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PRIN 2010-2011
La mitigazione del rischio da frana mediante interventi
sostenibili
21 Aprile 2016
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Ministero dell’Istruzione dell’Università PRIN 2010-2011
e della Ricerca La mitigazione del rischio da frana mediante interventi
sostenibili
Politecnico di Milano
Università di Napoli Parthenope
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e della Ricerca La mitigazione del rischio da frana mediante interventi
sostenibili
Sommario
Premessa ....................................................................................................... 7
1. Introduzione........................................................................................... 8
1.1 Descrizione dell'intervento 9
1.2 Approcci progettuali 10
1.3 Interazione palo-terreno 12
1.4 Comportamento meccanico del palo 13
1.5 Interazione tra pali 14
1.5.1 Effetto arco .............................................................................................. 14
1.5.2 Effetto ombra ........................................................................................... 16
2. Equilibrio limite – Metodi SLU ......................................................... 17
2.1 Terreni a grana fine in condizioni non drenate (terreni coesivi) 17
2.1.1 Pali liberi di ruotare in testa .................................................................... 17
2.1.2 Pali impediti di ruotare in testa................................................................ 21
2.2 Analisi in condizioni drenate 24
2.2.1 Pali liberi di ruotare in testa .................................................................... 24
2.2.2 Pali impediti di ruotare in testa................................................................ 26
3. Metodi Ibridi........................................................................................ 30
3.1 Definizione della curva caratteristica 30
3.1.1 Esempio numerico ................................................................................... 32
3.1.2 Osservazioni ............................................................................................ 35
3.2 Metodi Ibridi all’equilibrio limite 35
4. Metodi completi negli spostamenti- Verifica SLE ........................... 37
4.1 Profilo di spostamento fissato 37
4.2 Profilo libero 39
4.2.1 Esempio: pendio indefinito ..................................................................... 40
5. Analisi sismica di pendii stabilizzati con pali ................................... 44
5.1 Metodi pseudostatici 44
5.1.1 Coefficiente di sicurezza di pendio indefinito stabilizzato con pali ........ 46
5.1.2 Coefficiente di sicurezza di pendio ad altezza limitata stabilizzato con pali 47
5.2 Analisi dinamiche semplificate: metodo degli spostamenti 48
5.2.1 Esempio numerico finalizzato alla la valutazione degli spostamenti sismoindotti per
pendio di altezza limitata stabilizzato con pali ........................................ 49
6. Osservazioni conclusive ...................................................................... 53
6.1 Monitoraggio 53
6.2 Criticità, durabilità, sostenibilità 53
6.3 Cantierizzazione 54
7. Bibliografia .......................................................................................... 55
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Figura 23. Evoluzione della forza di sostegno T trasferita al pendio per diversi profili di spostamenti
del terreno, per un palo libero in testa: (a) palo in CLS e (b) palo in acciaio (da Galli e di Prisco,
2013). ................................................................................................................................................. 34
Figura 24. Profili di spostamento del palo per diversi profili di spostamenti del terreno, per un palo
libero in testa e per uno spostamento U0=20cm: (a) palo in CLS e (b) palo in acciaio (da Galli e di
Prisco, 2013). ..................................................................................................................................... 34
Figura 25. Momenti flettenti nel palo per diversi profili di spostamenti del terreno, per un palo
libero in testa e per uno spostamento U0=20cm: (a) palo in CLS e (b) palo in acciaio (da Galli e di
Prisco, 2013). ..................................................................................................................................... 34
Figura 26. (a) applicazione di diverse curve caratteristiche al calcolo di FS secondo la (27);
soluzione della (28) per due diversi esempi di curve caratteristiche. ................................................ 36
Figura 27. (a) Evoluzione dello spostamento del terreno e della profondità di falda in assenza dei
pali. Evoluzione dello spostamento del terreno in presenza dei pali: (b) palo in acciaio e (c) palo in
CLS (da Galli e di Prisco, 2013). ....................................................................................................... 39
Figura 28. (a) esempi di profili di velocità nel terreno; (b) interazione tra palo e terreno in moto
laminare. ............................................................................................................................................. 40
Figura 29. Profili di velocità del terreno per i quattro diversi scenari. .............................................. 42
Figura 30. Profili di spostamento del terreno per i quattro diversi scenari. ....................................... 42
Figura 31. Schema di pendio indefinito stabilizzato con file di pali.................................................. 46
Figura 32. (a) superficie critica per il pendio non rinforzato e (b) sua analisi a seguito di
stabilizzazione con pali. ..................................................................................................................... 48
Figura 33. Casi studio di tre pendii stabilizzati con tre diverse configurazioni di pali. ..................... 50
Figura 34. Spostamenti di Newmark (registrazione ATMZ270). ...................................................... 51
Figura 35. Spostamenti sismoindotti in funzione del coefficiente di sicurezza in condizioni statiche.
............................................................................................................................................................ 52
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Premessa
Questo documento nasce dalla collaborazione fra due gruppi di ricerca geotecnici, quello di
Napoli Parthenope e quello del Politecnico di Milano, nell’ambito del progetto PRIN 2010-2011: “La
mitigazione del rischio da frana mediante interventi sostenibili”.
La principale finalità di questo testo, è quella di un approccio razionale al problema della corretta
progettazione di paratie filtranti per la messa in sicurezza di pendii potenzialmente instabili.
Nell’ambito di questa ricerca sono stati sviluppati in forma organica metodi, approcci e strumenti
innovativi per la progettazione di tali opere di messa in sicurezza. La definizione dei dettagli
progettuali ed esecutivi sono pertanto demandati alle competenze professionali del singolo
progettista, preferendo qui definire le variabili geometriche e meccaniche che governano la risposta
del sistema, e descrivere in qual modo esse influenzino la “prestazione” dell’opera.
Gli autori intendono infatti in questo modo dare un contributo alla sistematizzazione delle
conoscenze, che consenta al progettista di affrontare correttamente il problema della progettazione
dell’intervento.
Nel Capitolo 1 è inquadrato il problema, viene introdotta una nomenclatura di base riguardante
la geometria e sono descritti gli attuali approcci progettuali suggeriti in letteratura. All’interno del
Capitolo 2 sono descritti più in dettaglio gli approcci progettuali allo Stato Limite Ultimo, ove per
descrivere il comportamento del terreno e quello dei pali sono utilizzati legami costitutivi rigido-
perfettamente plastici. All’interno del Capitolo 3 sono invece poste le basi teoriche di approcci
progettuali negli spostamenti e sono descritti i cosiddetti “Metodi Ibridi” che consentono di modellare
l’evoluzione delle forze di interazione tra pali e pendio in funzione dello spostamento del terreno. Nel
Capitolo 4 è sviluppato un metodo innovativo, ancorchè semplificato, per risolvere in modo
“accoppiato” il problema della valutazione delle forze di interazione palo-terreno e dell’influenza
che, a loro volta, queste hanno sull’evoluzione del movimento franoso. In altre parole, si mostra come,
anche nel caso di pendii, sia possibile utilizzare metodi allo Stato Limite di Esercizio. Nel Capitolo 5
è affrontato in modo sintetico il problema della valutazione dell’effetto di stabilizzazione offerto dalla
paratia filtrante in condizioni sismiche, proponendo sia approcci psesudostatici (essenzialmente cioè
riconducibili a metodi SLU), sia approcci pseudodinamici (assimilabili a metodi ibridi), che
consentono una stima degli spostamenti sismoindotti. Nei capitolo 6, senza alcuna pretesa di
completezza, sono riassunte infine alcune brevi considerazioni circa le modalità di esecuzione del
monitoraggio di queste opere, sono introdotte brevi osservazione di carattere più propriamente
cantieristico alcune ed è richiamato il problema della durabilità dell’opera.
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1. Introduzione
L’attivazione di un movimento franoso lungo un versante comporta, da un punto di vista
cinematico, la nascita di un campo di velocità nel terreno in generale variabile da punto a punto
all’interno del pendio (Figura 1a). La frontiera F tra la zona di terreno in movimento e il substrato
stabile può variare notevolmente a seconda dello stato del dissesto: per movimenti franosi “maturi”
le deformazioni tendono a localizzarsi e la frontiera viene ad assumere uno spessore trascurabile
rispetto alle dimensioni del pendio (con la formazione di una ben definita superficie di scivolamento,
che induce una discontinuità nel campo di velocità del terreno); al contrario, i movimenti del versante
precedenti la localizzazione sono caratterizzati da un campo di velocità continuo, e la frontiera
rappresenta per lo più una “zona di processo”, di spessore anche non trascurabile.
(a) (b)
Figura 1. (a) esempio di pendio caratterizzato da un meccanismo di scivolamento attivo; (b) valutazione
dell’efficacia dell’intervento di stabilizzazione.
La realizzazione di un intervento strutturale di sostegno, quale ad esempio una fila di pali con
interasse maggiore del loro diametro, che nel seguito indicheremo come paratia filtrante, intende
trasferire alla massa di terreno in movimento un’azione stabilizzante A in modo da ridurre ovunque
(possibilmente azzerandola) la velocità di spostamento. Si distinguono a tal proposito interventi
“attivi”, per i quali l’azione A è imposta direttamente in fase di messa in opera e risulta essere
pressochè indipendente dal campo di spostamenti del terreno (ad esempio, opere pretirantate), da
interventi “passivi”, per i quali l’azione A dipende esclusivamente dagli spostamenti relativi tra il
terreno e l’opera stessa. Non sono tuttavia infrequenti casi di interventi a funzionamento misto:
progettati inizialmente come attivi, ma che durante la loro vita utile si comportano come opere passive
a causa di una successiva evoluzione del campo di spostamenti nel pendio. Il problema risulta quindi
fortemente accoppiato dal momento che il campo di velocità della massa di terreno instabile dipende
dall’entità dell’azione A, la quale, a sua volta, dipende dal campo di spostamenti relativi tra terreno e
struttura. La progettazione di un’opera di stabilizzazione quale una paratia filtrante richiede allora la
soluzione dell’equazione di equilibrio della massa di terreno tenendo conto delle azioni stabilizzanti
fornite dalla struttura, in funzione del suo comportamento meccanico.
