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“Il potere di Dio si vede nella povertà”.

La teodicea trinitaria di Pavel A. Florenskij

Lubomir Zak*

«Nessun uomo può giudicare quello che sta veramente


succedendo al momento attuale sub specie aeternitatis.
Tutto quello che sappiamo, e anche questo in larga parte
per diretta esperienza, è che il male agisce con grande
potenza e successi continui – inutilmente: preparando
sempre e solamente il terreno perché il bene,
inaspettatamente, germogli»

J.R.R. Tolkien, lettera del 30 aprile 1944

1. UNA TEODICEA RADICATA NELL’ESPERIENZA

Il problema del male, connesso con quello dell’esistenza e della giu-


stizia di Dio, ha turbato da sempre le migliori menti della cultura e della
teologia ortodossa russa. Poeti, romanzieri, filosofi, teologi laici e pro-
fessori delle accademie ecclesiastiche dell’800 e dei primi anni del ’900
se ne sono occupati con tali fervore e coinvolgimento da far pensare che
sia principalmente questa questione a sconvolgere l’‘anima russa’. Nel
tematizzarla e nel penetrarvi speculativamente i Russi si sono dimostrati
davvero grandi maestri. Si pensi, ad esempio, a Fëdor Dostoevskij e a I
fratelli Karamazov, romanzo letteralmente innervato da magistrali ri-
flessioni sul mistero del male.1 Oppure a filosofi come Vladimir V. So-
lov’ev,2 Evgenij N. Trubeckoj, Nikolaj O. Losskij, Vjaãeslav I. Ivanov e

* Docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense.


1 Per una presentazione di tali riflessioni rimando a EVDOKIMOV P., Dostoïevskij et le problème
du mal, Desclée de Brouwer, Paris 1978; AA.VV., Il dramma della libertà. Saggi su Dostoevskij,
La Casa di Matriona, Milano 1991.
2 Data la centralità di questo originale pensatore nel panorama del pensiero filosofico e teologico
russo della seconda metà dell’800 e dei primi decenni del ’900, la sua proposta di teodicea suscita
un interesse particolare. Tra gli studi dedicati ad essa si veda WENZLER L., Die Freiheit und das
Böse nach Vladimir Solov’ev, Verlag Karl Aber, Freiburg-München 1978.

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Sergej N. Bulgakov, che si sono impegnati nell’elaborare una versione


della teodicea più consona alla sensibilità religiosa russa. Quanto alla
teologia, un importante contributo nell’esplorazione del tema del male è
stato offerto da Pavel A. Florenskij (1882-1937), scienziato, filosofo,
teologo e sacerdote ortodosso.3
Egli, chiamato per la sua poliedricità il Leonardo da Vinci russo, ap-
parteneva a quella generazione di intellettuali, cresciuti con in mano il
Qoèlet e l’Apocalisse. Solo da questi libri era possibile infatti trarre una
risposta agli eventi di cui loro non potevano non essere testimoni. La
Russia di fine ’800 e di inizio ’900 era contrassegnata da radicali cam-
biamenti sociali, politici e culturali accompagnati da un clima di violen-
za, di terrorismo rivoluzionario e di guerra. Il «Drago è vicino», scrisse
in una lettera del 1905 a Florenskij il poeta A. Belyj,4 reagendo ad una
missiva dell’amico inviatagli da Tiflis,5 dove continuavano i cruenti
scontri tra l’esercito e le masse degli operai e dei contadini, provocati
dalla rivoluzione scoppiata a San Pietroburgo. La successiva risposta di
Florenskij alle parole dell’amico e ai terrificanti eventi non recava in sé
alcuna traccia di sonnambulismo fatalista. «Noi cristiani ci sentiamo

3 La persona e il pensiero di Florenskij – citato nell’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II


tra i nomi dei grandi maestri della tradizione filosofico-teologica cristiana (n. 74) – non necessita-
no di una particolare presentazione. Infatti le sue opere vengono tradotte nelle principali lingue eu-
ropee e a lui sono stati dedicati molte monografie e numerosi saggi comparsi nelle riviste e nelle
miscellanee. Quanto agli studi monografici più recenti sono da citare TAGLIAGAMBE S., Come leg-
gere Florenskij, Tascabili Bompiani, Milano 2006; LÓPEZ SÁEZ F.J., La bellezza, memoria de la re-
surrección. Teodicea y antropodicea en Pavel Florenskij, Monte Carmelo, Burgos 2008; BETTI R.,
La matematica come abitudine del pensiero. Le idee scientifiche di Pavel Florenskij, Università
Luigi Bocconi - Centro Pristem Eleusi, Milano 2009; PYMAN A., Pavel Florensky. A Quiet Genius.
The Tragic and Extraordinary Life of Russia’s Unknown da Vinci, Continuum, New York - London
2010. Una sintetica introduzione al pensiero filosofico e scientifico di Florenskij e alla sua teologia
offrono i saggi: VALENTINI N., voce Florenskij Pavel Aleksandroviã, in Dizionario Interdisciplinare
di scienza e fede, a cura di Tanzella Nitti G. e Strumia A., vol. 2, Città Nuova Urbaniana University
Press, Roma 2002, pp. 1750-1764; ZAK L., voce Florenskij Pavel Aleksandroviã, in Dizionario cri-
tico di teologia, sotto la direzione di Lacoste J.-Y.; ed. it. a cura di Coda P., Borla - Città Nuova,
Roma 2005, pp. 574-579; DELL’ASTA A. - ZAK L., Nulla va perduto. L’esperienza di Pavel Floren-
skij, La Casa di Matriona, Seriate 2009.
4 BELYJ A. - FLORENSKIJ P.A., L’arte, il simbolo e Dio. Lettere sullo spirito russo, tr. it. di G. Giu-
liano, Medusa, Milano 2004, p. 67.
5 In essa Florenskij annotò con preoccupazione: «Qui c’è una situazione tale, c’è tanta tensione
nell’aria, tanta irritazione reciproca e tanto sangue, che è impossibile concentrarsi e non essere ner-
vosi. Mi tranquillizzo un po’ solamente su Schiller. Arrivederci, caro Boris Nikolajeviã, se solo
sarà ancora possibile qui: non bisogna contare neanche su un solo giorno» (ib., 66).

