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Tosca La prima cosa che fece Puccini quando scese dal treno che lo riportava a Milano da Palermo fu quella di pronunciare a un comitato informale di benvenuto le seguenti parole, riportate nella “Gazzetta” di Ricordi del 14 maggio 1896: «E ora, cari miei, alla Tosca». Anzi, a un banchetto dato in suo onore nel capoluogo siciliano, aveva gid deliziato i presenti con alcune idee musicali per la nuova opera, del cui testo non aveva an- cora ricevuto una parola, Evidentemente si era gia deciso. Pud essere utile, percid, concentrare l'attenzione sul dramma che lo aveva ossessio- nato a fasi alterne durante gli ultimi sette anni e che lo avrebbe occupato lungo i quattro avvenire Victorien Sardou (1831-1908) & come August Kotzebue, uno di que- gli autori che, finché erano in vita, hanno avuto una circolazione inter- nazionale ¢ poi, nell'arco del cinquantent sono stati dimentica di scl io successivo alla loro morte, ti. Professionista della pitce bien fait secondo la tra- tione di Eugene Scribe, raggiunse 'apice della fama con La Tosea, cto per Sarah Bernhardt ¢ rappresentato per la prima volta al Théatre de la Porte-Saint-Martin il 24 novembre 1887, dal quale avrebbe poi portato in lungo e in largo per Europa in un riverbero di pubblic Nel suo castello a Craig-y-Nos, Adelina Patti era solita deliziare i suoi ospiti con una rappresentazione mimata del dramma in cui, secondo il ctitico Hermann Klein, dispiegava tutte le sue qualita di grande attrice. Solo Bernard Shaw liquide il dramma come «antiquato, inefficace, co- struito rozzamente, senza senso, come una zucca vuota, 0 una parvenza di un giallo a buon mercato» ', Shaw era interes: (0, allora come sempre, ai drammi di idee. La To- sea ¢ un dramma di avvenimenti, un meccanismo d’orologeria lubrifica~ to dall’erudizione storica in cui non c’é spazio per pensare. | Lunghi di- scorsi sono tutti narrazione e riferiscono dettagliatamente gli eventi che hanno preparato quelli che effettivamente capitano in quel momento. Da questi racconti apprendiamo la storia passata di ognuno dei princi 199 7 Tosca tato. «ll dramma si impone troppo ed invade il libretto» scrisse a Ri- cordi *. L’argomento fisso delle sue lamentele era la catena senza fine di scene “a due”. Obiezioni simili sarebbero state mosse a tempo debito anche da acosa, a cui il libretto di Illica era stato passato nell’ aucun- no del 1895 con la richiesta di mettersi a lavorare immed un monologo di Scarpia che dovev jatamente su ‘a aprire il secondo atto. «Ma mi pare - rispose il poeta — che finire il primo atto con un monologo € co- minciare con un monologo il secondo, ¢ dello stesso personaggio, sia cosa un po’ monotona. Senza contare che questo Scarpia che perde tempo a descrivere se stesso ¢ assurdo. Uno Scarpia agisce, ma non si enuncia a parole» °, Ciononostante Giacosa avrebbe farto del suo meglio per assolvere all suo compito. Nel luglio 1896, con un contratto ¢ Pabbozze di Illica in mano, diventd pits esplicito. «Ma credete — scrisse a Ricordi — che & un'impresa terribile quella di ridurre alle debite proporzioni un atto cosi pieno zeppo di fatti come que to primo, Lavoro come un disperato, ma da una parte la chiarezza va rispettata, dall'altca non bisogna che latto conti pitt di 300 versi. E gik sono troppi, ¢ non si pud omettere nessun fatto, nessun incidente» ~. Alla fine consegné il primo atto fino al duet- to tra Tosca e Cav aradossi, che Ricordi aveva copiato ¢ trasmesso a Puc Cini, il resto segut il 25 luglio. Puccini, dopo aver ricevuto il manoscritco dall'editore, lo mando a Illica, che allora era ospite di Mascagni a Pesa- ro, dove lavoravano all'/ris («Eccoti spedito l'atto buddistico. Leggi, scruta € aiutami! [...] Saluti a Pietron) *, Puccini, come gid in altre pre- cedenti occasioni, aveva trovato il linguaggio troppo complicato, ma co- munque aveva cominciato a comporre, probabilmente spronato dai re- soconti favorevoli sui progressi compiuti sull'altra Bohéme («Ho saputo da chi ha letto il libretto di Boheme di Leoncavallo, che ? una meravi- glia! Vedrai che se appena ci mette un po’ di musichetta purchessia, ¢ se opera si reggert appena, ne inonderanno l'esteros ed io, con tutti i suc- cessi avuti, avrd la sorte di restar localizzato per tutta la vital») °, Non Cera pericolo, ma fu la Boheme di Leoncavallo a raggiungere per prima lOpera di Stato di Vienna, con la direzione di Gustav Mahler. Nel frattempo, ferito dall'incessante pungolare di Ricordi, “Bud- dha” cercava di nuovo di ritirare la sua collaborazione. Il concetto fon- damentale della sua lunga letera del 23 agosto era che La Tosca era del tutto inadatta al m © musicale, Non Cera posto per la poesia o per Pe- spansione lirica. Come Illica, lamentava labbondanza di duecti, una cosa che conta poco in un drama scritto per una grande attrice, ma 201 INT pali personaggi: Mario Cavaradossi, un pittore dalle simpatie liberali, nato a Parigi da padre romano e madre francese, allievo dell’ artista rivo- luzionario Jacques-Louis David, richiamaro a Roma un anno prima per sistemare gli affari relativi all'eredita del padre defunto ¢ trattenuto dal suo amore per Tosca; Cesare Angelotti, console dell’effimera Repubbli- ca Romana del 1798, da poco evaso da Castel Sant'Angelo, dove era sta- to imprigionato su istigazione di Emma, Lady Hamilton, che liti aveva “protetto” quando lei faceva la prostituta nei Vauxhall Gardens; il baro- ne Vitellio Scarpia, capo della polizia, per met bigotto © per meta sati- ro, che rischia la vita se non sari capace di riacchiappare il fuggiasco; e finalmente Floria Tosca. Un tempo era guardiana di capre sulle colline nei dintorni di Verona, poi cra stata accolta ed educata da suore bene- dettine, Cimarosa, in visita al convento, aveva udito la sia voce nel coro €aveva ottenuto il nullaosta papale per farle studiare canto: da allora in poi si era esibita nei maggiori teatri di tutta Italia, Al momento Floria Tosca ¢ impegnata al Teatro Argentina di Roma. La fama, comunque, non ha intaccato in alcun modo la sua semplicit contadinesca. Dice Cavaradossi ad Angelotti: «Non le riconosco che un difetto: una folle gelosia, che talvolta turba un poco la nostra felicia. Anche la sua devo- rione religiosa é eccessiva; ma l'amore ¢ la devozione si accordano abba- Stanza tta loro» *. In una parola, Tosca é tutta cuore niente cervello, ¢ Sardou non si fa scrupolo di prendersi gioco di lei. Una volta Cavara- dossi le aveva regalato La nowvelle Heloise di Rousseau, che lei aveva mo- Strato al suo padre confessore, il quale le aveva ordinato di bruciarlo su- "to per paura che il libro bruciasse lei. E lei Pha veramente bruciato, ‘wol sapere Cavaradossi? No, ’ha perfino letto: «Ei I’ho letto... Ma non mi brucia per nulla, quel libro, per nulla!» °, Molta della tensione dram- matica deriva dal fatto che lei si trova coinvolta per caso in una causa che Pet lei non ha alcun significato. whee ne fatta da Puccini, gia nel 1889, che quel soggetto non propria voce 289 la sola sovrabbondanza musicale» * @ una vera ¢ i A prima vista sembrerebbe difficile individuarvi addirit- ruta ging spazio per la musica, a parte le prove della cancaca di cl secondo atto, Questo fatto era sicuramente risultato evi- dente a Illica, ed & questa probabilmente la ragione per la quale aveva rei ain da questo dramma nel loro primo incontro nel 1893 anni dopo, Illica, che aveva compresso i cinque atti di Sardou nei tre atti del libretto per Franchetti (che, come é stato gia notato, fu fin troppo Felice di essersene liberato), era ancora insoddisfatto del risul- met 200 7 Tosca quella cite’ era stato programmato per febbraio, con la Carl Rosa Opera Company, dato che il Covent Garden aveva declinato lofferta, dopo la delusione di Manon Lescaut. Comunque si cambid programma e Pono- re di introdurre La bohime sul suolo inglese toccd a Manchester, dove Puccini si reco a meta aprile per sovrintendere alle prove. Le sue impres- sioni, sia della cit che della compagnia, non furono buone. Dal Queen's Hotel scriveva a Ramelde: «lo son qua solo — non era proprio vero, perché Tito era con lui — freddo. Va in scena “Boheme n quest’orribile pase: fumo, pioggia, in inglese giovedi. Sentissi che can Ma qua piacciono» ', Come sempre capitava con la Carl Rosa Comp: ny, opera fu appunto rappresentata in inglese col titolo di The Bobe- mians. Malgrado i timori di Puccini, la prima, il 22 aprile, raccolse un immenso succes so. Hermann Klein, che accompagnd il compositore ¢ Tito nel viaggio nel sud dell’ Inghilterra, ricorda un Puccini allegro, sor- ridente, «con un‘abbondante scorta di scherzi allitaliana, ¢ raggiante al ticordo delle sincere acclamazioni del Lancashire» ", Le sue impression del viaggio di ritorno verso casa le registrd ere anni dopo in una lettera a Caselli: Londra («Citta poco bella, ma affasci- nante»), Parigi («piti bella e allegra, pero meno mossa o movimentata [...] € meno caratteristica») dove poté avere contatti amichevoli con Zo- la, Sardou ¢ Alphonse Daudet («chi 'avrebbe derto ch? al guitto organi- sta di Mutigliano?») ¢ Bruxelles («belle case; palazzi, monumenti, strade splendide; ma piuttosto provinciale in confronto di Londra e di Pari- giv) “4. L'incontro con Sardou & descritto in un‘intervista rilasciata al giornalista Eugenio Checchi. Il drammaturgo, cosi pare, era felicissimo di lavorare con Illica ¢ Giacosa, ma aveva da obiettare sulla conclusione di Illica, nella quale Tosca, davanti al cadavere del suo amante, aveva ena di pazria prima che calasse il sipario. Puccini era d'accordo con Sardou, tanto che gli mostrd un copia del libretto nella quale aveva scarabocchiato sopra i versi di Illica: «Questa é l'aria del palerom», inten- dendo che il pubblico si sarebbe precipitato al guardaroba per ritirare il cappotto, dal momento che aveva gia capito come andava a finire. Sar- dou, sentito cid, balzo in piedi, strinse la mano a Puccini ed esclam «Mi accorgo che voi siete un uomo di teatro» ', Ulteriori modifiche fu- rono trasmesse a Ricordi all’artivo di Puccini a Milano. Ormai era comineiato il corso di rappresentazioni della Bohdme di Leoncavallo al Teatro La Fenice a Venezia, con Rosina Storchio come Mimi, ma senza Victor Maurel per il quale la parte era stata scritta ap- positamente. (Non era la prima volta che questo baritono, il pitt ego- 203 PUCCINI che avrebbe soltanto provocato monotonia in un dramma musicale. In ogni caso, se le sue dimissioni non fossero state accettate (e ovviamente non lo furono), prometteva di consegnare il secondo atto per la fine di settembre. Effettivamente il secondo atto fu nelle mani di Ricordi non prima del 23 settembre. Furono necessari diversi aggiustamenti € revi- sioni