Una volta nota l’azione di sostegno A è formalmente possibile studiare l’equilibrio della massa
di terreno per verificarne la stabilità (approccio allo stato limite ultimo, SLU). D’altro canto,
adottando un approccio di tipo prestazionale (Figura 1b), l’ambizione è quella verificare l’efficacia
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dell’intervento in termini di contenimento degli spostamenti U del terreno entro un valore di progetto
Ud (stato limite di esercizio, SLE). Nel caso in cui l’approccio numerico permetta di tenere in conto
del fattore temporale (analisi idromeccanica accoppiata, evoluzione dei carichi ambientali, natura
viscosa del comportamento meccanico dei materiali), diventa possibile anche stimare l’intervallo di
tempo atteso che intercorre tra l’esecuzione dell’opera (istante t0) e l’arresto della massa di terreno
(istante td).
(b)
(c)
(d)
(a)
(e)
Figura 2. (a) schematizzazione di una paratia filtrante per la stabilizzazione di un pendio; (b-c-d-e)
schematizzazione dei vincoli in testa ai pali.
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ulteriori possibili meccanismi di rottura secondari nel pendio. Nella progettazione dell’opera, non
secondaria è la scelta della tipologia di palo, dell’ancoraggio profondo e della geometria della trave
di coronamento. Il comportamento meccanico di queste componenti deve essere correttamente
modellato in quanto esso influenza il valore dell’azione di sostegno A, e risulta strettamente connesso
alla definizione della la gerarchia delle resistenze all’interno dell’opera, governando la duttilità
globale del sistema.
In base alla geometria qui descritta, e coerentemente con la ricerca di un approccio progettuale
semplificato, appare ragionevole nel seguito articolare la trattazione omogeneizzando la risposta
lungo lo sviluppo della paratia, assimilando quindi il problema ad un problema piano equivalente.
I metodi progettuali allo Stato Limite Ultimo (come ad esempio i metodi dell’equilibrio limite)
studiano l’equilibrio della massa di terreno instabile adottando leggi costitutive di tipo rigido-plastico,
assumendo per il terreno un atto di moto rigido e ipotizzando che l’azione A offerta dalla struttura di
sostegno sia completamente mobilitata. È quindi introdotto nell’equazione di equilibrio un
coefficiente di sicurezza FS come riduttore delle resistenze del terreno unicamente lungo la superficie
di scorrimento
RkF
EkF = + AkF , (1)
FS
in cui il pedice “d” indica che i termini E, R ed A sono calcolati in base ai valori di progetto dei
parametri meccanici e geometrici, desunti da quelli caratteristici applicando i coefficienti parziali di
sicurezza. Tanto la (1) quanto la (2) consentono quindi per lo specifico meccanismo di rottura in
esame (F) di stimare il grado di “sicurezza” associato all’azione A, in quanto questa non è influenzata
dall’ampiezza dello spostamento U (Figura 3a). Infatti le forze di interazione terreno-struttura si
intendono immediatamente e completamente mobilitate indipendentemente dall’ampiezza degli
spostamenti; in altre parole, solo la forma del cinematismo concorre alla definizione dell’azione A. I
metodi allo SLU non sono evidentemente in grado di fornire una valutazione dell’efficacia
dell’intervento in termini di spostamenti attesi nel pendio, né di fornire una stima dei tempi necessari
al raggiungimento di tale condizione.
Si noti che il termine A che compare sia nella (1) che nella (2) è da intendersi come il minimo tra i
valori della forza di interazione associati ai possibili meccanismi di rottura locali tra opera e terreno.
Ad esempio, per pali rigidi e infinitamente resistenti senza alcun vincolo in testa (si veda la successiva
Figura 10), tre sono i possibili meccanismi di rottura, associati rispettivamente al trascinamento del
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palo entro il sottostante terreno stabile (Modo A), alla rotazione rigida del palo (Modo B) e allo
scivolamento tra i pali dello strato instabile di terreno superficiale (Modo C).
Fin dai primi anni ’80 sono stati proposti in letteratura alcuni metodi, detti “ibridi”, i quali
passano attraverso la definizione esplicita, essenzialmente mediante metodi numerici, di una funzione
“caratteristica” per l’opera di sostegno, andando a studiare l’evoluzione dell’azione A in funzione del
campo di spostamenti U che si avrebbe nel terreno in assenza dell’opera:
In questo modo, tanto la forma quanto l’ampiezza di U concorrono alla definizione dell’azione
A (Figura 3b). Una volta nota la curva caratteristica espressa tramite la (3), ancora applicando un
metodo dell’equilibrio limite, è possibile determinare la dipendenza del coefficiente di sicurezza dal
campo di spostamenti U, o da un suo particolare parametro scalare di interesse (ad esempio la
ampiezza massima, o il valore di spostamento in corrispondenza di un punto monitorato, …), e
determinare quindi l’entità dello spostamento associato al valore di FS di progetto.
I metodi “completi” (Figura 3c) cercano invece di tenere debitamente in conto l’effettivo
accoppiamento tra il campo di spostamenti U del terreno nel pendio e l’azione di sostegno A. Andando
a risolvere l’equazione completa del moto per la massa di terreno instabile, è possibile determinare il
profilo di velocità del terreno in corrispondenza del palo e, in base all’equazione di interazione tra
palo e terreno, determinare la distribuzione delle forze di interazione che forniscono l’azione AFk,d.
Queste, introdotte nell’equazione del moto del pendio, consentono di determinare la nuova
distribuzione di velocità del terreno e, quindi, di procedere al passo di integrazione successivo. Tale
approccio “completo” cerca di superare le limitazioni dei metodi precedentemente citati, e, seppur a
prezzo di un maggior onere computazionale e limitatamente alla validità delle ipotesi semplificative
che vengono introdotte, consente di pervenire ad una reale progettazione della paratia filtrante
mediante un metodo prestazionale, così da valutarne l’efficacia in termini di spostamenti attesi (per
il terreno e per la struttura) e di tempi necessari a raggiungere tali spostamenti. Si sottolinea che un
approccio completo consente di intervenire efficacemente anche su dissesti non ancora maturi, per i
quali cioè non si è ancora osservata la localizzazione lungo la superficie di scivolamento. L’opera
quindi viene a costituire un effettivo intervento di protezione del territorio, ottimizzata in funzione
del reale campo di spostamenti osservato.
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Le forze di interazione tra palo e terreno nascono dalla risultante della distribuzione di sforzi
agenti sulla superficie laterale del fusto del palo. In assenza di spostamenti del terreno (U=0,
condizioni “a riposo”), per ogni sezione di palo la distribuzione di sforzi normali alla superficie è con
buona approssimazione assialsimmetrica rispetto all’asse del palo (sez. A-A di Figura 4a), mentre gli
sforzi di taglio in direzione verticale lungo il fusto sono pressochè nulli (a meno del peso del palo
stesso e di eventuali carichi verticali applicati alla testa del palo). La risultante è quindi nulla, e tra
palo e terreno non è scambiata nessuna forza. In caso di attivazione del movimento franoso (U>0,
Figura 4b) tali distribuzioni si modificano significativamente sia all’interno del corpo di frana sia
esternamente ad esso. In corrispondenza di ogni sezione di palo, la risultante degli sforzi nel piano
orizzontale non è più nulla e in generale, si mobiliteranno anche sforzi di taglio in direzione verticale
lungo il fusto del palo stesso.
(a) (b)
Figura 4. Distribuzione degli sforzi lungo il fusto del palo: (a) condizioni di riposo, (b) attivazione della frana.
(a) (b)
Figura 5. (a) esempi di curve P-y; (b) interazione palo-terreno tramite molle non lineari per un assegnato profilo
di spostamenti del terreno U(z).
Per ogni sezione di palo è possibile definire il valore della risultante delle distribuzioni di sforzo
nel piano orizzontale (trasversale all’asse del palo) e di taglio in direzione verticale (parallelo
all’asse), in funzione degli spostamenti relativi tra palo e terreno. Fin dai primi anni ’60 numerose
ricerche sono state sviluppate al fine di studiare la distribuzione di carichi trasversali lungo il fusto di
un palo singolo (Broms, 1964a,b; Matlock, 1970; Reese et al., 1974; Reese and Welch, 1975;
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Georgiadis and Butterfield, 1982; Georgiadis, 1983; O’Neil and Gazioglu, 1984; Gabr et al., 1994;
Fan and Long 2005). In generale è possibile definire per ogni sezione di palo isolato una curva P-y
(Figura 5a) che lega la risultante P degli sforzi (espressa come forza per unità di lunghezza lungo
l’asse del palo) agli spostamenti relativi y tra palo e terreno, definiti come la differenza (alla
profondità z della sezione considerata) tra lo spostamento U di “far field” del terreno e lo spostamento
locale u del palo. Le curve P-y possono allora essere pensate come rappresentative del comportamento
di “molle” generalizzate che vincolano il palo al terreno (Figura 5b). Integrando il valore di P lungo
lo spessore H del corpo di frana, si ottiene la forza trasversale di sostegno che il singolo palo
trasferisce al terreno e viceversa:
I differenti approcci progettuali brevemente citati in precedenza nel §1.2 assumono differenti
relazioni costitutive per descrivere le curve P-y, coerentemente con le ipotesi introdotte da ciascun
metodo. I metodi allo SLU, ad esempio, assumono un comportamento rigido-perfettamente plastico
per le curve P-y e per la sezione di palo, e si preoccupano unicamente di definire il valore limite della
forza T. Metodi Ibridi o metodi allo SLE, invece, procedono assumendo per le curve P-y relazioni
costitutive non lineari e integrando le reazioni P lungo l’asse del palo in funzione del campo di
spostamenti del terreno (si rimanda ai capitoli 3 e 4 per maggiori dettagli).
