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LE FORME DELLA RIFLESSIVITA':

da costrutto epistemologico a practical issue1

Giampietro Gobo

Dipartimento di Sociologia
Università di Milano

Giampietro Gobo (1961) è borsista post-dottorato presso il


dipartimento di Sociologia dell'Università di Milano.
G. Gobo, Le forme della riflessività: da costrutto epistemologico

a practical issue. La prospettiva teorica nella quale, a grandi

linee, convergonono le teorie ermeneutiche, fenomenologiche,

sistemiche e costruttiviste afferma l'impossibilità di una

fondazione oggettiva della scienza. Le conoscenze scientifiche

sono soggette ad un'invalicabile condizione di circolarità che

nega ogni tentativo di una loro fondazione. In tal senso se appare

impossibile riuscire a separare le proposizioni oggettive da

quelle soggettive, cosí come gli asserti scientifici da quelli di

senso-comune, possiamo però almeno tentare di "problematizzare"

gli asserti e le pratiche di ricerca che li producono. Forse

l'unico modo per separare le conoscenze scientifiche da quelle di

senso-comune è cercare di descrivere riflessivamente il circolo

ermeneutico, di esplicitare i ragionamenti degli scienziati, e di

offrire sistematicamente al lettore i motivi che hanno guidato le

principali decisioni prese nel corso della ricerca. Questi sono

gli obiettivi pratici (practical issue) di una "metodo

riflessivo".

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G. Gobo, Forms of riflexivity: from epistemological concept to

practical issue. The paradigm, in which hermeneutics, systemics,

phenomenologies and constructivisms are converging, states the

impossibility of objective foundation of science. Scientific

knowledge is subject to an insuperable condition of circularity

which negates each tenet of its foundation. Because it becomes

impossible to separate objective statements from subjective ones,

as well as scientific statements from common-sense ones, we can at

least try to "problematize" the accounting scientific procedures.

Perhaps the only ways to separate the scientific knowledge from

the common sense is to try to describe the hermeneutic circle

reflexively, to explicate the scientists' reasoning, and to offer

systematically to the reader the reasons for why decisions were

made. These are the practical issues of a "reflexive method".

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1. INTRODUZIONE

La prospettiva teorica delineata nella prima parte del saggio

appartiene ad una particolare tradizione intellettuale che sembra2

essere l'attuale "koiné filosofica" (Vattimo 1983, XXXV) e che,

segnando un punto di incrocio fra le rappresentazioni

ermeneutiche, fenomenologiche, sistemiche e costruttiviste, si sta

imponendo teoreticamente. Purtroppo molti fra coloro che si

dichiarano costruttivisti sembrano essere poco consapevoli della

loro attività di costruzione e attraverso il paradigma della

costruzione sostengono di svelare la vera natura della scienza non

tenendo conto che la loro é ancora una... costruzione.

Personalmente, invece, sono convinto della indessicalità (Bar-

Hillel 1954; Garfinkel 1967) delle mie affermazioni. Credo che il

presente saggio non sfugga alla irrimediabilità del circolo

ermeneutico. Anzi esso è il prodotto di un'azione contestualmente

delimitata da scopi, vincoli e risorse sia cognitivi che

istituzionali. Le mie affermazioni dovrebbero quindi essere intese

come dipendenti dal contesto di produzione del saggio; in un altro

contesto esse sarebbero probabilmente diverse. Cosí mentre si fa

strada l'idea di una "morale situazionale", dove norme e prescri-

zioni dovrebbero essere rivedute e proposte in sintonia con le

concrete situazioni sociali, vorrei qui definire operativamente le

ipotesi di un "situazionalismo metodologico" (Knorr-Cetina 1981:

4
2). Questo recente paradigma si propone come tertium genus tra

l'individualismo metodologico e il collettivismo metodologico

(Marradi 1984).

2. LINGUAGGIO E REALTÀ'

Il linguaggio non sembra riferirsi direttamente al mondo reale

oppure a quello metafisico. Non sembra cioè esistere un rapporto

diretto o naturale tra un'espressione linguistica (il termine) e

il referente (la realtà extra-linguistica); allo stesso modo non

sembra esistere una relazione naturale né tra un concetto e il suo

referente né tra il concetto e il relativo termine, come già de

Saussure sosteneva. Ciò che li connette è un esteso processo di

costruzione e che possiamo chiamare socio-cognitivo. La

connessione tra l'espressione linguista e l'oggetto diviene allora

puramente convenzionale. Spesso tuttavia dimentichiamo questo

nesso e lo consideriamo naturale; dimentichiamo il ruolo dei

processi di socializzazione attraverso cui gli adulti educano i

bambini ad unire questi tre piani distinti (concetto, termine,

oggetto). I concetti, quindi, possono essere definiti come ritagli

di esperienze (Marradi 1980: 9-10) e non di realtà.

Nella lingua parlata non troviamo parole ma soltanto rumori che

la cultura trasforma in parole, in contenitori cioè di

significato/senso. Cosí in queste pagine non troviamo parole ma

5
soltanto inchiostro su carta che è trasformato in parole dalle

convenzioni sociali3.

La nostra attività osservativa (sia come membri che come

scienziati sociali) appare quindi come una costruzione, una

attribuzione di termini a referenti oggettuali, una descrizione di

stati su proprietà. Le nostre descrizioni sarebbero affer-mazioni

sulla realtà, non la realtà, rappresentazioni (sociali e/o

sociologiche) di quella che crediamo essere la realtà.

A partire dalle osservazioni precedenti possiamo

ragionevolmente dedurre che ogni tipo di conoscenza (compresi i

saperi scientifici) non si fonderebbe, in prima istanza, su

elementi extralinguistici ma soltanto linguistici. I fondamenti

delle scienze non starebbero quindi nella realtà ma nei concetti e

quindi nei discorsi. Le teorie sono infatti discorsi4. Da ciò

deriva anche

"l'idea di una generale e insuperabile situazione di circolarità


che frusta ogni tentativo di giustificazione e di autofondazione
della conoscenza scientifica. (...) La sola risposta possibile a
questa situazione di circolarità é la consapevolezza riflessiva
della circolarità e dell'assenza di fondamenti del sapere
scientifico." (Zolo 1988: 133)

3. DISCORSI COME ATTIVITÀ' COSTITUTIVE DEGLI OGGETTI

3.1 Mehan, Hertweek e Meihls (1986, 81-86) hanno proposto una

tipologia degli oggetti suddivisa in tre classi. Alla prima


apparterebbero oggetti percepibili universalmente; sono

6
prevalentemente oggetti fisici, che si offrono direttamente alla

vista e/o al tatto. In mancanza di una relazione diretta fra


l'espressione linguistica e il referente, i discorsi circa le

pretese di verità o falsità degli asserti che dibattono l'oggetto

slitterebbero dalla parola all'oggetto, cioé alla sua presenza o

assenza. La peculiarità di questi oggetti sarebbe la possibilità


di essere ostentati, indicati (pointed out), per risolvere il

conflitto. In altri termini


"ci possono essere discordanze circa i nomi e le etichette da
appioppare agli oggetti (Wittgenstein 1951), ma la presenza fisica
degli oggetti stessi nel mondo materiale é oltre la disputa."
(Mehan et al. 1986: 83)

Alla seconda classe apparterebbero gli oggetti parzialmente


culturali; la loro particolarità consisterebbe nell'impossibilità

di essere esibiti o toccati direttamente anche se potremmo vedere


gli effetti della loro presenza. Farebbero parte di questa classe
le malattie: possiamo vedere delle macchie rosse sulla pelle ma

non possiamo infatti osservare direttamente (o toccare) la

varicella oppure un'allergia. I concetti di `varicella' e

`allergià sarebbero riferiti ad oggetti parzialmente culturali, i


quali non si possono vedere, ma si possono vedere e/o sentire i

loro effetti: ci sentiamo male, non riusciamo a dormire, abbiamo

delle chiazze che prima non c'erano, ecc. Lo stesso può valere per
altri fenomeni: possiamo vedere che gli oggetti sollevati da

terra, se lasciati cadono nuovamente raggiungendo la superficie

anche se la forza di gravità e il peso specifico non si possono

7
vedere. Quindi mentre potremmo non essere d'accordo sulla

definizione dell'oggetto stesso, i suoi effetti rappresenterebbero


qualcosa che è oltre la disputa poiché, come per gli oggetti

universali, essi potrebbero essere indicati.

