MASSIMO FERRAROTTI
1. Nozioni generali
Studieremo le funzioni con n > 1 variabili a valori reali. Per quanto molte delle nozioni
e dei risultati che enunceremo valgano per n qualsiasi, focalizzeremo la nostra attenzione
sui casi n = 2 e n = 3.
La scrittura f : Rn → R denoterà una funzione a n variabili non necessariamente
definita su tutto Rn . L’insieme dove tale funzione è definita, cioè il suo dominio, sarà
indicato con Df .
Esempio. Se f (x, y) = √ 1 , Df = {(x, y) ∈ R2 | xy > 1} è la parte del piano ”esterna”
xy−1
all’iperbole xy = 1.
Per n = 2, il grafico di f è l’insieme
Come nel caso di una variabile, si possono definire la somma e il prodotto tra funzioni.
Se f1 : Rn → R e f2 : Rn → R, per P ∈ Df1 ∩ Df2 definiamo
Esempi.
1) Se f (x, y) = x − y e g(t) = t2 , g ◦ f (x, y) = (x − y)2 .
2) Siano f (x, y) = xy e P (θ) = (2 cos θ, sin θ), 0 ≤ θ ≤ π2 . Allora f (P (θ)) = 2 cos θ sin θ e
π
Z Z Z 1√
2 p
2 14
f ds = 2 cos θ sin θ 1 + 3 sin θdθ = 1 + 3udu =
C 0 0 9
2
dove abbiamo sostituito u = sin θ.
2. Topologia
Osservazioni.
1) Rn e ∅ sono gli unici sottoinsiemi sia aperti che chiusi.
2) Se P ∈ Rn , l’insieme {P } è chiuso.
3) A è chiuso se e solo se A = Int(A) ∪ F(A).
4) Un sottoinsieme non è necessariamente aperto o chiuso: per esempio
A = {(x, y) ∈ R2 | x2 + y 2 < 1, y ≥ 0}
non è nè aperto nè chiuso. Abbiamo comunque la seguente proposizione.
3. Limiti
Definizione 3.1. Sia f : Rn → R una funzione con dominio Df e sia P0 ∈ D(Df ).
(1) Si dice che f ha limite L ∈ R per P che tende a P0 , e si scrive
lim f (P ) = L
P →P0
se per ogni > 0 esiste δ > 0 tale che, se kP − P0 k < δ e P ∈ Df , allora
|f (P ) − L| < .
(2) Si dice che f è continua (C 0 ) in P0 , se P0 ∈ Df e se
lim f (P ) = f (P0 ).
P →P0
La proposizione precedente può essere usata per calcolare i limiti per sostituzione.
Esempio. Calcoliamo, se esiste
sin(x2 + y 2 )
lim .
(x,y)→(0,0) x2 + y 2
La funzione è uguale a g ◦ f , dove f (x, y) = x2 + y 2 e g(t) = sint t , quindi il limite cercato
è uguale a limt→0 g(t) = 1.
In pratica si sostituisce nell’espressione della funzione t = x2 + y 2 e si calcola il limite
per t → 0.
xy 2
lim .
(x,y)→(0,0) x2 + y 2
Abbiamo
|xy 2 |
0≤ ≤ x,
x2 + y 2
da cui segue che il limite è 0 per 3.6.
Se P0 ∈ Rn , diciamo che f è localmente (superiormente/inferiormente) limitata in P0
se esiste un intorno di P0 sul quale f è (superiormente/inferiormente) limitata.
Ricordiamo che se f è limitata superiormente e/o inferiormente su A ⊆ Df , allora sono
definiti gli estremi superiore supA f e inferiore inf A f .
FUNZIONI A PIU’ VARIABILI 5
Proof. Se f2 è localmente limitata, esistono costanti 0 < C < C 0 e U intorno di P0 tali che
C ≤ |f2 (P )| < C 0 per P ∈ U . Allora Cf1 (P ) < f (P ) < C 0 f1 (P ) per P ∈ U e la tesi segue
da 3.6.
Esempio. Sia
1
e xy
f (x, y) = 2 .
x + y2
Allora f = f1 f2 con
1
e xy xy
f1 (x, y) = , f2 (x, y) = .
xy x2 + y2
1
Abbiamo |f2 | ≤ 2 e lim(x,y)→(0,0) f1 (x, y) = 0 (sostituzione t = xy), quindi lim(x,y)→(0,0) f (x, y) =
0.
x2 y
g(x, y) = .
x4 + y 2
Si verifica facilmente che ristretta a ogni retta P (t) = (at, bt) la funzione g tende a 0
per (x, y) tendente a 0, ma questo non implica che esista il limite: infatti sulla successione
Pk = ( k1 , k12 ) ( anzi sulla parabola y = x2 ) la funzione ha valore costante 12 .