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troppo liberi per non essere troppo responsabili di ogni respiro, di ogni
sguardo, di ogni attimo»,6 scrisse, intenzionato a partecipare attivamen-
te alle sofferenze del tormentato popolo russo. Quindi, nel marzo del
1906, da studente del secondo anno di teologia, ebbe il coraggio di pro-
nunciare nella cappella dell’Accademia teologica di Mosca un
sermone7 contro l’esecuzione del sottotenente P.P. Šmidt e le sanguino-
se repressioni e punizioni eseguite spietatamente dall’armata e dalla po-
lizia zarista, compiendo così un gesto che suscitò molto clamore e che
egli dovette pagare con la detenzione in prigione.
Florenskij non era affatto un sognatore estraneo agli accadimenti
della storia, sebbene sia stato dipinto così da alcuni poco informati o,
forse, maliziosi studiosi. E non lo fu nemmeno quando nell’ottobre del
1917 scoppiò la rivoluzione bolscevica. Con essa cominciò un periodo
di vita molto duro per lui e per tutta la sua famiglia. Riferendosi a que-
sta stazione della sua via crucis, egli, già nel 1919, scrisse una parte del
proprio testamento spirituale, dove annotò con preoccupazione : «Cari
figli miei, questo periodo della rivoluzione è stato talmente difficile che
non si può nemmeno immaginare; è stato difficile, e lo è, e Dio sa quan-
to ancora durerà».8 Il ‘destino’ volle che egli non vedesse mai l’alba di
un mondo libero, non adombrato dal totalitarismo sovietico. Tuttavia, in
quel 1919 il sacerdote non poteva intuire tutta la verità sul proprio futu-
ro. E cioè, che le persecuzioni della Chiesa e degli intellettuali non
schierati con il regime gli avrebbero portato via molti amici e collabora-
tori, che egli stesso avrebbe dovuto rinunciare all’attività sacerdotale,
che avrebbe assistito alla profanazione e distruzione dei santuari e delle
chiese, che avrebbe dovuto stare a guardare, impotente, mentre monaci
e monache, sacerdoti e vescovi venivano gettati nelle carceri, torturati o

6 Lettera a Belyj del 31 gennaio 1906, in BELYJ A. - FLORENSKIJ P.A., op. cit., p. 74.
7 FLORENSKIJ P.A., Vop’ krovi (Il grido del sangue), in KRAVEC S.L., O krasote duchovnoj. P.A.
Florenskij: religiozno-nravstvennye vozzrenia (Sulla bellezza spirituale. P.A. Florenskij: le idee re-
ligioso-morali), Znanie, Moskva 1990, pp. 48-54.
8 Nel 1920 aggiunse: «Miei cari, in questo difficile periodo, gli amici e i conoscenti ci hanno
molto aiutato, e senza il loro aiuto non saremmo potuti sopravvivere» (FLORENSKIJ P.A., Non di-
menticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e
sacerdote russo, tr. it. a cura di Valentini N. e Zak L., Oscar Mondadori, Milano 2008, pp. 415-
416). E nel 1921: «Amati figlioletti miei, il mio cuore si strugge per voi. Quando crescerete, capi-
rete quanto si strugga il cuore di un padre e di una madre per i figli» (ib., p. 417).

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direttamente giustiziati. E, soprattutto, allora egli non poteva ancora in-


tuire che nel 1933, dopo anni di lotta per la sopravvivenza, vissuti nel
terrore quotidiano per la vita di sua moglie e dei suoi cinque figli, sa-
rebbe arrivato il giorno del suo arresto, della condanna ai lavori forzati
nel gulag delle isole Solovki, e che, proprio lì, nel 1937, a venti anni
esatti dalla rivoluzione, gli sarebbe stata tolta la vita.
Dunque, quanto al problema del male, Florenskij è un pensatore che
dev’essere ascoltato con attenzione. Sia perché la sua esperienza della
sofferenza e il suo martirio lo rendono testimone credibile di un con-
fronto diretto con tale problema; sia perché egli non rinunciò al deside-
rio di affrontarlo sul piano del pensiero, per chiarire il suo nesso con la
fede in Dio. Un importante tentativo in questa direzione è rappresentato
da La colonna e il fondamento della Verità. Saggio di teodicea ortodos-
sa in dodici lettere (1914). Si tratta di un’opera filosofico-teologica ac-
colta con entusiasmo e fino ad oggi letta e amata da molti per l’origina-
lità dello stile, il rigore speculativo e la profondità mistica. Ma ciò che
soprattutto la caratterizza è che essa propone un affascinante percorso
di riflessione, animato da un’importante domanda: come è possibile, di
fronte allo spettro della morte, il riscatto dal male, dalla sofferenza e dal
dolore? Una domanda, si capisce, tutt’altro che accademica. Special-
mente se si pensa che, quando dal 1908 Florenskij iniziò a lavorare su
La colonna, la sua vita si svolgeva letteralmente «a cospetto della mor-
te».9 Inoltre, l’antinomia esistenziale tra la vita e la morte amplificava
in lui i sentimenti di smarrimento e di incertezza generati dalla viva
sensazione della contraddittorietà dell’esistenza umana. Sentimenti che
egli cercò di contrastare, ma che, durante la stesura dell’opera, erano in
lui comunque vivi, cosicché riusciva a descriverli con precisione: «Ne-
gli umori, tendenze contrastanti; nella volontà, desideri contrari; nei
pensieri, idee contraddittorie. Le antinomie frazionano tutto il nostro es-
sere, tutta la vita creata. Dappertutto e sempre contraddizioni!».10
È comprensibile che tale percezione abbia spinto Florenskij a esten-
dere la riflessione sul mistero del male e della morte ad altri interrogati-

9 «La morte infatti mi circonda; non nei miei pensieri, non la morte in genere, ma la morte dei
miei cari, perduti in questi anni» (FLORENSKIJ P.A., La colonna e il fondamento della Verità, tr. it.
di P. Modesto, Rusconi, Milano 19982, p. 44).
10 Ib., p. 551.