prima che Puccini fosse in grado di rimandarlo all’editore il 4 no- vembre. Del terzo atto non c'era ancora traccia. Esasperato, Ricordi fis- 80 al 6 dicembre il termine perentorio per la consegna ¢ impose una pe- nale di 50 lire per ogni giorno di ritardo. Questa volta Giacesa non mancd, Ma Popera vera e propria era ancora di Ia da ven! 0 a quel mo- mento il lavoro di Puccini alla particura era stato saltuario, per non dire altro. In mezzo agli impegni pubblici ¢ ai passatempi trovd comunque il tempo di completare la musica di Avanti Urania!, che manda il 4 otto- bre 1896 al marchese Ginori- Lisci, con una dedica a sua moglie. Non é un pezzo particolarmente attraente: le parole di Fucini sono appoggiate in modo casuale su una melodia che sembra composta indipendente- mente da loro, ¢, malgrado un motivo finale d’effetto, con la sua ascesa verso Palto che corrisponde alla direzione discendente dell'inizio, si trat- ‘a diun Puccini banale. II marchese era stato molto meglio ricompensa- to con la dedica della Boheme. Puccini tornd da Torre del Lago a Milano all'inizio di dicembre. eparatia subire la mia compagnia — scrisse a Hlica — ¢ armati di pa- uenza per le discussioni toscane. [...] Preparami delle emozioni» ", uuindicazione del fatto che ancora trovava il linguaggio di Giacosa troppo letterario € tortuoso. Non si sa cosa sia venuto fuori dalla loro sessione di lavoro, ma allinizio di gennaio Ricordi fu in grado di tele- wae a Sardou che la stella di Tasca cominciava a brillare. ne al solito era troppo ottimista. Nel 1897 Puccini fu impegnato soprattutto ad a i i é i i pr d accompagnare ¢ assistere le riprese della Bohime, in Italia eall’estero, cominciands con non era piit nelle mani di Son ne di Leopoldo Mugnone, co, La Scala, che ora, fortunatamente per lui, zogno. Qui opera fu data con la direzio- C, nun cast che includeva Angelica Pandolfi- ni (Mimi), Fernando De Lucia (Rodolfo) e la Musetta della prima, Ca- milla Pasini. Per sedici sere continud a «vuorare le ghiandole lacrimato- rie del pubblico», come disse Tito Ricordi a Illica. Molto prima che fi- nisse il corso delle recite Puccini era di nuovo a Torre del Lago, e cosi ti- usci ad evitare parecchi banchetti in suo onore. «Per tutti — é di nuovo Tito che riferisce — [2] a Liverpool» ", E in effetti un debutto inglese in 202 7 To. lo del pubblico non creera un ruolo in un’opera di Puccini fino al 1910, come primo Dick Johnson nella Fanciulla del West. A meti settembre Puccini era a Vienna. Mahler, che da poco era di- ventato direttore principale all’ Opera di Stato, aveva visto la rappresen- tazione di tutte ¢ due le Bohime a Venezia. Delle due, aveva raccoman- dato quella di Puccini, ma il suo predecessore aveva git predisposto per laversione di Leoncavallo, cosi la prima fu relegata nella sede pitt mode- sta del Theater an der Wien, La produzione, che debuttd il 5 ottobre, fur particolarmente memorabile per l'orda di ragazzi che, nel «Quartiere Latino», dilagavano dappertutto ostacolando i movimenti degli altri. Cid provocd in Mahler, presente in un palco, una risata sprezzante che Puccini non dimentichera mai, Tutte ¢ due le Boheme capitarono sotto la frusta di Eduard Hanslick, ma in modo particolare quella di Puccini, nella quale il critico non fu capace di scovare alcun principio di qualsi- voglia organizzazione musicale — appena qualche sprazzo di melodia (soprattutto associato con Mimi) in mezzo a “punti morti” di rumore puro. Che Valfiere di Brahms scegliesse le quinte ¢ le triadi parallele come esempi di pura ¢ semplice bruttezza era sicuramente prevedibile, e lc ascriveva alla deplorevole influenza della Cavalleria rusticana. Come al solito, Hanslick non aveva capito nulla. Il lavoro su. Tosca dovette subire un'ulteriore interruzione alla fine di novembre, quando, dietro Vinsistenza di Ricordi, Puccini accettd, sia pure a malincuore, di partecipare ai lavori di una commissione musicale istituita a Roma. La visita perd non fu senza frutti perché portd la cono- scenza di don Pietro Panichelli, che sarebbe diventato suo amico per tutta la vita, da consultare su tucte le questioni ecclesiastiche che poteva- no interessare le sue opere. Fu lui a fornire informazioni sull’intonazio- ne esatta della campana grande di San Pietro, che Puccini aveva inten- jone di introdutre nel preludio del rerzo atto di Tosca. Questo preludio era completamente definito nella sua testa, come disse a Eugenio Chee- chi nell'intervista gia citata, aggiungendo che invece ne aveva fissato molto poco sulla carta: «fogli volanti, pensieri staccati, ¢ cancellature pa- recchic... Mi ci vorri ancora... non so dirti quanto tempo: ma capirai che questa volta é il caso di ripetere che chi va piano va sano». Un brano che fece in modo di completare prima della fine dell’anno el'Inno a Diana, su versi del poeta napolerano Carlo Abeniacar. Dedi- cata «Ai cacciatori italiani», l'inno mantiene, per una volta, un periodiz~ zare regolare di quattro in quatcro battute dall inizio alla fine e, anche se non é pitt degna di nota di Avanti Uranial, ha una certa spontaneita & PUCCINI centrico di tutti, aveva lasciato nei guai un composirore a cui aveva pro- messo i suoi servigi: Isidore De Lara aveva facto la stessa triste esperienza con la sua opera The Light of Asia nel 1892.) Irritato dal bombardamen- to pubblicitario sparato da Sonzogno, Ricordi aveva deciso di anticipare Pevento con una ripresa dell’opera pucciniana al Teatro Rossini nella stessa citta. Non fu una mossa saggia: stampa ¢ pubblico aggiudicarono la palma al lavoro di Leoncavallo, malgrado il pessimo giudizio che il campo avverso aveva gia espresso dopo aver appena scorso lo spartito. Neppure il libretto fu risparmiato: «Boheme, come io sono Scandinavo!» fu il verdetto di Ricordi '*; «Parlano come tanti otelli jaghi, Leer [séel, Macbeth» fur quello di Puccini "7. (In effetti il dialogo scritto da Leones vallo é assai piit ingegnoso ¢ ragioncvolmente aderente a Murger.) Ev: dentemente pero non manifestavano la loro ostilita a Leoncavallo, altri menti Ricordi non gli avrebbe certo mandato una copia del libretto del primo atto di Tosea con tutte le ultime revisioni «perché volevo avere lopinione di un cosi grande uomo!» "*. Leoncavallo, cosi disse Ricordi a Illica, fu impressionato a dovere. Di nuovo a Torre del Lago, Puccini accetto V'invito del giornalista Parmenio Bettoli di scrivere un pezzo per un numero unico che celebra- va il centenario della nascita di Donizetti («solo 4 (quattro) note, perché Tosca ¢ Vandata a Berlino mi impediscono di dedicarmi ad altro lavo- ro»). Evidentemente non mantenne la promessa, perché cra i contr buti di Boito, Mascagni, Massenet ¢ altri, quelle quattro note non ci sono. Il viaggio a Berlino, intrapreso con la massima riluttanza, era per il debutto in Germania della Boheme al Teatro Kroll il 22 giugno. II cast era mediocre, la rappresentazione in tedesco € non si sa che opinione ne abbia avuto Puccini, Tornd a Torre del Lago per subire la poco dignito- sa malattia del verme solitario. Percid, anche se continuava a bombarda- re Illica con richieste di aggiustamenti al libretto di Tasca, alla musica lavord poco, per non dire niente. In agosto, comunque, fu rallegrato dalla visita di un giovane tenore che stava per brillare nel ruole di Ro- dolfo @ Livorno, A ventiquattr’anni Enrico Caruso doveva ancora con- quistare una reputazione italiana (lo avrebbe fatto nel novembre succes- sivo con il debutio dell’ Arlesiana di Cilea). «Chi ha mandato? Dio!...»: questa, secondo Marotti, fu la reazione di Puccini quando lo senti can- tare **. Ma, anche se Caruso avrebbe poi sicuramente reso un norevole servizio alla Bohéme in tutto il mondo, ¢ in particolare al Covent Gar- den, dove le sue esecuzioni insieme con Nellie Melba nel 1899 bastaro- no a piazzare stabilmente Popera nel repertorio del teatro, il futuro ido- 204 PUCCINI melodica, in particolare nel motivo iniziale, trattato poi come il tema di un rondd. Anche l’armonizzazione é tipicamente pucciniana Nel 1898 Puccini era un uomo relativamente ricco, ma anni di indi- genza uniti alle difficolea della sua situazione familiare avevano lasciato il segno. Che avesse rinunciato all’acquisto di un’auomobile a tre ruote per 2.000 lire & comprensibile, ma lo & meno che rifiutasse a suo cognato un prestito temporaneo che si sarebbe potuto permettere benissimo. Franceschini, esattore delle tasse per il Comune di Pescia, aveva da poco subito un dissesto finanziari uno dei suoi dipendenti era fuggito con una considerevole somma di denaro, la cui perdita era obligato a rifon- dere. E sarebbe stato in grado di farlo vendendo qualcuna delle sue pro- pried, ma ci sarebbe voluto del tempo. Ramelde si rivolse subito al fra- tello per chiedere aiuto, garantendo la restituzione del denaro al pit presto, Di ritorno da una ripresa della Bohtme da camps la scusa di non essere i ma, Puccini ac~ gtado di impegnarsi perché tutto il suo denaro disponibile era bloccato da un compromesso d’acquisto per una casa di Milano. Era pura finzione: Puccini non prese mai in considera- zione, né allora né in nessun’altra occasione, la possibilita di acquistare Proprieta in cittd. Se vogliamo essere generosi con lui, possiamo ipotiz~ zare che sia stata Elvira a insistere che trovasse una scusa, dato che lei non fu mai particolarmente ben disposta verso la famiglia del suo futuro marito, Ora la composizione di Tosca cominciava a entrare nel vivo. Sulla partitura autografa gli accordi iniziali che formano il motive di Scarpia recano Tintestazione «Puccini, gennajo 98». Un abbozzo del libretto conservato presso la Public Library di New York contiene appunti mu- sicali scarabocchiati sui margini insieme a un'autocaricatura con la data «a, Feb, 1898» ¢ V'annotazione enigmatica «Tosca Quella vera! Ma... convien ritornarci», Non prima, comunque, di un altro viaggio a Parigi per prendere ac- cordi per la prima francese della Bohome, prevista per il maggio all’Opé- ra Comique. Fece di nuovo visita a Sardou, ubbidendo all’ordine di Ri- cordi, ¢ gli suoné il primo atto di Tasca. Secondo la “Gazzetta musicale di Milano” del 10 marzo «il grande drammaturgo francese cra entusiasta ¢ particolarmente colpito dal modo con cui Puccini aveva trattato le parti appassionate, € aveva dato vita ai personaggi principali del dram- ma». Si pud solo ipotizzare quanto Puccini avesse fissato sulla carta. Mz di ritorno a Milano, Puccini poteva riferire ad “Arturetto (Toscanini) 206 7 TOSCA che «Tosca va avanti bene, ricordati che tu devi essere il suo sverginato- rey. In effetti lo “sverginatore” sara Leopoldo Mugnone. Dopo un mese passato a Torre del Lago, Puccini parti ancora per Parigi, questa volta con Elvira ¢ Fosca, per