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Nuova Accademia di Belle Arti - Milano

Diploma Accademico di I livello


del corso di Media Design

Self Portrait: dal Theatron al


Pantheon The Quest of Xanadù
Forme di narrazione lineare - forme di
ipernarrazione-ipertesto-multimedialità

Docente referente:
Amos Bianchi

Candidato:
Roberto Bertelè
Matricola n. 1024E

Anno Accademico 2007 - 2008


2
Indice

Indice.................................................................................................................................3
Introduzione: alla ricerca di Xanadù .................................................................................5
Comunicazione, società e media .......................................................................................7
L’istinto alla comunicazione .........................................................................................7
Comunicazione e società...............................................................................................8
L’influenza decisiva dei mezzi di comunicazione ........................................................8
Da un’oralità primaria all’oralità secondaria ................................................................9
Ipernarrazioni: dalla letteratura ai videogames. ..............................................................11
Letteratura e ipermedia ...............................................................................................12
Precursori ....................................................................................................................13
Librigame ....................................................................................................................14
Iper-romanzi................................................................................................................15
Un corpus concettuale .................................................................................................16
Cinema e narrazioni non lineari ..................................................................................16
Il tema e la chiusura ....................................................................................................18
Ritmo, causalità e casualità .........................................................................................20
Il ruolo determinante della fiction televisiva ..............................................................21
Tra televisione e internet.............................................................................................22
Tra cinema e videogiochi ............................................................................................25
Videogiochi narrativi ..................................................................................................27
Da masse a Comunità Virtuali ........................................................................................28
Web 2.0, Social Web e Social Media..........................................................................28
Comunità Virtuali .......................................................................................................30
Mondi Virtuali e MMORPG .......................................................................................31
Videogiochi: settima generazione...............................................................................32
I Giocatori nel mondo .................................................................................................33
Conclusioni .....................................................................................................................35
Bibliografia .....................................................................................................................37
Filmografia......................................................................................................................39

3
4
Introduzione: alla ricerca di Xanadù

Ho avuto il mio primo Personal Computer IBM nel 1986 e sono nel Web dal 1997.
Nonostante gli studi classici ho intrapreso una carriera professionale come Web
Designer, Flash Designer e programmatore ASP/VBScript. Cinque anni fa ho deciso di
lasciare la mia attività professionale per frequentare la scuola di Media Design: sentivo
il bisogno di allontanarmi dalla tecnica per lasciare più spazio alla creatività, staccarmi
dal Web per trovare nuovi stimoli e altre forme di espressione.
Durante questo percorso ho avuto modo di concentrarmi su alcune aree di interesse
come le teorie della comunicazione, la storia, l’estetica, la teoria e la tecnica dei Nuovi
Media e dei Mass Media, la sceneggiatura, la comunicazione audiovisiva e la Storia del
Cinema.
In parallelo, nel mondo intorno a me, la convergenza tra Media si è fatta sempre più
frequente, si dibatte sulle prospettive di sviluppi futuri delle tecnologie, sulla loro
semplicità e velocità di diffusione, si assiste alla crescita dei mondi virtuali e alle
reciproche interferenze giuridiche, legali, economiche, sociali con il mondo reale, il
Web si popola di user generated contents e si sperimentano nuove forme di scrittura
collettiva e di produzioni audiovisive partecipate.

In questo punto si inserisce questo progetto, che corona e in qualche modo rappresenta
questo percorso di studi, e che intende esplorare, attraverso un lavoro di ricerca,
documentazione ed analisi, diverse forme di narrazioni non-lineari, dalle origini dei
giochi di ruolo e dei librigame ai mondi virtuali di oggi, passando per la letteratura, la
televisione ed il cinema. Progettare un ibrido gioco-narrativo che possa sfruttare
computer, console e dispositivi mobili, frammentando e diversificando la narrazione
nelle cornici del vissuto personale quotidiano e non più in momenti dedicati, delimitati,
o nel tempo libero.

5
6
Comunicazione, società e media

Numerose definizioni sono state date in un tempo relativamente breve (dal 1940 circa in
poi) alla parola comunicazione, diverse per ampiezza dell’ambito fenomenico che
prendono in considerazione e riescono a mettere in correlazione logica.
Non avendo le scienze della comunicazione uno statuto epistemologico ed essendo
costantemente in evoluzione sia il processo di evoluzione della comunicazione stessa
che gli sviluppi tecnologici hardware e software dei nuovi media, prenderemo in
considerazione maggiormente gli aspetti sociali che sono alla base della comunicazione
e che caratterizzano l’essere umano.

L’istinto alla comunicazione


La comunicazione è umana e promossa da un bisogno epigenetico. Tutto è innescato da
un “istinto alla comunicazione” che introduce flussi di informazione nel nostro sistema
nervoso: “…l’uomo ha una tendenza istintiva a parlare…ogni lingua si è evoluta per
gradi, lentamente ed inconsciamente” 1 .
Tutti i comportamenti però hanno valenza comunicativa 2 poiché l’individuo partecipa a
un sistema globale di interazione 3 . L’individuo si trova ad essere un emittente/ricevente
che fa da ripetitore di segnali decodificati e ricodificati alla stessa maniera da tutti i
membri della società.
Ciò che distingue l’uomo dalle altre specie viventi è la strutturazione data al linguaggio
attraverso tecnologie quali gli alfabeti: egli può infatti tradurre sensazioni in segni
mentali, poi vocali e grafici, oggettivizzabili. Il primo elemento del rapporto
comunicativo è quindi il pensiero, di seguito la capacità di parlare con sé stessi e poi
con il gruppo che condivide un sé universale.

1
C.DARWIN, L’origine dell’uomo, Milano, Rizzoli, 1982.
2
P.WATZLAWICK, J.H.BEAVIN, D.JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana, New York,
Norton, 1967.
3
R.L.BIRDWHISTELL, Kinesics and Context, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1970.

7
Comunicazione e società
Secondo la concezione della linguistica strutturalista, il sistema, cioè la struttura, ha la
priorità sull’uomo, che è definito dalle strutture che lo controllano, come il linguaggio, i
media, i paradigmi culturali, il sistema di valori sociali ed economici, i miti religiosi. Le
regolarità delle società umane vanno dunque cercate non in ciò che le varie culture
possiedono in comune ma nelle relazioni sistematiche tra le loro differenze 4 . Seguendo
questo orientamento metodologico, Lévy-Strauss individua alcune “costanti culturali”
che chiama le “strutture dello spirito umano”. Le società sono sistemi di individui messi
in comunicazione attraverso vari aspetti della cultura, non solo verbali ma anche
simbolici.

L’influenza decisiva dei mezzi di comunicazione


Le società sono però maggiormente plasmate dai mezzi di comunicazione che utilizzano
più che dai contenuti della comunicazione5 . Anche se è difficile immaginarlo, poiché la
scrittura pone l'alfabetizzato nella condizione di non poter pensare le parole senza
“vederle”, in una cultura ad oralità primaria le parole sono suoni cui non corrisponde
alcun luogo: il suono esiste nel momento in cui viene emesso e percepito per poi
sparire. In questo senso, scrive Ong, le parole di Omero sono sempre “alate” 6 .

In una cultura ad oralità primaria quindi il pensiero e l'espressione tendono ad essere


strutturati per favorire una facile memorizzazione. Inoltre, “un'economia verbale
dominata dal suono tende verso l'aggregazione (armonia) piuttosto che verso l'analisi
disaggregante (che compare assieme alla parola scritta, visualizzata). Tende anche
all'olismo conservatore (il presente omeostatico che deve essere mantenuto intatto), al
pensiero situazionale (di nuovo olista, con l'azione umana al suo centro) piuttosto che a
quello astratto, ad una organizzazione della conoscenza centrata attorno alle azioni di
esseri umani o antropomorfi, piuttosto che attorno a cose impersonali”.

Senza una conoscenza della storia e del funzionamento delle varie tecnologie di
comunicazione che si sono sviluppate fino ad oggi, è dunque impossibile comprendere i
mutamenti sociali e culturali delle società.. Qualsiasi tecnologia che influenzi il

4
C.LEVY-STRAUSS, Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1966.
5
M.McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1967.
6
W.J.ONG, Orality and Literacy. The technologizing of the word, Londra - New York., Methuen 1982.

8
linguaggio, infatti, influenza anche il modo in cui gli individui percepiscono il mondo e
la realtà. L’uomo crea la tecnologia, prolungamento dei sensi e delle capacità 7 , vi si
adatta e ne è a sua volta creato.

Da un’oralità primaria all’oralità secondaria


Tre grandi rivoluzioni si sono succedute nella storia dell’uomo: chirografica,
l’invenzione della scrittura nel IV millennio a.c.; tipografica, l’invenzione della stampa
a caratteri mobili a metà del XV sec.; elettrica ed elettronica, l’invenzione del telegrafo
(prima metà del IX sec.), della radio, del cinema, della televisione ed infine di computer
ed internet. In concomitanza con l’affermazione degli strumenti di comunicazione si
distinguono quattro tipi di culture: orale, chirografica, tipografica e dei media elettrici
ed elettronici.

