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MIDDA’S CHRONICLES

VOLUME TERZO

IL COLLEZIONISTA DI SASSI
E ALTRE STORIE

Sean MacMalcom

Un libro New Wave Novelers


in collaborazione con Lulu.com
2 Sean MacMalcom

Prima pubblicazione nel 2009 su http://middaschronicles.blogspot.com/


Prima pubblicazione cartacea in Italia nel 2010 da Lulu.com

© Sean MacMalcom 2009

Stampato e venduto
da Lulu.com

Tutti i contenuti di questa pubblicazione sono sotto


protezione del diritto d’autore (legge 22 aprile 1941 n. 633 e seguenti).
Qualsiasi plagio dell’opera o parte di essa verrà perseguito
a norma delle vigenti leggi internazionali.

Immagine di copertina e grafica interna a cura di


Giuliana Lagi

La pubblicazione giornaliera degli episodi di Midda’s Chronicles


è disponibile all’indirizzo
http://www.middaschronicles.com/

Altre pubblicazioni New Wave Novelers


sono disponibili all’indirizzo
http://newwavenovelers.altervista.org/
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A Monica B.

Friends do not live in harmony merely,


as some say, but in melody.
Gli amici non vivono semplicemente in armonia,
come alcuni dicono, ma in melodia.
Henry David Thoreau (1817 - 1862)
4 Sean MacMalcom

La saga
MIDDA’S CHRONICLES

Volume primo
Il tempio nella palude (e altre storie)

Volume secondo
Condannata (e altre storie)
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Prefazione

Caro Lettore,

probabilmente stai iniziando questo libro perché hai già letto le


precedenti raccolte delle Midda’s Chronicles, oppure perché sei un fan della
blog novel nella quale le avventure prendono quotidianamente vita o
forse, ancora, perché ti è stato raccomandato da qualcuno che ha
conosciuto Midda prima di te. In realtà non ha importanza come tu sia
arrivato ad avere questa raccolta tra le mani, l’importante è che tu la legga.

Sean ha uno stile di scrittura unico, te ne accorgerai subito, appena


iniziata la prima pagina di questo volume. Quella che stringi è l’opera di
un vero artista della parola: la sua precisione e la sua padronanza
linguistica lo rendono un affabulatore di tutto rispetto. Dalle righe le
immagini prendono forma e raggiungono il lettore con la nitidezza di un
quadro. Ogni nuova pagina rinnova lo stimolo a voler concretizzare la
situazione e a soffermarsi su ogni personaggio fino ad averlo ben chiaro in
mente.
Sean non narra solamente le avventure di Midda, no, Sean ti catapulta
direttamente al fianco della sua mercenaria in piena battaglia. Il clangore
delle spade che cozzano tra loro, i respiri affannati dei personaggi, le
imprecazioni di Midda... tutto straordinariamente realistico tanto che ti
sorprenderai a voltarti, durante la lettura, per assicurarti di non avere il
nemico alle spalle. Ti perderai in descrizioni, duelli, ballate, tratteggiate
con mano sapiente e capace di dare alla mente abbastanza elementi per
ricostruire quel mondo fantastico che ti permetterà di estraniarti e ti
resterà dentro per un bel po’...

Cosa aspetti dunque? Immergiti nelle avventure di Midda Bontor,


mercenaria dagli occhi di ghiaccio. Seguirne le gesta ti trasporterà in un...
film a colori! Sean non si limita a scrivere, lui disegna le parole e tu,
Lettore, non leggerai le avventure di Midda: tu le potrai vedere e vivere!

A noi, Viandanti della Terra di Altrove, è stato offerto l’alto onore di


scrivere questa prefazione per il terzo libro del nostro amico Viandante
Sean MacMalcom, il cantore di Midda Bontor, la guerriera mercenaria che
ormai da oltre due anni e mezzo cerca di sopravvivere, giorno dopo
giorno, nell’universo fantasy sword & sorcery da lui creato.
6 Sean MacMalcom
E a noi, Viandanti della Terra di Altrove, è stata donata la gioia di
godere della compagnia quotidiana del cantore di Midda che ogni sera,
giunto in Locanda, siede a un tavolo appartato - nel suo “angolino” come
è solito chiamarlo - e si immerge nella scrittura.
Ora, quando noi Viandanti pensiamo a Midda, non possiamo non
rivedere Sean MacMalcom seduto in silenzio a quel tavolo, la sua
incredibile costanza, la sua instancabile dedizione, la sua unicità.

A Sean il nostro grazie per la sua presenza discreta e gentile e per la


sua amicizia preziosa.
A Te, Lettore, buona lettura e... buon viaggio nell’avventuroso mondo
di Midda Bontor!

Gli amici della Locanda della Terra di Altrove


http://www.terradialtrove.it/
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Introduzione

Caro lettore,

giungere a scrivere l’introduzione di questo terzo volume delle


Cronache, accogliendoti al pari di un vecchio amico o, forse, di un nuovo
ospite, è per me indubbia ragione di orgoglio e piacere, non diverso da
quello che solo potrebbe provare un architetto nell’invitare qualcuno a
varcare la soglia dell’edificio da lui appena terminato.
Non con minor piacere di come, forse, ti ho già offerto il benvenuto in
occasioni passate, mi accingo ora a introdurti al sempre più vasto mondo
di Midda Bontor, quest’universo sword & sorcery nato senza pretese in un
giorno come altri e, da allora, sviluppatosi con costanza e affetto da quasi
tre anni.

E la storia continua – Per chi già confidente con il contenuto di questo


volume, sicuramente non vi saranno sorprese in quanto sto per
presentare, in un’introduzione sicuramente ripetitiva, e pur necessaria, a
offrire spazio di comprensione per chi, altresì, fosse nuovo a quest’opera e
alla sua particolare storia. Una storia che ha inizio l’11 gennaio 2008, con
un primo messaggio pubblicato in un nuovo blog aperto su Blogger.com
(http://www.middaschronicles.com/), nel quale una formosa mercenaria
dagli occhi color ghiaccio esordisce circondata da zombie. Da quel giorno,
quella stessa mercenaria ha camminato, cavalcato, navigato e, persino,
volato a lungo, nella proposta di quello che è stato successivamente
riconosciuto quale un moderno romanzo d’appendice e che a oggi,
dicembre 2010, ancora sta proseguendo imperterrita nella propria strada,
nella propria via, tutt’altro che stanca, tutt’altro che arrendevole, dopo
aver comunque affrontato oltre mille episodi di pubblicazione online, per
un totale di oltre ventidue racconti completi, nel corso dei quali ha avuto
occasione di combattere in contrasto non solo a zombie, ma anche a
negromanti, eserciti mercenari, ippocampi, anfesibene, cerberi, tifoni,
ragni giganti, doccioni… etc, etc, etc. Una storia sicuramente lunga,
caratterizzata nella propria evoluzione, tuttavia, da racconti sì proposti
all’interno di una comune continuità narrativa e, ciò nonostante, sempre
concepiti quali autonomi, indipendenti, e autoconclusivi nei propri
sviluppi, nelle proprie vicende, in modo tale da rendere questo Volume
Terzo, potenzialmente, anche un Volume Primo, là dove tu non dovessi
aver mai letto nulla a tal riguardo prima d’oggi.
8 Sean MacMalcom
Entro queste quasi settecento pagine, quindi, potrai seguire le vicende
di Midda Bontor, donna guerriero e mercenaria, alle prese con altre
quattro sue avventure, racconti entro i quali la più classica azione sword &
sorcery non mancherà di tentare di intrattenerti nel migliore dei modi
possibili, sperando di non farti rimpiangere la fiducia pur accordatami con
il tuo tempo e il tuo impegno nella lettura. Racconti già comparsi diversi
mesi fa online, ma che mai, prima di questa pubblicazione cartacea, hanno
subito un’attenta opera di revisione e correzione, e ai quali mai era stata
precedentemente affiancata alcuna tavola, altresì presente all’interno di
questo volume. Come già in occasione di ogni precedente pubblicazione,
anche per Il collezionista di sassi (e altre storie), la proposta cartacea cerca di
essere valorizzata non semplicemente nell’offrire dei testi migliori rispetto
alla loro prima pubblicazione a episodi, quanto nel proporre, accanto a
ciò, quindici tavole inedite a opera di Giuliana Lagi, tali da rendere questo
appuntamento ancor più apprezzabile.

Ritardi – Se il precedente Condannata (e altre storie) era stato


inizialmente annunciato per l’estate del 2009 e, suo malgrado, è giunto
solo in prossimità dell’inverno dello stesso anno, questo nuovo
appuntamento può “vantare” un ritardo ancor maggiore rispetto al
precedente.
La colpa di tutto ciò, ovviamente, ha da imputarsi unicamente al
sottoscritto, là dove pur avendo questi testi già a disposizione da oltre un
anno e mezzo, il lavoro quotidiano, quello ufficiale con cui cerco un mio
ruolo nella nostra società moderna, e l’impegno posto nella stesura dei
nuovi episodi di Midda’s Chronicles, non mi hanno offerto sufficienti
margini di manovra per rispettare i termini, più che ampli,
precedentemente annunciati. Di ciò non posso che scusarmi con tutti
coloro che attendevano la pubblicazione di questo volume già sei mesi
fa… e che, solo oggi, lo possono finalmente ritrovare loro offerto.

Ancora Lulu.com – Così come per le precedenti pubblicazioni, e così


come continuerà a essere almeno sino a quando qualcuno non dimostrerà
un qualche interesse a offrirmi alternative migliori, la strada del self
publishing e del print on demand proposta da Lulu.com è stata
nuovamente abbracciata anche per questo Volume Terzo, secondo formati
e costi che, ormai, sono divenuti caratteristici di questa pubblicazione.
Nonostante l’autopubblicazione non sia vista, abitualmente, di buon
occhio, sono felice di constatare come, sorprendentemente, le Cronache non
abbiano incontrato, sino a oggi, particolari rimproveri da parte del
proprio, sicuramente ristretto ma non per questo meno valido, pubblico,
una parte particolarmente affezionata del quale, come sicuramente avrete
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notato prima di questa Introduzione, ha persino deciso di rendermi
omaggio con una meravigliosa Prefazione, di cui mi riservo l’occasione di
parlare meglio in sede di Ringraziamenti.

Sempre Yeshe Norbu e Tibetan Children’s Villages – Oltre al


rinnovato rapporto con Lulu.com, notizia più gradita, dal mio personale
punto di vista, si propone quella relativa alla confermata presenza, anche
su questo Volume Terzo, del verde bollino in copertina, a dimostrazione
di quanto l’iniziativa di beneficenza già oggetto dei primi due volumi di
Midda’s Chronicles abbia da intendersi rinnovata anche con questo nuovo
appuntamento. Ancora e costantemente in collaborazione con Yeshe Norbu
Appello per il Tibet o.n.l.u.s. (http://www.adozionitibet.it/), pertanto, per
ogni copia venduta la cifra simbolica di 1 euro, pari al mio personale e
sempre inalterato guadagno sul prezzo di copertina, verrà infatti devoluta
in favore dei Tibetan Children’s Villages (http://www.tcv.org.in/).
A seguito dell’occupazione cinese del Tibet, Tsering Dolma, sorella del
Dalai Lama, decise di iniziare a occuparsi dei troppi bambini che, orfani,
ammalati e malnutriti, stavano cercando rifugio in India, fuggendo
lontano dalla terra loro negata, dalle famiglie loro sottratte, istituendo nel
1960 la Nursery for Tibetan Refugee Children. Originariamente pensata per
offrire unicamente cure primarie ai bambini in esilio, la Nursery, sotto la
direzione di Jetsun Pema, in sostituzione della sorella scomparsa
prematuramente nel 1964, e sostenuta dall’impegno del volontariato, ebbe
modo di ampliare le proprie competenze e veder crescere le proprie
dimensioni fino a raggiungere quelle di un piccolo villaggio, offrendo, al
proprio interno, ai bambini nuove case e scuole in cui trovare rifugio e
istruzione: nel 1972 venne così formalmente registrato il primo Tibetan
Children’s Village (TCV), diventando anche membro del SOS Children’s
Villages. Da allora il TCV ha dato vita a numerose installazioni in tutta
l’India, arrivando oggi a ospitare più di 16.000 bambini, offrendo loro una
speranza di vita altrimenti negata.

Detto questo, beh… meglio evitare di aggiungere altro per non


sottrarre ulteriormente tempo alla lettura delle avventure di Midda
Bontor, se non per offrirti il mio più sincero ringraziamento per il tuo
interesse, per il tuo eventuale apprezzamento e, anche a nome di Yeshe
Norbu, per il tuo acquisto di questo volume.
Buona lettura…

Sean MacMalcom
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MIDDA’S CHRONICLES 11

Sommario

Prefazione .......................................................................................................... 5
Introduzione ...................................................................................................... 7
Sommario ......................................................................................................... 11

Il collezionista di sassi .................................................................................... 15


La sposa del sultano ..................................................................................... 163
La fortezza fra i ghiacci ................................................................................ 339
Assassinio nella città del peccato................................................................ 523

Ringraziamenti .............................................................................................. 689


Prossimamente… .......................................................................................... 691
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14 Sean MacMalcom
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Il collezionista di sassi

’ difficile pensare che io possa essere giunto a questa situazione.


Anzi… no.
E In verità, si potrebbe considerare assolutamente normale il fatto
che io sia giunto a questa situazione.
Molti altri, al mio posto, non avrebbero probabilmente neppure ipotizzato
di imbarcarsi in un viaggio come quello che io, al contrario, ho
insistentemente cercato. Uno come me, che ha trascorso la sua intera
esistenza nell’anonimato, non avrebbe dovuto pretendere, da un giorno
all’altro, di diventare una specie di avventuriero… e uscirne illeso.
Ma io, per mia sfortuna, ho commesso proprio tale errore.

… credo di star morendo...

Ormai non riesco a percepire alcun muscolo del mio corpo. La mia
vista è confusa. Il respiro è praticamente inesistente, addirittura
impossibilitato a essere. E il freddo mi domina fin dentro le ossa.
E’ questa la sensazione che dovrebbe essere avvertita in simile
frangente, oppure no?
Credo di aver sentito, in passato, ipotesi secondo le quali, innanzi alla
morte, l’intera propria vita venga riproposta agli occhi del malcapitato…
purtroppo, in questo momento, davanti a me sembra esserci solo
un’incredibile confusione.
Dei... forse sarebbe il caso che io pregassi qualche dio?
Credo di sì. Probabilmente sì.
Sto morendo. E questo sarebbe il momento migliore per pregare… se
solo lo sapessi fare. Peccato che in passato non abbia mai avuto occasione
di soffermarmi nell’analisi della mia religiosità.
In effetti, se solo riuscissi a farlo, credo che ora scoppierei a ridere per
quanto questa situazione si ritrovi a essere paradossale.
Possibile che non riesca neanche a morire in modo normale?

Alla fine di tutto, almeno, restano accanto a me i miei sassi…


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ro ancora piccolo, molto piccolo, il giorno in cui decisi di
raccogliere il mio primo sasso.
E Credo sia una cosa comune a tutti i bambini quella di cercare
ninnoli con cui divertirsi e, indubbiamente, le pietre sono, fra
tutti i possibili candidati a un tale ruolo, quelle che inevitabilmente
riscuotono maggior successo: il mondo, dopotutto, è ricoperto di rocce e
sassi e, in questo, qualsiasi pargolo, lasciato tranquillo a giocare fuori casa,
presto o tardi incapperà nel proprio primo sasso.
Sono poche le memorie che conservo di un periodo tanto lontano della
mia vita, ma di quella pietra mi ricordo perfettamente.
Era, o comunque ai miei infantili occhi tale appariva, l’oggetto più
incredibile e affascinante del mondo, offrendo, su una superficie piatta e
tonda come quella di molti ciondoli di mia madre, un colore fra il blu
scuro e il nero, solcato da due righe bianche, parallele, al proprio interno.
Più grande delle mie minuscole mani, quel tesoro prezioso si era, così,
presentato a me come una fra le principali meraviglie del Creato,
splendido in quella sua vellutata opacità, in quei suoi colori così perfetti.
Inutile sarebbe sottolineare come simile gioia, indubbiamente priva di
qualsiasi intrinseco valore materiale, fosse stata allora per me una fonte
d’orgoglio fuori dal comune: i bambini, del resto, sono creature semplici,
innocenti, capaci di emozionarsi per un’infinità di situazioni altresì
ignorate dagli adulti, e in questo capaci di reinterpretare la realtà a
proprio piacimento, trasformando un bastoncino in un’arma
indistruttibile o un sasso in un gioiello unico e prezioso.
Quel primo sasso, in particolare, oltre a risultare quale una conquista
quasi leggendaria, si era, allora, indiscutibilmente candidato anche al
ruolo di sincero amico, di fedele compagno di giochi nel corso di una
giornata indimenticabile, fiero alleato contro tutto ciò che di spaventoso il
mondo mi avrebbe potuto offrire. Purtroppo, però, quell’appassionato
rapporto, nel quale avevo impegnato tutto il mio affetto indiscriminato, fu
presto negato, dopo neppure un’ora, o forse meno, dall’intervento di mia
madre. Dopotutto, così come qualsiasi bambino è istintivamente spinto di
cercare ninnoli con i quali divertirsi, qualsiasi madre è naturalmente
pronta a imporsi in esplicito contrasto con simili conquiste, non
comprendendo come anche in un semplice sasso possa essere racchiuso
un universo intero.
Agli occhi di tutti gli adulti una pietra non apparirà mai quale nulla di
più di una pietra.

Falso!
Anche agli occhi degli adulti non tutte le pietre sono semplici pietre.
E’, infatti, sufficiente che una si dimostri in grado di risplendere in modo
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diverso dalle altre, rivelando un pregio meno comune, più raro, affinché
improvvisamente sia considerata quale incredibilmente preziosa e, come
tale, sia non solo apprezzata, ma addirittura bramata. Un’ingiustizia,
quella espressa da un simile pregiudizio, che si ritrova, in verità, a essere
rispettata qual regola universale, dogma di fede ancor prima di regio
decreto, in ogni aspetto della realtà quotidiana, dove non solo i sassi, che
agli occhi di un bambino sono e sempre saranno tutti meravigliosi, sono
destinati a subire arbitrarie distinzioni in base alla propria semplice
apparenza, discriminazioni in virtù dell’ipotesi di un proprio intrinseco
valore, attribuito altresì solo dal pensiero comune, ma anche, loro pari,
ogni altro elemento del Creato, compresi animali e uomini.
Ritengo, forse a torto, che proprio in questo modo nasca il potere, in
questo modo nascano i soprusi: dove, in fondo, una pietra può essere
considerata preziosa solo perché capace di risplendere in maniera diversa
dalle altre, offrendo, in conseguenza di ciò, a una privilegi e onori nel
mentre in cui all’altra viene concessa solo la polvere della strada, perché le
persone dovrebbero avere diritto a un trattamento diverso, a un altro
criterio di giudizio?

Facile proporre simili pensieri innanzi alla morte… più complicato,


invece, difenderli in vita.

Io non ho mai scordato quel sasso e, negli anni a venire, pur


crescendo, pur maturando, ho cercato sempre il mio diletto in ciò che
comunemente gli altri ignorano. E, a questo proposito, non credo neppure
di essere mai riuscito a perdonare mia madre per avermi privato di
quell’incredibile amico, mai più successivamente ritrovato: non
certamente da bambino… come avrei potuto farlo?... ma neppure dopo,
nel momento in cui fui finalmente in grado di comprendere aspetti della
vita prima a me celati o, comunque, ignorati nell’ingenuità infantile.
Anche ora, lo ammetto, mi viene difficile pensare di poterla perdonare
per quel gesto, quell’atto incosciente da parte sua, ma fin troppo ricco di
significati al mio sguardo.
Ella mi negò un motivo di gioia perché ritenuto inutile, privo di
valore, non diverso da qualsiasi altro sasso presente in strada: ma con
quale arroganza, con quale diritto si permise un simile giudizio, dal
momento in cui non era solita valutare neanche se stessa qual superiore a
una manciata di povere d’oro? Anche l’oro è pietra e la polvere d’oro,
come indica il termine stesso, altro non è che polvere: per quale ragione,
quindi, uno splendido sasso sarebbe dovuto essermi negato, nel momento
in cui mia madre, per molto meno, non aveva mai negato il proprio corpo
a qualsiasi uomo lo avesse richiesto?
18 Sean MacMalcom
Da bambino, naturalmente, non conoscevo né mai avrei potuto
comprendere il sesso e, peggio ancora, il sesso mercenario.
Mia madre, per ipocrisia o, forse, per amore, aveva cercato di
crescermi lontano dal suo mondo, dalla sua professione, raccontandomi
tante belle storie su mio padre. In simili illusioni, egli era allora stato
descritto quale un meraviglioso cavaliere, un incredibile guerriero dalla
lucente armatura, capace di compiere imprese oltre ogni umana possibilità
di successo, di spingersi al di là degli stessi confini del mondo conosciuto,
per porre sfida anche agli stessi dei. Nel contesto fittizio di tali storie, poi,
egli era, purtroppo, perduto ormai da anni, forse morto ma più
probabilmente prigioniero in qualche terra lontana, in attesa del momento
propizio per tornare indietro, per ricongiungersi a noi, sua famiglia.
Ovviamente non conobbi mai mio padre, dal momento in cui mia madre,
anche volendo, non avrebbe concretamente saputo indicare con certezza
chi egli sarebbe potuto essere: troppi possibili candidati, tutti, per lo più,
senza neppure un nome o un volto degno di essere ricordato.
Forse, in passato, avrei dovuto provare maggiore gratitudine verso
mia madre, nel rendermi conto di tutto ciò che ella fece nel tentativo di
offrirmi una vita normale, sforzo in cui ella impegnò tutte le proprie
energie al contrario rispetto a molte altre sue pari, le quali da sempre sono
e per sempre saranno, altrimenti, solite rifiutarsi, nel migliore dei casi, di
concedere la benché minima preoccupazione verso i propri figli o, nel
peggiore, di riconoscere loro persino il semplice diritto alla vita, la
naturale occasione di poter nascere.
Obiettivamente, quello di mia madre avrebbe dovuto essere giudicato
quale un atto d’amore, per quanto mai riuscii a valutarlo in simile modo.

Facile raggiungere tali consapevolezze innanzi alla morte… più


complicato, invece, maturarle in vita.

Naturalmente il giorno in cui, non abbastanza grande per essere


considerato un ragazzo, ma, al tempo stesso, ormai non troppo piccolo per
essere considerato ancora un bambino, scoprii mia madre a letto con un
uomo, non ebbi modo di impegnare il mio pensiero in un ragionamento
ponderato, analizzando la questione a fondo e valutando con freddezza la
situazione offertami. Da parte sua lo vissi, semplicemente, quale un
terribile tradimento, innanzitutto per me stesso e poi, anche e
stupidamente, per il padre che, illudendomi, ero certo un giorno sarebbe
venuto a stringermi fra le sue forti braccia, raccontandomi in prima
persona di tutte le sue incredibili avventure e portandomi in giro per la
città in groppa al suo possente cavallo.
MIDDA’S CHRONICLES 19
In quel giorno, pertanto, fuggii di casa, gettandomi allo sbaraglio in un
mondo assolutamente nuovo ai miei occhi, una realtà in cui ogni cosa
iniziò, purtroppo, ben presto ad assumere valori e connotati diversi da
quelli con cui era stato da me osservato fino a quel momento. E, così, dove
mia madre tanto aveva insistito per dimostrarmi la differenza fra un
gioiello e una banale pietra, improvvisamente mi risultò chiaro come
l’intero Creato fosse altresì costituito principalmente da quelle che ella
aveva condannato al ruolo di banali pietre e come anche io,
inevitabilmente, fossi una di esse.
Solo e spaventato per le strade pericolose di Kriarya, così, cercai
rifugio in un vicolo, in un angolo, raccogliendo proprio in quel punto il
mio secondo sasso, da cui mai più mi separai.

Kriarya.
Dubito che possa essere semplice tentare di spiegare a un bambino la
realtà rappresentata dalla città del peccato. Personalmente non ho mai
avuto, né mai avrò, data la mia condizione attuale, l’incombenza di una
tale responsabilità e, nonostante tutti i rancori che non riesco a evitare di
imputarle, non posso che ringraziare mia madre per il suo tentativo di
proteggermi dalla realtà, a me circostante, nella prima e più innocente
infanzia.
Inevitabilmente, comunque, la mia fuga da casa complicò il tutto,
ponendomi inerme e impreparato davanti a un mondo inadatto ad
accogliere un bambino, e, al contrario, pronto a fagocitarlo nella propria
oscura spirale senza incertezze, privo di dubbi.
Ripensandoci ora, invero, non saprei dire in virtù di quale divino
volere mi fu salva la vita: probabilmente fu ancora mia madre, che pur
non volli rincontrare, a porre una buona parola per me con il suo
protettore, il suo mecenate, e questi, in conseguenza, fece modo di
imporre un qualche veto attorno alla mia persona, tale da impedire alla
morte di raggiungermi laddove sarebbe stato ovvio che ciò avvenisse.

… maledizione!
Sto morendo e ancora trovo la forza di mentire a me stesso?

D’accordo. Ci riprovo.
Ho sempre saputo che, all’epoca, fu solo per merito di mia madre,
colei che era e sarebbe ancora stata, a mia insaputa, la sola speranza di
salvezza per quello stesso bambino che da lei aveva voluto tanto
precipitosamente cercare fuga, che potei essere posto al sicuro, evitando
che il mondo a me sconosciuto mi potesse, allora, annullare
20 Sean MacMalcom
completamente, impedendomi ogni possibilità di crescere, di raggiungere
un’età più matura e, forse, meno stupida.
Alcuni uomini, così, mi trovarono e mi condussero a una delle tante
torri di Kriarya, dove lord Cemas si propose quale mio tutore.
Non nego di aver più volte considerato lord Cemas quale mio
potenziale padre, soprattutto negli anni in cui raggiunsi la consapevolezza
del mestiere in cui mia madre prodigava il proprio tempo e le proprie
energie. Difficile, altrimenti, sarebbe stato ipotizzare la ragione per cui un
signore della città del peccato si sarebbe dovuto interessare al figlio di una
delle sue numerose prostitute. Ovviamente il fato non mi volle riconoscere
alcuna conferma in tal senso né, invero, io la ricercai: in merito all’identità
di mio padre, con il passare del tempo, cessai di concedermi qualsiasi
curiosità, rifiutando ogni sogno di pari passo alla separazione sempre più
netta che mi imposi nei confronti delle mie origini. La mia vita aveva, nel
bene o, più probabilmente, nel male, intrapreso una nuova strada e, per
quanto tutt’altro che semplice o gradevole essa sarebbe potuta apparire,
sarebbe dovuta essere apprezzata, comunque, quale una via utile per
proseguire oltre.
Divenni così un tuttofare al servizio dei servitori del mio mecenate,
impiegato a tempo pieno per garantire il mantenimento del regale tenore
di vita del medesimo all’interno della propria torre. Pulire pavimenti,
lucidare armi, liberarmi dell’immondizia: questi e molti altri furono, per
lunghi anni, i miei principali impieghi, gli unici interessi della mia
esistenza al di fuori dei sassi.

Alla pietra che raccolsi a seguito della fuga dalla casa in cui ero
cresciuto, in effetti, molte altre si aggiunsero nel tempo, con l’alternarsi
delle stagioni.
Ormai libero da ogni vincolo parentale, nessuno avrebbe potuto
negarmi quella mia scelta, quella mia passione, e nei miei sassi non solo
potei trovare amici fedeli ma, anche, delle rappresentazioni materiali di
ogni momento della mia esistenza. Sebbene, almeno inizialmente, il mio fu
sicuramente un gesto infantile, quasi una sorta di vendetta nei confronti di
mia madre e di tutti i suoi pregiudizi per quanto da me, invece,
apprezzato qual tesoro, nel corso del tempo maturai l’abitudine di
associare ogni sasso a un qualsiasi evento della mia stessa esistenza, bello
o brutto che esso fosse: un complimento ricevuto dai miei superiori mi
portava, così, a ricercare una pietra per festeggiare simile risultato, per
quanto misero simile gesto sarebbe potuto apparire a uno sguardo
esterno; un rimprovero, poi, mi spingeva in eguale direzione, allo scopo di
segnare simile sconfitta e tenerne memoria per il futuro.
MIDDA’S CHRONICLES 21
La valle dei morti, fuori città, dove fui accompagnato per trasportare il
primo cadavere di cui ebbi incarico di liberarmi, a otto anni, mi offrì
pertanto l’occasione di porre le mani su uno splendido quarzo, metà
ruvido e opaco, metà cristallino e lucente, in tonalità variabili fra il bianco
grigiastro e il ramato. A undici anni, dopo aver fallito nel compiere il mio
primo furto, nella volontà del mio padrone di potermi utilizzare per scopi
diversi da quelli in cui ero stato preposto fino a quel momento, raccolsi,
poi, una rara pietra lavica, nera e porosa, l’unica su cui mai sia riuscito a
porre le mie mani, per quanto impegno in ciò possa successivamente aver
messo, data la loro minima presenza nel territorio della provincia. E,
ancora, nel vicolo dove, per la prima volta, mi incontrai con una delle
ragazze al servizio di lord Cemas, per festeggiare il mio presunto
tredicesimo compleanno o quello che comunque egli stabilì essere tale,
ebbi allora modo di raccogliere una meravigliosa selce di color verde
giallastro, liscia e parzialmente scheggiata, tale da offrire un lato a dir
poco tagliente.
I pochi e scarni piedi quadrati di spazio a me concessi quale stanza
personale, ricavati nelle fondamenta stesse della torre del mio signore,
così, si arricchirono ben presto dei miei tesori, delle mie ricchezze, alle
quali alcuno avrebbe mai attentato, nessuno si sarebbe mai interessato.
Nel rispetto di tutti i pregiudizi già dimostrati da mia madre, infatti, per il
mondo intero quelli sarebbero apparsi, sempre e solo, quali banali sassi,
negando loro qualsiasi pregio, qualsiasi valore. E dove, se io avessi
posseduto “pietre preziose” non avrei potuto trovare requie nel timore di
perderle, con i miei “banali sassi” non mi fu mai offerta pena, altresì
permettendomi di vivere serenamente la mia esistenza, rimirandoli ogni
sera, ripassandoli uno a uno nelle loro incredibili forme, nelle loro
meravigliose proporzioni, nei loro pregi e difetti, unici e irripetibili.
Una chiara realtà non mi fu difficile da comprendere, in quegli anni:
inesorabilmente il tempo sarebbe trascorso, i ricordi si sarebbero affievoliti
e le persone sarebbero morte. I sassi, al contrario, sarebbero sempre
rimasti uguali, immutabili, proponendosi simili a un’ancora stabile,
irremovibile, all’interno di un vasto mare agitato, perennemente in
tempesta, qual solo sarebbe potuta essere considerata la vita e l’umano
destino.
E solo le pietre, non a caso, restarono al mio fianco nel fatale e tragico
giorno in cui lord Cemas venne meno.

Non per ragioni di vecchiaia, quanto più banalmente per un complotto


ordito a suo discapito, il mio ipotetico padre e sicuro tutore, colui che mi
aveva garantito, sino ad allora, una possibilità di crescere, fu ucciso nelle
sue stesse stanze.
22 Sean MacMalcom
In quell’occasione, specifico per dovere di completezza in questa mia
cronaca, io non fui presente, ma anche se lo fossi stato, probabilmente, non
avrei potuto o voluto intervenire. Dopo aver scoperto la verità sul mondo
a me circostante, infatti, un deciso grado di disillusione non mi era più
stato negato, influenzandomi prepotentemente e allontanando da me ogni
sogno infantile di eroiche imprese, di epici scontri, di vittorie leggendarie.
In conseguenza di ciò, o, forse e più semplicemente, per una totale assenza
di predisposizione in tal senso, tutti i tentativi proposti, in quegli anni, dal
mio signore per spingermi ad ascendere a ruoli sociali più elevati rispetto
a quello di sguattero, che mi aveva da sempre caratterizzato, erano
miseramente falliti: non ladro, non mercenario e non, di certo, assassino,
avevo dato prova di poter essere al suo servizio, nonostante occasioni di
offrirmi in tal senso non mi fossero state negate. Ragione per cui,
certamente, inutile sarei stato anche nell’essere posto di fronte a coloro
reclutati per decretare la fine del mio signore.
A quindici anni mi ritrovai pertanto costretto a lasciare nuovamente
un luogo in cui mi ero sentito come a casa, la torre del mio defunto
custode, non negandomi, in questa occasione, un certo malincuore e
rimpianto. Fortunatamente, al mio fianco non mancarono allora di essere i
miei sassi, che non ebbi esitazione a raccogliere in un pesante sacco, allo
scopo di trasportarli meco nella ricerca di un nuovo futuro, senza ritrovare
difficoltà od opposizione alcuna in tal senso, né da parte del nuovo
occupante della torre, né da quella delle sue guardie personali, i quali non
offrirono alcun interesse né nei confronti del mio tesoro, né nei miei stessi.
In fondo… perché mai avrebbero dovuto agire diversamente?

Per diversi giorni, a seguito dell’abbandono della torre di lord Cemas,


vagai lungo le strade di Kriarya, accompagnato unicamente dai miei sassi.
Se la sete, allora, non si propose fortunatamente quale un problema
irrisolvibile, ritrovando, in numerose fonti sparse per la città, occasione di
sopperire a tale necessità, la fame purtroppo apparve quale un problema
più grave e difficilmente ignorabile. La mia vita, i miei sassi e i quattro
stracci che avevo indosso in quel momento, mi erano infatti stati concessi
nel momento della mia partenza dalla mia ultima dimora, ma solo quelli e
null’altro: non un tozzo di pane, non un pezzo di carne essiccata e,
soprattutto, non un po’ di oro per potermele procurare altrimenti.
In quelle lunghe giornate, fui quindi costretto a stringere,
letteralmente, la cinghia dei miei pantaloni, cercando di ignorare il
malessere, sempre più prepotente, derivante dalla necessità di un qualche
nutrimento, tentando di immaginare come avrei mai potuto impiegarmi,
dal momento in cui nessun altra occasione sembrava proporsi in mio
soccorso, in mio aiuto, così come già era stato in passato. In effetti, a
MIDDA’S CHRONICLES 23
pensarci bene, non brillai particolarmente di iniziativa, dal momento in
cui la soluzione, che alla fine riuscii a trovare, si propose essere quella più
ovvia, più banale e più scontata a cui mai avrei potuto fare riferimento.
Fu così che raccolsi un nuovo sasso, una lucente magnesite bianca, a
sancire l’inizio di un nuovo capitolo della mia vita nell’incontro con
Be’Sihl Ahvn-Qa.

Con la paradossale lucidità che ora mi sta distinguendo, nel corso di


questa personale analisi sulla mia vita, sul mio passato e, soprattutto, su
come io sia giunto a questo risultato, non posso evitare di ritenere
innegabile come la mia stessa esistenza, nonché la mia considerazione sul
mondo e sulle sue dinamiche, si sarebbero proposte decisamente diverse
se solo avessi avuto modo di incontrare quell’uomo qualche anno prima
rispetto a quando, invece, i nostri destini furono effettivamente incrociati e
reciprocamente legati… se solo avessi immediatamente avuto modo di
entrare alle sue dipendenze, invece di finire sotto il controllo dell’allora
mio defunto ex-tutore. Per quanto, del resto, mi fossi aggrappato con forza
ai miei sassi, ai valori in essi rappresentati, la società mi aveva
inevitabilmente corrotto nel periodo trascorso insieme a lord Cemas,
allontanandomi da tutti quei principi per i quali ero, precedentemente,
fuggito di casa, nel rinnegare addirittura mia madre e le mie origini.
Ideali dei quali Be’Sihl, invero, si propose sin da subito quale umana e
perfetta incarnazione.

«Ehy, ragazzo. Non mi sembri in gran forma…»

Tali furono le prime parole che egli rivolse verso di me, nel cogliermi,
decisamente debole e affamato, intento a frugare fra i rifiuti abbandonati
in un vicolo, così come consuetudine in città, spronato qual io ero, in tal
gesto, dalla speranza di trovare qualcosa su cui poter mettere i denti,
possibilmente non ancora reclamata da qualche ratto, o, forse, dalla
volontà di riuscire ad agguantare proprio un qualche topo lì celato,
bestiola pur utile, soprattutto se sufficientemente grassoccia, a sopperire
alla necessità di un qualche genere di pasto.

«Me lo dicono in molti, signore… ma ti invito a non commettere


l’errore di lasciarti ingannare dall’apparenza.» risposi con tono fin troppo
ardimentoso, nella volontà di difendermi attraverso simile atteggiamento
da possibili guai, nel non comprendere quanto, in quel momento, in quel
particolare confronto, essi fossero, concretamente, l’eventualità più
distante da me «Se desideri rischiare la tua vita, intralciando il mio
cammino, sei libero di farlo. Ritengo comunque corretto informarti che, al
24 Sean MacMalcom
di là di quello che a te possa essere stato offerto di credere, io sono
veramente…»

… ridicolo.
Non riesco a pensare ad attributi diversi per descrivere il mio
comportamento in quell’occasione. Anzi, in verità, ne avrei in mente
davvero molti, ma fra tutti “ridicolo” credo possa essere considerato,
probabilmente, quello più cortese.
Del resto, sebbene sia da considerarsi una giustificazione
estremamente blanda, inutile nel desiderio di perdonare il mio
comportamento, in quel momento io ero solo un ragazzo affamato e
impaurito, all’interno di una città nella quale, anche il più feroce degli
assassini, non avrebbe osato permettersi l’imprudenza di abbassare la
guardia, dove egli avesse avuto desiderio di conservarsi in vita e,
possibilmente, in salute.
E per quanto, evidentemente, non avrei mai potuto offrire timore a
nessuno con simile presentazione, nel mostrarmi impegnato in una così
disperata ricerca, cos’altro avrei potuto fare? Cos’altro avrei potuto dire?

«Non vedo signori qui attorno.» affermò sorridente e tranquillo il


locandiere, da me ancora ignorato qual tale, voltandosi a enfatizzare il
concetto appena espresso in una fittizia ricerca di eventuali destinatari per
quell’appellativo «E se desideri spacciarti per uno spietato assassino, un
pericoloso criminale, forse sarà meglio che tu inizi a evitare di adoperare
tanta reverenza verso uno sconosciuto…»
«C-come?» domandai, spiazzato da quella replica serena, da simile
placida reazione, già temendo, nonostante tutto, una risposta violenta alla
mia insolenza.
«Mi hai chiamato “signore” prima di minacciarmi: pensi davvero che
qualcuno potrebbe giudicare qual seria l’intimidazione offerta da un
ragazzino che fruga fra i rifiuti e si premura di riconoscere, con un titolo
di rispetto, i propri possibili avversari?»

Nessuna osservazione avrebbe, allora, potuto distruggermi più di


quella così offertami da lui, con tanta naturalezza, tanta semplicità,
soprattutto perché, quanto da lui denotato, si poneva, assolutamente e
tristemente, vero. Avevo cercato di apparire minaccioso, pericoloso, e
stupidamente mi ero rivolto alla mia controparte con fare da servo.