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vi cruciali: quelli riguardanti il senso più profondo della vita e, insieme,


l’esistenza di un fondamento in grado di conferire alla vita la desiderata
stabilità; includendo quella domanda che egli considerò una sorta di
porta d’ingresso in tutta questa problematica: «Come, secondo quali
criteri, andrebbe pensato un simile fondamento?». Questa, evidente-
mente, è la domanda su Dio e sulla sua conoscenza. Perché se è vero
che tutto «volteggia, tutto scivola nell’abisso della morte», è altrettanto
vero – scrive – che solo in Dio «è immutabilità, vita e riposo»; solo Lui
è «la colonna e il fondamento della Verità» (cfr. 1Tm 3,15).11
Un simile ampliamento dell’orizzonte tematico getta luce su una delle
essenziali caratteristiche della teodicea florenskijana, e cioè: sul suo radi-
camento nel terreno non di una ‘metafisica astratta’12 (di tipo scolastico)
né tanto meno di una pura etica (di tipo kantiano), ma nel fertile terreno
del nesso tra gnoseologia e ontologia; un nesso che poggia sul presuppo-
sto che «la ragione partecipa dell’essere e l’essere della razionalità»,13 e
che la fede in Dio rivelatosi in Gesù Cristo – se vissuta come un’esperien-
za viva e, quindi, un incontro in cui, per grazia, accade che «l’uomo e Dio
si scambiano di posto»14 – eleva un simile evento di partecipazione su un
piano che permette di cogliere le questioni della teodicea come, sì, estre-
mamente complesse, e tuttavia non prive di una certa ‘logica’.

11 Ib., p. 45. E continua: «Queste parole non le dico io, con la mia povera esperienza: le testimo-
nia Teofane il Recluso che si è sprofondato tutto nell’Unico Centro. Al di fuori di quest’Unico
Centro, l’unica certezza è che niente c’è di certo e che niente c’è di più miserabile e di più superbo
dell’uomo. (…) Sì, nella vita tutto si agita, tutto vacilla in immagini di miraggio, ma dal profondo
dell’anima si innalza la necessità ineluttabile di appoggiarsi alla “colonna e fondamento della ve-
rità” (1Tm 3,15) (…)» (ib., p. 45).
12 La critica alla metafisica astratta è il tratto tipico della filosofia di molti pensatori russi della se-
conda metà dell’800 e dell’inizio del ‘900. La loro proposta, che tendeva ad abbattere il mito del-
l’assoluta contraddittorietà tra l’approccio empirico-fenomenico (tipico della modernità) e quello
metafisico-trascendente, coincideva con lo sforzo di elaborare i presupposti teoretici di una ‘nuova
filosofia’ definita ‘idealismo/spiritualismo concreto’ (S.N. Trubeckoj, L.M. Lopatin, entrambi pro-
fessori di Florenskij all’Università di Mosca), ‘ideal-realismo concreto’ (N.O. Losskij), ‘realismo
trascendente’ (N.A. Berdjaev) o anche, come nel caso di Florenskij, ‘metafisica concreta’. Uno dei
primi importanti tentativi del Nostro di contribuire al superamento della metafisica astratta di tipo
scolastico è rappresentato proprio da La colonna e il fondamento della Verità, in cui all’impietrito
e mortificante sostanzialismo della legge d’identità viene contrapposto il principio dinamico della
relazione pensato sull’orizzonte del dogma trinitario.
13 FLORENSKIJ P.A., La colonna…, cit., p. 114.
14 ID., Dogmatismo e dogmatica, in ID., Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, tr. it. a cura
di Valentini N. e Zak L., Piemme, Casale Monferrato 1999, p. 163.

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2. LA GIUSTA RICOGNIZIONE DEL VERO MALE

Per comprendere la proposta di soluzione del problema del male, of-


ferta dall’autore di La colonna, è necessario prima di tutto ricordare che
essa viene pensata sull’orizzonte di una metafisica/ontologia dell’‘uni-
totalità’ (o ‘omni-unità’), presenti già in Origene e in Massimo il Con-
fessore (la teoria dei logoi) e riproposte con nuovo entusiasmo e origi-
nalità da Solov’ev e dai suoi seguaci. In questa sede non è possibile pre-
sentare come Florenskij riuscì ad applicare proprio questo tipo di meta-
fisica e di ontologia nelle riflessioni appartenenti all’ambito delle scien-
ze naturali (in particolare la matematica e la fisica). È sufficiente con-
statare che egli l’assunse come l’orizzonte speculativo su cui sviluppò
tutte le sue concezioni filosofiche e teologiche, inclusa quella del male.
Come si può intuire, al centro di tali metafisica e ontologia sta l’idea
dell’unità sostanziale di tutto ciò che esiste: ciascun particolare del rea-
le è connesso ontologicamente con il tutto, in quanto ogni cosa ha in sé
lo stesso identico ritmo di ‘vita’. Per dirla in altri termini: tutto ciò che è
fa parte, sul piano dell’essere, di un’unica ‘rete’ i cui innumerevoli e
sottilissimi fili conducono verso il misterioso abisso della vita: la casa
eterna della Luce senza tramonto. La stessa Luce che deposita i suoi po-
tenti raggi, le sue divine ‘energie’ in tutto ciò che è in essere.15
La soluzione che Florenskij propone per affrontare la questione del
male è intimamente connessa con questa visione del reale. Nell’elabo-
rarla, egli percorre la via della gnoseologia orientata a risolvere il pro-
blema dell’esistenza di una Verità assoluta e della sua conoscenza,16 Ve-
rità compresa in termini ontologici, ossia come una sorta di fondamento
dell’essere (e quindi dell’assoluta oggettività) su cui poggia l’unità nel-
la molteplicità di tutto ciò che esiste. Florenskij, mantenendo il rigore
logico, si impegna nel dimostrare che tale Verità è non solo pensabile,
ma che la sua descrizione teologica coincide con il dogma trinitario che
egli interpreta in chiave relazionale. Secondo lui, il mistero dell’essere-

15 Cfr. ID., Il significato dell’idealismo, tr. it. a cura di Valentini N., Rusconi, Milano 1999, pp. 65-68.
16 Si vedano in particolare il secondo e il terzo capitolo di La colonna e il fondamento della
Verità. Per uno studio della gnoseologia e dell’ontologia trinitaria di Florenskij mi permetto di ri-
mandare al mio Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, Città Nuova, Roma
1998, pp. 224-297 (cap. 3: La Verità come Trinità).