Con la diffusione della scrittura, come descrive Havelock con i suoi studi su Platone 8 , si
mette in gioco il primato culturale detenuto dai poeti, e si introduce la possibilità di
comunicare ragionamenti astratti e sintatticamente strutturati. Prende così avvio una
trasformazione dell’umanità che, a partire dall’alfabeto fonetico e con la spinta della
stampa a caratteri mobili, porta logica, rapporti di successione, obiettività, distacco e
disciplina.
La successiva rivoluzione dal testo all’audiovisivo attraverso “la trasformazione
elettronica dell'espressione verbale ha accresciuto quel coinvolgimento della parola
nello spazio che era iniziato con la scrittura, e ha contemporaneamente creato una nuova
cultura, dominata dall'oralità secondaria” 9 .

La nuova oralità presenta somiglianze con la vecchia per la sua mistica partecipatoria, il
carattere transitorio, la concentrazione sul presente, ma crea un senso di appartenenza a
comunità molto più ampie, a ciò che McLuhan chiama “villaggio universale”: "nelle ere
della meccanica, avevamo operato un'estensione del nostro corpo in senso spaziale.
Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell'elettricità, abbiamo esteso il
nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto
concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio" 10 .

7
M.McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1967.
8
E.A.HAVELOCK, Cultura orale e civiltà della scrittura, Roma-Bari, Laterza, 1973.
9
W.J.ONG, Orality and Literacy. The technologizing of the word, Londra - New York., Methuen 1982.
10
M.McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1967.

9
Nel villaggio globale i poeti si riprendono, potenziato a dismisura, il primato culturale,
dando nuovo impulso a studi e sperimentazioni narrative con i media attuali:
televisione, cinema, videogiochi ed internet.

10
Ipernarrazioni: dalla letteratura ai
videogames.

Sulla narrazione e le sue forme si dibatte fin dalle origini della nostra cultura
occidentale, a partire dalla Poetica di Aristotele. Solo dalla seconda metà del 900 si
inizia a porvi attenzione nella prospettiva di un’analisi formale e sistemica. Studiosi in
diversi ambiti si sono occupati di questo argomento: Vladimir Propp, linguista ed
appassionato di folklore, con cui questi studi hanno praticamente inizio 11 , l’etnologo
Claude Lévy-Strauss, teorici della letteratura come Cesare Segre, linguisti come Julius
Greimas, sociologi e semiologi.
Le innumerevoli definizioni possibili di narrazione ne mettono in evidenza aspetti
diversi ma ugualmente importanti. Narrazione può essere “una realizzazione linguistica
mediata, avente lo scopo di comunicare ad uno o più interlocutori una serie di
avvenimenti, così da far partecipare gli interlocutori a tale conoscenza, estendendo il
loro contesto pragmatico” 12 oppure “un concatenarsi di situazioni, in cui si realizzano
eventi, e in cui operano personaggi calati in specifici ambienti” 13 .

Una delle caratteristiche che si evidenzia accostando queste definizioni di narrazione è


che essa può essere intesa sia come l’atto del narrare che come il contenuto del narrare.
Dal punto di vista pragmatico, ciò che interessa è il passaggio di informazione, la
mediazione comunicativa. Più che l’organizzazione od il contenuto, in questa
prospettiva è il fenomeno linguistico, sociale e culturale che nel narrare si celebra a
stare al centro dell’attenzione del ricercatore. Da un punto di vista invece più strutturale-
sistemico si guarda invece alla narrazione con maggiore interesse alle forme ed ai modi
della sua organizzazione, alle strutture e ai modelli in base ai quali volta a volta essa si
modula.
Ancora, da tutte e due le definizioni si può trarre un ulteriore elemento: entrambe non
specificano di quale tipo di realizzazione linguistica o di eventi si tratti. La dimensione

11
V.PROPP, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino, 1988 (ed. orig. 1928).
12
C.SEGRE, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985.
13
F.CASETTI – F.DI CHIO, L’analisi del film, Bompiani, Milano 1990.

11
narrativa è qualcosa che può appartenere ad un testo (ogni testo è una realizzazione
linguistica) indipendentemente dal carattere diegetico o drammatico del testo stesso. La
tradizionale scansione dramma/diegesi, intesa come differenziazione tra il racconto e la
performance, da questo punto di vista si può dire superata: ci può essere narrazione
tanto nella forma della diegesi che nella forma del dramma, come non ci può essere in
nessuno dei due casi. Secondo Segre, che muove dall’esempio di Aristotele, “Esiste
dunque un contenuto narrativo e la sua realizzazione, che può essere diegetica o no, può
essere verbale ma anche non verbale o non solo verbale. Si può narrare una favola o la
si può rappresentare…” 14
Ha quindi carattere e struttura narrativa Guerra e pace di Tolstoj, come La donna che
visse due volte di Hitchcock; mentre la struttura narrativa può essere deliberatamente
rifiutata o trasgredita quanto in un romanzo minimalista quanto in Aspettando Godot di
Beckett o nei provocatori esperimenti cinematografici di Andy Warhol. Più che
espressione del racconto e del non racconto, diegesi e performance diventano allora
modi diversi di narrare (o di non narrare): un narrare fabulatorio la prima, un narrare
agito la seconda.

Affermare che la narratività appartiene a qualsiasi “realizzazione linguistica” significa


non solo estendere il suo spazio oltre i confini della diegesi, ma anche evitare di ridurla
alla semplice dimensione verbale. A ben vedere, infatti, l’azione del raccontare si
attribuisce tradizionalmente o all’aedo, al cantastorie, a livello di oralità, oppure, dopo
l’avvento della scrittura e della diffusione del suo uso sociale, al libro. Ma è facile
rendersi conto di come si possa raccontare qualcosa anche senza fare ricorso alla
codificazione linguistico-verbale. Come osserva sempre Segre: “Si può narrare una
favola… con parole o con gesti o con una strumentazione di parole, gesti, suoni, ecc.” 15 .

Letteratura e ipermedia
Con il termine ipertesto ci si riferisce ad un testo su un computer che permette all’utente
di accedere, su richiesta, ad altre informazioni collegate. L’ipertesto rappresenta
un’innovazione relativamente recente nelle interfacce utente, che supera alcune delle
limitazioni del testo scritto. Invece di rimanere statico come il testo tradizionale,
l’ipertesto consente una dinamica organizzazione delle informazioni attraverso

14
C.SEGRE, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985.
15
Ibidem.

12
collegamenti (hyperlinks). E’ più appropriato parlare di ipermedia se tra i contenuti
collegati tra loro, oltre al testo scritto, troviamo anche immagini, video ed audio: “Oggi
la parola ipertesto è stata generalmente accettata per definire un testo ramificato e
interattivo, ma la corrispondente parola hypermedia, che significa un complesso
ramificato ed interattivo di grafica, filmati e suoni - così come testi - è molto meno
utilizzata. Invece si usa uno strano termine "interactive multimedia", quattro sillabe più
lungo, e che non esprime l’idea di estensione dell’ipertesto” 16 .

Fin dai primi studi ci si è resi conto che una teoria dell'ipertesto non poteva tralasciare i
contributi della letteratura e delle teorie narrative. Secondo Ted Nelson, la letteratura "è
un sistema in evoluzione di documenti interconnessi. In ogni letteratura in evoluzione vi
sono interpretazioni e reinterpretazioni continue. I legami fra i documenti ci aiutano a
seguire i collegamenti" 17 . L’ipertesto, in altre parole, è un sistema testuale digitale
costruito a immagine e somiglianza del sistema testuale letterario. Nelson propone
quindi una particolare concezione della letteratura totalmente coerente con la sua idea di
ipertesto, inteso come "rete potenzialmente infinita di collegamenti". Il profeta
dell'ipertestualità si avvicina alla tradizione borgeana e a non pochi filosofi del
linguaggio: "un qualsiasi scritto -ad esempio, un foglio battuto a macchina sul tavolo-
sembra isolato e indipendente. Questo è molto ingannevole. Potrebbe essere isolato, ma
potrebbe anche far parte di una letteratura ... Una letteratura è un sistema di scritti
interconnessi. Vediamo i singoli documenti ma non vediamo la letteratura, così come le
persone vedono le altre persone ma non la società o la cultura che le circonda ... La
tradizione culturale occidentale è una lunga processione di scritti, tutti con legami
impliciti ed espliciti tra loro". L’ipertesto fa vedere quello che prima era invisibile: la
rete testuale 18 .

Precursori
Negli ultimi due secoli diversi autori hanno scritto opere nelle quali oggi possiamo
riconoscere le impronte della logica ipertestuale: Lewis G. Carroll, Jorge Luis Borges,
James Joyce, Italo Calvino e William Burroughs sono solo alcuni degli scrittori che
consentono di ricostruire una tradizione proto-ipertestuale nella letteratura occidentale.
Secondo Calvino, da Lewis Carroll in poi, si instaura fra letteratura e filosofia una

16
T.NELSON, Literary machines, Sausalito, California, Mindful Press, 1980.
17
Ibidem.
18
Ibidem.

13
relazione che porta alla nascita di una nuova classe di scrittori che condividono
"l'abitudine di nascondere le carte" facendo ricorso alla "allusione di grandi testi" e alla
"erudizione" 19 .
La letteratura di Borges è permeata di immagini, come il labirinto o la biblioteca, che
rinviano a una concezione nelsoniana della letteratura: un mondo nel quale i testi non
esistono mai in modo isolato, ma solo come parte di una rete proteiforme. Nelle sue
opere troviamo una costante allusione ad altri testi, apocrifi, dimenticati o scomparsi,
che mettono sempre in discussione la loro veridicità e la loro origine: l'autore occupa un
luogo incerto, segnato dall'instabilità e dal sospetto. Un luogo che ricorda molto da
vicino Internet, il più grande testo proteiforme, in continua evoluzione, costruito
dall’uomo dell’era digitale.