L’approccio per curve P-y è concettualmente estendibile anche alla stima della forza di
interazione agente parallelamente all’asse del palo. In questo caso, la risposta è dominata dal
comportamento dell’interfaccia palo-terreno (cioè dalla capacità portante del fusto del palo). Per
semplicità e per brevità, tuttavia, nel seguito ci si concentrerà solo sulla valutazione della forza
trasversale T, in quanto essa risulta certamente essere la componente dominante nella progettazione
di paratie filtranti per la messa in sicurezza di pendii potenzialmente instabili.
Il palo può essere considerato come una trave a sezione cilindrica soggetta essenzialmente (per
quanto detto al paragrafo precedente) a carichi trasversali al proprio asse. Assumendo un modello di
trave alla Eulero-Bernoulli, il comportamento meccanico di ogni sua sezione può essere descritto da
una relazione momento-curvatura (M-θ), come schematizzato in Figura 6. Anche in questo caso i
differenti approcci progettuali si distinguono per le ipotesi introdotte per descrivere il comportamento
del palo. I metodi allo SLU assumono ancora un comportamento rigido-perfettamente plastico per la
sezione di palo (EJ ∞), il cui unico parametro costitutivo risulta essere il momento di completo
snervamento MY, corrispondente all’attivazione di una cerniera plastica. Metodi Ibridi o metodi allo
SLE, invece, descrivono (pur se in maniera semplificata) l’intera curva M-θ.
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Figura 6. Risposta non lineare nel diagramma momento-curvatura per la sezione di palo.
Come osservato in Figura 4b, in caso di spostamento del terreno U>0, la distribuzione di sforzi
orizzontali agenti sulla superficie laterale del palo si modifica, aumentando nella zona di monte e
diminuendo a valle. Se la spaziatura S è sufficientemente elevata (Figura 7a) le zone di influenza di
pali adiacenti non si sovrappongono, e il comportamento di ciascun palo può essere assimilato a
quello di un palo isolato, soggetto ad un carico orizzontale. Se, al contrario, la spaziatura fosse ridotta
fino a coincidere con il diametro dei pali (Figura 7b), il comportamento sarebbe assimilabile a quello
di un setto continuo, con distribuzioni uniformi di sforzo orizzontale sia a monte che a valle, che
tendono progressivamente alle condizioni di spinta passiva e attiva. Evidentemente, tra le due
condizioni geometriche estreme esiste un campo di transizione (Figura 7c) in cui le zone di influenza
si sovrappongono, interagendo tra loro.
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Si definisce allora un valore critico Scr della spaziatura come quel valore al di là del quale non
si osserva alcuna interazione tra pali e il comportamento può essere assimilato a quello di pali isolati.
In letteratura si tende a valutare Scr in rapporto al diametro D con espressioni del tipo (Durrani et al.,
2006)
S cr K p2
= , (5)
D K p − Ka
in cui Ka e Kp sono rispettivamente i coefficienti di spinta attiva e passiva per il terreno in esame. In
generale, i vari autori sono per lo più concordi nel suggerire valori di spaziatura critica
S cr
3≤ ≤4. (6)
D
In Letteratura vari metodi hanno cercato di descrivere l’effetto arco facendo dipendere la forza
di interazione dalla spaziatura S (Ito and Matsui, 1975; De Beer, 1977; Poulos, 1995; Liang and Zeng,
2002; Ellis et al., 2010; Gou and Quin, 2010). In alternativa, da un punto di vista applicativo, una
possibile scelta è quella di definire l’azione AFk,d combinando opportunamente, in funzione della
spaziatura S, i valori della forza di interazione unitaria che il terreno scambia rispettivamente con un
setto continuo (forza F) e con un palo isolato (forza T), quest’ultima normalizzata rispetto alla
spaziatura S. Come suggerito in Figura 8, si possono riconoscere almeno tre zone:
- la prima, zona (a), è quella corrispondente a bassi valori di S/D (in genere inferiori a 2), per
i quali il comportamento è assimilabile a quello di un setto continuo;
- la seconda, zona (b), rappresenta una zona di transizione tra i comportamenti estremi di setto
continuo e palo isolato;
- la terza, zona (c), corrisponde a valori di spaziatura maggiori di Scr, per i quali l’interazione
tra pali è assente.
Assumendo per semplicità, entro la zona (b), un andamento lineare variabile tra i valori F e
T/Scr, l’azione AFk,d può essere formalmente espressa come
F S
Ak ,d = F 1≤
D
<2
T S cr − F S
F S S cr
Ak ,d = F + ⋅ − 2 2 ≤ < . (7)
S cr D − 2 D D D
F T S S
Ak ,d = S D
> cr
D
ove la forza F potrà essere valutata integrando la differenza tra le distribuzioni di sforzo
orizzontale in spinta passiva (a monte) e attiva (a valle) agenti sulla paratia.
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Nel caso l’intervento preveda più file di pali (Figura 9a), nella definizione dell’azione di
sostegno AFk,d occorre tenere in conto possibili fenomeni di interazione tra di esse. Se la distanza B
tra loro fosse infatti molto ridotta (al limite B≈D), il valore della forza trasmessa al pendio tenderebbe
a coincidere con quello che si avrebbe nel caso un’unica fila di pali; al crescere della distanza B
l’interazione si riduce e il comportamento diventa assimilabile a quello di paratie filtranti indipendenti
l’una dall’altra. In analogia a quanto suggerito all’interno del paragrafo 1.5.1, è possibile allora
definire come distanza critica Bcr quel valore di B oltre il quale l’interazione tra le file di pali è
trascurabile. Tale distanza può essere stimata imponendo che le zone a rottura nel terreno (in spinta
attiva, a valle della fila più a monte; e in spinta passiva, a monte della fila più a valle) tra le due file
non si sovrappongano. A titolo di esempio, e immaginando di fare riferimento ancora al meccanismo
di scivolamento del terreno superficiale entro pali immorsati rigidamente nello strato stabile di base,
tale condizione può essere geometricamente espressa come suggerito in Figura 9b, ove sono
schematicamente mostrati i cunei di rottura in spinta attiva e passiva.
(a) (b)
Figura 9. (a) disposizione di due file di pali nel pendio; (b) schema per la valutazione della distanza Bcr.
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Per pali infinitamente resistenti, i meccanismi dipendono dalla lunghezza e dal diametro del
palo, dalla resistenza dei due strati di terreno e dallo spessore della massa instabile, mentre per i pali
con resistenza flessionale finita MY, i meccanismi dipendono anche da quest’ultima.
Per pali liberi di ruotare in testa, i sei meccanismi di rottura sono riportati in Figura 10. Il
meccanismo A si riferisce al caso di un palo corto, per il quale la rottura ha luogo all’interno del
terreno di fondazione. Il meccanismo B consiste in una rotazione rigida del palo, mentre il
meccanismo C ha luogo per pali correttamente immorsati nello strato stabile.
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Figura 10. Meccanismi di rottura e relative distribuzioni di reazioni del terreno, taglio e momento flettente per
terreni coesivi e palo libero di ruotare in testa.
I meccanismi B1, B2 e BY, ricavati a partire dal meccanismo B, implicano, oltre alla rottura del
terreno, anche la formazione di una o due cerniere plastiche nel palo. Definendo le quantità
adimensionali:
ku1 cu1
χu =
ku 2 cu 2
l2
λ= (8a,b,c)
l1
My
mu =
ku1 cu1 d l12
dove ku1 e ku2 sono coefficienti di capacità portante (considerati rispettivamente pari a 4 e 8 da
Viggiani (1981), anche se altri autori considerano valori differenti) ed MY è il momento di
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plasticizzazione della sezione del palo, il taglio e il momento offerto dal palo lungo la superficie di
scivolamento per i sei meccanismi di rottura sono riportati in Tabella 1.
Modo A TA λ
tuA = = (i-a)
ku1 cu1 d l1 χu
MA λ TA λ
2
= = tuA (i-b)
ku1 cu1 d l1 2 ku1 cu1 d l1 2
Modo B1:
(1 + λ ) + (1 + λ )
2
TB ( χu + λ 2 )
tuB = = − (ii-a)
ku1 cu1 d l1 (1 + χu )
2
χu (1 + χu ) (1 + χu )
(1 − tuB )
2
M1
= (ii-b)
ku1 cu1 d l12 4
( λ − χu tuB )
2
M2
= (ii-c)
ku1 cu1 d l12
4χu
Modo C TC
tuC = =1 (iii-a)
ku1 cu1 d l1
MC 1
2
= (iii-b)
ku1 cu1 d l1 2
Modo B12: TB1 λ 2 χu + 2 χ +2
tuB1 = = + 4 u 2 mu − 1 (iv-a)
ku1 cu1 d l1 χu + 2 χu λ
M 2′ 1
= ( λ − χu tuB1 )
2
2
(iv-b)
ku1 cu1 d l1 4 χu
Modo BY TBY mu
tuBY = =2 (v-a)
ku1 cu1 d l1 (1 + χu )
Modo B2
TB2 1 + ( 2 χu +1)(1+ 4mu ) − 1
tuB2 = = (vi-a)
ku1 cu1 d l1 2 χu +1
M 1′′ 1
= ( 1 − tuB 2 )
2
2
(vi-b)
ku1 cu1 d l1 4
Tabella 1. Valori di taglio e momento offerti dal palo per ciascuno dei sei meccanismi di Figura 10.