Alla terza classe apparterebbero i concetti riferiti a oggetti

interamente culturali5. Per essi non solo l'oggetto non sarebbe

visibile ma nemmeno i sintomi o effetti potrebbero essere esibiti.


Mentre le altre due classi di oggetti possono, in qualche misura,

esistere autonomamente (avrebbero, in parte, una realtà propria)

questi ultimi non sembrano indipendenti dall'attività dei membri


della società. Essi paiono oggetti che acquistano vita soltanto
attraverso un insieme di convenzioni condivise dai

membri/osservatori, un insieme di significati. Le istituzioni

sociali (il matrimonio, il divorzio, ecc.), le malattie


psichiatriche (la schizofrenia, la demenza, la psicosi, ecc.), le
motivazioni, l'anima, l'intelligenza, apparterebbero a questa

classe.6

La classificazione proposta da Mehan non appare del tutto

soddisfacente per varie ragioni che ho esposto altrove7, ma risulta


sufficientemente adeguata ai fini di questo saggio (vedi sez. 4)

3.2 M.B. Hesse (1987) sostiene che le tesi dei costruttivisti

radicali, quali H. Collins, non sono sufficienti a spiegare il


generale successo delle aspettative su cui possiamo confidare per

8
le nostre esigenze pratiche quotidiane. Secondo Hesse alcune

abitudini sociali si sarebbero sviluppate, almeno parzialmente,


conformandosi ad una realtà esterna. Il fatto che un certo numero

di malattie mortali sia stato ridotto e controllato attraverso

l'identificazione di un qualcosa (es. virus) che può essere

ostentato, dimostrerebbe la capacità degli esseri umani di


conformarsi ad una realtà esterna e il successo rappresenterebbe

una testimonianza della riuscita di un adeguamento. E ancora

esisterebbe una base biologica della percezione che deve


riferirsi, per sopravvivere, a reali regolarità del mondo; la
sopravvivenza testimonierebbe un successo, la dimostrazione che

non tutte le induzioni e i procedimenti cognitivi sono puramente


arbitrari o completamente convenzionali. Ma allora esiste una

realtà accessibile indipendentemente dall'osservatore8? Credo che

non possa esserci un responso assoluto, cioè indipendente dal

contesto di risposta. Questa pare una domanda (o meglio un


domandare, cioé un'azione conoscitiva) posta all'interno di un
preciso codice comunicativo: in questo caso è una proposizione

interna ad un ragionamento sociologico inserito nei modi di

pensare della cultura occidentale di fine `900. La risposta pare


ancora un discorso interno a quel codice per cui non possiamo

astrarci dalla situazione storica e contingente in cui parliamo

della realtà. La realtà non sembra un argomento che possiamo

affrontare dall'esterno ma solo internamente al codice,

9
all'idioma9. Il concetto stesso di `realtà', come viene trattato
nel dibattito epistemologico contemporaneo, pare un costrutto
sociale e scientifico moderno non condiviso, ad esempio, dai

greci. Platone, Aristotele, gli Stoici e gli Epicurei, convinti

dell'identità fra uomo e natura, credevano che ciò che i sensi

percepivano era reale. Soltanto nel II sec. a.C., per opera degli
Scettici, il tema dell'illusorietà delle sensazioni venne posto

come un problema gnoseologico. Attraverso il codice, quindi, gli

oggetti acquisterebbero significato, da semplici materiali con


caratteristiche ostensive diventebbero oggetti significativi.
Sembra sia sempre il codice a renderli significativamente

evidenti, intersoggettivamente osservabili. La realtà diverrebbe


quindi evidenza culturalmente costruita.

4. LE SCIENZE SOCIALI COME DISCORSI

La precedente classificazione degli oggetti sottolinea la


natura interamente culturale dei concetti e dei termini usati
anche nelle scienze sociali quali `classe', `conflitto', `status',

`integrazione', `ruolo', ecc. Anche nelle sociologie


"la costruzione di fenomeni sociali e costruzione di conoscenza
stanno fra loro in relazione circolare" (Melucci 1990: 2).
Parlando ad esempio dell'oggetto `movimenti collettivi' Melucci
afferma che ad essi
"viene imposta in maniera fittizia una unità sociologica e una
consistenza reale, che appartengono invece ai presupposti
dell'osservatore" (1990: 10)

10
In secondo luogo, molti concetti sociologici sembrano metafore

particolari nel senso che mentre le metafore tradizionali

consisterebbero nell'attribuire ad una cosa il nome che è proprio


di un'altra (`il mare mugola' - come se fosse un essere vivente;

`se n'è andato' - come se il morto fosse partito; `divorare un

libro' - come se fosse stato mangiato) molti concetti sociologici


sembrano soltanto concetti figurati poiché non esisterebbe un

termine proprio. I termini `società', `sistema', `classe


sociale'10, `élite', `organizzazione', `cultura', `potere',
`prestigio', ecc. necessitano per esser utilizzati di una serie di

istruzioni culturali che permettano di guardarli come oggetti, i


quali non potrebbero altrimenti essere visti al di fuori del

codice comunicativo in cui i termini sono adoperati.11

In terzo luogo, gli oggetti sociologici sono solitamente

comportamenti di membri. Rispetto ad altri oggetti studiati dalle


scienze biologiche e fisiche (piante, minerali, forze, energie,

ecc.) essi avrebbero la peculiarità di produrre significati. Le


discipline sociali vengono anche definite scienze semiotiche

poiché si occupano dei significati che i loro oggetti producono.