Rompere la linearità narrativa, citare opere inesistenti, mettere in discussione il potere


dell'autore o creare un collage testuale sono stati solo alcuni dei dispositivi messi in atto
per contrapporre un'alternativa alla linearità della poetica di matrice aristotelica.

Librigame
Parallelamente a questi primi tentativi letterari di affrancarsi dalla linearità narrativa
classica, prende forma a partire dal 1958 un nuovo genere di libro interattivo: il
librogame.
Alla fine di un paragrafo, il lettore si trova di fronte a diverse linee narrative tra cui
scegliere, ognuna delle quali contiene il riferimento al numero del paragrafo da cui
continuare il racconto. Il lettore può quindi raggiungere un paragrafo conclusivo che
pone fine alla narrazione: nella maggior parte dei librigame, solo uno dei paragrafi
conclusivi porta la narrazione ad una fine “vittoriosa”, mentre tutti gli altri conducono
ad una fine “fallimentare”.
I librigame sono prevalentemente scritti in seconda persona, con il lettore che assume il
ruolo di un personaggio della fiction, sono pubblicati in serie e, a differenza delle serie
di libri composte da narrazioni auto-conclusive, continuano la narrazione dal libro
precedente all’interno della serie.

Dalle sperimentazioni degli anni 60, 70 ed 80 ad oggi, si sono identificati tre diversi tipi
di librigame. Il primo consiste in narrazioni con una trama ramificata, che richiedono sì

19
I.CALVINO, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980.

14
al lettore di effettuare delle scelte, ma per il resto si svolgono come una narrazione
tradizionale. Il secondo tipo è il gioco di ruolo - avventura solitaria, che combina una
trama ramificata con le regole del gioco di ruolo, permette di giocare senza un
gamemaster ma richiede l’acquisto di manuali a parte. Il terzo tipo è il librogame
d’avventura che combina trama ramificata e semplici regole di gioco incluse in ogni
libro.

Oggi, superati i limiti del testo tradizionale, siamo in grado di valutare le prime
esperienze di opere progettate e scritte pensando all'interattività offerta dall’ipertesto e
dagli strumenti di comunicazione multimediali digitali.

Iper-romanzi
Alla fine degli anni '80 gli ipertesti si presentavano come un territorio ideale per sfidare
la linearità delle narrative tradizionali. Programmi con un’interfaccia grafica come
Hypercard, Supercard, Storyspace o il sistema Intermedia, una rete ipertestuale
utilizzata da docenti e studenti della Brown University, consentivano la manipolazione
di testi, immagini e links in maniera intuitiva, senza dover conoscere i segreti della
programmazione. Fu così che gli autori scoprirono il piacere della scrittura ipertestuale.
Nel 1987 Stuart Moulthrop traduce "in digitale" alcune opere di Jorge Luis Borges
Forking paths: an interaction after Jorge Luis Borges. Tre anni dopo Michael Joyce
pubblica Afternoon, a story, il romanzo interattivo più citato ed analizzato degli ultimi
anni. Nel 1991 Moulthrop ci riprova con Victory garden, una delle opere più
interessanti del genere interattivo. Si tratta, forse, del momento di maggiore entusiasmo:
con Hypertext. The convergence of contemporary critical theory and technology (1992)
George Landow legittima un nuovo campo di ricerca, gli studenti scrivono decine di tesi
e paper su Afternoon, a story e nelle conferenze sull'ipertesto i programmatori parlano
con una certa emozione di Jacques Derrida e gli ingegneri si eccitano con il "rizoma" di
Deleuze e Guattari. Nel frattempo si mettono a fuoco complessi modelli teorici per
cercare di inquadrare queste nuove esperienze narrative. La raccolta Hypertext theory
(1994) curata da George Landow costituisce un ottimo esempio di (meta)letteratura
scientifica sulla letteratura ipertestuale: gli autori, recuperando concetti di Gérard
Genette, Ludwig Wittgenstein, Michel de Certeau, Ilya Prigogine, Jacques Lacan e
dell'immancabile Jacques Derrida, dedicano alcune centinaia di pagine a descrivere la

15
interactive fiction, un interessante fenomeno letterario sul quale tutti avevano
apparentemente qualcosa da dire.

Un corpus concettuale
Con la narrativa ipertestuale, a differenza di quanto accaduto con i ricercatori che
studiavano i racconti popolari russi, dove il problema non era tanto l’insufficienza del
materiale a disposizione ma l'assenza di un metodo di studio appropriato 20 , è successo
che a partire da un gruppo ridotto di opere si sono innalzate gigantesche cattedrali
teoriche. Nei primi anni ’90 esistevano più libri e articoli sulla narrativa ipertestuale che
romanzi ipertestuali. La produzione teorica finì per parlare di un iper-romanzo poco più
che inesistente: i famosi "romanzi interattivi" non riuscirono mai a superare alcuni pochi
esperimenti per uso e consumo esclusivo dei gruppi universitari interessati a questo
nuovo tipo di narrativa. Stuart Moulthrop, uno dei più brillanti rappresentanti della
interactive fiction, rivendica questo a priori teorico nella narrativa ipertestuale, la quale
costituisce "l'implementazione pratica di un movimento concettuale" 21 . La interactive
fiction è stata utilizzata non tanto per proporre una nuova poetica ma come modello di
simulazione o per collaudare le teorie post-strutturaliste. Se nel testo tradizionale la
categoria chiave era la intertestualità, cioè la presenza di altri testi all'interno del testo,
la struttura non-sequenziale dell'ipertesto, con i suoi links e le sue cartografie per la
prima volta visibili sullo schermo interattivo, consentiva finalmente di vedere e di
navigare in un'entità finora puramente ipotetica: la rete testuale.

Cinema e narrazioni non lineari


A differenza di quanto avvenuto nella letteratura, al cinema, molti dei titoli più
significativi degli ultimi quindici anni sono narrazioni non lineari. Tra le diverse
strutture narrative sperimentate troviamo le “single strand”, concentrate su un unico
personaggio centrale (Spiderman), o le “multi-strand”, dove numerosi personaggi
formano il corpo della narrazione (Friends). Possono altresì essere lineari, gli eventi si
susseguono in ordine cronologico uno dopo l’altro, o non lineari, quando ci si trova in
presenza di flashback o si ha l’impressione di allontanarsi dalla trama principale (Lost).
Partendo da queste distinzioni si possono identificare in questo modo almeno sei diverse
forme di narrazioni non lineari: flashback, tandem, sequenziale, a protagonista multiplo,
20
V.PROPP, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino, 1988 (ed. orig. 1928).
21
J.H.MURRAY, Contextual media. Multimedia and interpretation, Cambridge, Massachusetts, The MIT
Press, 1997.

16
doppio percorso e tandem spezzato 22 . Ognuna di queste forme divide, moltiplica o
frammenta la struttura in tre atti della sceneggiatura tradizionale, raggiungendo, con
particolari problemi di costruzione, un potenziale espressivo maggiore delle strutture
lineari.

Una duplice possibilità di articolazione delle narrazioni parallele, divide da una parte le
“strutture sequenziali”, in cui le linee narrative sono separate ma interconnesse, sono
narrate una dopo l’altra e si legano alla fine (Pulp fiction, Go, Prima della pioggia, La
tigre e il dragone, Mulholland drive) e dall’altra le “strutture a tandem” in cui più storie
interconnesse sono narrate in parallelo (America oggi, Magnolia, City of hope, Crimini
e misfatti, Happiness, Sliding doors).
Tali strutture non sono da confondere con le narrazioni a protagonista/antagonista
multiplo (Il grande freddo, Il tè con Mussolini, o, per certi versi, I sette samurai, I
magnifici sette, Independence day, Armageddon).
Un’ulteriore forma di narrazione parallela è la struttura in flashback (Citizen Kane,
Rashomon, C’era una volta in America, Memento) e meritano un discorso a parte le
narrazioni che si articolano su diversi piani temporali e mettono in scena diversi tempi
diegetici (Mulholland drive, Il sesto senso) dove intere sequenze appartengono al sogno,
al soprannaturale, all’allucinazione: livelli di “non realtà” che funzionano in modo
simile al ricordo del flashback, con differenti esiti di senso.

Tra queste diverse forme di strutture multilineari, quella “a tandem” sembra essere la
più idonea a rappresentare la complessità della vita con un effetto di realtà più
pregnante. Attraverso la molteplicità delle storie e dei protagonisti delle storie, nonché
dei non protagonisti, la caoticità del reale, la varietà di toni, casualità e destino, è di
sicuro più efficacemente rappresentabile che non in una struttura classica in tre atti,
dove tutti gli eventi fondamentali sono centripeti rispetto al protagonista unico e, se ci
sono storie secondarie, sono comunque variazioni del tema portato dalla story-line del
protagonista. Spesso la struttura classica in tre atti, che consente di rappresentare con
grande forza sistemi valoriali fondamentali e comunemente condivisi (bene/male,
giusto/ingiusto) si scontra con la dittatura del punto di vista unico del protagonista. In
questo la struttura multistrand permette una maggiore libertà di prendere i segmenti che
più si prestano alle singole storie dei vari personaggi in modo relativamente più
22
L.ARONSON, Screenwriting Updated: New and conventional ways of writing for the screen, Los
Angeles, Silman-James Press, 2001.