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uno e dell’essere-tre di Dio – mistero che come il Sole illumina le radici


di tutto ciò che è – coincide con il reciproco e totale rinnegamento di sé
di ogni Persona divina di fronte alle altre due (quale gesto di un amore
che ama gli altri più di se stesso), e contemporaneamente con la reci-
proca elevazione, glorificazione, dell’una da parte delle altre due (quale
gesto di un amore trionfante). In sintesi, si tratta di una Verità che Flo-
renskij descrive come atto-sostanza-relazione,17 ossia unità dinamica
dei Tre totalmente diversi che sono un unico Dio: Padre, Figlio e Spirito
Santo, tre Persone pienamente distinte e totalmente unite nell’amore.
Ebbene, è quest’unità trinitaria – colta alla radice, nel suo significato
più profondo, dalle parole di Giovanni: «Dio è Amore» (1Gv ) – a rap-
presentare il fondamento ideale dell’ordine ‘eterno’ dell’essere. Di con-
seguenza, esiste veramente solo ciò che partecipa ad esso: a tale ordine
partecipa, misteriosamente, tutto il creato, in quanto posto in essere dal-
la volontà creatrice di Dio-Trinità; partecipa ad esso l’uomo,18 fatto ad
immagine e somiglianza di Colui che l’ha creato. Ne fa parte, inoltre,
anche tutto ciò che l’uomo crea, in primis la sua ‘personalità empirica’
(il cui ‘contenuto’ è di natura psichica, spirituale e morale) e tutte le
concretizzazioni vitali e culturali delle sue idee, ma solo laddove sussi-
sta un nesso tra queste creazioni e la dinamica dell’ordine ‘eterno’ del-
l’essere: l’amore per un altro da sé.
In sintonia con tali gnoseologia e ontologia, Florenskij interpreta la
rivelazione di Dio in Gesù Cristo come parola ultima e definitiva su
questa Verità; in Lui si è rivelato il fondamento eterno che è il garante
della vera oggettività che il Nostro paragona all’«aria pura delle vet-

17 Per dirla con le parole del Nostro: «L’autodimostrazione e autofondazione dell’Io del Soggetto
della Verità è un rapporto con il Lui attraverso il Tu. Attraverso il Tu, l’Io si fa Lui oggettivo e in
questo trova la propria affermazione e oggettivazione come Io. Il Lui è l’Io rivelato. La Verità con-
templa Se stessa attraverso Se stessa e in Se stessa, e ogni momento di questo atto assoluto è asso-
luto, è la Verità. La Verità è la contemplazione di Sé attraverso l’Altro nel Terzo: Padre, Figlio, Spi-
rito. Ecco la definizione metafisica della ‘sostanza’ (ουσία), dell’autodimostrabile Soggetto che,
come si vede, è una relazione sostanziale. Il soggetto della Verità è relazione di tre, ma relazione-
sostanza. Il Soggetto della Verità è la Relazione di Tre. E siccome la relazione concreta è un siste-
ma di atti di attività vitale, nel nostro caso un sistema infinito di atti sintetizzati in unità (oppure un
atto unico infinito), possiamo affermare che la ουσία della Verità è l’Atto infinito di Tre nell’U-
nità» (FLORENSKIJ P.A., La colonna…, cit., pp. 83-84).
18 Florenskij spiega: «Nell’uomo non c’è nessuna realtà che sia male, invece è male l’uso fallace
delle forze e dei beni, cioè la deformazione dell’ordine della realtà» (ib., p. 322).

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te»19 della vita. Grazie a Cristo, cioè, il mondo è stato illuminato dalla
luce della Trinità.20 In Lui ci è stata comunicata quella Verità che altri-
menti, se non fosse stato Dio a rivelarla, sarebbe rimasta solo un’intui-
zione mistica o un’eterna ipotesi: intuizione e ipotesi circa l’esistenza
della perfetta unità nella molteplicità, ossia dell’Unità Infinita. E ciò
perché la trinitarietà di Dio è un dogma «che nessuno, all’infuori di Dio
stesso poteva annunciare, data la sua translogicità; un dogma che sulle
labbra di un non Dio sarebbe rimasto un coacervo di parole».21 In quan-
to per esprimere un’ipotesi (della Verità) «che chiaramente contraddica
le norme della ragione bisognava vivere nelle viscere della Santissima
Trinità, essere Figlio di Dio, e per poter verificare questa ipotesi è ne-
cessaria un’autorità infinita fondata su un amore che sacrifica se stesso,
su una purezza immacolata, su una bellezza inattingibile e su una sa-
pienza incontestabile».22
Se in Cristo si è rivelata la norma dell’essere e l’incorrotta bellezza
originaria del creato e di ogni uomo, in Lui Dio pronuncia il giudizio
definitivo su ciò che, nel mondo, è destinato a perire, perché privo del
legame con tale norma e tale bellezza, ossia con l’ordine ‘eterno’ del-
l’essere. E questo è il destino del ‘male’. Il vero male, infatti, è tutto ciò
che non partecipa di tale ordine, che con esso non ha alcun legame. Le
concretizzazioni e gli effetti devastanti di tale realtà non sono affatto fit-
tizi né di poco conto, anzi. Eppure quanto all’ordine dell’essere, la con-
sistenza ontologica di essi è effimera, nulla. «Il Triuno è luce d’amore»
– afferma Florenskij – «e in questo è Essere; fuori di Lui c’è la tenebra
dell’odio e quindi l’eterna distruzione».23 Perciò, «l’essenza del male
sta nel rigettare l’homooùsios e solo in questo».24 La terminologia reli-