«Non sono un ragazzino.» riuscii a rispondere, dopo un lungo


momento di incertezza, nel vano tentativo di dissimulare, dietro
apparente stizza per l’utilizzo di quel termine, le reali emozioni di rabbia
MIDDA’S CHRONICLES 25
che non avrei potuto evitare di provare a mio stesso discapito, per l’errore
sì compiuto.
«Ti domando scusa, allora, per aver affermato il contrario. Non era
mia intenzione recarti offesa…» replicò l’altro, con serena fermezza, quasi
inquietandomi nella dimostrazione di una tale tranquillità, insolita per
chiunque all’interno di Kriarya.
«In effetti mi sono avvicinato a te unicamente nella speranza di poter
richiedere il tuo aiuto.» aggiunse poi, con sguardo sornione.

Devo ammettere che la scelta di quelle particolari parole si rivelò,


effettivamente, quale assolutamente ineguagliabile.
Nell’ipotesi irreale secondo cui altri, diversi da Be’Sihl, avrebbero
avuto mai ragione di raggiungere il suo medesimo scopo nei miei
confronti, essi avrebbero probabilmente offerto il proprio aiuto invece di
richiedere il mio, ponendosi pertanto in posizione di superiorità, se non,
addirittura, di arroganza, tale da spingermi a rifiutare ogni speranza di
salvezza, per quanto altre vie, in quel momento, non mi fossero altresì
offerte. Con invidiabile acume, al contrario, egli non solo si dimostrò in
grado di concedermi il proprio aiuto, ma ebbe successo in tale scopo senza
neppure farmi pesare la cosa: nel modo in cui si era impegnato a
descrivere la situazione, infatti, il locandiere non mancò di conquistarsi,
immediatamente, la mia simpatia, riconoscendomi la possibilità di un
ruolo di importanza in qualcosa.
Inutile, pertanto, sottolineare come non occorse molto per convincermi
ad accettare l’occasione offertami innanzi: un abbondante vitto, dove
qualsiasi quantità di cibo in quel momento mi sarebbe apparsa enorme, e
un più che regale alloggio, in paragone con lo scantinato nel quale ero
vissuto negli ultimi anni, richiesero da me semplicemente l’impegno a
prestare quotidiano servizio al fianco del mio benefattore, aiutandolo nella
gestione della locanda. E, in questo, egli non mi pose mai quale suo
subordinato, per quanto a tutti gli effetti lo fossi, quanto, piuttosto, come
amico, compagno di viaggio, in una svolta del tutto nuova e inattesa per la
mia esistenza.

Non mi occorse molto tempo prima di comprendere come il lavoro


presso Be’Sihl fosse del tutto diverso dal precedente.
Per quanto, inizialmente, sarebbe potuto essere considerato simile,
esso si dimostrò, ben presto, essere indiscutibilmente migliore, soprattutto
dal momento in cui, nello svolgimento del medesimo, non mi fu mai
richiesta una lunga serie di attività collaterali altresì impostemi al servizio
di lord Cemas. Dove il mio ex-tutore, infatti, non si era mai fatto scrupoli a
spingermi sempre in incarichi tutt’altro che gradevoli, come quelli relativi
26 Sean MacMalcom
allo smaltimento dei corpi dei suoi avversari, volendo in tal modo fare di
me, a suo dire, un “vero” uomo, il mio nuovo benefattore si propose,
allora, con una benevolenza e una cortesia straordinaria, accogliendomi a
sé più generosamente e calorosamente di quanto mai avrebbe potuto fare
un mio ipotetico e reale padre. Altri garzoni erano stati assunti già prima
del mio arrivo, così come altri vennero presi successivamente a quel
giorno: ciò nonostante, credo di poter affermare, senza falsa modestia, che
nessuno fra tutti loro si impegnò mai a dimostrare tanta fedeltà e tanto
impegno quanto ne offrii io. Diviso fra il timore di portare a eventuali
ripensamenti il mio nuovo padrone, per ciò che mi aveva donato, e che
non desideravo assolutamente perdere, e il senso di gratitudine, che
inevitabilmente sentivo nei suoi confronti, posi da subito mente, anima,
cuore e corpo nell’assolvimento dei miei compiti, riservandomi solo il
minimo riposo indispensabile e non concedendomi alcuno svago al di
fuori della vita nella locanda.
A differenza dei miei compagni, in fondo, io sarei dovuto essere
considerato tutt’altro che bramoso di avventure, di esperienze
emozionanti, avendone già vissute fin troppe in quegli ultimi anni,
almeno dal mio personale punto di vista: ciò che tutti gli altri lamentavano
essere un’esistenza abitudinaria, piatta, sempre uguale a se stessa, per me
avrebbe allora dovuto essere considerata come tutto quello che mai avrei
potuto desiderare.
Almeno fino al giorno in cui, alla locanda di Be’Sihl, fece ritorno una
figura già nota a molti ma, per me, ancora sconosciuta.
La figura di Midda Bontor, donna guerriero.

ebbene, all’epoca, ancora alcuna idea mi fosse stata offerta nel


merito della sua identità, fu immediatamente chiaro anche alla
S mia attenzione come quello non sarebbe potuto essere
giudicato quale il suo primo ingresso nella locanda. Difficile,
dopotutto, sarebbe stato credere il contrario, nel momento in cui
immediatamente ella dimostrò chiara familiarità con l’ambiente e,
soprattutto, con Be’Sihl. E, quasi a voler concedere immediata conferma di
tale impressione, coloro che, fra i miei compagni di lavoro, avrebbero
potuto allora vantare servizio all’interno di quelle mura da sufficiente
tempo per conoscerla, per sapere chi fosse, non sprecarono l’occasione di
spiegare a tutti gli altri, che come me ancora non la conoscevano, chi ella
fosse e quale fosse la sua attività. Commenti, i loro, che giunsero, in verità,
non solo per semplice desiderio di chiacchiera, di pettegolezzo, quanto e
MIDDA’S CHRONICLES 27
soprattutto nell’impegno a evitare i possibili fraintendimenti che
avrebbero potuto derivare dall’abbigliamento fin troppo succinto della
stessa protagonista di tali argomentazioni, il quale ben poco avrebbe
potuto riservare alla fantasia di eventuali osservatori, ponendo piena
evidenza, altresì, nel merito della maggior parte delle sue prorompenti e
generose forme.

Ora… prima di proseguire questo monologo interiore verso


l’appuntamento finale con la morte, ritengo siano d’obbligo una premessa
e una retrospettiva, onde ovviare a potenziali incomprensioni.
La retrospettiva riguarda mia madre.
Accennando a lei, poco fa, ho tralasciato volutamente qualsiasi
dettaglio a suo riguardo. E volendo essere sincero, almeno in questa
occasione, non posso mancare di ammettere come non sia mai riuscito
realmente a liberarmi della sua ombra, a dimenticare la sua esistenza nel
modo in cui, in effetti, avrei voluto, avrei preferito, ragione per cui
riferirmi a lei, anche dopo tutto questo tempo, riuscirebbe comunque a
farmi soffrire.
Mia madre era molto bella.
Sono consapevole del fatto che, probabilmente, agli occhi di qualsiasi
bambino, la propria madre appaia sempre e inevitabilmente quale la più
bella che possa esistere al mondo, una regina stupenda, straordinaria,
degna delle antiche ballate, addirittura competitiva con la leggendaria
Anmel. Al di là di ogni infantile considerazione, però, sono convinto che
mia madre fosse veramente una donna incantevole quali poche, dove
alcun altra, prostituta o non, mi è mai stata offerta con il medesimo suo
fascino, o, almeno, qual tale risulta ancora essere nei miei ricordi.
Umanamente, in un ottica estremamente maschile, non riuscirei neanche
ora a offrir torto a tutti gli uomini che si ponevano disposti a pagare oro
sonante per trascorrere delle ore in sua compagnia. Ma escludendo ciò che
di lei gli altri avrebbero potuto pensare, in un ottica estremamente filiale,
ancora non mi capacito sul perché ella avesse accettato simile stile di vita.
Vero è, comunque, che in Kriarya per una donna, soprattutto per una
bella donna, non sono mai state offerte molte possibilità di impiego… ma
perché, allora, insistere nel restare lì? Perché sacrificare la propria
esistenza in una vita simile quando molto di più le sarebbe potuto essere
offerto altrove?
Certamente non posso evitare di sentirmi ipocrita a pormi queste
domande, dove io stesso, spesso e volentieri, sono ricorso a prostitute per
soddisfare i miei capricci e verso di loro non ho mai concesso simili dubbi,
tali domande.
Ma… mia madre, dannazione… mia madre…
28 Sean MacMalcom
La premessa, invece, riguarda proprio il mio rapporto con le donne.
Nel riflettere nel merito di Midda e della sua comparsa nella mia vita,
si potrebbe pensare, in verità, che mai prima di lei avessi veduto una
donna o, peggio ancora, mai avessi conosciuto il sesso e, proprio per
questo, tengo a sottolineare sin da subito come non fosse così.
L’esperienza controversa con mia madre non ha inibito, in alcun
modo, un qualche mio interesse nei riguardi delle donne o della sessualità
e, anche se così fosse stato, nel periodo vissuto al servizio di lord Cemas
non avrei potuto evitare di superare tale eventuale ostacolo, dove il mio
ex-tutore si era sempre proposto particolarmente interessato a questo
aspetto della mia vita. Fu proprio egli, in effetti, che mi spinse, spesso e
volentieri, a ricercare il calore di una delle sue molteplici protette,
addirittura impegnandomi in un appuntamento fisso, periodico, quasi a
richiedermi di dar prova della mia virilità. E, a simile riguardo, non ho
mai saputo, e neanche ora saprei, immaginare un qualche perché.
Nell’ipotesi che fosse mio padre, forse egli aveva timore che la propria
eredità, la propria immortalità da me rappresentata, potesse andare
perduta proprio con me, per colpa di una mia eventuale ritrosia nei
confronti delle donne, dal momento in cui, in effetti, non aveva alcun’altra
prole ufficiale utile a garantire al suo nome e al suo sangue di mantenersi
nella storia. Escludendo, però, tale eventualità, del resto mai confermata,
non sarei in grado di proporre alcuna altra ragione per tanta insistenza.
Comunque, ora, non credo che questo possa essere considerato quale un
dettaglio particolarmente importante…
Chiaro, semplicemente, deve essere l’assunto che prima del’arrivo
della mercenaria già molte don… d’accordo… alcune donne… avevo
avuto modo di conoscere, nel senso strettamente carnale di tale termine,
sebbene con alcuna vi fosse mai stato qualcosa definibile come amore. In
effetti, sino a quello stesso giorno, non credo avessi mai potuto
comprendere il vero significato di simile parola, essendo un concetto
troppo lontano, troppo estraneo alle mura della città del peccato. Con la
sua venuta in città, però, tutto cambiò, dal momento in cui, per la prima
volta, potei conoscere tale emozione, ritrovandola riflessa negli occhi dei
suoi due protagonisti…

Ai miei occhi, da subito, Midda si propose quale una donna di raro


fascino, quel genere di immagine femminile al quale non ero più abituato
almeno dai tempi in cui fuggii di casa, abbandonando per sempre mia
madre. Per quanto non riuscisse, almeno nell’immagine mentale che di
quest’ultima conservavo, a esserle pari, non concedendosi propriamente
bella nell’accezione più pura del termine, ella appariva indubbiamente
carismatica, emotivamente forte, tale da catturare senza indugi ogni
MIDDA’S CHRONICLES 29
attenzione attorno a sé, soprattutto da coloro che, mio pari, non erano
abituati a un simile confronto.
Oltre qual donna, però, ella avrebbe dovuto essere subito giudicata,
valutata, ancor prima qual guerriero. In questo, alcun pensiero malizioso
sarebbe potuto essere salubre per chiunque quando ipotizzato nei suoi
confronti, offrendo ampia ragione all’esigenza, giudicabile pertanto
addirittura qual essenziale, propria di quel particolare avvertimento
concesso a suo proposito a tutti noi, a coloro che non avevano avuto
occasione di conoscerla, neppure di fama, prima di allora. Non a caso, nel
corso della successiva settimana di permanenza da lei riservatasi nella
locanda, ben quattro poterono essere conteggiate le risse in conseguenza
di commenti troppo audaci nei suoi confronti: un computo, comunque, da
lei tutt’altro che disprezzato, osteggiato nel suo accrescimento, dove anche
io, nonostante la mia ingenuità nei confronti di molte questioni
solitamente considerate “normali”, fui subito in grado di comprendere
come proprio in lei fosse presente un chiaro interesse alla colluttazione, al
punto tale da spingerla a ricercare esplicita occasione di scontro anche nel
momento in cui alcuna possibilità in tal senso avrebbe potuto essere
altrimenti presente.
Non simile carattere, però, sarebbe allora dovuto essere considerato,
per me, ragione di freno a qualsiasi possibilità di fantasia nei riguardi
della stessa mercenaria, quanto, invece, la comprensione dell’esistenza di
un rapporto più che particolare fra lei e Be’Sihl.
A dispetto di molti miei compagni, infatti, nel cogliere gli sguardi fra i
due, i loro battibecchi e le reciproche premure, personalmente non ebbi
esitazioni a intuire l’esistenza di un sentimento diverso, qualcosa che per
me era stato assolutamente estraneo fino a quel giorno, ma che,
immediatamente, compresi essere estremamente simile al mio rapporto
con i sassi. Sebbene non vi fu mai riprova in merito all’esistenza di un
rapporto fisico intimo fra loro, fu immediatamente chiaro come entrambi
avessero bisogno l’uno dell’altra, per potersi sentire vivi, per poter trovare
un punto fermo in un mondo in continuo movimento. E anche dove, nel
proseguimento delle loro reciproche ed estremamente diverse esistenze,
probabilmente non vi sarebbe mai stata possibilità di una quotidianità
come quella che legava… lega, ancora, me ai miei tesori, ciò non avrebbe
reso meno essenziale, meno desiderato, quel reciproco completamento.

Stupidi che non siete altri!


Perché continuate a sprecare l’occasione di vivere pienamente il vostro
rapporto? Possibile che non comprendiate quanto fragile è la vita e quanto
semplice sarebbe perdere per sempre ciò che sembrate dare per scontato?
Se solo poteste sentirmi…
30 Sean MacMalcom

… mi ridereste dietro.
Sì, certo. Belle parole, le mie, soprattutto quando pronunciate da chi ha
già commesso tale errore di giudizio e ora ne sta pagando le conseguenze.
Spero solo, per lo meno, che il mio sacrificio possa loro servire a
comprendere ciò che sembrano voler continuamente ignorare, volersi
testardamente negare: purtroppo, però, sono convinto che neppure dietro
tortura, né Midda né Be’Sihl, avrebbero il coraggio di dichiararsi.
Peccato per loro.

Cinque, successivamente, furono le occasioni nelle quali la donna


guerriero fece ritorno alla locanda durante il mio periodo di servizio in
essa, e cinque splendide pietre, ogni volta, ricercai per la mia collezione.
Difficile, in effetti, si propose individuare quali sassi avrebbero potuto
rappresentare al meglio l’emozione di quei nuovi incontri, di quelle
giornate che, dentro di me, erano vissute, ogni volta, come meravigliosi
motivi di festa: un opale, una sfalerite, un crisoberillo, una calcite e,
persino, un rutilo furono così selezionati, non senza un deciso impegno,
per quell’importante compito, arricchendo il mio tesoro nell’immancabile
incomprensione da parte dei miei compagni, i quali mai poterono capire il
perché mi ostinassi ad accumulare pietre nella mia stanza.
Fu, allora, poco più di un anno fa, in occasione della terza venuta di
Midda, di quel nuovo, e quasi non sperato, ritorno a casa a seguito di
un’improbabile missione all’interno della zona maledetta conosciuta, da
tempi remoti, con il nome di palude di Grykoo, che avvenne un fatto, un
evento destinato, dopotutto, a cambiare per sempre una parte del mio
animo e a condurmi, irrimediabilmente, a questo mio attuale
appuntamento con il destino.
Vorrei poter dire che ricorderò per sempre quel giorno, ma
effettivamente non mi è dato di sapere quanto potrà concretamente
perdurare il mio “sempre”, in questa particolare situazione…

«Vieni, presto.» mi comandò Be’Sihl, cercando di dimostrare la sua


solita quiete, ma mal celando, dietro di essa, un disagio, un’irrequietezza,
forse una paura che mai aveva avuto modo di dimostrarmi in passato «Ci
servono delle garze pulite, filo da sutura, acqua calda… bollente, e un
coltello ben affilato.»

Simili richieste, naturalmente, mi colsero di sorpresa, ma non ebbi


volontà, brama di porre in discussione, il comando rivoltomi. Dove alla
sua solita serenità si stava sostituendo un’emozione tanto incontrollata e
incontrollabile, evidentemente, doveva essere accaduto qualcosa di
MIDDA’S CHRONICLES 31
imprevisto e di estremamente grave. Inoltre, a quell’ora della giornata, la
locanda si poneva essere decisamente affollata, accogliendo molti
viandanti per il pranzo e assorbendo, in tal modo, l’attenzione di quasi
tutti i miei compagni. Dal momento in cui, il mio benefattore aveva deciso
di rivolgersi esplicitamente a me, alcun desiderio sarebbe potuto essermi
proprio da offrirgli possibilità di delusione, occasione per concedermi
rimprovero. Agii pertanto rapido, procurandomi quanto richiesto… o,
meglio, aiutandolo a procurarsi quanto richiesto, e seguendolo, in
conseguenza a ciò, al piano superiore, diretto verso le stanze che sapevo
appartenere a Midda.
Solo in quel momento ebbi trasparenza delle ragioni che tanto
sconvolgimento aveva imposto su Be’Sihl e, dal mio canto, non potei fare
altro che condividerle: la donna guerriero, già entrata nel mito per le
imprese compiute, ultima fra le quali essere sopravvissuta alla negazione
stessa della vita e della morte, a una landa da cui alcuno si era riservato, in
passato, occasione di fuga, si poneva, allora, innanzi a noi, sdraiata sul suo
letto, ricoperta da escoriazioni e immondizia e, peggio ancora, con una
freccia conficcata nella schiena.
La mercenaria era stata abbattuta…

«C-cosa è accaduto?!» non potei fare a meno di domandare, sbalordito,


forse spaventato da quello spettacolo, osservando l’immagine di tanta
forza, di tanta fierezza improvvisamente posta a confronto con la propria
umanità, con i limiti che non mi era mai parso possibile ella potesse
conoscere prima di quel giorno.
«Mi sembra evidente, ragazzo.» replicò una nuova voce «E’ stata
ferita… a tradimento aggiungerei.»

Era stato il guercio tranitha a prendere parola.


Non sapevo chi egli fosse all’epoca dei fatti ed, effettivamente,
neanche ora potrei affermare in fede di conoscerlo, dove addirittura non
credo di avere memoria, o di aver mai avuto nozione, neppure a riguardo
del suo nome. Vero, però, sarebbe dovuto essere considerato come, a lui,
in quel giorno, sarebbe dovuto essere, e venne, riconosciuto ogni
sentimento di gratitudine, per aver portato in salvo, con discrezione
ineccepibile, la mercenaria, evitando di farsi notare, ovviando a ogni
sguardo indiscreto, e conducendola, con abilità, nel solo luogo, in città, in
cui ella sarebbe potuta essere accolta, curata, protetta.

«Serve… qualcuno. Qualcuno che l’aiuti!» gemetti, mancando di


sangue freddo di fronte a simile spettacolo, umanamente terrorizzato
nell’essere innanzi a tanto dolore.
32 Sean MacMalcom
«Peccato che i cerusici non abbondino entro queste mura.» replicò il
guercio, con tono quasi sarcastico, o forse pragmatico, in reazione alle mie
emozioni prive di iniziativa, di utilità.
«Dobbiamo occuparcene noi.» definì con fermezza, con forza d’animo,
Be’Sihl, riprendendo parola e liberandosi le braccia dalle maniche della
propria casacca, nel predisporsi all’intervento «Purtroppo non possiamo
fidarci di alcun altro: c’è troppa gente, qui, che ricaverebbe dei grandi
benefici dalla prematura scomparsa di Midda. Non possiamo concederci il
rischio che la notizia si diffonda, nel coinvolgere altri oltre a noi tre.»

In quel momento avrei dovuto sentirmi estremamente onorato da


quell’affermazione, dal poter essere lì presente, soprattutto a seguito di
simili parole. Senza complicati giri di parole, in assenza di retorica, Be’Sihl
aveva infatti appena sottolineato la sua considerazione nei miei riguardi
quale quella verso una persona fidata, da mantenere accanto a sé
nonostante la profonda crisi, l’incredibile dolore che, in quel frangente,
non gli sarebbe potuto essere negato.
Ovviamente solo a posteriori potei riflettere sulla situazione e
sull’onore concessomi: in quel preciso frangente, al contrario, ammetto che
avrei volentieri rinunciato alla nomina così a me offerta, per poter fare
ritorno al mio quieto lavoro, a servire senza rischi, senza responsabilità,
senza preoccupazioni i clienti affamati al piano inferiore. Nella mia
codardia, comunque, non ebbi cuore di donar voce a quel pensiero, a
simile timore, temendo la reazione che esso avrebbe potuto scatenare, e,
pertanto, restai immobile al mio posto, ubbidiente agli ordini che mi
furono successivamente proposti, concedendomi al mio padrone, e
affrontando la questione, invero, con lo stesso animo con cui in passato
avevo vissuto incarichi non graditi al servizio di lord Cemas. Ciò che,
nella mia stupidità, ancora non stavo riuscendo a comprendere, era allora
come, in quel momento, la situazione fosse assolutamente antitetica alle
tante già affrontate in passato. Be’Sihl non era Cemas, non obbligo mi
stava imponendo, ma aiuto mi stava supplicando, non per la morte aveva
richiesto la mia presenza ma nella speranza di concedere la vita. E solo un
idiota avrebbe potuto porre le due figure sullo stesso piano.
Un idiota come me…

Le ore successive furono lunghe e faticose.


Innanzitutto Midda venne spogliata dei suoi abiti e lavata
dall’immondizia che ne aveva ricoperto quasi interamente il corpo, a
permettere un’analisi più obiettiva della situazione. La freccia,
fortunatamente per tutti e, soprattutto, per lei, non era ancora stata
rimossa, tamponando con la propria presenza la ferita inferta. Se essa
MIDDA’S CHRONICLES 33
fosse stata estratta prima del tempo, probabilmente, non vi sarebbe potuto
essere nulla da fare per la mercenaria, dove precedendo ogni rischio di
infezione o di eventuali danni all’organismo, sarebbe stata altresì la
perdita di sangue a decretarne la morte. In fondo, oggettivamente, dopo
ciò che aveva subito, il fatto che ella non fosse ancora deceduta si stava
proponendo come evidente segnale di speranza, di una possibilità di
salvezza: se il dardo avesse, infatti, colpito punti vitali, alcuna
preoccupazione avremmo potuto provare in quel particolare momento,
alcun timore avremmo vissuto in quella situazione, ritrovando, ancora,
semplicemente solo la tragica possibilità di rimpiangerla, e nulla più.
Ineluttabilmente, comunque, il momento fatidico fu alfine raggiunto e
nel mentre in cui il guercio, da un lato, e io, dall’altro, ci premurammo di
tenere bloccata la donna guerriero, costringendola con forza al letto per
impedirne ogni possibilità di movimento improvviso, in quel contesto per
lei potenzialmente letale, a Be’Sihl restò la responsabilità di procedere con
l’estrazione del corpo estraneo.
Non credo che mai potrò scordare il grido che Midda generò
nell’istante in cui l’azione, così organizzata, fu effettivamente posta in
essere, sottolineando il proprio dolore e, in ciò, anche la vita che ancora
non l’aveva abbandonata.

«Io non sono mort… aahhh!!!»

Solo all’imbrunire la situazione parve stabilizzarsi, raggiungendo una


momentanea tregua e vedendo la donna, completamente fasciata, essere
posta a riposo sul proprio letto, sotto le coperte.
Tutti e tre, così, precipitammo a terra, stremati per quanto accaduto,
privati di ogni energia per la tensione che, troppo a lungo, aveva
dominato i nostri corpi, nonostante solo Be’Sihl avesse avuto un ruolo
realmente fondamentale in quelle ultime ore. Egli, quel giorno, rivelò di
possedere capacità fuori dal comune, più degne di un medico che di un
locandiere, intervenendo con mano ferma e controllata sulle forme di colei
che, di certo non avrebbe mai ammesso, ma neppure avrebbe negato, di
amare.
E, in tutto questo, la mia ammirazione per lui non poté allora evitare
di crescere a dismisura.

«Ce la farà?» domandai, con tono incerto, temendo forse la risposta


ancor più del dubbio a tal riguardo.
«Se riuscirà a superare la notte sì.» replicò il guercio, osservando la
donna.
34 Sean MacMalcom
Midda appariva madida di sudore, quale conseguenza della febbre
che ne stava straziando il corpo, dominandola con rabbia, con ferocia
priva d’eguali: la sua pelle era stata lavata, la sua carne curata e fasciata,
ma dentro, in lei, la battaglia più importante stava avendo inizio proprio
allora, nel contrasto all’infezione che avrebbe potuto decretarne la morte o
sancirne la vita senza che ad alcun altro fosse data possibilità di
intervenire ad aiutarla, a sostenerla.

«Ho fatto tutto quello che era in mio potere: ora è nelle mani del
destino.» sussurrò Be’Sihl, sfiorando appena la mano della donna nel
confermare tale drammatica situazione.

Indubbiamente, su lui pesava in maniera maggiore la responsabilità di


quel momento, in un tormento appena comprensibile a sguardi esterni. Se,
infatti, ella non fosse sopravvissuta, probabilmente egli non sarebbe
riuscito a trovare pace, adducendosi la colpa di non aver fatto abbastanza
nonostante, invero, avesse fatto più di quanto si sarebbe potuto attendere
da lui, più di quanto credo nessuno avrebbe potuto credere possibile fare.
Innanzi all’ipotesi di una tale tragedia, però, appariva chiaro come l’uomo
non avrebbe potuto accettare spiegazioni, giustificazioni, per quanto
logiche e razionali: i suoi sentimenti per lei, anche se posti da sempre a
tacere, non gli avrebbero potuto offrire consolazione o perdono.
Ma, con la forza d’animo che fino a quel momento aveva dimostrato,
con quell’empatia che lo aveva contraddistinto al di là del suo brutale
aspetto fisico, delineandolo quale persona molto più profonda, molto più
complessa di quanto non potesse apparire, ennesima conferma della mia
personale filosofia sulle pietre, fu nuovamente il tranitha a prendere il
controllo della situazione. Egli non ricorse più a battute intrise di
sarcasmo, ma offrì una verità, sincera, indiscutibile, in poche semplici
parole che ribaltarono completamente la realtà, almeno per come
l’avevamo osservata fino a quel momento.

«No. Sbagli.» affermò, appoggiando una mano sulla spalla del


locandiere «E’ il destino a essere nelle sue mani.»

Anche io avrei voluto dire qualcosa, avrei voluto cercare di proporre


la mia voce, di confermare quell’opinione per dimostrarmi vivo, attivo,
presente accanto a loro, ma di fronte alla situazione mi sentii inerme,
impossibilitato a esprimere qualsiasi emozione.
In me, al contrario rispetto a entrambi loro, si concedeva essere solo il
desiderio di uscire all’esterno di quella stanza, di andare a ricercare un
sasso per offrirmi futura memoria di quella giornata e di ciò che durante
MIDDA’S CHRONICLES 35
essa era accaduto: una pietra ferrosa, in tonalità di ruggine, giudicai
immediatamente, sarebbe stata allora la scelta migliore, nel ricordare quel
sangue, quelle ore di dolore e angoscia. Allontanarmi in quel momento,
però, avrebbe significato tradire la fiducia che Be’Sihl aveva riposto in me,
abbandonarlo quando più aveva dimostrato evidente necessità di non
voler restare solo… e così non mi mossi. Nonostante tutto restai ancora
presente, in silenzio ma presente, sacrificando le mie esigenze personali e
rimandando ai giorni successivi la brama per quella pietra.
Sasso che, poi, effettivamente cercai e trovai a tempo debito.

«E’ un guerriero: la lotta è ciò per cui è nata.» incalzò il guercio,


annuendo con convinzione e cercando di trasmettere tale positività anche
al compagno in quella sventura «Lotterà.»

Ed ella lottò…

Tre furono i giorni necessari a Midda Bontor per superare la febbre.


Giorni lunghi, immensi, che parvero essere più simili a mesi,
soprattutto per noi che vivemmo da spettatori quel momento, quella
situazione, impossibilitati a qualsiasi azione nei suoi riguardi: nel corso di
tale periodo, Be’Sihl non volle concedersi possibilità di distrazione, di
riposo, per quanto evidentemente la nostra presenza accanto alla donna
non sarebbe potute essere giudicata né richiesta né necessaria. Per tal
ragione, il guercio e io non saremmo stati costretti in alcun modo a restare
a nostra volta al loro fianco, ma entrambi, tacitamente, comprendemmo la
situazione e accordammo, ancora, la nostra presenza.
E se, come sottolineato, mai scorderò il grido che Midda lanciò
nell’attimo in cui la freccia venne estratta dal suo corpo, ancor meno credo
che mi sarà permesso rimuovere l’immagine, meravigliosa e incredibile,
che in quel mattino, all’alba del terzo giorno dall’intervento, si concesse
innanzi al mio sguardo.
Ho premesso di aver già avuto esperienza con le donne, vero?
Ho specificato come, né il corpo femminile, né i suoi doni, fossero per
me un mistero, no?
Quella mattina, nonostante tutta la mia competenza in tal campo, fui
sul punto di soffocare, nell’aprire gli occhi, ancora annebbiati dal sonno, e
nel ritrovarmi a pochi pollici di distanza dalle curve della mercenaria,
nuovamente vitale e completamente nuda, davanti a me!
Invero, nei giorni precedenti, le forme di Midda non erano state un
mistero per alcuno fra noi, essendo ella rimasta, effettivamente, sempre
priva di ogni forma di abbigliamento sotto le coperte, e avendola tutti noi
detersa dal sudore con regolarità almeno due volte al giorno: in quel
36 Sean MacMalcom
momento, però, fu come se io ne avessi avuto reale percezione per la
prima volta, come se esse mi fossero rimaste del tutto sconosciute e, solo
in quel frangente, le avessi potute apprezzare in tutta la loro pienezza.
Ella, evidentemente, aveva ripreso coscienza e stava tentando di
raggiungere i suoi vestiti, ripiegati in maniera ordinata sullo scrittorio
accanto al quale io mi ero addormentato, avvolgendomi nel calore di una
coperta di lana grezza. Era stata incredibilmente discreta nei movimenti,
assolutamente quieta nei propri passi, felina come un gatto, ma qualcosa,
forse uno spostamento d’aria, forse semplicemente l’orario e la luce del
nuovo giorno, mi aveva allora invitato a socchiudere gli occhi, proprio nel
momento più proficuo che mai gli dei mi avrebbero potuto concedere per
godere di quella visione unica e irripetibile.
E, in ciò, il respiro mi restò bloccato in gola, facendomi rantolare un
suono non meglio definito.

La mia reazione, accolta in effetti con sguardo truce dalla donna, fece
riprendere di colpo Be’Sihl, che si scosse dal sonno e farfugliò: «Cosa
succede?»
«Io… io…» tentai di parlare, di rispondere, di dire qualsiasi cosa o,
anche solo, semplicemente, di staccare gli occhi dai seni che, innanzi al
mio viso, delicatamente continuavano a ciondolare in una rara ricchezza,
senza però ritagliarmi occasione di successo in alcuno di tali propositi.
«E riprenditi.» mi rimproverò Midda, impossessandosi dei suoi abiti,
obiettivo di quell’incursione, nel rivolgere, per la prima volta, una parola
esplicitamente verso di me, con un tono che, però, non riuscii a
comprendere, forse serio, forse spazientito, forse semplicemente scherzoso
«Sembra che non abbia mai visto una donna nuda in vita tua…»

Ciò che avvenne dopo quel momento non mi fu semplice da seguire e,


in verità, io stesso fui addirittura dimenticato da tutti i presenti. Tanto
Be’Sihl, quanto Midda, nonché il guercio, ritornato poco dopo da una
qualche passeggiata all’esterno, sembrarono allora persino ignorare la mia
presenza in quella stanza, proseguendo nelle proprie discussioni, nelle
proprie schermaglie verbali senza alcuna necessità di coinvolgermi in esse.
E così, non mi fu riservata alternativa a restare abbandonato nella stessa
posizione in cui mi ero ridestato, lì immobile quasi fossi rimasto stordito
dall’immagine di lei, certamente ormai negatami, e che pur non voleva
ancora abbandonare il mio sguardo, nel confronto con quel corpo pur
ancora ferito, pur ancora debole, che era comunque stato in grado di
donarmi una nuova concezione non solo di femminilità, ma anche di
innegabile forza.
MIDDA’S CHRONICLES 37
In pochi minuti, comunque, la situazione si evolse tanto rapidamente
quanto lentamente nei giorni prima era rimasta simile a se stessa, vedendo
la mercenaria essere rivestita dal locandiere e accordarsi con il tranitha per
la liberazione di una sua giovane compagna, ragazza con cui aveva fatto
ritorno alla locanda in quella particolare occasione e che, assurdamente,
era stata rapita sotto i suoi occhi. E, sebbene sarebbe stato ovviamente
sciocco intervenire in tutto quello, in una realtà di fronte alla quale sarei
apparso ovviamente alieno, una parte di me, forse ancora ammaliata dalla
visione offertami precedentemente, avrebbe allora voluto gridare il
proprio supporto alla donna, avrebbe voluto aggregarsi alla sua missione,
ignorando ogni eventuale rischio, disinteressandosi di ogni possibile
pericolo, nella volontà di poterle essere vicino, di poter nuovamente
sentire la sua voce rivolgersi a me così come era appena stato.
Naturalmente, inevitabilmente, mantenni allora il silenzio che mi aveva
contraddistinto fino a quel momento, limitandomi a osservare la scena
quasi come uno spettatore esterno, e ad aggiungere, intimamente, la
necessità di ricercare un’altra pietra, oltre a quella di cui già avevo preso
decisione, nel voler enfatizzare gli eventi di quella mattina, sebbene
impossibile sarebbe potuto essere dimenticarli.
Evidentemente, come ciò che ne seguì ne fu indiscutibile riprova, quei
fatti mi influenzarono molto più di quanto non avrei voluto o potuto
intendere al momento, nel particolare frangente di quell’occasione.

seguito della ripartenza di Midda da Kriarya, per un’assenza che,

A come solo a posteriori fu evidente, sarebbe durata più di un anno,


i fatti occorsi nei giorni della sua convalescenza divennero
praticamente di pubblico dominio, mischiandosi in maniera
incontrollata alle innumerevoli polemiche che la videro allora
protagonista all’interno delle mura della città del peccato.

Diverse furono allora le informazioni che si imposero alla mia


attenzione, attraverso un ascolto passivo delle voci circolanti in città, più
che in conseguenza di un vero e proprio interesse in tal senso: per quanto
ovviamente variegate, dove ognuna sembrava impegnarsi a offrire una
propria ipotesi di realtà al di là dell’univocità intrinseca in tale concetto,
esse si proposero con una certa armonia nella prima metà dei fatti
riportati, perdendosi altresì in un futile contrasto di opinioni sulla
seconda.
38 Sean MacMalcom
Praticamente a tutti, pertanto, risultò chiaro come la liberazione della
ragazza rapita, Camne Marge, avesse richiesto alla mercenaria il confronto
con un’armata formata da uomini e donne della Confraternita del
Tramonto, una potente organizzazione kofreyota di mercenari che fino a
quei giorni non aveva mai agito in maniera particolarmente evidente nella
volontà di espandere le proprie mira su Kriarya, obiettivo considerato
troppo anarchico, incontrollato e incontrollabile per potersi concedere
quale appetibile. Uno dei signori della città, però, violando regole non
scritte, patti impliciti fra tutti i potenti dell’urbe, aveva, infatti e
purtroppo, coinvolto la Confraternita nelle proprie questioni personali,
ricorrendo ai servizi della stessa per tentare di ricattare Midda attraverso
il rapimento della sua protetta, nel desiderio di ottenere dalla donna
guerriero una lealtà forzata. Secondo una certa maggioranza, di fronte a
simile dilemma la mercenaria, aveva così agito in assoluta malafede,
coinvolgendo non solo il proprio mecenate, ma anche tutti gli altri signori
della capitale nell’organizzazione di un estemporaneo esercito da opporre
alla Confraternita, per dichiarare guerra agli invasori: nel momento in cui,
però, ella aveva ottenuto da questi ultimi una proposta di patteggiamento,
con la liberazione dell’ostaggio in cambio alla sua rinuncia allo scontro, la
medesima donna guerriero aveva rifiutato la prosecuzione della battaglia
già incominciata, abbandonando il campo proprio nel momento altrimenti
utile alla vittoria e lasciando, in conseguenza di tale indegna ritirata, i
propri compagni a un destino di morte certa, segnato quale solo sarebbe
potuto essere dalla sua assenza strategica.
Difficile fu, allora, per me, al pari di molti altri, credere a un
atteggiamento del genere: sebbene ancora poco mi fosse stato concesso di
conoscere a riguardo di Midda Bontor, infatti, non avrei mai potuto far
collimare il profilo maturato nella mia mente a suo riguardo con un tale
atteggiamento, con un simile comportamento. Ciò nonostante, all’epoca di
quei fatti, non potei né concedermi di indagare più a fondo, né tentare di
offrirmi in sua difesa in contrasto alle opinioni a lei avverse, anche dove
semplicemente offerte dai miei stessi compagni, dal momento in cui,
proprio in quei giorni, molti altri furono i problemi personali che dovetti
affrontare.
Come già accennato, anche i dettagli in merito al periodo di patimento
della mercenaria ebbero modo di diffondersi in vie altrettanto caotiche e,
con esse, gli altri giovani al servizio di Be’Sihl non faticarono a
comprendere le ragioni della lunga assenza che aveva visto sia il
locandiere, sia me medesimo, quali entrambi protagonisti, collegandomi
pertanto e irrimediabilmente alla questione. E così, in un’equazione che
vide posti da un lato un gruppo di normalissimi ragazzi e dall’altra la
notizia di una splendida donna nuda e sudata per tre giorni in un letto, la
MIDDA’S CHRONICLES 39
malizia, nel migliore dei casi, risultò essere praticamente inevitabile e, nel
momento stesso in cui, ai miei compagni, fu dato di sapere che di
quell’occasione concessami così generosamente dal fato non avevo
approfittato in alcun modo, come altri non si sarebbero fatti scrupolo a
fare al mio posto, la considerazione del sottoscritto ai loro occhi, già
tutt’altro che positiva, precipitò senza freni in un baratro privo di
salvezza.
In conseguenza della mia fedeltà a Be’Sihl e alla fiducia in me riposta,
purtroppo, mi ritrovai nuovamente a essere solo con i miei sassi e i ricordi
a essi collegati, privato anche di quell’effimera socializzazione che prima,
in quelle mura, mi era stata dopotutto concessa. Ovviamente fu mia
premura mantenere simile situazione quale problema personale, evitando
che una tale sciocchezza potesse raggiungere l’attenzione del mio
benefattore e, magari, stimolarne una reazione. Dove la considerazione a
me riservata dagli altri non si proponeva come positiva, in fondo, il
sentimento non sarebbe potuto che essere giudicato quale assolutamente
reciproco, ragione per cui, sotto certi punti di vista, non potei evitare di
sentirmi quasi grato verso gli eventi occorsi, per avermi permesso,
finalmente, di porre alla luce ciò che prima era stato celato solo
dall’ipocrisia, liberandomi in ciò da un carico inutile e antipatico.

