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Il Welfare di Bush e le implicazioni nel resto del mondo

C. Mammini,
insegna “Politiche e Servizi Sociali in prospettiva comparata”
presso l’ Università degli Studi di Pisa,
Diploma di Laurea Specialistica in
Programmazione e Politica dei Servizi Sociali.

Abstract

In questo articolo verrà riportata una sintesi dell’editoriale del 22/01/’05 apparso sul British
Medical Journal in cui viene analizzata la riforma delle politiche socio sanitarie promossa da Bush
in funzione del probabile impatto sul panorama internazionale. Commenteremo l’articolo
esponendo il nostro punto di vista in riguardo alle politiche di welfare e all’elemento
“d’esportazione” che riteniamo in grado di suscitare “fascino attrattivo” su alcuni governi.

“George W. Bush’s second term”1

Il 22 Gennaio 2005 è apparso un editoriale nel prestigioso B.M.J. congiuntamente firmato da medici
quali il britannico Martin McKee (professor of European Pubblic Healt all’European Centre on
Healt in Transition, London School of Hygiene and Tropical Medicine di Londra) e l’americana
Susan Foster (professor of International Healt, alla Boston University) che analizza alcune
implicazioni in riguardo alla riforma del welfare americano.
Gli autori osservano che nel discorso di apertura del proprio secondo mandato il presidente Bush
non ha collocato ai primi posti dell’agenda d’impegni la salute pubblica bensì la politica estera.
Il significato di questa scelta sembra mirare alla rimozione del problema delle distorsioni che
caratterizzano lo stato sociale liberale americano, costoso e poco efficiente a detta dei due.
“Nonostante che il paese spenda quasi il 15% del proprio reddito nazionale il tasso della mortalità
per malattie croniche è tre o quattro volte superiore a quello dei paesi europei”.
Tuttavia questo nuovo mandato repubblicano, in relazione al welfare, sembra voler consegnare agli
americani una riforma dello stato sociale per certi versi destinata a lasciar traccia. Viene impressa
con decisione una svolta che sembra introdurre luci ed ombre.
Le luci. Come ben sappiamo il sistema sanitario americano, contraddistinto dall’essere organizzato
su base privatistica, traduce la propria offerta in funzione della copertura finanziaria fornita dal
gruppo assicurativo cui il cittadino fa riferimento. Secondo la riforma introdotta ogni individuo
dovrebbe avere un’assicurazione a copertura dei catastrophic illness, ovvero di quegli avvenimenti
che generalmente comportano il ricorso ad interventi importanti, usualmente chirurgici, il cui
ammontare in termini economici deve essere posto in relazione all’accordo stabilito con l’ente
erogatore (ovvero allo span di copertura oltre il quale il soggetto paga di tasca propria).
Naturalmente, maggiore è lo span, più sarà alta l’aliquota da versare periodicamente nelle casse
dell’agenzia. Oltre ciò viene previsto un tax free found cui ogni persona è chiamata a partecipare.
Sostanzialmente si tratterebbe di una specie di fondo di accumulo, esente tasse, collegato
all’azienda in cui il soggetto lavora che può essere utilizzato come suppletiva copertura finanziaria

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Titolo dell’articolo di McKee e della Foster
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all’assicurazione catastrophic illness. Questo salvadanaio avrebbe la particolarità di non essere a
fondo perduto (come di solito, anche qui da noi, avviene per tale tipologia assicurativa). Il
possessore, al termine di ogni anno, se non ne avesse, per sua fortuna, fruito sanitariamente,
potrebbe recuperare i propri soldi investiti lasciandone, magari, solo una ragionevole quota a
copertura di eventuali imprevisti futuri. Una notevole novità in campo assicurativo.
Le ombre. Il fatto che al mercato sia lasciato il compito di decidere le aliquote da versare e quindi lo
span di copertura, in questo caso introdurrebbe un maggior grado di sperequazione in quanto, solo
chi è in salute, e quindi sostanzialmente le persone agiate non sottoposte a lavori usuranti o che
hanno potuto godere di trattamenti medici costanti e risolutivi, sarebbero avvantaggiate. Non
essendo né malate e né “usurate” o “usurabili”, la loro aliquota sarebbe minima a parità di copertura
rispetto, ad es., ad un operaio. In più ai benestanti converrebbe investire nel fondo previsto perché
free tax e recuperabile. Inoltre, i due autori ricordano che durante il primo mandato Bush il numero
dei non assicurati negli U.S.A. è salito dai 42 ai 45 milioni e ciò è generalmente indice
d'impoverimento sociale.
Le luci. La riforma introdurrebbe agevolazioni per le piccole imprese che decidono di stipulare
convenzioni con le compagnie assicurative in favore dei propri dipendenti. Come sappiamo il
sistema americano è caratterizzato da due tipi di gestione contrattuale: personale (il soggetto
sviluppa un piano contrattandolo direttamente con l’ente erogatore) e associativo (è un gruppo, ad
es. un’azienda, che stipula il contratto assicurativo per conto di tutti i suoi dipendenti). Di solito
questa seconda opportunità è la più conveniente per il soggetto. In virtù della grossa quantità di
danaro che l’azienda colloca sul mercato assicurativo, gli erogatori, in concorrenza tra loro, sono
disposti ad offrire maggiori agevolazioni economiche a parità di servizi forniti pur di accaparrarsi
l’intera commissione. Generalmente però questo tipo di trattamento “agevolato” è fruito solo da
coloro che lavorano in aziende medio-grandi essendo le piccole non in possesso di potere
contrattuale e/o, spesso, disinteressate alla gestione di rapporti assicurativi “conto terzi”.
L’agevolazione alle piccole imprese sembrerebbe studiata per allargare anche a queste realtà il
trattamento delle maggiori.