6 MASSIMO FERRAROTTI
4. Funzioni continue
Esempio. Le funzioni
xy
x2 +y 2
(x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) =
0 (x, y) = (0, 0)
e
(
x2 y
x4 +y 2
(x, y) 6= (0, 0)
g(x, y) =
0 (x, y) = (0, 0)
già introdotte in un precedente esempio non sono continue nell’origine.
Il teorema 5.2 può essere usato per determinare il segno di una funzione.
Esempio. Sia f (x, y) = 4x3 + x2 − y 2 . La curva C : f = 0 è il folium di Cartesio e
l’insieme A = Rn \ C non è connesso, ma è unione di 3 componenti connesse A1 , A2 , A3 .
Su ognuna di esse f ha segno costante: se infatti ci fossero due punti in Ai su quali f
avesse segno diverso, per il teorema 5.2 f si annullerebbe almeno in un punto di Ai , il che
è assurdo perché Ai è nel complementare del luogo di zeri di f .
Quindi per determinare il segno di f su Ai basta scegliere un punto Pi ∈ Ai e considerare
il segno di f (Pi ).
6. Teorema di Weierstrass
Definizione 6.1. Sia f : Rn → R e sia A ⊆ Df . Un punti P0 ∈ A è un punto di estremo
(assoluto) su A se per ogni P ∈ A f (P0 ) ≥ f (P ) (massimo su A) oppure f (P0 ) ≤ f (P )
(minimo su A).
Se le disuguaglianze precedenti valgono con > o <, P0 si dice si parla di punto di estremo
(massimo o minimo) stretto.
Il valore f (P0 ) in un punto di estremo si dice valore estremo (massimo o minimo).
Corollario 6.4. Sia A ⊆ Df connesso, chiuso e limitato e sia f una funzione continua
su A. Siano M e m rispettivamente i valori massimo e minimo di f su A. Allora per ogni
m ≤ c ≤ M esiste P0 ∈ A tale che f (P ) = c.
8 MASSIMO FERRAROTTI
7. Derivate e differenziabilità
Sia f : R2 → R e sia P0 = (x0 , y0 ) ∈ Int(Df ). Diremo che f è derivabile rispetto a x in
P0 se esiste finito il limite
f (x0 + h, y0 ) − f (x0 , y0 )
lim
h→0 h
In tal caso, tale limite si dice derivata parziale di f rispetto a x in P0 e si denota in uno
dei seguenti modi:
∂f
(P0 ), ∂x f (P0 ), fx (P0 ).
∂x
In modo analogo di definiscono e si denotano le derivate rispetto alle altre variabili
anche per n > 2. Si dice che f è derivabile in P0 se è derivabile in P0 rispetto a tutte le
variabili.
Se A ⊆ Df è un aperto, diremo che f derivabile su A se lo è in ogni punto di A. In tal
caso sono definite su A le funzioni fx , fy derivate parziali di f .
Se Df è aperto e f è derivabile su Df diremo semplicemente che f è derivabile.
Se f è derivabile in P0 , il gradiente di f in P0 è il vettore ∇f (P0 ) in Rn le cui componenti
sono le derivate parziali di f in P0 . Per n = 2, ∇f (P0 ) = (fx (P0 ), fy (P0 )). Il gradiente
viene anche denotato con grad f (P0 ).
Usando il gradiente possiamo esprimere in modo sintetico alcune regole per la derivazione.
Proposizione 7.1. Se f1 e f2 sono funzioni su Rn derivabili (in P0 o su A aperto) allora
anche c1 f1 + c2 f2 per c1 , c2 ∈ R, f1 f2 e ff21 lo sono e abbiamo
(1) ∇(c1 f1 + c2 f2 ) = c1 ∇f1 + c2 ∇f2 .
(2) ∇(f1 f2 ) = f1 ∇f2 + f2 ∇f1 .
(3) ∇( ff21 ) = f12 (f2 ∇f1 − f1 ∇f2 ).
2
f (tv + P0 ) − f (P0 )
lim
t→0 t
per t ∈ R, t 6= 0.