Per un intero ciclo di stagioni restai pertanto completamente solo: sì


immerso in un’atmosfera sempre affollata, sempre caotica e rumorosa, ma,
ciò nonostante, assolutamente solo.
Nel passare delle settimane, dei mesi, inevitabilmente gli scherzi dei
miei compagni vennero meno, scemarono come sarebbe stato giusto e
naturale avvenisse, ma questo non mi spronò a cercare ulteriore contatto
con loro al di fuori del semplice e inevitabile rapporto di lavoro che
sarebbe dovuto ancora intercorrere fra noi. I miei turni, nella locanda, si
fecero sempre più lunghi e intensi, vedendomi quasi eguagliare lo stesso
Be’Sihl, nel presentarmi quale sveglio prima dell’alba dopo essermi
concesso solo un paio di ore di riposo nella notte.
E, dove anche facile evidenza sarebbe potuta essere rilevata nel merito
di quel cambiamento nei miei personali ritmi di lavoro, egli non me ne
fece comunque mai parola, non cercò mai confronto in ciò. Credo, invero,
che al mio padrone non fosse mai dispiaciuta la mia presenza accanto a lui
in quei mesi, nel rassettare la locanda al mattino presto o nell’allontanare i
clienti a notte inoltrata, non tanto per l’aiuto offertogli, quanto più per il
legame di complicità che ci aveva legato tempo prima nella difesa, nella
tutela di Midda, e per i ricordi che simile comune passato non avrebbe
potuto evitare di suscitare in entrambi. Dopo la fatidica e sfortunata
battaglia contro la Confraternita, del guercio tranitha non ci era stata più
40 Sean MacMalcom
offerta informazione, notizia, e, per tale ragione, della piccola compagnia
creata attorno alla mercenaria, solo noi due eravamo rimasti, per poter
ricordare quei giorni e, ovviamente, attendere il ritorno della stessa Midda
Bontor, ovunque ella fosse finita nel mondo.

Ovviamente cronache in merito alle gesta della nostra comune


conoscenza, del soggetto protagonista inevitabile dei nostri ricordi, non
mancarono in quel periodo. Fra le molte, ella assunse addirittura il nome
di Figlia di Marr’Mahew, risultando protagonista di epici scontri, di
incredibili imprese, a noi sempre tanto vicina, almeno sotto un profilo
meramente geografico, e, pur, terribilmente lontana.
Ciò che, in tutto quel periodo, in effetti, non mi riuscì però a risultare
chiaro, fu il perché ella tardasse tanto a fare ritorno a Kriarya, quasi fosse
sorda al patimento che, con la sua assenza, inevitabilmente stava
provocando a Be’Sihl, suo amico. E se anche egli mai parlò di lei, forse per
scaramanzia, forse per evitare di mettere a nudo i propri pensieri, le
proprie emozioni, nel suo sguardo, ai suoi occhi, solo l’immagine della
donna guerriero risultò sempre chiaramente presente, per quanto, in
quelle stagioni, non mancarono di presentarsi, al suo fianco, amanti
occasionali, compagne di una notte o, persino, di una settimana intera.
Personalmente, in quel periodo, mi ritrovai particolarmente diviso fra
emozioni e raziocinio, fra ciò che sapevo essere giusto e ciò che, invece,
avrei voluto fosse tale per me stesso. La fedeltà e l’affetto che mi legavano
a Be’Sihl mi facevano giustamente preoccupare per lui, condividendo la
sua pena per l’assenza di Midda. Al contempo, però, nel riportare il
pensiero alla donna guerriero, a tutto ciò che ella rappresentava e, ancor
più, che ella era, sempre più difficile fu per me riuscire a evitare di
sentirmi infatuato da lei, in un rapporto che percepivo come impossibile,
come sbagliato, ma che umanamente non avrebbe potuto evitare di
irretirmi.
In tale contrasto interiore, vissi quel lungo anno diviso in
comportamenti che non posso, ora come ora, che giudicare assurdi, quasi
infantili. Dove, infatti, da un lato non mancai di giudicare negativamente
il mio benefattore per le sue compagne di letto, quasi egli stesse tradendo
Midda in simile atto, forse provando nuovamente emozioni dimenticate
dal giorno in cui sorpresi mia madre stretta fra le braccia di uno
sconosciuto; dall’altro lato non evitai io stesso di cercare il calore della
presenza femminile, fin troppo facile da trovare nella città del peccato con
pochi soldi, selezionando coloro che, in un modo o nell’altro, si ponevano
quali feticci della donna guerriero, lasciandomi immaginare di giacere
insieme a lei attraverso loro. Ognuna delle mie amanti occasionali,
naturalmente, meritò l’aggiunta di una pietra alla mia collezione, ma tutte
MIDDA’S CHRONICLES 41
loro, per quanto degne di considerazione superiore rispetto a quella che
offrii loro, furono rappresentate da sassi che io stesso non riuscivo,
paradossalmente, a non considerare quali minori, soprattutto nel
confronto con quelli che, invece, mi ricordavano Midda. E più il tempo
scorreva, più in me diventava forte l’egoistica illusione che ella sarebbe
potuta essere mia, che io avrei potuto conquistarla, dal momento in cui
Be’Sihl, sebbene avesse avuto evidentemente fin troppe occasioni in tal
senso, le aveva puntualmente sprecate e, in questo, non sarebbe più
potuto essere ritenuto degno di lei, meritevole di tanta grazia.
Amico e nemico, rivale e complice: in tal modo percepii pertanto,
quasi nevroticamente, la stessa figura del mio padrone, legandomi in ciò
sempre più a lui come, realmente, a un padre.
Sì… perché dove le emozioni che provavo nei suoi riguardi si
ponevano del tutto simili a quelle vissute nei confronti di mia madre, solo
in tal modo sarebbe potuto essere descritto il vincolo che, inconsciamente,
mi aveva stretto a lui.

Fu necessario il quarto ritorno della Figlia di Marr’Mahew alla locanda


per concedermi l’occasione di fare ordine in me, nel mio cuore, nella mia
mente e nel mio animo, come prima non mi era stato dato modo di
compiere, maturando ancora un poco, crescendo lentamente.
Se dodici mesi prima, in contrasto al suo modo di fare solitario, non si
era presentata da sola alle porte della città del peccato, un anno dopo ella
vi fece ritorno accompagnata, addirittura, da nuovi compagni di ventura:
tre mercenari, suoi pari, che, nella volontà di una comune mecenate, erano
stati uniti per l’adempimento di un incarico, una missione non meglio
dichiarata, tenuta segreta al pubblico, ma evidentemente caratterizzata da
un livello di pericolo fuori dal comune, da una complessità insolita, se non
addirittura inumana, dove aveva richiesto il coinvolgimento di una simile
squadra.
E se io non ebbi esitazioni a riconoscere la donna guerriero, né mai
avrei potuto riserbarmene, dove il tempo era parso non essere trascorso
per lei, le stagioni erano sembrate non essersi alternate in quel periodo di
distacco, lasciandola inalterata nella propria bellezza, nella propria forza,
quasi fosse partita il giorno prima, al di là di ogni altra considerazione, ciò
più mi colpì in un simile frangente, fu come anche ella diede allora prova
di ricordarsi, parimenti, di me, nel riconoscermi, associandomi
naturalmente, ma incredibilmente dal mio umile punto di vista, alle figure
di Be’Sihl e del guercio tranitha, in quanto presente nella sua stanza al
momento di quel lontano risveglio.
MIDDA’S CHRONICLES 163

La sposa del sultano

plendente, fulgido, ineffabile nell’alto dei cieli, così lontano


dalla terra e da ogni dissidio dei comuni mortali, così vicino
S agli dei e alla loro assoluta perfezione, in quella mattina di fine
autunno, nel proprio movimento continuo, ciclico, eterno,
nell’inarrestabile passione che fin dall’origine dei tempi lo aveva animato
e caratterizzato e, probabilmente, per sempre avrebbe continuato a farlo, il
sole si offrì ancora una volta agli uomini e alle donne di ogni continente,
regno, provincia o città, quale spinto, spronato dal desiderio di ricordare
loro l’umana natura che li avrebbe dovuti far considerare tutti eguali al
proprio prossimo.
Nel cuore dei membri della razza umana, purtroppo, estremamente
facile da sempre, e per sempre, sarebbe stata l’illusione di potersi elevare
gli uni al di sopra degli altri, assurgendo a un ruolo, a un’importanza
superiore in sola virtù di una propria caratteristica fisica, reale o presunta,
o del sangue nelle proprie vene, creando per esso tanto stupide quanto
vane divisioni interne, alle quali impossibile sarebbe stato trovare
giustificazioni, dimostrare un qualsivoglia raziocinio, neppure cercando
un confronto con il regno animale, all’interno delle quali simili
emarginazioni avrebbero potuto trovare eventuale ragione in un principio
di territorialità. Al di là della ricchezza o del nome, tuttavia, anche coloro
che si fossero creduti, nella propria superbia e arroganza, più potenti fra
tutti i mortali, non avrebbero potuto evitare di essere posti su un
medesimo piano sotto allo sguardo del sole che, per chiunque, avrebbe
continuano a sorgere a ogni alba e a scomparire a ogni tramonto,
riscaldando anche i corpi più freddi, illuminando anche gli angoli più bui.
Nonostante il cielo e i suoi astri, maggiori e minori, si ponessero sopra
a ogni regno, a ogni popolo, con il proprio implicito messaggio di
uguaglianza per tutti, sulla superficie delle terre emerse l’umanità si
poneva, da sempre e per sempre, giorno dopo giorno, prigioniera di quei
propri limiti psicologici, emotivi, imperterrita nelle proprie scaramucce,
così minimali in confronto all’eternità, eppure assurdamente catastrofiche
nella quotidianità. Conflitti e guerre, lungo alcuni confini, sussistevano da
tempi tanto remoti da aver persino permesso di dimenticare ai
protagonisti così coinvolti il ricordo di una realtà priva di esse, di una
possibilità di pace, in un concetto diventato più filosofico che concreto, un
utopia alla quale non poter credere, un sogno nel quale pericoloso sarebbe
stato smarrirsi.
164 Sean MacMalcom

Y’Shalf e Kofreya, due regni appartenenti all’estremità sud-occidentale


del continente di Qahr, si sarebbero potuti concedere, in quei tempi, quali
perfetti esempi della stupidità umana, dell’innaturale ricerca di
autodistruzione propria solo di tale categoria di creature mortali. Senza
una ragione concreta, senza una reale esigenza alla base di tale scontro, le
due nazioni, infatti, si stavano fronteggiando da generazioni, in una
guerra che forse mai avrebbe potuto trovare una concreta soluzione dal
momento in cui, invero, l’ostilità perpetua, il conflitto eterno e mortale,
non sarebbe potuto essere comunque evitato nella ricerca di una
possibilità di sopravvivenza, di una speranza di sussistenza per i due
contendenti. In conseguenza a troppi anni di battaglie, a un eccessivo
impegno militare, entrambe le nazioni avevano fatto, ormai, della loro
stessa condanna la principale attività economica, il primo e necessario
movente nel quale impiegare la propria forza lavoro e grazie la quale
retribuire la stessa.
E dove intere generazioni erano ormai nate e cresciute conoscendo
unicamente simile realtà, tale condizione, quale futuro sarebbe potuto
essere presente nei loro pensieri, nella loro vita, nell’esclusione della
guerra stessa? In quali attività giovani uomini, e, sovente, anche donne,
attualmente impiegati quali soldati regolari o mercenari, avrebbero potuto
ritrovare di che nutrirsi? Mercanti, fabbri, carpentieri, e addirittura
allevatori, tutti coloro che proprio nella guerra e nelle risorse assorbite
dalla stessa incentravano la propria attività, come avrebbero potuto
proseguire in un clima di pace?
Una situazione, per questo, probabilmente irrisolvibile se non
attraverso l’annientamento reciproco delle parti in causa.
In un tale dramma, comunque, un aspetto da commedia sarebbe
risultato evidente a chiunque avesse osservato con sguardo obiettivo come
i due acerrimi nemici si proponessero, incredibilmente, del tutto simili fra
loro, non in quanto semplici appartenenti all’umanità, ma in quanto
caratterizzati da medesime situazioni, da simili problemi e, ancor più, da
una cultura, una tradizione, una religione pressoché identiche. Dove la
lingua scritta, nella forma delle parole e nei caratteri utilizzati, in Y’Shalf e
in Kofreya si poneva apparentemente diversa, il suo uso quotidiano, nel
comune parlato, rivelava come, in verità, fossero estremamente lievi le
differenze di accento e di espressioni a dividere gli stessi. In ciò, pertanto,
il dio del fuoco, della creazione e della distruzione, a oriente era indicato
con il nome di Gau’Rol, mentre a occidente con quello di Gorl. O, ancora,
il dio del mare, impietoso signore delle distese oceaniche e delle sue
maree, a ponente trovava il nome di Tarth, cogliendo, in effetti, la
denominazione tranitha di tale divinità, mentre a levante assumeva quello
MIDDA’S CHRONICLES 165
di Ta’Harar. E, poi, l’ultimo mese della stagione autunnale in Y’Shalf era
nominato come T’Noph, in contrapposizione a Kofreya dove esso era
conosciuto quale Tynov. Incompatibilità praticamente inesistenti,
differenze del tutto irrilevanti, ma che, dopotutto, erano vissute con rabbia
priva d’eguali, alimentando la situazione purtroppo spiacevolmente nota
su entrambi i fronti.
Volendo escludere le persone, la cultura, le tradizioni, la lingua, ossia
tutti quei particolari che li avrebbero resi quanto meno fratelli, se non
proprio gemelli, i territori dei due regni non si sarebbero potuti
considerare effettivamente quali equivalenti. Probabilmente proprio in
questo si sarebbe forse potuta individuare un’arcaica ragione della
diatriba, uno sprone iniziale al conflitto, successivamente dimenticato nel
corso di decenni di aspra guerra. Y’Shalf, a oriente rispetto al proprio
avversario, godeva infatti di confini più vasti di quelli kofreyoti, non
ritrovandosi segregata nell’abbraccio dei monti Rou’Farth come il proprio
vicino: in ciò, quindi, essa si era potuta sospingere per un’estensione quasi
doppia tanto a settentrione, quanto a levante, fino all’incontro con altre
civiltà, con altri regni nei confronti con i quali non avrebbe avuto
convenienza a cercare scontro, rispettivamente Urashia e Mes’Era.
Tanta disponibilità di terra, caratterizzata da vaste pianure, irrigata e
resa fertile da molti fiumi, decorata da qualche pescoso lago e appena
segnata dalla presenza di poche zone collinari nel proprio interno,
paradossalmente aveva offerto meno ragioni di urbanizzazione rispetto a
Kofreya. Entro i confini y’shalfichi, pertanto, non si sarebbe potuta
rilevare la medesima proliferazione di città presenti a occidente, per
quanto gli stili architettonici di quelle comunque erette fossero del tutto
paralleli a quanto esistente al di là dei monti, nel rispetto di quella loro
disconosciuta, ma comune, cultura. La spiegazione di simile reale
diversità, forse, si sarebbe dovuta ricercare negli antichi rapporti
commerciali con mercanti provenienti da nord, dai regni centrali del
deserto, che da epoche remote avevano trovato proprio in Y’Shalf la meta
conclusiva del lungo cammino, longitudinale quasi all’intero continente,
percorso dalle proprie carovane. Nell’influenza di tali popolazioni
nomadi, e godendo di un territorio superiore alle proprie esigenze, la
maggior parte delle attività umane della nazione y’shalfica non si erano
concentrate nelle proprie capitali, quanto sviluppate e diffuse per l’intera
estensione delle province, lasciando ai centri urbani solo responsabilità di
genere amministrativo, nonché, ovviamente, il compito di restare quali
solidi riferimenti, oasi sicure e accoglienti alle quali fare immancabile
ritorno durante le stagioni peggiori, a protezione dai climi più rigidi, dagli
inverni più severi.
166 Sean MacMalcom
Y’Lohaf, fra le poche città e capitali y’shalfiche, si proponeva essere
quella sita più a occidente, più prossima al fronte del conflitto. E proprio
nelle pianure sotto la sua giurisdizione, a conferma delle usanze lì vigenti,
di una tradizione fondamentalmente nomade, almeno per coloro che si
potevano permettere di esserlo, qual conseguenza del proprio ceto elevato
o delle proprie professioni prive della necessità di una locazione stabile, in
molti si stavano muovendo per il lento ritorno all’urbe, nel tragitto che,
dopo tre stagioni lontani da edifici in solida pietra in favore della libertà
concessa da più comode tende, li avrebbe ricondotti alla vita cittadina per
i tre mesi invernali. Nonostante la maggior parte dei piccoli gruppi e dei
grandi harem fossero ormai a una distanza ridicola dalle mura della
capitale, indolenti si proponevano, ancora, nel ritorno alla civiltà così
come concepita a occidente, incuranti persino del pericolo rappresentato
dai guerriglieri che, in quei territori, cercavano di imporsi in contrasto a
ogni autorità, a ogni rappresentanza del potere sovrano, per rivendicare i
diritti dei ceti minori e la volontà di porre fine all’assurdità di una guerra
durata, secondo la loro condivisibile considerazione, troppo a lungo.
Da uno degli harem che da ormai tre settimane si era fermato a poche
miglia dalla città di Y’Lohaf, una donna vestita secondo i canoni
integralisti di una religione locale, sempre più prevalente nella propria
influenza in quel territorio, si stava allontanando in direzione del vicino
fiume, trasportando con sé un pesante carico di vestiti da lavare,
nell’assolvimento di uno dei propri compiti quotidiani. Purtroppo per lei,
un gruppo di guerriglieri era in attesa, in quei dintorni, di una qualche
malcapitata, quale lei stessa, su cui porre le proprie mani, verso cui
spingere le proprie mire. Purtroppo per loro, quella donna, della quale
solo due occhi azzurro ghiaccio emergevano da sotto pesanti vesti scure a
coprirle l’intero corpo, non sarebbe stata la preda che desideravano.

Da oltre un mese, Midda Bontor era impegnata in missione all’interno


dei confini y’shalfichi, proponendo le proprie compiacenti forme quali,
drammaticamente, celate allo sguardo del mondo nella protezione di un
burqa di colore blu scuro, estremamente prossimo al nero.
Per quanto simile abbigliamento non l’avesse trovata entusiasta
all’inizio della propria missione, e, a oggi, non l’avrebbe ancora potuta
soddisfare pienamente, ella non avrebbe ormai potuto negare di essersi
abituata perfettamente alla sua presenza quotidiana, né avrebbe potuto
dimostrate tanta ipocrisia da contestare gli indubbi benefici che esso le
aveva concesso nell’infiltrazione all’interno di quella nazione, nella quale,
sicuramente, la sua presenza non sarebbe stata gradita, se solo vi fosse
stato un modo per identificarla, se solo qualcuno avesse saputo che ella
era giunta all’interno di quella particolare giurisdizione. Ritrovando
MIDDA’S CHRONICLES 167
svelati unicamente i propri occhi e, altresì, negando alla vista di chiunque
ogni altro dettaglio, incluso quello delle mani e, in particolare della sua
mano destra, in metallo nero, sotto le forme di quella lunga e larga veste,
studiata, effettivamente, al solo scopo di celare l’essenza stessa della
natura femminile, ella non avrebbe mai potuto correre il rischio di essere
individuata, almeno sino a quando fosse stata in grado di celare il proprio
reale accento in favore di quello y’shalfico.
L’origine di simile abbigliamento, storicamente, sarebbe dovuta essere
ricercata nei litham delle popolazioni nomadi dei regni del deserto. Esso,
un copricapo costituito da un lungo velo necessario allo scopo di
proteggere il viso dalla sabbia trasportata dal vento e a offrire una certa
termoregolazione naturale a difesa del caldo del giorno e del freddo della
notte, era stato, secoli prima, trasmesso alla cultura far’gharia per la
vicinanza geografica e culturale di tale regno a quelli centrali: da allora,
tuttavia, aveva vissuto una lenta trasformazione, integrandosi nelle
lunghe vesti tanto maschili quanto femminili lì già dominanti, e finendo
per esser imposto, con il nome di burqa, a tutte le donne, in virtù di alcuni
estremismi religiosi, atti a mantenere un controllo patriarcale nella società.
Per quanto la tradizione propria di Y’Shalf si proponesse decisamente
lontana da quella dei regni del deserto o di Far’Ghar, anche solo sotto un
profilo meramente geografico, l’uso del burqa era riuscito comunque a
giungere fino a quella terra, inizialmente nel soddisfare i desideri di
alcune sette più integraliste, formatesi a seguito della contaminazione
culturale derivante dagli stretti commerci con tali regni, e successivamente
riscontrando il favore di una società comunque improntata a un concreto
maschilismo, come nella maggior parte dei regni dell’intero continente,
inclusa la tanto odiata Kofreya.
In Y’Shalf, in verità, non esisteva ancora alcuna legge a imporre tale
abbigliamento all’interno dei confini della nazione e, a contrario, molti
culti religiosi, lontani da quelli importati, non solo rinnegavano simile
costume, ma arrivavano a ritenerlo, addirittura, quale blasfemia,
dimostrazione di una fede diversa dalla propria e, per questo, da
combattere a ogni costo. Fra i dissidenti nei confronti del burqa, in simile
contesto, sarebbero allora dovuti essere annoverati anche i guerriglieri
della provincia di Y’Lohaf, i quali, nell’opporsi al simbolo proprio di
quella veste, ritrovavano gratuitamente l’ennesima ragione per contestare
lo Stato contro il quale avevano votato la propria vita, nell’essersi sentiti
traditi dallo stesso.

La scelta di offesa nei confronti della mercenaria in incognito, votata


all’unanimità dal gruppo di sette elementi celati non lontano dall’harem,
sarebbe pertanto dovuta essere considerata pressoché naturale, quasi
168 Sean MacMalcom
scontata, benché assolutamente ingiusta e arbitraria. Ma in conseguenza a
tale errore, per colpa della propria insana violenza, tutti loro avrebbero
presto avuto ragioni di pentimento…

«Fermati, schiava di indegni padroni.» richiese il primo fra loro, nel


rivelarsi senza alcuna precauzione innanzi alla propria presunta vittima,
non avendo, dopotutto, apparenti ragioni per le quali riservarsi prudenza.

La donna guerriero, nell’avvertire quella voce, nel cogliere la figura


ora proposta davanti a sé, rallentò appena il proprio passo, solo
successivamente obbligandosi, addirittura, ad arrestare completamente il
cammino, nella sola volontà di non tradire la propria copertura. Benché,
probabilmente, non vi sarebbero stati sguardi indiscreti che avrebbero
potuto riportare la notizia, nel suo essere sufficientemente lontana
dall’harem al punto tale da concedersi quale potenziale ostia votiva per un
gruppo di guerriglieri, e sebbene, sinceramente, desiderasse l’occasione di
venire alle mani, per concedersi uno sfogo dopo troppe settimane di
inattività, ella preferì continuare ad agire con discrezione, riservandosi
comunque, e semplicemente, la possibilità di posticipare ogni eventuale
scontro. Mantenendo, pertanto, fra le braccia la cesta con gli abiti che stava
trasportando al fiume, per la loro pulizia, la mercenaria, conosciuta, a
occidente, anche con il nome di Figlia di Marr’Mahew, restò in silenzio,
immobile, simile a uno spettro dagli occhi di ghiaccio, gemme lucenti,
brillanti sotto l’azione del tiepido sole autunnale.
Nel cogliere la naturale arrendevolezza della propria preda, e alcun
apparente pericolo di imboscata per se stessi, anche gli altri guerriglieri
emersero dall’erba della pianura lì circostante, dimostrando di essersi
riservati, a loro volta, un comportamento assennato. Comparendo attorno
alla donna, offrirono immediata trasparenza sulla natura della propria
missione, del proprio ruolo nella società y’shalfica, nel concedersi vestiti
nei propri tipici abiti di bianca lana grezza, così simili a quelle dei propri
corrispettivi a ponente dei vicini monti Rou’Farth, a quelle dei briganti
operanti nelle province orientali del regno di Kofreya, diversi da loro solo
per il colore di quegli stessi indumenti.

«Due occhi chiari…» commentò una seconda voce, meno autoritaria


rispetto al tono proprio della prima, rivelante al contrario una nota di
disprezzo, di derisione verso di lei «… e un ampio bacino: una schiava
sicuramente ricca di fascino, proveniente da un harem importante…»

Midda restò, ancora, in silenzio, statuaria nella posizione assunta.


MIDDA’S CHRONICLES 169
Una parte di lei, in effetti, avrebbe, e aveva subito, potuto
comprendere perfettamente come quell’insulto non fosse stato scelto a
caso nei propri termini, in quelle espressioni ripetute da coloro che
avevano formulato verbo fino a quel momento. Chiunque fra i presenti,
invero, non avrebbe mai potuto ignorare come ella si stesse concedendo
loro non nel ruolo di schiava, quanto più in quello di semplice serva. Il
termine così adoperato dai suoi antagonisti, per simile ragione, sarebbe
dovuto essere considerato qual riferito a una condizione psicologica ancor
prima che fisica e, probabilmente, alla sua presunta sottomissione al
sistema che essi avevano rinnegato e, per colpa del quale, le si sarebbero
offerti quali aggressori.
D’altro canto ella, al di là della correttezza teorica di simile riflessione,
altrettanto facilmente sarebbe stata, e fu, in grado di concedersi chiara
percezione nel merito di un’altra realtà celata dietro a un ideale politico,
nelle parole adoperate. Attraverso quell’attacco, forti della giustificazione
morale offerta dai principi alla base della propria guerriglia, una diversa
arroganza, una meschina prepotenza cercava, in quel momento, di
mantenersi celata, mascherata, salvo esser resa, nonostante tutto,
assolutamente esplicita dalla natura stessa di quell’imboscata. Un contesto
comprendete sette uomini contro una donna sola e, ipoteticamente,
indifesa, infatti, non avrebbe mai potuto prendere in esame alti valori ad
animare gli animi di quel gruppo, quanto, piuttosto, istinti decisamente
bassi… tanto bassi da potersi collocare all’altezza dei loro inguini.

«Sei così in preda al terrore da non riuscire più a parlare, schiava?»


domandò un altro fra i guerriglieri, mantenendo il tono già adottato dal
proprio compagno e, anzi, accentuando il disprezzo contenuto in esso,
nonché il proprio chiaro sentimento di scherno.
«Forse è muta… o le hanno tagliato la lingua.» propose un’altra voce
nel gruppo, senza comunque voler dimostrare, in ciò, alcuna premura nei
confronti del soggetto in questione «Poco male…» riprese, nel desiderio di
non lasciare dubbi a riguardo del concetto già implicitamente offerto
«Almeno non potrà gridare quando pagherà per le colpe dei porci che si
ostina a servire!»
«Speriamo che non sia troppo brutta.» si augurò un altro ancora,
muovendosi attorno alla donna, non diverso da un avvoltoio sopra una
carogna, quasi stesse tentando, invano, di spingere il proprio sguardo
oltre la stoffa scura che la ricopriva integralmente «Se avesse perso la
parola a seguito di qualche pestaggio o, peggio, di una tortura, potrebbe
non offrirsi molto compiacente per i miei gusti.»
170 Sean MacMalcom
A peggiorare la già spiacevole situazione in cui quei sette disgraziati si
erano andati a cacciare, innanzi al giudizio della donna guerriero,
probabilmente influenzata in ciò dal periodo da lei trascorso entro quelle
lande, la guerriglia y’shalfica, nel proprio generico principio, avrebbe
potuto riservarsi una giustificazione, ragion d’essere estremamente
inferiore rispetto a quella propria della sua controparte, il brigantaggio
kofreyota.
Nonostante fosse ben lontana dal potersi considerare perfetta,
ammesso che al mondo sarebbe mai potuto essere raggiunto tale concetto,
nella provincia di Y’Lohaf la società non si era mai spinta allo stesso
degrado, alla medesima incuranza, altresì presente in province come
Kriarya o Krezya, sue corrispettive in Kofreya. Al di là dei monti, infatti, il
disinteresse del potere sovrano e dei feudatari, aveva permesso a ogni
forma di civiltà di essere negata nelle zone più prossime al conflitto, non
tanto in conseguenza delle azioni di truppe nemiche, quanto di quelle
delle stesse schiere che sarebbero dovute essere considerate amiche,
preposte a propria difesa, a garanzia della pace e della libertà. In Y’Shalf,
al contrario e fortunatamente per gli abitanti di quelle terre, il sultano e i
suoi visir erano riusciti a mantenere il controllo, a garantire alla quasi
totalità della popolazione, anche nelle proprie fasce inferiori, il
proseguimento della vita quotidiana, delle proprie attività giornaliere,
imponendo ovviamente tasse allo scopo di finanziare la guerra e
arruolando, a volte con il ricorso a un’eccessiva coercizione, nuovi
elementi utili a rafforzare le proprie schiere, ma senza permettere
all’anarchia di poter prendere il sopravvento, ai militari di poter abusare
del proprio ruolo, del proprio potere a discapito di contadini, allevatori e
artigiani.
Da tutto questo, pertanto, nel confronto con il giudizio di colei che
proveniva da Kriarya, dalla città del peccato, provincia a dir poco
devastata dall’inettitudine dei propri governanti e dell’esercito, ridicole
non sarebbero potute che apparire le rivendicazioni proposte dalla
guerriglia y’shalfica, da coloro che, con la scusa di contestare la guerra e le
sue ragioni, avevano deciso di rinnegare la propria nazione e, in
conseguenza di questo, si erano riservati il diritto di infrangere ogni legge,
di violare ogni principio, arrivando a macchiarsi di efferati crimini contro
poveri innocenti, come sarebbe potuta essere anche lei, in quel momento,
se solo fosse stata chi quel gruppo di sciagurati aveva creduto di aver
incontrato.

«Questi burqa sono una maledizione per dei poveri disgraziati come
noi… lo comprendi?» rise uno fra loro, rivolgendosi direttamente alla
propria preda «Voi camminate in giro apparendo tutte uguali, e noi non
MIDDA’S CHRONICLES 171
abbiamo modo di sapere cosa ci stiate nascondendo lì sotto almeno fino a
quando non ve li strappiamo di dosso.»
«Per quanto mi riguarda, è sufficiente che non sia troppo vecchia…»
discriminò, in replica, un suo compagno, scuotendo il capo «Se fosse come
l’ultima non riuscirei proprio ad avere il fegato di combinarci qualcosa… a
quel punto, secondo me, sarebbe sicuramente meglio ammazzarla in fretta
e liberarsi del suo corpo senza troppo giochetti.»
«Io, invece, credo che siate un branco di idioti…» tornò a parlare colui
che già aveva offerto chiari segni di apprezzamento in merito ai ben pochi
dettagli fisici offerti al loro sguardo dalla vittima «Due occhi di questo
genere non potrebbero essere associati a una cagna priva di fascino. E
guardate la sua postura, la fierezza che, nonostante tutto, sembra non
abbandonarla neanche ora…»
«Forse non è semplicemente una schiava… potrebbe addirittura essere
di nobili origini!» ipotizzò a quel punto uno degli altri.
«Nobile o no, una volta che vengono spogliate e gettate a terra, queste
cagne si rivelano essere tutte uguali…» continuò, sguaiatamente, il più
ridanciano del gruppo «Anch’ella non farà differenza!»

In parole come quelle tanto liberamente pronunciate, in desideri come


quelli tanto allegramente espressi dal gruppo a sé antistante, Midda non
avrebbe potuto evitare che provare non solo fastidio, ma reale disgusto nei
confronti dell’istituzione di cui erano parte.
La mercenaria non aveva mai desiderato giudicare o condannare la
guerriglia y’shalfica, così come alcuna altra organizzazione del genere, per
i gesti, per le azioni, per le bassezze di pochi elementi fra loro, di casi forse
isolati in un gruppo comunque troppo vasto, in un movimento troppo
ampio per essere efficientemente controllato. Ciò nonostante, per quanto
razionalmente ella stesse tentando di restare obiettiva nei loro confronti, in
virtù di un clima troppo diverso fra i due regni e di incontri come questo,
la donna non avrebbe mai potuto considerare quella forma di resistenza al
medesimo livello del brigantaggio kofreyota. Non che i briganti, nella
propria generalità, si mantenessero sempre nel giusto, non che ogni loro
azione fosse rivolta perennemente a offrire una vita migliore per tutti, ma
almeno, in Kofreya, essi si ponevano essere vittime di violenze da parte
dei rappresentati del governo che avevano rifiutato, e non,
paradossalmente, prepotentemente e volontariamente, carnefici come
stavano ora apparendo i loro colleghi in Y’Shalf.

«Silenzio ora!»
172 Sean MacMalcom
In simili, semplici parole, si impose alfine colui che per primo si era
rivolto nella direzione della mercenaria, arrestandone il cammino.
Egli, fino a quel momento, era stato il solo ad aver offerto
dimostrazione di possedere un minimo di autocontrollo, l’unico fra i
propri compagni a non essersi concesso gratuite molestie nei confronti
della donna da loro fermata, praticamente catturata. E allora,
probabilmente in conseguenza di una sua posizione di comando in quel
gruppo, tutti gli altri si arrestarono di colpo a quella richiesta, zittendosi e
disponendosi, così, tranquilli, nella volontà di non essere per lui
d’ostacolo, come a temere di poter incorrere in un secondo richiamo.

«Hai idea di chi siamo, schiava?» domandò, avanzando di un passo in


direzione della mercenaria, mantenendo il proprio tono tranquillo,
moderato, e proponendosi, in ciò, forse quale il più pericoloso in quella
combriccola, meno impulsivo rispetto ai propri compagni, non vittima
delle proprie emozioni al pari degli altri.

Forse proprio in conseguenza del confronto con quell’uomo, forse nel


raggiungere la consapevolezza di come a nulla sarebbero valsi eventuali
tentativi di dissimulazione con loro, nella volontà di evitare il ricorso allo
scontro diretto, fu in quel momento che la Figlia di Marr’Mahew decise di
rompere il velo di silenzio dietro il quale si era mantenuta, offrendo allora
parole apparentemente di supplica, ma, sostanzialmente, di perentoria
ingiunzione a non procedere oltre, a non abusare della sua pazienza.

«Vi prego di lasciarmi proseguire nel mio cammino. Non ho nulla


contro voi o la vostra causa…» pronunciò con voce forte, decisa, non
desiderando in alcun modo celare un’intrinseca marzialità.
Un istante di indecisione sembrò colpire l’uomo a seguito di tale
affermazione, in conseguenza a quelle parole, alle quali rispose
commentando: «Toni insoliti per una schiava…»
«Vi prego di lasciarmi proseguire nel mio cammino. Non ho nulla
contro voi o la vostra causa…» ripeté Midda, quasi fosse un déjà vu,
mantenendo inalterata la propria voce, immobile il proprio corpo.
«Hai paura?» riprese il capo dei guerriglieri, fissando i propri occhi, in
tonalità di verde, in quelli di ghiaccio della propria presunta vittima, colei
che forse già iniziava a dubitare quale tale, quale effettivamente idonea a
simile ruolo «Dovresti averne… chiunque altro, al tuo posto, sarebbe
terrorizzato in questo momento, ma non riesco a intuire alcuna ansia nel
tuo sguardo, non riesco a leggere panico nel tuo animo.»
«Vi prego di lasciarmi proseguire nel mio cammino. Non ho nulla
contro voi o la vostra causa…» insistette, per la terza volta, la mercenaria,
MIDDA’S CHRONICLES 173
lasciando trapelare, ora, nella propria voce, nella propria pronuncia, una
parte del proprio accento occidentale, estraneo a quello y’shalfico pur
dimostrato fino a quel momento.

Come pocanzi era avanzato verso di lei, così ora l’uomo si ritrasse,
ritornando al punto da cui era partito, ponendo distanza fra loro, ma
dimostrando, nonostante ciò, un evidente segno di inquietudine solo
attraverso una fugace contrazione delle proprie pupille nere al centro delle
lucenti iridi, impercettibile a chiunque al di fuori della sua controparte. E
nel mentre in cui i suoi compagni continuavano a mantenere il silenzio, e
le posizioni assunte a circondare la preda, la vittima ipoteticamente
catturata, egli si concesse per un momento incerto su come agire, su cosa
comandare, quasi avesse intuito, istintivamente, il pericolo incarnato nella
figura innanzi a sé, ma, al tempo stesso, si stesse rifiutando di prestare
ascolto a tale sensazione, ritenendola assurda, irrazionale.
Purtroppo, però, nell’essere giunta sino a quel punto estremo,
nell’aver visto tutti i pezzi disposti sulla scacchiera in maniera tanto
aperta, così dichiarata, la situazione così conformatasi non avrebbe ormai
potuto essere risolta in alcun modo diverso da quello preventivato e di
questo, tanto l’uomo, quanto probabilmente la sua avversaria, si stavano
ponendo perfettamente consci, confidenti con l’ineluttabilità del fato che
solo una replica avrebbe potuto allora ritrovare qual giustificata
all’affermazione insistente della mercenaria, solo una frase avrebbe potuto
essere accettata da tutti gli altri lì presenti. Impossibile, anzi, sarebbe stato
negarla loro, rifiutarla, dal momento in cui, se anche egli avesse voluto
ritirarsi, se anche avesse voluto evitare il confronto con la minaccia
rappresentata da quella donna misteriosa, non avrebbe più potuto agire in
tal senso senza perdere il rispetto dei propri compagni, e, in conseguenza,
senza, comunque, evitare quanto ormai divenuto destino già scritto, già
segnato.

«Tu oggi morirai…» dichiarò, pertanto, a conclusione di tale analisi,


esprimendosi con forzata quiete, rinnovata freddezza «Tutti noi
abuseremo di te e, poi, ti uccideremo, lasciando il tuo corpo stuprato sulle
rive di quel fiume, dove i tuoi padroni potranno ritrovarti e ricevere il
nostro messaggio, comprendendo che mai dovranno commettere l’errore
di sentirsi al sicuro da noi, dalla nostra azione…»

Quasi quelle parole fossero state una sentenza emessa a discapito della
loro vittima, due fra i guerriglieri posti dietro alla mercenaria scattarono
verso di lei in un gesto improvviso, per afferrarla alle spalle, alle braccia,
174 Sean MacMalcom
nel desiderio di catturarla, nella volontà di impedirle ogni possibilità di
fuga dal destino a cui l’avevano votata.
Ma dove essi si sarebbero attesi, da parte sua, una qualche ribellione,
un qualche tentativo, pur vano, inutile, di evasione, la donna non offrì
invece alcun movimento, alcuna emozione. Nella loro violenza, le sue
braccia furono costrette ad aprirsi, lasciando precipitare a terra il proprio
carico, il cesto di panni da lavare, prima strettamente sostenuto: ciò
nonostante, fatta eccezione per simile reazione fisica, impossibile da
evitare, ella si dimostrò imperturbata e imperturbabile, ancora eretta e
fiera fra loro, quasi non fosse preda quanto, piuttosto, predatrice.