17
arbitrario e meno cadenzato. La narrazione diventa più oggettiva e promana da un punto
di vista onnisciente e non palese. Qui però sorge un primo rischio specifico delle
strutture multilineari e cioè un calo di coinvolgimento dello spettatore che non può più
identificarsi con la psicologia del protagonista unico, ma viene contemporaneamente
introdotto a logiche di più personaggi. Per compensare la struttura drammaturgica si
devono risolvere alcuni problemi correlati tra loro.

Il tema e la chiusura
Se si lavora ad una struttura lineare in tre atti, si hanno varie opzioni: può piacere una
storia (un fatto di cronaca, un romanzo, un personaggio), la si esplora, la si tratta, la si
racconta. È assodato che il significato della narrazione, il suo senso ultimo, verrà
esplicitato nella risoluzione, tra il climax e la scena finale: è un significato che si potrà
scoprire o si rivelerà via via che si scrive o, come ha fatto Paul Schrader per Taxi
Driver, si può individuare un tema e ‘deduttivamente’ costruirci intorno un personaggio
e una storia che ne articoli pienamente il senso.
In una struttura multilineare a tandem si deve necessariamente avere chiaro il tema della
narrazione sin dall’inizio: è quella la sola bussola che consente di selezionare e costruire
le storie da raccontare. Infatti, è il complesso delle storie, e le relazioni che collegano le
une alle altre, che definiscono il senso del film. Il senso di compiutezza della narrazione
è dato da un finale soddisfacente che in qualche modo giustifichi le varie storie che sono
state intrecciate.
Ad esempio, due tra i più riusciti film con struttura a tandem - America Oggi (dieci linee
narrative) e Magnolia (otto linee narrative) si concludono con un evento catastrofico
naturale, il terremoto nel primo caso e la celebre pioggia di rane nel secondo. Nulla a
che vedere con il finale di una struttura classica in tre atti, che si sviluppa secondo una
logica finalistica, e dove quindi le catastrofi in chiusura apparirebbero una pesante
violazione delle aspettative dello spettatore sull’arco di trasformazione del protagonista,
non più artefice del proprio cambiamento, ma annichilito dal deus ex machina. Invece,
nei due film considerati, funzionano come eventi catartici, seppure arbitrari: offrono una
soluzione, un giudizio di valore, un verdetto, alla difficoltà di chiudere le varie storie
(che non devono necessariamente essere chiuse) con un finale unificante, che dia
appunto un senso di unitarietà alla narrazione.
Certamente oggi vi sono spettatori che reputano un valore positivo del film la non
esplicitazione di un tema unificante; anzi, apprezzano un finale aperto a più significati,

18
o ad un significato ambiguo ed elusivo, o ad un tema ampio, sociologico o ideologico;
tuttavia, la figura dello spettatore in attesa di un climax/risoluzione che riunifichi tutte le
linee narrative e dia loro un senso univoco e chiaro, costituisce ancora la parte
prevalente del pubblico.
Non si tratta di un caso: il problema della nettezza del tema nelle strutture parallele a
tandem e sequenziali si pose da subito, agli albori del cinema. A questo proposito è
illuminante ciò che Bordwell, Staiger e Thompson scrivono in The Classical Hollywood
Cinema (1985):
“La narrazione classica si stabilizzò in un modello di causalità lineare con linee multiple
di azioni intrecciate. Ma c’era almeno un’alternativa che i film-makers avrebbero potuto
teoricamente adottare – un modello basato sul parallelismo. Un film può seguire
parecchie linee d’azione che non siano causalmente correlate, ma simili in qualche
modo significativo. In effetti, i film-makers americani, nel periodo del cinema muto,
sperimentarono occasionalmente la narrazione parallela. (…) Il fatto che tutti (…) questi
film implichino critica sociale può spiegare perché il parallelismo si dimostrò una
opzione improbabile nel paradigma classico: si presta immediatamente a temi ideologici
piuttosto che personali. Intolerance (1916) di David Wark Griffith ravvivò la narrazione
parallela, che però si dimostrò troppo astratta per poter essere utilizzata diffusamente.
La catena causale con l’intreccio di linee d’azione vinse sul parallelismo come base del
film classico” 23 .
Un interessante tentativo di dare una risposta drammaturgica a questo limite delle
narrazioni parallele a tandem è costituito da Lantana (2001) di Ray Lawrence. Nel film
si racconta l’indagine di un poliziotto, relativa alla scomparsa di una psicoanalista, che
mette in relazione un ampio numero di personaggi. La macchina ‘forte’ del poliziesco,
che permette di mantenere un livello di suspence non realizzabile in una narrazione
multilineare che non usa il ‘genere’, si rivela inappropriata soltanto alla fine: la donna
non è stata uccisa, è morta per una banale caduta. Lo spettatore è allora costretto a
rifarsi i conti e si ritrova tra le mani un film che ha indagato a fondo, usando i
meccanismi del genere più forte, il tema della difficoltà dei rapporti di coppia, della
convivenza, dell’amarsi e del tradirsi.

23
D.BORDWELL, J.STAIGER, K.THOMPSON, The classical Hollywood Cinema, New York, Columbia
University Press, 1985.

19
Ritmo, causalità e casualità
Un’altro problema, correlato al precedente, riguarda il passaggio da una linea narrativa
all’altra. Le scelte dello sceneggiatore determinano il ritmo stesso della narrazione e la
sua fruibilità, la tenuta sia della sospensione di incredulità che del livello di attenzione
da parte dello spettatore. Se si rinuncia alla consequenzialità necessaria (aristotelica)
tipica della struttura classica in tre atti, è necessario evitare di far sentire il peso
dell’arbitrio nella scelta di quanto narrare, volta per volta, delle singole linee, per evitare
di perdere quello che viene definito il ‘momentum’, l’impulso ritmico della storia che
progredisce.
La maggiore arbitrarietà nella scansione progressiva delle linee narrative implica che
alla causalità della struttura classica in tre atti si affianchi una buona dose di casualità.
In genere, la coincidenza nella struttura in tre atti è consentita solo nell’evento
scatenante, chiamato anche incidente scatenante. Una volta accaduto, la coincidenza è
l’ultima risorsa dello sceneggiatore, soprattutto nel poliziesco, perché verrebbe meno il
criterio della necessità consequenziale, cioè di eventi che avvengono perché una
volontà, del protagonista o dell’antagonista, li determina, o almeno ne ha avviato la
catena causale.

Le strutture multilineari, che già nella scelta e nel numero delle linee da sviluppare
introducono un elemento di arbitrarietà, possono dunque avvalersi di un tasso più
elevato di casualità. La coincidenza, grazie all’affollamento dell’ensemble dei
personaggi o, in particolar modo nelle strutture binarie, all’alone di fatalità, diventa
quindi elemento costitutivo della narrazione.
È esemplare, da questo punto di vista, la voce fuori campo nel prologo di Magnolia, in
cui vengono presentati due eventi che contengono coincidenze straordinarie, senza che
poi tale straordinarietà risuoni più di tanto nel resto della narrazione. In questo modo si
predispone lo spettatore ad un elevato tasso di arbitrio, quasi tematico, che nella
narrazione si può tradurre in casualità coincidentale.
Le strutture multilineari a tandem sono prevalentemente storie character-oriented dove i
sistemi di relazioni interpersonali sono dominanti. I rapporti sentimentali, di amicizia, di
sangue o di lavoro, costituiscono il contesto in cui è possibile stabilire nessi tra le storie
da raccontare che ne addolciscono l’arbitrarietà. Le tre sorelle di Happiness; la
scomparsa di una psicoanalista in Lantana; Los Angeles per America Oggi, offrono

20
ambientazioni e contesti in cui è plausibile che si scatenino coincidenze, incontri,
incroci di linee e di protagonisti.