L’influenza dei conservatori sulle domestic policies e sulla scienza

McKee e la Foster sostengono che il cambiamento della composizione della Corte Suprema
americana, garantendo un maggior peso ai conservatori radicali, produrrà una revisione della legge
sulle interruzioni di gravidanza e restrizioni in riguardo a temi inerenti sessualità e relazioni
familiari. Per ovviare ai problemi sociali che potrebbero emergere sarebbero pronti programmi di
educazione sessuale basati sul modello dell’astinenza che, secondo i due, avrebbero conseguenze
devastanti aumentando, di fatto, la percentuale di adolescenti madri.
Altro settore considerato influente su politiche sanitarie, ambientali e sull’istruzione, è quello del
controllo politico delle produzioni scientifiche. La Union of Concerned Scientist ha appurato che,
durante il primo mandato Bush, la tendenza a sopprimere progetti di ricerca ha raggiunto livelli
senza precedenti nella storia degli U.S.A.. La causa, a parere dei due, sarebbe da accreditasi al
maggior peso politico guadagnato da esponenti del conservatorismo più radicale in seno al partito
repubblicano.
Poiché l’America sembra rifiutare approcci multilaterali in politica estera, al punto da differenziarsi
sempre più frequentemente dagli altri paesi occidentali, le scelte assunte in riguardo al welfare
eserciteranno sicuramente un fascino più o meno condizionante e/o attrattivo ben oltre i confini
degli States. A sostegno di questa ipotesi i due citano il rifiuto di siglare il trattato internazionale sul
clima, quello sulle mine antiuomo e l’opposizione in riguardo alla legittimità dell’International

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Criminal Court. Inoltre, scelte unilaterali di investire risorse economiche per propri piani
d’intervento nel settore dell’aiuto su scala globale (come quelli sull’A.I.D.S., sulla tubercolosi, sulla
malaria etc…) tenderebbero, da una parte a subordinare il ruolo dei medesimi promossi dalle
Nazioni Unite, e dall’altra ad introdurre piani d’intervento vincolati studiati ad hoc (che
svelerebbero una volontà d’ingerenza). Questi piani sarebbero caratterizzati da accordi con la
nazione fruitrice che prevedono obblighi (cari ai conservatori) in riguardo alle sue politiche sociali
(sessualità, aborto etc..). Viene detto anche, però, che tale approccio, soprattutto a seguito di vicende
relative al sostegno delle vittime dello tsunami nell’Oceano Indiano, è attualmente oggetto di
revisione critica da parte dell’amministrazione americana stessa.
Poiché il presidente Bush sarebbe seriamente intenzionato, in questo suo secondo mandato, a
lasciare un segno nella storia non solo degli U.S.A., i due autori lasciano intuire che potrebbe essere
presente un forte interesse verso l’esportazione del modello di relazioni sociali americano (che trova
nei sistemi di welfare liberali la sua dimensione più intima e naturale).
Poiché ogni regime colloca le fondamenta della sua ispirazione politica - liberale,
corporativo/statalista o socialista che sia (E. Andersen, in M. Hill, 1996) - nel trasferimento delle
risorse, ci sembra di poter dedurre dal loro editoriale una sorta di sollecito a prestare maggior
attenzione alle scelte di Washington in funzione delle trasformazioni dei nostri welfare.