«Volete vedere che questa cagna ha accettato di buon grado la nostra


offerta?!» domandò, ridendo sguaiatamente, l’uomo impegnatosi a
stringere il braccio sinistro della donna, strattonandolo all’indietro,
fraintendendo il significato intrinseco della replica o, meglio, dell’assenza
di replica da parte della loro prigioniera «Forse ha compreso che se non si
agita troppo potrà anche provare piacere… o, forse, è desiderosa di potersi
deliziare, per la prima volta, con dei veri uomini, e non mammalucchi
pederasti.»
«Ma… cosa?...» sussurrò, al contrario, il suo compagno, con aria
preoccupata, nell’avvertire sotto il tocco delle proprie mani, chiuse attorno
al braccio destro della medesima, non la morbidezza e il calore
caratteristico della carne, lì attesa, quanto, invece, la robustezza e il gelo
propri del metallo, imprevisto e inquietante.
Nessuno ebbe comunque modo di prestare attenzione a quella
reazione, nell’essere attratti, al contrario, dalle parole che pronunciò, in
quello stesso momento, la mercenaria, proponendo ancora la propria voce
e chiedendo, con tono freddo, controllato, quasi apatico o, forse, annoiato
nei confronti di quell’azione: «Ditemi… quando è previsto che possano
arrivare?»
«Chi?!» replicò il carceriere alla sua mancina, non cogliendo il senso di
quelle parole.
«Gli uomini veri di cui hai parlato…» sussurrò ella.

Solo il capo del gruppo di guerriglieri si poté allora accorgere della


contrazione che subirono le pupille della donna, quasi scomparendo
all’interno delle iridi color ghiaccio: quegli occhi prima ammalianti nella
loro esoticità, nella rarità di quella tonalità, nel loro incanto divino, si
trasformarono, in quel momento, in qualcosa di ben diverso, due pallidi
specchi riflettenti la luce del sole e, insieme a essa, i volti di tutti loro,
distorti in maniera tale da assumere un pallore innaturale… il candore
tipico della morte.
MIDDA’S CHRONICLES 175

Inerme nei confronti del mostro, la donna guerriero fu


così trascinata in cielo senza fatica alcuna, senza il minimo sforzo…
176 Sean MacMalcom

«Uccidetela!» gridò egli, spaventato da simile spettacolo.

Quell’ordine, però, non riuscì a ricevere più attenzione di quanto


prima non ne avesse ottenuta il sussurro dell’uomo alla destra della
presunta prigioniera: tardivo, purtroppo per i guerriglieri, si presentò
infatti alle loro orecchie, offrendo modo alla mercenaria, in un fuggevole
istante, nel tempo intercorrente fra idea e azione, di violare l’immobilità
mantenuta fino a quel momento.
Nel rianimare le proprie membra, Midda si mosse incredibilmente
rapida e leggera, scattando all’indietro e ottenendo, in ciò, evasione dai
propri due secondini, nello scegliere la sola direzione verso la quale
alcuno avrebbe potuto immaginare ella avrebbe ardito di portare i propri
passi, avrebbe avuto coraggio di spingere le proprie energie. Inattesa e
imprevedibile in quel movimento, la donna scivolò così letteralmente fra
le mani della coppia, sfruttando a tal fine l’abbondanza delle proprie vesti,
la morbidezza della stoffa del burqa, utile a farla scorrere simile a
cristallina acqua attraverso la già labile morsa impostale. E finalmente
libera di agire, e di colpire, la donna si limitò, comunque, a puntare
semplicemente le palme delle mani contro le due schiene ora innanzi a sé,
banalmente spingendo i due uomini in avanti e, in tal mondo, completare
l’azione di sbilanciamento già iniziata con il proprio precedente atto.
Entrambi i guerriglieri, in conseguenza di ciò, persero l’equilibrio,
piombando rumorosamente al suolo, innanzi agli sguardi stupiti dei
propri compagni: sbalordimento naturale, legittimo, innegabile per coloro
che mai avevano ottenuto una simile risposta dalle proprie vittime, dalle
malcapitate che sotto alle loro mani erano, sino a quel momento, state
offerte da un impietoso fato.

«Uccidetela… Uccidetela!» ripeté il capo del gruppo, sguainando in


tali parole la propria sciabola senza concedersi ulteriori esitazioni, altri
dubbi «Non è una schiava y’shalfica!»

Imperturbabile, nonostante il pericolo rappresentato da sette


avversari, la donna guidò il proprio corpo, i propri arti, ad assumere una
posizione di guardia, in gestualità ignote a quegli uomini, a quei
combattenti, troppo abituati ad aver a che fare con semplici serve per
poter sperare di riconoscere, identificare simile tecnica.
Sicuramente meschini e crudeli, ma non stupidi, comunque, essi
ascoltarono le nuove parole loro proposte e imitarono immediatamente
l’esempio associato alle stesse: una decina, fra sciabole e pugnali ricurvi,
furono, pertanto, le lame sfoderate e proposte, con rabbia, innanzi a quella
MIDDA’S CHRONICLES 177
nemica sconosciuta e imprevista, utili a concedere al gruppo nuova fiducia
in sé, nelle proprie possibilità in opposizione a chiunque si fosse celato
sotto il burqa scuro.
Il primo a slanciarsi contro la Figlia di Marr’Mahew, tentando un
affondo nella sua direzione, vide in questo tutta la propria enfasi scartata
da un movimento agile, da un gesto rapido, tale da portarlo a spingersi
senza controllo ben oltre il proprio obiettivo e lasciandolo, in conseguenza
di ciò, scoperto innanzi a ogni possibile controffensiva. Di simile
imprudenza, fu la mano mancina della mercenaria ad approfittarne,
guizzando simile a serpente contro la gola del proprio nemico e
serrandosi, lì giunta, attorno a essa. Senza alcuna premura, le sue dita
affondarono allora nella carne avversaria, riducendo l’uomo, in
conseguenza, quale inerme vittima, impossibilitata non solo a muoversi,
dove il minimo movimento avrebbe generato un dolore privo d’eguali, ma
anche semplicemente a respirare.
In suo soccorso, senza alcun ripensamento, si gettò un compagno. Egli
tentò pertanto un fendente, nel lasciar precipitare la propria spada
dall’alto verso il basso nella traiettoria del capo della mercenaria,
concedendole un’offesa che le avrebbe imposto sicuramente la morte, se
solo, in opposizione al medesimo, la mano destra della stessa non si fosse
levata verso il cielo, a fermare quella discesa, ad arrestare la violenza così
ipotizzata. E la spada, incredibilmente, nulla poté contro quel braccio,
quella mano, dal momento in cui essa non era costituita da debole carne
ma da solida corazza, in virtù della quale la morte, per lei, era stata
scongiurata numerose volte in passato.
Metallica, così, fu la vibrazione che derivò da quell’impatto,
risuonando del tutto equivalente al rintocco di una campana d’allarme
all’attenzione dell’intero gruppo, e alcuno fra essi poté, a quel punto,
evitare di osservare l’immagine offerta innanzi ai loro occhi con un primo
sentimento di inquietudine, se non, esplicitamente, di panico.

«Sei un… un… jinn…» balbettò colui la cui lama era trattenuta nella
mano destra di Midda.
«Sbagliato. E, se mi permetti, siete tutti a dir poco grotteschi.» rispose
ella, con assoluta tranquillità, puntando i propri occhi di ghiaccio nella
direzione dell’interlocutore innanzi a sé, senza allentare la presa sulla sua
spada o sul collo del suo degno compagno «Vorreste violentare una donna
solo perché indossa un burqa e poi, al primo segno di pericolo, invocate
subito degli spiriti maligni appartenenti alla religione che osteggiate?»
«Non è un jinn… è una cagna occidentale!» gridò il capo, spingendo
altri due, fra i suoi uomini, in avanti, nella direzione dell’avversaria, per
costringerli ad affrontarla «Avanti… ammazzatela!»
178 Sean MacMalcom

Contro alla nuova coppia di antagonisti impegnati in una breve carica


nella propria direzione, la Figlia di Marr’Mahew scagliò allora, senza
troppi complimenti, il disgraziato che sino a quel momento aveva
trattenuto stretto per il collo, liberandolo in tal modo dalla propria presa,
ma, al tempo stesso, costringendo i suoi due compagni ad arrestarsi,
nell’essere investiti dal suo peso, dove egli ormai si poneva praticamente
privo di sensi in virtù di un concreto principio di soffocamento.
Contemporaneamente a simile azione, nel mentre in cui la mano mancina
della mercenaria ritrovò libertà dal proprio scomodo ingombro, la destra
non solo rifiutò di sciogliere la propria presa attorno alla lama della
sciabola arrestata in precedenza, ma, addirittura, riuscì a prevalere nel
dominio sulla medesima: con un rapido movimento verso il basso, ella
strappò infatti l’arma dal controllo avversario, facendola propria e
ponendosi in tal modo libera di usarla contro di lui.
Privato della propria spada, l’uomo avrebbe potuto ritirarsi
rapidamente, nel dimostrare attaccamento alla vita, nel sottolineare una
naturale prudenza che non gli sarebbe stata rimproverata da alcuno in
simile frangente. Al contrario, però, egli scelse, coraggiosamente o
stolidamente, di non farsi scoraggiare dall’apparente superiorità
dell’avversaria e, immediatamente, tentò di reagire in opposizione a lei,
offrendo un nuovo tentativo d’offesa forse nella speranza di poterla
cogliere in contropiede e sopraffarla, con la propria velocità, con la
subitaneità del proprio gesto. Un corto pugnale ricurvo fu estratto, a tal
scopo, dalla sua fusciacca colorata, dalla cintola di stoffa stretta attorno ai
propri fianchi nello stile y’shalfico, e, in un movimento rapido e deciso,
venne diretto alla volta del ventre della donna, compiendo un ampio
percorso orizzontale che avrebbe potuto squartarla senza alcuna pietà,
condannandola a morire fin troppo rapidamente nonostante la punizione
che, ai loro occhi, ella avrebbe meritato per l’ardire offerto nei loro stessi
confronti.
Anche quell’attacco, però, fu silenziosamente ed efficientemente
vanificato dalla mercenaria, nell’utilizzo della sciabola appena conquistata
quale propria linea difensiva innanzi a una morte già considerata certa
agli occhi della controparte. Ancora stretta attorno alla lama, vicino alla
punta là dove alcuna mano di carne e ossa avrebbe potuto reggerla senza
ferirsi, essa venne utilizzata per arrestare l’avanzata del pugnale,
interrompendone il tragitto e deviandolo verso una direzione meno
pericolosa, non letale. E, a definire la conclusione di quel confronto, fu il
suo pugno mancino, ritrovando allora il tempo utile a caricare la propria
energia e, successivamente, a sfogarla in un violento impatto contro il
volto dell’uomo.
MIDDA’S CHRONICLES 179

«Fatela a pezzi!» incitò il capo del gruppo, pur restando immobile a


prudente distanza di sicurezza dall’avversaria, verso i due già inviati in
suo contrasto, ma arrestati, temporaneamente, nella loro avanzata
dall’impatto con il corpo del compagno svenuto.

enché alcuna emozione avrebbe potuto trasparire al di sopra


del burqa, facendola risultare a uno sguardo esterno quale
B totalmente a proprio agio in quella situazione, sicura delle
proprie possibilità nonostante si stesse ponendo in contrasto a
un numero nettamente superiore di avversari, Midda non poté negarsi un
certo disagio derivante dal vincolo che, in quel frangente, quello stesso
abito le stava imponendo, bloccandola nei propri movimenti, legandole le
gambe e impedendole, in tal modo, di poter combattere come le sarebbe
stato più congeniale, nell’utilizzo completo del proprio corpo e non solo di
una parte di esso.
Non per un semplice caso, invero, da sempre era abituata a gettarsi in
battaglia, nel cuore dell’azione più intensa e drammatica, tutt’altro che
ricoperta da libbre e libbre di pesante armatura, quanto piuttosto vestita
con i propri normali abiti, gli stessi di uso quotidiano. Dove, infatti, una
corazza solo ipoteticamente sarebbe stata utile a difenderla, certamente
sarebbe stata atta, al contrario, a vincolarne la mobilità, le possibilità
d’azione, rendendola in tal modo facile preda per chiunque più forte
fisicamente rispetto a lei. Per tale ragione, proprio sull’agilità, sulla
destrezza, sulla velocità, ella aveva sempre voluto fondare il proprio
confronto con gli avversari offertile dal destino, specialmente quando
presentatisi a lei particolarmente superiori in ogni altro piano fisico,
fondando su simili doti le proprie strategie, le proprie tattiche, nella
ricerca della vittoria. Porsi, come era in quel momento, limitata
nell’ingombro offerto da una tale veste, non avrebbe potuto evitare di
renderla, pertanto, certamente inquieta, sebbene ella non avrebbe dovuto
avere ragione di temere avversari del livello di quei guerriglieri, a lei
indubbiamente inferiori in esperienza e abilità guerriera.
Quando anche la seconda coppia di avversari giunse innanzi alla
donna, coordinando i propri movimenti nella volontà di non permetterle
possibilità di evasione, la Figlia di Marr’Mahew fu costretta ad agire
rapidamente, nel desiderio di non soccombere al loro confronto in
conseguenza alla propria minima capacità di movimento e azione.
Trasferendo, così, la sciabola nella mancina, unica realmente utile al
180 Sean MacMalcom
controllo di quell’arma, e permettendo, in tal modo, alla destra di
recuperare il proprio ruolo difensivo, quello di scudo onnipresente al suo
fianco, ella arrestò le lame su entrambi i lati del proprio corpo, non
concedendo loro ulteriore possibilità. E, prima che i due guerriglieri
potessero ardire a ponderare un nuovo attacco, ella invertì rapidamente i
ruoli fra loro, trasformando la propria postura di difesa in una d’offesa e
strappando la vita dal corpo delle controparti senza ulteriori
posticipazioni, nel tagliare, quasi con un sol gesto, entrambe le gole a lei
così offerte.

«Il primo sangue è stato versato…» commentò, fredda, distaccata,


innanzi agli sguardi, divisi fra paura e orrore, dei compagni delle vittime,
rantolanti a terra e in attesa della conclusione imminente delle proprie
esistenze «Vi ho concesso occasione per fuggire, vi ho intimato per tre
volte simile scelta, ma non mi avete offerto ragione. Ora pagherete per le
vostre colpe, per la vostra lussuria…»

L’uomo che in precedenza era stato colpito in viso, tentò in quel


mentre, su quelle stesse parole, un altro attacco, nuovamente confidando
nella distrazione dell’avversaria, ancora una volta sperando di poter
giungere a lei prima ancora che ella potesse maturare coscienza di tale
azione. Simile atto, al contrario rispetto alle sue aspettative, segnò
semplicemente la conclusione della sua esistenza nel momento in cui la
stessa sciabola, un tempo appartenutagli, si conficcò attraverso il suo
cuore, fuoriuscendo per oltre quattro pollici dalla sua schiena, quasi essa
avesse attraversato burro caldo ancor prima che carne umana.

«… per tutto il male che avete riversato contro le vostre vittime.»


continuò la voce della mercenaria, inalterata, come se il terzo morto, ora
ammassato sopra ai propri due compagni già caduti, non le avesse offerto
il minimo fastidio, alcuna distrazione nel proprio discorso «Uno
stupratore non merita di sopravvivere alla propria vittima, non ha diritto
di godere della luce di una nuova alba. E per quanto voi tutti celiate
l’orrore dei vostri gesti dietro l’illusione di una giusta causa, altro non
siete che banali aguzzini, indegni dell’aria che riempie i vostri polmoni,
della vita che palpita nelle vostre vene.»

In preda al panico, per quanto stava accadendo, e all’ira, per le parole


loro rivolte, anche gli ultimi due, i soli guerriglieri al di fuori del loro
caporione, e del loro compagno svenuto, ancora rimasti in vita e ancora
dotati di coscienza, si gettarono nella direzione della loro nemica. In ciò,
essi affidarono a due pugnali il compito di anticiparli nell’offensiva in
MIDDA’S CHRONICLES 181
atto, nella speranza di coglierla di sorpresa e ferirla o, comunque, imporle
necessità di difendersi da tali armi e, in conseguenza, la possibilità di
restare inevitabilmente scoperta a ogni ulteriore attacco.
A evitare di concedere loro ragione, tuttavia, la donna agì
simultaneamente a loro, spingendosi nuovamente nella sola direzione
verso la quale non avrebbero potuto attendere il suo movimento, il suo
attacco, nello scaraventarsi a testa bassa in avanti e nel farsi rotolare a
terra, compiendo, in conseguenza, una capriola sopra i corpi dei nemici
abbattuti. Grazie a tale gesto, ella riuscì non solo a evitare le due lame
guizzanti nella sua direzione, proiettate con forza e precisione là dove un
istante prima avrebbero potuto raggiungere il suo corpo, ma anche ebbe
successo nell’intercettare i due avversari prima di quanto essi non
avrebbero avuto modo di attendersi, colpendoli con la forza di entrambe
le braccia, aperte e tese, all’altezza delle gambe, per interrompere il loro
cammino e lasciarli precipitare a terra, privi di ogni grazia o
coordinamento.

«Thyres…» imprecò, purtroppo, immediatamente a seguito di tale


gesto, nell’evidenza dell’essere legata dal proprio abito e non riuscire
pertanto, a rialzarsi di scatto come avrebbe voluto, come le sarebbe stato
utile in quel momento «Maledetto burqa…»

Una violenza verbale, la sua, del tutto giustificata nel momento in cui,
per quanto potenzialmente vittoriosa sulla coppia, così rallentata si offrì
praticamente indifesa a terra, sopraffabile con semplicità. E, di ciò, i due
disgraziati non ebbero esitazione ad approfittare, gettandosi senza
eleganza, ma con estrema violenza ed efficacia, contro di lei, per
costringerla a terra, impuntandosi di peso sopra le sue braccia e le sue
spalle a non concederle possibilità di ulteriore fuga.

«Ormai sei nostra, cagna tranitha!» esclamò uno degli aggressori, con
trasparente soddisfazione per il risultato raggiunto, contro ogni
aspettativa, a discapito di ogni previsione precedentemente loro avversa.
«E sarai tu a pagarla…» aggiunse l’altro, condividendo la gioia del
proprio compagno «Per ciò che hai osato contro di noi… contro i nostri
compagni!»

Nel non essere ancora mutata la condizione dell’abbigliamento della


donna guerriero, la propria identificazione quale straniera e, nella
fattispecie, originaria del regno di Tranith, avrebbe dovuto essere
evidentemente imputata quale conseguenza, merito o colpa a seconda dei
punti di vista, dell’invocazione divina appena proposta dalla medesima,
182 Sean MacMalcom
del suo richiamo rivolto verso la dea a cui era solita appellarsi,
appartenente al pantheon della zona insulare di tale nazione e
particolarmente diffusa nei contesti marittimi della stessa. Simile
imprecazione, non a caso, si poneva essere propria e, praticamente,
distintiva di molti uomini e donne figli del mare da lì provenienti.
Nel confronto con tale particolare nel merito della sua origine, a quel
dettaglio che solo apparentemente sarebbe potuto essere considerato
trascurabile, all’attenzione di quanto rimasto del gruppo di guerriglieri fu
offerta allora una maggiore consapevolezza sulle sue potenzialità,
definendola ormai con assoluta sicurezza, e senza ambiguità di sorta,
quale mercenaria. Ragione avrebbe voluto, infatti, che solo nello
svolgimento di tale professione, di simile ruolo, una donna tranitha,
appartenente a una cultura estremamente liberale in ogni aspetto della
vita quotidiana rispetto alla maggioranza dei regni lì vicini, avrebbe
potuto riservare interesse a camuffare le proprie sembianze sotto abiti
y’shalfichi tanto oppressivi, nonché a spingersi all’interno di un harem,
una fra le istituzione maggiormente ferree, rigide nei propri usi e costumi,
riservandosi addirittura un compito nel medesimo in qualità di serva.
Probabilmente, se solo ella non avesse già ucciso tre fra loro, e se
avesse chiarito il proprio ruolo ancor prima dell’inizio di quell’offensiva, i
guerriglieri non avrebbero ormai avuto ragioni per proseguire nella
medesima, nonostante la lussuria che aveva spronato l’iniziativa da loro
presa. Dove lo stupro e l’assassinio della serva di un nobile,
probabilmente di un membro del governo, impiegata nel suo harem,
sarebbe potuto essere un atto utile a rivendicare le proprie ideologie, le
proprie ragioni, quelle stesse violenze nei confronti di una mercenaria
tranitha, infiltrata sotto mentite spoglie all’interno dello stesso harem,
altresì, sarebbero quasi sicuramente state controproducenti per la causa
dei guerriglieri, nel danneggiare una qualche azione probabilmente
orchestrata dai nemici kofreyoti a discapito dei propri naturali antagonisti,
nel violare quel principio quasi universale secondo il quale il nemico di un
nemico sarebbe potuto essere considerato quale proprio amico. Ma nel
momento in cui la donna aveva versato il loro sangue, solo un’altra
interpretazione sarebbe potuta essere addotta quale giustificazione per la
sua presenza in quelle vesti, solo una chiave di lettura avrebbe ritrovato,
giustamente, spazio nelle loro menti e nei loro cuori invocanti vendetta,
bramosi della sua morte. E così, agli occhi dei guerriglieri, ella avrebbe
dovuto che essere stata assoldata non tanto da un mecenate kofreyota
quanto da uno y’shalfico, forse lo stesso responsabile dell’harem, con lo
scopo di intervenire in loro contrasto, in offesa alla loro causa. Ragione per
la quale, quella stessa mercenaria non avrebbe dovuto trovare alcuna
possibilità di sopravvivenza, salvezza, nella necessità di venir punita
MIDDA’S CHRONICLES 183
ancor più severamente di quanto non sarebbe avvenuto nei confronti di
una banale schiava: straniera volontariamente al servizio dei loro nemici,
dei loro oppressori, non avrebbe avuto diritto ad alcuna pietà,
meritandosi, al contrario, tutto il male di cui essi sarebbero stati capaci.

«Rassegnati, tranitha…» incalzò di nuovo il primo ad averla così


identificata «Se prima sarebbe potuta essere nostra intenzione ucciderti
rapidamente, ora ci gusteremo la tua morte fino all’ultimo istante,
cercando di prolungarla il più possibile…»
«Ti faremo rimpiangere amaramente il giorno in cui hai deciso di
mettere piede in Y’Shalf, e, alla fine, sarai tu a supplicarci di levarti la vita
quale atto di grazia, di umana carità.» volle aggiungere il secondo, ancora
una volta in completo accordo con il proprio compagno.

Innanzi a simile svolta, nella quale la donna parve essere ormai vinta,
costretta a restare praticamente immobile a terra, sotto il peso della
coppia, privata di ogni possibilità di reazione e apparentemente
rassegnata alla fine che le avrebbero imposto, anche il capo del gruppo
maturò il desiderio di un confronto diretto con lei. E dove, sino a quel
momento, forse più pavido o forse meno impulsivo rispetto ai propri
uomini, egli si era mantenuto a distanza di sicurezza dall’azione, di fronte
a tale immagine decise finalmente di avanzare verso la propria
prigioniera, ritrovando parola e dimostrandosi di nuovo in grado di
comporre frasi di senso compiuto e non più in ordini costituiti da una
sola, ripetitiva, parola.

«Sono curioso di scoprire quale volto si cela sotto questi pesanti


abiti…» commentò, muovendo con gesti perfettamente controllati la
propria sciabola verso la mercenaria «Sono curioso di osservare in viso
colei che ha tanto ardito contro di noi…» proseguì, accarezzando con la
punta affilata la stoffa del burqa.

In tale gesto, egli concesse evidenza di una chiara padronanza sulla


propria arma, offrendo alla medesima una pressione sufficiente a incidere
la veste della donna lungo una teorica linea longitudinale, mediana al suo
stesso corpo, senza incertezza alcuna e lasciando, in ciò, pur intaccato
quanto celato sotto di essa. Non sarebbe dovuto essere considerato, infatti,
ancora suo desiderio giungere a ferirla, dove per deturpare quel corpo
tutti loro avrebbero potuto riservarsi sicuramente tempo e occasione
migliore, dopo aver approfittato a sufficienza del medesimo, offrendo in
tal senso ancora ascolto al sentimento di lussuria che l’occasione proficua
doveva aver nuovamente stimolato, tanto in lui quanto nei suoi compagni.
184 Sean MacMalcom
Da sotto quel tessuto blu scuro, quasi tendente al nero, emerse in
conseguenza di tale atto, non un corpo nudo, quale tutti loro si sarebbero
attesi, avrebbero desiderato e voluto accogliere, quanto una nuova veste,
un nuovo abito di fattura e colore ben diverso dal precedente. Una
casacca, priva di maniche, avvolgeva strettamente il busto della
prigioniera, modellandone le forme evidentemente procaci, generose nelle
proprie proporzioni, mentre più in basso, le gambe, forti e muscolose, si
ponevano fasciate in un paio di pantaloni, con una tonalità di verde
diversa da quella superiore, più brillante rispetto a essa e, in ciò, quasi
lucenti nel contrasto con il burqa prima presente.
Anticipando però qualsiasi possibile reazione dei tre uomini ancora
vivi e coscienti, sicuramente posti in disappunto da quella scoperta in
contrasto alle loro volontà, Midda decise di offrire loro, in quel momento,
ragione di pentirsi di non averla già uccisa, di non aver tentato, per lo
meno, di eliminarla quando era apparsa a loro disponibile, senza speranze
di fuga. Non appena i suoi arti inferiori furono liberati dalla stoffa del
burqa, non appena venne loro concessa possibilità di movimento esterna a
quella della veste prima troppo limitante per lei, quasi fosse una vera e
propria prigione, ella non si riservò neppure la possibilità di un singolo
istante di indugio, non dimostrò esitazione di sorta a sfruttare l’occasione
donatale, preventivata e correttamente raggiunta nella stupidità tipica di
quel genere di avversari, e, inarcando repentinamente la propria schiena
per andare a colpire con il tallone del piede destro il mento del caporione,
ella condusse il proprio piede sinistro a ricercare altresì, contro quello
stesso corpo, all’altezza dell’addome, un supporto utile a concederle
spinta per una nuova capriola, una giravolta, ora, all’indietro, tale da
svincolarla dalla presa della coppia di avversari posti di peso su di lei.
Ricadendo, così, genuflessa fra i propri due ex-carcerieri, ella agì allora
con prontezza nei loro riguardi, non desiderando impiegare ulteriore
tempo ed energia in uno scontro che non le avrebbe comportato alcun
guadagno di sorta. E nel mentre in cui il suo arto destro, in freddo metallo,
andò a chiudersi in una prima stretta attorno al collo di uno di loro,
imprigionandolo fra braccio e avambraccio, le sue stesse cosce, un istante
prima agognate, vennero sì offerte all’altro, ma in modo tale da formare,
nell’incrocio delle gambe, una seconda morsa del tutto equivalente a
quella contemporaneamente imposta all’altro.
Ancor prima che essi potessero ipotizzare di impiegare la propria
forza o le proprie armi in sua offesa, forte della posizione così conquistata,
la Figlia di Marr’Mahew infranse in tal modo entrambe le colonne
vertebrali e, con esse, le due esistenze loro collegate.
MIDDA’S CHRONICLES 185
«Spero che la tua curiosità sia stata appagata…» affermò, nel rivolgersi
all’ultimo avversario ancora rimasto cosciente, all’ormai unico nemico da
terminare a conclusione dell’opera in corso «Perché il prezzo da pagare
per il privilegio da te ricercato, sarà pari alla tua stessa vita.»

Due denti erano già stati infranti, e molti altri seriamente


compromessi, in conseguenza del colpo portato a segno dall’azione della
mercenaria, facendo dolere, in conseguenza, l’intera bocca dell’uomo.
Malgrado il danno, impossibile da trascurare soprattutto per colui che lo
aveva subito, nel desiderio di essere obiettivi su quanto accaduto, si
sarebbe potuto constatare come, se solo ella fosse giunta più in alto,
spingendosi in contrasto al suo setto nasale, le conseguenze di
quell’azione sarebbero state indubbiamente più disastrose, tali forse da
condurlo rapidamente anche alla morte. Innanzi a tale pensiero, a quella
possibilità, egli avrebbe dovuto trovare ragioni per ringraziare i propri
dei, ma, in quel frangente, nel particolare momento di quello scontro,
rendere grazie al loro nome non si sarebbe potuta considerare quale una
sua prerogativa, una sua priorità, un suo interesse, nel godere
dell’opportunità che gli era ancora stata concessa per proseguire nella
propria vita, per cercare, magari, una speranza di fuga. Il solo, stolido
desiderio dell’uomo, piuttosto, sarebbe allora dovuto essere giudicato
quello di poter ottenere vendetta, sia per sé, sia per tutti i propri
compagni, sterminati dall’azione della donna guerriero, rivelatasi,
incredibilmente, forse ancor più pericolosa del malefico jinn con il quale,
inizialmente, era stata maldestramente identificata.
Cogliendola così ancora sdraiata a terra, stretta ai corpi delle sue due
ultime vittime, egli non ebbe esitazioni, ricacciando ogni umano timore,
tutto il proprio dolore, nel porsi nuovamente a confronto con lei, cercando
di definire rapida conclusione su quella vita, non desiderando ripetere
l’errore già commesso nel rimandare tale momento, nel sottovalutare le
sue risorse, la sua capacità di donna guerriero.

«Muori!» gridò egli, lasciando ricadere pesantemente la propria


sciabola nella direzione del busto della mercenaria, forse sperando di
troncarlo in due, di netto.

Ella, tuttavia, ormai libera nei propri movimenti, slegata da ogni


vincolo prima impostole in conseguenza della presenza del burqa,
sicuramente utile e comodo per una missione di infiltrazione, ma,
altrettanto certamente, compromettente e dannoso in un contesto di lotta,
sciolse rapidamente la doppia presa attorno ai colli avversari, per evadere
dal pericolo incombente, per sfuggire alla morte imposta sopra di sé dalla
186 Sean MacMalcom
furia del suo avversario, dalla giustificata rabbia di quell’attacco.
Rotolando lateralmente sul terreno, sull’erba impregnata dal sangue dei
nemici abbattuti, la Figlia di Marr’Mahew lasciò piombare la fredda lama
del nemico per tre volte nel vuoto, prima di riuscire a ritagliarsi
un’occasione utile a recuperare la posizione eretta, attraverso un balzo
agile, uno scatto repentino frutto di coordinazione ed eleganza quasi
feline. Solo a quel punto, nel momento stesso in cui ella poté ritrovare
controllo sull’azione in corso, la donna fu in grado di controbattere al
guerrigliero, al caporione privato di ogni subalterno, nello spingersi con la
violenza di un proprio calcio nuovamente nella sua direzione, colpendolo
in pieno petto e scaraventandolo, in ciò, all’indietro, nel duplice scopo di
porlo in difficoltà e di guadagnarsi spazio e tempo per armarsi e divenire
pienamente in grado di competere adeguatamente con lui.
Approfittando di simile distacco, una delle spade rimaste prive di
proprietari a seguito di quanto già avvenuto, delle morti già consumate, fu
pertanto reclamata dalla mercenaria, la quale, stringendola nella mancina,
ne saggiò immediatamente il peso e l’equilibrio, attraverso movimenti
decisi, guidandola in una doppia roteazione attorno al proprio corpo. Solo
allora, dopo aver verificato la potenzialità proprie di tale arma, la donna si
riservò l’occasione di votare a favore di un suo possibile impiego
nell’azione che sarebbe inevitabilmente seguita: sebbene ella non avrebbe
mai potuto giudicare in buona fede, nella propria esperienza, un prodotto
tanto dozzinale quale l’ottimo, la migliore alternativa della quale avrebbe
potuto servirsi, comunque, in un livello di scontro tutt’altro che
impegnativo qual, inevitabilmente, sarebbe stato quello lì richiestole,
quella lama sarebbe potuta essere riconosciuta utile tanto alla propria
difesa, quanto all’offesa nei confronti della controparte. Difficile, del resto,
sarebbe stato per lei poter trovare facile soddisfazione nel raccogliere
un’arma qualsiasi da terra, dal momento in cui la spada con la quale,
generalmente, ella era solita accompagnarsi, si poneva a un livello
assolutamente diverso da quello che avrebbe potuto trovare all’interno dei
confini y’shalfichi, non tanto, ovviamente, per una questione di
discriminazione nei riguardi dei mastri fabbri locali, quanto perché
derivante da una conoscenza dei metalli, e delle tecniche per lavorarli,
assolutamente imparagonabile con ciò usualmente diffuso nell’entroterra
del continente di Qahr. E al pari della nemica Kofreya, anche Y’Shalf, per
quanto non priva di coste, sebbene non così estranea al mare, non aveva
mai cercato nel medesimo una delle proprie risorse primarie, rinunciando,
in simile stolida preferenza, alla maggior parte delle tradizioni e delle
conoscenze a esso collegate…
MIDDA’S CHRONICLES 187
«Mi spiace di non poter farti provare il vigore della mia spada, frutto
dell’artigianato dei figli del mare…» precisò, allora, offrendo verbale
riferimento alla riflessione personale avvenuta in lei, nel suo cuore,
sinceramente provando nostalgia per l’arma lasciata al sicuro presso la
propria tenda, adeguatamente celata fra i propri effetti personali «Ma farò
buon viso a cattivo gioco e mi accontenterò di usare una delle vostre per
sancire la conclusione di tutte le tue idealistiche missioni, della violenza
che tanto ami imporre a vittime indifese.»
«Non commettere il mio stesso errore…» la avvertì l’avversario, quasi
fosse sinceramente interessato a offrirle consiglio in tal senso «… non
perderti in inutili chiacchiere. E se desideri uccidermi fallo in fretta, perché
se indugerai, alla prossima occasione, sarò io a pretendere la tua vit…»

Tale frase, però, restò in sospeso, bloccata per l’eternità nella propria
conclusione: accogliendo, infatti, volentieri la premura della controparte,
del proprio nemico, la donna guerriero scagliò allora, senza preavviso
alcuno, la sciabola appena conquistata contro di lui, quasi fosse un
pugnale da lancio, andando in tal modo a trapassarne il petto e
stroncando, in ciò, ogni ulteriore azione, ogni possibile desiderio, ogni
eventuale reazione.
E nel mentre in cui gli occhi di quell’uomo sbiancarono, segno di una
vita giunta al termine, di un anima in distacco dal proprio corpo, il suo
sangue, caldo e viscoso, fuoriuscì in lenti rigagnoli dalla bocca e dal naso,
su un volto contratto a delineare una espressione di chiara incredulità per
quanto accaduto, per la rapidità della morte da lui stesso invocata e, per
mano della donna, divenuta realtà.

«Ma… mal… e… de…» sussurrò, esanime, prima di ricadere a terra.


«Ho ascoltato il tuo consiglio e tu mi maledici?» domandò la
mercenaria, aggrottando la fronte innanzi a simile reazione «Che razza di
ingrato...»

Sette uomini avevano tentato di offrirle offesa, di donarle violenza, e


Midda, a quel punto, poté verificare di averne uccisi solo sei: il settimo,
colui che per primo aveva perduto i sensi a causa della sua presa al collo,
ancora giaceva infatti immobile fra i corpi dei compagni defunti, ignaro di
ciò che era accaduto.
Nel trascinare, a conclusione di tutto, i corpi verso il fiume, a
soddisfare in ciò il desiderio di disfarsi rapidamente degli stessi ed essere
finalmente libera di riprendere il proprio incarico, la mercenaria si pose,
invero, a lungo dubbiosa sul destino da proporre a tale malcapitato.
Stupratore e assassino, egli non avrebbe meritato da lei alcuna pietà,
188 Sean MacMalcom
avrebbe certamente dovuto essere destinato a seguire i propri compagni
nel loro fato di morte: nonostante tutto, però, qualcosa in simile condanna,
in tale scelta, non l’avrebbe potuta ritrovare pienamente convinta, non
l’avrebbe potuta cogliere completamente soddisfatta, dal momento in cui,
ella, in effetti, non era solita uccidere avversari privi di difesa, né ricorrere
alla morte senza un ragione concreta per farlo.
Rimasta, pertanto, sola con quell’ultimo corpo, dopo aver sgombrato il
campo di battaglia dai cadaveri accumulati su esso, la donna decise di
concedergli ancora una possibilità di sopravvivenza, conscia di come, in
un’eventuale situazione inversa, dall’altro ella non avrebbe mai ottenuto
tanta grazia. Ciò nonostante, nella volontà di render giustizia comunque a
tutte le possibili vittime di quell’uomo, la mercenaria scelse, al di là della
propria benevolenza, di non concedergli quella libertà, quella speranza
per il futuro, in maniera assolutamente gratuita, intervenendo, altresì,
affinché egli potesse ricordarsi per l’intero ed eventuale proseguo della
propria esistenza di quel giorno e, in ogni caso, non potesse più essere in
grado di perpetrare ulteriori abusi ai danni di innocenti.
E così, mentre il corpo dell’unico sopravvissuto all’incontro con la sua
furia fu affidato a sua volta al fiume, venendo il suo destino offerto in
balia dei capricci della corrente, il suo fato rimesso in seno al giudizio
degli dei, che avrebbero potuto salvarlo oppure lasciarlo morire, facendolo
perdere per sempre in quelle acque chiare, la sua stessa virilità, che tante
donne aveva offeso, restò invece a terra, affidata alla voracità delle
formiche, là dove esse, certamente, non avrebbero mancato di gradire
simile dono, banchettando gioiosamente.

«Buon appetito.» augurò loro la mercenaria, recuperando la propria


cesta di panni sporchi e facendo ritorno, per l’ennesima e ultima volta, al
fiume, dove un’attività meno coinvolgente, rispetto al confronto armato
con un branco di bruti, l’avrebbe attesa a proseguimento di quella mattina.

arem: una parola semplice, forse anche troppo, per un concetto

H spesso tutt’altro che banale da poter comprendere, un’idea, suo


malgrado, eccessivamente fraintendibile.