Il ruolo determinante della fiction televisiva


Se è aumentata l’offerta di film costruiti con strutture narrative non lineari, buona parte
del merito lo si deve ascrivere alla fiction televisiva, ai serial drama, sia le soap daytime
sia le supersoap di prima serata, ma più ancora alle serie di telefilm, in particolare le
serie multistrand, cominciate ad apparire all’inizio degli anni ’80. La competenza dello
spettatore televisivo, la sua capacità di seguire perfettamente più storie
contemporaneamente, la sua elasticità e flessibilità nell’inserirsi e orientarsi
rapidamente nelle situazioni drammatiche, sono state possentemente sviluppate e
affinate proprio da queste fiction. Il serial drama non ha i problemi di chiusura e di
senso del film multistrand, dal momento che per sua natura nasce per non finire, e
dunque non presenta una comunità che nelle varie linee dei personaggi debba portare un
senso unitario, bensì quella collettività va a costituire una famiglia surrogata per lo
spettatore, con tutte le implicazioni che ne seguono. “Da un certo punto di vista, questi
serial cedono chiusura narrativa in cambio di complessità paradigmatica. Così come non
c’è un momento finale di risoluzione, nei serial aperti non c’è un personaggio centrale,
indispensabile, al cui destino lo spettatore è indissolubilmente legato. Al suo posto, c’è
una mutevole comunità di personaggi che entrano ed escono dall’attenzione dello
spettatore. Ciascuno di essi potrebbe morire, trasferirsi in un’altra città o cadere in un
coma irreversibile senza incidere sul mondo del serial nel suo insieme. Anzi, sosterrei
che è proprio la possibilità della dipartita di un personaggio centrale – qualcosa che non
può esse fatto dalle serie televisive a episodi chiusi – che aiuta a rinfocolare l’interesse
dello spettatore nel serial” 24 .
L’affermazione “qualcosa che non può esser fatto dalle serie televisive a episodi
chiusi”: è valida solo fino al 1981. Infatti, nel pieno dell’ascesa di Fred Silverman alla
NBC, e con il suo diretto coinvolgimento, nasce l’era delle serie seriali: Steven Bochco
e Michael Kozoll, attingendo ai meccanismi della soap e integrandoli con le logiche
tradizionali della serie a episodi chiusi, creano Hill Street Blues, il primo telefilm
multistrand, un poliziesco dove in ciascun episodio si sviluppano dalle tre alle quattro
linee narrative, alcune che si concludono nel corso della puntata, altre che continuano
per più puntate. Un mix di serie ‘chiusa’ e serie ‘aperta’. Dopo qualche difficoltà

24
R.ALLEN, To be continued… Soap Operas around the world, London, Routledge, 1995.

21
iniziale, il modello si afferma: nascono Chicago Story e St. Elsewhere e, partorite dello
stesso Bochco, L.A. Law – Avvocati a Los Angeles e N.Y.P.D.
Attraverso numerosi tentativi più o meno riusciti, si arriva ai nostri giorni con E.R. –
Medici in Prima Linea a guidare una schiera sempre più fitta di telefilm seriali aperti
con caso di puntata chiuso, da Northern exposure – Un medico tra gli orsi a The
practice – Professione avvocati, da Homicide a Oz, per menzionare alcuni tra i più noti
in Italia, dove peraltro si tenta in qualche modo la stessa strada con I Ragazzi del
muretto, La squadra, Distretto di polizia.
Il modello incide anche sulle sit-com (Friends) e sulle serie seriali chiuse, da Twin
Peaks a Murder one, fino al recente Twentyfour: un seriale chiuso ad altissima tensione
che si svolge in ‘tempo reale’, 24 ore raccontate in 24 puntate, incentrato su un
imminente attentato ad un candidato di colore alla presidenza degli Stati Uniti, e sulla
lotta dell’agente Bauer, a cui vengono rapite figlia e moglie, che dovrà salvare l’uno e le
altre nel corso di una giornata decisamente indimenticabile.
In Twentyfour la multilinearità è esplicitata anche graficamente: ogni segmento di linea
narrativa si conclude con la divisione dello schermo televisivo in quattro riquadri,
ciascuno che mostra per pochi secondi quanto sta avvenendo simultaneamente sulle
singole linee, e quindi sceglie una di esse, tornando a schermo pieno per raccontarla.
Nella fiction troviamo quindi una mole notevole di produzione drammaturgica
multilineare che è ancora raro trovare al cinema, spesso con una scrittura di qualità pari
o superiore a quella cinematografica corrispondente. Una vasta casistica dove i problemi
di costruzione sono stati più volte affrontati e spesso risolti. Una miniera dove cercare
possibili chiavi di evoluzione della drammaturgia multilineare.

Tra televisione e internet


Nel mondo in rapida evoluzione di internet, sembra che la web-tv stia finalmente
nascendo. Dalle origini di YouTube assistiamo oggi ad una moltiplicazione delle fonti
emittenti (siti di video hosting/sharing, canali indipendenti) che hanno conquistato
sempre maggiore importanza, spingendo lo stesso YouTube, ma anche Google Video o
Flickr, ad evolversi o ad aprirsi maggiormente, consolidando la scelta di una
distribuzione diffusa e non vincolata, che rende disponibili i contenuti video sia sul sito
di chi li ha prodotti ma anche sempre su un altro canale all'interno di un aggregatore più
grande. Se fino al 2007 però, il web era popolato quasi esclusivamente da produzioni
video indipendenti ed a bassissimo budget, nel 2008 abbiamo assistito all’ingresso delle

22
produzioni professionali grazie allo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood,
cominciato nel 2007, che ha accelerato questo processo inevitabile. Durante i mesi di
sciopero infatti si sono sviluppate numerose idee, che hanno portato diversi attori di
richiamo ad avvicinarsi a piccoli o grandi progetti online, alzando la qualità produttiva
media ed incrementando gli investimenti nella distribuzione. Tutti i grandi network
televisivi hanno aperto una sezione dedicata esclusivamente alle produzioni per internet,
come HBO Labs o theWB.com, canonizzando però la forma delle loro produzioni nella
serialità di tipo televisivo.
Il più noto di questi progetti è stato Dr. Horrible sing-along blog, primo vero punto di
fusione tra cinema, televisione e video online. Si tratta di una miniserie di tre episodi,
ideata durante lo sciopero e realizzata in soli sei giorni, scritta e diretta di Joss Whedon,
creatore di Buffy e sceneggiatore tra gli altri di Toy Story, Alien 4 e Serenity, insieme ai
suoi fratelli. Una produzione assolutamente indipendente ma di alto profilo, con attori,
scrittori, troupe di professionisti e un regista esperto sia di televisione che di cinema che
del mondo online. Alternando un tipo di racconto di stampo cinematografico a scene,
sequenze ed inquadrature del tutto televisive, è in realtà il prodotto perfetto per Internet,
in grado sia di parlare al pubblico che ora guarda materiale prodotto per andare
unicamente online che di rappresentare quel tipo di universo e di mondo attraverso un
racconto divertente e musicale. Dr. Horrible sing-a-long blog è infatti un musical, le cui
musiche sono scritte sempre dai fratelli Whedon, che racconta di un dottore, tipico
scienziato malvagio da fumetto, che vuole impadronirsi del mondo ma che andando in
lavanderia si innamora di una ragazza alla quale non osa dichiararsi. Questo
avvenimento gli creerà non pochi problemi nella sua scalata verso il dominio del
pianeta, almeno quanto la presenza della sua nemesi, il supereroe Capitan Hammer,
bello, prestante, ignorante, stupido e chiaramente abile con le donne.

In questo senso Dr. Horrible è una produzione in pieno stile Internet poiché pur
raccontando di supereroi e supercattivi inserisce tutto con ironia in un ambiente locale,
di quartiere, agito da pseudo trentenni disillusi che vivono da single dividendo un
appartamento con un amico. Mette in scena i suoi spettatori raccontando una storia di
supereroi adattandola al loro contesto.
Gli episodi iniziano con una videoconfessione (come se stesse registrando il proprio
vlog) in cui risponde ad alcuni commenti sarcastici dei suoi ipotetici lettori e fa il punto

23
della situazione. Fin dall'inizio quindi dichiara la sua adesione al mondo di Internet e
stimola l'immedesimazione nel personaggio da parte di quel tipo di pubblico.

La prima e tuttora la più innovativa delle serie prodotte per la rete è però Lonelygirl15,
giunta ora alla terza stagione (LG15: The Misfits) che ha settato degli standard, creato
cloni e attirato capitali e pubblicità, allargando l’idea da sempre alla base della
produzione per la rete, cioè che la distanza tra chi fa e chi guarda sia sempre più ridotta.
Nata come un vero videodiario, quando dopo cinque mesi si è saputa la verità, è stato
necessario un rinnovamento mirato a rientrare nei canoni di una narrazione più
tradizionale. Tutte le esigenze che al suo esordio erano necessarie per la sua stessa
natura, come l’utilizzo di uno strumento libero ed accessibile a tutti (YouTube), l’idea di
un ricavo indiretto e la durata degli episodi, sono poi diventati degli standard. Ora, con
le sue filiazioni (KateModern, LG15: The resistence) sta componendo un modo ancora
diverso di intendere le stagioni di una serie e la sua vita in rete. La versione inglese
KateModern si sviluppa come un’avventura parallela e non come un sequel
dell’originale mentre la seconda stagione statunitense, LG15: The resistence, abbandona
il formato breve (da circa 4 minuti agli 8-12), introduce più sottolineature registiche e
moltiplica personaggi e avventure. Ora, con la terza stagione, i creatori hanno invitato i
fan ad inviare dei concept per la nuova stagione, rendendoli parte attiva del processo
creativo. Non è un caso che la proposta selezionata sia stata quella di due ragazzi che
avevano partecipato a qualche episodio della serie: lo spostarsi continuo tra i ruoli di
spettatore e autore è proprio una caratteristica della produzione online che Lonelygirl15
racconta benissimo.

Questi esempi dimostrano un notevole sviluppo dei contenuti video prodotti


esclusivamente per la rete, ma ancora molte questioni restano da risolvere e si pongono
come ostacolo ad una definitiva affermazione di questo nuovo genere audiovisivo. In
pochi riescono davvero a guadagnare qualcosa da quello che producono per la rete, non
essendoci ancora un modello di business che possa dirsi davvero sostenibile. Inoltre,
come è stato per la musica online, anche il video è destinato ad essere fruito tramite altri
dispositivi e non si sa ancora se sarà il televisore o qualcos’altro.