19 Cfr. ib., p. 321.


20 Cfr. ib., p. 139.
21 Ib., p. 147.
22 Ib., pp. 147-148.
23 Ib., p. 266.
24 Ib., p. 267. Riferendosi all’idea dell’irrealtà del male Florenskij cita sant’Atanasio e san Grego-
rio di Nissa, i quali affermano: «“Il reale è il bene, l’irreale è il male. Chiamo bene l’esistente per-
ché esso ha i suoi modelli nel Dio esistente; chiamo male l’inesistente perché esso è prodotto dalle
macchinazioni umane (…)”. Fuori (éxo) dell’essenza di Dio “non c’è nulla se non il male hé kakía
il quale, anche se ciò è strano, ha il suo non essere nell’Essere, perché l’origine del male non è al-
tro che la privazione dell’essere; propriamente ciò che esiste è l’essere (…)”» (citato in ib., p. 721).

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giosa definisce tali stato e azione ‘peccato’, mettendoli in relazione di-


retta con la libertà che l’uomo esercita nei confronti del fondamento
dell’essere. Dunque, il peccato è laddove l’uomo «toglie ogni senso a
tutta la creazione di Dio e a Dio stesso, toglie alla creazione la profon-
dità prospettica del fondamento, la strappa dal terreno dell’assoluto, di-
spone tutto su un unico piano, rendendo tutto superficiale e banale».25
E gli altri ‘mali’? Quelli, ad esempio, identificabili con le catastrofi
naturali o le malattie? Cosa rispondere al pianto di Giobbe che echeggia
ininterrottamente da tutti gli angoli del mondo? Florenskij invita a rico-
noscere e a rispettare il mistero di simili situazioni e a considerare l’e-
sperienza del dolore e della sofferenza parte essenziale dell’esperienza
umana del reale, della vita. Certo, bisogna fare tutto il possibile per pre-
venire le catastrofi naturali, occorre lottare contro le malattie ed è ne-
cessario che si evitino sfortune di ogni tipo. Tuttavia, se tali tristi eventi
si verificano, essi vanno accolti come esperienze del tutto particolari
della complessità del reale, che portano l’uomo a guardare la vita come
luogo di numerosi paradossi, sì, i quali, però, non possono essere scom-
posti in frammenti privi di un senso unitario. Nemmeno se si tratta del
paradosso i cui due poli sono il vivere e il morire. A questo proposito
Florenskij cita le parole di Dostoevskij: «In tutto c’è il mistero di
Dio…» – si capisce: anche nella sofferenza più atroce e nella morte ap-
parentemente senza senso – «Ed è meglio che sia mistero: esso è terribi-
le e mirabile al cuore, e questo timore è per la letizia del cuore».26 Dun-
que, occorre portarsi il dito sulle labbra; «un gesto di silenzio e mistero,
lo stesso gesto che vediamo spesso sulle icone di Giovanni il Veggen-
te».27 Tuttavia, come verrà detto, questo gesto non intende suggerire
che la soluzione stia nella sospensione della ragione. Anzi, esso indica
l’inizio di un cammino verso una ‘logica’ superiore, una sapienza che
non è di questo mondo, ma allo stesso tempo non è per niente estranea
ad esso.

25 E continua: «La banalità non è altro che l’inclinazione a strappare tutto quanto si vede dalle sue
radici e a considerarlo autosufficiente e perciò irragionevole, cioè stupido» (ib., p. 230).
26 Ib., 205. Un’intensa meditazione su questo tema si trova in FLORENSKIJ P.A., Interpretazione
mistica del Salmo 125, in ID., La mistica e l’anima russa, tr. it. a cura di Valentini N. e Zak L., San
Paolo, Cinisello Balsamo 2006, pp. 68-70.
27 FLORENSKIJ P.A., La colonna…, cit., p. 205.

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3. COME PENSARE IL DIO CHE PERMETTE IL MALE?

Una simile impostazione del problema del male non dispensa co-
munque dall’interrogarsi sul Dio Creatore e sulla Sua giustizia. Egli
può essere pensato ancora come Onnipotente? Dov’è Lui quando il
creato viene devastato, quando l’uomo soffre e, soprattutto, quando l’in-
nocente, pugnalato dal sanguinario aguzzino, lancia l’ultimo grido di
dolore? Forse davvero si è pentito per aver creato il mondo degli uomini
(cfr. Gn 6,6) e ha abbandonato l’opera delle Sue mani? Come scrisse
Evgenij Trubeckoj, uno dei filosofi contemporanei a Florenskij, queste
e altre domande toccano la questione del rapporto tra il male e l’inten-
zione creatrice di Dio, la Sua prescienza, questione che da sempre sfidò
e tormentò i migliori filosofi e teologi cristiani. «Possiamo ammettere»
– spiega Trubeckoj – «che il male sia il risultato della libera autodeter-
minazione della creatura. Con ciò, però, il problema non si risolve in
quanto Dio, per il fatto stesso di aver creato la sua creatura libera, ha
non solo reso possibile il male, ma anche la sua stessa realtà. Infatti,
Lui dall’eternità sa come ognuno degli uomini adopererà il proprio do-
no della libertà. Perciò viene da chiedersi: che rapporto ha Dio nei con-
fronti del concreto male conosciuto tramite la Sua prescienza? Questo
male è incluso nell’intenzione preeterna di Dio riguardante la creatura?
Evidentemente, dal punto di vista religioso non è sufficiente nessuna
delle risposte possibili a questa ultima domanda. Se la risposta è sì, ciò
significa che Dio direttamente o indirettamente è colpevole per il male.
Se la risposta è no, in quel caso viene da chiedersi se il fatto che qual-
cuno possa trasgredire la volontà di Dio, le Sue intenzioni, non sia un
indicatore della debolezza di Dio. O forse queste due risposte non sono
che una conferma del fatto che questa questione non ha una soluzione
dal punto di vista religioso? Nel senso che né un Dio che non vuole il
male, né quello che, pur non volendolo, lo deve sopportare, sarebbero
l’oggetto degno di una riflessione religiosa. Ci sarà, però, una via d’u-
scita da questo fatale dilemma?».28
La riposta di Florenskij a tali domande s’iscrive nel quadro appena
presentato sopra: essa, da un lato, mantiene ferma l’idea della bontà in-