Agli occhi di un abitante del regno di Kofreya, così come per molte altre
nazioni con simile carattere culturale, con il termine “harem” sarebbe stato
inteso, semplicemente, una sorta di gineceo, forse l’unico spazio riservato
alle donne all’interno di una cultura esageratamente maschilista, di una
MIDDA’S CHRONICLES 189
fede che non avrebbe previsto alcuna forma di libertà, alcuna possibilità di
autodeterminazione per coloro che avessero avuto la sfortuna di
appartenere al genere sessuale femminile. Simile percezione, errata, era
tale al punto da far essere l’harem, al contempo, odiato e desiderato: se,
infatti, nel profondo dell’animo, là dove nessun uomo avrebbe potuto
mentire a se stesso, esso si poneva pari a un sogno erotico proibito, nel
desiderio, forse maniacale e sicuramente egocentrico, di poter essere
dominatore su troppe donne, sapendole votate unicamente alla
soddisfazione dei propri desideri più intimi, delle proprie perversioni;
all’esterno, nel confronto con la quotidianità e le proprie naturali ipocrisie,
una larga parte del continente di Qahr non avrebbe mai fatto a meno di
condannare a furor di popolo l’immagine, il concetto offerto da quella
parola, tacciandolo senza vergogna per tutte quelle colpe che in suo
contrasto erano addotte, non in conseguenza di una reale consapevolezza,
di una concreta esperienza, ma semplicemente della malizia celata e pur
presente nello sguardo dell’osservatore, e inquisitore, di tale realtà.
Agli occhi di un abitante del regno di Y’Shalf, così come di molte altre
nazioni contaminate dagli estremismi religiosi derivanti da Far’Ghar, dalle
sue tradizioni, dalla sua cultura esportata attraverso le proprie carovane
mercantili, l’harem sarebbe dovuto essere considerato, meno banalmente,
quale un’area protetta riservata alle giovani figlie delle famiglie più nobili
e influenti del regno, le discendenti dei numerosi visir, nonché dello stesso
sultano, allo scopo di mantenerle lontane da una realtà inadatta a loro, alla
loro innocenza e fragilità. Senza il rischio di subire abusi e violenze da
parte degli elementi peggiori del mondo maschile, esse sarebbero potute
crescere in salute e serenità, venendo educate secondo i dettami della fede,
quei principi quasi di legge che le avrebbero rese, un giorno, mogli
perfette per gli aristocratici mariti alle quali sarebbero state destinate. In
ciò, salvo un diverso approccio, una base di concetto estranea da quella
altresì considerata dai propri vicini, molti giudizi negativi esprimibili a tal
riguardo, non si sarebbero dimostrati del tutto gratuiti. Gli harem,
purtroppo, in tal considerazione, finivano per essere realmente baluardi di
un sistema di discriminazione sessuale, dell’imposizione di un potere
patriarcale su tutte le donne, negando loro ogni diritto personale, persino
quello a mostrare liberamente il proprio volto, la propria immagine al
mondo intero, e, nei casi peggiori, essi fungevano addirittura quali riserve
per i giovani rampolli delle famiglie nobiliari, al fine di poter scegliere al
loro interno mogli e concubine quasi fossero bestiame a una fiera.
Agli occhi di un abitante del regno di Shar’Tiagh, così come a quelli di
poche province a esso prossime e aventi in comune una medesima cultura
e storia, attorno all’harem sarebbe, infine, dovuto essere associato un terzo
valore, il solo che, effettivamente, sarebbe dovuto essere considerato quale
MIDDA’S CHRONICLES 339

La fortezza fra i ghiacci

lfine anche quell’inverno stava giungendo alla propria naturale

A conclusione, accompagnando l’anno, ormai terminato, a divenire


parte della memoria, a unirsi a quel bagaglio di eventi lontani
normalmente indicati con il termine di “passato”, per offrire nel
proprio sacrificio spazio alla rinascita della primavera e, con essa, al
ritorno delle speranze, dei sogni e della vita. Un ciclo perpetuo, quello così
delineato, conseguenza inevitabile dell’altrettanto irrefrenabile susseguirsi
del giorno e della notte, che mai alcun mortale avrebbe potuto arrestare,
che mai alcuna volontà, fosse anche quella di un re, avrebbe potuto
impedire o solo rallentare: l’alternanza delle stagioni avrebbe sempre
spinto l’umanità verso il proprio futuro, forse nell’assurda speranza di
donare alla medesima una consapevolezza maggiore sulla propria
essenza, sulle proprie ragioni d’essere e su ciò a cui sarebbe stato giusto o
sbagliato ambire.
Purtroppo, non era mai apparsa quale caratteristica della natura
umana quella di riuscire ad aprirsi agli insegnamenti offerti loro
attraverso simile meccanismo, di essere in grado di apprendere quei
concetti estremamente semplici in virtù dei quali l’intera umanità avrebbe
potuto tendere verso un sostanziale progresso, un’evoluzione a un livello
di benessere condiviso e superiore. Nonostante tanto impegno da parte di
tutti gli dei per concedere simile opportunità alle proprie creature, al
frutto di un bizzarro ludo dal quale la mortale esistenza aveva avuto
origine, che in tale condizione sarebbero sempre rimasti, fossero essi
sufficientemente umili da riconoscere la presenza dei propri artefici o
fossero anche tanto arroganti da giungere a negarla spudoratamente,
egoismo, codardia, menzogna, verso se stessi ancor prima che verso i
propri fratelli e sorelle, avevano purtroppo da sempre segnato l’animo di
uomini e donne, negando loro ogni possibilità di comprendere i propri
errori e di riuscire, pertanto, a maturare come altrimenti sperato.
A rappresentare una chiara riprova di simile triste fato, condanna
autoimposta e non conseguenza di un qualche arbitrio divino come
troppo ingenerosamente spesso i mortali erano abituati ad accusare con
eccessiva leggerezza, nel vano tentativo di rifiutare qualsiasi genere di
responsabilità sulla propria miserabile condizione, si poneva,
innanzitutto, quell’esercizio letale all’interno del quale interi popoli
apparivano contenti di rigettare vanamente le proprie vite: la guerra.
340 Sean MacMalcom
Fosse essa in nome di valori vuoti, quando presenti, o, altresì e peggio
ancora, semplicemente nel desiderio di perpetrare qualcosa di cui alcuno
sarebbe stato in grado di giustificarne le cause, dimenticate molte
generazioni precedenti a quella attuale, la guerra da sempre incarnava
certamente l’apice negativo dell’involuzione umana. Tanto abbondanti
quanto privi di ragioni, i conflitti armati si presentavano in maniera
equamente distribuita sull’intera superficie dei tre continenti, ovviamente
trovando in determinate zone, al loro interno, una spontanea
concentrazione, naturali fulcri di aggregazione nei quali le energie e le
volontà di tutte le popolazioni lì abitanti o confinanti avrebbero potuto
riversare uno psicotico, ma assolutamente vivo, interesse. Nel funereo
censimento di simili sconfinati altari innalzati in onore della morte, della
distruzione, dell’annichilimento di ogni civiltà, spesso da tempi remoti al
punto da rendere difficile ricordare una realtà diversa da quella ormai
impostasi, un’area particolarmente attiva in tal senso si poneva essere
quella sul confine di due nazioni, due regni fra loro estremamente simili
nella cultura, nella religione, nella società, nella lingua, eppur ugualmente
e paradossalmente rivali: Kofreya e Y’Shalf.
Posti in contrapposizione sui due fronti della catena composta dai
monti Rou’Farth, come molti altri loro pari i due regni non sembravano
poter sperare nella pace almeno fino all’annientamento di una delle due
parti in causa, alla caduta di una fra loro, proseguendo ciecamente in un
conflitto che, anche dove un giorno fosse stato portato a compimento, non
avrebbe potuto ritrovare alcun reale vincitore, nell’enumerare tutti i
soldati e le vittime civili cadute nel corso del tempo, non solo in virtù della
violenza nemica ma, addirittura, della propria stessa furia.
Immancabilmente, tanto su un fronte quanto sull’altro, sebbene forse in
termini più rilevanti a occidente, nei confini kofreyoti, che a oriente, nei
confini y’shalfichi, la guerra aveva purtroppo creato disequilibri interni
tali da giustificare ogni sorta di violenze, ogni genere di abusi.
A ponente, in conseguenza di ciò, si era da tempo giunti all’incredibile
apoteosi rappresentata dalla provincia di Kriarya, città del peccato. Lì ogni
autorità nazionale, ogni potere sovrano, era venuto meno, lasciando la
gestione della città e del territorio circostante affidata alla brutalità
criminale e vedendo, in conseguenza, la popolazione locale essere
rapidamente sostituita da ladri e assassini, prostitute e mercenari, asserviti
al volere di una “nobiltà” di fatto, non basata come altrove sulla
discendenza di sangue o sulla semplice influenza economica, quanto,
piuttosto, sulla capacità di dominare quell’ambiente caotico, gestendo
ogni traffico all’interno di quelle vie corrotte. A levante, parallelamente,
non vi era stata invero tale degenerazione nella provincia di Y’Lohaf, più
esposta verso il conflitto come già Kriarya. Tale diversità, in effetti, era
MIDDA’S CHRONICLES 341
riuscita a essere tale solo in conseguenza di un controllo maggiore, sui
propri sudditi, esercitato dai vari sultani nel corso del tempo, dove essi si
erano dimostrati evidentemente in grado, attraverso i propri visir, di
mantenere la quiete e il vivere civile come sul fronte opposto non erano
stati in grado di fare i vari sovrani, attraverso i propri feudatari.
Ma tanto in Kofreya quanto in Y’Shalf, per ragioni simili pur con
determinazioni ovviamente diverse, si erano venuti a creare movimenti di
resistenza locale, un’opposizione al potere sovrano sorta direttamente
dalle fasce più basse del popolo allo scopo di rivendicare il diritto alla
pace, alla conclusione di ogni conflitto all’interno dei quali,
inevitabilmente, non sarebbero stati gli aristocratici i primi a cadere o a
subirne un qualche danno, quanto la povera gente, volente o nolente
vittima di tanta follia: a ovest, così, era nato il brigantaggio, mentre a est la
guerriglia.

In quel mese di Pharfe, o Farph a seconda del vocabolario prescelto


per riferirsi al medesimo periodo dell’anno morente, nel rispetto della
propria natura nomade uno dei diversi accampamenti minori della
guerriglia y’shalfica aveva trovato temporanea sistemazione all’interno
della zona collinare anteposta ai monti di confine. All’interno di tale area,
per quanto tanto vicini alla frontiera e all’inarrestabile confronto fra le due
nazioni, i guerriglieri avevano cercato rifugio, per ritemprare le proprie
energie in attesa della primavera, della nuova stagione nel corso della
quale avrebbero ripreso l’operato rimasto in sospeso. Un periodo che era
stato utile, necessario più a livello psicologico che fisico, nel desiderio di
dimenticare non solo la totale assenza di risultati di quell’ultimo anno,
quanto, peggio ancora, la tremenda disfatta subita in quella stessa ultima
stagione.
All’inizio dell’inverno, spronati purtroppo solo apparentemente da
ideali di pace, dietro ai quali paradossalmente avevano ormai celato la
stessa affezione all’omicidio, alla strage, contro la quale avrebbero voluto
offrire la propria protesta, un gruppo scelto dei loro compagni aveva
tentato di prendere in ostaggio il futuro dell’aristocrazia di Y’Lohaf,
rappresentato dai figli e dalle figlie delle famiglie nobili locali. Tale
tentativo, tuttavia, era stato clamorosamente soffocato, nonostante in un
primo momento fosse apparso rivolto verso un completo successo:
approfittando di uno dei momenti sociali più importanti per colpire, in
occasione della celebrazione del giorno di transizione all’interno
dell’harem della capitale, essi erano riusciti ad arrivare al proprio
obiettivo, salvo essere poi sterminati dall’intervento di una creatura
sovrannaturale, una jinn vampira, un’algul.
342 Sean MacMalcom
La comparsa di quel mostro non aveva, invero, semplicemente negato
alla causa della guerriglia la possibilità di portare a termine il proprio
piano, ma, peggio ancora, aveva persino negato loro qualsiasi risalto
pubblico, dove ogni cronaca a tal riguardo era stata altresì concentrata su
una misteriosa straniera, una donna guerriero giunta al momento giusto
per salvaguardare gli interessi del regno, preservando la vita dei giovani
nobili nell’uccisione della jinn. A questa imprevedibile salvatrice, per
quanto di ignota origine, erano stati infatti offerti onori e clamore, nella
diffusione di diverse ballate, all’interno delle quali era stato anche preciso
interesse politico far emergere la guerriglia a livelli assolutamente ridicoli,
grotteschi, per non concedere alcun vago ricordo della loro pur solo
iniziale vittoria.
Ma dal momento in cui, ormai, quei giorni cupi sembravano essere
così lontani, anche i guerriglieri avevano alfine recuperato la propria
quiete e attendevano con serenità l’inizio della nuova stagione e del nuovo
anno. La tranquilla esistenza concessa loro all’interno dell’accampamento,
nell’illusione di pace proposta dalle proprie famiglie, dalle proprie mogli e
dai propri figli, aveva infatti permesso loro di ritrovare uno sprone utile a
non concedersi possibilità di arrestare la missione prepostasi, per
riservarsi il diritto di godere di tale sogno non solo in poche effimere
fughe dalla realtà, quanto piuttosto nella vita di tutti i giorni.
Proprio in tali giorni di riposo, in quell’ultimo scampolo di inverno, fu
l’arrivo di una sconosciuta, quasi nuda e riversa svenuta sul dorso di un
asino a sua volta stremato, al limite delle proprie energie, ad attrarre
l’attenzione di tutti, nell’implicita e naturale richiesta d’aiuto, che, pur
incosciente, ella era così parsa loro supplicare.

«Y’Ahalla! Y’Ahalla!» gridò la sentinella posta sul margine


dell’accampamento, riprendendosi dallo stato quasi di torpore nel quale si
era ritrovato a essere in maniera naturale, incaricato del compito di
osservare un orizzonte notoriamente sempre uguale a sé stesso, almeno
sino a quel momento «Y’Ahalla! Presto vieni!» insistette, richiamando il
nome del suo responsabile a gran voce.
Y’Ahalla, non più desto del proprio subalterno, si alzò di soprassalto,
confuso e, per un istante, spaventato, nel temere il peggio in concomitanza
a un allarme tanto concitato: «Per gli dei… cosa accade, Sa’Meehr?! Siamo
sotto attacco?»
«No… guarda…» replicò l’altro, scuotendo il capo e indicando
l’immagine in virtù della quale il panorama solitamente offerto loro non
appariva essere più il medesimo.
«Ma cosa…?!» commentò esterrefatto in conseguenza di quella
negazione, non riuscendo a comprendere per quale altra ragione vi
MIDDA’S CHRONICLES 343
sarebbe potuta essere tanta agitazione nella sentinella «Ma ti sembrano
scherzi da fare? Pezzo d’asino che non sei altro… desideravi davvero
tanto che ti indicassi un tuo simile?» aggiunse, immediatamente dopo,
identificando il quadrupede per cui era stato creato quell’estemporaneo
stato d’allerta assolutamente ingiustificato «Sa’Meehr…»
Ma l’altro non accettò quietamente il rimprovero rivoltogli e, anzi,
interruppe il proprio superiore prima che egli potesse aver modo di
offrirgli nuovi improperi: «Osserva meglio! Ti prego!»

L’uomo, padre di un giovane coetaneo al proprio subordinato,


avrebbe ben volentieri gradito imporre la propria autorità di fronte a
quell’irriverenza, all’insubordinazione con la quale egli sembrava farsi
beffe di lui nel richiedere nuovamente attenzione verso qualcosa del tutto
privo di simile necessità, ritrovandosi a essere incerto fra adottare metodi
propri del ruolo militare o, piuttosto, del ruolo genitoriale, dal momento
in cui entrambi sarebbero potuto essere validi. Ma se anche simile volontà
non avrebbe potuto trovare alcun ostacolo nella propria attuazione, a
prescindere dall’alternativa votata quale favorita, egli decise di non
riservarsi alcuna possibilità di errore di giudizio nei confronti di
Sa’Meehr, preferendo dimostrarsi prudente in conseguenza all’insistenza
offertagli con apparente sincerità d’intenti. Così, tornando pazientemente
a osservare la figura in lento avvicinamento alla loro posizione, riconobbe
nuovamente l’evidente profilo di un asino, il quale, con maggiore
attenzione, gli si rivelò essere particolarmente stanco, apparentemente
privato di ogni forza e, forse, ugualmente in movimento per pura tenacia,
determinazione. E per tale dettaglio, al di là dell’irritazione derivata
naturalmente dal riposo interrotto, Y’Ahalla dovette riconoscere come
simile immagine non si sarebbe potuta considerare quale normale.
Quando poi, oltre all’animale, egli ebbe modo di intravedere, di
riconoscere, identificare una seconda figura, abbandonata forse priva di
sensi sul dorso del medesimo, e per questo a simile distanza quasi
indistinguibile rispetto a un banale cencio lì dimenticato, non poté che
ritirare ogni giudizio negativo prima addotto nei confronti del giovane.

«Ora l’hai visto?» gli domandò la sentinella, certo di aver colto


nell’espressione del proprio responsabile l’intendimento da subito
ricercato e solo ora da lui ottenuto, non senza una certa insistenza.
«Per Gau’Rol!» ammise l’altro, storcendo le labbra «Credo di doverti
delle scuse. Corri a chiamare Ra’Ahon… è meglio che anch’egli possa
vedere cosa sta accadendo!»
344 Sean MacMalcom
Il nome del loro comandante, eletto in maniera democratica a dirigere
tanto le attività del loro gruppo come guerriglia, quanto della loro piccola
realtà sociale umana, fece scattare immediatamente le membra ormai
completamente ridestate del giovane, il quale senza indugi si diresse di
corsa, nell’esecuzione degli ordini ricevuti, verso il centro
dell’accampamento alla ricerca dell’uomo.
Y’Ahalla, rimasto così solo su quel fronte, quel confine del loro
accampamento comunque non ossessivamente sorvegliato dal momento
in cui non vi sarebbero state ragioni di insistere a tal riguardo, ricondusse
la propria attenzione verso l’asino e il proprio carico, rimanendo indeciso
sulle azioni da intraprendere. Certamente egli avrebbe potuto restare lì
immobile, in attesa dell’arrivo di Ra’Ahon, scaricando su tale figura ogni
responsabilità decisionale, non tanto per ignavia o codardia, quanto più
per rispetto verso il ruolo ricoperto da quest’ultimo: se quello spettacolo,
del resto, si fosse rivelato essere una qualche, originale e imprevedibile,
trappola loro riservata dall’esercito, non avrebbe voluto di certo assumersi
la colpa di averla fatta scattare prima del tempo.
In verità, comunque, benché da anni, decenni la loro causa si
impegnasse con ogni sforzo nel contrasto all’ordine costituito, fino a quel
giorno non avevano mai ottenuto eccessiva attenzione da parte del
medesimo, non avevano riscosso particolare interesse dai visir o dallo
stesso sultano. Al contrario, si sarebbe potuto credere, forse anche a ragion
veduta, che vi fosse una chiara ed esplicita decisione da parte dei potenti
y’shalfichi per non offrire loro il minimo risalto, alcuno spazio, quasi non
volessero neppure riconoscerli come ipotetica minaccia. Una reazione
comprensibile dove concedendo loro una qualche importanza avrebbero
forse spinto anche altre frange, attualmente pacifiche, della popolazione a
prendere in considerazione gli ideali proposti dalla guerriglia,
compromettendo l’equilibrio esistente.
L’idea di una trappola, agli occhi maturi di un uomo come Y’Ahalla,
sufficientemente disilluso da non commettere l’errore di ritagliarsi un
valore da altri non riconosciutogli, si propose pertanto decisamente
improbabile, tanto da spingerlo a prendere in esame alternative più
fattibili, più concrete e, in ciò, da invitarlo a procedere verso l’asino e il
suo ignoto carico, nella volontà di comprendere se e come poter prestare
aiuto al malcapitato dal quadrupede così trasportato.

«Ehy… puoi sentirmi?» apostrofò ad alta voce, in direzione dello


sconosciuto, per tentare un qualche contatto verbale ancor prima di
giungere all’incontro fisico.
MIDDA’S CHRONICLES 345
Nessuna risposta, però, riuscì a essergli offerta e, nel mentre di
quell’avvicinamento, nuovi dettagli gli vennero offerti, facendolo
propendere sempre più a favore dell’idea di un poveraccio svenuto o,
peggio, morto… anzi… una poveraccia, per amore di precisione.
Lunghi, infatti, si mostrarono i capelli neri di lei, dondolanti nel lento
moto dell’animale e striscianti, con le proprie stesse punte, a terra, là dove
neanche le dita della medesima sarebbero riuscite a giungere. Scura, su
quegli arti nudi, si concedeva la sua pelle, in tonalità sufficientemente
abbronzate da lasciar intuire un’etnia di sangue misto, probabilmente
y’shalfica, per quanto impossibile sarebbe stato definirlo prima di averne
accolto un qualche accento. Delicato, ma temprato, il fisico di quella
donna, sufficientemente giovane da poter essere apprezzata senza dubbio
alcuno da molti uomini poco più che fanciulli, si mostrò sempre più
chiaramente provato da troppi sforzi, da profonde piaghe che ne avevano
segnato una pelle quasi completamente scoperta lungo l’intero corpo, in
un’assoluta mancanza di pudicizia che non le sarebbe comunque potuta
essere rimproverata, dato lo stato in cui riversava.
Pur ammettendo, in un’ipotesi ancora priva di conferme, che ella fosse
ancora in vita, infatti, probabilmente quella sua condizione non le sarebbe
potuta essere imputata, non sarebbe potuta essere considerata quale
derivante da una sua volontà. Per lo stato impietoso nel quale ella si stava
donando allo sguardo e, soprattutto, per la posizione con cui stava
cavalcando in maniera del tutto innaturale quella povera bestia,
appoggiata sul dorso della medesima quasi fosse un sacco di canapa privo
di ogni umana coscienza, risultava evidente come quella donna fosse stata
lì posta nell’intervento di qualcun altro, forse proprio allo scopo di
donarle una speranza di salvezza in conseguenza di un qualche pericoloso
destino.

«Dei… fate che questo scempio non sia colpa nostra.» sussurrò egli.

Y’Ahalla era, infatti, purtroppo tristemente consapevole delle


abitudini di molti loro giovani, eccessivamente disinibiti nell’esercizio
delle proprie filosofie di guerriglia al punto tale da giungere, spesso e
volentieri, allo stupro di giovani serve indifese, abbandonandole
successivamente prive di vita, o quasi, lungo percorsi noti, frequentati,
quasi esse avrebbero potuto essere simbolo perfetto per gli ideali di pace
che avrebbero dovuto, altresì, diffondere.
Arrestando il moto dell’asino, o forse semplicemente accogliendo a sé
la bestia sfinita e a un passo dalla morte per stenti, in conseguenza
dell’assenza di acqua e cibo oltre che per la stanchezza accumulata in un
viaggio evidentemente troppo lungo e continuato, Y’Ahalla sollevò
346 Sean MacMalcom
delicatamente il braccio destro della ragazza, a sé più prossimo, per
cercarne il polso e, lì, il battito cardiaco. Se vi fosse stato ancora un anelito
di vita, forse avrebbero potuto salvarla, curarla, concederle una possibilità
di recupero: in caso contrario avrebbero potuto solo offrirle un rito
funebre, ignorando non solo le ragioni di quella morte, ma, addirittura, il
nome della vittima medesima. Fortunatamente gli dei vollero concederle
una speranza, lasciando scoprire, sotto ai polpastrelli ruvidi dell’uomo, un
lievissimo battito cardiaco, estremamente fragile, decisamente debole, ma
pur presente. In virtù di tale segnale, senza attendere l’arrivo del
comandante che pur aveva mandato a richiamare, egli decise di agire
rapido e tempestivo, levando delicatamente il corpo leggero della
fanciulla dal dorso dell’animale per condurlo, senza ulteriori esitazioni,
fino alla tenda del loro cerusico.
E proprio in conseguenza a quell’azione, alla liberazione dal compito
condotto a termine con tutte le proprie energie, l’asino levò un ultimo
raglio, un gemito di dolore o, forse, di ringraziamento, prima di crollare al
suolo, privato completamente di vita.

«Che Dahi’Nas possa accoglierti nella sua gloria…» commentò


l’uomo, invocando la dea protettrice degli equini, tanto cara alle truppe di
cavalleria leggera e pesante prima di ogni battaglia, sinceramente colpito
dall’evidenza di quel sacrificio, dall’amore incondizionato che il
quadrupede aveva posto nei confronti del proprio prezioso carico, con
passione e orgoglio degno del migliore fra tutti i destrieri «Nell’ammirare
la tua determinazione, sarà mia premura renderti omaggio conducendo in
salvo colei che tanto fedelmente hai servito.»

Abbandonando il corpo dell’asino fra l’erba delle colline, nel


ripromettersi di offrirgli una sepoltura adeguata a tempo debito, Y’Ahalla
ebbe giusto il tempo di voltarsi e iniziare a incamminarsi in direzione del
loro accampamento prima di scorgere la figura di Sa’Meehr in rapido
avvicinamento a lui, seguito a breve distanza da Ra’Ahon. La sentinella,
evidentemente, non aveva perso tempo e aveva trascinato il comandante
con sé, nell’accorrere nuovamente su quel limitare dell’accampamento,
nella volontà di scoprire le verità celate dietro a quella strana apparizione.

«Y’Ahalla!» esclamò con voce forte, avanzando nella direzione


dell’altro «Che accade, amico mio?!»

In opposizione a ciò che un’abbondante e disordinata chioma di


capelli compattamente neri avrebbe potuto dimostrare, Ra’Ahon aveva
lasciato alle proprie spalle ben quattro decenni di vita, raggiungendo
MIDDA’S CHRONICLES 347
un’età decisamente superiore a quella che sarebbe stato altresì capace di
dimostrare allo sguardo di chiunque a lui fosse rivolto, ingannandolo nel
proporsi qual detentore di un’energia, di una giovinezza che, al contrario,
avrebbe dovuto ormai iniziare a dimenticare. E dove, probabilmente, egli
avrebbe anche dovuto, nel proprio ruolo all’interno della guerriglia,
cedere il passo ad altri, rifiutando ogni possibile elezione seppur a furor di
popolo e spingendo affinché membri più giovani fossero scelti in propria
vece, concedendo loro l’occasione per dimostrarsi più abili di quanto lui
non avrebbe dovuto più essere, nel riuscire a superarlo nonostante la sua
indubbia esperienza maturata su campo, nessuno, però, si era ancora
dimostrato degno di tale successione, di simile eredità, non riuscendo a
superare il proprio comandante, non riportando alcun successo nei suoi
confronti in agilità, freddezza, costanza, forza o velocità. Non quale
semplice caso, in virtù di tali considerazioni, sarebbe potuto essere
idealizzato il colore ancora pieno, così splendente, non sbiadito, non
imbiancato o brizzolato, di quei capelli e della curata barba, conformata
attorno al suo mento in un pizzetto a punta, quanto piuttosto chiara
dimostrazione, evidente simbolo di tale condizione.
Il suo volto, oltre che dalla chioma e dalla barba, si poneva ornato
anche a due occhi verdi, splendenti e simili a gemme di giada, in
contrapposizione a una pelle resa scura dal sole e, peggio ancora,
drammaticamente rovinata lungo le guance da numerosi butteri. Questi
ultimi erano, invero, una pesante eredità, un triste ricordo lasciatogli
permanentemente da una malattia dalla quale egli aveva trovato salvezza,
ma nella quale tutta la sua famiglia era stata, purtroppo, sterminata: un
evento lontano nel tempo, del quale egli non avrebbe, forse, potuto
incolpare nessuno al di fuori degli dei, ma che lo aveva, invece, sospinto
proprio nella via della guerriglia, non perdonando alla propria nazione di
essere rimasta inerme di fronte all’epidemia tanto violentemente
scatenatasi in quasi tutte le proprie province, nel voler mantenere
concentrate le proprie energie e le proprie forze verso i problemi sul
confine invece che impiegarle per fronteggiare quelli presenti
internamente.

«Questa donna… questa ragazza… ha bisogno di aiuto.» riferì il


responsabile delle sentinelle, non arrestandosi, non indugiando neppure
alla vista del compagno, e continuando nel proprio deciso cammino verso
la meta prefissata, là dove la giovane avrebbe forse potuto avere salva la
vita «E’ giunta fino a qui condotta da un asino, morto per la fatica
nell’adempimento del proprio ruolo.»
348 Sean MacMalcom
«Sappiamo chi sia?» domandò retoricamente Ra’Ahon già consapevole
della risposta negativa, giungendo al fianco dell’altro nell’osservare, senza
malizia alcuna, le forme della sconosciuta per tentare di identificarla.

Nel mentre in cui il suo braccio destro si concedeva, in conseguenza di


un banale e recente incidente, ancora saldamente fasciato da bende
bianche, nella mancina egli mostrò una lunga alabarda, a chiara riprova di
quanto, nonostante l’assenza di una mobilitazione di massa da parte degli
uomini dell’accampamento, il comandante del medesimo non avesse
voluto sottovalutare l’allarme condottogli dalla giovane sentinella e si
fosse predisposto a fronteggiare qualsiasi eventualità.
Vestito con una casacca gialla, sdrucita nella propria stoffa al punto
tale da non conteggiare neppure il braccio sinistro e dal mostrare, sul
destro, giusto un avanzo, una parvenza di manica nella parte superiore, il
comandante dei guerriglieri di quell’area presentava sopra la stessa un
panciotto scuro, ornato da un motivo a righe verticali, e più in basso
bianchi pantaloni, rattoppati e rammendati al punto tale da apparire
mantenuti insieme unicamente dagli interventi voluti a rimediare ai danni
riportati, nonché vecchi calzari color terra, in pelle morbida e dalle forme
appuntite alle estremità. Un abbigliamento sostanzialmente povero, il suo,
il quale pur non concedendo alcuna chiara idea del proprio ruolo
all’interno di quell’accampamento, si poneva in fondamentale aiuto nel
corso di missioni presso i centri abitati minori e presso la città di Y’Lohaf,
capitale di quella provincia, permettendogli di apparire quale un semplice
mendicante, uno straccione butterato non meritevole di particolari
attenzioni.

«Nell’ipotesi che riesca a riprendersi, potrà essere ella stessa a dirci chi
sia e cosa le sia accaduto…» commentò Y’Ahalla, in risposta alla domanda
postagli «… sempre ammesso che possa esserci gradito scoprire la verità
celata dietro al suo stato.» aggiunse, poi, condividendo con il proprio
comandante e amico i timori che già aveva avuto modo di esprimere
rivolgendosi alle proprie divinità.
«Non ho mai tollerato certi comportamenti e mai li tollererò.» negò
l’altro, scuotendo il capo innanzi a tale affermazione «Se dalle sue labbra
emergerà qualche accusa a carico dei nostri giovani, sarà mia premura
impegnarmi affinché possano essere puniti secondo la legge.»
«La legge…?!» intervenne, disorientato, il giovane Sa’Meehr, temendo
di non comprendere le parole del proprio comandante.
«Nessuno fra noi deve commettere l’errore di sentirsi superiore alla
legge, per quanto proprio contro coloro che ne hanno le sorti fra le mani ci
impegniamo a combattere ogni giorno. Non l’anarchia è quanto da noi
MIDDA’S CHRONICLES 349
ricercato… solo la pace. E la pace non può tollerare stupri e violenze.»
espresse Ra’Ahon, con serietà assoluta nei confronti del ragazzo
«Ricordalo bene e rammentalo anche a tutti i tuoi compagni, se mai vi
ritrovaste nell’opportunità di decidere sulla vita di una giovane indifesa,
per quanto a noi avversa.»

onostante alcuni fra gli occupanti di quel campo non sarebbero


potuti essere considerati del tutto innocenti se posti innanzi a
N un’ipotetica accusa di stupro ai danni di povere disgraziate, per
nulla coinvolte o coinvolgibili all’interno delle questioni
politiche per le quali essi avrebbero dovuto altresì lottare, fortunatamente
per tutti loro nessuno poté essere imputato per quanto occorso alla
fanciulla condotta dal coraggioso asino. In verità, difficile sarebbe stato
considerare un qualsivoglia livello di coinvolgimento da parte di uno
qualsiasi dei membri di quel gruppo, di quell’insediamento, dal momento
in cui l’animale era giunto a loro non provenendo dall’interno della
nazione, quanto piuttosto discendendo proprio dai monti Rou’Farth, quel
confine dilaniato da continuo conflitto, verso il quale alcun guerrigliero
avrebbe avuto ragione di spingersi, fosse solo per una semplice
ricognizione.
Addirittura, a simile proposito, apparve difficile anche solo
comprendere per quale ragione una giovane donna sarebbe mai potuta
arrivare all’accampamento proprio lungo tale direzione, in quel
particolare verso, là dove non vi sarebbe dovuto essere alcuno spazio per
lei, in un territorio in cui la guerra stava imperversando da anni, decenni,
in maniera distruttiva e incontenibile. Solo l’eventualità nella quale ella
sarebbe potuta essere considerata quale una mercenaria al soldo
kofreyota, in assenza di simili figure femminili impiegate dall’esercito
y’shalfico, avrebbe potuto concedere un qualche senso a tal riguardo, ma,
evidentemente, una fanciulla della gracilità da lei dimostrata non avrebbe
potuto essere mai impiegata quale mercenaria in un qualsivoglia scontro
armato, soprattutto sopravvivendo al medesimo come ella era riuscita a
fare. Volendo essere oggettivi, nell’analisi delle sue membra e delle sue
mani, quella ragazza non avrebbe potuto considerarsi completamente
estranea a lavori pesanti, ad attività di tipo fisico non quale semplice
evento stocastico, ma quale impegno quotidiano, praticamente continuo e
perpetuo: nulla che, tuttavia, l’avrebbe mai potuta qualificare quale una
combattente, una guerriera, quanto piuttosto, probabilmente, una serva.
Ma, a conclusione di tali ragionamenti, comprendere per quale ragione
350 Sean MacMalcom
una serva avrebbe mai dovuto giungere all’accampamento trasportata
quasi completamente nuda sul dorso di un asino stremato, provenendo
proprio dalle montagne, dalla zona di conflitto, restò razionalmente
impossibile.
Così, tanto a Ra’Ahon, nel proprio ruolo di responsabile per la
sicurezza dei suoi compagni e subordinati, quanto a tutti gli altri
guerriglieri interessatisi nel volerlo scoprire, incuriositi da quell’originale
vicenda i cui dettagli si diffusero in rapido tempo presso tutti loro, non
restò altro da fare che attendere con pazienza il momento in cui Am’Dahr,
dio del sonno, avrebbe deciso di allentare la propria costrizione attorno a
lei, concedendole di ritrovare la coscienza altresì perduta.
Un’attesa che vide scanditi addirittura cinque giorni, prima di poter
scoprire il colore degli occhi di quella ragazza, ritrovando in grandi iridi
un perfetto equilibrio fra toni castani e rossastri, a creare in essi un incanto
tutt’altro che spiacevole.

«Bentornata fra noi…» sussurrò con tono tranquillo, volutamente


moderato, il cerusico, primo ad assistere a tale evento, favorito dalla
propria occupazione nonché dalla posizione occupata dalla medesima da
quasi una settimana, all’interno della sua ampia tenda.
Evidentemente frastornata, forse anche abbagliata dall’incontro
inatteso con la luce del giorno dopo un così intenso sposalizio con le
tenebre del torpore, la ragazza restò immobile, forse incapace ancora a
muoversi e, in conseguenza, anche a parlare.
«Riesci a sentirmi? E, soprattutto, puoi capirmi?» domandò l’uomo,
mantenendo la modulazione già adottata, giustificato in quella domanda
dove non gli sarebbe stato possibile intuire la nazionalità della propria
paziente, per quanto ipoteticamente y’shalfica «Se non riesci a muoverti o
a parlare, sposta lo sguardo verso l’alto, per permettermi di cogliere una
risposta negativa, o verso il basso, per una positiva…»
Dopo un lungo istante di incertezza, nel quale la giovane non sembrò
riuscire a formulare alcuna sentenza, forse non avendo neppure avuto
modo di intendere la questione propostale, gli occhi di lei si mossero
lentamente a rivolgersi verso il basso, sostando in quella posizione per un
istante prima di risalire a rincontrare quelli del medico.
«Ottimo…» annuì egli, non celando una certa soddisfazione in
conseguenza di tale reazione «Pensi di riuscire a parlare? Oppure a
muoverti, anche minimamente?»
Ancora silenzio da parte della paziente, la quale dopo una chiara
indecisione, forse riservandosi il tempo necessario a comprendere quanto
tutto il suo corpo fosse in grado di risponderle o meno, sollevò ora i propri
occhi, puntando lo sguardo verso l’alto e negando la prova richiestale.
MIDDA’S CHRONICLES 351
«Non ti preoccupare di questo: hai attraversato un periodo veramente
critico, e solo in grazia a qualche divinità benevola sei riuscita a
sopravvivere…» le spiegò, poi, ancora con quiete nel proprio tono e nei
propri modi «Te l’ho domandato solo per cercare di ottenere un quadro
clinico sufficientemente completo sulla tua salute.»

Soddisfatto o meno che potesse essere nei confronti delle informazioni


ottenute fino a quel momento, il cerusico avrebbe dovuto accontentarsi,
dove gli stessi occhi attraverso i quali era stato in grado di stabilire un
minimo contatto con la giovane gli si celarono tornando protetti sotto le
palpebre della stessa, in un’esigenza di riposo a cui ella non poté sottrarsi,
non poté cercare evasione. Il suo corpo, forse, aveva superato la fase più
critica, ma altro riposo le sarebbe stato necessario prima di ritornare in
forma, e di questo il cerusico era ovviamente a conoscenza.
Trascorsero così altri due giorni, più tranquilli rispetto ai precedenti,
dopo i quali la fanciulla tornò nuovamente a offrire il proprio sguardo al
mondo, ora accompagnato anche da un flebile richiamo identificabile
quale sua voce.

«Acqua…» richiese, offrendo un’evidente intonazione y’shalfica nella


propria pronuncia, oltre ovviamente all’utilizzo del termine adeguato nel
formulare tale domanda.
Il suo consueto interlocutore si offrì puntuale al suo fianco,
concedendo contro le sue labbra un pezzo di stoffa bianca, inumidito, dal
quale poter ottenere i liquidi a lei necessari: «Suggi da questo panno…» la
incitò, con la propria consueta cortesia «Comprendo tu possa sentire
l’esigenza di bere abbondantemente, ma non credo che il tuo stomaco sia
già in grado di accettare molto più rispetto a questo. Almeno per ora,
spero che tu possa accontentarti…»

Ella acconsentì a tale richiesta, non rinnegando quanto offertole e,


altresì, impegnandosi a succhiare, lentamente ma costantemente, da quella
stoffa, apparendo simile a un’infante posta accanto al seno materno nella
ricerca del proprio latte, cibo di vita per sé nella propria ancor fragile
natura. E in quella stoffa, paradossalmente nel confronto con simile figura
retorica, non fu semplice acqua a esserle offerta, quale quella da lei
richiesta, quanto piuttosto il sapore chiaramente identificabile di latte di
capra, scelto dal medico come alternativa migliore, e per questo
maggiormente necessaria, a qualunque altra: tale era stato, non a caso, il
nutrimento fornitole in quegli ultimi giorni, a sua insaputa, lasciandolo
delicatamente scivolare lungo le sue labbra dormienti per alimentare un
352 Sean MacMalcom
corpo bisognoso di sostentamento, benché tanto drammaticamente
impossibilitato a procurarselo.

«Forse preferiresti latte bovino…» ipotizzò egli, sorridendole con


serenità contagiosa, incarnando chiaramente tutto ciò che un uomo, nel
suo ruolo, avrebbe dovuto essere per incoraggiare i propri pazienti a non
abbandonarsi alla sfiducia, nonostante condizioni non favorevoli e al di là
di ogni sorte apparentemente avversa «Purtroppo, nel non poter ignorare
ragioni di sicurezza, mantenere con noi delle mucche si proporrebbe
decisamente complicato.»
Interrompendosi, appena, in quel pasto così concessole, ella sussurrò
un flebile «… grazie…», quasi volesse negare ogni possibilità di
imbarazzo nell’uomo per quanto postole innanzi alle labbra.
«E’ un dovere e un piacere, per me.» concluse il medico, restando ora
tranquillo al suo fianco e rimandando alla successiva occasione la
possibilità di approfondire meglio quel dialogo, nel non voler affaticare
eccessivamente la propria protetta.