24
Tra cinema e videogiochi
Fino a non molto tempo fa, cinema e videogames costituivano due modalità di
rappresentazione distinte e riconoscibili per linguaggio ed estetica; due tipologie di
simulazione del mondo reale che oggi, invece, risultano sempre più vicine e
sovrapponibili. Uno dei concetti condivisi dal cinema, dalla narrativa letteraria e dai
videogiochi (per lo meno quelli di ultima generazione), è quello di mondo diegetico: si
tratta del “mondo” in cui ha luogo la narrazione, dove si trovano i personaggi e si
svolgono gli eventi.

I videogames, nella loro trentennale storia, hanno mutuato dal cinema tutta una serie di
codici narrativi, iconografici e stilistici. A partire dall'ormai mitico Pong (1972), il
primo ed il più elementare dei videogiochi, fino ad arrivare agli attuali Resident Evil o
Max Paine, è possibile osservare come l'evoluzione tecnologica sia andata di pari passo
con un'evoluzione drammaturgica dei personaggi e del loro ambiente proprio tramite
l'innesto di una serie di topoi cinematografici.
Si è giunti, così, alla prima forma di divismo digitale: Lara Croft, l'eroina sexy di Tomb
Raider, è divenuta qualche anno fa un fenomeno di costume riconosciuto
universalmente a cui Hollywood ha reso omaggio con l'omonimo film interpretato da
Angelina Jolie.
La condivisione di tali elementi naturalmente non ha determinato, e non determinerà
mai, una totale identità fra i due media. Ne è dimostrazione la difficoltà di trasposizione
dall'uno all'altro: l'elenco dei film tratti direttamente dalle saghe elettroniche non è
molto nutrito (Super Mario Bros, Street Fighter, Mortal Kombat, Resident Evil) e per di
più il risultato di tali trasposizioni non è sempre ottimale, nonostante il discreto
successo di botteghino di alcuni di essi.
Pur trattandosi in entrambi i casi di immagini in movimento, la diversa organizzazione
narrativa è una delle difficoltà che si incontrano nella trasposizione tra videogiochi e
film. Il cinema necessita, obbligatoriamente, di una struttura temporale sequenziale; di
una storia, in cui anche i salti temporali (flashback od ellissi) vengono gestiti all'interno
di una narrazione lineare. Inoltre, allo spettatore cinematografico non viene permesso
nessun intervento nei riguardi della trama stessa: l'unica forma di interazione, in questo
caso, è di natura scopica (tutto il flusso comunicativo dello schermo viene gestito dallo
sguardo) ed il punto di vista scelto dal regista, l’inquadratura, non è in alcun modo
modificabile.

25
La natura del videogame impone invece l'esistenza di un certo grado di non linearità
nell'esperienza del tempo: tranne che nel caso della riproduzione di sequenze video, i
videogiochi differiscono sia dal cinema che dalla televisione in quanto non hanno una
serie lineare di immagini da mostrare sullo schermo. Di conseguenza nel videogame il
tempo risulta spezzettato, frantumato, discontinuo, pur con una propria logica
ipertestuale che tuttavia è il giocatore a dover ricostruire. Il giocatore, rispetto al fruitore
del film, è dunque investito di un duplice ruolo: è contemporaneamente protagonista e
spettatore dell'evento stesso, giungendo addirittura alla possibilità di montare in
sequenza l'azione appena svolta tramite una serie di punti di vista esterni, in modo da
ottenere una sorta di regia ‘in differita’ del gioco.
Anche il risultato della conversione da film a videogames non è sempre ottimale. Pur
trattandosi di una pratica ampiamente sfruttata, per la sua natura di semplice e redditizia
manovra commerciale, le licenze cinematografiche ben utilizzate dai programmatori di
videogames sono davvero poche. Anche in questo caso la difficoltà risiede nel trasporre
un percorso narrativo ed emozionale con una temporalità definita e rigida, in
un'esperienza interattiva temporalmente destrutturata.
In estrema sintesi dunque, sebbene i videogame di ultima generazione mutuino molti
elementi del cinema, divergono da esso per la differente e inconciliabile gestione del
tempo e per le possibilità offerte dall' interazione.

Un elemento che, invece, più di ogni altro è emblema della convergenza fra cinema e
videogames è la grammatica visiva di questi ultimi. Se i primi videogames del genere
arcade (Space Invaders, Pacman) si mostravano attraverso un unico punto di vista
esterno, fisso o al limite a scorrimento, oggi assistiamo ad una spettacolarizzazione del
gioco, in direzione del modello hollywoodiano. Movimenti di macchina, carrellate,
panoramiche, inquadrature in soggettiva e in semisoggettiva costituiscono, ormai, il
bagaglio registico che ogni giocatore si porta più o meno consciamente appresso. Non
solo, ma nelle fasi in cui il giocatore diviene necessariamente passivo (ad esempio
durante i filmati di introduzione ad un nuovo livello di gioco) la visione si trasforma
definitivamente in una sequenza cinematografica vera e propria, riproducendo
addirittura il formato a schermo panoramico, quasi nella volontà di ricordarci che in
quel momento siamo come regrediti allo stadio di semplici spettatori.

26
Videogiochi narrativi
Tra i generi di videogiochi che per primi iniziarono ad approfondire l’aspetto narrativo,
troviamo gli adventure games, nati a metà degli anni settanta in forma testuale, e
successivamente, nel 1980, in versione grafica. In un adventure game il giocatore
prende parte ad una storia interattiva, con un gameplay single-player, basato
sull’esplorazione e la soluzione di puzzle. L’attenzione del genere nei confronti della
storia gli permette di attingere a piene mani da altri media basati sulla narrazione come
la letteratura ed il cinema. La popolarità del genere raggiunse il suo apice tra la fine
degli anni ottanta e i primi anni novanta quando molti lo consideravano tra i generi più
tecnicamente avanzati: Sierra (King’s quest, Leisure suit Larry, Gabriel Knight), Lucas
Arts (Maniac Mansion, The secret of Monkey Island, Day of the Tentacle, Sam&Max hit
the road) e Cyan Worlds (Myst) sono state le più importanti case sviluppatrici di
adventure games.

Rivestono una posizione particolare, nell’ambito dei videogiochi con struttura narrativa
non lineare, i game designer Ron Gilbert, Dave Grossman e Tim Schafer,. Grazie al loro
lavoro alla Lucas Arts, sono nati Maniac Mansion nel 1987 e Day of the Tentacle nel
1993.
Maniac Mansion è diventato famoso, tra giocatori e programmatori, per il suo gameplay
e l’introduzione di nuove idee nel gioco. Il giocatore infatti ha la possibilità di scegliere
tra sei diversi personaggi, ognuno con differenti abilità: sia lo sviluppo del gioco che la
sua fine dipendono da quale personaggio si è scelto, da quali altri sopravvivono, e da
cosa fanno.
In Day of the Tentacle, sequel di Maniac Mansion, i tre protagonisti, Bernard, Laverne e
Hoagie, dopo un incidente con una “toilette del tempo”, si trovano nello stesso luogo
ma a cento anni di distanza l’uno dall’altro. Il giocatore può cambiare tra i tre
personaggi giocabili in ogni momento, anche se due di essi devono prima essere
“sbloccati” per superare certi puzzle ed avanzare nel gioco. E’ possibile anche far
condividere tra di loro l’inventario di oggetti, sempre che possano passare attraverso la
toilette: molti puzzle sono basati sul viaggio temporale e sugli effetti del tempo sugli
oggetti. Ad esempio, i cambiamenti avvenuti nel passato influenzano spesso una
condizione futura diventando uno degli elementi necessari alla soluzione di un puzzle.

27
Da masse a Comunità Virtuali

Web 2.0, Social Web e Social Media


Il termine Web 2.0, che cominciò a diffondersi dopo la O'Reilly Media Web 2.0
conference nel 2004) descrive i cambiamenti nell’uso della tecnologia del World Wide
Web e del web design che mirano a sviluppare creatività, comunicazioni, condivisione
sicura delle informazioni, collaborazione e funzionalità del web. I concetti del Web 2.0
hanno portato allo sviluppo e all’evoluzione di comunità web-culturali e ospitato servizi
quali i siti di social networking e video sharing, wiki, blog, e folksonomie. Il termine,
anche se suggerisce l’idea di una nuova versione del World Wide Web, non si riferisce
ad un aggiornamento di alcuna specifica tecnica, ma piuttosto a cambiamenti nel modo
in cui gli sviluppatori software e gli utenti finali utilizzano il Web.

Secondo Tim O'Reilly: “Web 2.0 è la rivoluzione economica nell’industria del


computer causata dall’affermarsi di Internet come piattaforma, e di un tentativo di
comprendere le regole per il successo su questa nuova piattaforma” 25 . O'Reilly sostiene
che "2.0" si riferisce al contesto storico del business web dopo il collasso, avvenuto nel
2001, della bolla della new-economy, e alle caratteristiche distintive dei progetti che
sono sopravvissuti al fallimento o nati successivamente.
Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, afferma che si possono attribuire al
termine numerosi significati, in quanto la maggior parte degli elementi tecnologici del
Web 2.0 esistono sin dai primi giorni del Web.