28 TRUBECKOJ E.N., Smysl zizni (Il senso della vita), Respublika, Moskva 1994, pp. 87-99.

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trinseca – sul piano dell’essere – sia della prima creazione che del crea-
to dopo il peccato originale, uomo incluso;29 dall’altro, considera fon-
damentale, per la concezione di Dio, l’evento della Sua rivelazione nel-
la persona di Gesù Cristo, che testimonia la concretezza e la radicalità
dell’interesse e dell’amore di Dio per la Sua creatura. Inoltre, la risposta
del Nostro è affine a quella di tutti coloro che in Russia, da Dostoevskij
fino a Bulgakov e Karsavin, hanno sviluppato l’idea di un Dio umile,
misteriosamente rispettoso di fronte alla volontà e alla libera attività de-
gli uomini, legittimi amministratori degli spazi di vita progettati dalla
Sapienza divina. Essa invita a intravedere in Dio colui che, dopo aver
depositato nel terreno dell’esistenza creaturale la ‘moneta’ con la Sua
immagine,30 lascia agli uomini la libertà di trovarla e moltiplicarla, o di
ignorarla e seppellirla ancor di più.31
Va ricordato, poi, che la risposta di Florenskij viene articolata a par-
tire da due importanti presupposti: la verità della provvidenza Divina e
la verità della libertà della creatura, professate con la consapevolezza
che entrambe «costituiscono nella loro antinomia un unico dogma, il
dogma dell’amore di Dio per la creatura, che si basa sull’idea di Dio-
amore, cioè sulla triadicità di Dio».32 Il senso centrale di un tale dato di
fede è il seguente: visto che «Dio è Amore sussistente, Amore internato
in Se stesso, e quindi esternato fuori di Sé»,33 ciò significa che la Sua

29 Cfr. FLORENSKIJ P.A., Empiria ed empirea, in ID., Il cuore cherubico…, cit., p. 64.
30 Il pensatore russo sviluppa quest’idea tramite una suggestiva interpretazione della parabola dei
talenti (cfr. Mt 25,14-30; Lc 19,12-27) in FLORENSKIJ P.A., La colonna…, cit., pp. 268-271.
31 Scrive il Nostro: «Dio è attorno a noi, presso di noi, ci circonda: “in Lui infatti viviamo, ci
muoviamo ed esistiamo”, immersi nell’inesplorabile abisso delle azioni Divine, grazie alle quali e
attraverso le quali possiamo esistere. Queste energie Divine, che sono la Divinità stessa, ci guidano
e operano su di noi, anche se noi spesso non lo sappiamo. Ma al di là di tutto ciò, c’è la sfera della
nostra libertà che con le sue radici attinge dalle stesse energie Divine fondandosi del tutto su di es-
se, ma che, allo stesso tempo, alle sue vette possiede il dono dell’autodefinizione, il dono di com-
piacersi o no della vita con Dio, possiede il potere di venire da Lui o di allontanarsi da Lui. Questo
è il potere della nostra soggettività, di quel qualcosa di ontologico che è del soggetto e che, contra-
riamente al soggettivismo privo di forza ed energia, è di carattere cosmico. È in nostro potere di
spalancare i nostri cuori alla Sorgente dell’essere ricevendone i flussi della vita, oppure, al contra-
rio, di chiuderci nella soggettività, rifugiarci sotto terra, fuggire dall’essere. Ma in quel caso inizia-
no a prosciugarsi i nostri legami con il mondo e tutto il nostro essere è in punto di morte» (ID., Fi-
losofia kuºta. Opyt pravoslavnoj antropodicei [Filosofia del culto. Saggio di antropodicea ortodos-
sa], Mysl’, Moskva 2004, p. 393).
32 ID., La colonna…, cit., p. 337.
33 Ib., p. 348.

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creatura è realmente autonoma e, perciò, ha davanti a Lui una responsa-


bilità morale. È autonoma, poiché Dio è infinitamente umile. L’umiltà,
o meglio, l’autoumiliazione di Dio si è manifestata per la prima volta
nel Suo creare il mondo, «cioè nel porre accanto a Sé un essere autono-
mo, nel dargli la libertà di evolversi secondo leggi proprie, e quindi nel
volontario autolimitarsi di Dio».34 Ma essa si è rivelata, ed è stata porta-
ta al limite estremo, soprattutto nel Suo farsi uomo nella persona di Ge-
sù Cristo. Venendo nel mondo, – spiega Florenskij – «Dio depone la
forma della Sua gloria e assume la forma della Sua propria creatura (Fil
2, 6-8), si sottomette alle leggi della vita creata, non infrange il corso
del mondo, non sorprende il mondo con il fulmine e non lo stordisce
con il tuono come pensavano i pagani (basti ricordare il mito di Giove e
Semele); invece si limita ad accendervi una modesta luce attirando a Sé
la Sua creatura peccatrice e sfinita, cercando di farla rinsavire e non ca-
stigandola. Dio ama la Sua creatura e si strugge per essa e per il suo
peccato. Dio stende la mano alla creatura, la prega, la chiama, attende il
ritorno del suo figlio prodigo».35
La radicalità di quest’idea – carica di tensione paradossale tra il con-
cetto di libertà dell’uomo nello spazio del mondo creato e quello di
amore di Dio nei confronti di tutta la Sua creatura – emerge quando il
discorso verte sul problema del male compreso nella sua forma più
estrema: l’inferno. Nel trattare un tale impegnativo argomento teologi-
co, la prima preoccupazione di Florenskij è chiedersi non se l’inferno
esista o meno, ma come poter pensare insieme la libertà dell’uomo nei
confronti di Dio e l’amore di Dio nei confronti degli uomini: la libertà
di aderire o meno all’ordine eterno dell’essere; l’amore pronto a rispet-
tare la libera scelta di chi vuole ignorare il proprio Creatore e il Suo or-
dine. La soluzione da lui proposta viene abbozzata nel capitolo ottavo
di La colonna, ed è di grande interesse per il nostro tema. Infatti, che
cosa altro è l’inferno se non la definitività di una vita caratterizzata dal-
la libera scelta del male? Dunque, la riflessione di Florenskij sulla rela-
zione tra Dio-Amore e il luogo della perdizione offre forti analogie in
ordine al tema del rapporto tra Dio e il male.
Il ragionamento del Nostro è il seguente: davanti a una situazione