L’azione AFk,d, definita all’interno del Capitolo 1, dovrà essere in generale calcolata componendo
i valori di taglio e momento.
Una rappresentazione schematica dei diversi meccanismi nel piano tu : λ è riportata in Figura 11.
Per piccoli valori della lunghezza di infissione e bassi valori di momento ultimo il palo risulta
1
Nel lavoro originale di Viggiani vi è un errore nella equazione (ii-c): il parametro χ che moltiplica il taglio
adimensionalizzato tuB manca. La stessa correzione è stata anche fatta da Chmoulian (2004).
2
Nel lavoro originale c’è un errore tipografico nell’equazione (iv-a): nel primo termine della radice quadrata è riportato
λ invece di χ. La stessa correzione è stata anche fatta da Chmoulian (2004).
19
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rompersi secondo il maccanismo B1. All’aumentare del momento ultimo della sezione del palo, non
si formeranno cerniere plastiche ed il sistema giungerà a rottura secondo i meccanismi A o B. Per
profondità di infissione maggiori e bassi valori del momento di plasticizzazione, nel palo si formano
due cerniere plastiche (una per ogni strato, meccanismo BY). Per elevati valori di λ ed m, il palo si
rompe secondo il meccanismo B2 o C. I campi corrispondenti ai meccanismi B1 e BY sono separati
da una retta (Figura 11) di equazione:
λ 1 χ +1
tu = = λ u − 1 per λ < λ * (9)
χu χu + 1 χ
1+ u
χu
essendo λ* :
λ* =
( χu +1 − 1 ). (10)
χu
Per valori di λ maggiori di λ*, la frontiera tra i campi associati ai meccanismi BY e B2 è una retta
orizzontale:
χ u +1 − 1
tu* = tu ( λ * ) =
χ u +1
+ 1 per λ > λ * . (11)
χu χu
Il massimo contributo tagliante si ottiene sia per il meccanismo C, sia per un caso particolare del
meccanismo B2, quando cioè la cerniera plastica si trova in corrispondenza della superficie di
scorrimento (f2=0 e g1=0 in Figura 10) con un valore del momento di plasticizzazione
adimensionalizzato pari a:
χu + 1
mu ,lim = (13)
2
20
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che, quindi, indica il valore del momento di plasticizzazione della sezione del palo oltre il quale,
ipotizzando per il pendio un meccanismo di rottura traslazionale, non si ha alcun ulteriore beneficio
alla stabilizzazione (il contributo tagliante del palo per diversi valori del rapporto di resistenza e
diversi valori del momento di plasticizzazione adimensionalizzato è riportato nella successiva Figura
14a).
Figura 11. Rappresentazione schematica del taglio adimesnionalizzato sulla superficie di scorrimento per terreni
coesivi e palo libero di ruotare in testa e relativi meccanismi di rottura
Tra i 6 meccanismi individuati per pali liberi, solo 4 sono possibili nel caso di pali impediti di
ruotare in testa, ed in particolare i meccanismi A e C per pali infinitamente resistenti, e i meccanismi
B1 e BY per pali con resistenza finita (Figura 12). Per il meccanismo C è immediato ricavare il taglio
lungo la superficie di scorrimento, mentre i momenti in testa al palo e in corrispondenza della
superficie di scorrimento non possono essere determinati con le sole equazioni di equilibrio e sono,
quindi, indeterminati.
Una rappresentazione schematica dei diversi meccanismi nel piano tu: λ è riportata in Figura 13.
L’effetto benefico dell’incastro alla testa del palo è evidente per pali con elevati valori del momento
di plasticizzazione. Il meccanismo A sostituisce il meccanismo B dei pali liberi di ruotare in testa,
dando luogo a valori più elevati del contributo tagliante.
Analogamente, i campi corrispondenti ai meccanismi B1 e BY sono separati da una linea ancora
descritta dall’equazione (10), fino ad un valore di λ pari a
1 χ +1
λlim,r = = χu u + 1 (14)
χu + 1 χu
−1
χu
Per λ > λlim,r il taglio adimensionalizzato massimo si ottiene per ogni valore di mu > mu,lim,r, dove:
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χu + 1
mu ,lim,r = (15)
4
Confrontando le equazioni (13) e (15), si evince che mu,lim,r è pari alla metà di mu,lim, corrispondente
al palo libero di ruotare. Il contributo tagliante del palo per diversi valori del rapporto di resistenza e
diversi valori del momento di plasticizzazione adimensionalizzato è riportato in Figura 14b.
Figura 12. Meccanismi di rottura e relative distribuzioni di reazioni del terreno, taglio e momento flettente per
terreni coesivi e palo impedito di ruotare in testa.
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Figura 13. Rappresentazione schematica del taglio adimensioionalizzato sulla superficie di scorrimento per terreni
coesivi e palo impedito di ruotare in testa e relativi meccanismi di rottura
23
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(a) (b)
Figura 14. Taglio adimensionale per analisi in condizioni non drenate per diversi valori del momento di
plasticizzazione adimensionale e rapporti di resistenza tra lo strato superiore e lo strato inferiore: (a) palo libero
e (b) palo impedito di ruotare in testa.
In questo paragrafo sono riportati i risultati relativi al caso di terreni granulari in condizioni
secche (Di Laora et al., 2016). Sostituendo il peso efficace dell’unità di volume del terreno γ’ a quello
secco γ, è possibile estendere la trattazione anche al caso di terreno saturo e falda in quiete.
In Figura 15 sono riportati i sei meccanismi per pali liberi di ruotare in testa completi dei
corrispondenti diagrammi di reazioni ultime del terreno e le sollecitazioni agenti nel palo. Da
considerazioni di equilibrio, come suggerito anche da Muraro et al. (2014) in relazione a pali rigidi,
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Meccanismo A:
TA λ λ
tdA = = + 1 (16)
kd1 γ d l1
2
χd 2
Meccanismo C
TC 1
tdC = = (17)
kd 1 γ d l12
2
dove γ è il peso dell’unità di volume del terreno, per semplicità assunto uguale nei due strati, kd1
= 3kp1 e χd = kp1/kp2. (Broms, 1964b)
Per tener conto dell’inclinazione del pendio α, i coefficienti kp1 e kp2 possono essere valutati con
la teoria di Rankine per pendio indefinito.
Per il meccanismo B il taglio e il momento nel palo non possono essere ricavati analiticamente
in forma chiusa. Il problema è stato risolto numericamente per ogni coppia d valori λ e χ. Le soluzioni
sono state ottenute sia per il caso di palo infinitamente resistente, che per palo con resistenza finita
(meccanismi B1, B2 e BY), espressa in forma adimensionale:
My
md = (18)
kd1 γ d l13
Il contributo tagliante del palo per diversi valori del rapporto di resistenza e diversi valori del
momento di plasticizzazione adimensionalizzato è riportato nella successiva Figura 17a.
25
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Figura 15. Meccanismi di rottura e relative distribuzioni di reazioni del terreno, taglio e momento flettente per
analisi in condizioni drenate e palo libero di ruotare in testa.
Per pali impediti di ruotare in testa i meccanismi presi in considerazione coincidono con quelli di
Figura 12, ma l’andamento degli sforzi varia con la profondità (Figura 16). I risultati quantitativi in
termini di taglio adimensionalizzato sono riportati in Figura 17b. Qui di seguito sono riportate le
equazioni che correlano χd con i valori limite del rapporto di infissione e del momento di
plasticizzazione adimensionalizzato, ricavate interpolando i risultati ottenuti numericamente sia nel
caso di pali liberi sia di pali impediti di ruotare (Figura 18):
26
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Figura 16. Meccanismi di rottura e relative distribuzioni di reazioni del terreno, taglio e momento flettente per
analisi in condizioni drenate e palo impedito di ruotare in testa
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(a) (b)
Figura 17. Taglio adimensionale per analisi in condizioni drenate per diversi valori del momento di plasticizzazione
adimensionale e rapporti di resistenza tra lo strato superiore e lo strato inferiore: (a) palo libero e (b) palo impedito
di ruotare in testa.
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Figura 18. Formule di regressione per i valori limite del rapporto di infissione del momento adimensionalizzato
per pali liberi di ruotare e impediti di ruotare per analisi in condizioni drenate.
29
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3. Metodi Ibridi
I metodi cosiddetti “ibridi” cercano di coniugare tra loro in via semplificata aspetti diversi del
problema di interazione tra palo e terreno in frana. Essi infatti assumono differenti approcci per
descrivere
(i) il comportamento della massa di terreno instabile,
(ii) l’interazione del terreno con i pali
(iii) il comportamento meccanico di questi ultimi.
L’equilibrio della massa di terreno instabile può infatti essere studiato tenendo conto dell’azione
stabilizzante AFk,d mediante approcci allo SLU, quali ad esempio i classici metodi dell’equilibrio
limite, o con approcci negli spostamenti, andando ad integrare l’equazione completa del moto per la
massa di terreno, ipotizzata come corpo rigido (tale ipotesi viene peraltro comunemente introdotta
per lo studio in condizioni sismiche mediante metodi pseudodinamici, come discusso in seguito nel
Capitolo 5). Invece l’interazione palo-terreno e la risposta flessionale del palo, seguendo un approccio
agli SLE, sono in genere modellate mediante approcci semplificati negli spostamenti, ad esempio
introducendo rispettivamente le curve P-y e la curva M-θ.
Nell’ipotesi di moto rigido per la massa di terreno in frana, i punti (i) e (ii) sono disaccoppiati e
possono essere risolti separatamente. Appare chiaro allora che i metodi ibridi possano essere
convenientemente impiegati in tutte quelle situazioni in cui il meccanismo di rottura nel pendio è ben
localizzato e per le quali si possa quindi ipotizzare un atto di moto rigido; in tutti i casi in cui, al
contrario, il movimento franoso non è ancora “maturo” tali approcci risultano ben più approssimati e
possono portare ad una sovrastima dei valori dell’azione stabilizzante AFk,d.