I siti Web 2.0 permettono agli utenti di fare molto più che trovare informazioni: si
possono eseguire applicazioni software interamente attraverso un browser, salvare e
controllare dati in un sito Web 2.0, incoraggiare gli utenti, attraverso un’architettura di
partecipazione, ad aggiungere valore all’applicazione durante l’utilizzo. Tutto questo
contrasta con i tradizionali siti con pochi visitatori e i cui contenuti possono essere
modificati solo dal proprietario del sito.

25
O'REILLY, Tim, Web 2.0 compact definition: trying again, 2006-12-10.

28
Alcuni elementi tecnici (Ajax, XML, RSS) hanno permesso al Web 2.0 di avere la stessa
mimica di applicazioni desktop, come il word processing, fogli di calcolo,
presentazioni, e di replicarne,attraverso interfacce WYSIWYG, molte delle funzionalità
(Google Docs).
Il 2004 vede la nascita anche del Social Web, nel documento The Social Web: building
an open Social Network with XDI, ad opera dell’organizzazione OASIS. L’idea è di un
network che invece di linkare documenti, connetta persone, organizzazioni e concetti.
Correntemente è usato per descrivere come le persone, accomunate da una varietà di
interessi condivisi, socializzano o interagiscono attraverso Internet. Le interazioni
possono essere focalizzate sulle persone (Facebook) e promuoverle come centro di
interazione sociale attraverso la costruzione di un profilo per ogni utente, oppure su
“hobby” come la fotografia (Flickr). Si possono ulteriormente distinguere tra interazioni
a distanza, più comuni, e quelle che portano ad un incontro personale.

Queste possibili interazioni di condivisione e discussione delle informazioni tra esseri


umani avvengono attraverso differenti applicazioni Social Media, basate principalmente
su Internet e su dispositivi mobili. Più spesso il termine Social Media si riferisce ad
attività che integrano tecnologia, telecomunicazioni e interazioni sociali, e la
costruzione di parole, immagini, video e audio. Questa interazione, ed il modo in cui
l’informazione è presentata, dipende dalle diverse prospettive e dal costruirsi di un
significato condiviso tra le comunità, man mano che le persone si scambiano storie ed
esperienze. Ci si riferisce al termine social media anche per gli user-generated content
(UGC) o consumer-generated media (CGM).

I Social Media si distinguono dai media industriali (broadcast o mass-media) per alcune
caratteristiche: anche se entrambi permettono potenzialmente a chiunque di raggiungere
un pubblico globale, i primi sono generalmente posseduti da singole società private o
dai governi mentre gli strumenti Social Media sono disponibili per chiunque ad un costo
molto basso o gratuitamente. La produzione per i media tradizionali, inoltre, richiede
competenze specializzate ed esperienza, oltre ad avere tempi molto più lunghi, cosa che
non avviene con i Social Media dove chiunque può iniziare a produrre contenuti e
pubblicarli molto velocemente o istantaneamente.

29
Un’altra differenza riguarda le responsabilità: i media industriali sono tenuti a
rispondere alla società per quanto riguarda la qualità dei contenuti e le conseguenze
delle loro attività in termini di valori di pubblico interesse, responsabilità sociale ed
indipendenza editoriale.
Ai Social Media non sono attribuite le stesse responsabilità editoriali: possono essere
percepiti infatti come esenti da conflitti di interesse, anche se il loro valore pubblico può
essere minacciato dalla crescita di fenomeni come le relazioni pubbliche 2.0, network
pubblicitari e pubblicità di terze parti.

Esempi di applicazioni Social Media includono le più disparate categorie:


Comunicazione: Blogs (Blogger Livejournal, Wordpress), Internet Forums (Vbulletin,
Phpbb), Microblogs/Presence applications (Twitter), Social networking (Facebook,
LinkedIn, MySpace, Netlog), Social network aggregation (FriendFeed), Eventi
(Meetup.com); Collaborazione: Wikis (Wikipedia, PBwiki), Social bookmarking
(Delicious), Social News Sites (Digg, Reddit) Opinion sites (epinions, Yelp);
Multimedia: Photo sharing (Flickr), Video sharing (YouTube, Vimeo), Livecasting
(Ustream, Skype), Audio and Music Sharing (imeem, Last.fm, ccMixter);
Entertainment: Mondi virtuali (Second Life, The Sims Online), Giochi Online (World
of Warcraft, Everquest, Ultima Online), Game sharing (Miniclip.com).

Comunità Virtuali
Una Comunità Virtuale, e-community o online community, è un gruppo di persone che
interagisce principalmente attraverso mezzi di comunicazione come newsletter,
telefono, email, social network online o software di messaggistica istantanea, invece che
di persona, per motivi sociali, professionali, educativi o di altro genere. Comunità
Virtuali e online communities sono anche diventate una forma alternativa di
comunicazione tra persone che si conoscono già nella vita reale.

Il termine comunità virtuale è contenuto nell’omonimo libro di Howard Rheingold,


pubblicato nel 1993. Il libro è una ricerca sociologica attraverso una gamma di sistemi
di comunicazione computer-mediated e differenti gruppi sociali, allargata alla scienza
dell’informatione. Tra le tecnologie oggetto della ricerca troviamo USENET, MUD
(Multi-User Dungeon) ed i loro derivati MUSH e MOO, IRC (Internet Relay Chat), chat
rooms e mailing lists elettroniche: il World Wide Web come lo conosciamo oggi non

30
era ancora utilizzato da così tante persone. Rheingold intendeva evidenziare i potenziali
benefici che il fare parte di questi gruppi avrebbe potuto portare al benessere
psicologico della società intera. Altri studiosi successivamente hanno avvertito di
potenziali rischi di "desocializzazione", una minore interazione personale tra esseri
umani rispetto all’incremento di socializzazione virtuale.

L’esplosiva diffusione di Internet a partire dalla metà degli anni 90 ha innescato la


proliferazione di Comunità Virtuali. Tra i primi siti Web 1.0 di Comunità Virtuali
troviamo USENET (1980), Theglobe.com (1994), Geocities (1994) e Tripod (1995). Le
prime comunità si concentrarono sul raggruppare le persone attraverso chat rooms, e
condividere informazioni personali ed idee su qualunque argomento attraverso un
sistema di pubblicazione su una home-page personale, che fu precursore al fenomeno
del blogging e del social networking.Le differenti comunità, nate nel Web 2.0, hanno
maggiori e differenti livelli di interazione e partecipazione tra i loro membri. Si va
dall’aggiungere commenti o tag ai messaggi su un blog al postare in una message board
per combattere contro altre persone in un videogioco online MMORPG.

L’inclusione di comunità virtuali nell’esperienza della vita quotidiana, i suoi riflessi e le


sue influenze nelle pratiche di comunicazione e di costruzione dell’identità, fanno sì che
le online communities siano uno sterminato ambiente di ricerca, che richiede continue
investigazioni e teorizzazioni.

Mondi Virtuali e MMORPG


I Mondi Virtuali e gli MMORPG generano e sono costituiti da Comunità Virtuali che si
trovano nel punto di incontro tra Social Media, Ipernarrazioni e Videogames.

Un Mondo Virtuale è un ambiente simulato computer-based, creato affinchè i suoi


utenti lo abitino e interagiscano attraverso gli avatar. Questi avatar possono essere
rappresentati testualmente oppure attraverso raffigurazioni grafiche in due o tre
dimensioni. Alcuni Mondi Virtuali (Second Life, The Sims Online) permettono di
giocare online in più utenti: il computer accede al mondo simulato e presenta stimoli
sensoriali all’utente, il quale può manipolare gli elementi presenti nel mondo ed esperire
un certo livello di telepresenza. Questi mondi possono apparire simili a quello reale
come rappresentare mondi fantastici, simulare regole (forza di gravità, topografia,

31
azioni e comunicazioni) basate sulla realtà oppure su ibridi fantasiosi. La
comunicazione tra gli utenti può avvenire tramite testo, icone, gesti, suoni o comandi
vocali.

Un Massively Multiplayer Online Role-Playing Game è un genere di gioco di ruolo per


computer nel quale un vasto numero di giocatori interagisce con gli altri all’interno di
un Mondo Virtuale. Il termine MMORPG è stato coniato da Richard Garriott, il creatore
di Ultima Online, il gioco che ha reso popolare questo genere a partire dal 1997. Come
in tutti i giochi di ruolo, il giocatore si cala in un personaggio immaginario (molto
spesso in un mondo immaginario) e controlla molte delle azioni del personaggio. Gli
MMORPG si distinguono dai giochi single-player per il numero dei giocatori e dal
mondo persistente del gioco, normalmente ospitato dall’editore, che continua ad esistere
ed evolversi anche quando il giocatore non è collegato.
Gli MMORPG sono molto popolari nel mondo, e negli ultimi anni gli introiti sono
aumentati considerevolmente. Oltre al tradizionale modello di abbonamento, i beni
virtuali rappresentano una secondaria fonte di guadagno per gli editori. Anche se i
moderni MMORPG si differenziano notevolmente dai loro predecessori, molti di essi
condividono alcune caratteristiche di base: alcune forme di progresso, le interazioni
sociali all’interno del gioco, la cultura del gioco, l’ìarchitettura del sistema e la
personalizzazione degli avatar. I personaggi spesso si possono personalizzare a fondo,
sia per quanto riguarda gli aspetti visuali che tecnici, con nuove opzioni continuamente
aggiunte dagli sviluppatori. Molti giochi offrono ulteriore flessibilità permettendo
alcune forme di modding, che fanno partecipare gli utenti all’evoluzione del mondo
virtuale.