Questo non avviene nelle scienze fisiche, come non avveniva nella
sociologia comtiana, poiché esse poggiano sulla proposizione

incorreggibile12 che gli oggetti fisici producano effetti ma non

significati. Se però eliminassimo dalla nostra cultura questa


credenza resa assiomatica (come invece sembra avvenire

11
nell'esoterismo, nelle culture animiste di alcune popolazioni

dell'Africa, del Messico, dell'Australia e... di moltissimi

bambini occidentali) le scienze fisiche diverrebbero anch'esse


discipline semiotiche. Si può allora, forse, ipotizzare che il

"successo" nelle scienze fisiche e biologiche sia determinato

anche dal trattare gli oggetti studiati come se non avessero


competenze comunicative, non potessero discutere gli esiti

conoscitivi di queste stesse scienze. Nelle scienze semiotiche,


invece, dopo la svolta operata dagli studiosi neo-kantiani
(Rickert, Dilthey, Cassirer), agli oggetti studiati vengono

assegnate competenze comunicative per cui gli oggetti stessi sono


considerati capaci di discutere, criticare e definire errate o

imprecise le analisi sociologiche. E dal momento che la cultura


occidentale, in cui le scienze semiotiche sono inserite, assegna

questo ruolo agli oggetti sociali val la pena valorizzarli fino in


fondo come preziosa risorsa e farli parlare (vedi sezz. 6.1 e 6.2-

). Il "successo" in sociologia diverrebbe cosí non trasformazione


e controllo degli oggetti (come nelle scienze fisiche) ma

comprensione degli stessi (Weber 1913)13.

5. RENDERE RIFLESSIVA L'OSSERVAZIONE


5.1 I fenomeni di cui si occupano le scienze sociali sembrano

profondamente simili a quelli di cui si occupano i membri della

12
società (coincidenza meno frequente che nel caso delle scienze

fisiche o di quelle naturali).

"L'insieme dei fatti a cui la ricerca sociologica é indirizzata


coincide, tranne che per lievi differenze, con l'insieme dei fatti
a cui sono rivolte le ricerche dei non specialisti. Per es. le
gerarchie di status, le relazioni sociali, la struttura delle
organizzazioni e la delinquenza minorile interessano sia i
ricercatori professionisti sia quelli non specializzati."
(Zimmerman e Pollner 1970: 91) (come giornalisti, politici,
operatori sociali, etc.).
Le scienze sociali sembrano attingere, quindi, i propri fondamenti
conoscitivi dalle strutture della vita quotidiana e spesso
sembrano utilizzare le stesse risorse (categorizzazioni sociali di

senso-comune cristalizzate nel linguaggio) degli altri membri


della società per riconoscere, codificare ed indagare le strutture

sociali. Se i ricercatori condividono le stesse conoscenze


socialmente distribuite degli altri membri della comunità

linguistica, che differenza esiste allora fra i due gruppi? Detto


in altri termini, le descrizioni dei ricercatori hanno uno status

diverso dalle descrizioni compiute dai membri?


Una risposta potrebbe essere cosí formulata: se i ricercatori,

nelle loro ricerche, non indagano anche il piano delle

risorse/vincoli utilizzate per conoscere, allora le loro

descrizioni sono qualitativamente identiche a quelle di altri


membri (da qui l'epiteto di folk sciences assegnato alle scienze

sociali dagli etnometodologi). I particolari strumenti tecnici e

metodi usati nella sociologia non la rendono una conoscenza

13
superiore alle altre, ma soltanto un tipo di conoscenza fra le

altre: una conoscenza specializzata (al pari di ogni altra

conoscenza prodotta all'interno di una professione) e non una


speciale conoscenza. Le scienze sociali non sembrerebbero avere

quindi fondamenti cognitivi più solidi di quelli dei soggetti da

esse analizzati (Pollner 1987).


Una linea di demarcazione fra gli asserti dei ricercatori e

quelli dei membri potrebbe realizzarsi attraverso una


"problematizzazione" dell'osservazione (Cicourel 1964: 128; 1976:
XX). Il ricercatore dovrebbe cioè de-naturalizzare il mondo

sociale che indaga, in contrasto con l'atteggiamento del membro


che lo osserva come naturale, ovvio, scontato, normale. Questo

potrebbe costituire l'elemento cruciale per distinguere gli


asserti scientifici dagli altri: i primi, a differenza dei

secondi, dovrebbero presentarsi come asserti problematizzati e


riflessi, anche se fondati sulle medesime strutture del linguaggio

ordinario.

5.2 Purtroppo la riflessività non viene quasi mai concepita come

problema dagli scienziati sociali, nemmeno dai sociologi della

scienza dai quali potremmo aspettarci una certa attenzione a tale


argomento. Anzi
"la maggior parte di questi studiosi tace su propri metodi e le
condizioni di produzione (delle proprie analisi)" (Latour e
Woolgar 1979, cit. in Ashmore 1989: 84-85)

14
Fra i sociologi della scienza convive una notevole diversità di

posizioni rispetto al ruolo della riflessività (vedi Ashmore 1989:

26). H. Collins e Pinch cercano di bandirla vedendola come un


elemento paralizzante delle loro pratiche di ricerca; Barnes,

Bloor, Law, pur ponendosi il problema a livello teorico, non vanno

al di là di generali affermazioni "programmatiche"; Mulkay (1984),


Latour (1988), e specialmente Woolgar (1988) e Woolgar e Ashmore

(1988), sembrano gli unici ad aver tentato di porre la


riflessività come "problema pratico" (pratical issue) da
incorporare nelle procedure di ricerca. Questi ultimi hanno

avanzato alcune proposte narrativo-retoriche che tratterò alla


fine.

5.3 Il ricercatore convinto della necessità di differenziare

dal senso-comune le proprie pratiche di ricerca potrebbe dotarsi


di un diverso atteggiamento che distingua sistematicamente gli

"oggetti" di indagine dalle "risorse" da lui adoperate per


indagarli. Gli oggetti delle scienze sociali non sembrano delle

datità, auto-disponibili ed auto-evidenti, ma:

a) si coglierebbero sempre in una relazione sociale, quella

fra il ricercatore e l'oggetto, e quindi all'interno di una


azione. Il tipo particolare di relazione sociale instaurata

produrrebbe molte delle proposizioni contenute nel rapporto di

ricerca del sociologo. Sembra perdere consistenza anche la

15
rigidità della distinzione fra atteggiamenti e comportamenti.

Molte indagine sociologiche sono orientate alla rilevazione di

atteggiamenti; ma ciò che un intervistatore rileva è sempre


un'azione del rispondente. Dare un parere su un argomento, fornire

un'opinione, esprimere delle idee, sono modalità del dire. E il

dire é una forma particolare di azione (Austin 1962; McLuhan


1962). Anche il pensare é un'azione (l'azione di pensare, appunto)

che avviene sempre in un contesto particolare, limitato da vincoli


e risorse come tutte le azioni. Già Lazarsfeld (1958) sottolineava
come il rapporto tra atteggiamento e comportamento di risposta

fosse di tipo probabilistica per cui la risposta era da


considerarsi soltanto come un indizio di un possibile

atteggiamento.
Allo stesso modo non si potrebbero conoscere in modo "puro"

le categorie cognitive (rappresentazioni sociali) dei rispondenti


poiché esse sono esibite sempre in contesti e mai in situazioni

pure per cui risulta difficile valutare fino a che punto esse
siano indizi di un tratto attitudinale oppure di un'azione

pragmatica.

b) Gli oggetti delle scienze sociali sarebbero, quindi, una

continua realizzazione (accomplishment) dell'interazione dei


ricercatori con gli oggetti studiati. Di questo "lavoro" di

costruzione ci accorgiamo nelle situazioni di anormalità o

imbarazzo. Tuttavia esso è presente anche nelle situazioni usuali

16
di a-problematicità routinizzata; anche se non siamo consapevoli

dello sforzo interpretativo fatto per rendere stabili gli oggetti,

per mantenere un ordine cognitivo;


c)inoltre gli oggetti delle scienze sociali
"non sono indipendenti e non possono essere distaccati
dall'attività situata con la quale e per mezzo della quale (il
ricercatore) li ha resi osservabili" (Zimmerman e Pollner 1970:
109).
Si mostrano proprio in virtù delle conoscenze sociologiche e delle

competenze interazionali del ricercatore14. Le informazioni che


acquisiamo sembrano inestricabilmente vincolate ai mezzi che
usiamo per conoscere.
Il pericolo tautologico insito nel circolo ermeneutico (quello

cioé di confondere le nostre credenze con l'oggetto, di


schiacciare i concetti sui significati e sui termini anziché
tenerli adeguatamente separati) può essere parzialmente

scongiurato da un atteggiamento metodologico che renda il

ricercatore consapevole che le sue sono sempre asserzioni sulla


realtà, una sua rappresentazione "professionale", e non una
fotografia della realtà. Considerare il mondo sociale come un

dato15 che aspetta di essere scoperto significa confondere

l'oggetto-mondo-sociale con la risorsa-mondo-sociale, due

prospettive che dovrebbero, invece, rimanere distinte.

