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A CASO
LA SORTE
LA SCIENZA E IL MONDO
BOLLATI BORINGHIERI
Saggi scientifici
IVAREKELAND
A caso
La sorte, la scienza e il mondo
BOLLATI BORINGHIERI
Prima edizione settembre 1992
A caso : la sorte, la scienza e il mondo/ Ivar Ekeland. -Torino Bollati Boringhieri, 1992
156 p. ; 22 cm. -(Saggi scientifici)
l. EKELAND, Ivar
l. PROBABILITÀ. Teoria
CDD 519.2
(a cura di S. & T. - Torino)
INDICE
Prefazione 7
Alea 11
2 Destino 37
3 Anticipazione 61
4 Caos 78
5 Rischio 118
6 Statistica 135
Conclusione 153
FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI
Pagine II, 37 , 61, 78, u8, 13 5 , 1 53 : da Snorri Sturlasson, Kon gesa gaer,].M. Grenerssen
& C. Forlag, Christiania 1899· Pagine 96, 99 : da L'Art scandinave, I, coli. << La nuit cles
temps», Zodiaque, Saint-Léger-Vauban 1969.
PREFAZIONE
1 Per una traduzione della Voluspa, vedi Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardi
gli, trad. P. S cardigli e M. Meli, Garzanti, Milano 1 98 2 , pp. 5-2 5 . La citazione è
a p. 1 2 .
8 PREFAZIONE
Alea
Torstein Frode narra che a Hising c'era una città che aveva legato la sua sorte
ora alla Norvegia ora alla Svezia. I due re si accordarono allora di tirare a sorte
per decidere a chi dovesse toccare il possesso della città: essi avrebbero lanciato
i dadi e avrebbe vinto chi avesse conseguito il totale più elevato. Il re di Svezia
ottenne due sei, e disse che non era più il caso che il re Olav lanciasse i dadi a
sua volta. Ma questi rispose, scuotendo i dadi nel suo pugno: « In questi dadi
rimangono ancora due sei, e non è difficile a Dio, mio Signore, farli uscire ».
Lanciò i dadi, e ottenne un doppio sei. Fu poi di nuovo la volta del re di Svezia,
che ottenne un altro doppio sei. Poi lanciò il re Olav, e uno dei dadi diede
ancora sei, ma l'altro si ruppe in due pezzi, che diedero la somma di sette punti .
La città spettò dunque a re Olav. 1
1 Snorri Sturluson, Heimskrin gla, 6/dfs sa ga belga (Saga di sant'Oiao), cap. 94.
12 CAPITOLO PRIMO
nella parte bassa del piano, o in altre zone del biliardo, così che la palla
vada a cadere necessariamente in una di esse. Non dovendosi favorire
l'abilità, la palla sarà messa in movimento da un dispositivo meccanico
che la lancerà in salita per mezzo di una molla, la quale sarà caricata più
o meno dal giocatore. Questo biliardo meccanico non sarà meno aleato
rio dei dadi tradizionali. Esso sarà certamente meno pratico, in quanto i
dadi si possono portare in tasca e sono facilmente disponibili in qualsiasi
circostanza, ma in linea di principio niente vieta di pensare che i due re
potessero decidere la sorte della città per mezzo di un dispositivo del
genere. Qualche secolo dopo, il progresso tecnologico avrebbe trasfor
mato il biliardo meccanico nel biliardo elettrico, il flipper, e il gioco
d'azzardo si sarebbe riconvertito in gioco di abilità.
2 Genesi 30, 3 1 -42 . [Per i passi biblici citati si riporta la versione a cura della
Società Biblica Italiana, La Bibbia concordata, Mondadori, Milano 1 968] .
16 CAPITOLO PRIMO
Si deve notare che i vangeli non precisano chi abbia vinto la sacra
tunica e che, nella Scrittura come nella Tradizione, si perdono da quel
momento le tracce del prezioso oggetto. Si trattava dunque di affer
mare un principio, più che di riferire su un destino particolare, e quel
principio era che le cose indivisibili non devono essere divise. La Tra
dizione riconobbe molto presto nella tunica inconsutile di Cristo
un'immagine di Nostra Madre Chiesa, la cui unità dev'essere pre
servata contro gli eretici, gli scismatici e altri seguaci del demonio.
Ma lo stesso principio si applica anche a cose di importanza minore,
come una città, indivisibile per natura, e il comportamento di Olav
Haraldsson è dunque pienamente giustificato.
Sullo stesso argomento si potrebbero invocare altre testimonianze
di importanza minore. « In grembo si getta la sorte, ma dal Signore
viene ogni decisione » (Proverbi, 1 6, 3 3). È la sorte a designare Mattia
per completare i dodici apostoli (Atti, 1 , 2 6), e a indicare in Zaccaria
colui che deve entrare nel tempio del Signore a offrire l'incenso (Luca,
l, 9). È col procedimento a sorte, «urim » o «tummim>>, che l'Onnipo
tente indica i colpevoli, Gionata (l Samuele, 1 4, 37-43), Giona (Giona,
l, 1 - 1 0), Acan (Giosuè, 7, 1 0-2 3), e che designa Saul come re di Israele
(l Samuele, 1 0, 2 0-24). Secondo l'espressione di sant'Agostino (Enarra
tiones Psalmos, ps. 3 0, 1 6, enarr. 2 , serm. 2), «sors non est aliquid mali, sed
res, in humana dubitatione, divinam indicans voluntatem >>.
Fin qui la dimostrazione di frate Edvin è irreprensibile, tanto dal
punto di vista del ragionamento quanto da quello dell'ortodossia. A
partire da questo momento, però, egli si lascia visibilmente trascinare
IlM. Ma, dopo tutto, ciò che il computer fa in questo caso non è altro
che produrre i primi M numeri in un ordine diverso dall'ordine natura
le: è quindi giustificato parlare di caso per un'operazione di questo
genere? Anche qui il caso è nell'occhio dell'osservatore: è la nostra in
capacità di abbracciare in un sol colpo d'occhio un miliardo di numeri
o più, unita alla nostra ignoranza della regola usata dal computer per
classificarli, a farci apparire casuale la loro successione. Un osservatore
più perspicace saprebbe senza dubbio scoprire nella loro distribuzione
regolarità nascoste, le quali sarebbero altrettanti indizi del fatto che qui
il caso non ha nulla a che fare.
Ecco un esempio semplice di una tale situazione. Supponiamo che si
voglia sorteggiare un punto dell'intervallo (0, 1), secondo una distribu
zione uniforme. Decidiamo innanzitutto la precisione con cui operere
mo, per esempio 32 bit. Ciò significa che il computer non prenderà in
considerazione se non numeri la cui rappresentazione binaria comporti
solo 3 2 segni, il che equivale a sostituire l'intervallo (0, l) con una rete
di M = 2 32 punti equidistanti compresi fra O e l. Ciò fatto, si sorteggerà
uno di di tali punti utilizzando un generatore aritmetico
X. +, = (aX. + c) modulo M.
Si potranno adattare le costanti a e c in modo che ci sia un solo
ciclo, di periodo M, così che gli M punti dell'intervallo (0, l) vengano
sorteggiati ognuno una volta per ciclo. Si può quindi ritenere che essi
abbiano tutti la stessa frequenza 1 /M e che si sia realizzato così un sor
teggio uniforme sull'intervallo (0, 1 ) .
M a che cosa accade s e s i vuole estrarre a sorte u n punto in u n qua
drato, sempre seguendo una distribuzione uniforme? Diciamo che il
quadrato ha lato l; ogni punto del quadrato è rappresentato allora da
due numeri, x e y, compresi entrambi fra O e l, che rappresentano uno
la sua proiezione orizzontale (ascissa) e l'altro la sua proiezione verti
cale (ordinata). Se si sostituisce, come in precedenza, l'intervallo (0, l)
con M punti equidistanti, si ottengono M possibilità per la proiezione
orizzontale, x, e M possibilità per la proiezione verticale, y, cosa che
corrisponde a M x M= M2 possibilità per il punto (x,y). Si ottengono
infine M2 punti distribuiti uniformemente sul quadrato. Per tirare a
sorte uno di questi punti, basta sorteggiare successivamente le sue due
proiezioni x e y. Se queste due uscite sono indipendenti, e distribuite
uniformemente, si potrà ottenere qualsiasi punto del quadrato, ognuno
con la stessa frequenza 1 1M2•
ALEA 27
X0=0 X6=8
X1=3 X7=l
X2=6 X8=4
X3=9 X9=7
X4 =2 X10=0=X0
X5=5 Xu=3=X�>
ossia un ciclo completo, che passa per tutti i numeri interi da O a 9. Ciò equivale
a scrivere questi numeri in un ordine diverso da quello naturale. Il computer
conserva in memoria l'ultimo numero fornito e, ogni volta che gli si chiede un
numero, dà quello successivo nell'elenco.
Questo generatore può essere utilizzato per «sorteggiare>> un punto apparte
nente all'intervallo [0, 1]. A questo scopo si sostituisce l'intervallo con 10 punti
equidistanti:
O=Q ! I l � i Q 2 � 2=1
9' 9' 9' 9' 9' 9' 9' 9' 9' 9 '
o 2 3 4 s 6 7 8 9
Ordinandoli come abbiamo ordinato gli interi, otteniamo una regola di succes
sione che rappresentiamo simbolicamente in questo modo (ogni punto è con
nesso da una freccia a quello che lo segue):
e, questa volta, nessuno potrà ingannarsi: questi punti non sono equidistribuiti.
I sorteggi non sono quindi indipendenti.
I generatori aritmetici d'uso corrente fanno intervenire suddivisioni molto più
fini e cicli molto più lunghi (M""' 2 32). I cicli, nondimeno, esistono, e possono
condurre a sorprese sgradevoli.