In tal caso, tale limite si dice derivata direzionale di f rispetto a x in P0 e si denota in
uno dei seguenti modi:
∂f
(P0 ), ∂v f (P0 ), fv (P0 ).
∂v
Analogamente alle derivate parziali, si può definire la funzione derivata direzionale fv
su un aperto A ⊆ Df .
Osservazione. Le derivate direzionali rispetto ai versori canonici coincidono con le
derivate parziali. Per esempio, se v = e1 = (1, 0),
Esempi.
1) Se
xy
x2 +y 2
(x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) =
0 (x, y) = (0, 0)
abbiamo f (x, 0) = f (0, y) = 0 per x 6= 0 e y 6= 0, quindi il rapporto incrementale in
O rispetto a x e a y è nullo e f è derivabile in O con derivate parziali nulle. Ricordando
che tale funzione non è continua in O, otteniamo che in più variabili la derivabilità non
implica la continuità , contrariamente a quanto succede in una variabile.
Se ora v = (a, b) è un versore 6= e1 , e2 , abbiamo
(
x2 y
x4 +y 2
(x, y) 6= (0, 0)
f (x, y) =
0 (x, y) = (0, 0)
analogamente al caso precedente f è derivabile in O pur non essendo continua. Inoltre
abbiamo che, per ogni versore v = (a, b) 6= e1
f (P ) − f (P0 ) − ∇f (P0 ) · (P − P0 )
lim = 0.
P →P0 kP − P0 k
Se f : Rn → R è differenziabile in P0 , possiamo scrivere
o(P − P0 )
lim = 0.
P →P0kP − P0 k
L’applicazione lineare dfP0 : Rn → R definita da dfP0 (X) = ∇f (P0 )X si dice il differen-
ziale di f in P0 .
Osserviamo che il differenziale di f in P0 è definito comunque se f è derivabile in P0 :
la condizione di differenziabilità implica che la differenza tra f e dfP0 è un infinitesimo di
ordine maggiore della distanza di P da P0 per P → P0 .
Inoltre se f è differenziabile in P0 abbiamo che f (P ) tende a f (P0 ) per P → P0 , quindi
la differenziabilità implica la continuità .
Esempio. Verifichiamo che la funzione f (x, y) = log(2x + y) è diffirenziabile in (1, 1).
Abbiamo
2 1
f (1, 1) = log 3, fx (1, 1) = , fy (1, 1) = .
3 3
Quindi dobbiamo provare che
log(2x + y) − log 3 − 23 (x − 1) − 13 (y − 1)
lim p = 0.
(x,y)→(1,1) (x − 1)2 + (y − 1)2
Il limite precedente equivale a
FUNZIONI A PIU’ VARIABILI 11
log( 2x+y
3 )−
2x+y
3 +1 2x+y
3 −1
lim 2x+y
p .
(x,y)→(1,1)
3 −1 (x − 1)2 + (y − 1)2
2x+y
Il secondo fattore è limitato per (x, y) → (1, 1) mentre sostituendo t = 3 abbiamo
che
log( 2x+y
3 )−
2x+y
3 +1 log t − t + 1
lim 2x+y = lim =0
(x,y)→(1,1)
3 −1 t→1 t−1
da cui la tesi.
z = fx (O)x + fy (O)y.
Evidentemente si tratta del piano Π : fx (O)x + fy (O)y − z = 0 visto come grafico.
p Se
0 0
poniamo z = f (x, y), allora la differenza |z − z| è infinitesimo maggiore di x + y 2 .
2
Nel caso differenziabile abbiamo le seguenti formule per la derivazione delle funzioni
composte.
12 MASSIMO FERRAROTTI
fv (P0 ) = ∇f (P0 ) · v.
∇f (P0 ) · P 0 (t0 ) = 0.
Quindi il gradiente di f in P0 è ortogonale alla curva di livello di f passante per P0 .
Questo risultato vale anche per n = 3 ovviamente riferito alle superfici di livello e si può
utilizzare per determinare le equazioni cartesiane di rette o piani tangenti alle curve o
superfici di livello.
Esempi.
1) Consideriamo l’ellisse C : 4x2 + 9y 2 = 1 e sia P0 = ( 21 , 13 ). Allora P0 ∈ C e, se f (x, y) =
4x2 + 9y 2 − 1, ∇f (x, y) = (8x, 18y). Quindi ∇f (P0 ) = (4, 6) 6= O e la retta tangente a C in
P0 è la retta passante per P0 e normale a ∇f (P0 ), cioè 4(x− 12 )+9(y − 13 ) = 4x+9y −5 = 0.