assistere alle prove all’ Opéra Comique. II debutto della Bohéme nella citta in cui & ambientata era un evento importante ¢ Puccini, di nuovo in compagnia di Tito Ricordi, fu festeggiato dall’alca societa. Tutto questo non era assolutamente di sto gusto: 'anno precedente aveva dichiarato che avrebbe trascorso volen- tieri cinque mesi nella capitale francese, ma ora non vedeva ora di tor- nare nel suo eremo toscano. «Sono stufo di Paris» scrisse a Caselli a Lue- ca. «Odio i selciati! Odio i palazzi! Odio i capitelli! Odio gli stilil e via di seguito sullo stesso tenore - Soprartutto, non amava affatto di dover fare apparizioni in pubblico, vestito in modo formale, ed eta di questo che si lamentava con Giulio Ricordi, aggitingendo che le prove procede- vano a passo di lumaca, anche se il cast era abbastanza soddisfacente, a parte Isnardon (lo Schaunard di Leoncavallo) come Colline. Per quanto potesse annoiarsi, Puccini almeno evitd di assistere alle calamita che stavano accadendo nel suo paes all’inizio di maggio a Mi- ano una dimostrazione di protesta contro la lievitazione del costo della vita fu affrontata con le armi dall'esercito governativo, con il triste bi- lancio di ottanta morti, Seguirono numerosi arresti, alla fine il miniscro rassegnd le dimissioni e fu sostituito dal generale Pelloux, cui il re confe- 1 poteri dittatoriali. Anche se manifestd il suo sgomento per la perdita di vita umane, Puccini non era un democratico. Invitato dal suo amico artista Pagni a votare per posta per Cesare Riccioni, sindaco di Viareg- gio, che era candidato al Parlamento, rispose: «Ho tutta la stima per I'a- mico Riccioni, ma non voglio entrare in giripesca d’elezioni. 10 abolirei Camera ¢ deputati, tanto mi sono uggiosi questi eterni fabbricanti di chiacchiere. Se comandassi io, rornerei volentieri a Carla Lodovio bon'a- nimal ®, Carlo Lodovico, duca di Lucca fino al 1847, poteva non essere stato un buon governante, ma almeno era generoso nei confronti delle arti. Il debutto di Boheme fu rinviato al 13 giugno, impedendo a Puccini di realizzare il progetto di una visita a Londra. La rappresentazione, co- munque, fu di sua soddisfazione, particolarmente lo Schaunard di Lu- cien Fugére. Illica, presente a qualche prova, rimase incantato da alcuni dettagli della produzione di Albert Carré: Pubriaco aiutato dalla moglie a tomare a casa all’inizio del terzo atto, Marcello che gettava via i suoi pennelli dopo il litigio con Musetta (non c'é dubbio che funzionassero 207 7 Tosca Significativi sono anche gli interventi di Puccini al libretto del se- condo e€ terzo atto, su cui av 4 cominciato a lavorare fin dal luglio. Cosi nel secondo atto: «come tu mi oi? & cflicace e ‘tu mi adit? non va. Perché ha tolto lultimo verse ‘e avanti a Lui tremava tutta Roma? lo Pho messo € mi gioca bene». E nel terzo atto: «spero di far a meno del- Vultima trionfalata (inno latino), credo che finird il duetto colle parol ‘e mille ti dird cose d'amore “gli occhi ti chiuderd con mille baci». In que- sto modo cred quel pomo della discordia con i suoi collaboratori che avrebbe tormentaro tutti per un po’ di tempo. Nello stesso momento autoriz alcuni cambiamenti nel testo della scena della tortura suggeri- tida Sardou, perché in questo caso non intaccavano la musica Puccini, con la fam alia, lascid Monsagrati il 22 settembre, ma non, prima di aver fatto una visita al piccolo villaggio di Chiatri, alto sulle colline che dominano da lontano il lago di Massaciuccoli. Nel dicembre successivo avrebbe acquistato la vecchia villa dei Sanminiati e Pavrebbe facta completamente ristrutcurare: questa sarebbe stata la prima casa di proprieta, cccetto quella di Lucca in cui era nato. A quei tempi Chiatri era accessibile solo a dorso di mulo, percié la costruzione fur hunga e dif- ficile. Sarcbbero pas ati due anni prima che Puccini ne potesse prendere possesso come residenza occasionale Nal frattempo continuava il suo lavoro a Tosca a Torre del Lago, con unica interruzione del viaggio a Roma per la prima assoluta del- VIris di Mascagni il 22 novembre. La sua impressione ci é tramandaca da una lettera all’amico di Mascagni Alberto Crecchi, scritta dopo una ri- presa dell’ opera alla Scala all inizio dell'anno successivo: Lifrisé andata come saprai, ¢ la solita porea stampa & stata di una crudeled strana, in specie ill Corriere. Per me quest’op: a che ha in sé tante cose belle ¢ uno strumenta- le dei piit smaglianti e colori, ha il difecto d'origine: Vazione che non interessa ¢ si diluisce ¢ langue per tre atti. Per conseguenza se anche Domineddio avesse musica- to tale libretto, non avrebbe fatto di pitt di quello che ha fatto Pietro. Tu che gli set amico vero, digli che ritorni alla passione, al s iid ‘ntimento vivo, umano, col quale tanto brillantemente la sua carriera. Cid che Cho detto circa il libretto etc. & inter nos, mi capisci? ** Ovwviamente non voleva che questo giudizio arrivasse alle orecchie di ll- lica. Raggiunse comunque quelle di Mascagni stesso che, dopo la fredda accoglienza ricevuta dal secondo atto di Tosca a Roma, fu sentito escla- 209 PUCCINI male all'inizio del quarto atto!). Il pubblico, anche se accolse fredda- mente (come era successo in Italia) il «Quartiere Latino», mostrd entu- siasmo, i critici meno. Henri Malherbe trové solo banalita melodica nella partitura; secondo Adolphe Jullien del “Monitcur universel” 'o- pera consisteva in un Massenet di secondo livello combinato con una sonorica verdiana eccessiva. Ernest Reyer nel “Journal des débats” fu pitt lusinghiero, ranto da lodare perfino le quinte parallele del terzo ato come un'innovazione armonica legittima, ma fu una voce isolata, La Giovane scuola non era vista molto di buon occhio dalla stampa fran- cese. Fino dalPaprile Puccini cercava una residenza stabile, o sul lago di Tosca, ma non aveva Massaciuccoli o sulle colline, dove poter lavorare 3 concluso niente ¢ cosi, dopo tre settimane a Torre del Lago, accettd l’o- spitalita del marchese Raffaello Mansi nella sua villa a Monsagrati di Pe- scaglia, dieci chilometri a nord-est di Lucca. [I suo problema pit: imme- diato era quello di trovare un canto adatto da far “brontolare” dalla folla prima delPinizio del Te Deum nel finale del primo atto. Prima si rivolse a Guido Vandini a Lucca per una copia dell’ Eece sacerdos. Quando que- sto si tiveld troppo enfatico, Puccini si rivolse ancora una volta a don Pietro Panichelli, che gli favori pochi versi che Puccini trové «bellissimi ¢ adattatissimi [...] ma io avevo bisogno di forti accenti fonici perché la voce parlata del popolo riuscisse ben distinta in mezzo al suono delle campane e dell’organo» **. Scrisse allora di nuovo a Vandini con un’ur- genza che calpestava la normale punteggiatura. «Di al vescovo che mi ci bisogna ¢ linventi se no scrivo al papa e lo faccio multare come un im- piegato imbecille! [...] Trovami il versetto se non lo fai mi faccio prove- stante dillo al decano» *5, Ma i versetti non arrivavano, ¢ fu Puccini stes- so che se li scrisse con le parole: «Adjutorum [sic] nostrum in nomine Domini qui fecit coelum et terram». A Ricordi scrisse per chiedere che si facesse fornire da Illica ¢ Giaco- saqualche verso nuovo per il duetto d'amore del primo atto. Fu Giacosa a fornirli, anche se di mala grazia. Ma una delle sue osservazioni merita- no attenzione: «Ho creduto bene di non fare che Tosca insista nel so- spetto [...]. Mi pare che quanto ha detto prima e quanto dira poi ‘ma Salle gli occhi nevi’, sia pits che sufficiente. E mi pare invece naturale che si lasci vincere dall’'ardore erotico di Mario» *6, Aveva fatto veramente bene: rifiutando di fissarsi sulla gelosia dell’croina, contribuiva a render- la un personaggio molto pitt credibile di quello corrispondente nel dramma. 208 7 Tosca mentre Elvira si riprendeva dopo un aborto. Ma fu.a Torre del Lago che poté scrivere sull'ultima pagina della particura autografa «Fine dell’ ope- ra[...] 29 7mbre 99 ore 4.15 di mattina». Ma neppure allora era del tutto completo. Il preludio del terzo atto doveva ancora essere scritt colo principale in questo annunciava l'alba romana. Posta- rato In mescolanza di scampanii che rano state contattate pid dite produttrici e la corrispondenza che ne deriv aveva coinvolto anche il direttore Leo- poldo Mugnone. Poi Puccini voleva una poesia in dialetto romanesco per farla cantare al pastorello mentre portava il gregge al pascolo. Fu don Pietro Panichelli a trovare il poeta L so era tigi Zanazzo, i cui versi Pucci- ni ricevette alla fine di ottobre apportando modifiche di scarsa impor- tanza, Nel frattempo aveva spedito a Ricordi il resto dell’atto, comin- ciando con «E lucevan le stelle» di Cavaradossi Dispiace dirlo, n Veditore non ne fu affatto contento. In una lette- radel 10 ottobre spiegd le sue obiczioni: gli piaceva Paria di Cavaradossi € pure entrata di Tosca, apprezzava la novita della fucilazione, Ma Iddio Santo ¢ buonissimo!, il mmentatio, a piccole lince che impiccioliscono i personaggis ho trovato uno de’ pits bei squarci di poesia lirica, quello delle mani cos'é il vero centro luminoso di quest’atto? duetto Tosca-Cavaradossi. Josa ho trovato?... un duetto fr . sottolineato semplicemente da una melodia, pure fram- mentaria ¢ modesta, € per colmo, un perzo ralis et qualis dell’ Edgar se per la sua essenza vien cantato da una contadina trole: Stupendo ma fuori di posto in bocca ad una Tosca, ad un Ca arado: i. Infine, cid che doveva essere una specie d'Inno, latino © no, ma inno d'amore, ridocto a poche bartute! Cos), il cuore del P pezzo 2 formato con tre square efficacia!! Ma davvero, dov't quel Puc ne?... Ma che?... la fantasia di lu . che si stsseguono, ma interrotti, € quin privi di irazio- ni dalla nobile, calda, vigorosa in un momento fra i pitt cerribili del dramma, ha dovuto ricorrere ad un’altra opera?... Che si dirk di questo mezzo d'escire da una difficile posizione?... *. Avrebbe dato il mondo perché gli fosse dato rorto, ma in trentasei anni il suo istinto non 'aveva mai ingannato. E Giacosa condivideva appieno ja sua opinione. Puccini comunque tenne duro: nessuno, tispose, sapeva meglio di Ricordi come era scrupoloso nell'interpretare parole ¢ situazioni ¢ nel considerarle prima di buttar gitt una nota di musica. La citazione da Ed- gar ~ daun atto che era stato abolito da tanto tempo — gli sembrava che esprimesse perfettamente la poesia che emanava dalle parole, Sicura- 2 PUCCINI mare: «lo vittima di un cattivo libretto. Lui di un libretto troppo bel- lol» *, una boutade che riferi personalmente a Illica Il resto dell’anno vide Puccini «lavorare come un cane» alla sua ope- ra, prima a Torre del Lago, poi a Milano, rattristato soltanto dal qua rantesimo compleanno, che per lui