6. ALCUNE PRESCRIZIONI PER UN "METODO RIFLESSIVO"


Nonostante questi temi siano dibattuti da decenni, gli attuali

metodi di ricerca non sembrano molto pervasi da forme di

17
riflessività. Negli ambiti quantitativi le osservazioni

metodologiche di Lazarsfeld non paiono esser state pienamente

raccolte dai suoi allievi. Ancor oggi la pratica di ricerca di


molti sociologi si fonda sulla corrispondenza automatica fra

misurazioni e stati degli oggetti sulle proprietà studiate. Negli

ambiti qualitativi, pur essendo le teorie ermeneutiche ampiamente


condivise, sembra continuare a persistere una costante

divaricazione tra filosofie della scienza e pratiche scientifiche.


Cosí la prospettiva metodologica qui delineata sembra ancora poco
presente nelle procedure di ricerca. Essa implicherebbe un atteg-

giamento radicale nell'applicare le teorie epistemologiche al


metodo e alle tecniche di indagine, un atteggiamento disincantato

nella considerazione dei "risultati" delle proprie ricerche e


tollerante nella valutazione degli esiti delle ricerche altrui16;
sembra infatti non esserci un modello corretto di analisi ma

differenti pratiche scientifiche che illuminano alcuni aspetti


tralasciandone altri.
A questa diversa prospettiva epistemologica si possono far

corrispondere anche alcune soluzioni pratiche che possono

risultare utili all'interno di una metodologia riflessiva. Questo


è un pò il senso delle "ricette" indicate nelle prossime pagine;

esse provengono da esperienze di field research, da sociologie

cioè fondate su descrizioni etnografiche. Si tratta ovviamente di

rimedi tecnici generali corrispondenti a problemi teorici

18
generali, e andrebbero calate nelle specifiche situazioni di

ricerca.

La raccolta di annotazioni etnografiche è un primo strumento


che può mantenere analiticamente distinte le prospettive cognitive

degli attori sociali da quelle dei ricercatori. Infatti il

ricercatore si trova costantemente a passare dal codice dello


scienziato a quello proprio dei membri che studia; egli si trova

ad essere dentro e fuori dal loro codice.

6.1 Dentro il codice: la prospettiva degli osservati


Le prospettive cognitive degli attori possono essere studiate

con varie tecniche:


a. Interviste in profondità: su questa tecnica esiste una

copiosa letteratura. Non sempre però essa considera l'intervista


come un'interazione situata e le risposte come prodotti del
processo relazionale (Cicourel 1964; 1974b). Un utile modo per

distinguere gli aspetti contestuali più rilevanti può essere

quello di disporre di una tabella a tre colonne cui corrispondano


rispettivamente risorse, vincoli e loro possibili effetti. Nella

prima colonna vengono riportati i mezzi principali che il

ricercatore pensa di aver utilizzato per ottenere le risposte e


gestire l'intervista; nella seconda colonna sono descritti gli

accordi/contratti (sia formali che informali) che il ricercatore


ha pattuito con l'intervistato, le difficoltà incontrate e le

19
probabili restrizioni istituzionali ed interazionali a cui

entrambi erano sottoposti; infine, nella terza colonna, vengono

indicati i possibili esiti che risorse e vincoli possono aver


prodotto sull'andamento dell'intervista e sulle risposte (Gobo

1990a).

b. Triangolazione: consiste nel far ascoltare oppure vedere


(nel caso di materiali videoregistrati) alcune attività compiute

dagli attori e nel chiedere loro di descrivere pazientemente tali


attività e il significato da loro attribuito (Cicourel et al.
1974; Mehan et al. 1986: 68-87). In questo modo è possibile

ricostruire schemi di ragionamento e di comportamento che sono per


lo più taciti, inconsapevoli, irriflessi e come tali difficili da

ricavare attraverso un'intervista in profondità.


c. De-naturalizzazione: il ricercatore dovrebbe dissolve

l'integrità del documento raccolto e poi fruirlo in modo


incompleto. Ad esempio se è un nastro audio-registrato, sarebbe

meglio prima leggere il testo trascritto; se è un materiale video-


registrato sarebbe opportuno inizialmente spegnere il video ed

ascoltare solo l'audio o viceversa; dal momento che risulta

difficile analizzare un documento studiandolo al tempo reale della

sua produzione, rallentarlo o spezzarne il ritmo naturale può


facilitare il lavoro del ricercatore.

d. L'uso di controffattuali: un utile modo per separare le

componenti invarianti delle interazioni da componenti culturali in

20
senso esteso e da caratteristiche proprie della specifica

situazione può essere l'uso di "condizionali controfattuali".

Possiamo per esempio chiederci: se il rispondente fosse stato più


giovane, della stessa età o più vecchio dell'intervistatore avrem-

mo ottenuto le medesime risposte? Le domande che il ricercatore si

porrà saranno ovviamente in sintonia con quanto a lui interessa


rilevare e controllare17.
e. Convalida da parte dei soggetti osservati: diversi autori
hanno suggerito alcune tecniche per raccogliere le valutazioni dei

soggetti osservati, circa i risultati ottenuti dai ricercatori,

usando i loro commenti (verbali o scritti) ai rapporti di ricerca.


Questa procedura é stata variamente definita: `postulato di
adeguatezza' (Schutz), `member validation' (Emerson & Pollner

1988; 1991), `member verification' (Gould et al. 1974), `member

test of validity' (Douglas 1976), `host verification' (Schatzman


and Strauss 1973), `respondent validation' (Bloor 1978),
`backtalk' (Lanzara 1988, 12-15). Queste tecniche a volte

realizzano i loro obiettivi, a volte falliscono: i membri infatti


non comprendono il linguaggio dei ricercatori. Membri e

ricercatori attribuiscono significati differenti al rapporto di


ricerca per cui, mentre i ricercatori lo vedono come "neutrale", i

membri lo considerano un documento "politico" perché potrebbe

produrre cambiamenti nell'organizzazione dove essi lavorano


(Emerson e Pollner 1988). Le risposte dei soggetti sono ambigue

21
per cui alla fine i ricercatori non capiscono se esse siano

confermative oppure critiche nei confronti delle descrizioni dei

ricercatori (Emerson e Pollner 1988). In questi casi nessun com-


promesso sembra raggiungibile. Il divario pare epistemologicamente

incolmabile poiché frutto di prospettive non commensurabili.