L’evoluzione dell’azione AFk,d in funzione del campo di spostamenti U del terreno può essere
ottenuta mediante la definizione di una curva “caratteristica”, associata al meccanismo di rottura del
pendio in esame. Assumendo un atto di moto rigido per la massa di terreno instabile, il profilo di
spostamenti U del terreno lungo la profondità può essere descritto come prodotto di una quantità
scalare U0 (che rappresenta lo spostamento in un punto significativo, quale ad esempio alla profondità
z=0 corrispondente alla testa del palo) e di una funzione di forma
U ( z ) = U 0 ⋅ Uˆ ( z ) . (20)
Nell’ipotesi inoltre di considerare unicamente la componente della forza di interazione che agisce in
direzione trasversale all’asse del palo, la curva caratteristica, che ha in origine la dimensione di una
funzione vettoriale di variabile vettoriale, è ridotta a funzione scalare della sola variabile scalare U0:
Nella (21), per brevità si è fatto riferimento ai valori caratteristici delle grandezze, e si è messa
in evidenza la possibile presenza di un ancoraggio attivo cui viene inizialmente assegnato un pretiro
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di progetto A0,P, a spostamento nullo del terreno. Tipici esempi di curva caratteristica sono
qualitativamente riportati in Figura 19, in particolare:
(i) intervento di stabilizzazione passivo, comportamento duttile
(ii) intervento di stabilizzazione passivo, comportamento fragile
(iii) intervento di stabilizzazione attivo, comportamento duttile
(iv) intervento di stabilizzazione attivo, comportamento fragile.
Q = K P ⋅u . (22)
Per l’equilibrio, tali carichi nodali devono essere uguali alle reazioni delle molle generalizzate
che riproducono l’interazione con il terreno, funzione degli spostamenti relativi tra il terreno U e il
palo u per mezzo delle curve P-y. Raccogliendo tali reazioni in un vettore f,
Q = f (U − u ) . (23)
Definendo la matrice diagonale D come la rigidezza delle curve P-y (pensate indipendenti l’una
dall’altra)
∂f
D= , (24)
∂(U − u )
e imponendo l’uguaglianza in forma incrementale tra la (22) e la (23), si ha
K P ⋅ u& = D ⋅ (U
& − u& ). (25)
31
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da cui
u& = (K P + D ) ⋅ D ⋅ U
−1 & . (26)
Risolvendo la (26) per un assegnato incremento del profilo di spostamenti U del terreno, è
possibile determinare l’evoluzione degli spostamenti u dei nodi del palo, e, tramite la (22), il
corrispondente vettore Q dei carichi nodali. Da questo è immediato procedere alla stima delle azioni
interne nel palo ad ogni passo di carico e, integrando le componenti trasversali di Q lungo lo spessore
H dello strato di terreno in movimento, stimare l’azione stabilizzante AFk,d al variare dello
spostamento U del versante.
A titolo di esempio per la valutazione della curva caratteristica, si riportano qui nel seguito i
risultati discussi in Galli e di Prisco (2013), riferiti ad un intervento realizzato all’interno di uno strato
di sabbia sciolta in moto sopra un substrato di materiale addensato e stabile (Figura 20a), le cui
caratteristiche sono elencate in Tabella 2. Le curve mostrate nel seguito (Figura 22) sono riferite per
semplicità ad un palo singolo e, in coerenza con quanto mostrato nel Capitolo 2, rappresentano il
valore della forza T trasferita al pendio.
Le curve P-y sono qui state calcolate adottando il metodo proposto da Reese et al. (2006) e,
limitatamente allo strato di sabbia sciolta, sono riportate a titolo esemplificativo in Figura 20b, avendo
assunto il piano di falda coincidente con il piano campagna (zw=0). In Figura 22a e b sono confrontati
tra loro i risultati riferiti a due tipologie di palo (Tabella 3), il primo in acciaio e il secondo in
calcestruzzo armato (CLS); si è anche studiato l’effetto del vincolo in testa (rappresentato da un
tirante di ancoraggio), mentre per semplicità si è trascurata la presenza della trave di coronamento.
(a) (b)
Figura 20. (a) Geometria del sistema; (b) andamento delle curve P-y per lo strato di sabbia sciolta (calcolate
secondo Reese et al., 2006).
Tre diversi profili di spostamento del terreno sono stati considerati (Figura 21): (a) profilo
uniforme, corrispondente ad un meccanismo “maturo”; (b) profilo decrescente con la profondità,
corrispondente ad un dissesto non ancora completamente localizzato; e (c) profilo crescente con la
profondità, corrispondente ad esempio ad un meccanismo rotazionale. Per coerenza, si è imposto a
tutti i meccanismi uno spostamento massimo in superficie U0 pari a 20 cm.
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(a) (b)
Figura 22. Evoluzione della forza di sostegno T trasferita al pendio per un profilo di spostamenti del terreno
uniforme: (a) palo in CLS e (b) palo in acciaio (da Galli e di Prisco, 2013).
vincolo: palo libero, tirante attivo (pretiro pari a 200 kN) o tirante passivo. Si nota come ciò abbia
notevole influenza non solo sul valore finale dell’azione, ma anche sulla rigidezza della curva.
(a) (b)
Figura 23. Evoluzione della forza di sostegno T trasferita al pendio per diversi profili di spostamenti del terreno,
per un palo libero in testa: (a) palo in CLS e (b) palo in acciaio (da Galli e di Prisco, 2013).
(a) (b)
Figura 24. Profili di spostamento del palo per diversi profili di spostamenti del terreno, per un palo libero in testa
e per uno spostamento U0=20cm: (a) palo in CLS e (b) palo in acciaio (da Galli e di Prisco, 2013).
(a) (b)
Figura 25. Momenti flettenti nel palo per diversi profili di spostamenti del terreno, per un palo libero in testa e per
uno spostamento U0=20cm: (a) palo in CLS e (b) palo in acciaio (da Galli e di Prisco, 2013).
In Figura 23, riferendosi al solo caso di palo libero in testa, è mostrata invece l’influenza della
forma del campo di spostamenti sulla curva caratteristica per i due tipi di palo. Anche in questo caso,
le curve differiscono significativamente sia in termini di valore limite, sia in termini di rigidezza. Si
nota che le curve presentate tengono debitamente in conto le non linearità del comportamento
meccanico del palo. In Figura 24, ad esempio, sono mostrati gli spostamenti nodali del palo in
corrispondenza dello spostamento U0=20cm. Dalle curve si nota come il palo in CLS abbia sofferto
di una forte non linearità, dovuta all’attivazione di una cerniera plastica a circa 5 metri di profondità
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dal piano campagna. Si osserva infatti dalle curve dei momenti flettenti riportata in Figura 25a e b
che nel palo in CLS si raggiunge il valore del momento di plasticizzazione MY per la sezione (570
kNm), mentre nel palo in acciaio i valori di momento restano sempre abbondantemente entro il valore
limite (7500 kNm),
3.1.2 Osservazioni
(i) Qualora si assuma per le curve P-y e per la curva M-θ un comportamento elastoplastico
incrudente, l’integrazione della (26) risulta particolarmente efficiente e robusta da un
punto di vista computazionale se eseguita secondo approcci piece-wise linear (PWL),
che prevedono la linearizzazione a tratti della funzione di incrudimento e del dominio di
rottura di ogni molla. Per maggiori dettagli, si faccia riferimento a (Cocchetti et al. 2002,
e Cocchetti e Maier, 2003).
(ii) Nel caso in cui una o più curve P-y mostrassero un comportamento fragile, il problema
dell’integrazione della (26), anche con metodi PWL, perderebbe unicità. Come osservato
in Galli, Cocchetti, di Prisco (2011) e Tangaramvong e Tin-Loi (2007), tuttavia, lo
scarico locale di una molla non influenza significativamente la risposta del sistema nel
suo complesso. Per il problema in esame, inoltre, si assume che lo spostamento del
terreno sul singolo passo temporale considerato sia comunque tale da mantenere tutte le
molle in fase di carico, nonostante l’eventuale scarico locale di una molla per effetto del
comportamento fragile di quelle adiacenti.
(iii) La presenza di un tirante può essere modellata introducendo un carico nodale aggiuntivo
alla profondità di inserzione del tirante. Nel caso di tiranti attivi, tale carico è imposto
direttamente al sistema; nel caso di tiranti passivi, il loro effetto è tenuto in conto
modificando opportunamente la curva P-y locale.
Una volta nota la curva caratteristica corrispondente al profilo di spostamento in esame, questa
può essere immediatamente impiegata nelle analisi di stabilità per il meccanismo individuato dalla
superficie di scivolamento F. A tal fine, possono essere impiegati classici metodi dell’equilibrio limite
(ad esempio, i metodi dei conci) in cui si valuta un unico valore di coefficiente di sicurezza “globale”
FS, in genere come riduttore della resistenza del terreno, definito sui valori caratteristici dei parametri:
RkF
EkF = + A0, p + AkF (U 0 ) . (27)
FS
La risposta è qualitativamente illustrata in Figura 26a con riferimento ai quattro tipi di curve
caratteristiche discusse in Figura 19. A partire da un valore iniziale FS0 per il pendio, in funzione del
valore di progetto FS,d, si possono ottenere diverse valutazioni dello spostamento U0 corrispondente,
a seconda del tipo di opera (attiva o passiva) e del tipo di risposta (duttile o fragile).