34 Ib., p. 348.
35 Ib., pp. 348-349.

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contrassegnata dal male in sé (l’inferno), è assolutamente certo che


Dio-Amore «non può creare per far perire, crearci sapendo che perire-
mo», «non può non perdonare»; tutto questo è certo, sì, ma «sulla vetta
sublime dell’idea di Dio» che è Amore. Infatti, se si parte dalla creatura
e dalla sua libertà, si può – e, nel caso dell’inferno, si deve – giungere
alla conclusione esattamente opposta. Dio, cioè, non può ammettere che
l’amore non sia libero, non può costringere la creatura ad amarlo e,
quindi, ad aderire a quell’ordine dell’essere che riflette e comunica la
vita trinitaria di Dio, la reciprocità nell’amore. Perciò – spiega Floren-
skij – «è impossibile non concludere che l’amore di Dio può rimanere
senza risposta da parte della creatura, e che quindi è possibile l’impossi-
bilità della salvezza universale».36
Se ciò deve valere in riferimento al male nella sua forma definitiva,
la stessa verità dovrebbe valere per una qualsiasi altra situazione di ma-
le, concretizzatasi nella vita di chi l’ha provocata o subita, situazione
contrassegnata anch’essa da una inconciliabile ma reale antinomia. Flo-
renskij spiega: «Finché si ammette l’amore divino la tesi è inevitabile,
finché si ammette la libertà della creatura (conseguenza necessaria del-
l’amore di Dio) l’antitesi è inevitabile. L’idea di Dio Uno e Trino come
amore sostanziale si svela alla creatura nei termini, che si escludono a
vicenda, del perdono e del castigo, della salvezza e della perdizione,
dell’amore e della giustizia, del salvatore e del vendicatore; tutti aspetti
incompatibili per il raziocinio, come la trinità e l’unità nella vita intra-
divina».37 E aggiunge ancora:
«Se la libertà dell’uomo è una vera libertà di decisione, il perdono
della cattiva volontà è impossibile, essendo essa il prodotto creativo del-
la libertà. Non ritenere cattiva la cattiva volontà significherebbe non ri-
conoscere la realtà della libertà; se la libertà non è reale, nemmeno l’a-
more di Dio per la creatura è reale (…). Chi nega l’antitesi nega la tesi,
chi afferma l’antitesi afferma anche la tesi, e viceversa. Tesi e antitesi
sono inseparabili come l’oggetto e la sua ombra. L’antinomicità del
dogma del destino ultimo è logicamente indubbia e psicologicamente
evidente. (…) Non c’è né ci può essere soluzione di quest’antinomia

36 Ib., p. 262.
37 Ib., pp. 262-263.

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L. ZAK

nell’ambito del raziocinio. La soluzione sta solo nella trasformazione


effettiva della realtà stessa, dove la sintesi tra la tesi e l’antitesi venga
sperimentata come un fatto, un dato immediato dell’esperienza che fon-
da la sua giustificazione nella Verità triipostatica».38
Tale paradossale o apofatica risposta al problema del rapporto tra
Dio e la realtà del male, Florenskij la formula con l’intenzione di alzare
lo sguardo «al piano dell’ontologia», laddove le categorie non sono «‘il
legale’ e ‘il giusto’, ma invece ‘il necessario’ e il ‘dunque’».39 Tali cate-
gorie riguardano prima di tutto l’uomo e la valutazione delle sue scelte
di vita; tuttavia, dalle riflessioni di La colonna si evince che esse sono
importanti anche sul piano del pensiero su Dio, in quanto permettono di
fare qualche passo, in punta di piedi, in direzione del mistero di Dio,
contemplando il Suo essere-Creatore e, insieme, il Suo essere-Trinità
come un unico mistero del Suo essere-Amore. Lui come Creatore ha
posto in essere, tramite la Luce, un nulla, nella cui radice il raggio di
Luce continua a brillare, chiamando ogni uomo a divenire «una figura
luminosa».40 Ma che cosa è quel brillare se non – come ben intuì Gre-
gorio Palamas – il segno concreto della misteriosa presenza della stessa
Luce (1Gv 1,5)? È esattamente questo il senso delle parole di san Paolo:
«In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Fin
quando l’uomo è in vita, questa Luce, presente nel suo cuore, non si
spegne; nemmeno se decidesse di consacrarsi al Principe delle tenebre.
Ciò, però, vuol dire che, come conseguenza di una simile scelta, a Dio
‘tocca vivere’ in uno stato di reale kenosi che misteriosamente poggia
sulla (e che misteriosamente esprime la) reciproca kenosi delle tre Per-
sone divine, quale dinamica eterna dell’essere trinitario di Dio-Amore.
Sul tema della kenosi di Dio, sulla Sua umiltà, Florenskij non ha vo-
luto dire di più. L’hanno fatto, invece, alcuni altri teologi e filosofi orto-
dossi russi che, nelle loro intense e coraggiose riflessioni, si sono spinti
molto lontano, fino agli estremi limiti della dogmatica cristiana. In que-
sto momento mi piace fare almeno un fugace riferimento al Poema sul-

38 Ib., pp. 263-265.


39 Ib., p. 265.
40 ID., Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 19903, p. 166. L’idea di pensare la
creazione (come atto e come realtà creaturale) nella prospettiva della metafisica della luce si trova
sviluppata in ib., 155-179.

