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Intervista a suor Socorro Martinez, del coordinamento latinoamericano delle Ceb

VERSO UNA NUOVA PRIMAVERA DELLE CEB?


Presentate come “il nuovo modello di Chiesa” negli anni ’70, accusate di costruire “una Chiesa
parallela” negli anni ’80, per un quindicennio le Comunità ecclesiali di base (Ceb) latinoamericane
sono parse finire nel dimenticatoio, ritenute ormai un’esperienza residuale e al tramonto. Oggi però
“in tutto il continente si percepisce un rifiorire delle Ceb, stimolato da Aparecida”, afferma suor
Socorro Martinez, religiosa messicana del Sacro cuore di Gesù e componente del Servizio di
articolazione continentale delle Ceb, riferendosi alla V Conferenza generale dell’episcopato
latinoamericano, svoltasi nel 2007, che ne ha ribadito l’importanza come “cellula iniziale di
strutturazione ecclesiale e nucleo focale di evangelizzazione” nel quadro della “grande missione
continentale”. Di conseguenza nel giugno scorso a Quito, in Ecuador, il Consiglio episcopale
latinoamericano (Celam) ha promosso l’incontro tra i vescovi responsabili delle Ceb presenti in
alcune Conferenze episcopali nazionali e il Servizio di articolazione continentale delle Ceb con
l’obiettivo di rilanciarle in tutta l’America latina.
Nella Chiesa latinoamericana del post-Concilio le Ceb hanno avuto un posto di estremo
rilievo. Qual è la loro situazione oggi?
Molti, soprattutto tra quanti non le hanno mai amate, dicono che le Ceb hanno fatto il loro tempo.
Invece sono molto vitali come modo di essere una Chiesa comunitaria, solidale e socialmente
impegnata. Basti pensare che all’VIII Incontro latinoamericano e caraibico, svoltosi nel 2008 a
Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, hanno partecipato 170 persone provenienti da 17 paesi, e che le
Ceb sono ovunque in prima fila nelle lotte popolari. Certo, rispetto al boom degli anni ’70 e ’80, nel
decennio successivo le Ceb sono numericamente diminuite, almeno in alcuni paesi, ma a questo
hanno contribuito diversi fattori, non ultimi la persecuzione da parte dei governi e la crescente
diffidenza, se non ostilità, di molte autorità ecclesiastiche, che hanno puntato sui movimenti
apostolici. Per cui è semmai sorprendente che esistano ancora dopo 25 anni di vessazioni,
manifestatesi anche nei maggiori appuntamenti della Chiesa latinoamericana: alla IV Conferenza
generale dell’episcopato latinoamericano, tenutasi a Santo Domingo nel 1992, le Ceb vennero
considerate un movimento tra gli altri, nell’esortazione postsinodale “Ecclesia in America”,
successiva all’Assemblea speciale per l’America del Sinodo dei vescovi del 1997, il paragrafo sulle
Ceb fu cancellato, ad Aparecida c’è stato un intenso dibattito sulle Ceb e Roma ha modificato in
senso peggiorativo le conclusioni su questo tema. Tutto questo ha comportato anche una
purificazione: la gente delle Ceb ha una solida identità cristiana, un forte spirito comunitario, una
grande consapevolezza del profetismo di questa esperienza e ciò ha permesso loro di sopravvivere.

Ma quali sono le sfide che le Ceb hanno di fronte?


Quella fondamentale è declinare l’esperienza delle Ceb nella fase storica attuale. Ciò significa, per
esempio, adattarla all’urbanizzazione che il continente ha vissuto, perché la Ceb per antonomasia è
quella rurale, che si riunisce con la partecipazione di tutti, mentre nella grande città manca il tempo,
la gente è stressata, c’è il problema della mobilità. Oppure renderla aperta e adeguata alle esigenze
dei giovani. O, ancora, recuperare la dimensione missionaria, che in alcuni luoghi è venuta meno,
per cui la comunità si è chiusa in se stessa, ignorando gli immigrati poveri e smettendo di essere un
punto di riferimento nel quartiere. Non sono questioni inedite, ma sento un nuovo desiderio di fare
un salto di qualità, smettendo di dar la colpa a fattori esterni (il parroco ostile, il fatto che le suore
siano dovute andare via, ecc.) e facendo leva sul documento di Aparecida. È possibile un rilancio
delle Ceb, ma serve molto lavoro, accompagnamento e creatività. Resistere è stato importantissimo,
ma non basta a farci crescere e affrontare i problemi.