Un commento in riguardo al “welfare d’importazione”

E’ noto che gli U.S.A., unica superpotenza rimasta, fonda la propria esistenza economica e sociale
su un sistema profondamente liberale che, in riguardo al welfare, si appoggia, o forse sarebbe
meglio dire si appoggiava, dopo la lettura dell’editoriale di McKleen e della Foster, su due pilastri
funzionali: il Medicare (assistenza medica) ed il Medicaid (aiuto medico); il primo rivolto agli over
65 e l’altro per i cittadini bisognosi di cure mediche. Il primo, non coprendo totalmente né i costi
d’intervento né la lungodegenza, di solito viene affiancato ad ulteriori coperture assicurative che i
soggetti stipulano privatamente o che vengono offerte loro dai datori di lavoro o dalle associazioni
sindacali.
Ora, il Medicare è un programma che è stato creato da Lindon Johnson nel 1965 e che Bush ha
riformato estendendone l’assistenza sanitaria, soprattutto sotto forma di maggior accessibilità ai
farmaci, con modalità senza precedenti rispetto alle passate amministrazioni, anche a quelle
democratiche (di solito più sensibili al tema). Tale potenziamento, che in termini economici assorbe
una maggior quantità di danaro dalle casse dello stato, è stato osteggiato prima di tutto in seno al
partito repubblicano (notoriamente non incline a tali misure) soprattutto perché ritenuto poco
sostenibile sul lungo periodo (Prina T. , 2004).
Questa legge di riforma, approvata dal Senato il 25 Novembre 2004, è stata avversata dai
democratici, fortemente voluta da Bush, che ne ha fatto “bandiera” di politica interna, e
trasversalmente sostenuta da lobby comprendenti associazioni di pensionati, medici, aziende
farmaceutiche e assicurazioni sanitarie.
Sul piano normativo, a nostro parere, la caratteristica forse più interessante è che vieta all’utente di
sottoscrivere polizze integrative al Medicare così “riformato”. Obbligo che interviene in maniera
diretta su un principio profondamente consolidato in America, quello della duplicazione
assicurativa. Di conseguenza, nessuna polizza potrà coprire gli importi lasciati scoperti. E’ a questo
punto che dovrebbe intervenire il Free Tax Found (soluzione pensata per tutti) che sembra più una
sorta di piano di accumulo che una copertura sanitaria. Comunque si colloca, o vorrebbe collocarsi,
a cavallo tra un’assicurazione e un deposito bancario con una modalità “non a fondo perduto” in
grado di allettare un maggior numero di soggetti.
Ma com’è interpretabile questo salvadanaio?

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Poiché è la percezione soggettiva a guidare i comportamenti e non “le cose in sé”, il fatto che il
Free Tax Found abbia forma ambivalente, da una parte è una sorta di assicurazione suppletiva, e
quindi previdenziale, e dall’altra è un fondo di risparmio esen-tasse, espone il beneficiario a
processi interpretativi. Naturalmente funzionali al suo tenore di vita. Se in quel momento è alto, sarà
un fondo previdenziale (o, come temono alcuni, un munifico ombrello fiscale per ricchi). Se è
basso, un provvidenziale serbatoio economico per coprire le crisi.
A nostro parere è questo l’elemento più innovativo e preoccupante della riforma.
E’ innovativo perché introduce il principio del recupero d’investimento in ambito di copertura
previdenziale (se consideriamo il Free Tax Found come un’assicurazione sanitaria). A ben pensare è
un principio giusto. Considerato che un’assicurazione avanza il diritto di rifiutare un cliente sulla
base del suo cagionevole stato di salute (di fatto: socialmente penalizzandolo) per quale motivo, se
invece stipula un contratto con uno che ha la fortuna di non contrarre mai malattia o incidente
(quindi esente spese per lei) ne incamera danaro senza restituirgli mai nulla?
E’ preoccupante perché non solo lascia alla volontà soggettiva il compito di predisporre piani
previdenziali, cosa su cui, in verità, gli americani hanno una forte tradizione a guida del
comportamento, ma per il fatto che il Free Tax Found risulta, oltre che semanticamente ambivalente
(letteralmente significa: fondo esen-tasse e non assicurazione sanitaria), aspecifico rispetto al
motivo per cui è stato creato: coprire finanziariamente interventi sanitari. Ora, spesso le
denominazioni delle misure di riforma tradiscono il vero senso del principio sottostante rivelandone
l’effettivo scopo. In questo caso potrebbe consistere prevalentemente di un fondo finalizzato al
risparmio annuale forzato che assolverebbe il compito, non dichiarato, anche di politica di sostegno:
al reddito nei momenti di disoccupazione; all’istruzione, in quelli di scarsa liquidità; per la casa, in
caso di acquisto o opere generiche etc…. Insomma, non essendo più vincolata all’uso,
quell’aliquota versata finirebbe in un “contenitore” che, a fine anno, potrebbe essere “vuotato”
direttamente sul mercato per i motivi più vari.
Immaginiamo cosa può accadere ad un malato che sta impiegando quanto ha accumulato nel fondo
in cure se ad un certo punto gli sopravvenissero anche problemi economici familiari. Continuerebbe
a destinare i propri soldi alla propria salute? La questione, lasciata al singolo, imporrebbe una scelta
tra salute e mercato la cui intensità sarebbe riconducibile al dramma della patologia in oggetto.
Il Free Tax Found rischia d’intervenire in maniera forte sul principio di mercificazione della salute
pubblica.
E’ quindi sull’alchimia di questo passaggio che occorre riflettere attentamente perché è questo il
vero, a nostro parere, elemento d’esportazione in grado di suscitare “fascino attrattivo” su alcuni. E
giustificherebbe la scelta politica repubblicana d’investire in welfare che sostanzialmente risulta
antistorica rispetto alle loro tradizioni.
Da una parte è un intervento di massa che produce consensi, non a caso la legge è stata approvata
poco prima delle elezioni presidenziali, e dall’altra, introducendo un meccanismo tampone
aspecifico di facile accesso, allontanerebbe la nozione di welfare dal suo significato originario che è
quello di benessere collettivo, relegando sempre più le politiche sociali ad un ruolo eminentemente
marginal-riparativo e la salute a merce.
Se questo fosse “il senso occulto” del provvedimento, il conservatorismo radicale avrebbe avuto la
meglio sul liberismo del partito repubblicano americano in quanto questa legge potrebbe produrre
una società dalle differenze più marcate perché la forbice tra garantiti e non tenderebbe ad
ampliarsi maggiormente nei momenti di crisi tagliando fuori, di fatto, un più elevato numero di
persone. In quei momenti vi rientrerebbe insieme alla quota degli indigenti per questioni di
oggettiva povertà e a quella dei non previdenti o dei dediti al rischio (che comunque non avrebbero
stipulato nemmeno una copertura assicurativa aggiuntiva durante il vecchio regime di welfare),
quella di coloro che hanno amministrato male le giacenze del fondo. Quest’ultima categoria, non
conformandosi alle altre per tipologia, è plausibile che sia costituita da soggetti con inserimento
sociale normale, di ceto medio, “falliti” nella propria amministrazione economica quotidiana, non