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“IL POTERE DI DIO SI VEDE NELLA POVERTÀ”

la morte (1932) di Karsavin, opera dedicata al tema del nesso tra la sof-
ferenza di Dio e il Suo infinito amore per gli uomini. Dipingendo, in es-
sa, i tratti del volto kenotico di Dio, Karsavin afferma:
«Vuole Dio morire pienamente: col Suo Amore sacrificale vuole di-
vinizzare interamente il mondo. Ma per amore della libertà del mondo
Egli non permette alla Propria volontà di manifestarsi interamente, di
diventare atto. Egli vuole senza alcun ‘non’, ma costringe Se stesso a
fare, come uno schiavo, soltanto ciò che il mondo vuole. Non permette
a Se stesso di versare nel mondo più amore di quello che il mondo ri-
chiede. Egli soffre della piccolezza della sofferenza del mondo: vive a
metà, senza speranza nella Morte, muore eternamente all’inferno. Un
fuoco insopportabile brucia il Cuore Divino. Qualsiasi gioia del mondo
a Dio non arreca più gioia. E il mondo non lo nota neppure. Dio così
creò l’uomo, e così nascostamente alberga nel mondo, che non sai se
Dio ci sia o non ci sia».41

4. LA ‘POVERTÀ’ COME CONDIZIONE DEL PASSAGGIO DALLE TENEBRE ALLA LUCE

Florenskij insegna che nelle situazioni contrassegnate dalla presenza


del male e di ogni tipo di sofferenza, la via aurea da percorre per avvici-
nare Dio e iscrivere la propria vita nell’ordine ‘eterno’ dell’essere è la
‘povertà’ di sé, da comprendere nel senso più profondo della parola bi-
blica anawîm. Essa consiste in un totale spogliamento di sé, nello strap-
pare da sé il proprio ‘io sono’, ‘io voglio’, ‘io penso’, vissuto non tanto
come un gesto di umiliazione ascetica, quanto piuttosto come la scelta
consapevole di essere un dono di amore per l’altro, ossia di uscire da sé,
per offrire lo spazio del proprio essere all’altro. Florenskij non ha dub-
bi: vivendo in questa dinamica di ‘povertà’ di sé, l’uomo non solo com-
pie gesti di elevata qualità morale, ma viene introdotto – da Colui che
ridà la vita a chi l’ha persa – nello spazio interiore della realtà: lo spazio
di Luce originaria depositata nella radice dei cuori degli uomini. Dun-
que, amando, la creatura non si perde affatto a se stessa. Al contrario,

41 KARSAVIN L., Poema sulla morte, in SICLARI A.D., L’estetico e il religioso in L.P. Karsavin,
Franco Angeli, Milano 1998, pp. 101-102.

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L. ZAK

essa inizia a percepire nel proprio cuore lo stesso ritmo di vita che batte
nel petto di tutto il creato e in ogni sua singola parte: il ritmo dell’ordi-
ne ‘eterno’ dell’essere. Volendo accennare proprio a questo tipo di espe-
rienza, Florenskij scrive:
«Discendi in te stesso e vedrai ampie volte. Abbandona il timore, ad-
dentrati ancor di più nella profondità della grotta. I tuoi piedi poggiano
sulla calda sabbia, morbida di giallo velluto, che dà sollievo. Qui il tuo
passo è leggero. Qui è secco e quasi caldo. Frammenti di tempo come
gocce ritmicamente si staccano dalle volte e precipitano nel profondo
dell’abisso. Le gallerie echeggiano, colme di un suono che in esse si li-
bra: come se innumerevoli pendoli battessero i rintocchi. Come nella
bottega dell’orologiaio, ritmi incalzanti si rincorrono e si sovrappongo-
no l’un l’altro, si intrecciano e si sciolgono. Nello spazio dilatato vibra
il senso del nostro destino. I cuori di tutte le creature pulsano in questa
profondità. Qui, nel passaggio dalle tenebre alla luce, hanno origine tut-
te le cose del mondo. In queste grotte è un intrecciarsi di ritmiche vibra-
zioni, veloci e lente, sorde e sonore, di rimbombi e di echi che si richia-
mano, questo è il vivo grembo che si chiama Universo. Qui, nel grembo
della terra, si raccolgono anche i flussi stellari che si cristallizzano in
pietre preziose. Proprio qui, sotto le volte di queste grotte del cuore,
sorgerà splendente la Stella del Mattino».42
Il pensatore russo non dimentica mai di ribadire che una simile espe-
rienza non sarebbe possibile senza quella testimonianza radicale di
amore offerta da Dio in Gesù Cristo, in particolare nel momento della
Sua morte e risurrezione, che rivelò il drammatico contrasto tra la vera
e originaria sapienza della vita e la pseudo-sapienza del ‘mondo’ (cfr.
1Cor 1,17-30). Sulla ragione della centralità di tale testimonianza egli è
in piena sintonia con Massimo il Confessore, il quale afferma: «Colui
che ha conosciuto il mistero della croce e del sepolcro conosce anche le
ragioni essenziali di tutte le cose».43
La fede di Florenskij in Dio-Amore e la sua quotidiana fedeltà alla
legge nuova nelle condizioni disumane e terrificanti del gulag staliniano

42 FLORENSKIJ P.A., Sulla collina Makovec, in ID., Il cuore cherubico…, cit., pp. 256-257 (la trad.
è stata revisionata).
43 Citato in LOSSKY V., La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, tr. it. di M. Girardet, EDB,
Bologna 1990, p. 143.

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“IL POTERE DI DIO SI VEDE NELLA POVERTÀ”

sono la migliore apologia della sua teodicea trinitaria.44 Una teodicea


scritta e vissuta con la ferma convinzione che non vi è altra via verso il
superamento definitivo del male che l’amore.

44 Uno straordinario e insieme drammatico documento che attesta la sua coraggiosa fede è rappre-
sentato dalle lettere carcerarie che egli inviò ai famigliari, pubblicate in FLORENSKIJ P.A., «Non di-
menticatemi». Le lettere dal gulag staliniano del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, tr.
it. a cura di Valentini N. e Zak L., Oscar Mondadori, Milano 2006.

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