Le successive ventiquattro ore, per la fanciulla, furono trascorse fra


sonno e veglia, dal momento in cui si propose ancora troppo stanca per
potersi mantenere cosciente a lungo o, semplicemente, per riuscire a
formulare qualcosa di più articolato di poche, semplici parole. Attorno a
lei, comunque, permase sempre la figura del cerusico, attento a ogni sua
minima richiesta, discreto anche innanzi alle situazioni fisiologiche per le
quali ella avrebbe potuto porsi in maggiore imbarazzo.
Per quell’uomo, in effetti, il proprio non avrebbe dovuto esser ritenuto
qual un semplice impiego, quanto piuttosto una concreta filosofia di vita,
una vera fede nella quale riversare tutto il proprio impegno, tutta la
propria passione. Formato nella prestigiosa accademia di Y’Rafah, altra
capitale di provincia y’shalfica lontana dal confine e dal conflitto in corso,
egli era giunto fino a Y’Lohaf con l’esplicito desiderio di servire il proprio
sultano e la propria nazione, partecipando, nei limiti delle proprie
competenze, alla guerra, e impegnando in essa le proprie capacità. Pur
essendo stato indottrinato, fin dal giorno della propria nascita, a ricercare
in Kofreya e nel suo popolo un acerrimo nemico, una bestia con la quale
non poter avere alcuna possibilità di dialogo, erano stati sufficienti pochi
mesi trascorsi al fronte per comprendere come, su entrambi gli estremi di
quell’insensato confronto armato, altro non vi fossero che uomini, e
donne, fra loro assolutamente uguali, animati dalla medesima
propaganda e disposti a morire senza alcuna reale ragione, per quanto
tutt’altro che bramosi di abbandonare la vita, naturalmente affezionati a
essa e alle infinite gioie che il destino avrebbe potuto loro riservare. A
MIDDA’S CHRONICLES 353
differenza di molti propri compagni, di altri suoi pari o coetanei, egli
aveva quindi fortunatamente compreso come non attraverso quella scelta
essi avrebbero mai potuto onorare i propri dei e, così, aveva disertato:
approfittando di un breve periodo di licenza, egli aveva abbandonato la
propria guarnigione ed era fuggito, ricercando fra la guerriglia
un’alternativa.
E sebbene non fosse tanto cieco da non accorgersi dei difetti
comunque presenti anche in quel movimento, delle ideologie estremiste
che avrebbero potuto corrompere anche un ideale apparentemente
perfetto quale quello della pace da loro proposta, egli aveva ugualmente
deciso di fermarsi lì, continuando a esercitare la propria professione
ovviamente non solo in aiuto dei guerriglieri, dal momento in cui, nella
naturale esigenza di cercare approvazione non tanto nelle alte classi della
società y’shalfica, la guerriglia avrebbe dovuto obbligatoriamente
rivolgere la propria attenzione verso i ceti minori, verso i contadini, gli
allevatori, gli artigiani, i quali, nel vasto territorio della provincia,
avrebbero potuto ritrovare in essi non tanto un pericolo, minacciosi
terroristi, quanto un aiuto, un supporto costante. In virtù di ciò, pertanto,
anche la figura del medico si sarebbe dovuta concedere quale offerta a
tutti, a chiunque ne avesse avuto bisogno e fosse riuscito a giungere a lui,
preferendolo ad alternative più convenzionali.

«Il mio nome è Al’Ehir.» si presentò, nel corso di uno dei molteplici
piccoli pasti della fanciulla, impegnata ancora ad assumere lentamente il
latte di capra presentatole innanzi alla bocca attraverso il panno umido
«Sono un cerusico, come avrai forse intuito.»
«Fath’Ma…» rispose la giovane, tentennando sul proprio nome,
ancora priva di un completo controllo sulla propria voce «… mi chiamo…
Fath’Ma.»
«E’ un piacere conoscerti, Fath’Ma.» sorrise egli, dimostrandosi
sincero in quell’affermazione come in ogni altra offertale «Hai per caso
cognizione del luogo in cui ti trovi e di come sei arrivata fino a noi?»
aggiunse poi, con intento in parte retorico, non attendendosi da parte sua
una qualche reazione positiva in tal senso.
La giovane, confermando tale ipotesi, scosse il capo, negando tale
conoscenza, dal momento in cui, date le condizioni in cui era giunta a loro,
ogni altra possibilità sarebbe stata paradossale.
«Sei in un campo della guerriglia… nelle colline fra Y’Lohaf e i monti
Rou’Farth.» le presentò, senza mezzi termini, nell’adempiere in ciò anche
a una richiesta di Ra’Ahon, nel cercare di comprendere qualcosa in più in
merito alla donna ancor prima dell’inevitabile incontro formale fra i due.
354 Sean MacMalcom
Ed ella, semplicemente, restò in silenzio, a succhiare il proprio latte
con lentezza, concedendosi ancora troppo dominata dalla stanchezza e da
emozioni contrastanti per offrire una qualsivoglia possibilità di
interpretazione utile a tal riguardo.

Fu necessario un ennesimo tramonto e una nuova alba per permetterle


di ritrovare sufficienti forze per porsi in grado di affrontare la prova
propostale non tanto dal volto bonario, e ormai quasi familiare, del
medico, quanto da quello più serio, riflessivo, appartenente al comandante
di quell’accampamento.

«Sono… prigioniera?» domandò, esordendo nei confronti del nuovo


interlocutore, nel dimostrare di averne intuito il ruolo, forse anche in
conseguenza al suo portamento, al suo carisma, trasparenti dell’incarico di
responsabilità che rivestiva in quell’insediamento.
«Sei nostra nemica?» replicò l’altro, proponendosi serio nel confronto
con lei, prendendo posizione su un cuscino accanto al giaciglio ove era
adagiata.
«Non ne sono sicura.» ammise ella, forse con eccessiva onestà nel
considerare la situazione in cui si poneva essere «Un tempo avrei detto di
sì… ma molte cose sono accadute da allora.»
«Apprezzo la tua trasparenza a tale proposito.» annuì l’uomo, pur
senza offrire a sua volta alcuna informazione in merito ai propri pensieri,
alle proprie emozioni in quel dialogo «Attualmente sei nostra ospite,
paziente del nostro cerusico almeno fino a quando non sarai in grado
nuovamente di alzarti e camminare. Poi vedremo…»
«Grazie.» approvò, chinando gli occhi e successivamente rialzandoli
verso l’altro.

In effetti, considerarla prigioniera o non, in quel momento, sarebbe


stata una mera sfumatura espressiva, dal momento in cui le sue condizioni
non le avrebbero permesso in alcun modo di allontanarsi di lì,
trattenendola più di quanto non avrebbero potuto fare corde, catene o
gabbie. Di tale particolare, ovviamente, entrambe le parti in causa avevano
assoluta consapevolezza, piena coscienza: la chiarezza ricercata, in verità,
avrebbe quindi dovuto intendersi rivolta solamente a comprendere le
reciproche posizioni, psicologiche e politiche, e non a definire un reale
stato, una concreta definizione di ruoli, nonché eventuali condanne.

«Senza volermi porre quale eccessivamente indiscreto nei tuoi


riguardi…» riprese Ra’Ahon, dopo un istante di silenzio «… posso
domandarti la ragione che ti ha spinto a essere incerta in merito ai tuoi
MIDDA’S CHRONICLES 355
sentimenti nei confronti della nostra causa? Puoi considerarla quale una
mera curiosità personale.»
«L’incontro con una donna estremamente particolare mi ha costretta a
riprendere in esame molti miei principi, concetti sopra i quali avevo da
sempre fondato ogni mia scelta di vita, ogni mia decisione quotidiana, per
quanto banale…» rispose ella, proponendosi involontariamente
enigmatica per quanto non avesse offerto dimostrazione di avversione di
fronte a quell’interrogatorio.
«E’ a causa di questa donna che sei giunta a noi tanto martoriata?»
insistette l’uomo, aggrottando appena la fronte nel non comprendere
esattamente in quali termini avrebbe dovuto interpretare simile frase «E’
stata forse ella a ridurti in fin di vita?»
«Oh… no.» scosse appena il capo Fath’Ma, accennando un sorriso
«Solo per merito suo, anzi, sono ancora viva… per quanto a lei potrei
addurre la responsabilità di avermi coinvolta in un’avventura da me non
ricercata, non desiderata.»
«Confesso di essere confuso.» commentò, pur cercando di conservare
ancora la maschera di freddo distacco con la quale si era presentato a lei.
«Che giorno è oggi?» domandò la giovane, inaspettatamente, nel
cambiare apparentemente il corso di quel confronto, prendendone per la
prima volta il controllo.
«Siamo al ventottesimo di Farph.» rispose l’altro, quasi senza rifletterci
sopra, considerando comunque normale simile curiosità dopo un periodo
di incoscienza lungo quale quello da lei subito.
«Ciò significa che per permetterti di comprendere, sarebbe necessario
che io iniziassi la mia narrazione da almeno tre mesi fa…» sottolineò ella,
quasi a premettere l’intenzione di proseguire in tal senso, salvo poi
scuotere il capo «Purtroppo ora sono troppo stanca. Spero vorrai
pazientare…»
«Solo una questione ancora…» intervenne il comandante, evadendo al
silente invito del cerusico a rispettare quel desiderio, a non insistere
ulteriormente nei confronti della fanciulla nel rispetto dell’ospitalità
offertale «… come si chiama quella donna? Colei che ha posto il dubbio
nella tua mente?»
E chiudendo gli occhi, nel ricercare nuovamente il protettivo abbraccio
del sonno, ella sussurrò quietamente: «Midda… Midda Bontor…»
356 Sean MacMalcom
ome già ti ho accennato ieri, per comprendere la mia storia è

C necessario fare qualche passo indietro, tornando almeno


all’inizio di questo stesso inverno che ormai sta per trovare la
propria spontanea conclusione.
All’epoca, e da diversi anni in verità, ero impiegata come serva all’interno
dell’harem di Y’Lohaf… sì… esattamente quello che voi guerriglieri avete
tentato di prendere in ostaggio e sterminare in occasione delle celebrazioni
del giorno di transizione.
Io ero presente nel corso di quella sera, per volere o per dovere come
praticamente chiunque fosse parte di quell’istituzione, e ho vissuto in
prima persona eventi dei quali conserverò memoria fino alla fine dei miei
giorni. Probabilmente avete avuto modo di sentire molte narrazioni a tal
riguardo, ballate più o meno sincere in merito a quanto occorso, ma alcuna
di esse potrebbe mai trovare paragone con l’esperienza diretta davanti alla
quale tutte noi ci trovammo a essere protagoniste, prima in conseguenza
del vostro folle attentato e, poi, dell’arrivo di quella jinn.
Quella sera, in effetti, fu la prima volta che vidi in azione Midda
Bontor o, per lo meno, fu la prima volta in cui fui realmente consapevole
di vederla in azione, per quanto ancora il suo nome o la sua fama mi
fossero ignote. In verità, come solo per un fortuito caso scoprii in seguito,
ella era stata già per settimane più vicina a me di quanto io mai avrei
potuto immaginare, celata sotto le mentite spoglie di una mia pari, di una
serva di nome M’Aydah. Forse avrei dovuto prestare maggiore attenzione
a certi comportamenti, a certi pensieri da lei espressi troppo lontani da
quella che sarebbe dovuta essere la mentalità di una nomale serva, ma
come anche mia madre mi ha sempre rimproverata ho il difetto di riporre
eccessiva fiducia nelle persone, sentimento che troppo raramente si pone
quale ricambiato.

Midda, mercenaria al soldo di un signore kofreyota, era giunta fino al


nostro harem con l’inganno, prefiggendosi il solo scopo di entrare in
confidenza con una nobildonna y’shalfica, una possibile sposa per il
nostro sultano, la principessa Nass’Hya. Non tanto verso il monarca, però,
sarebbe dovuto essere inteso il suo interesse, quanto piuttosto verso la
stessa aristocratica, nel dover assolvere un incarico di rapimento, per
condurla a Kofreya, dal proprio mandante, dal proprio mecenate: un
proposito tutt’altro che onorevole, di fronte al quale la meschinità dei
nostri nemici non avrebbe potuto che trovare conferma evidente. Ciò
nonostante, però, per ragioni personali e di non semplice comprensione, la
principessa, informata in merito alla realtà dei fatti, non decise in favore di
una denuncia alle autorità competenti, come sarebbe stato forse giusto
MIDDA’S CHRONICLES 357
compiere. Al contrario, ella apparve entusiasmarsi all’idea e, per questo,
progettò la fuga insieme alla propria rapitrice.
Personalmente, quando scoprii l’inganno ordito, fui letteralmente
furibonda. Mi sentivo tradita da M’Aydah, usata da una persona a cui
avevo offerto senza alcuna remora la mia amicizia: forse per una
mercenaria, tale comportamento sarebbe potuto essere considerato
normale, consueto, ma ai miei occhi, al mio giudizio si poneva come
abominevole. Non ebbi dubbi, così, a denunciarla all’intendente,
contemporaneamente assolvendo a un dovere verso il mio Paese e alla
sete di vendetta che sentivo fremere nel mio cuore.
Credo che nessuno mi potrebbe umanamente criticare per tale scelta,
soprattutto dove dettata da un sentimento ferito, e sarei disposta a sfidare
chiunque a porsi al mio posto per giudicarmi in tal senso.
A ben poco, comunque, servì il mio intervento, la mia azione, dove
l’intendente si dimostrò purtroppo assolutamente incapace a gestire una
simile situazione. Convinto infatti di poter risolvere il tutto senza colpo
ferire nel ritrovarsi in opposizione a un’incapace, per quanto anch’egli
avesse visto la mercenaria in azione contro l’algul, il medesimo pagò a
caro prezzo la propria supponenza, il proprio errato giudizio,
rimettendoci la vita e fallendo in ogni intento di gloria sperata in
conseguenza di uno sventato piano kofreyota. Sempre a seguito di tale
sbaglio, anche io mi ritrovai a dover rendere conto delle mie scelte, delle
mie azioni, forse avventate per quanto giustificabili. Ritenendosi a propria
volta tradita, infatti, Midda ricercò immediatamente la mia presenza per
poter ascoltare la mia versione dei fatti, per potersi confrontare
direttamente con me sulle ragioni delle mie scelte, per lei di difficile
comprensione non diversamente da quanto per me risultavano essere le
sue. E dove io cercai di difendere la mia posizione, ella reagì ancora una
volta con la stessa brutalità che l’aveva contraddistinta fino a quel
momento, disinteressata alla volontà, alla libertà di chiunque al di fuori
della propria: colpendomi con energia, mi privò di sensi e mi trascinò con
sé nella propria assurda evasione, legata, imbavagliata e rinchiusa
all’interno di un sacco per non concedermi alcuna speranza di ribellione e
di fuga.
Spaventata dall’idea di una prematura morte, benché il mio essere
ancora viva avrebbe dovuto rasserenarmi a tal riguardo, dal mio punto di
vista le ore che seguirono furono vissute con un’inquietudine seconda solo
a quella provata di fronte alle letali condanne sancite prima dai
guerriglieri e poi dall’algul pochi giorni prima, tale da farmi percepire
quel periodo quasi come indefinito, forse durato addirittura giorni se non
mesi interi.
358 Sean MacMalcom
Come già accaduto, tuttavia, nuovamente la mia esistenza e la mia
salute furono preservate, vedendomi improvvisamente tornare libera… o
quasi. La mia rapitrice, infatti, non si era assunta l’onere di quell’assurdo
trasporto quale fine a se stesso, ma spronata in ciò da un ancor più
assurdo desiderio di confronto con me, forse addirittura a riprendere un
dialogo lasciato in sospeso nell’enfasi dei sentimenti da entrambe provati
reciprocamente.

«Siamo sole, lontane da ogni centro abitato, da ogni insediamento


umano, e avvantaggiate da almeno una giornata di cammino rispetto a
qualsiasi inseguitore eventualmente desideroso di ricercarci…» mi spiegò,
con apparente tranquillità, forte in conseguenza di tali considerazioni a
suo netto vantaggio «Pensi di potermi evitare grida isteriche o banali
tentativi di fuga, se ti consento nuovamente di parlare e di muoverti?!»

Ovviamente io annuii, accogliendo l’alternativa migliore innanzi a una


richiesta più retorica che sostanziale: che io avessi voluto o non voluto,
quella mercenaria aveva già dimostrato di saper perfettamente come
trasformare le proprie volontà e i propri desideri in azione e, di certo, non
si sarebbe concessa dubbi prima di agire nuovamente in tal modo,
rimandando inevitabilmente a un futuro prossimo quel dialogo per me
quanto meno improbabile.

«Molto bene…» sorrise ella, quasi volendo dimostrarsi realmente


soddisfatta dalla mia scelta «Mi spiace di essermi ritrovata costretta a
ricorrere a certi estremi, ma l’altra sera non saremmo riuscite comunque a
proseguire il nostro discorso.»
«E così hai pensato bene di trascinarmi con te verso la morte?!» la
rimproverai, con asprezza nella voce per ciò di cui ero, oggettivamente,
rimasta vittima non per mio desiderio, non per mia responsabilità
«Lasciatemi andare… ormai, come anche tu hai detto, siete lontane da
ogni pericolo. E prima che io possa giungere a un centro abitato, voi altre
avrete raggiunto traguardi ancora più lontani, tali da evitarvi qualsiasi
possibilità di problema.»

Una richiesta azzardata la mia e di ciò avevo chiara percezione: ma chi


avrebbe, al mio posto, evitato di proporla?
In verità, per quanto frastornata dalle condizioni in cui ero riversata,
nel corso del viaggio all’interno del sacco avevo avuto comunque modo di
udire alcuni scambi di opinioni fra Midda e la principessa sua compagna
di fuga, tali da rivalutare ogni mia possibile considerazione negativa nei
meriti della prima. Innanzi alla spiacevole proposta dell’aristocratica di
MIDDA’S CHRONICLES 359
liberarsi di me senza porsi eccessivi dubbi, la mercenaria aveva
apertamene preso le mie difese, annunciando addirittura la sua intenzione
a offrirmi la possibilità di ritornare alla mia vita consueta una volta risolta
ogni questione fra noi.
Desiderio, il suo, che ella stessa non mancò di esprimermi con chiare
asserzioni…

«Ora no, Fath’Ma.» replicò la donna, scuotendo il capo ornato da


scomposti capelli corvini, osservandomi con i suoi già noti occhi color
ghiaccio, tali da poter forse penetrare fino al livello più profondo
dell’anima di chiunque «Abbiamo ancora molti discorsi da concludere,
diversi fraintendimenti che desidero dirimere per il mio bene e anche per
il tuo, nella volontà di offrirti uno sguardo d’insieme superiore a quello da
te fino a oggi posseduto, sulla base del quale hai formulato giudizi tanto
negativi verso di me…»
«Mi spiace: alcuna fra le menzogne che potrai offrirmi, riuscirà a farmi
ignorare la verità, la sola e incontestabile realtà nella quale ho già tratto le
conclusioni più corrette in merito a te e al tuo comportamento.» le risposi
con una nota di asprezza tangibile nella voce, sgradendo seriamente la
falsità dietro alla quale sembrava cercare continuamente di nascondersi, di
farsi scudo nel modo più becero.
«Perché ti ostini a non voler prendere in considerazione un punto di
vista differente dal tuo?» mi domandò la mercenaria, con una certa
ingenuità, risultando quasi sincera in quel suo apparire «Perché non vuoi
concedermi neppure una possibilità di spiegarmi?»
«Perché le tue azioni parlano in tua vece!» le replicai, scuotendo il
capo, sconcertata da quanto ella sembrasse non comprendere l’evidenza di
quella situazione «Tutto ciò che sei stata in grado di offrirmi fino a oggi, in
fondo, è stata solo violenza ed egoismo, nell’impormi unicamente la tua
volontà senza soffermarti a prendere, per un solo istante, in esame la
mia!»

Lungo fu il silenzio che cadde fra noi a seguito di quell’ultima


considerazione, di fronte alla quale evidentemente anch’ella non era in
grado di formulare una difesa, una risposta tale da concederle una
possibilità di fuga dalle responsabilità nel confronto con le quali l’avevo
indubbiamente posta. Forse, addirittura, colei che solo in seguito ebbi
modo di scoprire essere indicata anche con il nome Figlia di Marr’Mahew,
nel citare una divinità della guerra straniera, parve non voler neppure
tentare di evadere a tale peso e, di questo, le resi comunque giusto onore.
Sicuramente, infatti, il suo comportamento si era dimostrato egoista e
violento, ma mai privo di una volontà di rispetto nei miei confronti: una
360 Sean MacMalcom
visione forse distorta di rispetto, ma pur impossibile da non considerare
tale, da non essere chiaramente riconoscibile, come in quel momento di
silenzio e in quella sua espressione non desiderosa di evadere dalle
proprie responsabilità.
Al contrario rispetto a lei, purtroppo, si propose in quello stesso
frangente l’aristocratica lì ugualmente presente, non tradendo gli
stereotipi derivati dal proprio livello sociale.

«Fath’Ma… è così che ti chiami?» prese parola, con una richiesta


chiaramente retorica, dove il mio nome le doveva essere ormai già
ampiamente noto «In questo splendido clima di cordiale confronto,
desidero intervenire a mia volta per esprimere la mia visione sulla realtà
in merito alla quale tanto sembrate bramose di dibattere.» commentò, con
tono ironico, sprezzante soprattutto nei miei confronti «Personalmente
considero la tua esistenza in vita un madornale errore, commesso in
conseguenza di un eccessivo buon cuore…»
«Princip…» tentai di rispondere, non riuscendo, complice l’abitudine
al servilismo, a ribattere con maggiore forza, per quanto sarebbe stata
richiesta in quel momento.
«Zitta… zitta… zitta.» mi impose, al contrario, Nass’Hya, levando la
propria mano destra a non concedermi ulteriore possibilità di parola «La
tua voce mi tedia… le tue lamentele suscitano solo nausea in me: sei viva
unicamente perché ella desidera che tu rimanga viva, altrimenti porrei io
stessa fine alla sofferenza per cui tanto declami versi…»
«Ma…» esclamai, sbarrando gli occhi innanzi a tanto ingiustificato
rancore nei miei confronti, dove alcun ricordo di disappunto si poneva
nella mia mente in virtù di qualche errore passato da me compiuto ai
danni della mia nuova interlocutrice.
«Silenzio. Entrambe.» ritrovò voce, tuttavia, la mercenaria, non
ricorrendo a un tono particolarmente alto, a un suono concretamente forte,
quanto piuttosto dimostrando un gelido carisma, del tutto simile a quello
presente nei suoi occhi, tale da non poter ammettere possibilità di replica
«L’unica in questo momento a poter decidere della vita o della morte, qui,
sono io. E se simile situazione non vi aggrada, sono pronta a fornirvi armi
per difendere i vostri diritti.»
«In caso contrario, collaborative o no con me e i miei “egoismi”, vi
invito a non commettere l’errore di considerarvi per me qualcosa di
diverso da semplici prigioniere.» proseguì, scuotendo il capo «Vi assicuro
che i miei sentimenti personali non mi hanno mai impedito di portare a
termine un’azione, se necessaria, e dove voi doveste rendere necessaria la
vostra uccisione, io provvederò sicuramente in tal senso.»
MIDDA’S CHRONICLES 361
«A voi la scelta, quindi.» concluse, osservando tanto me quanto la
principessa, non sembrando voler concedere ad alcuna fra noi particolari
preferenze «Potrete essere al mio fianco, libere di parlare, di agire, di
muovervi come se fosse una vostra iniziativa o potrete essere dietro di me,
trascinate in catene fino a Kriarya. Per me, ogni soluzione è indifferente.»

Parole forti quelle gettate come pietre contro di noi, che in quel
momento non apprezzai, considerandole semplicemente l’ennesima
riprova di quanto sottolineato fino a poco prima. Ripensando ora a quei
momenti, però, non posso evitare di accorgermi di come simile reazione fu
tutt’altro che sconsiderata, ben lontana dall’essere frutto di un’impulsività
derivante da un fuggevole istante di eccessiva eccitazione.
Midda Bontor, nel proporsi quale nostra carceriera, pur assumendosi
uno spiacevole ruolo, un disgraziato fardello, aveva anche imposto, sopra
alla piccola compagnia così formatasi, la quiete, calmando animi fra loro
troppo contrapposti per poter convivere senza una costrizione a tal
riguardo. E candidandosi qual bersaglio tanto per il mio rancore, quanto
per quello, addirittura, della sua stessa complice, originale vittima, ella
aveva anche, volontariamente, posto entrambe su un medesimo piano,
azzerando ogni possibile privilegio o difetto preesistente, tale per cui
avremmo potuto continuare a discutere, a confrontarci in maniera dispari,
indebolendoci vanamente l’un l’altra, invece di essere compagne innanzi a
un destino comune, come grazie a lei eravamo diventate.

Per quello, e per molti giorni a esso successivi, in conseguenza di


quanto accaduto, della definizione di stato dettata dalla mercenaria, né a
Nass’Hya né, tantomeno, a me si concesse il desiderio di offrire libertà
verbale ai molteplici e inevitabili pensieri che avevano affollato le nostre
menti.
La nostra quotidianità, così, si ritrovò a essere scandita da serrati ritmi
di marcia, alternati a brevi soste durante il giorno e pause più lunghe per
il riposo nel corso della notte: in simile frangente, di ogni necessità si fece
carico Midda stessa, provvedendo a procurare cibo e acqua, nel cacciare
selvaggina e nel ritrovare di volta in volta la posizioni di fiumiciattoli o
pozzi sparsi lungo un cammino che solo nella sua mente sarebbe potuto
essere considerato chiaro. Personalmente, per quanto mi fu concesso di
comprendere, non proponendosi comunque qual un’osservazione
particolarmente né utile, né inaspettata, il tragitto da noi intrapreso rimase
rivolto alle montagne, pur mantenendosi non semplicemente verso ovest,
quanto e piuttosto ascendendo parzialmente verso nord. E quando, per
prima, proprio la principessa decise di ritrovare parola, di provare a
riallacciare un qualche dialogo con la nostra carceriera, fu proprio simile
362 Sean MacMalcom
dettaglio a porsi al centro della questione, evidentemente rilevato senza
particolare difficoltà anche da parte sua.

«Perché verso nord-ovest e non, semplicemente, verso ovest?»


domandò con tono sereno, incuriosito, priva di evidente volontà polemica
nel rivolgersi alla mercenaria «In questo modo non ci stiamo allontanando
da Kriarya invece di avvicinarci a essa? Forse le mie nozioni di geografia
kofreyota non sono eccelse, ma procedendo in questo senso credo
andremo verso la provincia di Krezya… se non, addirittura, direttamente
nel regno di Gorthia.»
«E’ impossibile pensare di attraversare direttamente il confine di
guerra.» rispose la donna guerriero con tranquillità, scuotendo appena il
proprio capo in inequivocabile segno di dissenso «Improbabile, ma
fattibile, lo sarebbe per me da sola: con voi due al mio seguito si
tramuterebbe certamente in una missione suicida.»
«E così, invece?» richiesi, proponendomi con maggiore umiltà rispetto
al mio ultimo confronto con lei, nel voler cogliere l’occasione offerta per
riprendere a mia volta la possibilità di espressione prima negatami, più
quale personale inibizione psicologica che in conseguenza di un divieto
esplicito in tal senso.
«Verso nord la guerra non si propone altrettanto violenta quale un
tempo: nel rischio di coinvolgere i confini gorthesi, anche Y’Shalf ha
preferito accentrare le proprie energie, i propri sforzi a meridione.»
spiegò, allora, nel rivolgere anche verso di me il proprio sguardo
«Nessuno, del resto, potrebbe biasimare simile decisione, nel conoscere la
natura guerriera intrinseca nel sangue di ogni figlio di Gorthia.»
«Perché? Gorthia è sì temibile?» insistetti, dimostrando, senza
inibizioni di sorta, una chiara ignoranza a tal riguardo, dove del resto
nessuno avrebbe potuto pretendere da me una competenza simile.
«E’ una nazione che ha fatto della guerra il proprio solo scopo di
vivere, del combattimento l’unico valore nel quale giudicare un individuo
e concedergli gloria imperitura o ridurlo in condizione di quasi
schiavitù…» mi spiegò la principessa, senza alterigia nella propria voce,
ritrovando ora occasione di parola anche verso di me «Sfidare un gorthese
significa, inevitabilmente, essere sconfitti senza alcuna pietà e, soprattutto,
senza possibilità di sopravvivenza.»
«Non tutti gli abitanti di Gorthia sono dei guerrieri, in verità, e non
tutti i guerrieri gorthesi si porrebbero in una posizione di predominio su
soldati o mercenari di altre origini.» volle sottolineare Midda, con
sicurezza nel proprio tono di voce tale da non lasciar dubbi di sorta che
tale giudizio non derivasse da semplici voci ascoltate quanto, piuttosto, da
un’esperienza diretta «Ciò nonostante è innegabile come essi siano
MIDDA’S CHRONICLES 363
avversari temibili, con una preparazione e una inclinazione alla guerra e
alla morte superiore a quella della maggior parte di altri.»
«Parli come una che ha vissuto certe esperienze sulla propria pelle.»
denotai, aggrottando la fronte «Sei forse stata in Gorthia, in uno dei tuoi
sicuramente numerosi viaggi?»
«In effetti sì.» annuì ella, offrendo un placido sorriso «E’ una storia
lunga… che se vorrete vi racconterò una delle prossime sere, attorno a un
caldo fuoco.»

Così fu, e non solo per una sera quanto, piuttosto, per tutte quelle che
seguirono a quel giorno: forte di un carico di esperienze fuori dal comune,
ella non si pose infatti eccessivi imbarazzi nel condividerle con noi, senza
seguire un qualche ordine cronologico, una qualche logica, ma saltando di
giorno in giorno a momenti diversi della propria esistenza.
In verità, penso che il suo scopo in tali discorsi fosse quello di
concedere, tanto a me quanto all’aristocratica, occasione di conoscerla, di
entrare maggiormente in comunione con la sua vita, con le sue emozioni,
per riuscire a inquadrarla al di fuori di eventuali preconcetti, avendo
occasione così di vederla non tanto quanto una nemica, una straniera
giunta a noi solo in esecuzione di ordini ricevuti, quanto qualcosa di più,
forse addirittura una compagna di antica data. E se tale, realmente,
sarebbe dovuto essere giudicato il suo scopo, il suo intento, non posso
evitare di riconoscerle, in questo momento, un chiaro successo: sebbene la
furia, il risentimento nel mio cuore non fosse venuto ancora meno, non si
fosse placato, nell’ascoltare le cronache della sua vita dalla sua stessa voce,
non enfatizzate nei canti di un bardo, non esaltate nei versi di una ballata,
non riuscii a evitare di essere ammaliata dal suo carisma, affascinata dalla
sua figura in quanto assolutamente umana, non divina o quasi tale.
Sicuramente da quelle storie, da quei racconti, quella emersa fu
l’immagine di una donna in grado di raggiungere e superare traguardi
innanzi ai quali la maggioranza di noi, comuni mortali, non avrebbero mai
osato neppure spingere i propri pensieri più sfrenati, ma in questo ella
non si è mai dimostrata qualcosa di diverso da, appunto, una comune
mortale. Nell’affrontare il fuoco vivo della terra in un tempio votato alla
fenice, così come nello spingersi contro negromantiche creature di ogni
risma, ella aveva sempre dimostrato di essere incredibilmente coraggiosa,
estremamente tenace, ma pur, comunque, una donna mortale,
consapevole dei propri limiti, conscia della perpetua imminenza della
morte su di sé, sul proprio destino. Al contrario rispetto alla maggioranza
di tutti noi, che, nel rifiutare di vivere per timore di morire, tendiamo a
rinchiuderci solitamente in un piccolo mondo che consideriamo perfetto,
per quanto esso lo sia più a livello psicologico che reale, Midda Bontor ha
364 Sean MacMalcom
tuttavia sempre usato la percezione di simile letale ombra sul proprio fato,
un appuntamento certo al quale nessuno, in fondo, potrebbe mai sottrarsi,
per trovare una fonte illimitata di energia vitale, nella volontà di non
lasciare neppure un singolo istante della propria esistenza come sprecato.
Come non essere conquistata da simile immagine, da tale figura, pur
sicuramente colma di difetti, tutt’altro che immune a errori?
Io non vi riuscii e, così, inconsciamente, senza aver compiuto un
concreto ragionamento a tal proposito, senza aver preso una decisione
esplicita in tal senso, iniziai a ignorare ogni sentimento avverso prima
provato verso la mercenaria. E proprio in conseguenza di tale affezione,
ritrovata verso di lei nonostante tutto quello che era accaduto, quando fu
necessaria una sosta in un centro abitato, l’ultimo piccolo paese sul
limitare dei monti, io decisi di collaborare con colei che avrei dovuto
considerare quale mia rapitrice, accettando di reggere il gioco che ella
volle porre in essere nel concederci quella tappa, al solo scopo di
acquistare abiti adatti al passaggio fra i monti, nonché una scorta di viveri
con i quali caricare il nostro asino, fedele compagno in quell’avventura per
quanto, anch’esso, sottratto con la violenza alla propria consueta vita.
Avrei potuto denunciarla alle autorità locali, evadere da lei senza
alcuna fatica, eppure collaborai, diventando complice della mia ipotetica
carnefice, nel recitare alla perfezione il ruolo assegnatomi e nel concedere
il completo successo della nostra visita a quell’ultimo faro di civiltà prima
del nulla assoluto rappresentato dai monti Rou’Farth.

«Direi che è giunto il tempo di cambiarci…»

Tale fu il commento della Figlia di Marr’Mahew, al sopraggiungere di


una nuova nottata, nel mentre in cui prendevamo posto in un provvisorio
campo, come ormai ci eravamo abituate a fare in maniera assolutamente
naturale.
Allontanateci a sufficienza dalla civiltà y’shalfica e dai pericoli che
essa avrebbe potuto rappresentare per la nostra fuga, inutile e, anzi,
dannoso sarebbe stato conservare i burqa dietro ai quali ancora io e la
principessa eravamo celate, in virtù dell’abitudine ancor prima che di
qualche forte connotazione religiosa rappresentata da tale vestiario.
Inutile dal momento in cui, al di fuori dei confini di Y’Shalf,
quell’abbigliamento ci avrebbe rese troppo appariscenti allo stesso modo
in cui nel nostro Paese sarebbe stato utile a celarci. Dannoso perché nella
leggerezza di simile stoffa non avremmo potuto proteggerci
adeguatamente dai rigori dell’inverno, soprattutto alle altitudini che
saremmo state costrette presto ad affrontare per superare i valichi verso
Kofreya. Così, per la prima volta dopo lungo tempo, tornai a mostrare
MIDDA’S CHRONICLES 365
apertamente il mio volto alla luce del sole, condividendolo insieme a
Nass’Hya nell’abbandonare ogni velo allo scopo di indossare abiti che
avrei giudicato essere di foggia maschile ma che, in tali forme, ci
avrebbero garantito maggiore libertà di movimento: un’esperienza
affascinante, lo ammetto, che pose di nuovo in discussione le mie
emozioni, i miei sentimenti, dove una sorta di gusto del proibito, in
violazione delle regole che mi erano state inculcate a forza da quando
avevo preso servizio all’interno dell’harem, mi rese quasi euforica per tale
cambiamento.
Neppure il confronto con le fattezze tanto della mercenaria quanto, e
ancor peggio, della principessa, poterono turbare quel momento nella mia
percezione del medesimo, nonostante, effettivamente, avrei dovuto
rimpiangere l’assenza del burqa nell’essere posta innanzi alla giovane
aristocratica: con lei, infatti, gli dei sembravano essere stati assurdamente
generosi, non solo donandole una posizione socialmente dominante, non
solo concedendole ogni ricchezza utile a soddisfare qualsiasi capriccio fin
dalla più tenera età, ma anche riconoscendole una beltade tale per cui mai
sarebbe potuta passare inosservata innanzi a sguardo maschile o
femminile, attirando le bramosie dei primi e le invidie delle seconde. Ma
proprio la nobildonna, accogliendo quel momento con maggiore distacco,
con più freddezza rispetto a quella che io offrii a mia volta, evidentemente
non dimostrandosi quale completamente nuova a simili esperienze, non
approfittò della bellezza sì dimostrata, del fascino lontano da ogni
possibilità di dubbio e dell’ormai passata superiorità gerarchica rispetto a
me, nell’infliggermi l’ennesima dimostrazione della sua inimicizia, della
sua mancanza di sopportazione nei miei riguardi come già era avvenuto
in passato, in quello stesso viaggio.
Al contrario ella si propose con apparente sincera premura nei miei
riguardi, aiutandomi a prendere possesso di vesti alle quali non ero
abituata, con le quali non sapevo in che misura confrontarmi.

«Aspetta…» mi richiamò, notando la mia difficoltà nei riguardi di


semplici pantaloni, che non sembravo essere in grado di allacciare alla
vita, di mantenere fermi nella corretta posizione «Ti aiuto io.»
«Grazie.» mi ritrovai involontariamente a balbettare, per tutta risposta.

Difficile sarebbe stato non essere spiazzata all’idea che una signora del
rango della principessa si fosse proposta in maniera del tutto spontanea
nell’offrire il proprio aiuto a una serva, anziché richiederlo dalla
medesima. E per quanto negli ultimi giorni i rapporti fra noi si fossero
placati, vedendoci semplicemente essere quali donne, compagne, complici
MIDDA’S CHRONICLES 523

Assassinio nella città del peccato

elicato e leggero, simile alla carezza di un dolce e giovane


amante ancor colmo di virginale timore, di quell’incertezza di
D movimento derivante da una non completa consapevolezza del
corpo pur desiderato e similmente ricercato, fu il contatto
offerto dai primi, pallidi raggi del sole di un nuovo giorno, di una radiosa
alba primaverile su forme chiare, vellutate, appena ornate da sparse
spruzzate di efelidi.

