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1 Biviere di Lentini: lago e Siracusa. giù appoggiato sul fucile. nelle opere di Verga.
di Lentini, in provincia di 4 fosco: offuscato dal caldo. 7 maggese: terreno non 10 pendice brulla: ver-
Siracusa. 5 malaria: la palude dove coltivato e lasciato ripo- sante del monte privo
2 le stoppie: pagliuzze, si trova Francofonte era sare per un determinato di coltivazione e per ciò
residui di steli. nell’Ottocento focolaio di periodo, ma opportuna- adatto al pascolo delle
3 Francofonte… malaria, malattia provocata mente lavorato in modo mandrie.
Passanitello: sono dalla puntura della zanzara che ridiventi fertile. 11 assiolo: è un uccello
località presso Vizzini, anofele. 8 il guado: l’acqua bassa. rapace notturno, il cui
comprese nella pianura 6 bocconi sullo 9 Canziria: regione a est canto, nella credenza popo-
che si estende tra Catania schioppo: col ventre in di Vizzini, spesso citata lare, è presagio di morte.
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IL SECONDO OTTOCENTO • l’autore • Giovanni Verga
12 un baiocco: un soldo. Il genza e tenacia. bia: si era insuperbito. 21 colle: con le.
baiocco era una moneta 14 colla: con la. 17 grandezza: lusso. 22 tarì: moneta d’argento
di scarso valore, circolante 15 gli parlavano… in 18 cappello: il berretto di circolante nel Regno delle
in Sicilia fino al 1866. mano: i contadini sici- solito lo portavano i con- Due Sicilie.
13 la testa ch’era un liani erano soliti togliersi tadini, invece il cappello 23 soprastante: sorve-
brillante: l’espressione il copricapo quando si era indossato dai signori. gliante del lavoro.
indica che Mazzarò sapeva trovavano dinanzi a una 19 corbello: cesto rotondo 24 nerbate: frustate.
amministrare i propri persona importante. di vimini. 25 gazze: uccelli rapaci
favolosi beni con intelli- 16 era montato in super- 20 messe: mietitura. simili ai corvi.
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5 • La seconda fase del Verismo
della vendemmia accorrevano dei villaggi interi alle sue vigne, e fin dove
75 sentivasi cantare, nella campagna, era per la vendemmia di Mazzarò. Alla
messe poi i mietitori di Mazzarò sembravano un esercito di soldati, che per
mantenere tutta quella gente, col biscotto26 alla mattina e il pane e l’aran-
cia amara a colazione, e la merenda, e le lasagne alla sera, ci volevano dei
denari a manate, e le lasagne si scodellavano nelle madie27 larghe come ti-
80 nozze. Perciò adesso, quando andava a cavallo dietro la fila dei suoi mie-
titori, col nerbo28 in mano, non ne perdeva d’occhio uno solo, e badava a
ripetere: – Curviamoci, ragazzi! – Egli era tutto l’anno colle mani in tasca
a spendere, e per la sola fondiaria29 il re si pigliava tanto che a Mazzarò gli
veniva la febbre, ogni volta.
85 Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempiva-
no di grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire30 tutto;
e ogni volta che Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per
contare il denaro, tutto di 12 tarì d’argento, ché lui non ne voleva di carta
sudicia per la sua roba, e andava a comprare la carta sudicia soltanto quando
90 aveva da pagare il re31, o gli altri; e alle fiere gli armenti di Mazzarò copri-
vano tutto il campo, e ingombravano le strade, che ci voleva mezza gior-
nata per lasciarli sfilare, e il santo32 , colla banda, alle volte dovevano mu-
tar strada, e cedere il passo.
Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col
95 non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria,
coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la piog-
gia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pen-
sando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non
aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quan-
100 do uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.
Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, per-
ché la roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel baro-
ne che prima era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva raccolto per carità
nudo e crudo33 ne’ suoi campi, ed era stato il padrone di tutti quei pra-
105 ti, e di tutti quei boschi, e di tutte quelle vigne e tutti quegli armenti, che
quando veniva nelle sue terre a cavallo coi campieri34 dietro, pareva il re, e
gli preparavano anche l’alloggio e il pranzo, al minchione35, sicché ognu-
no sapeva l’ora e il momento in cui doveva arrivare, e non si faceva sor-
prendere colle mani nel sacco. – Costui vuol essere rubato per forza! dice-
110 va Mazzarò, e schiattava dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel
di dietro, e si fregava la schiena colle mani, borbottando: «Chi è minchio-
ne se ne stia a casa», – «la roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare». Inve-
ce egli, dopo che ebbe fatta la sua roba, non mandava certo a dire se veni-
va a sorvegliare la messe, o la vendemmia, e quando, e come; ma capitava
115 all’improvviso, a piedi o a cavallo alla mula, senza campieri, con un pez-
zo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi covoni, cogli occhi aperti, e
lo schioppo fra le gambe.