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(a) (b)
Figura 26. (a) applicazione di diverse curve caratteristiche al calcolo di FS secondo la (27); soluzione della (28) per
due diversi esempi di curve caratteristiche.
Alternativamente, seguendo lo spirito delle attuali normative per la verifica agli stati limite, è
formalmente possibile verificare il rispetto della seguente disequazione, valutata facendo riferimento
ai valori di progetto dei parametri
In questo caso la risposta è qualitativamente illustrata in Figura 26b (con riferimento per brevità
solo alle curve (i) e (iii) di Figura 19), in cui si è anche tenuta qualitativamente in conto la possibile
perdita di resistenza Rd del terreno lungo la superficie F al crescere dello spostamento.
Come è evidente, la (27) e la (28) consentono di stimare il valore di U0 teoricamente
corrispondente al soddisfacimento della condizione richiesta, ma non danno nessuna informazione
circa l’effettivo raggiungimento di quest’ultima, né dell’intervallo di tempo necessario per
raggiungerla.
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in cui si è indicata esplicitamente per le grandezze E ed R l’eventuale dipendenza dal tempo t (dovuta
ad esempio alla variazione dei carichi applicati, o a possibili fenomeni di creep) e dallo spostamento
stesso del terreno (quali ad esempio la perdita di resistenza da valori di picco a valori residui). Nella
(29) sono anche state messe formalmente in evidenza la componente di resistenza viscosa V
mobilitata lungo la superficie F in funzione della velocità di spostamento del terreno e la componente
inerziale M, funzione della sua accelerazione. Per generalità, tutti i termini sono calcolati facendo
riferimento ai rispettivi valori di progetto. Punto fondamentale per la corretta applicazione di questi
metodi è una affidabile caratterizzazione dei parametri che descrivono i termini della (29), ed in
particolare il termine viscoso. Tale parametro infatti non rappresenta solo una proprietà del materiale
che costituisce il pendio, ma, piuttosto, una proprietà dell’intero sistema, funzione anche della sua
geometria e della storia di carichi (meccanici, ambientali,…) agenti su di esso. Per questo motivo la
componente viscosa spesso può essere calibrata solo mediante back analysis su dati di monitoraggio
pregresso del pendio. Occorre considerare inoltre che la presenza di una struttura di sostegno come
una paratia filtrante modifica in genere questo valore di viscosità “di sistema”, dal momento che,
localmente, il campo di velocità del terreno nell’intorno della paratia viene notevolmente modificato
rispetto a quello iniziale, e di conseguenza vengono indotti significativi effetti tridimensionali che, se
da una parte sono difficilmente quantificabili in sede preventiva, dall’altro, per materiali duttili,
inducono in genere un aumento della viscosità globale. Sulla base di questa osservazione, quindi, si
può affermate che, per sistemi duttili, la calibrazione del parametro viscoso sulla base dei dati di
monitoraggio pregressa risulta essere in genere cautelativa al fine della stima degli spostamenti finali
attesi nel pendio. Ricordando l’equazione (20), il profilo di spostamenti del terreno può essere
espresso come prodotto di una quantità scalare U0 (ad esempio, lo spostamento in superficie) e di una
funzione Û(z) che ne descrive la forma lungo la profondità. Nei paragrafi seguenti sono mostrati due
esempi di integrazione della (29), rispettivamente per un caso in cui la forma del profilo di
spostamento è fissata e non evolve nel tempo, e per un caso in cui invece essa è libera di variare in
funzione dei carichi che il terreno scambia con i pali.
Si consideri l’esempio di pendio infinitamente esteso discusso nel paragrafo 3.1.1, soggetto al
campo di spostamenti uniforme descritto in Figura 21a. L’equazione del moto (traslazionale) di tale
sistema (tenendo conto dei parametri espressi in Tabella 4) può essere ottenuta dalla (29) in funzione
del solo parametro scalare U0 ed espressa come
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( )
EdF − RdF (t ) − AdF (U 0 ) = VdF U& 0 (30)
ove l’azione E è considerata costante e pari alla componente del peso dello strato parallela al pendio,
la resistenza R lungo la superficie di scivolamento viene fatta dipendere dalla profondità zw della falda
sotto il piano campagna e la curva caratteristica è ottenuta normalizzando la forza T per l’area di
influenza di ciascun palo (per semplicità si è ipotizzato che la spaziatura S e la distanza B siano tali
da poter trascurare l’interazione tra pali e l’affetto ombra). In ragione delle basse velocità attese per
questo tipo di dissesti, nella (31) si è trascurata la componente inerziale dovuta alle accelerazioni
della massa di terreno. La (31) può essere risolta con una semplice integrazione nel tempo mediante
il metodo alle differenze finite. Il secondo membro dell’equazione (31) è introdotto entro il simbolo
<⋅> a indicare che vengono considerati significativi solo valori positivi di velocità del terreno, coerenti
cioè con uno spostamento verso valle.
Imponendo un’oscillazione stagionale del livello di falda come descritta in Figura 27a, e
risolvendo la (31) inizialmente in assenza dell’opera di sostegno, è possibile stimare l’evoluzione
attesa dello spostamento dello strato di terreno (immaginando un profilo uniforme lungo la
profondità, come in Figura 21a) di circa 10 cm all’anno (Figura 27a).
Introducendo nella (31) le curve T(U0) precedentemente mostrate (Figura 22), è
immediatamente possibile integrare l’equazione e valutare l’efficienza dell’intervento (in termini di
contenimento dello spostamento del terreno e riduzione della sua velocità) per ciascuno dei due tipi
di palo e per diversi gradi di vincolo in testa (Figura 27b, c). Per i casi analizzati, si osserva come una
paratia di pali in acciaio consenta in ogni caso di arrestare il movimento franoso (con spostamenti
finali compresi tra 1 e 3 cm, attesi nei due anni successivi all’installazione della paratia filtrante). Per
pali in CLS, nei casi di estremo libero o con tirante passivo, si ha una risposta del tutto simile a quella
del palo in acciaio. Nel caso di tirante attivo, invece, la paratia di pali in CLS risulta essere non
pienamente efficace, dal momento che il valore scelto per il pretiro comporta l’attivazione di una
cerniera plastica: si ha quindi una riduzione della velocità di spostamento del terreno, ma senza
garantirne l’arresto.
E’ importante osservare che dati come quelli qui commentati possono anche costituire un utile
quadro interpretativo per la comprensione dei dati di monitoraggio dell’opera di sostegno.
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(a)
(b) (c)
Figura 27. (a) Evoluzione dello spostamento del terreno e della profondità di falda in assenza dei pali. Evoluzione
dello spostamento del terreno in presenza dei pali: (b) palo in acciaio e (c) palo in CLS (da Galli e di Prisco, 2013).
Nel caso in cui il dissesto nel pendio non presenti ancora una chiara localizzazione, o quando il
moto della massa di terreno instabile non possa essere assimilato quello di un corpo rigido, il profilo
di velocità nel terreno non sarà uniforme (curva (i) di Figura 28a), ma sarà caratterizzato da andamenti
vari, in generale decrescenti con la profondità (curva (ii)) o irregolari (curva (iii)), in funzione della
geometria, delle proprietà del terreno e dell’andamento nel tempo delle azioni instabilizzanti. Risulta
pertanto indispensabile studiare simultaneamente:
(i) il comportamento della massa di terreno instabile,
(ii) l’interazione del terreno con il palo e
(iii) il comportamento meccanico di quest’ultimo,
in modo da cogliere sia l’influenza del campo di spostamenti del terreno sulla distribuzione delle
forze trasversali tra il palo e il terreno stesso, sia, a ritroso, l’effetto che queste hanno nel modificare
il profilo di velocità, possibilmente arrestandolo.
Facendo riferimento ad un caso monodimensionale di pendio infinitamente esteso, ad esempio,
si può in via semplificata assimilare lo strato di terreno instabile di spessore H ad un fluido viscoso
in moto laminare (assumendo quindi un legame rigido-viscoplastico perfetto per il terreno) e studiare
l’effetto che l’azione di sostegno esercita sull’equazione del moto, scritta alla generica profondità z
(Figura 28b). Nel paragrafo successivo è mostrato un esempio numerico.
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(a) (b)
Figura 28. (a) esempi di profili di velocità nel terreno; (b) interazione tra palo e terreno in moto laminare.
Facendo riferimento ad uno strato di spessore generico z del pendio indefinito schematicamente
mostrato in Figura 28b, è possibile scrivere l’equazione del moto in direzione parallela al pendio
come
in cui è stato trascurato il termine inerziale ed è stata introdotta una componente viscosa dipendente
da un parametro µ (in generale variabile lungo la profondità), avendo assunto per il terreno un
comportamento viscoplastico. L’azione di sostegno può essere formalmente espressa come integrale
delle azioni che palo e terreno si scambiano dalla superficie fino alla profondità z
z
A( z ) = ∫ f (U (ξ ) − u (ξ ))dξ (33)
0
in cui la funzione f fornisce la risultante degli sforzi trasversali agenti sulla superficie del palo alla
profondità considerata. La (32) può essere discretizzata, coerentemente alla discretizzazione del palo,
e riscritta nella forma
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& u ⋅B
+ A(U − u)
B dU B
µ⋅ ⋅ = W ⋅ sinα − W ⋅ cosα − w ⋅ tan φ'+c'⋅ (34)
cosα dz cosα cosα
ove i termini in grassetto indicano quantità vettoriali e il vettore A, valutato come somma dei carichi
nodali agenti tra la superficie e la profondità considerata, è esplicitamente espresso come funzione
degli spostamenti relativi tra terreno e palo. La (34), insieme all’equazione (26), costituisce un sistema
di equazioni differenziali nelle due incognite U(z,t) e u(z,t), che rappresentano l’evoluzione dei profili
di spostamento del terreno e del palo lungo la profondità z. Per ciò che concerne l’imposizione delle
condizioni al contorno, si fa osservare che, in generale, è necessario suddividere il dominio di
integrazione spaziale in due sottodomini:
(i) nel caso in cui il palo immorsato nel substrato rigido (L>H), i due sottodomini saranno
definiti 0<z<H e H<z<L;
(ii) nel caso invece in cui il palo non sia immorsato nel substrato rigido (L<H), essi saranno
definiti come 0<z<L e L<z<H
Per poter integrare il sistema di equazioni differenziali, sarà in ogni caso necessario imporre che al di
là della superficie di scivolamento, lo spostamento del terreno sia nullo per ogni istante temporale
(U(z,t)=0, ∀t e per z>H).