2) Se f : R3 → R, il suo grafico Gf è la superficie di equazione cartesiana g(x, y, z) =
f (x, y) − z = 0. Se f è C 1 in P0 = (x0 , y0 ) e z0 = f (P0 ), il piano tangente in Q0 =
(x0 , y0 , z0 ) è il piano passante per Q0 normale a ∇g(Q0 ). Poiché ∇g = (fx , fy , −1),
ritroviamo la formula già dedotta in precedenza
FUNZIONI A PIU’ VARIABILI 13
1t
f (P ) = f (P0 ) + ∇f (P0 ) · (P − P0 ) + (P − P0 )Hf (P0 )(P − P0 ) + o(kP − P0 k2 ).
2
2 +y 2
Esempio. Verifichiamo il precedente teorema per f (x, y) = e2x e P0 = O = (0, 0).
Allora f (O) = 1, ∇f (O) = O e
4 0
Hf (O) = .
0 2
Quindi dobbiamo provare che
2 +y 2
e2x − 1 − 21 (4x2 + 2y 2 )
lim = 0.
(x,y)→(0,0) x2 + y 2
Il rapporto precedente è uguale al prodotto
14 MASSIMO FERRAROTTI
2 +y 2
e2x − 1 − (2x2 + y 2 ) 2x2 + y 2
2x2 + y 2 x2 + y 2
il cui secondo fattore è limitato per (x, y) → (0, 0) mentre si verifica che il primo tende
a 0 sostituendo t = 2x2 + y 2 .
d
fx (O) =f (x, 0)|x=0 = 0.
dx
Analogamente ponendo x = 0 otteniamo fy (O) = 0.
Supponiamo ora che f : Rn → R sia derivabile (cioè con Df aperto e derivabile in ogni
punto di Df ). Un punto P ∈ Df in cui il gradiente ∇f si annulla si dice punto critico di
f . Definiamo quindi l’insieme Σf = {P ∈ Df | ∇f (P ) = 0} dei punti critici di f .
Ricordiamo ora che se A ⊆ Rn e se P0 ∈ A, il punto P0 si dice punto isolato di A se
esiste un intorno U di P0 tale che A ∩ U = {P0 }.
Un punto isolato di Σf si dice punto critico isolato di f . Quindi P0 è un punto critico
isolato di f se e solo se esiste r > 0 tale che se kP − P0 k < r allora P non è critico per f .
Il caso opposto dei punti critici isolati è dato dalle funzioni costanti.
Proposizione 9.3. Sia f : Rn → R una funzione derivabile. Allora ∇f (P ) = O per ogni
P ∈ Df se e solo se f è costante su ogni componente connessa di Df .
Supponiamo ora che f sia di classe C 2 e sia Hf (P ) la matrice hessiana di f in P .
Definizione 9.4. Se P0 ∈ Σf , P si dice punto critico non degenere per f se Hf (P0 ) è
invertibile.
Vale la seguente
Proposizione 9.5. Se P0 è un punto critico non degenere per f , allora P0 è un punto
critico isolato.
FUNZIONI A PIU’ VARIABILI 15
Possiamo studiare i punti critici non degeneri per mezzo dello sviluppo di Taylor al 2◦
ordine e della matrice hessiana.
Esempi.
2 2
1) Siano f (x, y) = e2x +y e P0 = O = (0, 0). Allora Σf = {O} e, come si è visto in
precedenza, lo sviluppo di Taylor al 2◦ ordine in O di f è
f (x, y) = x2 − y 2 + o(x2 + y 2 )
da cui
f (x, y) x2 − y 2 o(x2 + y 2 )
= +
x2 + y 2 x2 + y 2 x2 + y 2
per (x, y) → (0, 0) sarà > 0 se y = 0 e < 0 se x = 0. Quindi O è un punto di sella.
La generalizzazione dei precedenti esempi è il seguente criterio.
Proposizione 9.6. (Criterio dell’Hessiana). Sia f : Rn → R di classe C 2 e sia
P0 ∈ Σf non degenere. Sia H = Hf (P0 ) la matrice hessiana di f in P0 . Allora
(1) Se H è definita positiva allora P0 è un minimo locale stretto.
(2) Se H è definita negativa allora P0 è un massimo locale stretto.
(3) Se H è indefinita allora P0 è un punto di sella.