Qual è il risultato più importante dell’Incontro di Santa Cruz?


Prima di tutto abbiamo consolidato un collegamento nato nel 2001 e organizzatosi nel 2004 come
Servizio di articolazione continentale in sei regioni: Nord (Stati Uniti e Messico), Centroamerica
(Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama), Caraibi (Haiti, Repubblica
dominicana e Venezuela), Andina (Bolivia, Colombia, Ecuador e Perù), Brasile e Cono sud
(Argentina, Cile, Paraguay e Uruguay). Inoltre abbiamo incontrato mons. Sergio Gualberti, che,
oltre a essere vescovo ausiliare della città, è il responsabile della sezione “Parrocchie, piccole
comunità e comunità ecclesiali di base” del Celam, e questo è stato importante perché in precedenza
non c’era stato alcun contatto. È stato poi ribadito con forza l’impegno sociale delle Ceb, il cui
motore è costituito dalla lettura della Bibbia e da “una spiritualità forte per un nuovo mondo in
marcia”. Qui non possiamo più limitarci a chiedere ai poveri “di che cosa avete bisogno”, ma
dobbiamo evidenziare le risorse che la comunità ha e che cosa può fare per rispondere alla necessità
ritenuta prioritaria. Serve un approccio più realista per compiere passi avanti. Infine chi ha
partecipato all’Incontro ha trovato conferma che in un mondo più individualista c’è ancora più
bisogno di vivere la Chiesa con uno stile comunitario.

Questa riflessione è proseguita nella riunione della Rete dei consulenti svoltasi in luglio dopo il
XII Interecclesiale delle Ceb brasiliane?
Dal 2001 si realizzano riunioni della Rete latinoamericana dei consulenti delle Ceb, di cui fanno
parte laici e laiche, preti, religiose e alcuni vescovi, che in alcuni paesi sono nominati dalla
Conferenza episcopale locale e in altri eletti dalle stesse comunità; essi hanno soprattutto il compito
di sostenere il cammino delle comunità fornendo loro analisi sociologiche, studi teologici,
approfondimenti biblici, ecc., nonché elaborare una riflessione teorica a partire dall’esperienza delle
Ceb. A Porto Velho abbiamo precisato gli obiettivi definiti a Santa Cruz: creare e consolidare reti
tra movimenti sociali, esperienze di economia solidale, gruppi impegnati per l’ambiente e per una
nuova cittadinanza; rafforzare le Ceb in tutto il continente, approfondendone l’identità, la
spiritualità e il coordinamento; migliorare la formazione degli operatori pastorali e dei membri delle
Ceb nel quadro della nuova ecclesiologia nata dal Concilio Vaticano II e dal Magistero
latinoamericano che conduce a un rinnovamento ecclesiale.

Qual è la condizione delle Ceb nei diversi paesi del continente?


Il Brasile resta la nazione in cui le Ceb sono più vivaci e numerose (circa 100.000), sia per le
dimensioni del paese sia perché hanno ricevuto dall’episcopato un grande sostegno, riaffermato a
Porto Velho, dove c’erano 55 vescovi, con in testa il presidente della Conferenza episcopale, mons.
Lyrio Rocha. In Argentina la situazione è migliore di qualche anno fa: le Ceb sono circa 2.000,
presenti nella metà delle diocesi; alcune si dedicano soprattutto alla formazione religiosa, altre sono
impegnate anche a livello sociopolitico; c’è un gruppo ben organizzato di consulenti e il loro VII
Incontro nazionale, svoltosi quest’anno a Salta, ha riunito 1.500 delegati, tra cui cinque vescovi,
con in testa mons. Nestor Navarro, ordinario di Alto Valle del Rio Negro e delegato della
Conferenza episcopale per le Ceb. In Cile le Comunità cristiane di base sono inserite nella struttura
diocesana e solo a Santiago arrivano a quasi 1.500. In Paraguay le Ceb sono circa 3.000, presenti in
8 diocesi su 17, contano su molti giovani, anche preti, e vivono una sorta di “luna di miele”, dopo
l’elezione a presidente della Repubblica di Fernando Lugo, che nel 1995, quando era vescovo di
San Pedro, ospitò il V Incontro continentale. In Uruguay hanno tenuto un Incontro nazionale pieno
di speranza e i vescovi si sono proposti di “riprendere l’opzione per le Ceb” nel quadro di “una
Chiesa in stato di missione permanente”.