significava un addio alla giovent La depressione si espresse in una diatriba contro i lucchesi, che proba- bilmente era indirizzata a Ramelde. All’inizio del 1899 aveva fatto un al- tro viaggio a Parigi, una breve vacanza, come confessi a Franceschini, che aveva la scusa in una ripresa della Bohéme all'Opéra Comique. Si vociferava che sarebbe stato insignito della Legion d’onore, un’eventua- lira fissata in un disegno del pitrore ¢ caricaturista italiano Cappiello, che ci mostra un Puccini particolarmente ingrassato (a quel tempo pesa- va 95 chili). Ci furono altri incontri con Sardou («Bel tipo, tutto vita, fuoco ¢ pieno di inesattezze storico-topo-panoramiche») °°. Per Pultimo atto il drammaturgo voleva assolutamente uno sfondo che mostrasse San Pietro e Castel Sant’Angelo con il Tevere in mezzo, per niente sco- raggiato dal fatto che entrambi gli edifici sono dalla stessa parte del fiu- me. Su un punto, comunque, Paveva avuta vinta: anche Tosca doveva motire. Nel gennaio 1899 Puccini aveva fatto ritorno a Milano, dopo aver perso 500 lire al Casind di Montecarlo. Di lia poco era di nuovo a Torre del Lago, dove il 23 febbraio comincid a orchestrare il secondo atto di Tosca. Un mese dopo, Tito Ricordi poté riferire che, grazie all’interven- to del ministro francese Camille Barrére, la nomina di Puccini alla Le- gion d’onore era diventata realta. Un’altra cosa positiva fu la partenza di Venanzio per ’America, che permetteva al compositore di acquistare la modesta dimora di Torre del Lago: ampliata ¢ rialvata dall’ingegner Giuseppe Puccinelli, sarebbe diventata l’attuale Villa Puccini. Il proble- ma ora era la disponibilita dei librettisti: Illica stava per sposarsi ¢ Gia- cosa era lento come al solito. Fu Ricordi che prese in mano la cosa, cor- reggendo parole ¢ collocando le didascalic. Dopo aver ricevuto tutto il secondo atto il 19 luglio, scrisse esprimendo le migliori speranze per l'ul- timo atto: «Le situazioni drammatiche sono splendide, sublimi, com- moventi al massimo. Dunque avanti, Sor Giacomo! Faccia in modo che migliaia e migliaia di persone versino lacrime, io stesso (ahime!) com- preso!!» ". Ma le lacrime di Ricordi, se le vers0, sarebbero state inizial- mente lactime di disappunto. Due mesi dell’estate Puccini li aveva trascorsi a Bos montagne a nord di Lucea, Qui poté lavorare in pac olungo sulle ¢ in comodira, 210 7 TOSCA poeta potesse individuarvi un qualche tipo di trama. «Mi domandi se mi piace ambiente. Mi piace se é il nocciolo. Tutti gli ambienti mi vanno. Non ho predilezioni né preconcettin 35. Comunque scartd un al- tro soggetto russo che gli aveva presentato Illica, in parte per i costumi “fedoriani” (alludeva alla Fedora di Giordano, che era stata presentata Vanno prima a Milano). Da parte sua suggeriva La Glu, Pultimo succes- so di Jean Richepin, Pelléas er Melisande di Maeterlinck, fino a quel mo- mento non ancora completata da Debussy, e, di nuovo, La faute de VAb- bé Mouret di Zola, fino a quel momento promesso ad aleri, ma, dopo il sucesso della Bohdme a Parigi e, se tutto andava bene, di Tosca, chi po- teva sapere se l'autore non avrebbe potuto cambiare opinione? Poi ce- rano Tartarin de Tarascon di Alphonse Daudet, Les Chouans di Balzac, Aphrodite di Pierre Louys ¢ un anonimo, ma probabilmente francese, Jugurtha. Nessuno di questi progetti sarebbe stato realizzato, anche se Tartarin avrebbe ossessionato il compositore per un po’ di tempo an- cora, Prima di chiudere il 1899, bisogna menzionare due composizioni minori che Puccini fece in modo di terminare durante il travaglio del la- voro su Tosca. Da maggio a settembre la citta di Como aveva montato una mostra per celebrare il centenario della scoperta della pila da parte del suo pits famoso cittadino, Alessandro Volta. L’occasione fu solenniz. zata dalla pubblicazione di un numero unico, I relegrafisti a Volta, con la partecipazione di un certo numero di nomi importanti compreso quello di Giacomo Puccini, il cui contributo fu una marcetta brillante per pia- noforte, piit tardi arrangiata per banda, intitolata Scossa elettrica, un pez- zo gradevole di musica leggera di carattere tradizionale con ritmi marca- ti nella sezione principale ¢ un trio lirico, entrambi con sottosezioni ri- petute Ripresa con un certo sucesso nel 1910, & sparita completamente dal repertorio fino a qualche esecuzione recentissima. In ogni caso il mantello di Johann Strauss il giovane non stava bene sulle spalle di Puccini Di maggior rilievo é la ninna-nanna E linccellino su versi di Renato Fucini. Dedicata «Al bimbino Memmo Lippi, figlio di un vecchio ami- co di Lucca nato dopo la morte del padre, & Punica lirica di Puccini ad aver trovato spi 0 nel repertorio concertistico: una miniatura persona- le, rifinica in ogni dettaglio. La melodia risiede per lo pitt nella linea del basso, raddoppiata dalla voce all’ortava sopra. Solo nella seconds frase lascia la mano sinistra del pianista per produrre un disegno di decime 213 PUCCINI mente Ricordi se ne sarebbe convinto quando lavesse visto in scena. Quanto alla frammentarieta, era cosa del tutto voluta: non pud essere una situazione uniforme e tranquilla, come in altre confabulazioni d'amore, Ritorna sempre la preoccupazione di ‘Tosca, Ia ben simulata caduta di Mario ¢ relativo suo contegno davanti ai fucilatori suoi. Quanto alla fine ductto, i cosidetto inno latino [...] i miei dubbi ce li ho anch’io [...]. | poeti non mi hanno solite saputo date [...] niente di buono, ¢ di vero sopratutto: sempre aceademia sbrodolature amorose. Ho dovuto arrangiarmi per arrivare alla fine senza troppo seccare gli uditori evitando qualunque accademis Nondimeno, sebbene molti suoi amici avessero approvato l’atto cosi co- mera, incluso Mugnone che lo aveva ritenuto superiore al terzo di Bo- hime, Puccini eta pronto ad andare a Milano per aggiustare la fine del duetto (ma ci sarebbe stato tempo?) 0, preferibilmente, per convincere leditore che il suo giudizio era sbagliato *. Ricordi fu colpito a dovere da questa requisitoria, ma non convinto del tutto. E non volle sentire una sola parola contro i poeti che, insiste- va, channo provato non centinaia ma migliaia di modi di trovare l'indi- catione che riguarda quello che doveva essere I’*inno latino” e che ora é Hidotto a pochi frammenti liricin 34, Di questi frammenti, per i quali Giacosa avrebbe fornico il testo definitivo in novembre, solo pochi versi furono musicati da Puccini, cominciando da «Trionfal di nova speme anima freme». Quando riceverte il preludio del cerzo acto («assolutamente stupen- dol»), il punto di vista di Ricordi si era ammorbidito. Anticipato all’ini- zio da uno squillo di quattro corni, «T'rionfal> gli sembrava ora avere senso compiuito. Ciononostante per «O dolci mani, mansuete € pure», si satebbe aspettato qualcosa di diverso — ma si trattava di un cavillo in- significant A partite dal novembre, la partecipazione di Puccini al lavoro era ef- fettivamente finita, Ora era libero di dedicarsi alla caccia ¢, negli inter- valli di quella, alla medicazione sui progetti fucuri. II drammacurgo na- poletano Roberto Bracco aveva offerto a Puccini attraverso Carlo Clau- setti il suo dramma verista Don Pietro Caruso in un atto, che Puccini futd perché si concentrava esclusivamente sulle miserie umane senza un tocco di poesia o grandiositi. Tllica proponeva Dal sepolero dei vivi di Dostoevskij, che avrebbe anche preso in considerazione, a patto che il 212 7 TOSCA Puccini da parte sua nutriva buone speranze sull’esito della prima, «lo credo che opera avr un sucesso hor nichelli, che gli aveva fornito i “figurini > ligne» 57, sctiveva a don Pa- * della Guardia svizzera del papa. Una prima pucciniana nel 1900 era diventata un evento nazionale. Alla prima rappresentazione di Tasca, il 14 gennaio, Cerano non solo colleghi come Mascagni, Cilea, Franchecti, Sgambati ¢ Marchetti, ma anche il generale Pelloux ¢ la regina Margherita, che arriva solo al se- condo atto. L’atmosfera era tesa, per l'eco ancora viva della protesta del 1898. La polizia era staca avvertita della possibilica della presenza di una bomba; conseguentemente aveva dato istruzioni a Mugnone di iniziare la marcia reale se si fosse materializzata una qualsiasi minaccia, E in ef ferti un brusio crescente in plac dopo poche ba lo spinse a interrompere lesecuzione tute dell’opera, ma non era niente di pit di grida di pro- testa per Pingresso di ritardatari. Di li in poi la rappresentazione andd avanti senza ulteriori inciampi. Ma non fu il successo che Puccini aveva previsto. Veramente «Re- condita armonia» del tenore ¢ il finale del primo atto furono bissati, € cosi «Vissi d’arte» di To: 2, ma il sipario cald tiepidamente sul secondo ato. Nel terzo atto ci furono applausi al preludio e un grido «Fuori il maestro». «E lucevan le stelle» € il duetto successive furono entrambi ri- petuti. Alla fine ci furono molte chiamate alla ribalta, di cui tre per Puc- cini. Non si pud certo dire percid che si fosse trattato di successo entu- siastico. Icritici, mentre rendevano omaggio all’originalitd di Puccini, avan- zarono tiserve sull’opera nel suo complesso. Soprattutto, proprio come Giacosa, trovarono che il soggetto non era adarto ad essere musicato. La recensione piit interessante fu quella di Ippolito Valetta nella “Nuova antologia” amente un musicista colto anche se, come lui stesso ammetteva, con gusti antiquati: da questo derivano le sue obiezioni a certi «disegni armonici ¢ (...] ricami orchestrali [...] che la modernita ammette, anzi esigen. Portaya ad esempio » chi ‘Talune foggic di armonizzare la s di immensi di risolu la, molte suecessioni di accordi di quarta, ritar- joni di intervalli dissonanti (della preparazione non si parla pitt), rapide transizioni di modulazioni curiose, ¢ contrasti di ritmi e sincopi fee quenti, ¢ sussulti di accenti forti segnati nei tempi deboli della misura, quello sfon- do mobile 0 caleidoscopico nel quale il Puccini si compiacque nella Bohdme e si de- lizia nella Tose ( . Dato quesco sistema, pochi se ne valgono colla disinvoleura ¢ coll’abilita di Puccini: egli trova sulla sua tavolozza tutti i colori e tutte Le sfumatu- 215 PUCCINI semplice come una carezza. Un pigolio ricorrente nel registro alto del- Paccompagnamento indica l'uccellino del titolo. «Dormi tranquillo» ri- pete il testo, ma Pultimo sonno di Memmo Lippi sara provocato dai fu- cili nazisti nel 1944. L’awento del nuovo secolo trovd Tosca gia in prova al Teatro Co- stanzi a Roma. Era la sede owvia, visto il soggetto, anche se questo signi- ficava la perdita di Toscanini, che era occupato a tempo pieno alla Sca- la. Ma Mugnone, che era ancora nelle grazie di Puccini (pitt avanti ne sarebbe uscito) prometteva di essere un degno