Nonostante gli MMORPG siano stati finora considerati più difficili da sviluppare e da
giocare sulle console, questa piattaforma sta recentemente guadagnando attenzione. Age
of Conan sta per essere rilasciato per Xbox 360 nel 2009. Turbine Inc. ha annunciato di
stare lavorando ad un MMO per conosle e Cryptic Studios rilascerà una vesione di Star
Trek Online sia per PC che console.

Videogiochi: settima generazione


I videogiochi furono introdotti come medium commerciale di intrattenimento nel 1971,
diventando la base di un’importante settore industriale dell’intrattenimento tra la fine

32
degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, negli Stati Uniti d’America, in Giappone ed in
Europa. Dopo un disastroso collasso nel 1983 ed una conseguente rinascita due anni più
tardi, l’industria dei videogames ha conosciuto una crescita sostenuta per oltre due
decenni fino a raggiungere i 30 miliardi di dollari l’anno di giro d’affari, spodestando
quella cinematografica dalla posizione di industria dell’intrattenimento più redditizia a
livello mondiale.

Con l’attuale generazione di


videogiochi, si assiste ad un relativo
declino di gioco su PC ed un
conseguente spostamento degli
investimenti verso piattaforme console
da parte delle maggiori case di
1 Il numero di console nel mondo (fonte vgchartz.com)
produzione.
La settima generazione di videogiochi comincia con il lancio di Xbox 360 da parte di
Microsoft, uscita alla fine del 2005, e quindi a fine 2006 con Playstation 3 di Sony e
Nintendo Wii. Ognuna di queste console ha introdotto interessanti novità tecnologiche:
Xbox 360 e Playstation 3 offrono una qualità grafica di altissimo livello (HDMI, Blu-
ray Disc) mentre Nintendo si è concentrata maggiormente sullo sviluppo di controller
con sensori di movimento, in alternativa ai joystick tradizionali. Tutte e tre utilizzano
tecnologia wireless per i controller, ricaricabili via USB. Per le console portatili la
settima generazione inizia invece nel 2004 con l’introduzione di Nintendo DS e Sony
PSP, entrambe dotate di connettività wireless e possibilità di connessione ad Internet.

I Giocatori nel mondo


Nel Regno Unito quasi il 40% dei cittadini gioca abitualmente ai videogame, racconta il
Rapporto Nielsen-ISFE 2008. Ed i dati relativi agli Stati Uniti sono ancora più
impressionanti: secondo GameDaily, che riprende i risultati del Gaming Segmentation
Report 2008 di NPD Group, un cittadino statunitense su due ha provato i videogame
almeno una volta nella sua vita, con una percentuale che cresce al 72% tra gli under 44.
La segmentazione dei giocatori rivela ancora una prevalenza di maschi (62%) con però
un significativo aumento (38%) del pubblico femminile, un’età media di 33 anni di cui
il 28% minorenni, il 48% tra i 18 ed i 49 anni ed il 24% di over-50 (dati Esa).

33
Significativa in questa crescita esponenziale del pubblico, l’introduzione sul mercato
della Nintendo Wii, che con la sua semplicità d’uso coinvolge fasce di persone fino ad
ora rimaste lontane dai videogiochi, pur avendo un numero esiguo di titoli disponibili,
con una grafica scadente e nessuna profondità narrativa. Tutti hanno sempre pensato che
le console avrebbero continuato ad evolversi in base alla loro potenza di calcolo per
offrire videogames sempre più simili ai film. Invece, secondo Will Wright “se
guardiamo alla storia dell’arte è successa la stessa cosa. Dopo aver raggiunto un grado
di realismo molto alto nel Rinascimento, con il tempo nacque l’esigenza di una
maggiore astrazione. Ma questo non significa che l’idea di verosimiglianza sia
tramontata. In pittura ne esiste una interiore, fatta di emozioni. Nei videogame, dopo
essersi divertiti a creare mondi altamente definiti, gli sviluppatori stanno ora tentando
nuove strade. Quella del Wii è una delle più interessanti” 26 .

26
J.D’ALESSANDRO, Game Over, La Repubblica delle donne, Milano, Gruppo Editoriale l’Espresso,
31/01/2009.

34
Conclusioni

Nel corso della storia, i media, dalla parola in poi, hanno sempre svolto la funzione di
sostegno alla definizione e alla sperimentazione dell'identità. Nelle culture orali, la
parola parlata serviva alla società per trasmettere la storia, la legge ed ogni altra
conoscenza attraverso le generazioni. Durante la transizione ad una cultura chirografica,
Aristotele, che intende la tragedia quale mimesi, imitazione, della realtà, ritiene che
tramite le vicende rappresentate sulla scena dal dramma, l’animo dello spettatore possa
purificarsi, sollevarsi e rasserenarsi dalle passioni attraverso la catarsi. L'angoscia e le
emozioni finte, che cioè non derivano da situazioni reali, che si provano assistendo alla
tragedia rappresentata sulla scena, si trasformano nel piacere dello spettacolo: lo
spettatore non si purifica delle sue emozioni vedendo degli esempi edificanti ma è lo
stesso dispositivo teatrale, lo spettacolo in sé che purifica l'uomo dalle passioni. “Noi
proviamo piacere a vedere le immagini le più precise delle cose la vista delle quali è
dolorosa nella realtà, come gli aspetti di animali i più ripugnanti e dei cadaveri” 27 .
Aristotele individua i due concetti fondamentali nella comprensione del fatto artistico, la
mimesi e la catarsi, entrambi basati sull’istinto primigenio naturale dell’uomo
all'imitazione. Successivamente analizza e definisce un modello narrativo basato
sull’unità di azione che deve potersi “abbracciare con facilità nel suo insieme con la
mente” 28 .

Il modello narrativo Aristotelico e la sua tradizionale scansione in 3 atti, pur restando


quello che consente di rappresentare con maggiore forza sistemi valoriali fondamentali
e comunemente condivisi, non riesce più a rappresentare, con lo stesso effetto pregnante
di realtà, la complessità della vita, la caoticità, la varietà di toni, la casualità del reale. I
media elettrici ed elettronici hanno avuto un ruolo fondamentale nel modificare ed
accelerare la realtà in cui viviamo oggi. La televisione, in particolare, ha reso lo
spettatore sempre più capace di seguire diverse storie contemporaneamente, più elastico
e flessibile nell’inserirsi e orientarsi rapidamente nelle situazioni drammatiche.

27
ARISTOTELE, Poetica, Milano, BUR, 1987.
28
Ibidem.

35
In seguito,queste capacità, sono state ulteriormente incrementate dalla natura
multitasking della cultura e dei media digitali, secondo cui contemporaneamente
redigiamo un rapporto di lavoro, chiacchieriamo con un amico e scarichiamo un file
musicale, facendo sì che ad ognuna delle attività svolte venga dedicata un'attenzione
parziale ma che esse risultino essere tutte tra loro legate. Non è un caso quindi se gli
studi e le sperimentazioni di narrazioni multilineari si siano sviluppati così rapidamente
negli ultimi decenni, sia nel cinema, dove molti dei titoli più significativi degli ultimi
quindici anni sono narrazioni non lineari, sia in televisione, sia e soprattutto in internet e
negli on line games.

Oggi abbiamo una chance in più: la possibilità di vederci per mezzo e all'interno dei
media che abbiamo a disposizione, di diventare simultaneamente il soggetto e l'oggetto,
autori e fruitori dei media contemporanei. Nel caso di un videogioco siamo al contempo
l'oggetto su cui la camera virtuale è puntata e il regista della camera stessa. I
videogiochi e gli altri new media interattivi offrono così nuove possibilità per l'auto-
definizione, perché diventa possibile identificarsi con ambienti modellabili sulla base
della propria esperienza e volontà. Gli studi di Sherry Turkle, una psicologa clinica,
condotti per più di vent’anni attraverso numerose interviste con giocatori ed utenti di
computer, mostrano come molti di essi abbiano potuto espandere la loro emotività
immedesimandosi in molti diversi ruoli, incluse identità sessuali, che “la vita sullo
schermo” permette ad una persona di esplorare 29 .

Secondo Robbie Bach, numero due di Microsoft, “Nel nostro futuro ci saranno sempre
tre tipi di schermi: quello del pc, quello della tv e quello del cellulare. Il futuro dei
giochi elettronici è su ognuno di questi dispositivi. Ovviamente ci saranno delle
differenze fondamentali fra i tre mondi. Ma di fatto tutti e tre cresceranno. E molto.”
Come dimostra però la svolta innescata da Nintendo con la sua Wii, che ha fatto saltare
i paradigmi del passato, il cercare di definire quali saranno le caratteristiche del Web 3.0
o dei videogiochi di ottava generazione, come l’indicare quali direzioni prenderanno le
narrative multimediali ed interattive, è un esercizio altamente speculativo.

29
S.TURKLE, La vita sullo schermo: nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet, Milano,
Apogeo, 1997.

36
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