A titolo di esempio, nel seguito tale procedura è stata applicata al caso di un pendio infinitamente
esteso costituito da uno strato di materiale granulare di spessore H (le cui proprietà sono elencate in
Tabella 5) che poggia su di un substrato molto più rigido e resistente. Lo strato superficiale viene
stabilizzato mediante la realizzazione di una paratia filtrante costituita da pali in CLS (Tabella 6),
immorsata per un metro nello strato stabile.
Lunghezza, diametro L = 6 m; D = 30 cm
Rigidezza flessionale EJ = 2.22×104 kNm2
Calcestruzzo C30/35
Barre armatura 10Φ14, FeB38k
Distanza tra gli ordini di palificate B = 10 m
Spaziatura tra i pali S=1m
Tabella 6. Descrizione della tipologia di palo.
Si è confrontata l’evoluzione del sistema in una finestra temporale di 30 anni, per quattro diversi
scenari:
a) assenza di pali,
b) pali liberi in testa,
c) pali con tirante passivo,
d) pali con tirante attivo (pretiro pari a 20 kN per ogni palo).
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Figura 29. Profili di velocità del terreno per i quattro diversi scenari.
Figura 30. Profili di spostamento del terreno per i quattro diversi scenari.
I risultati sono riassunti in Figura 29 in termini di profili di velocità del pendio, e Figura 30 in
termini di profili di spostamento per differenti istanti temporali compresi tra 0,1 anni (cioè
immediatamente dopo la messa in opera) e 30 anni dopo la messa in opera. Per lo scenario (a), assenza
dei pali, il profilo di velocità del terreno è descritto da un andamento parabolico di ampiezza costante
nel tempo, con valori massimi in superficie di circa 10 mm/anno. Tale profilo viene solo leggermente
ridotto in ampiezza quando si considera la presenza di pali liberi in testa, scenario (b), segno che
questa soluzione non è da considerarsi pienamente soddisfacente in quanto il palo non è
sufficientemente immorsato nello strato stabile. In presenza di tiranti passivi, scenario (c), le velocità
sono invece significativamente ridotte con il passare del tempo fino a valori massimi residui
dell’ordine di 2 mm/anno, e la forma del profilo è modificata. Infine, in presenza di un tirante attivo
con pretiro di 20 kN), scenario (d); le velocità sono grandemente ridotte fin dai primi istanti dopo
l’installazione, e non se ne prevedono significative variazioni durante l’intera vita utile dell’opera. Si
osserva però che in questo caso la forma del profilo di velocità è diversa da quella iniziale, con
velocità residue non nulle per i primi due metri circa di profondità. A seguito della messa in opera
della paratia e dell’imposizione del pretiro, verrebbe quindi arrestato il meccanismo di scivolamento
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profondo, ma resterebbero attivi meccanismi di scivolamento più superficiali, per i quali i pali non
riescono a mobilitare sufficienti carichi stabilizzanti. Si noti che tale peculiarità non sarebbe stata
colta da metodi allo SLU. Per arrestare questi meccanismi superficiali risulta dunque necessario
intervenire con ulteriori soluzioni progettuali, o riprogettare la paratia filtrante.
A titolo di esempio, si osserva che, se per lo scenario (a) si adottasse l’approccio dell’equilibrio
limite esteso all’intero strato, si avrebbe un valore del coefficiente di sicurezza FS=tanφ’/tanα=0,76
uniforme lungo tutto lo spessore dello strato. Per portare tale valore a 1, occorrerebbe un’azione
stabilizzante tale da verificare l’equilibrio allo scivolamento dello strato:
T
γH ⋅ sin α = γH ⋅ cos α ⋅ tan φ '+ (35)
B⋅S
da cui T=124,22 kN per singolo palo. Evidentemente tale valore risulta grandemente
sovrastimato rispetto alle reali necessità (quantificate in circa 20 kN/palo, corrispondente al pretiro
assegnato), e sarebbe comunque inefficace per arrestare i meccanismi di scivolamento più
superficiali.
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Gli approcci più comunemente adottati nella pratica professionale possono essere ricondotti ad
analisi pseudo-statiche, attraverso la definizione di opportuni valori del coefficiente di riduzione
dell'azione sismica. Questi ultimi sono ottenuti a partire da leggi di regressione e analisi statistiche
che legano gli spostamenti calcolati, con metodi dinamici semplificati, ad uno o più parametri del
moto. La stabilità dei pendii è valutata generalmente nell'ipotesi di problema di deformazione piana,
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impiegando i metodi globali dell'equilibrio limite (oppure i metodi delle strisce) basati sulle equazioni
della statica.
Le analisi di stabilità dei pendii vengono generalmente espresse in termini di coefficiente di
sicurezza, definito come il valore per cui dividere i parametri di resistenza disponibili lungo la
superficie di scorrimento per raggiungere la condizione di collasso incipiente. La superficie di
scorrimento critica è quella caratterizzata dal minor coefficiente di sicurezza.
Le ipotesi su cui si basa l'analisi pseudostatica sono:
• terreno assimilabile ad un mezzo rigido perfettamente plastico
• condizione di rottura simultanea in tutti i punti della superficie di scorrimento (pre-esistente o
potenziale)
• resistenza sulla superficie di scorrimento espressa in termini di tensioni efficaci mediante il
criterio di Mohr-Coulomb o in termini di tensioni totali mediante il criterio di Tresca
• azione dinamica del terremoto rappresentata come una forza di inerzia statica equivalente,
proporzionale al peso W della massa potenzialmente instabile, ed applicata nel baricentro della
stessa (metodi globali) o nei baricentri delle singole strisce (metodi delle strisce).
Fh = kh ⋅ W
(36a,b)
Fv = kv ⋅ W
amax
kh = β s ⋅
g (37a,b)
kv = ±0.5 ⋅ k h
amax = S ⋅ ag = S S ⋅ ST ⋅ ag (38)
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Tra i metodi dell'equilibrio limite, il modello di pendio indefinito rappresenta quello di più facile
applicabilità, che risulta efficace nella trattazione di problemi di instabilità con le seguenti
caratteristiche:
• superficie di scorrimento parallela alla superficie topografica del pendio;
• rapporto tra la lunghezza e lo spessore del corpo di frana possa essere ritenuto tanto elevato
da trascurare gli effetti delle estremità (in generale si fissa un limite inferiore pari a 10);
• proprietà fisico-meccaniche del terreno siano costanti nell'ammasso.
Nella trattazione che segue si è ipotizzato di trascurare anche il contributo della forza sismica
verticale. La trattazione può però essere facilmente generalizzata anche in presenza di tale forza.
Nelle analisi pseudostatiche di pendii indefiniti stabilizzati con file di pali disposti ad interasse
S nel piano ortogonale alla superficie di scorrimento e B nella direzione longitudinale (Figura 31),
occorre portare in conto il contributo stabilizzante del palo AFk,d che rappresenta il taglio ultimo Tpile
sulla superficie di scorrimento ricavato come descritto nel Capitolo 2 per i diversi meccanismi di
rottura.
Si ottengono le espressioni del coefficiente di sicurezza riportate nel seguito, valutate sia per
pendio non stabilizzato sia per pendio stabilizzato con pali, in condizioni drenate (avendo ipotizzato
assenza di falda) e in condizioni non drenate.
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Tra gli svariati metodi proposti in letteratura per individuare il coefficiente di sicurezza di un
pendio basati sul principio dell'equilibrio limite, quello di Sarma (1973, 1979) appare particolarmente
adatto alle verifiche sotto azioni sismiche in quanto consente di calcolare l'accelerazione critica
orizzontale necessaria affinché la massa al sopra della superficie si trovi in una condizione di
incipiente collasso. Il corpo di frana, suddiviso in n strisce, è soggetto a forze destabilizzanti (peso
proprio ed azioni sismiche) e azioni stabilizzanti (resistenze mobilitate lungo la superficie di
scorrimento e, nel caso di pendio rinforzato, contributo dei pali) come in Figura 32. Nell'ipotesi in
cui la larghezza della striscia sia sufficientemente piccola da garantire che le azioni normali Ni
agiscano nel baricentro e che non ci siano forze esterne agenti all'interfaccia, Σ∆Ei=0 e Σ∆Xi=0, si
ricavano le equazioni dall'equilibrio orizzontale e verticale della singola striscia (Tpile≠0 solo nella
striscia in cui è presente il palo):
T pile
N i ⋅ cos α i + Ti ⋅ sin α i + ⋅ sin α i = W i − ∆ X i (43)
S
Tpile
Ti ⋅ cos α i − N i ⋅ sin α i + ⋅ cos α i = k h ⋅ Wi − ∆E i (44)
S
Ti = N i ⋅ tan φ 'i +ci ⋅ bi ⋅ sec α i (45)
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Figura 32. (a) superficie critica per il pendio non rinforzato e (b) sua analisi a seguito di stabilizzazione con pali.