30 CAPITOLO PRIMO
inesauribile del caso. Se X�' X1, , X" sono uscite indipendenti equidi
•••
6 [Il riferimento è a Parmenide, 26, 1 64b- 1 65d. In particolare: « Quali sono le affe
zioni conseguenti agli altri, se l'uno non è? » «Perché sempre quando si voglia afferrare
col pensiero qualcuno di essi ( ... ) avanti al principio sempre appare un altro principio e
dopo la fine sempre un'altra fine rimane e in mezzo sempre altre parti che sono più in
mezzo della parte intermedia e più piccole» (trad. A. Zadro, in Platone, Opere complete,
vol. 3 , Universale Laterza, Laterza, Bari 1 97 1 , pp. 64 sg., 1 64b, 165a-b)].
ALEA 33
una sorta di caccia in cui la selvaggina riesce sempre a sottrarsi alla cat
tura, come in quei cartoni animati classici in cui si manifesta una vera
genialità nel mettere in ridicolo il cacciatore. Ben si comprende il ner
vosismo di quest'ultimo, e la meticolosità con cui mette in atto trap
pole sempre più elaborate per mettere infine le mani sul responsabile
delle sue sofferenze. Noi sappiamo bene che i suoi sforzi saranno vani
e che egli avrà di nuovo la peggio, ma egli ci crede a tal punto, e sem
bra ogni volta così vicino a raggiungere il suo obiettivo, che la crudeltà
e l'ingegnosità con cui il cartoonist ritorce a suo danno le situazioni più
favorevoli ci lasciano palpitanti e ammirati. È dunque da conoscitori
che apprezzeremo l'abilità con cui la natura ci si sottrae, e particolar
mente il modo in cui si serve del caso per celarsi al nostro sguardo.
A cominciare dalla scala della molecola, si entra nel regno della
meccanica quantistica. Certo, questa fa qualche incursione nel campo
macroscopico, e fenomeni come la superfluidità o la superconduttività
faranno parte d'ora in poi della nostra percezione. La teoria si presenta
come un dittico, la cui prima tavola è puramente deterministica. Essa
raffigura l'evoluzione dei sistemi fisici isolati. Ognuno di essi è rappre
sentato da un vettore di stato preso in uno spazio di dimensione infini
ta: lo spazio di Hilbert. È proprio della meccanica quantistica fare
appello a questo spazio per descrivere lo stato di un sistema fisico isola
to, e i fisici hanno avuto una certa difficoltà ad abituarvisi. Questo disa
gio si manifesta particolarmente nella terminologia, in cui il «vettore
di stato» stenta a imporsi sul suo sinonimo « funzione d'onda». Ma
l'evoluzione stessa è puramente deterministica, essendo governata da
un'equazione differenziale, l'equazione di Schrodinger, la quale si
svolge quindi in uno spazio di Hilbert in sostituzione degli spazi abi
tuali di dimensione finita. Volendo essere perfettamente rigorosi, ci si
dovrebbe limitare a considerare una sola funzione d'onda, quella del
l'universo nella sua interezza, ma, come nella fisica classica, ci si può
anche accontentare di approssimazioni, e considerare certi sottosistemi
come se fossero isolati, almeno momentaneamente, e avessero quindi
una funzione d'onda loro propria: particelle, atomi o molecole.
L'altra tavola del dittico è puramente probabilistica: essa descrive le
operazioni di misura. Misurare una grandezza fisica - posizione o velo
cità, energia o tempo - equivale a trasferire il sistema dalla prima tavola
alla seconda. Il risultato della misurazione sarà quello di un sorteggio.
Più precisamente, il vettore di stato può essere analizzato come una
34 CAPITOLO PRIMO
hanno dato tutti esito negativo. Siamo dunque ridotti all'idea che il
caso che interviene nella meccanica quantistica non sia riducibile a un
sottostante determinismo. Lo stesso determinismo macroscopico che
regna alla nostra scala è riducibile al caso quantistico grazie alle leggi
della statistica, che si esercitano su numeri immensi di particelle. È
dunque il caso che sembra essere il dato fondamentale, il messaggio
ultimo della natura.
Eccoci quindi costretti a rimetterei a qualche macchina enorme, in
grado di spiare il comportamento delle particelle elementari. Forse in
futuro si perverrà ad addomesticare il caso quantistico, e a dispensarlo
in dispositivi miniaturizzati, che troveremo nelle calcolatrici per stu
denti come pure nelle slot-machine. Tutti, matematici e giocatori,
avranno allora accesso alla fonte stessa del caso, puro e inalterabile. Ma
questo caso addomesticato non ci sorprende più; noi ci attendiamo una
scelta fra varie uscite che conosciamo in anticipo. L'emozione dinanzi
all'imprevisto, la gioia di vedere l'orizzonte recedere bruscamente e il
timore dei pericoli che si celano in nuove terre, tutti questi sentimenti
che ci turbano quando vediamo fendersi il dado e uscire il sette, dob
biamo cercarli nella nostra storia, e non in nuove tecnologie.
CAPITOLO 2
Destino
Il re Olav Trygvesson partì per Tunsberg, dove convocò il ting. Presavi la paro
la, proclamò che chiunque si dedicasse apertamente alla magia o alla stregone
ria, o praticasse il seid, 1 doveva lasciare il Paese. Poi ordinò di cercare tutti
coloro che, nella città o nei dintorni, si dedicavano a tali pratiche. Fra costoro
c'era un uomo di nome 0yvind Kjelda, che discendeva da Araldo Bella chioma e
che era molto esperto nel seid e nella magia. Il re Olav li fece riunire tutti in
una grande sala dove offrì loro un banchetto, avendo cura che non mancassero
di nulla e che bevessero molto. Quando furono ubriachi, fece appiccare il fuoco
alla casa, la quale arse con tutti i suoi occupanti, a eccezione di 0yvind Kjelda,
1 Il seid, o sejdr, era un insieme di riti magici destinati particolarmente alla divina
zione; pare che, dopo essere stato una delle pratiche essenziali del paganesimo nordi
co, sia scomparso con la cristianizzazione dei paesi scandinavi, spesso condotta con
metodi brutali.
38 CAPITOLO SECONDO
che fuggì dal tetto. Quando era ormai lontano dalla città, 0yvind incontrò
alcuni viaggiatori che andavano dal re . Chiese loro di annunciargli che 0yvind
Kjelda era sfuggito all'incendio, che non sarebbe mai più caduto nelle sue mani
e che avrebbe continuato a praticare la propria arte. Giunti in presenza del re, i
viaggiatori gli riferirono il messaggio di 0yvind, e il re disse che era un vero
peccato che 0yvind non fosse morto.
Tornata la primavera, il re Olav partì verso ovest e soggiornò nei suoi possedi
menti del Vik. Fece annunciare in tutta la regione che nell'estate avrebbe
arruolato un esercito e sarebbe partito verso il nord del Paese. Poi risalì verso
Agder. Verso la fine della quaresima si mise in viaggio alla volta del Rogaland,
e trascorse la notte di Pasqua ad Àgvaldsnes, nell'isola di Karm, con trecento
uomini. La stessa notte nell'isola arrivò, a bordo di una nave lunga/ 0yvind
Kjelda. L'equipaggio della nave era composto di praticanti del seid e di stregoni
di ogni sorta. 0yvind e i suoi uomini sbarcarono sull'isola e cominciarono a
gettare il malocchio a destra e sinistra. Essi suscitarono una nebbia così densa
che il re e i suoi uomini non potessero vederli. Quando però arrivarono ad
Àgvaldsnes, si era fatto giorno, e le cose andarono diversamente da come aveva
previsto 0yvind. La magia si ritorse contro di loro, e la nebbia da loro suscitata
li colse, impedendo loro di vedere a un palmo dal naso, cosicché non facevano
altro che girare in cerchio. Le guardie li scorsero, anche se non riuscivano a
capire che cosa facessero. Fu avvertito il re, che si alzò e si vestì, come pure il
suo seguito. Quando il re vide 0yvind e i suoi compagni, ordinò ai suoi uomini
di armarsi e di andare a identificarli. Gli uomini del re riconobbero 0yvind e lo
fecero prigioniero, lui e gli altri. 0yvind fu condotto alla presenza del re e
dovette dirgli che cos'era accaduto. Il re Olav li fece legare tutti a una scogliera
che all'alta marea veniva ricoperta completamente dal mare. Così perirono 0y
vind e i suoi compagni; da allora quella roccia si chiama Skratteskja:r, la Sco
gliera dei Maghi. 3
secondo la formula
xn+ l = l - � .
Diamo al parametro !l i l valore l , 5 , scegliamo per valore iniziale
X0 = O, e generiamo con l'aiuto della formula precedente la successione
infinita X� ' X2, X1 , I primi dodici termini della successione si scri
• • •
lo l l l l lo l l lo l l l l lo l l lo lo l l l l lo l l lo
1 0 1 1 1 1 1 0
smissione si sono quindi utilizzate 2 logN caselle (ossia logN per indi
care il numero di zeri e altrettante per indicare il numero di uno).
Come contropartita, si è ridotta considerevolmente l'incertezza, poi
ché, con n 0 zeri ed n, uno, si possono costruire solo
(n o + n Y
n0! n , !
messaggi distinti. Nella seconda parte della trasmissione basterà indi
care il numero d'ordine del messaggio voluto, cosa che occupa ancora,
in caselle, il logaritmo del numero precedente. Eseguito ogni calcolo,
si trova che, per N abbastanza grande, si può trasmettere qualsiasi mes
saggio di lunghezza N utilizzando al massimo
Grosso modo, è il numero di cifre necessarie per scrivere N in base 2. Per esempio,
il logaritmo di l è O, il logaritmo di 2 è l, il logaritmo di 1 12 è - l e il logaritmo di 2 "
è n. I l logaritmo d i u n numero inferiore a l è negativo, cosa che spiega l'apparizione
del segno meno nella formula dell'entropia.