Proof. Possiamo supporre che P0 = O e che f (P0 ) = 0. Allora lo sviluppo di Taylor al
secondo ordine di f in O è
1t
f (P ) = P HP + o(kP k2 )
2
Dividendo per kP k2 e ponendo v = kPP k otteniamo
f (P ) 1t o(kP k2 )
= vHv + .
kP k2 2 kP k2
Poiché H è simmetrica, esiste un base X1 , . . . Xn ortonormale di Rn di autovettori per
H. Sia λi l’autovalore Pa Xi e supponiamo λ1 ≤ λ2 ≤ . . . λn .
relativo
Allora v = ni=1 ci Xi con ni=1 c2i = 1 e
P
n
X
t
vHv = λi c2i ≥ λ1
i=1
Se H > 0, allora λ1 > 0 e quindi
16 MASSIMO FERRAROTTI
f (P ) 1t o(kP k2 ) 1 o(kP k2 )
= vHv + ≥ λ 1 + .
kP k2 2 kP k2 2 kP k2
Per definizione di limite abbiamo che esiste r > 0 t.c. se kP k < r allora
|o(kP k2 )| 1
2
< λ1 .
kP k 2
Quindi se kP k < r abbiamo f (P ) > 0 = f (P0 ) e P0 è un minimo locale stretto.
Se H < 0, la funzione −f ha O come punto critico non degenere e matrice hessiana
definita positiva, quindi P0 è un minimo locale stretto per −f per quanto sopra. Eviden-
temente questo implica che P0 è un massimo locale stretto per f .
Sia H indefinita. Allora esistono versori v1 e v2 t.c. t v1 Hv1 > 0 e t v2 Hv2 < 0.
Restringendo lo sviluppo di Taylor alle rette per O con direzioni v1 e v2 rispettivamente
otteniamo
Nel caso n = 2, il criterio precedente si può essero reso di più immediata applicazione.
Proposizione 9.7. (Criterio dell’Hessiana in 2 variabili). Sia f : R2 → R di classe
C 2 e sia P0 ∈ Σf non degenere. Sia H = Hf (P0 ) la matrice hessiana di f in P0 . Allora
(1) Se detH > 0 e trH > 0 allora P0 è un minimo locale stretto.
(2) Se detH > 0 e trH < 0 allora P0 è un massimo locale.stretto.
(3) Se detH < 0 allora P0 è un punto di sella.
Punti critici degeneri. Nel caso di punti critici degeneri i precedenti criteri non
possono essere applicati, come gli esempi seguenti dimostrano. Comunque se f ha valore
costante= c su una componente connessa K di Σf (in particolare nei punti critici isolati),
si può studiare il segno di g = f − c vicino a un punto P0 ∈ K e applicare le definizioni di
estremi e di sella.
Esempio. Si studino i punti critici di f (x, y) = x3 − x2 y.
Abbiamo Df = R2 . Poiché ∇f = (3x2 − 2xy 2 , −x2 ), f ha come punti critici i punti
dell’asse delle ordinate x = 0. In tali punti abbiamo che
−2y 0
Hf (O) = ,
0 0
Ora f (x, y) = x2 (x − y) si annulla sulle rette x = y e x = 0, è > 0 per x > y e < 0 per
x < y. Dunque i punti critici (0, y) sono minimi non isolati per y > 0, massimi non isolati
per y < 0 mentre (0, 0) è un punto di sella.
Riferendoci allo studio dei punti critici di una funzione per mezzo della matrice hessiana
H, vedremo alcuni esempi del caso D(H) = 0 (matrice non invertibile).
Caso H = O. Matrice hessiana nulla.
FUNZIONI A PIU’ VARIABILI 17
Funzioni composte. Consideriamo il caso di una funzione composta f (x, y) = h(g(x, y)),
dove h : R → R. Evidentemente è possibile studiare gli estremi di f tramite lo studio di
g e h, in particolare sfruttando
p il fatto che f è costante sulle curve di livello di g.
Ad esempio,
√ se f (x, y) = x2 + y 2 , abbiamo f (x, y) = h(g(x, y)) dove g(x, y) = x2 + y 2
e h(u) = u: quindi f ha un minimo (assoluto) in O.
In generale, se P = (x, y) ∈ Df , abbiamo P ∈ Dg , g(P ) ∈ Dh e
3) P ∈ Σh ∩ Σg : in tal caso Hf (P ) = O.
Esempi.
