Sei sulla pagina 1di 11

-0- Presentazione

C'era una volta un re nato sotto l'influsso d'una stella tanto cattiva da
farlo crescere soltanto qualche decimetro più d'un nano e da farlo salire
al trono a seguito dell'assassinio di suo padre. Regnò quindi, per i primi
due lustri, con l'ardore d'un trentenne che cerca rivalse contro un
destino malevolo, fino a promuovere la conquista coloniale d'un pezzo di
suolo africano. Durante la prima guerra mondiale, contribuì inoltre alla
vittoria dell'esercito italiano partecipando personalmente ad azioni
belliche e guadagnandosi così l'appellativo di Re Soldato.
Si rifiutò però -pochi anni dopo- di dichiarare lo stato d'assedio quando
il futuro Duce iniziò coi suoi fascisti la Marcia su Roma. Lo punì allora
severamente la stella maligna, perché la Monarchia che aveva riunite le
genti italiche sotto una sola bandiera venne presto traformata in
diarchia... soltanto formale per giunta.
Godendo del favore popolare, l'ambizioso e bellicoso condottiero prese
infatti il sopravvento sul piccolo sovrano e con le buone o con le cattive
lo costrinse ad intrecciare una sorta di connivenza col Potere dittatoriale
che aveva ormai instaurato... complici la miseria popolare, i sogni d'un
Impero coloniale che avevano preso il posto degli ideali del Risorgimento,
i Patti Lateranensi (con cui aveva ottenuto l'imprimatur della Chiesa al
proprio regime) ed il Patto d'acciaio con la Germania nazista.
L'alleanza fra le due dittature portò infatti l'Italia alle léggi razziali
(controfirmate dal re ormai esautorato dal Duce) ed alla seconda guerra
mondiale e ciò che avvenne in seguito sta su tutti i libri di storia: dalla
fuga del re alla Repubblica di Salò ed all'occupazione nazista... si sa
come finirono le cose e perciò -senza voler giudicare i fatti- si enfatizzerà
soltanto la mancata abrogazion delle léggi razzialie -dopo l'armistizio- da
parte di chi, fatto imprigionare il capopopolo, si era attirati i nomignoli di
re Pippetto da una delle parti in lotta e di Sciaboletta dall'altra.
Per nemesi storica, insomma, non gli venne comunque perdonata la
connivenza col dittatore, né la dichiarazione di guerra alle Nazioni che
avevano contrastate le mire espansioniste del suo alleato. In merito poi
alle léggi esecrate nel secondo dopoguerra, fu per lui un'aggravante il
fatto che un suo antenato sabaudo ne fosse stato un antesignano.
Sconfitte le due dittature dai bombardamenti anglo-americani e con
ancora vivi i ricordi della guerra fratricida tra fascisti e partigiani, un
referendum sancì pertanto la fine della monarchia, sebbene il re Pippetto
avesse abdicato a favore del figlio.
In quegli anni caotici si colloca comunque l'inizio della storia che vuole
narrare un aspirante scrittore cresciuto presso una borgata della
Capitale del fu Regno e della neonata Repubblica. Ampliata durante il
Ventennio con belle palazzine, sulle loro facciate principali era stata
affissa la data di costruzione, in numeri romani conteggiati dall'anno della
Marcia... ma -in prevalenza- coloro che abitavano nel borgo primordiale
avevano accolto con scetticismo tali ostentazioni che volevano richiamare
gli animi ai fasti del tempo in cui gli anni si contavano ab urbe condita.
Durante l'occupazione tedesca, la generale avversione al regime di Salò
s'era quindi sviluppata in una copiosa militanza nella Resistenza e ciò
aveva fatto del borgo una base logistica per azioni di guerriglia,
sabotaggio o boicottaggio contro gli ex alleati, oltre che un rifugio per
renitenti alla leva o per semplici delinquenti.
Era stato pertanto definito un nido di vespe dai gerarchi nazisti ed il 17
aprile del '44 l'intera borgata era stata circondata prima dell'alba e poi
rastrellata casa per casa, con circa duemila arrestati e più di cinquecento
deportati nei campi di concentramento: peggio di quanto accaduto sei
mesi prima al ghetto ebraico. Era stata però insignita poi d'una medaglia
d'oro al merito civile e qualcuno aveva ridefinito il borgo un paese nella
città, per l'aria buona che vi si respirava... anche riguardo l'umanità di chi
ci abitava.