9 C. E. Shannon, A Mathematical Theory of Communication, in << Beli System Tech
nical Journal >>, XXVII ( 1 948), pp. 3 79-42 3 e 62 3 -56. Vedi anche il libro di A. I.
Khintchine, Mathematical Foundations of lnformation Theory, Dover, New York 1 9 5 7 .
[In italiano s i può vedere C. E. Shannon e W . Weaver, L a teoria matematica delle comu
nicazioni, trad. P. Cappelli, Etas Kompass, Milano 1 9 7 1 ] .
DESTINO 47
12
Are Our Mathematics Natura/?, in «Bulletin of the American Mathematical
Society>>, XIX ( 1 988), pp. 2 5 9-68.
DESTINO S7
13 [Viandante, son le tue impronte I la via e nulla più; l viandante, non c'è una via,
I la via si fa camminando] .
14 Gunnar Ekeliif, Detta oerhiirda, in Opus incertum, ! 959.
58 CAPITOLO SECONDO
15 Goethe, Faust, parte II, atto V, Tiefe Nacht (Notte profonda). « La parola, l'antica
parola risuona: Ubbidisci volente alla violenza! Se sei ardito ed opponi resistenza, allora
arrischia casa e beni e te stesso! » [trad. G. V. Amoretti, Faust e Urfaust, testo tedesco
con traduzione a fronte, Utet, Torino 1 950, e Feltrinelli, Milano 1 965, pp. 6 1 6 sg.].
DESTINO 59
Anticipazione
le più veloci, scomparvero ben presto alla vista. Olav Trygvesson rimase
con le sue undici navi più grandi, che un traditore, lo jarl Sigvalde, doveva
guidare verso il mare libero per un canale che assicurasse loro un pescag
gio sufficiente. In realtà le guidò diritte nelle fauci del lupo.
Svein di Danimarca, Olav di Svezia e lo jarl Eirik erano presenti con mtto il loro
esercito. Il tempo era bello e il cielo chiaro; i capi salirono su un'almra, ognuno col
suo seguito, e videro una lunga fila di navi allontanarsi in mare . Poi videro una
nave grande e maestosa far vela verso di loro. I due re dissero allora: « Che nave
imponente, e com'è bella! Dev'essere il Lungo drago». Eirik replicò: « Non è il
Lungo drago», e aveva ragione, poiché quel drakkar apparteneva a Eindride di Gim
san. Qualche istante dopo videro passare un altro drakkar, molto più grande del
primo. Il re Svein disse allora : «Olav Trygvesson ha paura; non osa inalberare
un'insegna sulla sua nave » . Ma Eirik ribatté: «Non è la nave ammiraglia. Io cono
sco la nave e la sua vela, la quale ha delle righe. Quello che sta passando è Erling
Skjalgsson: !asciamolo andare. Per noi è meglio che il re Olav non possa contare su
questo drakkar; armato com'è, ci causerebbe molti danni ». Un po' dopo videro i
drakkar dello jarl Sigvalde, e li riconobbero; i drakkar si diressero proprio verso di
loro. Poi videro tre drakkar con le vele spiegate, il primo dei quali era di una gran
dezza davvero eccezionale. Allora il re Svein ordinò di imbarcarsi, gridando che
stava arrivando il Lungo drago. Eirik disse: « Hanno molte altre navi grandi e impo
nenti, oltre al Lungo drago, aspettiamo ancora un po' >>. Cominciò allora a spargersi
un mormorio: « Lo jarl Eirik non vuole battersi e vendicare suo padre. È una grave
onta, e se ne diffonderà la fama nel mondo intero : noi rimaniamo inattivi con la
nostra immensa flotta, e il re Olav prende il largo sotto il nostro naso >>.
Questa discussione stava ancora continuando quando essi videro quattro drakkar
che procedevano a vele spiegate, e uno di essi inalberava un' enorme testa di drago
ricoperta d'oro. Allora il re Svein si levò e disse: «Il Drago mi leverà in alto questa
sera; sarò io a pilotarlo>>. Gli altri esclamarono che il Drago era una nave gigante
sca, e bellissima, e che era un uomo coraggioso colui che l' aveva fatta costruire. Ma
Eirik disse, in modo che in pochi lo sentissero: «Anche se il re Olav non avesse un
drakkar più grande di questo, il re Svein e i suoi danesi, da soli, non riuscirebbero
a prenderlo>>. Gli uomini scesero allora verso le navi e cominciarono a smontare le
tende. Ma mentre i capi aspettavano discutendo dei fatti che abbiamo appena rife
rito, videro apparire tre possenti drakkar, e un quarto dietro di essi, ed era quello il
Lungo drago. Le altre due navi che avevano in precedenza scambiato per il Lungo
drago erano l'una il Tranen e l' altra l'Ormen Smtte, il Drago corto. Non appena eb
bero visto il Lungo drago, lo riconobbero però rutti per quello che era, e non ci fu
alcuna discussione; era Olav Trygvesson che stava solcando il mare. Si imbarca
rono e si prepararono alla battaglia . 1
una crisi che darà loro ragione. Gli increduli non potranno far altro che
convertirsi a quella che sarà ormai una costante dell'economia, fino a
quando non prenderà il sopravvento un'altra opinione.
Il dato di base della vita economica è l'incertezza. Incertezza sul
futuro, certo. Chi può sapere oggi quale frutto darà da qui a trent'anni
un investimento? Il problema dipende da una quantità tanto grande di
parametri diversi - alcuni dei quali, come l'evoluzione politica o il pro
gresso tecnologico, esorbitano dal quadro propriamente economico -,
che il nostro sguardo si confonde e noi rinunciamo a ogni previsione
CAPITOLO TERZO
graziose, e nemmeno quelle che una genuina opinione media ritenga le più gra
ziose. Abbiamo raggiunto il terzo grado, nel quale la nostra intelligenza è
rivolta ad indovinare come l'opinione media immagina che sia fatta l'opinione
media medesima. E credo che ci siano alcuni i quali praticano il quarto, il
quinto grado e oltre.
Quel che risulta nel modo più chiaro da tutte queste situazioni è che
non può esistere un metodo che garantisca il successo a uno dei gioca
tori. Occorre infatti partire dal principio che essi sono entrambi razio
nali, che dispongono della stessa informazione, e che ognuno di loro è
quindi in grado di riprodurre i ragionamenti dell'avversario. Se esi
stesse un argomento invincibile che convincesse per esempio il portiere
a buttarsi a destra, questo argomento sarebbe in possesso anche del suo
avversario, che, giudicandolo perfettamente convincente, anticiperebbe
non meno perfettamente la reazione del portiere e tirerebbe dall'altra
parte.
Ecco perché il meglio che la teoria dei giochi abbia potuto fare nel
l'analisi di questo genere di situazioni è stato di introdurre nella deci
sione un elemento di caso. Se il portiere tira a testa o croce da quale
parte buttarsi, si immunizza per sempre contro la sottigliezza mentale
dei suoi avversari e, se la sua carriera è abbastanza lunga, alla fine avrà
avuto ragione una volta su due. Egli deve però resistere alla tentazione
di affidarsi alla propria sottigliezza mentale, la quale metterebbe imme
diatamente in moto il meccanismo delle anticipazioni. Se egli constata,
per esempio, che i rigori vengono tirati sistematicamente alla sua
destra, non deve perciò buttarsi meno spesso alla sua sinistra. Ogni
mutamento di strategia da parte sua sarebbe infatti osservato rapida
mente dall'avversario, che ne approfitterebbe per piazzare qualche tiro
alla sua sinistra. In effetti, quei tiri sistematici da una sola parte potreb
bero avere lo scopo di convincere il portiere ad abbandonare la sua
strategia di testa o croce e a tornare a una gara di anticipazioni, dove
l'avversario si sente più a suo agio.
l P. Handke, Die Angst des Tormanns beim Elfmeter [trad. B. Bianchi, Prima del cal
cio di rigore, Feltrinelli, Milano 1 97 1 ] .
70 CAPITOLO TERZO
Si tratta di far meglio del sette del mazziere. L'asso vale uno; nel
mazzo ci sono quindi ventiquattro carte inferiori al sette e ventiquattro
superiori. C'è dunque una possibilità su due che la tua carta sia vincen
te, e una su due che sia perdente.
Dopo aver dato un'occhiata discreta alla tua carta, hai due possibilità:
passare o rilanciare . Se passi, il mazziere raccoglie le puntate e la partita
è terminata. Se rilanci devi puntare di nuovo, sempre la stessa somma. Il
mazziere può allora passare o vedere. Se passa, sei ru a raccogliere le
puntate. Se ti chiede di vedere, deve puntare di nuovo, sempre la stessa
somma. Tu volti la tua carta, il mazziere tiene sempre il suo sette, e la
carta più alta vince. In ogni caso il gioco termina a questo punto.
Una prima analisi mostra che ci sono esattamente quattro strategie
possibili:
l ) rilanciare su una buona carta e passare su una cattiva;
2) rilanciare sempre;
3) passare su una buona carta e rilanciare su una cattiva;
4) passare sempre.
Quest'ultima strategia è chiaramente da evitare, perché conduce a
perdere con certezza la puntata iniziale. Del resto, non si capirebbe
perché il giocatore debba pagare il diritto di partecipare al gioco (è
questo il senso della puntata iniziale) se decide di passare sempre.
La terza strategia - passare su una buona carta e rilanciare su una
cattiva - sembra paradossale. Essa offre tuttavia una possibilità di gua
dagno, qualora il mazziere si ritirasse dopo il rilancio. Se però il maz
ziere chiede sistematicamente di vedere, la perdita è massima, in
quanto si perde una puntata ogni volta che si ha una carta buona e due
puntate ogni volta che se ne ha una cattiva, cosa che si traduce nella
perdita media di una puntata e mezza.