1) Sia f (x, y) = (2x − y)(3 − (2x − y)2 ). Posto h(t) = t(3 − t2 ) e g(x, y) = 2x − y, abbiamo
f (x, y) = h(g(x, y)) (osserviamo che f (x, y) = −8x3 + y 3 + 12x2 y − xy 2 + 6x − 3y, forma
dalla quale sarebbe difficile riconoscere la scomposizione di f !).
Ora ∇g = (2, −1) 6= (0, 0) (Σg = ∅) e h0 (t) = 0 per t = ±1. Quindi Σf è formato dalle
rette parallele 2x − y = ±1. Inoltre, per t = 1 abbiamo un massimo di h e per t = −1
abbiamo un minimo.
Poiché f è costante sulle rette 2x − y = k, abbiamo che i punti di 2x − y = 1 sono punti
di massimo non isolati ( f = 2) e quelli di 2x − y = −1 sono punti di minimo non isolati
(f = −2).
Questo esempio puó essere preso come modello per studiare gli estremi di funzioni del
tipo h(ax + by + c).
2) Sia f (x, y) = (x2 + y 2 )(3 − (x2 + y 2 )2 ). Allora f (x, y) = h(g(x, y)) con la stessa h
dell’esempio precedente e con g(x, y) = x2 + y 2 . Dunque ∇g = 2(x, y) e Σg è formato
da O, mentre Σh è dato dalla circonferenza x2 + y 2 = 1. I punti di tale circonferenza
sono massimi non isolati (f = 2) mentre Hf (O) = h0 (g(O))(Hg(O)) = 6I, dunque ha
deteminante positivo e O è un minimo isolato (f (O) = 0).
Questo esempio puó essere preso come modello per studiare gli estremi di funzioni del
tipo h(x2 + y 2 ).
critico isolato (0, −1) è necessariamente un minimo, in quanto interno al dominio chiuso
e limitato x2 + (y + 1)2 ≤ 3, nel quale il massimo di f è raggiunto sulla frontiera.)
p √
4) f (x, y) = x3 + 3x2 + y 2 − 1; (R: Df = x3 + 3x2 + y 2 − 1 ≥ 0, h(t) = t e g(x, y) =
x3 + 3x2 + y 2 − 1. h non ha punti critici mentre i punti critici di g sono O = (0, 0) e
P0 = (−2, 0): di questi, O 6= Df mentre P0 è una sella.)
o(kP − P0 k)
= 0.
kP − P0 k
L’applicazione lineare dfP0 : Rn → Rm definita da dfP0 (X) = Jf (P0 )X si dice il dif-
ferenziale di f in P0 .
Esempio. L’applicazione Φ : R2 → R2 definita da Φ(ρ, θ) = (ρ cos θ, ρ sin θ) definisce il
passaggio dalle coordinate cartesiane a quelle polari. Allora
cos θ −ρ sin θ
JΦ(ρ, θ) = .
sin θ ρ cos θ
Osserviamo che Φ è iniettiva su A = {(ρ, θ) | ρ > 0, 0 ≤ θ < 2π} e che Φ(A) = R2 \{O}.
Inoltre det JΦ(ρ, θ) = ρ, quindi JΦ(ρ, θ) è invertibile per (ρ, θ) ∈ A.
Si può applicare la composizione di funzioni a valori vettoriali al calcolo dei limiti per
sostituzione. Per esempio sia
20 MASSIMO FERRAROTTI
P (x, y)
f (x, y) =
Q(x, y)
con P (x, y), Q(x, y) polinomi omogenei di grado p e q rispettivamente e con Q(x, y) 6= 0
per (x, y) 6= (0, 0).
Allora passando alle coordinate polari con (x, y) = Φ(ρ, θ) = (ρ cos θ, ρ sin θ) otteniamo
P (θ)
f (x, y) = f (ρ, θ) = ρp−q .
Q(θ)
dove P (θ) e Q(θ) sono polinomi in cos θ e sin θ.
Quindi lim(x,y)→(0,0) f (x, y) = 0 se p > q, mentre per p ≤ q in generale f non avrà
limite.
Se p = q comunque f è localmente limitata in O mentre è localmente illimitata per
p < q.
Esempio. Sia
xm y
f (x, y) = .
x2 + y 2
Allora
log x + y 2
f (x, y) = p
(x − 1)2 + y 2
sostituendo (x, y) = (ρ cos θ + 1, ρ sin θ) otteniamo