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perché poveri o imprevidenti, ma perché magari hanno ottimisticamente stimato la propria buona
salute, per es. per i prossimi due anni, e hanno speso parte di quei soldi nella loro attività
commerciale o per l’università del figlio, o per la casa etc.... Dove i margini economici non sono
ampi, questo è ciò che può accadere. Ora, poichè nei sistemi liberali l’accesso ai servizi avviene, di
norma, per mezzo di means test che certificano, in un certo senso, lo stato di bisogno o di povertà
del soggetto, queste persone sarebbero anche difficilmente recuperabili. In questa categoria, a
differenza delle prime due, vi rientrerebbero soggetti a cui verrebbe sostanzialmente chiesto di
cambiare la propria identità sociale rendendo, di fatto, più difficile il successivo processo di
restituzione di dignità e reinserimento.
Per questo motivo tale svolta potrebbe essere letta come il tentativo di rendere le politiche sociali
sempre più residuali.
Inoltre, con l’esclusione ai margini di persone reperite anche dal ceto medio, la spartizione delle
risorse del Paese diverrebbe sempre più appannaggio di classi medio-alte. Una visione cara ai
conservatori. E la vecchia Europa è ricca di conservatori (al punto che talvolta sembrano più
restauratori) cui potrebbe interessare un progetto di welfare che coniughi mercato a stratificazione
sociale. Noi in Italia non ne siamo certamente esenti, anzi, per molti versi siamo forse tra i più
predisposti all’importazione di modelli che intervengano in tal senso.
Accogliere il suggerimento a prestare attenzione di McKee e della Foster può, da questo punto di
vista, essere proficuo.

Bibliografia

Gori C., I servizi sociali in Europa, Carrocci, Roma, 2001.


Hill M, Le politiche sociali, Il Mulino, Mi, 1999.
Mammini C., Sul sistema sociosanitario angloamericano, La rivista di Servizio Sociale, n.4, 2003,
pp. 41-53
McKee M., Foster S., George W Bush’s second term, British Medical Journal, Vol 330, 22 Jan.
2005, pp. 155-6.
Prina T., Stati Uniti, Interventi sul Welfare, Gli Argomenti Umani, il Ponte, Milano, n.1, Gennaio
2004, pp.116-9.
Toscano M.A., Scienza sociale, politica sociale, servizio sociale, F. Angeli, Mi, 1991.
Toscano M. A., Introduzione al servizio sociale, Laterza, Ba, 1996.

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