sostituto. I] ruolo eponi mo fu dato alla soprano romena Ericlea Darelée, che in precedenza era stata la protagonista della Wally di Catalani ¢ dell’/ris di Mascagni: un’artista di grande livello, anche se difettava un po’ nel cemperamento, secondo il parere di Catalani. Scarpia era Eugenio Giraldoni, figlio di Leone, il primo Conte di Luna nel Trovatore ¢ il primo Renato nel Balle stagione, aveva in maschera. Caruso, ingaggiato a Roma per la st sperato nella parte di Cavaradossi, che fu affidata i Emilio De Marchi, probabilmente dietro le insistenze dell’editore. Fin dal novembre Ricordi aveva preso saldamente la situazione in mano, escludendo perfino i librettisti da ogni confidenza con loro gran- de mortificazione. Illica si era offeso ulteriormente per la pubblicazione sulla “Gazzetta musicale di Mi Pattribuzione al solo Giacosa. E non cra neanche stato invitato a dare il suo contributo alla messa in scena, dato che l'incarico era stato affidato esclusivamente a Tito Ricordi. Fu ancora Giulio Ricordi che segui la stampa del libretto, con tutte le modifiche di Puccini, a parte pochi ver- si non musicati di cid che rimaneva del cosiddetto inno latino. Neppure vece al pitt esperto no” del sonetto «Amaro sol per te», con questa concessione riusci a placare Illica, che tird fuori le sue lamentele in una lunga lettera a Ricordi subito dopo la prima rappresentazione. Quello che era stato offerto al pubblico, scrisse, era solo «l’ombra, il programma di quel libretto che aveva entusiasmato Giulio Ricordi», E perché era stata soppressa la «descrizione del sorgere dell’alba» romana? Sicuramente satebbe stata molto pitt utile al pubblico di tutta quella precisione nell’uso delle campane per la quale Ricordi aveva profuso cosi tanto tempo e denaro. L’abolizione del finale originale (probabil- mente la sua scena di pazzia per Tosca) era stato un «acto di bestialitan. Quanto alla musica di Tosca, quel poco che Illica aveva ascoltato era tut- to riciclato dalla Lupa *6. Quest’ultima lamentela non pud essere presa alla lettera: la collera di Illica era ovviamente andata sempre crescendo. 214 PUCCINI ESEMPIO 7.1 re, sotto le sue mani il vessuto strumentale diventa di completa duttilita, le grada- zioni di sonorita sono innumerevoli, limpasto & quasi sempre simpatico [...] Soprattutto, non lasciava dubbi sul vigore creativo ¢ sulla forza dram- matica dell’opera. Il pubblico, all’inizio un po’ incerto, si allined ben presto sti questo punto di vista. Prima della fine dell’anno Tosca era gia stata data a Lon- dra, Buenos Aires ¢ New York. E, per una volta, Puccini non send la ne- cessita di fare cambiamenti sostanziali nella partitura stampaca. Con Tosca Puccini si confronta per la prima volta con un’opeta d’azio- ne. Percid il passo é piit veloce, i motivi ricorrenti pitt brevi, pitt caglien- tie pitt numerosi che nelle opere precedenti e non hanno sempre la fun- zione di etichette fisse dato che la loro associazione con clementi del dramma é talvolta pitt vaga che nella Bohéme, presagendo cosi la qualita camaleontica che caratterizzeri certi motivi nelle opere tarde. Non si perde tempo nell’evocazione di un’ambientazione (la chiesa di Sant’ An- drea della Valle). $i parte con una rapida pantomima segnata di negati- vita. Angelotti & colto in una fuga disperata dalle forze governative co- mandate dal Barone Scarpia, la cui presenza invisibile & anticipata da un’immagine musicale terrorizzante (ESEMPIO 7.1). Come un ideo- gramma dell'infamia, tradizionalmente indicata nell’opera italiana da fioricure all'unisono (vedi il Credo di Jago), quest’immagine & tanto ori- ginale quanto magistrale. Definirlo un motivo per toni interi, come qualcuno ha fatto, é sicuramente errato. La linea superiore si muove per semitoni ¢ ognuna delle progressioni & un normale accordo maggiore 216 7 TOSCA ESEMPIO 7.2 Vivacissimo con violenea ESEMPIO 7.3 Allegreto grazioso Solo del basso si pud dire che abbia implicazioni esatonali, che saranno sfruttate nel motivo simile che denotera il pozzo nel giardino di Cavara- dossi (ESEMPIO 7.10). Cid che conferisce al motivo una forza sinistra @ il precipitare in una tonalita remota, come lo scivolare di una maschera. I wurbinio che accompagna l'entrata di Angelotti (seMPTO 7.2) — un sol minore sincopato a piena orchestra che si dissolve in uno scivola- re cromatico nei legni — servira sia come motivo personale che come motivo generico dell’inseguimento. Qui viene ampliato da varie figura zioni che illustrano la frenetica ricerca fata da Angelotti della chiave della cappella Attavanti nella quale intende nascondersi. Il suo ritrova- mento della chiave & sottolineato dall’EsEMp1o 7.1, ora pit calmo, con Vaccordo finale in pianissimo nei legni acuti sopra violoncelli ¢ bassi — lombra del capo della polizia che si allontana. Nuove esposizioni abbre- viate dell’ksEMP10 7.2 accompagnano Angelotti nella cappella. LU tema saltellante che introduce il Sacrestano é da commedia vera ¢ propria (ESEMPIO 7.3). Ma, anche se lo accompagner’ per tutto T’atto, non tratteggia in alcun modo il personaggio. Diversamente dal birbante buono che é i] Pére Eusébe di Sardou, il Sacrestano é un bigotto bronto- lone che nutre per il pittore una cordiale antipatia, che dissimula sotto un’apparenza di rispetto, I] sorriso nella musica (a un certo punto con- trassegnata «scherzoso») @ interamente di Puccini. Fra i conseguenti te- matici che lo accompagnano mentre attende con esagerata importanza 217 PUCCINI ESEMPIO 7.4 S53 alle sue incombenze, si percepisce un controcanto che sara poi associato al momento in cui Cavaradossi dipinge la Maddalena ¢ percid assume grande importanza nella partitura. Ancora una volta Puccini ha conferi- to memorabilita a un’idea banale soltanto con una nota imprevista: il fa diesis che da alla tonaliva un’infle (eseMPio 7.4). Al suono della campana dell’ Angelus (quattordici baccute di fa ripe- tuti sopra armonie sempre diverse che ricordano la veglia di mezzanorte del Falstaff di Verdi), il Sacrestano si inginocchia Cavaradossi, che ¢ entrato discretamente. 5: ione momentanea verso il sol minore E cosi che lo trova le sull’impalcatura e scopre il quadro, in corrispondenza della riproposizione dell’ ESEMPIO 7.4, ela- borato in progressione ¢ concluso da un’anticipazione riccamente or- chestrata di quello che sara il duetto d’amore (ESEMPIO 7.9b). In questo caso il significato & evidente: Tosca ¢ la vera ispiratrice del pittore. Ma non & cosi che il Sacrestano vede la cosa, dato che riconosce nelle fattez- ze della Maddalena quelle di una nobildonna che aveva spesso osservato Ni in atto di preghiera. Cavaradossi ammette di averla usata in parte come modella, pur senza conoscerla, perché colpiro dalla sua bellezza dal suo atteggiamento assorto nella preghiera («Fuori, Satana, fuori!», dice il Sacrestano). Cavaradossi si mette al lavoro, interrompendosi pitt volte per con- templare l’effetto generale, poi tira fuori un medaglione che raffigura Tosca e si meraviglia di se stesso, per essere stato capace di mettre insie- me due bellezze cosi diverse tra loro, La sua aria «Recondita armonia», inframezzata da pungenti borbowtii del Sacrestano, ¢ percid in parte un pezzo d’azione, con conseguenti modifiche alla normale struttura terna- tia. Tre idee distinte, distribuite tra voce ¢ orchestra, vengono ripetute di seguito con piccole variazioni, La prima é esclusivamente strumentale e descrittiva, infatti quarte parallele dei flauti, sopra dissonanze morbide tipicamente pucciniane, stanno a indicare le rapide pennellate del pitco- re, La seconda («Recondita armonia di bellezze diverse») costituisce il periodo principale dell’aria, mentre la terza (SEMPI0 7.5), che contie- ne un’allusione alla ubellezza ignota», sufficiente per leg arla in seguito 218 7 Tosca MPIO 7.5 Andante lente ESEMPIO 7.6 Allegro vivo. _— mE all’Atcavanti stessa, ne @ l'episodio centrale. Ma anche se quest’ ultima idea ha la parola conclusiva come postludio orchestrale, qui non 2 il caso di interrogarsi sulla fedelea di Cavaradossi: le batcute conclusive della melodia vocale non lasciano alcun dubbio sul fatto che il suo cuore appartenga a Tosca. II Sacrestano si prepara a uscire, non senza aver get- tato uno sguardo avido verso il cesto che contiene il pranzo per Cavara- dossi, che @ ancora intatto, perché se C& un vizio che condivide con VEusébe di Sardou 2 proprio la gola. L’zsempro 7.3 lo accompagna menu esce, € la sua ripetizione & offuscata da un ricamo di quarte pa- rallele che ci comunicano che il pittore continua a lavorare. Su un’esplosione dell’eszmpro 7.2 riappare Angelotti che viene ri- conosciuto, dopo un momento di incredulita, da Cavaradossi. Per lin- tenso dialogo che segue, Puccini intreccia due motivi nel discorso: il ptimo @ un salire e scendere cromatico che sar’ indicativo sia dell’agita- tione che della gelosia, il secondo (zsempto 7.6), associato con l'eva- sione di Angelotti dalla prigione, raggiunge la sua completa definizione alla seconda affermazione. Quasi all’improvviso la voce di Tosca risuo- na da fuori (di nuevo un anticipo orchestrale dell’usempro 7.9b). Un ritmo precipitoso ci comunica la debolezza di Angelotti mentre Cavara- dossi si prepara a condurlo verso un nascondiglio ¢ gli porge il cesto del- le prowviste agognato dal Sacrestano (FSEMPIO 7.3). Tosca finalmente viene fatta encrare ¢ lo fa «con una specie di vio- lenza, guardando intorno sospettosa», ma & la Tosca devora che viene tratteggiata dalla musica, con un tema che é tutto equilibrio ¢ serenia: 219 7 Tosca ESEMPIO 7.98 Andante sostenuto aE CCavaradoss! “Gust och at fon + do pudstsr dh pa + roststarden-te oe-chio— two ne-ra? ESEMPIO 7.96 Andante mosso Ae cc radon: once: Sto xen Ue) os La Tosca di Puccini, diversamente dal passaggio del dramma, @ una donna di teatro con grande esperienza. Ora assume un tono intimo, carezzevole («Non la sospiri la nostra cas eta»), ¢ non @ pitt la prima donna austera dell'xszsrio 7.7, ma la “piccola donna” pucciniana, appassionata e seducente. Il movimento di cinquanta bactute, come «Recondita armonia», ha una struttura dupli- ce, in parte ternaria con una ripresa, in parte rondd con varianti dell’e- SEMPIO 7.8a come ritornello. Solo un intervento di Cavaradossi, in fun- zione di climax, impedisce di considerarlo un‘aria. Progressioni sull’ssemrio 7.8b, che si colora progressivamente di cromatismo, ¢ una battuta dell’esEMp1o 7.2 accompagnano la riluttan- za di Tosca a partire. Poi, improwvisamente, lei nota la donna raffigura- ta nel dipinto e vi riconosce la Marchesa Attavanti: i suoi sospetti si in- fiammano sullo stesso attacco che aveva contrassegnato lo sgomento dei bohémiens all'arrive di Benoit. Cosi era questa la ragione dei passi e