Le altre due strategie sono più redditizie. La prima - rilanciare su
una buona carta e passare su una cattiva - fa perdere una puntata se la
carta è cattiva e guadagnare una puntata se la carta è buona, a meno
che il mazziere non rilanci, nel qual caso si guadagnano due puntate.
Se il mazziere passa sistematicamente, la speranza di guadagno è nulla.
Quanto alla seconda strategia - rilanciare sempre - il risultato dipende
dalla strategia del mazziere:
l ) se egli passa sistematicamente, il suo avversario guadagna una pun
tata in ogni caso;
2) se egli chiede sempre di vedere, il suo avvversario perde due pun-
72 CAPITOLO TERZO
tate su una carta cattiva e guadagna due puntate su una carta buona:
anche in questo caso, dunque, si ha una speranza di guadagno nulla.
Mettiamoci ora nei panni di un giocatore inveterato, un habitué del
casinò che va a giocare tutte le sere. Qualunque strategia egli adotti, il
mazziere riuscirà infine a scoprirla e metterà in atto la difesa corrispon
dente. Se il giocatore rilancia sistematicamente, il mazziere chiederà
sistematicamente di vedere, e se il giocatore passa sempre su una cat
tiva carta, il mazziere non chiederà mai di vedere. Pare dunque che il
mazziere possa sempre ridurre a zero la speranza di guadagno del gio
catore.
Considerando le cose in quest'ottica, è chiaro che tutte queste stra
tegie presentano lo stesso difetto: il loro uso sistematico le smaschera.
È questa informazione che il mazziere, una volta che l'abbia raccolta,
può utilizzare contro il giocatore e che gli permette di ridurne a zero la
speranza di guadagno. Se il giocatore vuole aumentare la sua speranza
di guadagno, deve trovare un modo di nascondere l'informazione, di
celare la strategia che utilizza.
Tale modo esiste, ed è quello di utilizzare una strategia aleatoria.
Se il giocatore decide che, avendo una carta cattiva, passerà due volte
su tre ma rilancerà una volta su tre, il calcolo mostra che la sua spe
ranza di guadagno sale a 1/3 di puntata, il che significa che in media, su
tre partite, vincerà una puntata, che è un risultato tutt'altro che
disprezzabile. Giocando in questo modo, egli ottiene il risultato di
togliere al mazziere la possibilità di ricavare dallo svolgimento delle
partite un'informazione utilizzabile. Qualunque strategia adotti il maz
ziere, sia che passi sistematicamente, sia che veda sistematicamente, sia
che adotti anche lui una strategia mista, l'andamento medio del gioco
non ne risentirà e il suo avversario continuerà a intascare una puntata
ogni tre partite: ciò beninteso a condizione che il giocatore rimanga
fedele alla strategia fissata in partenza, ossia che, quando ha una carta
cattiva, rilanci una volta su tre. Il calcolo stesso dimostra che questo è
il modo di giocare ottimale, ossia che nessun'altra strategia permette di
far meglio contro qualsiasi difesa.
Rilanciare avendo una cattiva carta si chiama bluffare. Un bluff riu
scito permette di vincere la partita con carte che normalmente non lo
permetterebbero. Il principiante è confuso da questa possibilità, e bluffa
a tutto spiano o, al contrario, è così paralizzato dal timore che non osa
rischiare. Quanto al giocatore esperto, egli sa che bisogna saper per-
ANTICIPAZIONE 73
( . ..) procedo come voi fate, Signori, e secondo la consuetudine dei giudizi, alla
quale le nostre Leggi comandano di attenerci sempre: ut no. extra. de consuet., c.
ex literis, et ibi lnnoc. E cioè, avendo visto ben bene e rivisto, letto e riletto, squa
dernato e sfogliato, protestazioni, aggiornamenti, comparizioni, nomi del rela
tore, istruttorie prima del processo, e dichiarazioni, allegazioni, richieste di pro
va, contraddittorie, inchieste, repliche, dupliche, tripliche, processi verbali,
ricuse di testimoni, riserve opposte alle ricuse, deposizioni, confronti, impugna
zioni, depignatorie, anticipatorie, evocazioni, invii, rinvii, conclusioni, dichiara
zioni di non luogo a procedere, dilatorie, rilievi, confessioni, transazioni, ordini
esecutori, e simili confetti e spezierie, da una parte e dall'altra, come deve sem
pre fare il buon giudice, secondo quanto si trova nello Speculum, De ordinario §
3, et tit. de offi. omn. ju. § fi. et de rescriptis praesenta. § l .
I o metto poi d a una parte del tavolo, nel mio gabinetto, tutte l e scartoffie del
convenuto, e concedo a lui per primo gli eventuali favori della sorte, appunto
come fate voi, Signori; e come si trova in /. Favorabiliores, ff. De reg. jur., et in c.
cum sunt eod. tit. lib. VI, dove è detto: Cum sunt partium jura obscura, reo faven
dum est potius quam actori. Dopo di che, colloco tutte le scartoffie del querelante,
come fate voi, Signori, dall'altra parte del tavolo, visum visu. Perché, com'è
noto, opposita juxta se posita magis elucescunt, come è detto in l. I, § videamus, ff.
De bis qui sunt sui ve/ alie. jur. et in l. munerum. /. mixta, ff. De muner. et honor. E
così, ammetto anche lui agli eventuali favori della sorte.
- Ma, - domandò Trincamella, - ditemi, caro, come vi rendete conto dell'in
certezza delle ragioni allegate dalle due parti in causa?
- Come fate voi, Signori, - rispose Briglialoca: - e cioè quando vedo una gran
quantità di pratiche da una parte e dall'altra . E allora, tiro fuori bellamente i
miei dadi, quelli piccoli: come fate voi, Signori, in virtù della legge Semper in
stipulationibus, ff. De reg. jur. e della legge versale versificata la quale, eod. tit.,
dichiara :
Semper in obscuris quod minimum est sequimur,
nare indietro, ma sappiamo anche che non possediamo tutti gli ele
menti del problema. Non possiamo dunque far altro che tentare di rac
cogliere tutte le informazioni disponibili, quand'anche non abbiano
che un lontano rapporto col problema, come l'appetito dei polli sacri o
l'aspetto delle macchie solari. E si può sempre beneficiare di un effetto
di autorealizzazione: se gli sposi sono convinti che il loro matrimonio
comincia sotto buoni auspici, la vita coniugale può esserne facilitata. Se
tutti gli investitori sono persuasi che le macchie solari provochino crisi
economiche, quando le macchie diventeranno numerose prenderanno
le loro contromisure, provocando in tal modo la crisi che avevano pre
visto. Gli oracoli e tutte le forme di mantica svolgono visibilmente un
ruolo sociale importante, orientando le previsioni individuali verso un
esito favorevole alla collettività e aumentando in tal modo le probabi
lità della loro realizzazione. Quando i caldei assediano Gerusalemme, i
profeti percorrono la città in lungo e in largo, predicendo l'arrivo degli
egizi e la levata dell'assedio; essi svolgono il loro ruolo sociale. Occorre
chiamarsi Geremia per avere il coraggio di predicare il disfattismo:
« Chi rimane in questa città morrà di spada, di fame e di peste, mentre
chi passerà ai Caldei vivrà, la sua vita salva sarà il suo bottino e vivrà »
(Geremia, 3 8, 2). Si comprende la reazione violenta dei capi del posto e
del re Sedecia, che lo gettano in una cisterna. Ma proprio il suo non
conformismo era il segno migliore della sua elezione da parte del
Signore.
È questo d'altronde il senso ultimo dell'apologo di Bridoye-Briglia
loca, che si conclude con la storia del Conciliatore di processi (cap. 4 1 ) .
Quando l a lite, dopo una bella e lunga vita, h a perso ogni vigore, e
le parti si sono rovinate in processi e in appelli, dando fondo alle
risorse della loro famiglia e dei loro amici, e la collera ha
lasciato posto da molto tempo alla stanchezza, arriva il momento della
conciliazione. Le parti non aspirano più se non alla pace. Una cosa sola
le trattiene: l'ignominia di dover fare il primo passo. A questo punto è
loro sufficiente un segnale esteriore, il giudizio che langue, un concilia
tore che interviene, perché i due avversari si rappacifichino e tutta la
lite venga sepolta. Poco importa allora quale sarà la decisione finale,
purché ce ne sia una. Bridoye-Briglialoca può gettare i suoi dadi, pic
coli o grossi, nel suo studio, davanti ai sacchi di scartoffie. Il processo è
arrivato alla sua perfezione, le lagnanze iniziali sono dimenticate da
molto tempo. L'oracolo di Briglialoca crea le condizioni formali che
ANTICIPAZIONE 77
Caos
Einar Tambarskjelve era in piedi sul Lungo drago, al piede dell'albero. Nessuno
era potente come lui nel tiro con l'arco. Einar scagliò la sua freccia contro lo
jarl Eirik; la freccia si piantò nel timone, appena sopra la testa dello jarl, e la
punta penetrò fino alle legature. Lo jarl la vide, e chiese se qualcuno avesse
individuato l'arciere, ma un'altra freccia era già su di lui; lo sfiorò, passando fra
il suo braccio e il suo corpo, e si piantò dietro di lui su una tavola che trapassò
da parte a parte. Lo jarl disse allora a uno dei suoi uomini, di cui alcuni dicono
che si chiamasse Finn e altri che fosse di origine finlandese, anche lui grande
tiratore con l'arco: «Mira a quel pezzo d'uomo al piede dell'albero ». Finn tirò,
e la sua freccia colse l'arco di Einar nel centro, proprio nel momento in cui que
sti lo tendeva per la terza volta. L'arco si spaccò in due. Il re Olav chiese allora:
<< Che cos'è stato questo grande rumore? >> Einar gli rispose: « È la Norvegia,
CAOS 79
sire, che ti sta cadendo di mano ». «Non ha poi fatto tanto rumore - disse il re -,
prendi il mio arco e tira con questo ». Einar lo prese, e tendendolo subito oltre
passò la punta della freccia. Esclamò: «Troppo molle, è troppo molle l'arco del
re »; prese una spada e uno scudo e si gettò nella mischia. 1
Non occorre certo essere grandi scienziati per rendersi conto che l'at
mosfera è un sistema di estrema complessità, in cui regioni molto lon
tane fra loro o di altitudine molto diversa finiscono con l'influenzarsi
reciprocamente. A ciò si aggiunge l'influenza della superficie terrestre e
del vuoto interplanetario, con i quali l'atmosfera è in contatto perma
nente. Che cosa c'è di sorprendente nel fatto che un sistema così com
plicato abbia un comportamento complesso? Il carattere aleatorio di
ogni previsione deriverebbe semplicemente dall'impossibilità di padro
neggiare tutti i parametri significativi.
