E se dico volto dico persona, e se io vedo un volto è perché ci sono davanti. Conosco
il volto dell’altro quando lo guardo, quando ci sono davanti.

• Ed è così che in Gv 1, in questa pagina che rilegge Gen 1, Giovanni dice: «In lui era la
vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno
vinta. […] Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il
mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto».
E in Gv 8,12 Gesù dirà: «Io sono la luce del mondo: chi segue me, non camminerà nelle
tenebre, ma avrà la luce della vita».
Ma è la stessa cosa che appare già negli altri evangeli, sul monte della trasfigurazione:
«E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero
candide come la luce».

• E Paolo non può essere più chiaro, citando proprio Gen 1,3: «E Dio, che disse: “Rifulga
la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria
di Dio sul volto di Cristo» (2Cor 4,6).

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• Allora Dio crea la luce, e invita l’uomo a cercare da dove viene questa luce che può il-
luminare ogni uomo.
«Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco»
(Sal 27,8). La creazione allora è un libro aperto, perché in tutte le cose – che io posso
vedere, contemplare – mi ricordino colui che le ha create e mi uniscano a lui. Io cerco quel
volto, nelle cose.
E nelle chiese orientali, tra i tanti titoli cristologici, uno dei preferiti è proprio questo:
Gesù è luce, sapienza. Giovanni Crisostomo, citato nel manuale di Špidlík (p. 32): «Il Cristo
apre per sempre «le porte della luce a coloro che, figli delle tenebre e della notte, aspirano
a divenire figli del giorno e della luce». Perché alla luce di Cristo tu puoi conoscere le cose,
a partire da lui tutto si fa chiaro: della creazione della tua vita. E qui arriviamo a un altro
punto prezioso.

La luce, le tenebre
• Torniamo a Gen 1. La luce fu, e Dio vide. Se Dio vede è perché ha gli occhi, e uno
vede una cosa che è a lui esterna. Dio vede la luce, l’ha appena creata e la vede come fuori
da sé.

• E qui leggiamo una frase che si può tradurre in diversi modi. Di solito sentiamo in ital-
iano: «Dio vide che la luce era cosa buona». Ma l’ebraico sembra molto più vivido, e anche
il greco. Il complemento oggetto segue subito il verbo. E Dio vide la luce: tob! E viene usa-
ta una parola che sì, vuol dire bene, buono. Ma anche bello, dolce, piacevole. Allora il gre-
co traduce con kalon!

• Una traduzione possibile: E Dio vide la luce: Bella! Come quando Dio passa davanti a
Mosè, chiuso nella fessura della roccia, Dio dice: Farò passare davanti a te tutta la mia
bellezza.
Dio vede che la luce è bella, è bella perché è simbolica, perché fa trasparire qualcosa di
sé!

• Così Dio fa la prima separazione, tra la luce e le tenebre. Chiama la luce ‘giorno’ e le
tenebre ‘notte’. È questo il punto prezioso. Che cosa è ‘bello’? È bello ciò che unisce. E
così Dio mette in dialogo due cose, la luce e le tenebre. E non annulla il buio, non annulla
questa ‘mancanza’ questo vuoto.
Questo Dio così delicato, così amante da non distruggere nulla. Dio non distrugge nem-
meno le tenebre, ma, al contrario, fa entrare nelle tenebre la sua parola. Dio chiama anche
le tenebre. Così che il giorno è unito alla notte. E c’è qualcosa nella notte che ha a che fare
con il giorno. Ci sarà una luna che riverbera anche lì la luce del sole.

• Qui sta la sapienza. Dio non cancella le tenebre con la luce, come non annienta l’abis-
so. Non esercita alcun potere distruttore. Semplicemente, dà dei confini, e facendo questo
mette in dialogo la luce con le tenebre, crea una relazione tra i due. Per dire che cos’è
l’Italia una delle prime cose che si imparava a scuola erano i confini. La mia identità viene
dal rapporto con chi ho vicino. Così il giorno è giorno perché c’è la notte, e viceversa.
La parola di Dio crea delle distinzioni perché il mondo diventi un cosmo, qualcosa di bel-
lo e di ordinato. E la bellezza non è nell’unicità, ma nell’unione di due opposti.