del fruscio di abiti! Cavaradossi, per cutto il tempo in cui lei da libero sfogo ai stoi accessi di collera, rimane perfettamente freddo, ¢ lei finisce con Paccettare le spiegazioni di lui. Nonostante questo, Tosca continua a sentitsi ingiuriata dagli occhi della Maddalena (azzurri, mentre i suoi sono neti), € una lenta discesa di accordi per toni interi che passano dai legni agli archi trasmette la sensazione ipnotica che lei prova. La risposta consolatrice di Cavaradossi (zseMPto 7.98) prende spunto dall’EsEM- p10 7.7 di Tosca, ora dispiegaco in uno scorrevole 9/8 organizzato in un periodo regolare di sedici battute che @ come un balsamo per l'inguietu- 22 PUCCINI ESEMPIO 7.7 ‘Andante sostenuto a ESEMPIO 7.8a poco rit. oo a flauto e violoncello soli a distanza di due ottave sopra terzine pizzicate degli archi ¢ note sostenute dei legni (ssemrro 7.7). Non ¢’é contrad- dizione sostanziale. Tosca & un’attrice con tutta la volubilitd superficiale della sua natura, la sua gelosia prevalentemente una questione di atteg- giamento ¢ per questo il suo amante non la prende troppo sul serio. E venuta a deporre fiori ai piedi della Madonna, e la sua fondamentale tranquillita @ disturbata solo per un breve momento da un riferimento musicale a momenti precedenti, quando parla del suono di passi ¢ di fruscio di abiti. Un bacio di Cavaradossi ¢ sufficient a tranquil anche se provoca un dolce rimprovero («Oh! innanzi la Madonna...»). La frase cadenzante che conclude le sue devozioni (Esemp1o 7.8a) ri- fornera in una variante pitt casuale, perfino irriverente (eseMpro 7.8b). Tosca passa Poi a parlare di cose pratiche: deve cantare a un concer- t0 quella sera, ma sar& uno spettacolo breve, cosi loro poi potranno an- dare insieme alla villa di lui fuori citta, «Stasera!», esclama Cavaradossi, eun frammento delPesempio 7.2 di Angelotti da voce ai suoi pensieri inespressi. Tosca nota la sua distrazione: «Non sei contento!» «Tanto! «Tornalo a dit!» «Tanto!» «Lo dici male». Queste sono parole che un’at- trice dice a un collega per rimproverarlo di un’interpretazione scadente. izzarla, 220 PUCCINI dine precedente. Tosca 2 vinta immediatamente. II semplice 3/4 della sua risposta («Oh come la sai bene l'arte di farti amare!») & disteso in una sottodominante rilassata, ma lei lo interrompe bruscamente con un ammonimento («Ma falle gli occhi neti»), contrassegnato da un «mali- ziosamente». Nel dramma, l'ammonimento & fatto con la massima se- rieta, perché la Tosca di Sardou manca completamente di ironia. I] pro- tagonista pucciniano pud permettersi di stuzzicarla («O mia gelosa!»), aprendo cosi il duetto d'amore, al cui inizio (zsempro 7.9b) il compo- sitore si era preoccupato di prepararci in precedenza. Dal momento che amore reciproco tra Tosca ¢ Cavaradossi costi- tuisce il cuore del suo dramma, Puccini non ha scrupoli nell’enunciare quattro volte la melodia, distribuita variamente ta le due voci. Progres- sioni voluttuosamente scivolanti ci comunicano il piacere di Tosca (Dilla ancora, la parola che consola») ¢ ci conducono alla terza enun- clazione, lasciata a Cavaradossi soltanto, nella tonalita pir alta di fa maggiore, che non solo gli consente di sfruttare il si bemolle acuto, ma ricorda anche all’ascoltatore la sua dichiarazione d'amore in «Recondita armonia». La musica ricade in mi maggiore per la ripresa finale, un dia- logo pianissimo e orchestrato in modo trasparente. Dopo aver ripetuto il suo ammonimento, di nuovo «maliziosamente», ma con un accento di tristezza inespressa, Tosca va via in fretta, lasciando le prime tre note del duetto sospese sopra un basso di tonica. Certamente un procedi- mento non ortodosso a quel tempo, ma niente trasmette il senso di un tesiduo di desiderio pitt efficacemente di un sesto grado sospeso come Conclusione melodica. Lo stesso espediente concludera il duetto d’amo- rein Madama Butterfly. Ul problema di scolpire a tutto tondo una protagonista al suo primo apparire da nessuna parte viene risolto in modo pitt efficace di qui. To- sca non € un tipo come Mimi, che pud riassumere tutto il suo carattere nell autopresentazione, lei ha tratti molto pitt individuali, Eppure tutto di lei & in questa prima scena con Cavaradossi: la dignita, la religiosit’ (si tratta ampiamente pero di pratica esteriore), l'inclinazione alla gelo- sia, il temperamento passionale, gli sprazzi di umorismo ¢ una certa mondanica teatrale, Qui Topera & pesantemente in vantaggio sul dram- ma, la cui protagonista rimane puramente monocorde: non ci meravi- glia che Sardou stesso sia atrivato a preferirla. Con la nuova apparizione di Angelotti l'azione riprende ancora una volta. Qui la densiti della tecnica motivica di Puccini lo separa net- tamente dai contemporanei della Giovane scuola. Un frammento dell’E- 222 7 TOSca ESEMPIO 7.10 Mosse ‘tempo coleanto SEMPIO 7.2 immerso nell’inciso di tre nore (x) dell’ EsEMPIO 7.96 (E buona la mia Tosca, ma credente al confessor nulla tiene celato»). Pro- gressioni, basate sulla musica associata con la ricerca della chiave da par- te di Angelotti, accompagnano la discussione sul suo piano di fuga negli abiti femminili lasciati da sua sorella, la Marchesa Atcavanti, Per la de- sctizione fatta da Cavaradossi della nobildonna in preghiera, Puccini di- spiega un’ampia esposizione dell’esemp1o 7.4 che riporta indietro attra- verso l’ssemP10 7.2 fino a ripetizioni dell’ esemPro 7.1 di Scarpia, Pulti- ma in fortissimo a commentare la frase «fa il confessore ¢ il boials. Ma non ct tempo da perdere, Angelotti deve affrettarsi ad andare alla villa di Cavaradossi (I esempro 7.8 diviso in frammenti sempre pitt piccoli intrecciato con ’rsEMPIo 7.2 € con un solo riferimenco all’ esEMPIO 7.5 della Marchesa quando l'evaso prende il fagotto degli abiti); alla fine ar- riyiamo al motivo del pozzo del giardino di Cavaradossi dove il fuggia- sco spera di salvarsi (zsEMP10 7.10). La relazione di quest’ultimo motivo con quello di Scarpia ¢ evidente: comuni accordi diatonici sopra un bas- so che procede per toni interi, qui per grado congiunto, ma non °’é niente di illogico, perché il pozzo si rivelerd un falso luogo di rifugio. Si sente un colpo di cannone da Castel Sant'Angelo, segno che la fuga di Angelotti @ stata scoperta. Ma questa non @ P'unica novitd: pro- prio mentre Cavaradossi si prepara ad accompagnare il fuggiasco alla sua villa, si sente 'esemp1o 7.3 del Sacrestano che gradatamente sale fino ad un climax di esultanza con trombe ¢ corni che squillano terze di- scendenti su un pedale di ronica. Il Sacrestano entra proprio un actimo dopo che i due uomini sono usciti: che peccato che non possa dileggiare il pittore miscredente con la notizia dell'ultima vittoria della santa cau- sa! La chiesa si riempie di una schiera eccitata di chierici, accoliti e cori- sti che circondano il latore della buona nuova, quindi si impone una fi- 223 7 Tosca commento conveniente al servilismo del Sacrestano, che finisce per di- ventare comico. Fino a questo momento I’azione aveva seguito abbastanza fedel- mente quella del dramma, ma ora il libretto fa un salto in avanti, antici- pando uno sviluppo che Sardou riserva per il giorno successivo, collo- candolo in Palazzo Farnese dove Tosca sta per esibirsi. Mentre lei aspet- ta il segnale per attaccare la cantata di Paisiello sotto la direzione del compositore, Scarpia continua ad accendere la sua gelosia usando il ven- taglio dell’Attavanti, provocando in lei esplosioni bambinesche, una dopo Paltra. Per prima cosa si propone di scovare la Marchesa in mezzo ai presenti ¢ colpirla con forza in facia col ventaglio. Quando le viene detto che la Marchesa é partita per Frascati, pensa di saperla lunga: par- tira subito per la villa di Cavaradossi e cogliera gli amanti in flagrante, basta dire alla Regina che ? malata ¢ non pud cantare. Ma Scarpia le proibisce di attuare questo proposito, con la minaccia di un arresto. To- sca scarica tutta la sua frustrazione su Paisiello («Ha i nervi?», chiede il compositore a Scarpia scusandosi) ?. Non appena gli strumenti hanno attaccato a suonare, c’é un’altra interruzione: la Regina Carolina ha ri- cevuto un dispaccio dal campo di battaglia di Marengo e insiste per leg- gerlo ad alta voce. La sua voce, che inizialmente era oltremodo sicura, diventa tremante quando si rende conto di star raccontando non una vittoria, ma una disfatta ignominiosa. La Regina sviene, il concerto & annullato e Tosca é libera di correre alla villa, seguita a distanza da Scar- pia con i suoi uomini. Tutto questo é splendido teatro, ma non trova posto nell’opera. Lo stratagemma di Scarpia é anticiparo nella scena in chiesa, dove Tosca ora ritorna (esEmpro 7.9b). Sgomenta per non trovare il suo amante ancora al lavoro, lo chiama, ma & Scarpia che avanza. E la prima volta nell’opera che le campane giocano un ruolo importante nella struttura musicale: quattro campane medic propongono un ostinato che rimarr’ per trentadue battute, per lasciare poi posto a un episodio strettamente collegato. Qui Puccini adopera una tecnica simile a quella che era stata esplorata per la prima volta da Glinka in Kanarinskaia, in cui una sola frase viene reiterata con diversa armonizzazione ¢ orchestrazione, € cost crea uno sfondo perfetto alle insinuazioni falsamente pietose di Scarpia. Comincia con le lusinghe, poi passa all’argomento delle donne sfroncate che vengono in chiesa ¢ volge esplicitamente lo sguardo verso il ritratto della Maddalena. Tosca reagisce con una violenza («Le prove! Le pro- vel») che fa partire un frammento dell’EsEmPro 7.6, storpiato in un di- 225 PUCCINI gurazione esultante che passa da un gruppo di strumenti all’altro, mar~ cando da un cono all’altro il ritmo che varia da 9/8 a 6/8. Il tempo si al- lenta per un conseguente quasi ballabile che ricorda vagamente gli ap- prendisti in Die Meistersinger, dato che tutto fa pregustare la celebrazio- ne di una vittoria. II giubilo raggiunge il suo apice tra scoppi di risa e gtida di «Viva il Re! Gloria! Te Deum!», ma viene improwvisamente re- presso dall’esempro 7.1 di Scarpia, il cui accordo conclusive & precedu- to da un movimento veloce di flauti, ottavino ¢ violini che sembra cata- pultare in mezzo a loro il capo della polizia con Spoletta con un gruppo di sbirti al seguito. Colpi di teatro come questo sono comuni nel grand-opéra da Le pro- phate fino a Gioconda, ma in nessun altro luogo si rivelano cosi impres- sionanti come qui. E Scarpia il bigotto che parla per primo («Un tal baccano in chiesa! Bel rispetto!») riducendo il Sacrestano in un stato di terrore farfugliante («Eccellenza! il gran giubilo...»). Riproposizioni di- storte del suo ESEMPrO 7.3 permangono al di sotto di ripetizi messe dell’esempro 7.1 di Scarpia, mentre la