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Sedi di impugnazione delle sanzioni disciplinari e relative procedure

Il lavoratore, che subisca un provvedimento disciplinare, può impugnarlo sia per ragioni formali che per
ragioni sostanziali.

Sotto il profilo sostanziale, il provvedimento può essere impugnato essenzialmente quando il dipendente
contesti la veridicità dei fatti o, comunque assuma la sua estraneità dai medesimi. Il provvedimento, può
essere poi impugnato sotto un profilo formale, quando il datore di lavoro non abbia seguito le procedure
indicate dall’art. 7 della Legge 300/1970 e dal contratto collettivo (per esempio erogando la sanzione
dopo il termine massimo previsto dal contratto).

Anche la mancata affissione del regolamento disciplinare, determina l’illegittimità formale del


provvedimento, che non può essere nemmeno ripetuto o rinnovato, proprio perché mancava l’affissione.

Nell’ipotesi di provvedimento disciplinare intimato senza la contestazione scritta del fatto al lavoratore,
oppure senza consentire la difesa a mezzo del rappresentante dell’associazione sindacale: commi due e
tre dell’art. 7 della Legge 300/1970, in entrambi i casi, il provvedimento è illegittimo sotto il profilo
formale, ma il datore di lavoro potrà rinnovare la contestazione.

Il lavoratore, può impugnare il provvedimento davanti al giudice del lavoro, oppure davanti al collegio di
conciliazione ed arbitrato, oppure davanti a collegi di conciliazione previsti dai contratti.

Il lavoratore, al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare, può promuovere, nei venti giorni
successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto, ovvero conferisca mandato, la
costituzione tramite Direzione provinciale del lavoro )DPL), di un collegio di conciliazione ed arbitrato,
composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo, o
in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’Ufficio del lavoro.
Il lodo emesso dal Collegio non è impugnabile tranne nei casi di violazione della legge e di vizio della
volontà.

Va sottolineato che l’iniziativa di adire il Collegio di conciliazione ed arbitrato è riservata al lavoratore ma


deve essere ricevuta dal datore di lavoro.
Quest’ultimo, infatti, potrebbe non aderire alla richiesta di costituzione del Collegio; in tal caso è suo
onere attivare la richiesta di convocazione presso la Commissione di conciliazione istituita presso la DPL
ai sensi dell’art. 410 c.p.c.
Se il datore di lavoro si limita invece a non indicare il proprio membro in seno al Collegio entro il termine
di dieci giorni da quando viene notificata la richiesta da parte della DPL, il provvedimento disciplinare
automaticamente decade.

La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora, il datore non
provveda entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dalla Direzione provinciale del Lavoro a nominare il proprio
rappresentante in seno al collegio, il provvedimento disciplinare viene automaticamente annullato.
Qualora, invece, il datore di lavoro si rivolga al magistrato, la sanzione disciplinare rimane sospesa fino
alla definizione del giudizio.
Nel caso in cui sia il lavoratore a promuovere l’azione giudiziaria l’applicazione della sanzione non è
sospesa.

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