Ma non è affatto così. Non è la complicazione del sistema la causa
dell'imprevedibilità del suo comportamento: esistono sistemi molto
semplici il cui comportamento è altrettanto complesso. Il grande
merito del meteorologo Edward Lorenz è stato in effetti quello di aver
ricondotto la moltitudine delle equazioni che governano l'evoluzione
dell'atmosfera a tre sole, e di aver mostrato che il modello ridotto con
servava la complessità quasi infinita dell'originale.
L'instabilità esponenziale e la difficoltà di predire quale ne sarà la
conseguenza sono dunque fenomeni correnti, che si manifestano in
situazioni molto varie, nelle più semplici come nelle più complesse. Per
comprendere bene tale instabilità, è meglio tuttavia studiarla su un esem
pio semplice. Abbandoneremo temporaneamente la meteorologia, con le
sue migliaia di variabili legate da equazioni differenziali, per occuparci di
sistemi descritti da una sola variabile x. Basterà dunque, per definire
completamente lo stato del sistema, un solo numero: il valore assunto
dalla variabile di stato nell'istante considerato.
Per continuare il nostro sforzo di semplificazione, supporremo che
il tempo sia discreto, ossia che la variabile tempo non possa assumere
che valori interi n = l , 2 , 3 , . . . , indicando il valore n = O l'istante iniziale,
e i valori -negativi n = - l , - 2, - 3 , . . . istanti passati più o meno lontani.
L'evoluzione del sistema nel corso del tempo è dunque completamente
descritta dalla sequenza x. dei valori che la variabile di stato x assume
in tutti gli istanti n del passato (n < O) e del futuro (n > 0), sequenza che
è dunque doppiamente infinita in quanto l'indice n assume tutti i valori
interi positivi e negativi. Un sistema è deterministico se lo stato x . all'i
stante n è legato allo stato precedente x . _ , da una relazione del tipo
x =
.
f(x . _ ).
La funzione f è la legge del sistema. La sua sola presenza garantisce
CAOS 87
che tutta la storia del sistema e tutto il suo futuro sono inscritti nello
stato iniziale x 0 • In effetti, una semplice applicazione della formula
precedente dà successivamente x 1 =f(x 0), e poi
"
e così via, secondo la formula generale x. =f (x0). Si dice che x. è
l'n -esimo iterato di x 0 •
Questi modelli a una sola variabile di stato e a tempo discreto, per
semplicistici che possano apparire, non riproducono tuttavia meno
bene fenomeni che si sarebbero potuti credere propri dei modelli a più
variabili di stato e a tempo continuo. Fra tali fenomeni c'è l'instabilità
esponenziale. Confrontiamo per esempio i due sistemi
x. = x._ , + 1 0,
x. = l O x x._ , .
Essi conducono alle due formule esplicite
x. = x 0 + n x l 0
"
x. = x0 x l 0 ,
che danno lo stato nell'istante n in funzione dello stato iniziale e che
manifestano due comportamenti molto diversi per due sistemi entrambi
perfettamente deterministici.
Nel primo caso si passa da uno stato al seguente aggiungendo una
quantità fissa alla variabile descrittiva. Un tale sistema perpetua indefi
nitamente la precisione delle osservazioni. Se, per esempio, è stato
compiuto un errore di 0,00 1 nella determinazione dello stato iniziale,
sarà questo stesso errore a incidere sugli stati successivi, per quanto
lontano ci si spinga nel futuro o si risalga nel passato. La formula espli
cita x. = x 0 + l On mostra che l'errore compiuto nella misurazione di x 0 si
ripercuote su x. senza riduzione né amplificazione. Per contro, nel se
"
condo caso, la formula esplicita x. = l 0 x 0 mostra che a ogni iterazione
gli errori si moltiplicano per 1 0, e vengono quindi amplificati molto ra
pidamente nel corso del tempo. Un errore di 0,00 1 nel valore iniziale
x 0 diventa un errore di l già alla terza iterazione, di l 000 alla sesta, di
wn-l all'n-esima.
Un modo per farsi un'idea visiva di questa situazione consiste nel
l'immaginare che la variabile di stato x rappresenti la posizione di un
punto su una circonferenza, misurata in numero di giri a partire da una
88 CAPITOLO Q UARTO
data da x " = O,a " . 'a " .2 ; l'indicazione più importante è data da a " . " che
• • •
CAOS 89
vazione rivela l'(n + I )-esimo decimale della posizione iniziale. Nel caso
della meteorologia, il tempo che osserveremo fra un anno rivelerà
informazioni sullo stato dell'atmosfera oggi, informazioni che si si
tuano a una scala troppo fine perché possiamo osservarle direttamente.
Si può adottare anche un altro punto di vista, e ritenere che ogni
informazione sia necessariamente finita, e che sia vano per esempio
cercare di conoscere con più di dodici cifre significative quale sia il
limite attuale di precisione delle costanti fisiche. A quel punto non
si ha più rivelazione, bensì in verità creazione d'informazione. Se si
possono conoscere soltanto i primi dodici decimali dello stato iniziale,
x 0 = O,a 1 a r .. a 12 , la dodicesima osservazione x 1 2 = O,a 1 3 a 24 apporta un'in
• • •
decimale una cifra data, per esempio 3 . In altri termini, i numeri il cui
sviluppo decimale comincia con O,a 1 a r .. aN occupano un piccolo inter
vallo, diviso in dieci sottointervalli uguali corrispondenti alle dieci pos
sibilità per aN+ l; dire che !'(N+ 1 )-esimo decimale è un 3 elimina nove
di questi dieci sottointervalli . Così la rivelazione dei decimali successivi
divide ogni volta per l O il campo delle possibilità. Si converrà che que
sto guadagno di un fattore l O corrisponda a un'entropia di l . La rivela
zione di due decimali supplementari corrisponde a un guadagno di un
fattore 1 00 = 1 02, e quindi a un'entropia di 2. Per contro lo status quo,
ossia il fattore di guadagno l = 1 0°, corrisponde a un'entropia O.
L'entropia di un sistema misura il guadagno medio di precisione
apportato da ogni nuova osservazione. Così, per il nostro primo siste
ma, x. = x._ , + 1 0, per il quale abbiamo già osservato che corrisponde al
l'immobilità pura e semplice, l'entropia è O, cosa che significa che una
nuova osservazione non apporta alcuna informazione supplementare.
Ma per il secondo sistema, x. = 1 0 x x • - " ogni nuova osservazione
apporta un decimale supplementare: l'entropia di questo sistema vale
dunque l .
Per sistemi pluridimensionali, la situazione è complicata dal fatto
che essi possono presentare simultaneamente fenomeni di stabilità e di
instabilità esponenziale. Spieghiamoci meglio.
Vediamo innanzitutto come sarebbe un sistema unidimensionale
descritto dalla legge x. = x. _/ 1 0 sulla circonferenza. A ogni tappa, la
variabile di stato (numero di giri a partire da A) è divisa per l O, cosa
che la fa tendere rapidamente a zero, cosicché si finisce col ritrovarsi
sempre al punto A, corrispondente allo stato x = O. Questo punto è
quello che si chiama un attrattore. Quale che sia la posizione di par
tenza M0 scelta, al passare del tempo il punto rappresentativo M.
all'istante n tende ineluttabilmente verso A. È un fenomeno di stabilità
(e non più d'instabilità) esponenziale, che corrisponde a una perdita (e
non più a un guadagno) d'informazione: poco importa da dove si sia
92 CAPITOLO QUARTO
Anima
Sezione
Il toro è un solido pieno costruito attorno a una circonferenza (l'anima del toro)
e le cui sezioni trasversali sono cerchi .
Contrazione di u n a sezione d e l toro:
Stiramento, restringimento
con perdita di volume
Doppia ripiegatura
Il collare d'oro di Àl leberg, formato a prima vista da tre tori giustapposti, pre
senta a un esame più minuzioso un intreccio di tori più fini e tutta una fauna
esuberante. La tecnica prodigiosa manifestata dall'artista - filigrana, granulazio
ne, sbalzo, stampaggio - gli consente di realizzare solo un'approssimazione,
preziosa ma imperfetta, del vero oggetto che ha in mente e che, per la finezza e
la varietà dei suoi dettagli, non è realizzabile da mano umana.
CAOS 97
3 [Cfr. E. N. Lorenz, Deterministic Nonperiodic Flow, ]. Atmos. Sci., vol. 20, 1 3 0-4 1
( 1 963)] .
98 CAPITOLO QUARTO
Questo disegno rappresenta una traiettoria tipica, in tre dimensioni, del sistema
di Lorenz:
dx dz - cz + .xy.
dt
= - ax + ay _Qy = bx - y - xz dt=
dt
sono essere distinti a causa della limitata precisione dei nostri strumen
ti, un'osservazione supplementare ci permetterà di separarli. Un'entro
pia di l significa che a ogni tappa il numero di punti separabili, a un
livello di precisione dato, si moltiplica per l O.