folla si disperde. Da que- sto momento in poi i motivi si dispiegano con maggiore ampiezza per poter sostenere un'informazione importante: un prigioniero 2 scappato da Castel Sant'Angelo e potrebbe essere nascosto proprio in questa chie~ sa. Dov’t la Cappella Attavanti? Il Sacrestano indica il cancello della cappella e mostra tutta la sua sorpresa nel vedere che non é pitt chiuso. Tre enunciazioni dell’rs joni som- EMPIO 7.6, ognuno orchestrato in modo pitt enfatico del precedente, ci dicono che la caccia del fuggitivo & in corso € che Scarpia si sta sempre pitt avvicinando alla preda. Esce dalla Cappella Arravanti tenendo tra le mani un ventaglio con lo stemma Attavanti, si- curamente un indizio di grande importanza. Il suo sguardo si posa sul ritratto sopra Pimpalcato e riconosce le fattezze della Marchesa Attavan- ti, ¢ in questo momento P'eseMPro 7.5 & particolarmente utile perché le sue terzine puntate forniscono un certo tessuto connettivo, privo di mo- {ivi veri € propri, con quanto segue. E il Sacrestano che fa il nome del pittore, identificato musicalmente dalle prime note del duetto d’amores «Lamante di Tosca! Un uom sospetto! Un volterrian!», Nel frattempo uno sbirro ha trovato nella cappella il paniere delle provviste, ora vuoto: un altro motivo di sorpresa per il Sacrestano. Cavaradossi aveva detto di non aver affatto appetito, né d’altra parte aveva una chiave della Cap- pella Attavanti. TI dialogo @ troppo dettagliato per consentire un intrec- cio ricco di motivi, percid ci sono soltanto frammenti dell’ ESEMPIO 7.3, Pultimo nel registro grave del fagotto, rinforzato dal controfagotto, un 224 7 TOSCA ESEMPIO 7.11 Andante Cavaradossi. Nel dramma possiamo assistere al suo arrivo la, dove viene placata dal pittore che, per la prima volta, le parla di Angelotti. Scarpia e i suoi uomini irrompono subito dopo nella villa e sottopongono Cava- radossi alla tortura, Nellopera invece la caccia & affidata a Spoletta, mentre Scarpia ritorna nel suo quarter generale in una stanza ai piani alti di Palazzo Farnese, nel qual le ora si sposta l’azione. Noi dobbiamo accettare per avvenuta la riconciliazione dei due amanti, come in effetti fa Scarpia ~ e tutto risulta chiaro dall’accumulo di motivi che accompa- gna le riflessioni che fa mentre siede da solo a tavola per la cena. Del tut- to nuovo é |’attacco iniziale (esEMPIO 7.11), che afferra l’attenzione con un cambiamento di tonalita atraversando un tritono (il diabolus in mu- sica) prima di fermarsi su una specie di surrogato della dominante, un accordo abbastanza mite da non richiedere un’immediata risoluzione. Sopra il mi grave tenuto, corni e viole richiamano ’EsemPto 7.6 (la fuga di Angelotti), i violini cominciano l'rsemPto 7.9b che cede poi al consolatorio ESEMPIO 7.9a di Cavaradossi, tracciato dal clarinetto solo (entrambi i motivi provengono dalla scena d’amore). L’ESEMP10 7.11, con la tonalita ristabilita dal pedale di dominante, conclude il gruppo di motivi. «Tosca & un buon falco!», medita Scarpia, l'amore per il suo Mario condurra i segugi sulle tracce della preda, ¢ domani si vedranno Angelotti ¢ Cavaradossi pendere dalla forca (gsEMPIO 7.1). Scarpia chiama, suonando un campanello, il suo gendarme Sciarrone: vuol sa- pere da lui se Tosca é artivata a palazzo. Non ancora, risponde Sciarro- ne, la stanno aspettando per poter far iniziare la cantata celebrativa della EMPIO 7.1, interrotto quando vittoria. Risuona ancora una volta I Sciarrone, aprendo una finestra, fa entrare le melodie di una gavotta. Strumentata per flauto, viola e arpa dentro le scene, la gavocea non si di stingue particolarmente, d’altra parte non & opera di Puccini, che Pha 227 PUCCINI segno per toni interi nei violoncelli ¢ bassi sotto un tremolo degli archi pitt acuti. Scarpia tira fuori il ventaglio (eseMPro 7.5, attenuato ma teso). Cosi i sospetti di Tosca erano giustificati! Eppure la sua reazione immediata 2 di dolore piuttosto che di rabbia («Ed io venivo a lui tutta dogliosa»), ed & per questo che siamo in una tonalita minore, che la di- rezione della melodia é discendente e che per due volte ci si muove verso Ja sottodominante, tutti mezzi per esprimere vera infelicita. Scarpia ritorna al suo infido ostinato, ma Tosca non gli presta atten- zione. Dove possono essere gli amanti, si domanda? L'esemp1o 7.6, di nuovo esatonale, sempre pitt forte ¢ intenso ad ogni ripetizione, sembra indirizzarla alla villa di Cavaradossi. La andra subito a interrompete il loro appuntamento (Esemrro 7.2 esplode fortissimo, ora a indicare soltanto l'inseguimento). Sui motivi dell’esemr10 7.9b, ora un’elegia riccamente orchestrata per rimpiangere la felicita passata, Scarpia l’ac- compagna fuori dalla chiesa. In tutta questa scena la Tosca di Puccini & personaggio pitt dignitoso che in Sardou. E Pesempro 7.2 («energico, tutta forza») che molto appropriata- mente conduce Scarpia di nuovo in chiesa per dare ordine di seguire Tosea («Te sbirti... Una carrozza...»). Le sue parole segnano V’inizio del finale, un ampio crescendo basato ancora una volta su un disegno affi- dato alle campane, questa volta un’oscillazione cutta pucciniana di due note, L’azione é ridotta al minimo, un progressivo riempirsi della chiesa con una folla di chierici, coristi ¢ fedeli, che passano dalle risposte reci- tate fino al canto del Te Deum. Cid che mantiene desta la nostra atten- zione @ il fatto che la musica é costantemente in una situazione di prepa- rarione della dominante. II materiale melodico @ saldamente diatonico, liscio per andamento ¢ profilo. Per tutto il tempo Scarpia prefigura con cupidigia la prospettiva di una duplice vittoria, la catcura di Angelotti ¢ il possesso di Tosca. II movimento raggiunge il suo climax con la frase dell’inno «Te eternum Patrem omnis terra veneratur» cantata all’uniso- no che, finendo sul si bemolle, permerte a Scarpia di togliersi la masche- con il suo motivo «tutta forza» nella ronalita originaria, Ma alla fine deve anche gravitare verso il mi bemolle affermato all’inizio del movi- mento, Estesa su novantaquattro battute lente, rafforzata da organo, campane ¢ periodici colpi di cannone, questa @ assolutamente la pitt cf- creata da Puccini, € non trover’ uguali fino ficace oscillazione atmo! al finale del primo atto di Turandot. Il secondo atto comincia dopo uno di quei vuoti nell’azione cost co- muni nell’opera. Abbiamo appena visto Tosca precipitarsi alla villa di 226 7 TOScA ESEMPIO 7.12 senza rail = a dal palcoscenico ¢ dalla buca: infatti, se la tonalica della cantata & la mi- nore, le riproposizioni dell’ zseMmp10 7.12 si collocano tutte in mi mino- re. In effetti non c'é un urto diretto, dato che il fa diesis (x), su cui insi- ste il motivo, si trova nelle scale ascendenti di encrambe le tonalit’, ma la doppia prospettiva é calcolata acutamente per rispecchiare la situazio- ne: devozione dietro le scene, brutalita davanti ai nostri occhi. Liinterrogatorio di Cavaradossi inizia prima che la cantata sia finica, Allimperiosa domanda di Scarpia «Dov't Angelotti?», il tremolo degli archi sostiene il mi del baritono, al quale clarinetti, fagotti ¢ controfa- gotti fanno seguire una linea discendente per toni interi, fino al si be- molle, dando luogo al pitt brutale dei tritoni. E di nuovo orchestra che fornisce quella risposta che Cavaradossi rifiuta di dare: «Nel pozzo del giardino» (esentr1o 7.10), un conseguente logico dato che, come & gia stato notato, porta con sé le proprie implicazioni esatonali Scarpia adotta poi un atteggiamento piit blando, quasi paterno, ¢ consiglia al giovane una piena confessione, che gli eviter’ grandi soffe- renze. Trombe con sordina sottolineano il significato delle ultime paro- le, mentre un minuscolo motivo, quasi un ideogramma della sofferenza, insinua quello che, altrimenti, in serbo per lui, II suono naturalmente lamentoso del violoncello nel suo registro acuto acquista il massimo ri- lievo grazie alla tavolozza timbrica dei fiati che lo sostengono, ¢ linver- vallo di seconda aumentata (x) & come una pugnalata, dato che gli inter- valli pit duri sono stati usati con molta parsimonia nei precedenti mo- menti di uso del cromatismo. Scarpia ripete la stessa domanda, ma si trova di fronte al medesimo diniego di Cavaradossi contraddetto, come prima, dall’orchestra con l’EsEMPIO 7.10, ancora pitt forte e pitt enfati- co. Entra Tosca ¢ si affretta dal suo amante su una ripresa di un motivo dal duetto sullo stesso accordo sul quale lo abbiamo sentito ultima vol- ta. Cavaradossi ha appena il tempo di raccomandarle di non dire niente 229 PUCCINI presa da una composizione del fratello Michele “°. Ma il trattamento della gavotta @ veramente magistrale, addirittura impressionistico: le fra- si ci giungono in modo irregolare, ora piit presto, ora pitt tardi di quan- do ce le aspettiamo, come se fossero portate dentro la stanza dal vento. Nel frattempo Scarpia ordina a Sciarrone di condurre Tosca da lui non appena sara finita la cantata. II nucleo tematico dell’2seMP1O 7.11 poi riprende da dove si era interrotto, mentre le parole di Scarpia conferma- no quello che la musica ci ha gia detto: che é il possesso di Tosca ad oc MPIO 7.1 quietamente male- cupare completamente la sua mente (I’ volo). In un Andante litico («Ha pitt forte sapore la conquista violenta che il mellifluo consenso») Scarpia enuncia la sua filosofia erotica: non sono per lui le vie del corteggiamento cosparse di fiori, gli accordi di chitarra, il tubare delle tortore, Puntare la preda, darle la caccia, catcurarla, poi gettarla via — questi sono i suoi modi. C’é pitt scelleratezza nel motivo di Scarpia in orchestra che in qualsiasi cosa che canta, ¢ il suo periodo ziale con le sue pulsazioni anactusiche ¢ l'orchestrazione vellurata non & molto diverso da pitt di una meditazione per baritone, ma ben presto la sua eccitazione si traduce in una veemenza declamatoria, mentre corni e violoncelli scolpiscono le parole «perseguo, me ne sazio», ¢ la structura chiusa efficacemente da una riproposta finale, in «strepitoso», dell’E- SEMPIO 7.11, con il salto di tritono che funziona come una pesante oscillazione del pendolo nella direzione di una cadenza. Ma la cadenza non arriva mai, bloccata come prima dall’accordo fi- nale del motivo. Nel frattempo c’t qualcos’altro che distrae Scarpia: Vartivo di Spoletta, di ritorno dalla villa. Terrorizzato, ’agente di polizia cerca di tirare il pitt possibile alle lunghe il suo resoconto, ma alla fine la conclusione & che di Angelotti non s’é trovata traccia ma, comunque, Cera Cavaradossi, il cui atteggiamento beffardo suggeriva che sapesse molto bene dove era nascosto il fuggiasco, quindi hanno arrestato ¢ condotto a palazzo. La menzione del pittore detta un richiamo