Le tecniche finora esposte non si prefiggono di cogliere la


realtà, o di dipingerne un quadro completo ed esaustivo, ma

soltanto di migliorare le attuali procedure di ricerca nel


tentativo di "comprendere", di avvicinarsi alle prospettive degli
attori. Pensiamo solamente quanto l'interpretazione delle risposte

dei questionari potrebbe migliorare se queste ultime fossero


precedute da descrizioni etnografiche relative ai significati

attribuiti dai rispondenti agli item proposti o se i ricercatori


analizzassero l'intervista come interazione situata (Sormano

1988).

6.2 Fuori dal codice: la prospettiva dei ricercatori


Per ogni livello di interazione (del ricercatore con gli

attori, con gli informatori, con i dati, con gli altri

ricercatori, ecc.) si possono dare virtualmente infiniti n+1


livelli di osservazione rendendo cosí teoricamente impossibile

assumere una posizione super partes tale da garantire la

completezza dell'analisi. Inoltre se risulta di una certa


difficoltà indagare la prospettiva degli attori sociali, ancor più

22
difficile si preannuncia l'analisi della prospettiva del

ricercatore. Essa richiede uno sforzo auto-riflessivo che ha molti

limiti18. Se sembra praticamente impossibile uscire dal proprio


codice, non è da meno rendere la nostra attività di
membro/osservatore/ricercatore trasparente e riflessivamente

penetrabile. Dei rimedi però sono forse possibili, anzi auspicabi-

li. Collocarci all'interno di un diverso atteggiamento significa,

in primo luogo, acquisire uno schema cognitivo che possa guidare,


successivamente, particolari tecniche e strumenti di indagine. Può

essere utile servirsi di training che addestrino il ricercatore a

ripulire lo sguardo dalle abituali griglie osservative (Melucci


1981: 59-60), a depurare le attività di comprensione dalle incro-
stazioni stereotipate del linguaggio a lui familiare. Queste

abilità non sono però finalizzate ad acquisire competenze per


particolari verifiche di ipotesi o per migliori standardizzazioni,

secondo il mito scientista della replicabilità, ma a dilatare la


consapevolezza della inesorabile attività di costruzione e a

mantenere quest'ultima parzialmente sotto controllo.


Assunta come invalicabile la circolarità, un'altra serie di

modalità possono "rimediare parzialmente l'irrimediabile

indicalità delle pratiche di ricerca". Esse possono essere di due


tipi: extra-testuali e testuali. Le prime ricorrono per esempio ad

un diverso utilizzo dell'èquipe di ricerca: i ricercatori possono


analizzare separatamente gli stessi materiali e poi confrontare

23
gli esiti delle loro analisi. In questo modo possono esperire

consapevolmente i passaggi dalla soggettività al-

l'intersoggettività. Oppure i ricercatori possono chiedere ai


soggetti studiati di fornire descrizioni su come loro hanno visto

le attività di ricerca, come abbiano interpretato gli stimoli dei

ricercatori e come abbiano vissuto la presenza degli stessi. O


ancora alcuni osservatori esterni (altri scienziati sociali)

potrebbero monitorare criticamente le fasi di ricerca.


Fra le modalità testuali rientrano le strategie di scrittura,
compresi tutti i tentativi di descrivere il circolo ermeneutico

per ridurne la viziosità.

7. SCIENZA SOCIALE COME TESTO


7.1 La triangolazione, la member validation, l'uso di
osservatori esterni all'èquipe di ricerca, non sembrano cautelarci

in modo definitivo dalla possibilità del verificarsi di un


consenso puramente ideologico sul lavoro dei ricercatori. In altre
parole può verificarsi il caso-limite in cui tutti (committente,

ricercatori, attori sociali studiati e osservatori esterni) siano

d'accordo sui risultati della ricerca, soprattutto quando oggetto


di indagine siano argomenti non privi di forti aspettattive

sociali e politiche. Dal momento che non sembra possibile

trascendere il circolo ermeneutico in cui

l'osservatore/ricercatore é coinvolto, non rimane che tentare di


descriverlo.

24
A quali criteri può appellarsi il lettore nel valutare i

risultati di un ricerca? La risposta più ovvia sembrerebbe quella

di riferirsi ai metodi usati nella ricerca e alle trascrizioni su


cui sono state condotte le analisi. Riproporre al lettore il

metodo adoperata appare però ancora un proposito troppo vago se

non é accompagnato da una presentazione delle situazioni di


applicazione della metodo stesso, come esplicitare le principali

decisioni che i ricercatori hanno preso durante le fasi della


ricerca e i momenti salienti del loro ragionare. Fornire alla
comunità scientifica le basi delle proprie inferenze sembra

l'ultima ratio di una scienza che non crede più (perché si tratta
pur sempre di credenze) nelle possibilità di una verità oggettiva

e che nonostante ciò, tenta di emanciparsi dai ragionamenti di


senso-comune.

7.2 Alla domanda se sia possibile una ricerca oggettiva su un

problema come la devianza Cicourel risponde


" ...l'unico modo in cui è possibile usare la parola oggettivo
sta... nel dichiarare come si é giunti a svolgere una determinata
ricerca, come alcune persone ti hanno o non ti hanno aiutato nel
portarla avanti, chi sono queste persone, e come nel corso della
ricerca alcuni fatti appaiono più importanti di altri (...),
mettere in luce i limiti che abbiamo nell'analisi dei dati ed
evidenziare quante volte noi facciamo affermazioni basate su
nostre esperienze passate non esplicitate... e che non sono rese
note al lettore. Il lettore non conosce le condizioni in cui noi
traiamo alcune deduzioni circa le informazioni che abbiamo."
(1986, 51-52)

25
I risultati di una ricerca non sembrano emergere, in modo

automatico, dal campo. La realtà non ha "un suo idioma" (Geertz

1988: 151). Gli antropologi da tempo hanno rilevato che fare un


rapporto di ricerca,
"Scrivere un'etnografia è un lavoro a tavolino, da ufficio, non un
fieldwork" (Marcus 1980, cit. in Van Maanen 1988: 4).

A tavolino il ricercatore costruisce e ordina in dati il caos


delle informazioni. La cultura dei soggetti osservati viene cosí
ricreata attraverso lo scritto, anzi diviene lo scritto. E il

testo scritto è, di solito, il mezzo principale attraverso cui un


autore comunica i "risultati" delle proprie ricerche alla comunità

scientifica e, in definitiva, "fa scienza sociale".


Anche per questo ulteriore livello di riflessione si possono

usare alcune avvertenze tecniche al fine di esplicitare i processi


inferenziali salienti o decisivi del ricercatore. Eccone alcune.

Gli interessi teorici: il ricercatore potrebbe chiarire


dettagliatamente quali aspetti si proponeva di indagare; se e come
questi siano cambiati nel corso della ricerca, in base a quali

eventi e considerazioni; quali ipotesi guida (top down) lo abbiano

orientato.
Gli interessi sostantivi: egli potrebbe esplicitare per quale

motivo si sia occupato di quel preciso argomento, quali interessi

ed obiettivi concreti o contingenti lo abbiano spinto a prestare

attenzione ad esso piuttosto che ad un altro; quali siano stati i


suoi intenti extra-scientifici.