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IL SECONDO OTTOCENTO • l’autore • Giovanni Verga
36 carte bollate: su cui si stemma nobiliare. prietà che confinava con i dividendone i prodotti
registrano gli atti di ven- 39 Questo solo… non fa terreni di Mazzarò. con il padrone.
dita dei terreni. per te: il barone vuole 41 lupini: piante dai semi 43 malannate: le annate di
37 croce: Mazzarò è analfa- sottolineare la differenza commestibili, simili ai scarso raccolto.
beta, perciò firmava con tra l’essere nobili e l’essere fagioli. 44 Di una cosa... doleva:
la croce. ricchi. 42 mezzadri: contadini soffriva solo per una cosa.
38 scudo di pietra: 40 chiusa limitrofa: pro- che lavoravano un podere,
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5 • La seconda fase del Verismo
160 sersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che
ne vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello,
col mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto
gli occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli olive-
ti che velavano la montagna come una nebbia45, e se un ragazzo seminu-
165 do gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lancia-
va il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: – Guardate chi ha
i giorni lunghi! costui che non ha niente!
Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pen-
sare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava am- 45 gli oliveti… nebbia: le
170 mazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – foglie degli ulivi sono di
Roba mia, vientene con me! colore grigio argento.
ANALISI E COMMENTO
La logica dell’accumulo della «roba» del possesso. La sua vita si consuma nella solitudine e,
Lo sviluppo tematico delle macrosequenze mette in destinata alla sconfitta, si conclude nella follia: il prota-
risalto la logica economica. Mazzarò, schiavo della gonista cercherà, con un tragico gesto finale, di distrug-
«roba», un’espressione dialettale che Verga usa per de- gere la sua «roba», perché non sa a chi lasciarla e non
finire il complesso di beni e proprietà, non sa provare sopporta che gli sopravviva.
altro sentimento che non sia dettato dalla soddisfazione
Un personaggio storicamente connotato la frusta in mano, fa lo strozzino con chi ha bisogno, non
Mazzarò rappresenta la proverbiale avarizia del con- esita a usare l’inganno se qualcuno tenta di resistergli.
tadino morbosamente attaccato alla «roba» ma è an-
che una figura storica presente nel mondo rurale del Le tecniche narrative
secondo Ottocento, quando si passò dal latifondo di La tecnica narrativa continua a essere quella dell’im-
proprietà dell’aristocrazia alla nuova azienda borghese. personalità, che registra i fatti senza commentarli. Lo
L’autore sottolinea come questo mutamento struttu- stile si avvale del discorso indiretto libero, che pone
rale delle campagne non abbia prodotto una trasforma- l’accento sull’interiorità di Mazzarò.
zione nelle dinamiche sociali: gli oppressi di ieri sono La strategia dei diversi punti di vista, come quel-
pronti a diventare gli spietati padroni di oggi. Si tratta lo del viandante, del lettighiere e del narratore, crea
di una visione pessimistica, che si ricollega all’influen- un’atmosfera leggendaria. In particolare, l’inizio della
za del determinismo darwiniano, ovvero di quella teoria novella ricorda una celebre fiaba dello scrittore fran-
secondo la quale l’evoluzione di una comunità sarebbe cese Charles Perrault (1628-1703), Il gatto con gli sti-
determinata dalla lotta per l’esistenza, nella quale il più vali, dove un personaggio domanda ripetutamente a
forte vince sul più debole. Mazzarò, infatti, è il risultato chi appartengano i campi e i boschi che sta percor-
dell’ambiente cui appartiene, di cui condivide la menta- rendo. Allo stesso modo, le domande del viandante e
lità e i valori. Si è sostituito all’aristocratico barone, ma le risposte del lettighiere evocano le favolose ricchez-
non è diverso da lui: controlla il lavoro dei mietitori con ze di Mazzarò. ▶
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IL SECONDO OTTOCENTO • l’autore • Giovanni Verga
Quando il punto di vista non coincide con quello del per- Lo stile
sonaggio, il narratore ne prende le distanze: L’uso insistito dell’iperbole anche in forma di similitudini
• la morte della madre, nell’ottica di Mazzarò, esclude (una fattoria grande quanto un paese… magazzini che
qualunque considerazione affettiva e il funerale che sembrano chiese… galline a stormi… uliveto folto come
era costato anche 12 tarì ne sottolinea ironicamente un bosco…) accresce il tono da leggenda del racconto.
la mentalità meschina; La ripetizione di parole o frasi con lo stesso significato
• i disagi dei mezzadri e dei debitori sono per Mazzarò asseconda il ritmo incalzante dell’accumulazione (aveva
seccature; la testa ch’era un brillante, quell’uomo. Infatti, colla testa
• il fanatismo di Mazzarò che ammazza a colpi di ba- come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba,
stone le sue anitre e i suoi tacchini è criticato con dove prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare,
distacco oggettivo mediante l’espressione come un a mietere, rr. 35-39).
pazzo.
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