Questa definizione è evidentemente imprecisa: non si dovrebbe par
lare di « numero di punti »; per quanto piccola sia la parte dell'attrat
tore considerata, essa contiene infatti un'infinità di punti. Sarebbe
meglio parlare di « area» o di «volume >>, intendendo ovviamente che le
nozioni di area o di volume qui invocate siano adattate all'attrattore, e
particolarmente alla sua dimensione (che può essere frazionaria). Par
lando di area ci si situa nella dimensione due, e parlando di volume
nella dimensione tre, cosicché i matematici preferiscono parlare di
«misura >>, ed evitano in tal modo di pronunciarsi sulla dimensione del
l'attrattore. Lo sviluppo di una nozione soddisfacente di misura nell'at
trattore, la quale possa essere adattata alla struttura particolarissima di
un attrattore strano, fa parte dei problemi principali della teoria. Que
sto problema è oggi in gran parte risolto, grazie particolarmente ai
lavori di Yasha Sinai, di David Ruelle e di Rufus Bowen, i quali hanno
mostrato l'esistenza di una «misura ergodica >> dotata di proprietà note
voli. Essa ci permetterà di reinterpretare tutta la dinamica in termini
statistici, e ci fornirà un modello probabilistico del sistema, che verrà a
supplire alla sua legge deterministica se questa non si rivelerà all'altezza.
Spieghiamoci su questo punto. Finora abbiamo descritto il sistema
dall'interno; abbiamo tenuto conto del numero di gradi di libertà e
abbiamo fatto uso della legge deterministica per costruire un attrattore
nello spazio degli stati. Ma questa è una visione davvero realistica?
Fuori da situazioni accademiche, questi dati non ci sono molto accessi
bili. In idrodinamica, per esempio, si è ben !ungi dal poter misurare la
direzione e la velocità di scorrimento in ogni punto del fluido; ma pro
prio questo si richiederebbe per definire compiutamente uno stato.
Conoscere una realtà fisica significa piuttosto darsi una variabile consi
derata significativa e cercare di misurarla con tutta la precisione possi
bile. In altri termini, lo stato interno M non viene mai osservato diret
tamente, ma solo attraverso la mediazione di una funzione X(M). Se il
sistema prende l'avvio da uno stato iniziale M0 , la successione degli
stati M0 , M, M2 , , M" determina una sequenza di valori X(M0),
• • •
X(M), X(M), ... , X(M.) per la variabile X scelta, e sono questi i valori
che si osservano e di cui si tratta di render conto. Potrà essere la velocità
1 04 CAPITOLO QUARTO
quando non si sa quasi nulla sul sistema. Per una conoscenza più pre
cisa occorrerebbe sapere, non più che si estrarrà un campione secondo
una certa legge di probabilità - con tutti i rischi che ciò comporta,
compreso quello di vedere le nostre previsioni statistiche infirmate
dalla sorte -, ma quale sarà esattamente il risultato dell'estrazione,
come un baro abile, che sa ingannare quanti lo circondano. E, come un
gi ocatore che voglia premunirsi contro l'imbroglio, l'osservatore non
deve far ricorso alla cieca a metodi statistici. Ci si può permettere di far
ricorso a un modello probabilistico solo come ultima risorsa, quando si
è rinunciato a capire il sistema dall'interno e si è disposti ad acconten
tarsi di una descrizione fenomenologica e di previsioni statistiche.
Oggi esistono metodi che permettono di analizzare una sequenza di
osservazioni x 0 , x P . . . , x . alla ricerca di un modello deterministico sot
tostante. Essi consistono essenzialmente nell'interpretare ogni sequenza
di m valori come le coordinate di un punto in dimensione m, e nel
vedere come si distribuiscano i punti in tal modo ottenuti . Così, con
m = 2 si sarà condotti a costruire i punti
M0 = (x 0 , X 1 ) , M1 = (x p x ) , . . . , M._ 1 = (x .- P x .),
e a studiare la loro distribuzione nel piano. Se essi si raggruppano visibil
mente su oggetti di dimensione inferiore, disegnando curve o frattali,
abbiamo un indizio che ci troviamo di fronte a un sistema deterministico;
quella che disegnano i punti è l'immagine dell'attrattore. Se, al contrario,
i punti si distribuiscono in modo pressoché regolare per vaste estensioni,
disegnando nubi uniformemente grigie, è inutile cercare un modello
deterministico che abbia un attrattore di dimensione inferiore a 2 .
Occorre allora fare lo stesso lavoro i n tre dimensioni, con i punti
Questo testo è tanto più notevole per essere stato scritto nel 1 908,
più di mezzo secolo prima della scoperta dell'attrattore di Lorenz, in
un'epoca in cui non si disponeva ancora della potenza di calcolo che
oggi ci consente simulazioni numeriche del comportamento dei sistemi
più generali. Esso attesta dunque, da parte del suo autore, un'intui
zione veramente geniale, che Poincaré si era formato attraverso la pra
tica rigorosa delle scienze fisiche, in particolare della meccanica celeste,
nella quale aveva avuto occasione di studiare da presso i sistemi intc
grabili e di interessarsi al calcolo delle perturbazioni.
Fino all'avvento dei computer, il solo modo di studiare il comporta
mento di un sistema era quello di risolvere esplicitamente le equazioni
di evoluzione, cosa che non è possibile se non per una classe molto
ristretta di sistemi, detti integrabili. Anche per sistemi prossimi ai
sistemi integrabili esistono metodi che permettono di risolvere parzial
mente le equazioni e di dedurne il comportamento del sistema su inter
valli di tempo che possono essere grandi, ma per i quali non si può
garantire che si estendano all'infinito. È quindi possibile descriverne
l'evoluzione a breve termine (come per tutti i sistemi) e persino a me
dio termine (per una durata che è molto difficile da stimare), ma non a
lungo termine (cosa che si può fare solo per i sistemi integrabili). È il
cosiddetto metodo delle perturbazioni, che è alla base di tutti i calcoli
astronomici; avremo occasione di tornare sull'argomento più avanti.
La nozione di sistema integrabile ha conosciuto qualche variazione
nel corso dei secoli. Essa è abbastanza chiara se ci si riferisce all'esem
pio fondatore, il paradigma che ha ispirato tutta la scienza moderna: il
sistema di Keplero. Si tratta di descrivere la rivoluzione di un pianeta
attorno al Sole. Il moto è determinato per intero da tre leggi, scoperte
sperimentalmente da Keplero: il pianeta descrive un'ellisse di cui il
Sole occupa uno dei fuochi; il raggio vettore del pianeta descrive in
tempi uguali aree uguali (il pianeta si muove dunque più velocemente
in quei tratti della sua orbita in cui è più vicino al Sole); il periodo di
rivoluzione è proporzionale alla potenza 3/2 dell'asse maggiore dell'or
bita (un pianeta cento volte più lontano avrà quindi una velocità di
rivoluzione mille volte minore).
La gloria immortale di Newton consiste nell'aver formulato le
1 08 CAPITOLO QUARTO
molto più avanti nelle nostre predizioni per la Terra che per la Luna.
Ma anche per la Terra c'è un confine, d'altronde difficile da situare,
oltre il quale il calcolo delle perturbazioni perde la sua validità. Ciò che
avviene al di là di tale orizzonte sfugge del tutto al nostro sguardo.
Non siamo perciò in grado di rispondere a una domanda pure così fon
damentale come questa: il sistema solare è stabile? La Terra rimarrà
indefinitamente su un'orbita prossima a quella che conosciamo oggi?
Oppure è condannata a evadere nel vuoto intersiderale o a precipitare
nel Sole?
Poincaré ha dedicato gran parte delle sua attività scientifica a questo
problema. Egli ha mostrato, in particolare, che il problema dei tre
corpi - ossia lo studio del movimento di tre masse in interazione gravi
tazionale fra loro - non è integrabile. Così già una versione semplifi
cata del sistema solare, ridotta al Sole, a Giove e alla Terra, sfugge alla
risoluzione esplicita, e nasce il sospetto che il sistema solare sia in
effetti caotico. Ovviamente Poincaré non aveva i mezzi per confutare o
confermare questo sospetto, anche se la sua opera sembra fornire molti
indizi a favore di una conferma. Ancor oggi il problema è !ungi dal
l'essere risolto. Attualmente disponiamo però anche di altri indizi, for
niti da simulazioni numeriche eseguite con l'aiuto dei supercomputer
usati per i calcoli astronomici.
Il più recente di questi calcoli simula l'evoluzione dell'insieme del
sistema solare su un periodo di 2 00 mi lioni di anni, e mette in evidenza
un'instabilità esponenziale: le perturbazioni si moltiplicano per l O 1 0
(dieci miliardi) in l 00 milioni di anni. Su una durata che, alla scala dei
tempi astronomici o addirittura geologici, è molto breve, una fluttua
zione di un centimetro nella posizione iniziale può quindi tradursi
infine in uno spostamento di centomila chilometri. Sui primi dieci
milioni di anni, per contro, il computer mostra una grande stabilità del
movimento, che segue molto da presso le predizioni della teoria delle
perturbazioni . Non si deve credere che una simulazione teorica di que
sto genere possa permetterei di estendere le nostre capacità di predi
zione al di là di questa soglia di dieci milioni di anni. Se il sistema è
caotico, assumono importanza anche le minime perturbazioni, e in
particolare gli errori di arrotondamento che il computer è costretto a
fare a ogni passo. Esso tronca infatti tutti i risultati dei calcoli inter
medi per ricondurli al numero di decimali voluto, e l'effetto cumula
tivo di queste piccole inesattezze può snaturare completamente il risul-
IlO CAPITOLO QUARTO
rono le loro strategie senza che questa possibilità venisse presa in con
siderazione. Si ha dunque un caso particolare in cui due sistemi si evol
vono indipendentemente, l'uno seguendo un determinismo fisico e l'al
tro un determinismo storico, fino al 27 agosto del 4 1 3 a. C., data alla
quale il primo produce un effetto importante sul secondo.