26
Le relazioni affettive e il background culturale e ideologico:

raccogliere descrizioni che tentino di catturare le emozioni del

ricercatore nei confronti dell'oggetto studiato (Borgogno


definisce tale relazione "equazione personale") e delle

interazioni avute con esso (Corsaro 1985: 295), i problemi

personali di adattamento al campo (Goward 1984: 104-107).


Ovviamente vi è una rilevante parte privata dei ragionamenti del

ricercatore che non sempre è opportuno ed obbligatorio


esplicitare. Però l'aver in qualche modo evidenziato questa
sezione privata, permette al ricercatore di correggere alcune

osservazioni.
Pare radicata in molti sociologi la convinzione secondo cui

queste dimensioni sarebbero esclusivamente psicologiche. Invece


esse sembrano a pieno titolo componenti sociologiche: le risonanze

emozionali dell'osservatore rispetto all'oggetto, le reazioni che


egli nutre nei suoi confronti, hanno un ruolo importante nel

guidare la costruzione e l'analisi dei dati. Ci possiamo


ragionevolmente chiedere: se il ricercatore fosse bevitore o

fumatore abituale (o se non lo fosse) che influenza avrebbe questo

suo stato nei confronti di una ricerca sull'alcolismo e le droghe?

Se fosse cattolico che tipo di reazioni emozionali avrebbero per


lui oggetti di indagine quali i fenomeni religiosi contemporanei,

i comportamenti e le abitudini sessuali, i sistemi di credenze? E

cosí per innumerevoli argomenti di ricerca.

27
Le note metodologiche: narrazioni su come il ricercatore sia

giunto a riconoscere determinate risposte, suggerimenti e

particolari come congruenti ed appropriati ai suoi interessi


(Zimmermann e Pollner 1970); come abbia ritenuto ragionevoli e

convincenti le sue interpretazioni (Sormano 1988); in che modo sia

giunto a stabilire gli eventi selezionati come rilevanti ed


adeguati al fine di accettare o escludere determinate ipotesi ed

interpretazioni. (Mehan et al. 1986; Gobo 1992: 28ss)


Le conoscenze teoriche: enucleare il tipo di letteratura
consultata, gli approcci teorici seguiti e le categorie

sociologiche utilizzate per codificare gli eventi e classificarli.


Le tecniche: descrivere le tecniche adottate e i problemi sorti

nella loro applicazione (Gobo 1992: 39-43; fornire i principali


materiali utilizzati per l'individuazione dei risultati in modo

tale che altri ricercatori possano ripetere l'analisi (Mehan


1979).

Le risorse e i vincoli: narrazioni sulle condizioni della


ricerca, sulle difficoltà e facilitazioni incontrate (Cicourel

1974a), sulle richieste, permessi e finanziamenti19 ottenute e

negate (Sjoberg 1967), sulle reazioni, incoraggiamenti e

dissuasioni da parte dei colleghi20; in una parola sulle risorse e

i vincoli che hanno delimitato il campo delle azioni conoscitive

del sociologo.

28
Contatti: resoconti su contatti informali (impressionist tales)

(Van Maanen 1988); racconti su interviste e colloqui avvenuti

(Cicourel 1974b: cap.3), corrispondenze e conversazioni,


telefonate significative, suggerimenti e critiche seguiti alle

prime stesure dei "risultati" (Ashmore 1989: 220-226). Le

informazioni provenienti da queste interazioni si congiungono


all'insieme delle conoscenze tacite, del background del

ricercatore, che probabilmente svolge un ruolo non trascurabile


nell'interpretazione dei dati.
L'indessicalità del rapporto di ricerca: riconoscere "la

contingenza dei propri dati" (Madella 1989: 64), considerare i


discorsi degli scienziati sociali come asserzioni dipendenti dal

contesto di produzione, cioé discorsi legati all'occasione e


sottostanti alle stesse restrizioni dei discorsi dei soggetti

studiati. Questo mancato riconoscimento può condurre a situazioni


paradossali come quelle descritte da Ashmore rivisitando gli

scritti dei sociologi della scienza. Essi, analizzando i discorsi


degli scienziati, hanno notato una triplice variabilità:
"[1] Non solo le descrizioni di scienziati diversi differiscono
(rispetto ad uno stesso evento osservato); [2] non solo le
descrizioni di uno stesso scienziato variano a seconda che siano
riportate in lettere, appunti di laboratorio, interviste, atti di
convegni, rapporti di ricerca, etc.; [3] ma gli scienziati
forniscono anche versioni abbastanza differenti di eventi
all'interno di una singola intervista registrata o una medesima
conferenza" (Gilbert & Mulkay 1984, cit. in Ashomore 1989, 147).
Ashmore documenta in modo ironico e puntuale (1989: 148-159) come

tale variabilità sia presente anche nei discorsi dei... sociologi

29
della scienza: essi parlano e scrivono in modi diversi a seconda

di differenti contesti; le descrizioni di uno stesso studioso

variano da contesto a contesto; il medesimo sociologo fornisce


versioni differenti all'interno di un stesso contesto: non solo in

uno stesso libro, non solo nello stesso capitolo, ma addirittura

nella stessa pagina.


Uno stile post-retorico: a questa differente prospettiva

metodologica sarebbe preferibile far corrispondere anche un


diverso procedere argomentativo che rispecchi il cambiamento
epistemologico. Un diverso modello argomentativo potrebbe quindi

guidare la stesura dei "risultati" della ricerca. Ridimensionando


la tradizione retorica che sin dai greci s'é occupata delle

strategie argomentative al fine di persuadere gli ascoltatori (Pe-


relman 1977; Billig 1987), l'obiettivo principale dovrebbe essere

quello di rendere possibile, al lettore del rapporto di ricerca,


la proliferazione di tesi diverse da quelle proposte dall'autore;

un modo quindi argomentativo, che stimoli la nascita di "altre"


costruzioni/interpretazioni al posto di "persuadere" semplicemente

il lettore.

Un diverso stile letterario: infine, uno stile post-retorico

potrebbe essere realizzato attraverso un diverso modo di "scrivere


scienza sociale". Recentemente alcuni autori si sono occupati

dell'argomento proponendo alcune forme letterarie (New literary

forms) al fine di superare la rigidità e l'irriflessività delle

30
conclusioni scientifiche standard: usare parentesi all'interno di

parentesi (utilizzato spesso dagli etnometodologi rendendo però

difficilmente leggibile un testo), scrivere un testo in modo


ironico o in forma di
"commedia (play) (Mulkay 1984a; Heaton 1985), di filastrocca
(limerick) ([Collins; pubblicato anonimamente] 1984a), di parodia
(Latour 1980b), di dialogo (Mulkay 1985; Ashomore 1989; Pinch e
Pinch 198821; Ashmore, Mulkay e Pinch 1989), con una contro-
prefazione (Mulkay 1985), una contro-introduzione (Woolgar e
Ashmore 1988), un testo parallelo, analitico e meta-analitico
(Wynne 1988; Ashmore 1989: cap.6; Woolgar 1983c), un collage
narrativo (Ashmore 1989: cap.1; Ashmore, Mulkay e Pinch 1989), di
conferenza (Ashmore 1989: cap.7), l'enciclopedia (Ashmore 1989,
cap.2), di prova d'esame (Ashmore 1989: cap.7), in stile
giornalistico (press report) (Ashmore, Mulkay e Pinch 1989), (...)
e con strumenti auto-referenziali quali self-engulfing photograph
e note a pié di pagina auto-riferite (Woolgar 1984, 1988b;
Hofstadter 1980), strange loop (Mulkay 1984a; Ashmore 1989:
cap.5). Critiche a tali tentativi sono contenute in Walker 1986,
Wynne 1986, Oehler e Mullins 1986, Pinch e Pinch 1988, Latour 1988
e Halfpenny 1988" (Ashmore 1989: 66).