Forse rappresentative della generosità della terra, con alti colli e


profonde valli, fertili e invoglianti alla vita, le curve di quel dorso,
emergenti al di sotto di coperte disordinate, smosse inavvertitamente nella
notte, si concessero in tal modo quale uno spettacolo unico, meraviglioso,
per arrogarsi il diritto di osservare il quale, probabilmente, in molti
avrebbero ben volentieri pagato qualsiasi prezzo fosse stato loro richiesto.
Rilucente e, al contempo, vellutata quell’epidermide sembrava esser stata
tessuta unicamente allo scopo di attrarre a sé le bramosie di frementi
mani, che su di essa avrebbero volentieri condotto le punte delle proprie
dita, a godere già solo in conseguenza di quel contatto, in quell’unione
apparentemente superficiale e, nonostante tutto, incredibilmente intima.
Calde e fameliche labbra, poi, si sarebbero ancor più piacevolmente
avventate su di essa, desiderose di coprirne ogni singolo pollice, ogni pur
minima parte, di baci, quasi a suggere ancor solo in simili gesti il gusto
pieno della vita, dell’amore, di cui quella superficie sembrava trasudare in
maniera assolutamente spontanea, naturale, addirittura non voluta.
Colmi di femminilità nella propria prospera abbondanza, sodi nel
proprio esser stati temprati da un’esistenza intera dedita all’allenamento,
all’esercizio quotidiano, i due candidi glutei, apparentemente scolpiti nel
marmo più puro e affioranti in maniera quasi prepotente dalla morbida
stoffa di quelle lenzuola, non diversi da dolci atolli emergenti sulla
superficie del placido mare, non avrebbero mai potuto evitare di attrarre
ogni attenzione, ogni interesse, ogni sogno, proibito o no che esso potesse
essere, con la loro presenza così esplosiva, vette di puro piacere, da sfidare
con il medesimo, indomito coraggio richiesto allo scalatore che avesse
voluto affrontare le cime più impervie dei monti Rou’Farth. E ancor più
pericolose rispetto a esse, simili sinuosità avrebbero sicuramente concesso
soddisfazione ineguagliabile a coloro che fossero riusciti a renderle
proprie, a chiunque fosse riuscito a conquistarle, premio di ineguagliabile
524 Sean MacMalcom
valore dove un tale privilegio evidentemente si sarebbe dovuto
considerare raro e prezioso non meno di un’oasi all’interno del deserto, di
una fonte di acqua fresca e limpida nella profondità di un pozzo di
ustionante sabbia dorata.
Discendendo con lo sguardo nella direzione del versante inferiore del
giaciglio, lunghe, affusolate, tornite gambe si concedevano in misura solo
parziale alla tiepida presenza di quella debole luce, presentandosi appena
ripiegate, dolcemente adagiate una sull’altra e intrecciate, in ciò, alle
coperte. Membra vigorose, atletiche, formate nello stesso percorso dei
glutei, e che pur, come i primi, non sembravano voler rinunciare a una
sensualità di fondo, per quanto non si ponessero incerte nel mostrare o,
addirittura, nel far vanto dei numerosi segni lasciati nel tempo dalle sfide
affrontate, conseguenze di un’esistenza vissuta audacemente nel contrasto
a ogni genere di pericoli. Quelle cosce, nelle quali ogni uomo avrebbe
voluto esser abbracciato, cercando l’estasi del piacere più puro,
sicuramente avrebbero potuto, altresì, donare altrettanto facilmente la
morte, soffocando senza pietà alcuna un avversario, un nemico,
spezzandogli il collo o la colonna vertebrale. Un paradosso, diviso fra il
dono della vita e la condanna della morte, quello offerto dalle stesse
forme, dallo stesso corpo, che, se possibile, avrebbe contribuito ad
aumentare ancor più il suo fascino, il suo erotismo, rendendo quella
predatrice quale la preda più ambita, il traguardo più desiderato.
Risalendo, altresì, con lo sguardo nella direzione del versante
superiore del giaciglio, il meraviglioso avvallamento donato dalla schiena
tornava a richiamare sol pensiero di dolci carezze, di tenui contatti con
essa, lasciando immaginare l’entusiasmo di splendidi giochi d’amore con
simili curve, di leggeri baci donati da labbra frementi, tanto emozionate da
poter negare all’improvviso non solo il respiro, ma anche il battito del
cuore di colui che a tal risultato fosse riuscito a sospingersi. Le due
delicate fossette a ornare la curva superiore dei glutei, la linea
perfettamente marcata a sottolineare l’asse mediano di quel corpo, nonché
le scapole, appena emergenti sotto la pelle, sarebbero state valide e
amabili ragioni per le quali morire, senza ancor piegarsi di lato a osservare
l’incredibile, abbondante e procace presenza dei suoi seni. Essi, pur
compressi contro la superficie del letto, nella postura prona da lei
occupata, non avrebbero mai potuto celare la consistenza solida delle
proprie forme, meravigliosamente femminili, quasi materne e capaci, non
meno rispetto al resto di quel corpo, di ispirare pensieri folli, inebrianti
verso di lei: ogni fantasia, ogni sogno sarebbe potuto essere concepito
attorno a tali curve, dove anche, in quel momento, non si stessero
concedendo pienamente rivelate, non apparissero nella loro completa
pienezza, nella ricchezza infinita che avrebbe rappresentato ragione di
MIDDA’S CHRONICLES 525
incredibile entusiasmo per qualsiasi amante. Ma, a voler ribadire l’antitesi
da lei incarnata, fra la vita e la morte, quale contrasto alla meraviglia di
quei seni si dimostravano essere le sue spalle, atletiche, forti, vigorose, e le
sue non esili braccia, che da quei punti trovavano origine, ripiegandosi
dolcemente una sotto il suo capo e l’altra lungo lo stesso corpo. Queste
ultime, in particolare, erano plasmate nelle proporzioni di un arto
mancino muscoloso, guerriero, ornato da un complesso intrico di tatuaggi
tribali in tonalità di azzurro e blu, e in quelle di un arto destro in nero
metallo dai rossi riflessi, armatura lì posta quale surrogato, sostituzione
artefatta, di quelli che un tempo erano stati il suo avambraccio e la sua
mano, perduti in conseguenza di un’ingiusta condanna.
Tutta la sua femminilità, quindi, non avrebbe potuto evitare di
apparire inevitabilmente sottomessa a una natura guerriera, nello sfoggio
di quelle ultime caratteristiche, nel giungere a osservar simile parte del
suo corpo: ogni incanto prima concesso, ogni sogno prima fomentato,
appariva tristemente negato, contrapposto alla realtà dei fatti altrimenti
espressa, alla scelta di vita da lei in tal modo compiuta. E se, ancora, vi
fossero potuti essere dubbi a tal proposito, se ancora fossero potute
sorgere incertezze nel merito del destino che ella si era riservata, il quadro
concesso dal suo viso, perso fra disordinati capelli corvini, non lunghi e
pur non corti nel proprio taglio, avrebbe definito completamente come,
pur senza rinunciare al proprio esser donna, ella non aveva fatto del
medesimo la sua ragione di vita, il suo scopo ultimo, preferendo la via
della spada, il cammino della lotta.
Accanto a un naso cosparso di lentiggini, fanciullesco in simile
complesso, a zigomi dolci nelle loro forme, lontane dall’esser appuntite e
scavate, e a labbra carnose, da mordere nel proprio gusto pieno, nella
propria essenza più pura, si mostrava, prepotente e inconfondibile, un
violento sfregio, una cicatrice eredità di un’antica ferita, uno squarcio
aperto su quello stesso volto, in corrispondenza del suo occhio sinistro,
donatole salvo, in ciò, per puro miracolo. Alcuna donna avrebbe mai
sopportato tale marchio, avrebbe mai trovato la forza d’animo necessaria a
mantenere visibile quella ferita, arrivando a farne, addirittura, un vanto,
una memoria da non cancellare, da non rinnegare, neppure avendone la
possibilità: ella, al contrario, dove aveva pur avuto occasione di rimediare
a tale orrore, così come alla perdita infame del proprio braccio destro nel
possibile intervento risanante di una leggendaria fenice, aveva preferito
non mutare la propria condizione, non eliminare quelle menomazioni,
consapevole del fatto che, agendo in tal senso, avrebbe, forse, smarrito
anche una parte di sé, della propria storia e, in ciò, del proprio futuro.
Limitando la propria attenzione a un mero piano fisico, soffermandosi
solo su quel corpo, senza pur incedere nel conoscerne il carattere, la
526 Sean MacMalcom
psicologia, chiunque avrebbe potuto già comprendere come ella non si
sarebbe mai concessa quale una semplice compagna, un’amante come
altre, con la quale trascorrere poche ore o, anche, una vita intera senza
porre in gioco un assoluto impegno di mente, cuore, anima e corpo, nel
rapporto con lei, nel confronto con una situazione completamente fuori
dal comune. E per quanto bramabile sarebbe potuto essere quello stesso
corpo, per le sue numerose e apprezzabili virtù, per la sensualità di cui
esso era pur evidentemente intriso, per l’erotismo che da tutte le sue
membra indubbiamente traspirava, solo pochi uomini, sobri e
completamente coscienti, avrebbero osato sospingersi a tentare un
qualsiasi approccio nei suoi confronti, intuendo senza fatica come tale
scelta avrebbe potuto incarnare un desiderio suicida ancor prima che una
fantasia d’amore.
Nonostante ciò, nel corso del tempo qualche impavido, tenace e
sincero nel proprio intento d’amore al punto da non temere il prezzo di
quella pericolosa scommessa, era riuscito a conquistarsi uno spazio nel
cuore di quella donna guerriero, della leggenda vivente conosciuta con il
nome di Midda Bontor, come la fortunata presenza di colui con il quale, in
quel momento, ella stava dividendo il proprio letto avrebbe chiaramente
dimostrato, avrebbe offerto evidente e incontestabile riprova.

Stuzzicata sulle proprie lunghe ciglia dai raggi di quell’ancor timido


sole, la mercenaria scosse appena il capo, accarezzando con il proprio
volto, in ciò, il petto del compagno, dell’amante di quella notte, muscoloso
per quanto non eccessivo nelle proporzioni, nelle forme: un gesto naturale,
quello della donna, che, per quanto privo di qualsiasi malizia o di
qualsiasi romanticismo, fu, però, utile a lasciarle percepire quella presenza
estranea al proprio solito guanciale, riportando la sua attenzione al tempo
presente, all’ambiente attorno a sé, nonché a quanto accaduto la sera
prima e all’identità, pur fortunatamente nota, di colui che le si stava ora
proponendo al fianco, quale complice d’amore.
Dalla propria memoria, normalmente confusa quale sola sarebbe
potuta essere in quello stato di dormiveglia, nel momento in cui ella era
appena evasa da una realtà onirica in cui si era intrattenuta per poche ore
a seguito di un’intensa notte, riemersero così lentamente le immagini
relative al proprio ultimo arrivo in Kriarya, città del peccato nel regno di
Kofreya. Destinazione rappresentativa della conclusione di una lunga
missione, nel corso della quale era stata trattenuta oltre il confine del
vicino territorio di Y’Shalf per lunghi mesi, fin dalla precedente stagione
autunnale, quella capitale tanto temuta dai più, con la propria
popolazione di mercenari e prostitute, ladri e sicari, era apparsa ai suoi
occhi incredibilmente ambita, paradossalmente desiderata, concedendole
MIDDA’S CHRONICLES 527
con la propria pericolosa presenza, una sensazione di familiarità, di
domesticità impagabile, che probabilmente mai avrebbe creduto di poter
provare, vivere. E dopo aver offerto visita, come necessario in simile
situazione, al proprio mecenate, a sancire il termine del proprio operato
nella consegna della sposa promessa al medesimo, colei per la quale tanto
era stato smosso in quell’ultimo periodo, ella aveva potuto finalmente fare
ritorno alla locanda di Be’Sihl, il luogo più prossimo a poter essere
definito quale casa nella sua vita.
Come sempre, dopo aver offerto il proprio saluto all’amico,
all’anfitrione in perenne, fedele e speranzosa attesa del suo ritorno, ella gli
aveva domandato di poter trovare la propria vasca colma d’acqua calda,
utile a liberarla della polvere accumulata nel corso del viaggio. Ed egli,
ovviamente, non si era fatto attendere in tale servizio: del resto, il
locandiere non avrebbe mai ostacolato simile appuntamento, tale
impegno, ponendosi assolutamente consapevole delle sue esigenze, dei
suoi gusti, delle sue abitudini, almeno nelle rare occasioni in cui quello
stile di vita le concedeva l’opportunità di godere di un’abitudine,
elemento di monotonia negativa per la maggior parte delle persone,
annoiate da una quotidianità sempre uguale, sempre fine a se stessa, e al
contrario occasione preziosa per coloro soliti a spingersi, troppo
inconsciamente, ben lontani da essa. Aiutato dai propri garzoni, pertanto,
egli aveva trasportato quasi una dozzina di secchi fino alle camere a lei
riservate ormai da anni, tenute quale alloggio personale per concederle
spazio di riposo in quegli eccezionali momenti di ritorno in città, e aveva
con essi colmato il catino di legno rappresentativo del lusso di quella pur
piccola stanza da bagno a uso assolutamente personale per la donna
guerriero. Ma dove, abitualmente, l’uomo avrebbe a quel punto offerto il
proprio saluto all’amica, lasciandola libera di godere del piacere donatole
da quella vasca, dandole silenzioso appuntamento alla mattina successiva
per il loro consueto incontro in un salone finalmente libero da ogni cliente,
in quell’ultima occasione qualcosa di diverso, di inatteso, era occorso a
sconvolgere completamente un ritmo altrimenti noto, il ripetersi di eventi
sempre uguali a se stessi.
Forse una parola pronunciata in eccesso, forse un respiro trattenuto in
più rispetto al solito, forse uno sguardo offerto dove non sperato, forse
una distrazione evitata nel confronto con il loro classico rituale di dialogo,
li aveva portati senza alcun controllo a gettarsi una nelle braccia dell’altro,
a stringersi reciprocamente e appassionatamente alla ricerca di un comune
calore, di un sentimento forse da sempre vissuto e pur negatosi per troppo
tempo. E per la prima volta, addirittura dall’apertura stessa della locanda,
il proprietario era così mancato quella sera ai propri doveri, innanzi ai
propri clienti, perso completamente nel vivere un’esperienza ormai
528 Sean MacMalcom
nemmeno sperata, dove tanto egli quanto ella erano stati i primi a proibire
l’eventualità di un simile risvolto in quel rapporto, una tale evoluzione,
temendo i potenziali sviluppi negativi di una storia priva di ogni futuro
quale sola sarebbe potuta essere la loro, principalmente in conseguenza
dello stile di vita proprio della stessa mercenaria, di colei che era
addirittura stata riconosciuta qualche tempo prima quale figlia della dea
della guerra, Marr’Mahew, dalla popolazione di un’isola sita a ponente di
quelle terre. Le emozioni, le passioni di fronte alle quali, alfine, avevano
entrambi ceduto, li avevano assorbiti completamente, isolandoli da ogni
realtà a loro circostante e concedendo loro, in ciò, di vivere pienamente
quel momento, quell’occasione unica, meravigliosa, estasiante, fino a
quando, stremati, si erano abbandonati sullo stretto letto di lei, uniti nella
medesima posizione in cui l’alba di una nuova giornata li stava, ora,
sorprendendo.
Nel concludere simile rievocazione, Midda non poté evitare di
sorridere, non poté che considerarsi incredibilmente felice, come rare
erano state per lei occasioni di esserlo. Sinceramente non era né sarebbe
potuta essere sua intenzione interrogarsi in merito al domani, al futuro
prossimo che l’avrebbe attesa e che, probabilmente, l’avrebbe portata
lontana da lui come inevitabilmente era solita fare con qualsiasi suo
amante, con qualsiasi suo compagno, per quanto da lei realmente amato
con tutta se stessa. La settimana successiva, il mese seguente,
probabilmente, sarebbe tornata alla propria vita, dimenticandosi nella
foga della guerra, nell’orrore del sangue, di esser stata una sì tenera
amante: ma ora, ella desiderava solo godere di quanto donatole, di quel
momento fuggevole e prezioso in un’esistenza priva di ogni certezza
quale era la sua. E in questo, anche un semplice, naturale risveglio
mattutino sarebbe stato vissuto come un incredibile momento di gioia,
una conquista tutt’altro che scontata.

«Ti potrò sembrare prevedibile e retorica… ma, francamente, io credo


di amarti, Be’Sihl Ahvn-Qa.»

Parole pronunciate quasi egoisticamente, le sue, dove non rivolte in


verità verso il compagno, quanto piuttosto verso se stessa, a esplicitare un
sentimento censurato per troppo tempo e ora esploso in tutta la sua
incontenibile foga. Un sussurro, flebile e inudibile, un sospiro, effimero e
impercettibile, a seguito del quale ella si voltò appena per poter posare un
delicato bacio sul petto dell’uomo, ancora mantenendo chiusi i propri
occhi, non avvertendo alcuna necessità di aprirli, di accogliere le immagini
del mondo a lei circostante, restando altresì a godere di quella loro
affettuosa intimità.
MIDDA’S CHRONICLES 529
Qualcosa, tuttavia, nel risveglio lento e pur costante dei suoi sensi, la
turbò, pose il suo cuore e il suo animo in agitazione, risuonando
chiaramente quali elementi estranei, impropri nello scenario in cui
avrebbe dovuto porsi quale protagonista in quel momento. Nell’aria,
infatti, oltre al proprio odore e a quello del proprio compagno, si impose a
lei un altro estremamente particolare, tutt’altro che sconosciuto, ma che
non avrebbe dovuto essere lì presente: sangue.
Non qualche semplice goccia, potenzialmente naturale conseguenza
dei graffi immancabilmente proposti sulla pelle del proprio amante nel
corso della loro unione, dei loro giochi in quella lunga notte, quanto
piuttosto un’inquietante presenza predominante di tale linfa vitale, al
punto tale da risultare nauseante.

«Be’Sihl…?»

Alle percezioni dell’olfatto, troppo rapidamente, si aggiunsero anche


quelle gusto, dove ella, umettandosi le labbra nel pronunciare quel
richiamo con tono più forte, più vivo, avverti chiaramente sulle medesime
il sapore ferruginoso di quella macabra bevanda, purtroppo più che noto
in conseguenza di troppe battaglie dalle quali era uscita sì vittoriosa, ma
sempre ricoperta dal quel letale tributo preteso dai propri avversari.
Così provocata, la mercenaria non riuscì più a trattenere chiusi gli
occhi, benché timorosa ormai di aprirli, di osservare la realtà a lei
circostante. Una paura, altresì, più che fondata, più che corretta, dove
l’orrore da lei tristemente previsto trovò concretizzazione innanzi al suo
sguardo, ai suoi occhi azzurri, color ghiaccio.

«Thyres… no… non questo!»

Un gemito sconcertato, incredulo, il suo, dove ella fu privata di ogni


possibilità di respiro, nonché di qualsiasi speranza di raziocinio per
quanto il fato aveva scelto di donarle, nel confronto con il quadro
concessole: innanzi al viso della mercenaria, sbiancato come in rare
occasioni le era accaduto in passato, era l’immagine dell’amato compagno,
dell’amico fedele, colui solo poche ore prima eletto a proprio amante,
adesso crudelmente sgozzato. Il suo collo, sul quale a lungo, in quella
notte, ella si era intrattenuta con i propri baci, con la propria dolcezza e
con il proprio estro, accarezzandolo con la morbidezza delle labbra e la
solidità dei denti, segnandolo nella voracità di una travolgente passione,
appariva, in quel momento, attraversato nella propria larghezza da uno
squarcio slabbrato, attraverso il quale il sangue era fuoriuscito copioso e
abbondante a ricoprire ogni cosa: il suo stesso corpo, il letto sul quale
530 Sean MacMalcom
giacevano, il pavimento sotto di loro e la vicina parete. Non un semplice
taglio, la conseguenza del passaggio di una lama, quella lì proposta,
quanto piuttosto l’impeto, la violenza di un animale, di una bestia
rabbiosa, tale da lacerare quei tessuti in maniera irregolare, non
diversamente da come sarebbe stato a seguito del morso di un grande
felino o, forse, degli affilati artigli di un terribile orso.
Nel confronto con gli scenari a cui la mercenaria, nella propria vita, si
era trovata a essere spettatrice, quello così dimostrato sarebbe potuto
essere considerato consueto, privo di particolari ragioni di raccapriccio,
non paragonabile alla crudeltà altrimenti espressa nel cuore di una
battaglia, nel vivo di una guerra. Ma, in quella particolare occasione,
nell’ambiente che avrebbe dovuto considerarsi intimo e protetto quale
quello della sua camera da letto, un tempio nel quale alcuno avrebbe
dovuto osare sospingersi con la propria blasfema presenza o, tantomeno,
arrivare a compiere un atto paragonabile a quello occorso, quel sangue si
imponeva carico di un valore raramente riconosciuto ai suoi occhi,
difficilmente attribuito dalla sua coscienza, dove appartenente a un uomo
che aveva reso proprio, che aveva accolto a sé e che, ancora fra le sue
braccia, le era stato tanto violentemente negato.

«Chi… cosa…?»

Domande, sussurri, inizialmente colmi solo di angoscia, orrore,


sentimenti ai quali presto però si affiancarono altri ben diversi, di rabbia,
d’ira funesta e incontrollabile nei confronti di ciò che, umano, animale o
mostro, si era macchiato di simile atrocità, aveva gettato tale oscena ombra
di morte in quel luogo altresì prima benedetto da un impulso di vita, di
amore. E al centro degli occhi della donna guerriero, dove prima le pupille
si erano estese all’interno delle iridi a renderle simili a perle nere, ora esse
si restrinsero al punto tale da svanire all’interno di un’immensità azzurra,
glaciale condanna per chiunque a lei si fosse contrapposto, si fosse parato
innanzi.

«Chi?!»

Un grido che esplose dal profondo del suo animo, dirompendo nello
spazio pur non eccessivo della stanza e rimbombando in essa quale un
ruggito, carico di una forza contro la quale alcun mortale avrebbe mai
voluto avere a che fare, alcun mortale avrebbe mai cercato confronto.
Alcun mortale…

«Io, moglie adorata. Ovviamente io.»


MIDDA’S CHRONICLES 531

Risposta trasudante di fiera e crudele ironia, che raggiunse la donna


guerriero e le concesse chiara idea sull’identità del proprio avversario
ancor prima di voltarsi, prima di offrire a lui il proprio viso e la propria
spada: lama che, per quanto ancora appoggiata sul pavimento al bordo del
letto, purtroppo, anche dove fosse stata effettivamente già impugnata non
avrebbe potuto concederle risultati di sorta, non avrebbe potuto
riconoscerle alcuna soddisfazione nel confronto con la creatura semidivina
prole del dio Kah e dell’antica regina Anmel, colui che aveva ella
ingannato divenendone moglie al solo scopo di salvare la promessa sposa
del proprio mecenate.

«Desmair!» ringhiò la mercenaria, stringendo i denti fra le labbra


dischiuse nel pronunciare il suo nome «Tu qui?!» domandò, con evidente
retorica, conseguenza delle forti emozioni a cui si ritrovava
inevitabilmente a essere sottoposta «Eri imprigionato… avevi detto di
essere intrappolato!»
«Per questa ragione tu hai davvero creduto di poter proseguire con la
tua vita come se nulla fosse accaduto?» sorrise il colosso dalla pelle rossa,
dalle lunghe corna bianche e dagli arti inferiori equini «Hai pensato di
avere la possibilità di giacere con altri uomini nonostante avessi sposato
me? Non può funzionare in questo modo, amore mio. Non è possibile che
tu ti illuda che le tue avventate azioni non abbiano un prezzo da pagare.»
«Maledetto...» sussurrò ella, combattendo interiormente con la propria
coscienza che, così stimolata dalle sue parole, le stava suggerendo la
possibilità di essere colpevole per la morte di Be’Sihl «Che tu sia
maledetto…»
«Non temere. Lo sono già.» rise il mostro, gettando il proprio grottesco
volto all’indietro per liberare senza freno alcuno, simile, incredibile ilarità
«Lo sono già.»

Normalmente quieta e controllata anche nelle situazioni in cui


chiunque altro avrebbe facilmente ceduto all’isteria, Midda non riuscì a
concedere alla propria mente il necessario raziocinio, al proprio corpo il
giusto freno, muovendosi altresì agile e rapida per raccogliere la propria
arma e per slanciarsi, senza alcuna precauzione, senza alcuna prudenza, in
contrasto al proprio avversario, bramosa unicamente di donargli quella
morte che pur sapeva non avrebbe potuto raggiungere in quel modo,
attraverso uno scontro diretto come quello proposto.

«Quanta enfasi, mia sposa… vedo il tuo corpo fremere alla ricerca del
mio.» la beffeggiò il Figlio di Kah, continuando a ridere nel non aver
532 Sean MacMalcom
motivo per temere quell’irruenza, quella foga che avrebbe privato di
coscienza chiunque altro nel confronto con lei «Tanto ardore potrebbe
commuovermi…»
«Muori, maledetto! Muori!» replicò ella, lasciando ricadere la lama
della propria spada bastarda contro le sue carni, senza alcuna incertezza,
senza ombra di pietà, desiderando solo vendicare l’amore perduto, l’uomo
ucciso nel suo letto.

E se anche il metallo affondò facilmente in quelle membra, se anche il


filo dell’arma si aprì senza fatica alcuna strada fra quei muscoli e quelle
ossa, penetrando dalla spalla destra a ridiscendere fino al centro del petto,
non una stilla di sangue, non una smorfia di dolore venne proposta quale
risposta dall’altro, che restò assolutamente immobile di fronte a lei,
scuotendo appena il capo. Come già ogni altro loro scontro, purtroppo,
anche quello non volle concedere alla donna alcun frutto, alcun risultato,
negandole ogni letale azione nei confronti del proprio sposo.

«Non hai ancora compreso di non potermi ferire? Mi deludi, Midda


Bontor… avevo iniziato a considerarti quale una donna decisamente
perspicace.» commentò con assoluta tranquillità «Ti prego, non mi
spingere a pensare che sia vero lo stereotipo di un’inversa proporzionalità
fra la circonferenza toracica di una donna e il suo quoziente
intellettuale...»
«Ti farò a pezzi… e spargerò i frammenti dei tuo corpo agli estremi
più lontani di ognuno dei tre continenti!» gli promise ella, cercando di
ritrarre la spada per poter menare un secondo colpo, per poter insistere
nel proprio attacco «Non avresti dovuto intrometterti nella mia vita… non
avresti dovuto spingerti a un’azione simile!»
«Intromettermi nella tua vita?!» replicò Desmair, sgranando gli occhi
con aria divertita e pur stupita «Mi domando fino a quali limiti possa
riuscire a spingersi la tua ipocrisia, luce del mio cammino. Non ricordi,
forse, di essere stata proprio tu a entrare a far parte, con l’inganno, della
mia esistenza?»
«Taci!» intimò ella, non potendo più sopportare che la voce di
quell’empio essere potesse giungere fino alle sue orecchie, sfidandola
ripetutamente con le proprie provocazioni.

In un gesto carico di risentimento la lama della spada fu, così, sfilata


dal corpo del mostro solo per essere nuovamente scaraventata contro il
medesimo, tornandolo a colpire ora all’altezza della gola, nell’unico,
evidente scopo di decapitarlo, in un’illusione, pur già nota come vana, di
poterlo arrestare in tale azione, con simile gesto.
MIDDA’S CHRONICLES 533
Ma dove egli pur non frenò in alcun modo l’avanzata di
quell’offensiva, ritrovando inevitabilmente la propria testa separata
violentemente dal corpo, sospinta in aria dalla foga del taglio, non si
propose in alcun modo sopraffatto da lei, sconfitto da tale azione. Benché
infatti privata dell’intero capo, questo stesso rotolato lontano dal suo
corpo fino ad appoggiarsi contro un angolo della stanza a loro opposto, la
semidivinità dimostrò ugualmente di possedere ancora una vivace salute,
riprendendo a parlare e a muoversi nel confronto con la sposa come se
nulla fosse accaduto, nel mentre in cui, peggio ancora, la ferita
precedentemente inflittagli già incominciava a rimarginarsi, quasi fosse
stata un banale graffio.

«Raramente mi è accaduto… e ancor più raramente sono giunto


persino a dichiararlo, ma credo di aver compiuto un madornale errore di
valutazione nei tuoi riguardi, Midda Bontor.» ammise, ora, la testa
separata dal corpo, con tono serio, nell’osservare la sposa e il resto di sé
impegnati in quel confronto diretto «Se è comunque innegabile che, non
essendo tu una strega, o quantomeno una negromante, il nostro
matrimonio non potrà concedermi alcun beneficio di sorta, credo si possa
considerare altrettanto evidente come tu possieda diverse caratteristiche
sicuramente capaci di stuzzicare le fantasie di un marito.»
«Ti ho detto di tacere!» ribadì la mercenaria, attaccando nuovamente il
corpo nemico per amputarne il braccio sinistro, nell’avvertire da parte del
medesimo un movimento rivolto verso di lei «La tua stessa esistenza è un
insulto a tutti gli dei, un’offesa alla sacralità del loro nome. Devi morire!»

Probabilmente l’errore che, a quel punto, ella disastrosamente


commise, fu conseguenza del suo essersi lasciata trascinare in maniera
incontrollata dalle emozioni, umanamente giustificabili, provate confronti
del proprio avversario: vittima dei sentimenti di odio, rancore,
frustrazione che egli era apparso riuscire a instillare con sapienza nel suo
cuore, la donna guerriero, nonostante tutta la propria formazione, era
giunta a dimenticarsi di tutti i principi che, da sempre, l’avevano aiutata a
sopravvivere a ogni scontro, a ogni duello, concedendosi al contrario
troppo facilmente, in tal modo, a possibili azioni del proprio nemico. E
sebbene fosse stato privato della testa e dell’arto mancino, il colosso dalla
pelle rossa non fece spreco del vantaggio così offertogli sulla propria
preda, muovendosi rapido nello sferrare una pur attendibile offensiva con
il proprio unico braccio rimasto, agendo immediatamente nell’andare a
colpire con violenza il volto della donna, sollevandola, in conseguenza di
tanta foga, da terra e mandandola a sbattere contro la parete a ridosso del
534 Sean MacMalcom
letto, quasi fosse una bambola di pezza scaraventata da una bambina
capricciosa.
Un gesto incontenibile contro di lei, irrefrenabile a suo discapito, e pur
incredibilmente moderato, considerando come semplicemente si limitò a
stordirla quando, con la stessa facilità, avrebbe anche potuto frantumarne
le ossa, riducendola per sempre all’immobilità.

«Osservando la pienezza delle tue grazie, non posso evitare di pensare


che sia stato un vero peccato aver interrotto prematuramente la nostra
festa di matrimonio, mia sposa. Soprattutto prima di aver avuto occasione
di godere di esse.» commentò la testa mozzata, continuando a osservare a
distanza la scena, nel mentre in cui il resto del suo corpo avanzò, pur così
terribilmente mutilato «Non di meno, è pur sempre possibile porre
rimedio a simile mancanza…»
«No… Thyres… no!» tentò di gemere ella, cercando di ritrovare
lucidità, di guadagnare nuovamente il controllo del proprio corpo, dopo
essersi ritrovata a ricadere sul proprio stesso letto e sul corpo dell’amante
di quell’ultima notte di felicità.

Ma non un sussurro privo di forze pronunciò simile diniego, quanto


piuttosto un grido, un invocazione forte, decisa, che scaturì dal profondo
della sua gola, alimentato dalla medesima energia che la fece scattare in
piedi con occhi sbarrati, con pelle madida di sudore e respiro affannato ad
agitarle il petto.

«Che accade?!» domandò una guardia, nell’osservarla più spaventato


di lei da quell’urlo, messo in allarme per esso «Che accade?»

Chiudendo e riaprendo ripetutamente gli occhi, per un lungo istante


estremamente disorientata, la mercenaria riconquistò contatto con la
realtà, nel comprendere come ciò che aveva vissuto altro non fosse stato
che un sogno, un incubo, in effetti crudele, ma assolutamente inoffensivo.
E nel confronto con il viso della sentinella, familiare per quanto
sconosciuto, la mente della donna riuscì a ricostruire rapidamente
l’evolversi degli eventi, le ultime tappe da lei vissute prima di cedere,
inaspettatamente, alla stanchezza.
Per quanto, infatti, egli fosse stato sinceramente fremente nell’attesa di
quel momento, non avendo alcuna ragione per sospettare della loro
comparsa proprio in quel giorno, lord Brote non aveva potuto evitare di
essere coinvolto, nelle ultime ore, in una accesa discussione politica con
alcuni degli altri signori della città del peccato, richiedendo, di
conseguenza, alla sua guerriera prediletta e alla propria futura moglie una
MIDDA’S CHRONICLES 535
dimostrazione di pazienza, nel concedergli il tempo per chiudere ogni
questione in sospeso ed essere libero di dedicarsi a entrambe, nei modi più
indicati. Ma se la principessa Nass’Hya aveva volentieri accolto l’invito a
usufruire delle risorse concesse all’interno della torre del mecenate, di un
bagno caldo e delle premure di un gruppo di ancelle preposte unicamente
al suo servizio, iniziando immediatamente a familiarizzare con quella che
sarebbe stata la sua nuova dimora per gli anni a venire, la mercenaria
aveva preferito limitarsi a restare in tranquilla attesa, sola con se stessa in
un atrio di uno dei molteplici livelli di guardia che formavano la
complessa struttura dell’alta edificazione.
E proprio in quel punto, su una dura panca di legno, ella si era così
lasciata andare, ancora coperta di terra e di sporco, decisamente stanca per
il viaggio, concedendosi imprudentemente la possibilità di addormentarsi
con le conseguenze che poi, in ciò, erano occorse, estremamente spiacevoli
per quanto fortunatamente irreali.

«Per Gorl! Che accade?!» insistette la guardia, un ragazzo chiaramente


del tutto inadatto al ruolo pur riservatogli nella propria giovane età, per
quanto quello avrebbe dovuto essere giudicato quale un fato praticamente
inevitabile all’interno di quella particolare urbe.

Diversamente da quanto prima creduto nella perversione di quella


macabra esperienza onirica, la donna guerriero non aveva ancora avuto
occasione di essere ricevuta dal proprio mecenate, né, tanto meno, aveva
fatto ritorno alla locanda di Be’Sihl o, addirittura, giaciuto con lui.
Tutto ciò che era certa fosse accaduto, era stato tale solo all’interno
della sua mente, solo nei meandri del suo animo e del suo cuore: Be’Sihl,
suo amico fidato, suo complice in infinite occasioni, era ancora vivo… e
Desmair, suo sposo, infame fardello, era ancora, fortunatamente,
imprigionato all’interno del quadro nel quale ella l’aveva lasciato al
termine del loro primo e, sino ad allora, unico incontro.

«Niente. Calmati.» commentò, nel porre a fuoco l’immagine del


proprio interlocutore, nel rivolgere, infine, a lui la propria attenzione dopo
aver ritrovato, in quelle poche, ma essenziali certezze, la propria quiete
interiore «Ho solo avuto un incubo.»
«Un incubo?» domandò l’altro, seriamente in imbarazzo per aver
offerto una tanto palese dimostrazione di mancanza di controllo,
considerando come avrebbe dovuto egli stesso evidenziare la retorica
propria di una tale situazione.
536 Sean MacMalcom
Purtroppo per lui, se anche avesse desiderato sfogare tale emozione
contro colei che ne era stata involontaria causa, rimproverandola o,
addirittura, canzonandola per quel grido ingiustificato, gli occhi di
ghiaccio innanzi ai quali si ritrovò, nonché la nomea di colei che di essi
faceva naturale sfoggio, non gli permisero alcuna reazione di quel genere,
costringendolo a un rassegnato silenzio.

isolta senza discussioni di sorta la situazione con il proprio


mecenate, nel considerare da parte di quest’ultimo sciolto ogni
R vincolo di debito da lei precedentemente generato nei suoi
riguardi, la donna guerriero si poté finalmente considerare
pronta a lasciare la torre, nonché colei che era stata propria protetta negli
ultimi mesi.
Il saluto fra lei e Nass’Hya, unite in un viaggio più complesso del
previsto, legate l’una all’altra nell’aver affrontato insieme ostacoli dai
quali, singolarmente, forse non avrebbero potuto trovare possibilità di
salvezza, non poté evitare una certa nota di malinconia da parte di
entrambe, per quanto consapevoli che, comunque, avrebbero potuto
ancora incontrarsi, frequentarsi in futuro, favorite in questo dal rapporto
professionale esistente fra l’una e il promesso sposo dell’altra.
Se, nel giungere alla città del peccato, Midda avrebbe potuto
considerarsi tornata a casa, a un luogo per lei familiare e nel quale
ritrovare volti conosciuti e, talvolta, apprezzati; al contrario per la
principessa sarebbe stato l’esatto opposto, l’arrivo in una terra straniera e
atavicamente temuta in conseguenza dell’irrefrenabile guerra esistente fra
i loro due regni da tempi remoti. E dove, addirittura il proprio futuro
marito, entro molti limiti, si sarebbe potuto considerare poco più di un
estraneo, dubbi e preoccupazioni, in lei, sarebbero potuti essere ritenuti
più che legittimi, soprattutto al pensiero di quanto perduto alle proprie
spalle, di quanto tagliato fuori dalla propria vita con tale decisione. Ormai,
tuttavia, le scelte erano state compiute, i giochi erano fatti, e permettere al
rimpianto di dominarla non avrebbe facilitato alla giovane y’shalfica il
necessario percorso di adattamento alla propria nuova vita.
Così, offrendo dimostrazione della fierezza del proprio titolo, del
proprio retaggio, la futura lady si limitò a offrire a colei che avvertiva di
poter considerare quale propria amica, un lungo abbraccio, prima di
lasciarla andare finalmente libera.
MIDDA’S CHRONICLES 537
Fuoriuscita dalla torre del proprio mecenate, Midda si avviò
immediatamente alla ricerca del giusto riposo, nell’unico luogo che era
ormai solita definire quale propria dimora, benché non si concedesse
quale nulla di più di un alloggio all’interno di una locanda.
La stanchezza che l’aveva condotta, addirittura, a addormentarsi
durante l’attesa dell’arrivo di lord Brote, non avrebbe potuto essere
minimizzata con leggerezza, dove, a prescindere dai legami di lavoro che
la collegavano al medesimo, correttamente limitati dal compenso che
quest’ultimo di volta in volta le avrebbe saputo garantire nel rispetto della
natura stessa della sua professione, ella non avrebbe mai dovuto
concedersi la possibilità di lasciarsi andare a tal punto, abbassando
completamente la guardia e predisponendosi, in tal modo, inerme di
fronte a qualsiasi possibile pericolo. Il lungo percorso che aveva dovuto
affrontare, in pieno inverno, attraverso le impervie vette dei monti
Rou’Farth, allo scopo di accompagnare la principessa fino alla città del
peccato, riducendo sempre al minimo ogni possibilità di riposo, ogni
occasione di quiete per lei, sembrava essere giunto ora a pretendere da lei
stessa un ovvio tributo in termini di sonno, al quale, volente o nolente, ella
non si sarebbe mai potuta sottrarre.
Senza pur affrettare il proprio passo, dove simile scelta avrebbe potuto
farla apparire timorosa nei confronti dei molteplici pericoli di quella
capitale e, in questo, avrebbe potuto attirare l’attenzione di possibili
avversari, guerrieri o mercenari bramosi di porre il proprio nome alla
ribalta della cronaca quale quello di colui che era riuscito a sconfiggere e
uccidere la leggendaria Figlia di Marr’Mahew, così come ella era ormai
definita da diversi mesi, la donna guerriero si diresse, senza ulteriori
indugi, verso il fronte occidentale della città, là dove molti anni prima
Be’Sihl aveva scelto di acquistare l’edificio da adibire allo svolgimento
della propria attività.

Fortunatamente, in quell’occasione che apparve qual unica ancor più


che rara, Kriarya non richiese alla mercenaria dagli occhi di ghiaccio alcun
tributo di sangue quale pegno per percorrere le proprie strade, per
attraversare i propri quartieri. Ovviamente, dal suo personale punto di
vista, non vi sarebbero potute essere ragioni per dubitare di riuscire a
gestire un confronto con la marmaglia che la circondava, considerando
come, probabilmente, anche con molte meno energie rispetto a quelle che
le erano rimaste in corpo, con molta meno concentrazione nel confronto
con quella che pur la sua mente stava riuscendo ancora a concederle, ella
avrebbe potuto avere facilmente la meglio su tutti loro.
Impossibile, in simile contesto, fu definire se tanta quiete fosse
derivata da un semplice caso, da una concessione divina nei suoi riguardi,
538 Sean MacMalcom
oppure avesse da considerasi quale conseguenza delle voci già diffusesi in
città nel merito del suo ritorno, della sua ultima avventura oltre il fronte di
guerra, tanto prossimo a quell’urbe. Al di là delle cause scatenanti di una
tale pace, verso le quali non avrebbe potuto offrire, in quel particolare
momento, sinceramente alcun interesse, Midda non poté che ritenersi
comunque estremamente soddisfatta per quel modesto omaggio
riconosciutole dal fato o, forse, da tutta la popolazione della capitale, nel
permetterle di arrivare fino alla locanda senza ostacoli, senza porle freni
innanzi, senza richiederle per l’ennesima volta di ricordare a tutti quanto
la sua lama non si sarebbe fatta scrupolo alcuno nel bagnarsi del sangue di
un qualsiasi avversario, fosse egli stato tale anche solo per semplice
stolidità.
Giunta così a destinazione, e offerto il proprio saluto al padrone di
casa, al suo anfitrione e amico, ella si diresse senza esitazione alcuna ai
propri alloggi, alle proprie stanze, ignorando la pur vivace animazione
della quale il piano inferiore dell’edificio, adibito a funzioni di ristoro, non
mancava ovviamente di essere caratterizzato. La sera seguente, dopo il
lungo bagno e il profondo sonno del quale presto si sarebbe fatta vizio,
sicuramente ella non avrebbe mancato di unirsi a quel chiassoso ambiente,
addirittura offrendo in esso ragione per scatenare qualche piacevole rissa
nella quale trovare distrazione e divertimento: in quel particolare
momento, però, nella propria attuale situazione fisica e mentale, neppure
l’idea di una sostanziosa cena avrebbe potuto farla fermare, sospingerla a
restare in quella confusione.