Per chiunque sia inserito nel determinismo storico, non c'è nulla di
più inquietante dell'irruzione di un fenomeno inspiegabile, di una con
tingenza pura. Da quando il primo antropoide ha cominciato a cammi
nare eretto sulla terra, l'uomo cerca di sopravvivere adattandosi al suo
ambiente, ossia traendo lezioni dall'esperienza per anticipare un po' sul
futuro. Accettare l'inspiegabile, rassegnarsi all'imprevisto, significa
lasciare una breccia aperta sul fronte su cui lottiamo perpetuamente
contro una natura ostile, e forse compromettere la sopravvivenza della
specie. Si deve dunque attribuire con grande urgenza un senso occulto
a eventi che non hanno un senso apparente, ossia che non s'inquadrano
immediatamente nel determinismo che noi riconosciamo al termine di
un'esperienza millenaria. In una circostanza del genere, l'uomo primi
tivo invocherà gli dèi e cercherà di accattivarseli, mentre l'uomo
moderno invocherà il caso e farà calcoli statistici, ma solo la scoperta di
un determinismo nascosto potrà chiudere la questione. Come abbiamo
visto non è una cosa facile, neppure nel caso di sistemi semplicissimi,
ma finché non si sarà scoperto un vero determinismo, nessuno scien
ziato potrà ritenersi veramente soddisfatto.
Compreso in questo modo, il caso non può essere che relativo a
un'esperienza umana in una situazione storica data. Ciò che è alea o
destino per Tucidide non lo è più per il suo lettore moderno. L'eclisse
che colmò l'esercito ateniese di un terrore superstizioso, non avrebbe
oggi altro che il successo di curiosità dovuto a un evento raro e spetta
colare, e non susciterebbe altra preoccupazione che estetica. Abbiamo
modo così di toccare con mano che il caso è sempre una risposta a una
domanda che un uomo si pone. Che un evento passi inosservato, che
sia giudicato privo di interesse, o che abbia una spiegazione, e nessuno
penserà a far intervenire il caso. L'eclisse di luna pose un problema a
Nicia e ai suoi uomini, mentre non lo pone più a noi. Coincidenze
altrettanto notevoli dell'arrivo simultaneo a Selinunte di Gilippo e dei
rinforzi partiti mesi prima in suo aiuto si verificano tutti i giorni, e nes
suno le nota o pensa a stupirsene.
116 CAPITOLO QUARTO
vivere una volta sola e dalla coscienza del proprio io. È l a miiyii, l'illu
sione cosmica. Il Buddha vede girare la ruota, contempla il ciclo eterno
delle reincarnazioni, sa che la vita che oggi mi tocca non è altro che un
episodio di una storia infinita in cui io occuperò uno dopo l'altro tutti i
ruoli. Non c'è caso perché non ha senso, non ha fondamento, privile
giare un momento particolare di questa storia, o questa storia rispetto a
un'altra. La rivendicazione dell'identità, che ci fa gridare: « Perché
questa cosa deve succedere proprio a me? >>, non può sfociare che nel
non-senso e nella sofferenza. Il caso si dissolve nella dolce indifferenza
del mondo.
CAPITOLO 5
Rischio
1 D.
Ellsberg, Risk, Ambiguity, and the Savage Axioms, in « Quarterly Journal of Eco
nomics », LXXV ( ! 96 ! ), pp. 643 -69; e in << Reply>>, LXXVII ( ! 963), pp. 3 3 6-42 . Vedi
anche H. Einhor e R. Hogarth, Decision Making under Ambiguity, in Rational Choice, a
cura di R. Hogarth e M. Reder, University of Chicago Press, Chicago ! 987, pp. 41 -66.
RISCHIO 127
che semina oggi non sa se, fra sei mesi o fra un anno, il raccolto ripa
gherà i suoi sforzi. Il commerciante che rifornisce il suo magazzino
non sa se riuscirà infine a vendere tutte le merci. Ognuno di questi
rischi si inquadra in un modello sperimentato, trasmesso da una gene
razione all'altra, che assegna limiti al possibile e determina delle proba
bilità. Il contadino conosce, per esperienza o per sentito dire, le diverse
calamità che possono distruggere il suo raccolto, il gelo e la siccità,
l'inondazione e l'incendio, le cavallette e la malattia. Può immaginare
che le cose vadano ancor peggio, per esempio che si verifichino le dieci
piaghe d'Egitto, anche se esse non si sono più ripetute a memoria d'uo
mo. Sa però che il cielo non gli cadrà sulla testa; sa anche che tutte
queste calamità hanno probabilità piccole, che si possono ancor più
ridurre prendendo certe precauzioni e praticando certi riti, come atte
sta il semplice fatto che, dopo tante generazioni, egli sia ancora lì a col
tivare la stessa terra. Egli ha dunque una probabilità ragionevole di
sopravvivere, come l'hanno avuta prima di lui i suoi antenati, e se
l'anno si annuncia sfavorevole, l'anno seguente dovrà essere migliore.
Raffìguriamoci ora l'irruzione dei conquistadores nell'impero incaico.
La società indiana era abituata ad assumersi un certo numero di rischi:
era una società contadina, e i rischi agricoli le erano familiari; era
anche un impero che era stato fondato attraverso la conquista, e i rischi
militari non le erano ignoti. Pare che gli inca non abbiano saputo
affrontare il nuovo rischio rappresentato da questi esseri barbuti e
corazzati, che montavano animali sconosciuti e maneggiavano strane
!ance tonanti, e il cui modo di combattere sfidava le leggi comuni del
l'umanità. Le ragioni del crollo dell'impero incaico sono scomparse
con Atahualpa e con milioni di suoi sudditi, ma pare plausibile che fos
sero connesse a un'incapacità psicologica di assumersi certi rischi. È
meglio sottomettersi che combattere un avversario di cui non si è in
grado di misurare la potenza.
In generale non pensiamo che un contadino o un commerciante,
che pure si assumono quotidianamente certi tipi di rischio, abbiano
bisogno di coraggio. Per contro, il personaggio dell'esploratore è
l'archetipo del coraggio. Perché? Perché penetra in quella terra inco
gnita, in quell'area bianca delle vecchie carte geografiche la cui vista
induce un tale disagio che i cartografi preferivano riempirla di vignette,
o cingerla con la scritta: «Hic sunt leones>>. Un'informazione di questo
genere, per quanto fantastica e riconosciuta come tale, è più rassicu-
RISCHIO 129
4 Space Shuttle Data for Planetary Mission RTG Safety Analysis (NASA, Marshall
Space Flight Center, AL, 1 5 febbraio 1 985).
5 M. Henrion e B. Fischhoff, in «American Journal of Physics>>, LIV ( 1 986), p. 79 1 .
130 CAPITOLO QUINTO
Statistica
Allora Faraone disse a Giuseppe: «Nel mio sogno, ecco che io stavo presso il
fiume. Ed ecco che sette vacche, grasse di carne e belle di aspetto, salivano dal
fiume e si mettevano a pascolare nella giuncaia. Ed ecco che, dopo di quelle,
salivano altre sette vacche, deboli, bruttissime d'aspetto e magre di carne, io
non ne vidi mai di così brutte in tutta la terra d'Egitto. Poi, le vacche magre e
brutte divorarono le prime sette vacche, quelle grasse, che entrarono nel loro
corpo, ma non ci si accorgeva che erano entrate nel loro corpo, essendo il loro
aspetto deforme come prima. Allora io mi svegliai. Poi vidi ancora nel mio so
gno ed ecco che da un unico stelo venivano su sette spighe piene e belle. Ma
ecco che venivano su, dopo di quelle, sette spighe gracili, sottili e arse dal vento
d'oriente. E le spighe sottili divorarono le sette spighe belle. E io l'ho narrato
agli indovini, ma nessuno me lo sa spiegare >>.
Allora Giuseppe disse a Faraone : « Il sogno di Faraone è uno solo. Dio ha mani
festato a Faraone ciò che egli sta per fare. Le sette vacche belle sono sette anni
e le sette spighe belle sono sette anni : è un solo sogno. Le sette vacche magre e
brutte che salgono dopo quelle, sono sette anni e così le sette spighe sottili, arse
dal vento d'oriente; ci saranno sette anni di carestia. Questo è ciò che io dicevo
a Faraone : Dio ha fatto vedere a Faraone quello che egli sta per fare. Ecco,
stanno per venire sette anni di grande abbondanza in tutta la terra d'Egitto,
136 CAPITOLO SESTO
poi, dopo questi, verranno sette anni di carestia e nella terra d'Egitto si dimen
ticherà tutta quell'abbondanza; la carestia consumerà il paese. Nessuno cono
scerà più l'abbondanza del paese, a causa della carestia che verrà appresso, per
ché sarà molto grave. E se il sogno di Faraone si è ripetuto due volte, significa
che la cosa è decisa da Dio e che Dio ben presto la eseguirà. Ora dunque,
Faraone provveda un uomo intelligente e saggio e lo metta a capo della terra
d'Egitto. Procuri Faraone di stabilire dei sovrintendenti nel paese per riscuo
tere la quinta parte della terra d'Egitto durante i sette anni di abbondanza. E
radunino essi tutte le vettovaglie di queste buone annate che stanno per venire e
ammassino il frumento sotto l'autorità di Faraone come vettovaglie della città e
le custodiscano. Tali vettovaglie resteranno in deposito per la terra nei sette
anni di carestia che verranno nella terra d'Egitto; così il paese non sarà distrutto
dalla carestia». '
La terra scandinava era dura verso i suoi figli, i quali appresero ben
presto a volgersi verso il mare, più ricco di risorse e di promesse. La
pesca e la pirateria, le spedizioni di conquista o di scoperta: questo era
l'universo vichingo. Il capo è colui che guida i suoi uomini alla vittoria.
La potenza del re è innanzitutto militare; il tributo e il saccheggio sono
le fonti della sua ricchezza. La cattiva stagione è innanzitutto quella in
cui è impossibile navigare.