Come osserva Ancarani (1990) queste proposte sembrano


risolversi solamente in un
"tentativo (...) di impostare il tema della riflessività in
termini di manipolazione-decostruzione del testo" (p. 122)

ed alcune forme letterarie paiono un pò ridicole e narcisistiche,


e non sembrano giovare molto alla costruzione di tecniche testuali

per un modello stilistico riflessivo.

Personalmente, invece, propongo uno stile espositivo che


limiti l'impiego di certe formule impersonali (`si deduce che',

`si nota che', `ne consegue che'), alcune metafore visive (appare

chiaro che, risulta evidente che). Uno stile che nelle deduzioni
riduca l'uso dei modi verbali indicativi; questi indicano

31
certezza, la presenza di una inferenza deduttiva certa, reale.

Quando é possibile, la forma impersonale potrebbe essere

sostituita con la prima persona singolare oppure plurale (ma solo


se coloro che scrivono sono effettivamente più di uno). Scrivendo

`io' oppure `noi' i ricercatori dichiareranno come personali le

interpretazioni fornite, nel senso che appariranno come le loro


interpretazioni e non le uniche possibili o le corrette letture

dei dati. Queste considerazioni possono sembrare leziose o di


maniera. Ma accade spesso, nei rapporti di ricerca, che dati
interpretati da una sola persona vengano esposti al plurale. Se

però, in questo caso, provassimo a sostituire la prima persona


plurale con la più corretta singolare, ci accorgeremmo come le

stesse affermazioni assumono un significato diverso. In effetti il


dispositivo retorico del `noi' permette al ricercatore di

trasformare il proprio pensiero in opinione collettiva. Una


interpretazione personale appare come interpretazione condivisa da

molti senza che questo sia effettivamente avvenuto e il


ricercatore allontana cosí la responsabilità delle proprie

asserzioni consegnandola ad un generico `noi'. Parafrasando

un'affermazione ironica di Bloch (1980) sul lavoro di èquipe,

potremmo dire che il plurale maiestatico é utile perché permette


di dare sempre la colpa a qualcun altro. L'uso della prima persona

potrebbe poi essere accompagnato da verbi che facciano percepire

la presenza di un autore dietro al testo (Geertz 1988), che diano

32
al lettore l'idea che egli sta leggendo soltanto delle opinioni e

non delle affermazioni certe o vere. A tal fine penso che

espressioni quali `noi crediamo che', `ci é parso', `ci sembra'


possano utilmente precedere le asserzioni dei ricercatori. I modi

indicativi, inoltre, potrebbero essere sostituiti con forme

verbali condizionali che trasmettano la natura dubbiosa, incerta,


opinabile, possibilista, aperta, delle costruzioni del sociologo.

Oppure in presenza di modi indicativi la scelta potrebbe ricadere


su verbi quali `sembra', `pare', `somiglia' piuttosto che sul
verbo essere. Questo verbo, che spesso semanticamente sostituisce

il verbo `esistere', potrebbe essere accompagnato e preceduto da


verbi servili (potere e dovere) che ne ridimensionino la valenza

di consistenza concreta. Anche gli avverbi di affermazione (in


realtà, naturalmente, esattamente, sicuro e sicuramente, certo e

certamente, indubbiamente, precisamente, infine, assolutamente,


perfettamente, in conclusione) potrebbero essere sostituiti da

avverbi di dubbio (forse, probabilmente, tendenzialmente,


approssimativamente, presumibilmente). I termini come `realtà',

`scoprire', `mostrare', `svelare', `dimostrare', `provare',

`evidenza', `verità', `vero', `fatti', `dati', potrebbero essere

usati con più parsimonia e con maggiori cautele oppure sostituiti


con `documentare', `eventi', `fenomeni', `informazioni',

`risultati', `interpretare'. Si potrebbero pensare le informazioni

che acquisiamo e produciamo non come "conoscenze scientifiche"

33
bensí come "credenze scientifiche", "opinioni professionali su"

aspetti della società, cui indirizziamo la nostra attenzione.

Infine, si potrebbe evitare di stendere delle vere e proprie


`conclusioni' poiché una ricerca, dal punto di vista

epistemologico, non sembra concludersi ma essere "fermata" in

funzione degli scopi e delle circostanze pratiche del ricercatore.


La proposta, a mio avviso, non si esaurisce in un semplice

cambiamento di termini; se il lettore si esercitasse a modificare


il proprio vocabolario, forse accuserebbe una certa fatica nella
realizzazione poiché sarebbe costretto a confrontarsi

costantemente con il proprio linguaggio oggettuale. Inoltre la


forza delle sue affermazioni verrebbe trasformata: da un lin-

guaggio assertivo ad uno dubitativo.

8. SCIENZE SOCIALI COME DISCORSI LEGATI ALL'OCCASIONE: una


premessa
Quando un ricercatore inizia una indagine su un determinato
oggetto sociale, si aspetta che questo... esista. Da questa meta-
aspettativa si diramano molte altre aspettative che trasformano

ingenuamente una costruzione sociologica dell'osservatore in

oggetto reale. Diversamente da questa posizione ho cercato di


sviluppare l'ipotesi che siano soltanto i discorsi a rendere

visibili ed osservabili gli oggetti sociologici22. Ipotizzando la

mancanza di una relazione "naturale" fra linguaggio e mondo reale

viene svalutata la presunta autorità e cogenza della

"dimostrazione" poiché la scienza sarebbe persuasione,

34
convinzione, credenza, ed i suoi attori diverrebbero i discorsi

scientifici e non i fatti. Le verità si presenterebbero come

verità relazionali, raggiunte in un'arena discorsiva. Il sapere


scientifico sarebbe cosí il prodotto situato di un'interazione

conoscitiva limitata dai vincoli e dalle risorse a disposizione

dei ricercatori, le quali possono essere parzialmente descritte.


Ed essendo il sapere prodotto anche dai metodi usati per

conoscere, tematizzare la riflessività ed occuparsi di metodologia


potrebbero diventare impegni prioritari. Ma anche questa non é
altro che... un'opinione, un semplice account.

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"MicroMega", n.1, pp. 131-143.

42
NOTE

1. Desidero ringraziare Barry Saferstein, Andrea Falcon e John


Guice per gli utili consigli e suggerimenti. Un ringraziamento
speciale va ad Alberto Melucci, Anna Lisa Tota, Pier Paolo
Giglioli, Mario Cardano e Enzo Campelli per il sostegno e la
paziente critica di una precedente versione del saggio.

2. Coerentemente ad una costruzione riflessiva del testo, userò


frequentemente le forme `sembra' e `pare' al posto del verbo
`essere'. Ulteriori approfondimenti verrano presentati alla fine
del saggio, nel paragrafo dal titolo "un diverso stile
letterario".