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• E se Dio non distrugge nulla, l’uomo potrà fare esperienza di un senso nelle cose an-
che nelle tenebre, tant’è che la storia della salvezza si articola, nei suoi grandi momenti,
proprio di notte (cf. le chiese e la luce che diminuisce man mano ci si avvicina all’altare, la
lastra nera dietro al tabernacolo, la parte scura dell’icona della trasfigurazione). La notte
dell’esodo, la notte di Natale, la notte di mezzogiorno, quella della morte del Figlio. La
notte degli inferi.
C’è già il seme della salvezza, in queste righe. Che cosa può scoprire l’uomo? La cosa
più bella, scritta nel Sal 139,11-12: «Se dico: «Almeno le tenebre mi avvolgano e la luce in-
torno a me sia notte, nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come
il giorno; per te le tenebre sono come luce».
Se tutto riceve la luce del logos, del Senso delle cose, della Luce, allora anche le tenebre
sono come luce. Allora ogni angolo buio della nostra vita diventa prezioso, ogni attimo del-
la nostra storia diventa sensato. Perché Dio ha chiamato le tenebre ‘notte’, ha dato loro una
parola, anche le tenebre le ha chiamate all’esistenza.

• Il giorno in cui Dio crea la luce, però, non è il ‘primo giorno’, come gli altri. In ebraico,
greco e latino, in 1,5 leggiamo: «E fu sera e fu mattina: giorno uno/unico». Il primo giorno
si distingue dagli altri, è il giorno uno, o anche il giorno unico. Come se la creazione della
luce comprendesse già tutto il resto che verrà. Il giorno uno è l’archetipo dei giorni, il para-
metro. Nel primo giorno Dio crea il tempo, mentre nel secondo creerà lo spazio nel quale
potrà emergere la terra e tutta la creazione.

Dalla luce, tutto


• Da questo giorno unico, tutto prende vita. Dalla luce, emergono i colori. E cosa
avviene nei giorni seguenti?
Il testo di Gen 1 può essere letto a molti livelli. È come un dipinto, sì, sono parole ma da-
vanti a te, mentre leggi, si dipinge il quadro del mondo in cui vivi.
Ma poi, se guardate bene, potrete intravedere, giorno dopo giorno, il processo della
nascita di un figlio dell’uomo.
1. Nel primo giorno si parla di un feto solitario e informe che avvolto da ogni parte dalle
acque nell’oscurità dell’utero si forma per venire alla luce.
2. Poi si rompono le acque (è interessante che si usi proprio questa espressione, in
italiano).
3. Poi dalle acque emerge la terra, il bambino viene asciugato dai liquidi di questo par-
to, e può cominciare a crescere.
4. Per crescere serve tempo, servono tutte feste, le stagioni.
5. E il bambino cresce, e inizia a fare un po’ come i cuccioli degli animali, fa dei cinguet-
tii, dei vagiti, inizia a comunicare, a scoprire che non cresce da solo – ecco la socialità.
6. E il bimbo diventa sempre più uomo, fino a che possiamo dire che sia formato o che
sia arrivato al suo inizio: «Facciamo l’uomo». A immagine di Dio viene fatto. E Dio, fino a
quel momento, ha parlato. E aspetta qualcuno che gli risponda. L’uomo è uomo perché
parla con Dio, è il suo interlocutore. Parla al mondo e a nome del mondo. E così, se nel c. 1
vediamo Dio che parla e dà i nomi alle cose, nel c. 2 sarà l’uomo che darà il nome agli
animali.

• Ma in questo percorso è già nascosta anche la creazione dell’«Uomo nuovo, creato


secondo Dio» (Ef 4,24).

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A partire dalla risurrezione
• Così, dalla luce emerge pian piano il Volto – ecco l’icona. Il volto di Cristo svelerà che
la luce – la sapienza – viene da lui: più io contemplo quel volto («e noi abbiamo visto la sua
gloria», Gv 1,15) più conosco. La creazione mi porta a lui, e, una volta che sono unito a lui,
posso conoscere i segreti della creazione. Più contemplo il suo volto più scopro anche il
mio, perché noi riflettiamo come in uno specchio questa gloria di Dio che risplende sul suo
volto. Guardare l’icona è conoscere lui e noi in lui.

• Allora, torniamo alla veglia pasquale, dalla quale siamo partiti. La pasqua del nostro
battesimo, lì abbiamo ricevuto la luce. Un altro nome del battesimo è photismos, ‘illumi-
nazione’. Che cosa avviene lì?
La persona battezzata riceve la luce: è l’inizio della vita nuova. È come la piccola fiamma
del cero, che però fa già intravedere i contorni di tutte le cose. Dalla quale tutto riceve sen-
so, e senso, in italiano, ha un doppio significato. Significa anche direzione. Dal battesimo
tutto riceve un senso – anche le tenebre – e tutto inizia a muoversi verso la pienezza del
regno, dove «La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria
di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (Ap 21,23).

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