È dall'ubertosa terra d'Egitto, e forse della Mesopotamia, due mil
lenni prima dell'ingresso degli uomini del Nord nella storia, che ci
vengono i miti fondatori dell'agricoltura, e i metodi di gestione che
applicano ancor oggi i nostri governi . Certo, la Scandinavia conosceva
le carestie. Snorri S turluson racconta come Domalde, uno dei re mitici,
primi discendendi di Odino, fu sacrificato dopo tre cattivi raccolti con
secutivi : 2
Domalde assunse l a successione di suo padre Visbur e regnò sul Paese. Fu un
periodo di carestia e di miseria. Gli svedesi organizzarono allora grandi sacrifici
a Uppsala. Il primo autunno sacrificarono dei tori, ma il raccolto non migliorò
molto; l'autunno seguente sacrificarono vite umane, ma il raccolto rimase
uguale se non peggiore. Il terzo autunno gli svedesi si recarono in gran numero
a Uppsala per i sacrifici; i capi tennero allora consiglio, e furono d'accordo che
quelle carestie dipendevano da Domalde, loro re, e che essi dovevano prenderlo
e sacrificarlo per ottenere raccolti migliori, prenderlo, ucciderlo e aspergere del
suo sangue le pietre sacrificali. E così fecero.
1 Genesi, 4 1 , 1 7-36.
2 Heimskringla, Ynglinga-Saga, c a p . 15.
STATISTICA 137
e, come in precedenza, Dio estrarrà una pallina ogni volta che ci sarà
da prendere una decisione. Se i quattro colori sono in parti uguali,
25 per cento ciascuno, ritroviamo le probabilità assegnate in prece
denza per due eventi indipendenti di probabilità 1 /2 , e l'estrazione così
realizzata sarà rigorosamente equivalente a una doppia estrazione da
due urne contenenti palline di due colori. Si dirà dunque a buon
diritto che X e Y sono indipendenti. All'altro estremo, si può
rinunciare a usare sia le palline bianche sia le palline nere. In questo
caso, X e Y risultano connessi nel modo più stretto, giacché non si
osserva mai l'uno senza l'altro; noi non cerchiamo di separare X e Y
volendo sapere se l'uno è la causa dell'altro, ma notiamo semplice
mente che appaiono sempre insieme.
Fra questi due estremi si trovano tutti i gradi della correlazione.
A titolo di esempio, esaminiamo che cosa significhino proporzioni del
30 per cento per il verde, 20 per il bianco, 20 per il nero e 30 per il ros
so. Se si è interessati solo all'evento X, ci si rende conto che esso ha
luogo sia per una pallina verde sia per una pallina bianca; esso ha dun
que il 30 + 20 = 50 per cento di probabilità di prodursi . Questa è dun
que la probabilità che si attribuisce a X in assenza di ogni altra
informazione. Ma se si sa per altra via che si è realizzato l'evento Y, la
pallina che è stata estratta è verde o nera. Viste le rispettive propor
zioni, ci sono tre probabilità contro due che essa sia una pallina verde,
e quindi che si realizzi anche X. Questa informazione supplementare fa
dunque passare la probabilità dell'evento X al 66 per cento in luogo del
50. Il fatto che si sia prodotto Y aumenta la probabilità che si produca
X; si dice che gli eventi X e Y hanno fra loro una correlazione positiva.
Si può ovviamente tener conto delle correlazioni, ma il cuore della
statistica è lo studio degli eventi indipendenti. Il risultato migliore e
142 CAPITOLO SESTO
divisibile per 2 e per 3 . Ora, metà dei numeri sono divisibili per 2 , un
terzo sono divisibili per 3, e un sesto sono divisibili per 6. Poiché
1 16 = 1 12 x 1 13 , esiste un'analogia formale con la regola di moltiplica
zione delle probabilità di eventi indipendenti. Ci si può spingere oltre e
applicare il teorema del « limite centrale », come se si avesse veramente
a che fare col caso? La cosa sarebbe altamente paradossale; che cosa c'è
di più deterministico della successione dei numeri interi?
E tuttavia Mare Kac e Paul Erdos hanno mostrato nel 1 93 9 che il
numero dei fattori primi segue una ripartizione gaussiana. Esattamen
te, il numero di fattori primi di un intero m è dell'ordine di log log m, e
la porzione di interi m per i quali questo numero è compreso fra
dotti. I suoi risultati furono d'altronde coperti per molto tempo dal
segreto militare, in quanto si applicavano a una tecnologia nuova di
grande importanza in guerra: il radar. Oggi sono stati scoperti metodi
di filtrazione più efficienti, usati per esempio dai piloti automatici e
dalle guide inerziali degli aerei di linea o dei sottomarini. Ma le appli
cazioni del moto browniano vanno ben oltre il trattamento del segnale:
si tratti di studiare la propagazione di un'epidemia o la diffusione del
calore, esso è lo strumento di base della costruzione di modelli.
In questi ultimi anni il moto browniano ha trovato un'altra applica
zione. Alla fine del secolo scorso, un matematico di nome ]. Bachelier
sostenne una tesi con la quale proponeva di sviluppare un modello del
corso delle azioni in borsa per mezzo di un moto browniano. 3 Né i
mercati di borsa né la tecnica matematica erano ancora all'altezza di
quest'idea, e Bachelier sprofondò nell'amarezza e nell'oblio. Si dovet
tero attendere i lavori di Wiener perché l'idea conoscesse un ritorno di
fortuna, che divenne un trionfo a partire dal 1 97 3 , quando Fischer
Black e Myron Scholes dimostrarono la loro famosa formula che per
metteva di stimare le opzioni su azioni.
Ci si deve rendere ben conto che l'idea di costruire modelli del
corso di azioni per mezzo di un moto browniano non ha nulla di arbi
trario, ma riflette idee precise sul comportamento dei mercati di borsa.
Se si assume che questi siano efficienti, ossia che il prezzo di un'azione
rifletta tutta l'informazione disponibile in proposito, si deve ammettere
che le variazioni di questo prezzo riflettono l'acquisizione di nuove
informazioni. Fra queste, alcune erano prevedibili e altre no. Per quanto
concerne le prime, se il mercato ha fatto quanto doveva, ne ha già
tenuto conto nel prezzo delle azioni : il rialzo o il calo hanno avuto
luogo per anticipazione, e la realizzazione di ciò che era previsto non
influisce più sui corsi. Questi dunque dipendono soltanto dalla parte
veramente nuova dell'informazione, ossia da quella che non era preve
dibile a partire dagli elementi disponibili in precedenza. Da que
sto punto di vista è naturale assimilare i corsi della borsa a un processo
a incrementi indipendenti, ossia in ultima analisi a un moto browniano.
Da un altro punto di vista, sono gli operatori a determinare i corsi
delle azioni, e riesce difficile accettare l'idea che queste migliaia di indi-
vidui seduti alle loro scrivanie in tutto il mondo, ognuno con le sue
intuizioni e le sue fobie, si diano tutto quel daffare per costruire un
moto browniano. La verità indubitabile è che quest'ipotesi è sufficiente
per spiegare (se non per prevedere) il 95 per cento dei movimenti dei
corsi nel 9 5 per cento delle situazioni di borsa, ma che è nel restante 5
per cento che si manifesta l'ingegnosità umana e che si fanno o di
sfanno le fortune. L'utilizzazione del moto browniano nella teoria
finanziaria va peraltro molto oltre un semplice adattamento ai corsi,
poiché permette di determinare i prezzi di certi prodotti finanziari,
come le opzioni .
Un'opzione su un'azione è un contratto col quale ci si impegna a
vendere entro tre mesi una certa azione a un prezzo determinato oggi.
L'acquirente ha il diritto di non esercitare l'opzione se il prezzo si rive
lerà infine superiore al corso constatato alla scadenza. Il detentore di
un grosso pacchetto di azioni, che desidera premunirsi contro una ca
duta dei corsi, vorrà comprare le corrispondenti opzioni, salvo non
esercitarle se i corsi restano stabili. Colui che gli venderà le opzioni si
assume un rischio, e dev'essere quindi remunerato. Il problema del
giusto prezzo dell'opzione è stato risolto da Black e Scholes nel 1 9 7 3 .
L a loro formula non fa intervenire l a probabilità che il corso aumenti o
diminuisca, ma esclusivamente la sua «volatilità», ossia il suo tracciato
più o meno accidentato. Non si chiede quindi agli operatori di fare
previsioni, neppure statistiche, sull'evoluzione del corso dell'azione,
bensì di mettersi d'accordo sul valore della sua volatilità, ossia, in defi
nitiva, di identificare uno dei parametri che governano un moto brow
niano. Così, per determinare il prezzo dell'opzione non c'è bisogno di
sapere se l'azione salirà o scenderà. Questo risultato notevolissimo è
alla base di tutta la teoria moderna della finanza, e ha reso il moto
browniano popolare fra persone che non si credevano destinate a occu
parsi di matematiche.
cerchi nei quali si facevano muovere i corpi celesti ; intuiva che i modi della natura
dovevano essere più semplici : "Se Dio - diceva - mi avesse chiamato a consiglio, le
cose avrebbero avuto un miglior ordine"». Così scrive Pierre-Simon de Laplace in
Compendio di storia dell'astronomia, ultima parte della Exposition du système du monde,
1 796, (trad. M. Viscardini, Universale Economica, Cooperativa del Libro Popolare,
Milano 1 9 5 3 , p. 5 1 ) . Cfr. anche J. L. E. Dreyer, Storia dell'astronomia da Talete a Keple
ro, trad. L. Sosio, Feltrinelli, Milano 1 970, p. 249, e A. L. Mackay, A Dictionary of
Scientific Quotations, Adam Hilgher, Bristol, Philadelphia e New York 1 99 1 , p. 3 ] .
1 50 CAPITOLO SESTO
I SBN 88-339-07 1 4 -7