Le equazioni di equilibrio (43), (44) insieme al legame costitutivo espresso dall’equazione (45)
e all’equazione di equilibrio alla rotazione globale dell’intera massa, "estese" rispetto al lavoro
originale (Sarma,1979) ed implementate in appositi programmi di calcolo (Matlab), consentono di
valutare il coefficiente di sicurezza del pendio in condizioni pseudostatiche tenendo conto del
contributo benefico offerto dalla paratia di pali. In questo caso il contributo della fila di pali è dato
dal taglio ultimo del palo (AFk,d = Tpile/S) e dal concomitante momento (Mpile/S) calcolato sulla
superficie di scorrimento in funzione dei diversi meccanismi di rottura analizzati nel Capitolo 2.
I metodi degli spostamenti sono derivati dal modello di blocco rigido di Newmark (1965) nei
quali l’azione sismica è definita da una funzione temporale, gli effetti dell’azione sismica vengono
valutati in termini di spostamenti accumulati e la sicurezza è stimata confrontando lo spostamento
cumulato con quello ammissibile. Tali metodi consentono di superare il limite intrinseco
dell’approccio pseudostatico che utilizza sollecitazioni statiche e costanti nel tempo e di tener conto
del fatto che la risposta del pendio dipende anche dalle caratteristiche dell’accelerogramma. La
determinazione del coefficiente sismico critico avviene mediante un'analisi pseudostatica "inversa"
considerato che:
• la condizione di collasso incipiente (FS=1) corrisponde al valore del coefficiente sismico
critico;
• il fattore che fornisce un valore nullo dell'accelerazione critica corrisponde al coefficiente di
sicurezza critico in condizioni statiche.
Nel caso del pendio indefinito è possibile ottenere il coefficiente sismico critico in forma esatta
sia nel caso di pendio non stabilizzato che nel caso di pendio stabilizzato mediante l'utilizzo di paratie
filtranti (in questo caso il contributo della fila di pali è dato solo dal taglio ultimo del palo (AFk,d =
Tpile/S ):
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dove con l1 si intende la lunghezza della porzione di palo entro la massa di terreno in esame.
Nel caso di pendio di altezza limitata la cui stabilità è valutata con il metodo di Sarma,
l'accelerazione critica si ricava iterativamente, considerato che i parametri di resistenza del materiale
lungo la superficie di scorrimento sono divisi per un coefficiente di sicurezza noto.
Una semplice metodologia per la valutazione degli spostamenti sismoindotti (cosismici) di
pendii stabilizzati con pali può essere riassunta in tre passi, come segue:
a) analisi di stabilità del pendio non stabilizzato e valutazione della resistenza ultima offerta dai
pali
b) implementazione del contributo tagliante e del momento offerto dai pali nei metodi
dell'equilibrio limite tradizionali e valutazione dell'accelerazione critica del pendio
stabilizzato (analisi pseudostatica inversa);
c) applicazione del metodo di Newmark, con un set di accelerogrammi significativi per il sito e
per il periodo di ritorno degli eventi sismici considerati (o per la probabilità di superamento
nella vita di riferimento del pendio), per stimare gli spostamenti cumulati permanenti.
5.2.1 Esempio numerico finalizzato alla la valutazione degli spostamenti sismoindotti per pendio di
altezza limitata stabilizzato con pali
Le stesse superfici sono state analizzate considerando la presenza di una fila di pali infissi nel pendio
con differenti valori dell’interasse S e diverse lunghezze L (Figura 33)
In Tabella 7, per ogni configurazione di pali e per ogni pendio, si riportano i valori degli interassi
utilizzati, i corrispondenti coefficienti di sicurezza ed i coefficienti critici.
Figura 33. Casi studio di tre pendii stabilizzati con tre diverse configurazioni di pali.
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periodo di ritorno dell’evento sismico considerato. I risultati (Figura 35) evidenziano che gli effetti
della stabilizzazione dei pendii mediante pali comportano una notevole riduzione degli spostamenti
sismoindotti, correlabile all'incremento del coefficiente di sicurezza in condizioni statiche (Adinolfi
et. al, 2015)
Tenuto conto che i metodi degli spostamenti derivati dal modello di blocco rigido di Newmark (1965)
fanno riferimento a cinematismi di collasso idealizzati e semplificati, gli spostamenti calcolati devono
considerarsi come una stima dell'ordine di grandezza degli spostamenti reali, e quindi come un indice
di prestazione del pendio in condizioni sismiche. Lo studio dimostra che i pali, progettati per
incrementare il coefficiente di sicurezza statico a prefissati valori, possono drasticamente ridurre gli
spostamenti sismoindotti. Le limitazioni del metodo sono dovute alle ipotesi semplificative adottate:
sebbene i risultati evidenzino un trend interessante, la generalizzazione richiede attenzione e sarà
oggetto di studi futuri.
Figura 35. Spostamenti sismoindotti in funzione del coefficiente di sicurezza in condizioni statiche.
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6. Osservazioni conclusive
6.1 Monitoraggio
Come sempre accade per le opere civili, il monitoraggio della struttura durante la fase di messa
in opera è di fondamentale importanza, e, in aggiunta ai tradizionali controlli circa la verticalità e
l’integrità dei pali, deve prevedere (per paratie pretirantate in assenza di significativi carichi verticali)
essenzialmente la misura degli spostamenti orizzontali della testa dei pali e di alcuni valori di
spostamento del terreno circostante in corrispondenza di punti ritenuti significativi. Il monitoraggio
di paratie filtranti, più in generale, deve però inquadrarsi in un più ampio progetto di monitoraggio
dell’intero sistema, che parte ben prima (ad, anzi, supporta) la progettazione dell’opera. Come
brevemente messo in luce in precedenza, infatti, la corretta progettazione di una paratia filtrante non
può prescindere dalla precisa conoscenza del campo di spostamenti del terreno attivo nel pendio già
prima della realizzazione dell’opera. Analogamente, nel quadro di approcci progettuali di tipo
prestazionale, è necessario verificare l’efficacia dell’intervento in termini di riduzione delle velocità
di spostamento del pendio a lungo termine, ed è quindi essenziale mantenere attivo tale sistema di
monitoraggio anche successivamente alla messa in opera. La progettazione del sistema di
monitoraggio e la scelta delle più opportune tecnologie di misura è ovviamente compito del
progettista, e può spaziare dall’impiego di inclinometri tradizionali, di misure topografiche (ottiche o
GPS), di telerilevamento, ecc. Si ritiene inoltre fondamentale procedere al monitoraggio delle
pressioni interstiziali nel pendio e delle forze nei tiranti, così come, possibilmente, alla misura dello
stato tensionale nei pali per mezzo di opportune misure estensimetriche.
Si sottolinea che tale mole di dati consente non solo di progettare correttamente la struttura, ma
anche di verificarne e interpretarne il comportamento a lungo termine, fornendo al progettista una
solida base per riconoscere immediatamente eventuali anomalie del sistema.
Le principali criticità legate alla progettazione e realizzazione di una paratia filtrante sono
dovute alla corretta modellazione del comportamento meccanico della struttura e della sua interazione
con il terreno circostante. Ciò consente di pervenire ad una precisa definizione delle gerarchie di
resistenza di tutte le componenti del sistema (palo, trave di coronamento, tirante…) in modo da
garantire la duttilità richiesta in fase di progetto. A tal proposito risulta essenziale valutare la
durabilità delle singole componenti del sistema nei confronti di carichi agenti, non solo di natura
meccanica (quali, evidentemente, i carichi dovuti allo spostamento del terreno), ma anche di natura
ambientale (termici, meteorici, chimici legati all’interazione della struttura con un ambiente
aggressivo…), spesso di natura ciclica.
Dal punto di vista ambientale la realizzazione di una paratia filtrante comporta un onere
paragonabile a quello di qualsiasi altra opera civile di ugual volume, ma è caratterizzata da un ridotto
impatto visivo (che può essere anzi ulteriormente mascherato adottando opportuni accorgimenti
accessori, quali ad esempio quelli propri dei metodi di ingegneria naturalistica) dal momento che
l’opera è quasi completamente interrata. Rispetto ad un setto continuo, inoltre, una paratia filtrante
non costituisce una barriera impermeabile tra monte e valle, non venendo quindi a modificare
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sostanzialmente la circolazione idrica nel pendio (anche se spesso è accoppiata alla realizzazione di
sistemi di tubi drenanti), né attività biologiche (quali lo sviluppo di specie animali e vegetali, anche
in ambiente sotterraneo), a meno di una inevitabile modifica delle caratteristiche del terreno
nell’intorno dei pali.
6.3 Cantierizzazione
I fattori che maggiormente condizionano la messa in opera di una paratia filtrante sono
essenzialmente dovuti alla geometria del sistema, in particolare alla pendenza del versante. Pendii
molto acclivi potrebbero comportare serie limitazioni operative dovute alla difficoltà di raggiungere
con le macchine operatrici il punto scelto per il posizionamento dei pali. A questo proposito, si segnala
comunque che l’estrema flessibilità dell’intervento consente di spaziare tra geometrie e dimensioni
molto differenti, variabili da quelle tipiche di micropali a quelle di pali di grande diametro, fornendo
quindi una serie di valide alternative progettuali utili a superare (almeno in parte) alcune limitazioni
dovute alla scarsa accessibilità della zona di cantiere. La natura dell’opera consente inoltre di
semplificare notevolmente la progettazione e messa in esercizio, permettendo ove possibile di
adottare anche soluzioni modulari con pali e travi di coronamento prefabbricate e ottimizzate per il
particolare intervento.
Infine, la realizzazione di tali opere, pur richiedendo un controllo attento sull’esecuzione e
soprattutto sulla continuità assiale dei pali (aspetto critico nei pali gettati in opera), non necessita di
una particolare specializzazione delle imprese esecutrici, essendo sufficienti imprese abilitate ad
eseguire usuali fondazioni su pali.
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