del- Pesempio 7.4 (il ritratto), esteso da progressioni discendenti ¢ concluso su un motivo funesto che ricorrer’d di tanto in tanto durante l'interroga- torio di Cavaradossi. Di rado il fauto nel registro grave ha risuonato con un effetto pitt sinistro (zsEMPio 7.12). Onmai @ iniziata la cantata, un inno a Dio, re delle vittorie, che se- gue un disegno ternario (la minore — do — la minore) in uno stile falso Rinascimento con qualche punto d’imitazione. Ma quello che colpisce Vascoltatore attento é la bitonalita che si crea tra quanto sente provenire 228 PUCCINI ESEMPIO 7.13 mola expresivo, lamentaso @ a ee ——4 f ESEMPIO 7.14 Andante sostenuto prima che Scarpia annunci che il Giudice lo vuol sentire come tes ne. L’gsEMp1o 7.12 risuona immediatamente sulla massa degli ortoni, rendendo ora chiaramente percepibile il suo senso minaccioso. Segue un interludio di diciannove battute che consente la preparazione degli strumenti di tortura nella stanza adiacente. L'interludio si basa sull'E- seMP10 7.13 che diventa sempre piti sommesso ¢ fluisce in una sorta di ritmo cullante in 6/8 che dominera l’interrogatorio di ‘Tosca da parte del capo della polizia. Scarpia comincia usando il guanto di velluto («Ed or fra noi parliam da buoni amici»), ma molto presto, comunque, un “motivo della tortura” attacca un assalto inesorabile in un re minore do- rico ~ una “sviolinata” acuita da corno inglese e trombone con sordina, con la tensione aumentata dal lavorio delle viole divise (zsempro 7.14). Scarpia non si decide a dire quello che sta accadendo a Cavaradossi fino alla seconda proposta dell’esemp1o 7.14, ora sui fiati con crarti feroci negli archi ej uadizionali “rullii della morte” sui timpani: ¢ Scarpia che precisa nei dettagli quello che sta capitando a Cavaradossi. Da qui in avanti c’¢ una tortura doppia, per il pittore, le cui soflerenze si riflewono 230 7 TOSCA ESEMPIO 7.15 ‘Toscat Ah! Ses sate mar wet teup po sof nell’ ESEMPTO 7.13, € per Tosca, la cui linea & costellata di salti terrifican- ti. Tosca, dopo aver avuto il permesso di vedere il suo amante in un mo- mento di pausa della tortura ma ancora ardito, si fa pitt audace, contro- battendo alle domande perentorie di Scarpia con una risposta che ha il senso di quella definitiva (vNon so nulla!»), accentuata dalla cadenza, ostinatamente ripetuta in una tonalita dopo Valera. In un improvviso accesso di ferocia (uun’ondata cromatica in tutta orchestra) Scarpia or- dina che le porte vengano spalancate in modo tale che Tosca possa sen- tire i lamenti del prigionicro, ¢ qui l'esempio 7.15 si dispiega in tutta la sua lunghe ione di due ot ra sopra un'estens ve, accompagnato da sem- pre crescenti espressioni di angoscia da parte di Tosca che culminano un appello litico disperato. Una lunga discesa bilancia il luire dell’ Esemp10 7.14, € la sensazio- ne di esaurimento é resa pid intensa dall’uso del secondo grado abbassa- to (“napoletano”). Tosca implora Cavaradossi di consentirle di parlare, ma lui ignora la richiesta («Stolta, che sai2... che puoi dir?s), ¢ Scarpia («Ma fatelo tacere!») mostra la sta preoccupazione che le parole di Ca- varadossi possano incoraggiare Tosca a resistere, Ma Tosca nel frattem- po & gid caduta prostrata sul canapé, mormorando debolmente («Che viho fatto in vit a mia?!»), mentre Spoletta, non meno sopraffatto, bor- botta versi dal Dies ize. Scarpia fa cenno di riprendere la tortura. Un gtido di Cavaradossi e Tosca raggiunge il fondo della sua resistenza: «Nel pozzo... nel giardino...», anticipata dall’orchestta con I'EsEMPIO 7.0 in fortissimo. Cavaradossi viene portato in scena svenuto, L’ESEM- PIO 7.12, nella sua yeste massimamente lugubre, con viole e fagotti che espongono la melodia, viene incastrato nel doloroso ESEMPIO 7.13, SO- pra il quale I’ssemp1 7.9a versa il suo balsamo quando Tosca cerca di far rinvenire il suo amante coprendolo di baci. Ma loasi dura poco: To- sca, alle domande di Cavaradossi, lo rassicura dicendogli che non si é facta scappare niente, ma Scarpia e |'EsEMPIO 7.10 proclamano la verit’, € Cavaradossi maledice Tosca per averlo tradito 231 7 Tosca ESEMPIO 7.16 Allegro vivace dell’ esemtPro 7.16 si scontra con la repulsione dell'esemro 7.15 di To- sca quando Scarpia si ayventa su di lei a braccia aperte, Indovinando Vintenzione di lei di chiedere Vintercessione della Regina, le dice che si sospenderebbe soltanto lesecuzione di un cadavere, ¢ qui Puccini man- da un messaggio al pubblico con un richiamo dell’ EsEMPt0 7.1, che si conclude con un accordo minore. Perché un cadavere ci sara sicuramen- te prima della fine del secondo atto, ma non sara quello di Cavaradossi. Lo scontro tra le loro due determinazioni viene interrotto da un suono di tamburi militari in lontananza, mentre una “marcia al supplizio” in modo frigio su violoncelli ¢ contrabbassi pizzicati sotto vibranti seconde nei clarinetti, poi nei fagotti (un’eredita proveniente da Edgar) indica chiaramente 'imminenza dell’esecuzione di Cavaradossi. Le seconde st allentano diventando terze, le terze diventano triadi parallele in rivolto quando Tosca attacea la sua famosa aria («Viss d’arte, vissi d'amore»), con le frasi discendenti che esprimono smarrimento senza speranz. Si dice che Puccini abbia preso in considerazione la possibilica di abolire quest’aria per il farto che fermerebbe l'azione in modo irreale, ma Sear- pia non ha fretta, ¢ sicuramente @ plausibile che la cantante, in questo momento supremo, veda passare davanti ai suoi occhi, mencre il rempo si fetma, tutto il suo passato: una vita dedicata all arte, al’amore e alla pratica religiosa. Basti dire Jhe cutto questo & compendiato in un conse: guente in tonalita maggiore: 'psemr10 7.7 (il tema della sua enttata) ampliato da un episodio centrale ¢ prolungato dal disperaro BSEMHO 7.15, Un'ombra cromatica del motivo di Scarpia accompagna il suo «i> solvily, ma non impedisce né alla cadenza di concludersi né alla cantan- te di ricevere gli applausi del pubblico. a ‘Tosca tenta la sua ultima supplica («Vedi... le man giunee fo tend? a tel»), resa pitt cloquente dal segno di riconoscimento della quint® di- scendente innestata sulla melodia della precedente “marcia al sPP vio", ora in modo dorico. La risposta di Scarpia & prevedibile: onde del- Vesimrio 7.16 («Sei woppo bella, Toscal»). Lei oppone resistent unaltra volta, ma proprio in quel momento entra Spoletta a poreare 233 eee ee PUCCINI A questo punto l'opera ha un’alera delle sue sforbiciate. Il terzo atto di Sardou finisce con Cavaradossi e Tosca, ancora in disaccordo, che vengono fatti uscire per essere condotti a Castel Sant'Angelo, ma ci sara fempo per farli riconciliare nei due atti che rimangono. Nell’opera non ® cost, perché mentre il pittore inveisce contro la sua amata, un avveni- mento inatteso devia il corso dell'azione: entra Sciarrone a portare la notizia della vittoria di Napoleone a Marengo. Lo stato d’animo di Ca- varadossi cambia di colpo ed 2 di esaltazione. Se c’é un punto in cui era Recessario un tema nuovo, & proprio questo, invece Puccini ricorre al- esemro 7.4 il dipinto), proclamato in modo eroico da tromboni, fi gout) violoncelli ¢ contrabbassi sotto il cremolo degli archi pitt acuti € jotzine scandite nei legni —¢ il ricorso & pertinente solo attraverso la pitt libera delle associazioni. Ma il peggio deve ancora arrivare: un terzetto (alba vindice appar») alla maniera di un vecchio concertato, ‘Tosca implora pieta, Cavaradossi esulta ¢ Scar pia minaccia. Qui la me- lodia & effetcivamente nuova, ma non é di Puccini. Ancora una volta Tha presa da un lavoro del fratello Michele “!, ¢ il risuleato & evident in? toppa di owvieti tecnica in una particura che é invece molto perso- hale, che non convince neppure dal punto di vista psicologico. Cavara- dossi non & uomo da dimenticare amico tradito in un accesso di ent Siasmo per la causa che lui rappresenta. Le opere di Puccini sono basate sulle relzioni reciproche tra gli individui, inolere Pidealismo pu essere “ato terreno per Verdi, non lo era certamente per lui. Cavaradossi viene trascinato via in attesa dell’esecuzione. Tosca cer- ca di seguitlo (I'ssemo10 7.5 orchestrato in modo stridulo e tormentato dal rubato) ma gli sbirr la ricacciano indietro, La musica sprofonda in pn tipresa del cumulo di motivi che aveva aperto latto. Solo con la pi ima donna Scarpia riprende le lusinghe che aveva gia usato nel 6/8 del Ne Primo approccio. Lei sola, le dice, pud salvare il suo amante. Solo la mesa in musica (un declamato scarno sotto un tremolo dei violini) pud rendere il disprezzo implacabile delle parole di Tosca: «Quanto? Il prez . E Torchestra che fornisce la tisposta, svelando un motivo che d “fmtera il simbolo della concupiscenza di Scarpia (ESEMP1O 7.16). L'in- ciso efficace di questo motivo & la terzina ascendente per salti, che sar’ ih vario modo ampliata nel corso della ripetizione. Su accordi sempre it ticchi e sensuali Scarpia attacca un cantabile («Gia mi struggea P'a- ‘mor della divals), simile al precedente «Ha pits forte sapore la conquista violenta», ma con un’ampiezza melodica maggiore adatta alla nuova consapevolezza del suo porere. Un'effusione, con funzione di climax. 232 7 Tosca ESEMPIO 7.18 Andante sostenuto Pazione & terminata, la furia della protagonista svanisce («Or gli perdo- no»). Durante la pantomima che segue, identica a quella del dramma, predomina l’rsempro 7.17, ora una “sviolinata” elegiaca, con i colori dei legni bassi ¢ dei corni. Tosca si pulisce le mani dal sangue, prende il salvacondoto dalle dita serrate del morto e sca per uscire con il suo fa- moso verso conclusive («E avanti a lui tremava turta Roma!y), quando la sta formazione religiosa ha il sopravento. Ritorna vicino al corpo di Scarpia ¢ colloca due candele accese ai lati della testa ¢ un crocifisso sul petto — tutto questo su richiami del sensuale ESEMPrO 7.16 in una tona- lita minore sopra tromboni con sordina ¢ un’ unica reminiscenza dell’. sempi0 7.92 sul clarinetto solo. Il commento finale & lasciato, com’t ov- vio, all’ EsEMP10 7.1 in pianissimo, con la sua funesta incandescenza che si spegne ancora una volta in una conclusione in minore. Come nel pri- mo atto (e come succeder’ in Turandot) i] motivo conclusivo ripetuto & enfatizzato da un cambiamento verso una tonalita precedente per far ca- lare il sipario. La melodia trionfale che apre ultimo atto (esemPr0 7.18) anticipa quello che era rimasto del cosiddetco inno latino. Proclamata da quattro cori all'unisono, come l'inizio del quarto atto del Don Carlos di Verdi, serve quia richiamare lattenzione. Quello che segue ¢ un quadro musi cale dell’alba sulla campagna romana. C’® una certa parentela con la

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