«Sembri decisamente più stanca del solito…»

Il commento di Be’Sihl sopraggiunse nel mentre in cui egli completò il


riempimento della vasca, nel versare l’acqua contenuta in due secchi da
lui stesso trasportati a conclusione di un immancabile andirivieni di
garzoni nella stanza da bagno della mercenaria, per offrirle quanto da lei
richiesto, per concederle occasione di godere di quel momento da lei tanto
ricercato, quasi fosse un rito religioso attraverso il quale rendere grazie ai
propri dei di averle concesso di fare nuovamente ritorno a quel luogo, a
quel tempio personale, al termine dell’ennesima avventura.

«Se il tuo voleva essere un complimento, ti informo che nella mia


memoria apparivi decisamente più lusinghiero… un tempo.» sorrise la
donna, dimostrandosi naturalmente sorniona verso di lui e pur non
negandosi l’affaticamento che egli subito aveva colto «Vorresti forse dire
che, in questo nuovo anno, ho perso parte del mio fascino?»
MIDDA’S CHRONICLES 539
«Vorrei semplicemente dire quello che ho detto.» rispose egli,
scuotendo il capo e lasciando appoggiare, per un momento, entrambi i
secchi ormai vuoti a terra, osservandola, poi, con aria premurosa, con
sguardo dolce e preoccupato «Sei stata via ancora a lungo, quasi due
intere stagioni, e il tuo viso appare così tirato che, quasi, non sembri
neppure tu.»
«E’ il mio lavoro e la mia vita, lo sai.» minimizzò ella, chinando
tuttavia lo sguardo di fronte a lui, quasi non riuscisse a sorreggere quel
confronto, nella purezza dell’affetto che l’altro non stava mancando di
offrirle «E, poi, sei mesi sono sempre meno di dodici…» aggiunse, in
riferimento a una delle proprie ultime avventure, nel corso della quale era
scomparsa per un anno intero dalla città del peccato.
«E questo dovrebbe essere un motivo di gioia per me?» domandò il
locandiere, aggrottando la fronte nel dimostrarsi chiaramente tutt’altro
che convinto da tale argomentazione.
«Se desideri basare la tua gioia sulla mia presenza nella tua vita, ti
converrebbe chiedermi di sposarti…» tentò di scherzare ella,
punzecchiandolo come era sua abitudine fare, salvo immediatamente
mordersi il labbro inferiore, a rimprovero personale per la sciocchezza che
aveva appena detto, totalmente fuori luogo nel confronto con il discorso in
atto fra loro.
«Lo faresti?» decise di incalzare la voce dell’uomo, con quel tono
capace di offrirle lo stesso indispensabile tepore, il medesimo e necessario
calore di un caminetto ardente nel cuore di una gelida notte, nel non
lasciar perdere, come era invece solito fare, quel discorso, nel non ignorare
quella provocazione, ma, al contrario, alimentandola, desideroso forse di
vedere sino a quale punto sarebbero stati capaci di sospingersi.
«Be’Sihl…» sussurrò l’altra, risollevando appena i propri occhi color
ghiaccio, così temibili per il mondo intero e pur così bramati da colui che
le stava innanzi in quel momento «Io…»

Per un istante tutto apparve perfetto.


Non quale semplice retorica avrebbe potuto definire una fuggevole e
pur immortale frazione di tempo, quanto piuttosto in conseguenza del
raggiungimento di un livello di compiutezza difficilmente ipotizzabile per
la limitatezza dell’animo umano, per l’opposta e intrinseca imperfezione
caratteristica dei mortali.
Il cuore di Midda e quello di Be’Sihl parvero battere all’unisono, nel
mentre in cui i loro respiri e i loro sguardi si persero uno nell’altro, in un
dolce oblio, un reciproco, quieto e indolore naufragare: in esso, entrambi
riuscirono a dimenticarsi dell’intero universo loro circostante, delle
proprie stesse vite, dei principi e delle logiche utili a regolarle, di tutte
540 Sean MacMalcom
quelle effimere, eppur così castiganti, proibizioni alle quali ogni uomo o
donna è abituato normalmente a sottostare nell’illusione di vivere
saggiamente la propria esistenza. E, così, ogni paura, ogni dubbio, ogni
incertezza parve svanire come fresca rugiada alle prime luci dell’alba, ai
primi tiepidi raggi di una nuova giornata, offrendo innanzi ai loro occhi
solo l’immagine di un compagno e di una compagna da amare, nella
concretizzazione di molti sogni, troppe speranze da lungo tempo negate,
tanto intensamente rifuggite quasi potessero rappresentare per loro la fine
di tutto e non, al contrario, l’inizio di un nuovo mondo, di una nuova
realtà.
Sarebbe occorso un solo ulteriore attimo, il tempo di un rapido battito
di ciglia, per permettere alle loro labbra di spingersi in una reciproca
ricerca, ai loro corpi nella passione di un abbraccio carico di sfrenato
desiderio...

… ma quel momento venne loro negato, dove, per quanto ella stessa
fosse, ora più che mai, bramosa di quel calore, ardente al pensiero di
quell’unione con colui che da sempre si era ostinata a ritenere solo un
amico, un’immagine riaffiorò violenta alla sua attenzione, frantumando,
nell’orrore del sangue e della morte, la meraviglia del quadro così creatosi.

«… n-no…» sussurrò balbettando la mercenaria, cercando di


costringersi a ritrarsi da lui, ad allontanarsi da quello che,
improvvisamente, stava apparendo quasi simile al peggiore dei pericoli
che mai avrebbe potuto presentarsi innanzi a lei.
«C… cosa?» domandò il locandiere, confuso, imbarazzato, diviso fra il
desiderio di concludere quanto iniziato e la necessità di fermarsi,
nell’ascoltare le parole della compagna, nel non violare i confini oltre i
quali ella non avrebbe desiderato spingersi, come mai aveva voluto fare
nel rapporto con lei «Perché?»

La Figlia di Marr’Mahew esitò a rispondere, a proseguire in qualsiasi


direzione, ritrovandosi anch’ella in conflitto interiore non meno rispetto a
lui, sebbene per ragioni estremamente diverse, sospinta da questioni che
mai egli avrebbe potuto supporre o immaginare.
Era stato solo uno stupido sogno, il suo, oppure un avvertimento
concessole dagli dei? Una macabra fantasia notturna, fine a se stessa,
oppure un avviso ignorando il quale avrebbe trasformato quella morte in
realtà, per trascorrere poi il resto della propria esistenza nella colpa e nel
rimpianto di aver agito tanto egoisticamente?
In verità, la donna guerriero avrebbe di gran lunga preferito ritrovarsi
a confronto con una chimera, nell’immenso pericolo da essa
MIDDA’S CHRONICLES 541
rappresentato, piuttosto che in quell’assurda situazione, posta a metà fra
amore e paura, fra il sentimento che l’avrebbe inevitabilmente spinta fra le
braccia del compagno e quello che l’avrebbe, altresì, allontanata da lui, nel
timore di condannarlo se solo avesse operato in qualsiasi altro modo, se si
fosse permessa di continuare per la via che sembravano aver imboccato.

«… n-non dobbiamo…» cercò di imporre e di imporsi la mercenaria,


scuotendo il capo senza pur sufficiente convinzione, apparendo più
rivolta a se stessa che al proprio interlocutore «Lo sappiamo bene
entrambi…»
«Tu lo vuoi… io lo voglio…» commentò l’uomo, ancora senza alcuna
possibilità di comprensione, anch’egli comunque in forte contrasto
interiore nella volontà di ritornare padrone di sé, di recuperare il proprio
controllo verso la donna amata e, ciò nonostante, pur mantenuta quale
traguardo irraggiungibile innanzi a sé, da contemplare, da sognare, ma
non da possedere, non da rendere propria «E non siamo di certo due
fanciulli... perché non dovremmo? Perché?»

Purtroppo, più il tempo scorreva e più, da entrambi i lati, le condizioni


psicologiche retrocedevano irrefrenabilmente verso posizioni più
consuete, ritornando al loro abitudinario distacco, al limite imposto di
amicizia, da non oltrepassare, da non violare.
E se, su un fronte, Be’Sihl si stava costringendo a tale ritirata solo in
conseguenza del rifiuto della compagna, temendo di averla offesa con la
propria intraprendenza, di aver addirittura incrinato il suo rapporto con
lei per qualcosa che, comunque, non era poi neppure avvenuto, sul
versante opposto, Midda continuava a focalizzare innanzi al proprio
sguardo l’immagine del collo di lui orrendamente squarciato, nonché del
suo volto privo di ogni possibilità di vita, tanto lontano dall’energia, dalla
forza, dal carisma del quale ora era pur risplendente in maniera naturale.

«Sono… accadute cose… situazioni… è difficile da spiegare.» gemette


ella, avvertendo, nonostante tutto, i propri occhi saturarsi di calde lacrime
per la violenza che si stava imponendo, per il distacco al quale si stava
costringendo «Io… io ti… io credo di… lo sai, per Thyres! E proprio per
questo non voglio correre il rischio di perderti, non voglio correre il
rischio di…»
Inaspettatamente fu egli a zittirla, appoggiando delicatamente il
proprio indice destro sulle labbra carnose della stessa, scuotendo ancora il
capo ora, però, con un significato estremamente diverso dal precedente:
«Basta. Non aggiungere altro. Non c’è bisogno di altro.»
542 Sean MacMalcom
Ma prima ancora che qualsiasi ulteriore commento potesse seguire a
quell’affermazione, che qualsiasi ulteriore replica o argomentazione
potessero essere espresse, quel dito si spostò con la stessa dolcezza con la
quale in quel punto si era appoggiato, per lasciare spazio all’unione delle
loro calde labbra, tremanti, emozionate.
Un bacio, quello che seguì, che fu carico di sconfinate emozioni, di
infinite parole, e che pur non ebbe bisogno di concedere voce a nessuna di
esse, in una complicità assoluta fra i due innamorati, i due amanti costretti
al ruolo di amici da un beffardo fato e dalle loro stesse scelte. Egli la cercò
ed ella non si ritrasse, non lo rifiutò, sapendo bene come, ormai, a quel
momento tanto intenso non sarebbe comunque seguito altro, alla passione
pur tanto chiaramente espressa non se ne sarebbe aggiunta altra, nel voler
rispettare la volontà da lei così dichiarata, per quanto potesse apparire
imperscrutabile, non intellegibile nelle sue motivazioni.
In quel gesto, meraviglioso e incommensurabile, Be’Sihl volle quindi
offrire una risposta forte, decisa, inequivocabile a quanto ella pur gli
aveva concesso, pur aveva definito senza riuscire a completare la frase
formulata: non sapeva, e mai avrebbe saputo, almeno fino a quando non
fosse stata la medesima mercenaria a confidarsi, la causa di quel freno,
dell’inibizione improvvisamente ritornata forte in lei, addirittura
nell’insano timore di poterlo perdere, ma, in quel momento, neppure gli
interessava saperlo, dove non poteva negarsi di essere già stato
abbondantemente gratificato dall’ammissione dell’amore di lei per sé, del
sentimento che ella era riuscita a riservargli nel proprio cuore, da sempre
considerato solo un malizioso gioco e, invece, sintomo di qualcosa di più,
di qualcosa di meglio.
In quella risposta, incredibile e coinvolgente, Midda volle pertanto
riservarsi una domanda diretta, sincera, trasparente per la fiducia che egli
pur non le avrebbe mai negato, pur le avrebbe sempre riservato senza
chiederle nulla in cambio. E in simile richiesta, ella desiderò con tutta la
propria anima conservare la possibilità, l’occasione di ritrovare in futuro
ciò a cui ora stava ponendo il proprio veto, di poter concludere un domani
quanto ormai, oggi, aveva dovuto negarsi: perché se ancora la donna non
aveva alcuna idea su come poter annientare il proprio sposo, ella era pur
certa che sarebbe riuscita a farlo e, allora, non avrebbe più avuto ragioni di
temere le conseguenze dei propri sentimenti nella macabra misura attuale,
come ora, purtroppo, si poneva essere altresì costretta a fare.

«Anche io, Midda Bontor.» sussurrò egli, allontanandosi appena dalle


labbra così cercate e amate «Anche io… da sempre.» ripeté,
accarezzandole appena i capelli con gesti leggeri, quasi di venerazione per
lei e per i sogni in lei incarnati.
MIDDA’S CHRONICLES 543

uella notte, la Figlia di Marr’Mahew restò sola: sola nel tergere


il proprio corpo; sola nell’immancabile esercizio fisico utile a
Q concederle la speranza di una completa occasione di
rilassamento; sola nel proprio giaciglio.
Naturalmente i rimproveri che ella si addusse, per tale, volontaria e
stolida, solitudine, non furono pochi e non trovarono rapida conclusione
come probabilmente ella avrebbe preferito. Quanto accaduto, del resto, si
concedeva, nel confronto con la sua coscienza, quale un madornale errore,
uno sbaglio dettato forse più dal timore di ciò che sarebbe potuto derivare
dal raggiungimento di un nuovo stadio nel proprio rapporto con Be’Sihl,
che dai freni impostile da un sogno, dalla macabra fantasia che l’aveva
colta nel mentre del riposo inatteso, non programmato, di quello stesso
pomeriggio. Proprio colei che di fronte ad alcun pericolo, ad alcuna sfida,
per quanto letale, era solita retrocedere, rinunciare, arrendersi, in quella
particolare occasione aveva agito vigliaccamente, in maniera disonorevole
per se stessa e per il sentimento che pur il compagno aveva deciso di
dichiararle, di donarle, nonostante i suoi tentennamenti, le sue incertezze.
Non era più una fanciulla, ormai da molti anni, non era di certo una
verginella nuova a emozioni e sentimenti forti, o all’amore di un uomo,
eppure ella aveva indietreggiato, aveva accampato ogni genere di scuse
per evitare quell’abbraccio, quel calore, benché avesse goduto nel perdersi
in esso, nel bacio a cui, nonostante tutto, egli non aveva voluto rinunciare,
per quanto ella stessa avesse insistito, infine, per restare sola. Di tale
comportamento, la donna guerriero non avrebbe potuto evitare di
vergognarsi, di imbarazzarsi, addirittura prendendo in esame l’ipotesi di
abbandonare la locanda e cercare rifugio altrove, lontano da lui e da ogni
immagine che potesse, in qualche modo, rimembrarlo, farlo riaffiorare alla
sua attenzione, alla sua mente: un rimedio, tuttavia, che sarebbe risultato
peggiore del male che avrebbe dovuto curare, là dove avrebbe
semplicemente negato la questione anziché affrontarla, con tutte le ovvie
conseguenze che a tale azione sarebbero immancabilmente derivate.

Nel tentativo di dimenticare, di obliare quanto accaduto, ella cercò


quindi sfogo nel proprio allenamento, in quella serie di attività ritmiche,
costanti, quotidiane delle quali, nei limiti del possibile, non era solita
mancare di impegnarsi, per mantenere in perfetta efficienza ogni singola
parte del proprio organismo, oltre che, forse più concretamente, per
ristabilire un corretto equilibrio fra mente e corpo, attraverso un rituale
544 Sean MacMalcom
più prossimo alla meditazione che al semplice esercizio fisico. Tutto lo
sforzo che pretese dalle proprie membra, tanto da arrivare a crollare senza
più energie sul proprio letto, sfinita oltre ogni misura, non riuscì però a
distrarla, non le permise di rifuggire ai propri pensieri, alla propria
coscienza, la quale, senza sosta, continuava a ripeterle poche, semplici e
perfettamente chiare, sillabe.

«Stu-pi-da!» sbuffò, rigirandosi con frustrazione sotto le coperte, non


riuscendo a raggiungere un compromesso con se stessa neppure nel
merito della posizione in cui sperare di addormentarsi.

In verità, difficile sarebbe stato comprendere se tale insulto, come la


lunga serie di altri identici, o comunque similari, che ella non mancò di
attribuirsi in molteplici occasioni quella notte, stesse derivando dalla
scelta compiuta, dal rimorso maturato attorno a essa, segnale trasparente
di quanto sbagliata non mancasse di apparire innanzi alla sua stessa
coscienza, o, ancora peggio, dall’inibizione che la tratteneva legata a quel
giaciglio ogni qual volta si spingeva a prendere in esame l’ipotesi di
discendere alla ricerca del locandiere, per terminare quanto iniziato. Ma la
decisione avrebbe dovuto essere considerata quale ormai effettuata e, per
quanto controversa, per quanto discutibile e discussa intimamente, con e
contro se stessa, non sarebbe potuta essere revocata.
E nel rispetto di simile, semplice principio, in effetti, quella scelta non
fu modificata in alcuna delle sue parti. Così la donna guerriero, vittima
della propria stessa testardaggine, restò costretta a quella notte solitaria,
non diversa da qualsiasi altra lì trascorsa in passato e, pur, incredibilmente
pesante, quasi insopportabile, al pensiero di quanto si era negata, di
quanto aveva perduto.

Nel partire da presupposti tanto spiacevoli, il mattino seguente, il suo


risveglio non avrebbe potuto evitare di proporsi qual inevitabilmente ed
estremamente irritato, a proprio discapito incentivato, in tal spiacevole
senso, da un martellante bussare contro la sua porta, contro il legno
dell’uscio della sua camera.
Per quanto abituata a destarsi, in maniera naturale, alle prime luci
dell’alba, non riuscendo a sopportare di restare a letto nella
consapevolezza del sole crescente all’esterno, in quel particolare giorno
l’astro maggiore si stava già proponendo alto mentre ella stava ancora
cercando rifugio fra le coperte, fra le lenzuola, del proprio letto, alla
ricerca di un riposo prima negatole, rifiutatole per quasi tutta la notte.
Nell’avvertire tanto frastuono, nella mente pur annebbiata della
mercenaria fu immediatamente chiaro come solo due categorie di persone
MIDDA’S CHRONICLES 545
avrebbero potuto spingersi in simile azione, a turbare in tal modo il suo
giusto sonno. La prima si sarebbe potuta censire qual formata da tutti
coloro che, conoscendola e avendo familiarità con lei, i suoi ritmi, i suoi
tempi, le sue abitudini, avrebbero potuto considerarsi legittimamente
preoccupati dal suo ritardo, così insolito, improprio per lei. La seconda, al
contrario, si sarebbe dovuta ritenere generata dall’unione di tutto il resto
dell’umanità, coloro che senza conoscerla, senza alcuna familiarità con lei,
i suoi ritmi, i suoi tempi, le sue abitudini, avrebbero potuto considerarsi
impavidamente autorizzati a offrirle siffatta sfida in casa propria, nei suoi
stessi alloggi.
Al di là delle eventuali ragioni celate dietro a quell’insistenza,
comunque, le conclusioni che da ciò sarebbero potute derivare, nella
mente della donna, si concentrarono in una sola, comune direzione: quella
che la vide allungare la propria mano mancina per raccogliere la spada
lasciata a riposo accanto a sé, a fianco del letto, nel volersi dimostrare più
che disponibile ad aprire il cranio del malcapitato sopraggiunto nel luogo
sbagliato al momento sbagliato, amico o nemico che egli fosse, dove, in
quella giornata ella non desiderava, suo malgrado, considerarsi clemente
con alcuno.

«Rammenta uno a uno i nomi di tutti i tuoi dei, razza d’imbecille.»


suggerì, con voce impastata, rialzandosi dal giaciglio e ondeggiando fino
alla soglia della propria camera, stordita come raramente le era accaduto
di essere in conseguenza di un momento di riposo prematuramente
interrotto «Presto ti sarà utile per riconoscerli, quando li incontrerai di
persona dietro mia specifica raccomandazione…»

Ma nell’aprire di scatto la porta, già pronta a menare un violento


fendente contro il disturbatore, ella si ritrovò di fronte all’ultimo volto che
forse mai si sarebbe attesa di incrociare in quel momento, di cogliere in
quell’occasione, indugiando, in conseguenza, nella propria altrimenti
ferma condanna a suo discapito.

«Ti sei completamente ammattito?!» gli ringhiò contro, abbassando la


propria spada nel concedergli clemenza, pur senza, in ciò, offrirgli
perdono per quella violazione del proprio spazio vitale, della propria
intimità «Avrei potuto ucciderti ed essere assolutamente giustificata per
questo…»

Alcuna risposta, tuttavia, le fu offerta dal proprio interlocutore, che,


oltre a essere stato evidentemente colto di sorpresa dall’impeto di quella
reazione, nonché del tono adottato dalla donna guerriero, avrebbe potuto
546 Sean MacMalcom
anche e legittimamente considerarsi quantomeno sconvolto alla vista del
corpo nudo offertogli innanzi, in maniera tanto naturale.
Nel lasciare il proprio letto per accogliere il responsabile di una tale
scocciatura, Midda non aveva ovviamente preso in esame alcun senso di
pudore nel merito del proprio aspetto, presentandosi di fronte alla porta,
da lei stessa dischiusa con evidente violenza, senza alcun abito addosso.
Non era sua abitudine, invero, indossarne per dormire, soprattutto se in
una locanda e a seguito di un bagno caldo, come era stato per lei nella sera
precedente, senza poi considerare come, inoltre, ella non si fosse mai posta
alcuna remora nel merito del proprio aspetto fisico, a riguardo della
propria femminilità, non trovando alcuna ragione per la quale doversi
vergognare del proprio corpo e, in conseguenza, non vivendo il minimo
imbarazzo innanzi anche agli sguardi più indiscreti. In virtù di quelle
filosofie, addirittura, ella era spesso giunta a estremi che la maggior parte
delle persone avrebbero considerato assolutamente impropri, quali
combattere e vincere intere battaglie rivestita unicamente da una coperta
attorno alle spalle, a semplice e necessaria protezione dal freddo e non, di
certo, a difesa di un qualche sentimento di decenza.

«Lo dirò solo una volta… e ti invito a farne tesoro prezioso per il bene
del futuro del nostro rapporto: evita questo atteggiamento di meraviglia
ogni volta che ti capita di vedermi nuda.» suggerì al proprio ospite,
tirandosi indietro e invitandolo, ora, ad avanzare, dal momento in cui,
chiaramente, egli doveva essere giunto fino a lei con tanta irruenza solo
per questioni serie e non per un semplice saluto «Ormai dovresti
conoscere a sufficienza come sono fatta e, sinceramente, le tue scene mute
stanno iniziando a diventare ripetitive…»

L’interlocutore a cui la Figlia di Marr’Mahew aveva deciso di


riconoscere salva la vita, accogliendolo addirittura nelle proprie stanze e
intimandolo a non esternare in maniera tanto palese il proprio stupore,
era, effettivamente, uno fra i pochi eletti in quella città che avrebbe mai
potuto far vanto di aver goduto appieno della vista del suo corpo nudo,
sebbene comunque una simile intenzione di autocelebrazione non lo
avesse mai visto qual protagonista, nel preferire salvaguardare la propria
salute e, anche, la speranza di protrarre il proprio rapporto con colei che
aveva imparato a definire...

«… mia signora…» sussurrò, confuso, imbarazzato, per un momento


addirittura emozionato, nonostante i sentimenti che l’avevano spinto fino
a quella soglia non si sarebbero potuti considerare felici.
MIDDA’S CHRONICLES 547
«O dentro o fuori.» intimò ella, gettando la spada di lato, sul proprio
giaciglio, con fare trasparentemente irritato, tutt’altro che benevolo verso
il proprio ospite pur da lei stessa similmente invitato.

Un fanciullo, poco più che ragazzo e ben lontano dal potersi definire
quale uomo, era colui al quale ella si stava rivolgendo: ancora immobile
sulla porta di quella stanza, egli dimostrava in maniera estremamente
palese la propria giovane età, in un viso ancor morbido, quasi
tondeggiante, non ancora indurito dall’età e dall’esperienza, sebbene la
sua infanzia fosse trascorsa nelle strade più pericolose di tutto il regno di
Kofreya, se non di quell’intera estremità del continente… quelle della
stessa Kriarya. Al centro del suo volto, sopra a labbra sottili e a un naso
appena schiacciato, due grandi occhi verdi sembravano pur impazienti di
comprendere il mondo a loro circostante, in una continua scoperta tipica
più di un bambino che di un giovane uomo. La sua esistenza, invero, fino
a pochi mesi prima, all’incontro con la stessa mercenaria, era stata vissuta
in un’illusione di vita, dove egli aveva sempre preferito limitarsi al ruolo
di spettatore più che di attore, di protagonista. In ciò, pertanto, il giovane
si sarebbe potuto considerare particolarmente immaturo, soprattutto nel
confronto con l’animo proprio molti altri ragazzi suoi coetanei e
concittadini, i quali si concedevano, già da tempo, impegnati nel ruolo di
sicari, attivi e operanti, tutt’altro che animati da quello stesso spirito di
innocente curiosità, di bramosia di scoperta.
Arruffati capelli castani, a contorno di un’epidermide appena scurita
dall’effetto del sole, si concedevano stretti nell’azione di un fazzoletto di
stoffa violacea, utile a offrire agli stessi una parvenza di ordine dove,
altrimenti, solo anarchia avrebbe lì regnato sovrana. Quel copricapo, in
verità richiamante una moda pur tipica di molti marinai, non era il solo a
caratterizzarne similmente l’abbigliamento: a esso, infatti, avrebbero
dovuto essere aggiunte una casacca bluastra priva di maniche, e
ampiamente aperta sul torace, per quanto tutt’altro che estremamente
virile o muscoloso, una fascia gialla, stretta attorno alla vita, nonché
pantaloni nuovamente tendenti a tonalità di viola, per quanto diverse da
quelle dello stesso fazzoletto. Un abbigliamento, quello sì costituito, che
per quanto avrebbe evidentemente voluto emulare una qualche parvenza
marinaresca attorno alla figura del suo proprietario, non avrebbe altresì
mancato di tradirlo nell’osservare i suoi stessi piedi, dove essi, infatti, si
presentavano stretti in robusti stivali di cuoio neri. Considerabili, questi
ultimi, forse indispensabili per affrontare comodamente la terraferma, essi
sarebbero stati abiurati da qualsiasi vero figlio del mare, paragonabili alla
peggiore delle torture loro adducibili, nel preferire, altresì, l’utilizzo di
sandali, decisamente più comodi da indossare e rapidamente sfilare, a
548 Sean MacMalcom
concedere in tal modo al nudo piede un contatto autentico con il legno del
ponte di una nave. In effetti, egli era quanto di più lontano potesse esistere
da un figlio del mare, nonostante nel proprio vestiario avesse voluto
lasciarsi candidamente influenzare dall’ultima, e unica, avventura vissuta
insieme alla donna guerriero, nel corso della quale aveva lasciato, per la
prima volta, i confini della città del peccato per spingersi, addirittura, ad
affrontare i misteri e i pericoli delle immense distese d’acqua.
A completare il quadro, quantomeno originale, così da lui offerto in
quel momento all’attenzione, effettivamente scarsa nei suoi stessi riguardi,
della propria anfitrione, poi, sarebbero dovute essere considerate una
borsa di pelle marrone scuro, indossata a tracolla, e due lunghe coperture
poste a protezione delle sue stesse braccia: in stoffa scura, strette da un
intreccio di lacci bluastri, esse incominciavano il proprio cammino
all’altezza delle dita delle mani, per giungere, più in alto, poco sotto le
spalle lasciate nude dalla particolare casacca scelta.

«E’ stato imprudente da parte tua accogliermi con tanta leggerezza.»


tentò di obiettare egli, cercando di darsi un minimo di contegno
nell’avanzare oltre la porta, richiudendola alle proprie spalle «Sarebbe
potuto esserci chiunque al mio po…»
«E’ stato imprudente da parte tua venire a disturbarmi con tanta
leggerezza, scudiero!» replicò l’altra, storcendo le labbra e avviandosi
verso la piccola stanza da bagno, per poter sciacquare il proprio viso e
ritrovare pieno contatto con la realtà «Avrei potuto spingere la mia spada
oltre la porta, senza neppure premurarmi nel merito dell’identità
dell’idiota molesto lì presente.»

Seem, tale era il suo nome, partendo da semplice garzone in quella


stessa locanda, si era guadagnato la possibilità di ascendere al ruolo di
scudiero della mercenaria semplicemente osando sognare di giungere
dove alcun altro, prima di lui, aveva mai tentato di sospingersi. Proprio in
ciò, nella dimostrazione di un animo comunque animato da un potenziale
inespresso, egli era stato benevolmente accolto dalla donna, la quale non
aveva mancato di concedergli l’occasione desiderata come obiettivo finale
di un lungo e impegnato cammino: egli aveva pertanto dovuto porre in
seria discussione tutta la propria vita e ogni certezza prima ritenuta tale,
morendo e rinascendo in simile esperienza.
Sempre presente accanto a lui, in quel percorso, nel ruolo di mentore
e, forse, anche di giudice, preposto a valutare il suo livello di preparazione
e la possibilità di essere realmente utile al fianco della propria signora, era
allora stato Degan, un antico maestro d’arme della stessa donna guerriero.
Quest’ultimo, per esplicita richiesta di colei che un tempo era stata sua
MIDDA’S CHRONICLES 549
protetta e allieva prediletta, non aveva mancato di porre il massimo
impegno, e la massima severità, nella formazione di quel giovane,
consapevole di come qualsiasi indulgenza in tale compito avrebbe
rischiato di porre accanto a una pur formidabile combattente, un fattore di
svantaggio tale da farle rischiare la propria vita, mettere in pericolo il
proprio futuro. Così, nel presupposto che sarebbe stato sicuramente
meglio per il ragazzo essere ucciso durante l’addestramento che al termine
del medesimo, dove tale fato fosse stato a lui assegnato dagli dei in
conseguenza della propria incapacità a tenere testa a un avversario, Seem
era stato forgiato con costanza e decisione, riuscendo in tempi comunque
straordinariamente brevi a raggiungere significativi risultati, a riprova di
quanto l’intento prefissato non fosse stato per lui semplice retorica, non si
fosse proposto quale un vano capriccio.
Al termine della loro prima avventura insieme, quasi una sorta di
esame nel merito delle capacità del proprio possibile scudiero, Midda
aveva acconsentito a confermare la propria scelta, richiedendo però al
giovane l’impegno a terminare comunque la propria formazione con il
maestro, ancor prima di qualsiasi ulteriore azione al suo fianco. Per tale
ragione, oltre ovviamente per evidenti necessità di riserbo nell’aver ella
scelto la via dell’inganno, del mascheramento allo scopo di perseguire il
successo nella propria missione in terra y’shalfica, egli non le aveva più
offerto i propri servigi quale scudiero, posticipando tale onore a occasioni
future che, speranzosamente, non sarebbero comunque mancate.

«Sia chiaro che, comunque, ho apprezzato lo sforzo a evitare stati


catatonici, soprattutto dopo avermi tanto bruscamente risvegliata.»
continuò la voce della Figlia di Marr’Mahew provenendo dal bagno, nel
riferirsi chiaramente al rimprovero da lui offerto per l’imprudenza
effettivamente compiuta, sperando poi, in tal modo, di evitare
nuovamente silenzio da parte del proprio interlocutore.
«Non era mia intenzione esserti di disturbo, mia signora.» tentò di
giustificarsi, più a livello formale che sostanziale, come immediatamente
chiarì nel proseguo, negando di essersi posto qualsivoglia remora nel
merito dell’orario scelto e della possibilità che ella, in tal mentre, stesse
ancora dormendo «Ma appena ho avuto notizia del tuo ritorno in città,
non ho potuto evitare di accorrere alla tua ricerca, necessitando
disperatamente della tua presenza.»

Sebbene almeno una dozzina di diverse risposte ironiche e maliziose


sarebbero potute, in quel momento, essere formulate dalla fantasia donna
guerriero, qualcosa nel tono del giovane le impose di trattenere ogni
MIDDA’S CHRONICLES 689

Ringraziamenti

“Non avrei potuto sperare in nulla di meglio…”: con queste parole si


chiude il tredicesimo racconto della saga di Midda’s Chronicles. E se Midda
non avrebbe potuto sperare nulla di meglio, almeno secondo quanto da lei
stessa così dichiarato, permettetemi di dire che neppure io stesso, in
verità, avrei mai potuto sperare nulla di meglio per questa meravigliosa
esperienza editoriale.

Per quanto possa essere faticoso, impegnativo e, talvolta persino


svilente, nel ritrovarsi a confronto con mentalità ottuse che non riescono a
concepire qual meritevole di qualsivoglia eventuale rispetto una
pubblicazione proposta nei termini di questa, reazioni nel confronto con le
quali un autore meno “menefreghista” del sottoscritto probabilmente
avrebbe già deciso da lungo tempo di arrendersi, è altrettanto e ancor più
indubbiamente vero e importante constatare quanto, soprattutto in questo
secondo anno di pubblicazioni online, nonché di preparazione a questo
terzo volume cartaceo, mi sia ritrovato a essere incredibilmente sostenuto
da molte, molte, molte parole di inatteso appoggio, di incredibile fiducia
da parte di miei inattesi lettori, “fan”, se tale termine può, addirittura,
essere utilizzato in questo particolare contesto, che mi hanno ampiamente
ricompensato di tutte le badilate sui denti altrove pur riconosciutemi.
Primi fra tutti questi inaspettati e fedeli lettori, sono coloro che hanno
accettato di firmare la Prefazione di questo Volume Terzo, amici del forum
Locanda della Terra di Altrove (http://www.terradialtrove.it/), i quali,
addirittura dal settembre 2009, in effetti, hanno deciso di adottarmi qual
uno fra loro, riconoscendomi sin da subito, per quanto forse
immeritatamente, un ruolo d’onore, un posto sul palco, accanto ad altri e
più famosi autori del panorama fantasy italiano e che, ancor più che a
chiunque altro, hanno voluto offrirmi fiducia e sostegno in questo
quotidiano e abitualmente solitario cammino.
A Gio, cordiale padrona di casa, e a tutti gli amici della Locanda, non
posso che offrire i miei più sinceri ringraziamenti, non solo per la
Prefazione di cui mi hanno voluto offrire dono, con un meraviglio impegno
comunitario, ma anche per ogni singolo giorno trascorso in loro
compagnia e il loro sincero affetto più volte dimostratomi.

Accanto a questo primo, irrinunciabile ringraziamento, doveroso


forse, ma ben lontano dal potersi considerare oneroso nella propria
690 Sean MacMalcom
incombenza, non posso poi mancare di aggiungere un ringraziamento
tutt’altro che nuovo entro i limiti di queste pagine conclusive di una
pubblicazione cartacea di Midda’s Chronicles, e che, ciò nonostante, non
posso e non voglio evitare di ripetere in occasione anche di questo Volume
Terzo, là dove inalterato, se non addirittura sempre crescente, è stato
l’impegno della persona in questione al fine di dar vita a questo stesso
libro, non solo nella creazione delle immagini che lo arricchiscono e lo
rendono, ne sono convinto, un piccolo gioiello, ma, anche e giustamente,
per il tempo e la pazienza da lei dimostrati nell’essermi accanto nella terza
e ultima fase di revisione e correzione dell’intero libro, in lunghe e
stancanti serate trascorse a domandare pietà alle proprie orecchie nella
tortura imposta loro dalla mia voce. Come eventuali lettori di vecchia data
avranno sicuramente intuito, mi sto rivolgendo in queste parole di
gratitudine a Giuliana Lagi, mia madre, senza la quale, sicuramente,
questo terzo libro non potrebbe essere ciò che è.

Terzo, necessario e sincero ringraziamento, poi, non può che essere


rivolto a tutti coloro, te incluso, che hanno mai posto le proprie mani su
uno di questi libri e che, nel leggere le storie in essi contenuti, hanno
trovato ragione di emozionarsi, appassionarsi o, anche semplicemente, di
distrarsi. A te… a voi e a tutti i lettori più o meno occasionali del blog di
Midda’s Chronicles, non possono che essere rivolti gli ultimi, ma non per
questo meno importanti, “grazie” che desidero porre ad accompagnare
questo volume: che io vi conosca o no, che abbia mai avuto esplicita
coscienza della vostra presenza o no, sappiate che verso ognuno di voi è
tutta la mia gratitudine per quanto avete voluto riconoscermi sino a oggi.
Ancora grazie di cuore, a te, lettore, che stai ora concludendo la lettura
di questi titoli di coda, nella speranza di poterci presto ritrovare tutti
insieme in un nuovo, appassionante, capitolo di queste epiche avventure!

Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 691

Prossimamente…

Il ritorno in scena dei quattro cavalieri, del saggio… anzi, sapiente


Sha’Maech, di lady Lavero e di una potente regina, andranno a complicare
la vita di Midda Bontor, già sufficientemente caotica in conseguenza di un
marito forse immortale, un amico chiaramente innamorato e uno scudiero
un poco imbranato, in un crescendo di eventi che porterà sino al fatidico
diciassettesimo racconto della saga, dal titolo estremamente esplicativo
“Memento mori”.
Il titolo non è abbastanza inquietante? E se specificassi come, in
origine, dovesse essere “Requiem per Midda”, sarebbe meglio?

Fra… boh!, questa volta evito previsioni di sorta, eventi destinati a


segnare in maniera indelebile il presente e il futuro della mercenaria dagli
occhi color ghiaccio, e molto altro ancora, saranno narrati in…

MIDDA’S CHRONICLES
VOLUME QUARTO

LA SFIDA DEL SAPIENTE


E ALTRE STORIE
692 Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 693

Siamo un gruppo di persone assolutamente normali, lavoratori e studenti,


che si ritrovano accomunate da una medesima passione, da uno stesso
interesse: quello per la scrittura creativa.

Uniti da questo piacere comune, abbiamo deciso di scrivere sfruttando le


virtù della blogosfera, per esprimere indipendentemente le nostre fantasie,
i frutti del nostro tempo libero e del nostro impegno, trovando l’un l’altro
reciproco aiuto, consiglio, sostegno, per rendere la forza di ognuno di noi
quella di tutti ed essere uniti di fronte all’immensità del World Wide Web,
in cui altrimenti potremmo perderci.

Non fingiamo di essere nulla di più di ciò che siamo, non ci arroghiamo il
diritto di ambire a nulla di più di ciò che la libertà di Internet ci consente
di cercare: non crediamo di essere grandi scrittori, non vogliamo cambiare
il mondo con ciò che scriviamo. Semplicemente seguiamo un interesse,
con passione e umiltà, accogliendo a braccia aperte chiunque voglia unirsi
a noi in questo cammino.

Se ti ritrovi descritto in queste parole, se hai voglia di metterti in gioco


insieme a noi… unisciti a NWN!

NEW WAVE NOVELERS


Una nuova frontiera del blog novelizing in Italia

http://newwavenovelers.altervista.org/
694 Sean MacMalcom

Midda Bontor:
donna guerriero per vocazione,
mercenaria per professione.

In un mondo dove l’abilità nell’uso di un’arma


può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul
numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide
per offrire un senso alla propria esistenza.

Continua a seguire le avventure di Midda


sul blog che ha dato origine a questo libro:

MIDDA’S CHRONICLES
http://www.middaschronicles.com/

Ogni giorno un nuovo episodio,


un nuovo tassello ad ampliare il mosaico
di un nuovo universo fantasy sword & sorcery,
nel narrare le Cronache di Midda.

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