Com’è la situazione in Messico e Stati Uniti?


In Messico la presenza delle Ceb resta forte e coordinata, anche se non conta sull’appoggio
dell’episcopato, salvo eccezioni. Numericamente sono diminuite, anche perché molti leader sono
entrati nei movimenti popolari. Hanno svolto un ruolo di primo piano nelle proteste contro il
governatore di Oaxaca e nel 2008 hanno tenuto il XVIII Incontro nazionale, con 2.500 delegati,
nella diocesi di Coatzacoalcos, dove il vescovo, mons. Rutilo Muñoz, ha partecipato attivamente.
Negli Stati Uniti le Ceb formate da bianchi sono ben organizzate, hanno una conferenza nazionale,
fanno numerose attività parrocchiali, anche se poche iniziative sociali, ma sono restie a collegarsi
con noi latinoamericani; invece coi latinos, che lo desidererebbero molto, facciamo fatica a tenere i
contatti, perché il paese è molto grande e l’episcopato statunitense non organizza più incontri
nazionali per gli ispanoamericani, che li facilitavano.

Veniamo all’area andina…


In Bolivia all’Incontro nazionale delle Ceb ha partecipato gente molto povera, con opinioni assai
diversificate rispetto al governo di Evo Morales. Inoltre quella boliviana è tra le poche Conferenze
episcopali che ha le Ceb come priorità pastorale, sebbene più sulla carta che nella realtà perché c’è
poca organizzazione e scarso collegamento tra gli agenti di pastorale.
In Perù le Ceb non hanno conosciuto l’auge vissuto in altri paesi e la guerra civile degli anni
’80-‘90, accompagnata dall’ascesa dell’Opus Dei, le ha ulteriormente indebolite. Quelle esistenti
stanno ricominciando a coordinarsi, ma cercano qualche vescovo che le appoggi. In Ecuador le Ceb
hanno coordinamenti settoriali (urbano, contadino, indigeno, nero, ecc.) e ricevono forte sostegno
da alcuni vescovi. In Colombia la frammentazione è grande perché le Ceb sono state molto
perseguitate a causa della guerra civile e ci sono vari coordinamenti legati a differenti posizioni
politiche.

Qual è il quadro in America centrale?


In Nicaragua esiste un coordinamento nazionale, ma le Ceb sono diffuse solo in alcune zone,
sebbene ci sia una significativa presenza di giovani. Anche in Salvador esistono Ceb che hanno una
lunga storia, ma qui manca un coordinamento, sebbene nel 2008 si sia tenuto un incontro nazionale.
In Guatemala ci sono Ceb vivaci a Città del Guatemala e la sfida è quella di estendersi al resto del
paese. In Honduras dal 1999 ogni due anni si tiene un Incontro nazionale delle Ceb, che esistono in
quasi tutte le diocesi e costituiscono la priorità pastorale in quella di Santa Rosa de Copan, retta da
mons. Luis Santos. A Panama le Ceb si sono sviluppate soprattutto nella diocesi di Kuna Yala, dove
si stanno distinguendo nella lotta come la miniera Petaquilla, ma sono molto osteggiate dal nuovo
vescovo, mons. Audilio Aguilar.

Infine la regione dei Carabi…


Dopo essere state duramente colpite dalla repressione militare e quasi vietate dalla gerarchia per la
loro adesione al movimento Lavalas dell’ex presidente Jean-Bertrand Aristide, ad Haiti le Ceb sono
in forte ripresa e hanno ottenuto un nuovo riconoscimento dall’episcopato, che ha nominato due
consulenti nazionali. Oggi le Ceb sono oltre 1.200, hanno creato una Scuola biblica, contano su
moltissimi giovani e nel 2007 hanno tenuto il loro V Incontro nazionale.
In Repubblica dominicana ci sono 650 Ceb, diffuse in sei diocesi su 11, anche se solo una le ha
scelte come priorità pastorale. Tuttavia vivono un riflusso e molte sono divenute gruppi carismatici.
Questa tendenza si registra anche in Venezuela, ma lì i consulenti sono più compatti nel sostenere
una chiara identità di Ceb. A Cuba, infine, l’equivalente delle Ceb sono le “Case-missione”, che si
moltiplicano rapidamente e sono già diverse centinaia.

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