3. Anche riconoscere un segno come inchiostro, carta, rumore, pare


un'attività di costruzione. Però può essere utile sottolineare una
distinzione fra i segni (che possono essere in qualche modo
esperiti) e i simboli, espressioni linguistiche che usiamo per
nominarli e per farli vivere. A volte possiamo non essere
d'accordo se chiamare suono o rumore lo stimolo che colpisce il
nostro udito ma possiamo convenire sulla presenza dello stimolo,
sulla sua esistenza.

4. A queste considerazioni giunge anche l'autocritica del


positivismo logico che W.V.O. Quine, ispirato dalla metafora
nautica di O. Neurath, ha avviato nel corso degli anni `60.

5. Gli autori usano una diversa terminologia: oggetti sensibili,


oggetti mediati e oggetti culturali.

6. Un esempio di mancata percezione di oggetti interamente


culturali è offerto dai resoconti degli ambasciatori cinesi in
visita diplomatica in Europa lo scorso secolo.

"[...] Sulla nave ci sono dei missionari e quando e' domenica


dispongono sul ponte quattro file di sedie e sgabelli, nel mezzo
piantanto una croce, accendono candele e chiamano a raccolta. Chi
vuole andare, uomo o donna, porta con se' la Bibbia e, in piedi o
in ginocchio, recita a bassa voce i testi sacri. Talvolta si
indica con la mano le spalle e gli orifizi, oppure si percuote il
viso facendo sembianze di piangere. Sulla pedana, un uomo chiamato
padre, con un abito lungo e un cappello bianco, legge i testi e la

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gente gli risponde in coro. Sulla terraferma, nel giorno stabilito
si raccolgono nelle chiese." <Masci 1989, 73>

In questo caso gli osservatori cinesi non riescono a percepire


quegli oggetti rituali perchè non possiedono i concetti di `messa'
e `segno della croce'.

7. Vedi Gobo 1990b.

8. Kant aveva già risposto affermando che la realtà era inconosci-


bile.

9. Ringrazio Melvin Pollner per questo suggerimento.

10. Vedi Gobo 1993.

11. Osservati sincronicamente, molti eventi e fenomeni sembrano


"fatti" ed "oggetti"; osservati in una prospettiva storica
potremmo notare come essi siano stati "costruiti socialmente" nel
tempo: `guida in stato di ubriachezza' <Gusfield 1981>,
`maternita' <Luker 1984>, `stato di crisi nelle minorenni incinte'
<Luker 1990>, `ritardato mentale' <Mehan 1989>, `mente' <Rorty
1979>, etc. sono concetti e oggetti che hanno fatto la loro
comparsa ad un certo punto della storia delle societa'; non
sembrano essere esisti da sempre. Prima di diventare problemi o
oggetti, essi sembrano appartenere solamente ad uno sfondo informe
di fenomeni. Invece diventano concetti che permettono di
riconoscere e preformare oggetti, soltanto attraverso le pratiche
costitutive degli attori sociali.

12. Gasking <1955, 432> definisce `preposizione incorreggibile'


una credenza che, essendo considerata certa, indiscutibile e non-
negoziabile, diviene assioma. Ad es. nell'aritmetica "7+5=12" è
considerato un assioma vero e indiscutibile; se compiendo questa
addizione qualcuno otterrà un risultato diverso, tutti penseranno
(lui compreso) che c'e' stato un errore nel calcolo poiché nessuno
si sognerebbe di mettere in discussione l'assioma. Per l'utilità
di questa idea nello studio delle ideologie e dei ragionamenti
umani vedi Pollner <1973>, Mehan-Wood <1975>.

13. Anche un'epistemologia della sociologia sembra diversa dalle


epistemologie delle hard sciences. I concetti sociologici di
`rappresentativita'' del campione, `verita'', `attendibilita'',

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`validita'', `dimostrazione', `teoria', `legge', `dato', ecc. non
sembrano commensurabili con simili concetti usati nelle scienze
fisiche. Per i diversi concetti di `legge' nelle scienze fisiche,
naturali e semiotiche vedi D'Andrade <1986>.

14. I significati di un testo non sembrano stare, in prima


istanza, nel testo ma nel codice del lettore/uditore. Le afferma-
zioni "questa penna scrive bene", "il fucile ha sparato un colpo",
"le travi reggono il tetto", sembrerebbero indicare che colui che
le pronuncia creda veramente che gli oggetti siano capaci di
azione propria. Se i lettori di questo saggio non riscontrano
intenzionalità in tali oggetti ciò avviene non perché lo ricavino
dal testo ma perché è una "preposizione incorreggibile" del loro
codice. Sono quindi le competenze cognitive dell'osservatore ad
attribuire significati ai testi.

15. Il termine `dato' prima di diventare (per la scienza) un


oggetto, una cosa, era soltanto il participio passato del verbo
`dare'; forse proprio in questa forma verbale possiamo trovare il
fondamento epistemologico delle nostre argomentazioni. `Dato'
(donnè in francese) significa infatti "che e' stato offerto,
ceduto da qualcuno, donato". Se prendiamo come esempio una tavola
demografica, una tabella ISTAT, sappiamo che essa non e' stata
trovata `naturalmente' in quella forma, ma e' stata redatta.
Qualcuno ha dovuto chiedere, attraverso un linguaggio, delle
informazioni e qualcun altro ha dovuto rispondere; qualcuno ha
dovuto chiedere permessi per accedere a documenti e fonti, e
qualcun altro ha risposto a queste richieste. Emerge cosí un'ampia
e complessa rete di relazioni, di vere e proprie negoziazioni, il
cui esito diviene, nello stesso tempo, vincolo e risorsa per la
redazione della tavola demografica. E' in questi termini che si
deve considere l'affermazione secondo cui "il dato viene
costruito".

16. Riconoscere la fallibilità ed incompletezza delle nostre


osservazioni non dovrebbe indurci allo sconforto bensí dovrebbe
ridimensionare gli ambiti della loro validità ed estendibilità.

17. Fra le procedure di analisi quantitativa sono stati approntati


alcuni modelli matematici <O'Muircheartaigh 1977; Morton Williams
1979> per il controllo dell'influenza delle caratteristiche
dell'intervistatore (sesso, eta', etc.) all'interno della dinamica
dell'intervista. Purtroppo tali modelli non sono usati quasi da
nessuno.

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18. C'è anche un paradosso logico riconosciuto da più parti:
sembra che non si possa essere contemporaneamente osservatori ed
osservati.

19. Pare esserci, in molti Paesi, uno stretto legame fra ricerche
e finanziamenti. Percio' gli oggetti di ricerca vengono scelti non
tanto in base agli interessi dei ricercatori quanto all'esistenza
o meno di finanziamenti (grants) per quel tipo di argomenti di
indagine.

20. Ashmore <1989, 20-25> riporta alcuni commenti di sociologi


della scienza che lo consigliavano di cambiare l'argomento della
tesi di dottorato: a loro avviso la riflessività era un tema
sterile o di scarsa rilevanza.

21. Un curioso saggio dove l'autore inventa un dibattito fra sé e


sé, cioè fra un Pinch anti-riflessivo e il suo alter ego a favore
della riflessività.

22. Nelle attività di ricerca Blumer <1968> sostiene che il


ricercatore inizia con pre-comprensioni deboli o "concetti
sensibilizzanti" per giungere, in un secondo momento, a concetti
più precisi <Glaser e Strauss 1967; Spradley 1980>.

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