Nessuno poteva dubitare fosse stato questo il motivo per cui ci si era
stabilito un religioso -detto il John- aprendo un'altra Sede del
Movimento spirituale da lui fondato. Denominato I Ricostruttori perché
c'era innanzi tutto bisogno di esperti del settore edilizio per ripristinare
gli edifici fatiscenti che potevano permettersi d'acquistare, c'erano tra
loro anche degli artisti, come attestava il gruppo scultureo, raffigurato
all'inizio del capitolo, plasmato con calce su uno scheletro metallico.
Spiccavano in cortile, col loro filo da tessere e tagliare, le tre Parche
poste presso l'entrata di quello ch'era stato un asilo, a simboleggiare
l'ineluttabilità del Fato comune a tutti i mortali e contro il quale solo il
Cristo aveva vinto, secondo il John e i suoi seguaci. C'era stato tuttavia,
all'inizio, chi nella Chiesa Romana aveva diffidato delle attività spirituali
del fondatore, sospettato di proselitismo come in odore d'eresia era
stato l'Esicasmo, del quale il John aveva riesumati i valori... perfino quelli
estetici, che si riflettevano nella barba di Aronne che portava.
I suoi insegnamenti si rifacevano però essenzialmente al cristianesimo
delle origini, interpretato dal punto di vista degli antichi monaci esicasti
della Chiesa Orientale e imbevuti perciò di 'Amore per la bellezza
interiore': un atteggiamento che il titolo d'un libro (Filocalia) condensava.
In esso era racchiusa una Tradizione che risaliva al tempo in cui fiorenti
erano gli scambi culturali fra quei monaci e i sufi, che -con le conquiste
islamiche in India- avevano assorbito tecniche in grado d'unire le parti
inconsce e razionali della mente.
Passato comunque il John a miglior vita, altri sacerdoti -cattolici e con
barbe simili alla sua- ne raccolsero l'eredità spirituale. Continuarono
infatti a celebrare senza tanti fronzoli il Mistero Eucaristico e -a seguire-
a cantare e danzare assieme ai partecipanti al ritmo di chitarre e tamburi,
per poi passare a meditare e pregare: la tecnica che usano i dervisci
rotanti.
------------///|\\\------------
Una fraterna agape, allestita col contributo dei convenuti, concludeva
la riunione settimale e dava modo al sacerdote di turno d'instaurare
rapporti coi frequentatori occasionali, mantenerli con gli assidui e dare
consigli a chi nella confraternita aveva qualche ruolo. Si distingueva fra
questi ultimi un medico omeopata, sulla settantina, che aveva collaborato
alla fondazione d'una Sede alternativa presso la cittadina dove abitava
(distante una trentina di chilometri dalla Capitale) dalla quale era solito
portare prodotti della terra là coltivati.
Filippo -così si chiamava- teneva inoltre corsi di meditazione nella Sede
principale ed organizzava pellegrinaggi. Fu appunto per avere
informazioni su un itinerario in varie chiese romane che, nel tardo
pomeriggio, un visitatore occasionale s'avvicinò alla sua vettura appena
giunta in cortile per la riunione e, conversando, salì assieme a lui i gradini
verso il pianerottolo che dava adito all'interno.
Notato però l'ultimo arrivato nel Gruppo beatamente in lettura, dietro
uno dei tavolini disposti presso la porta, l'omeopata gli rivolse una
domanda scherzosa, riferita alla stramba proposta da lui ricevuta il
giorno che s'erano conosciuti nella Sede alternativa: fondare una nuova
Sede in un terreno di sua proprietà<<. Bisogna prima trovare persone
che collaborino!>>, aveva commentato allora, ma -incalzato dalla
richiesta d'inserirlo nel novero dei propri pazienti- si era congedato
bruscamente dicendo: <<se non risiedi in questo comune non è
possibile!>>.
<<Che sei stato su un altro pianeta?!>>, chiese dunque adesso con tono
allegro, ma rimase alquanto sconcertato al sentire un <<magari!>>
espresso in tono giocoso come il proprio. Non ritenne tuttavia
opportuno invitare il tipo strano a spiegare il suo trisillabo sghembo: si
limitò a stringere la mano che gli tendeva, prima d'entrare nell'edificio con
al séguito colui che vedendolo arrivare gli si era accostato... ed appresso
a loro entrò chi aveva consultato all'aperto un libretto del John.
Lo andò a posare dove l'aveva preso e ne sfogliò altri esposti sulla
stessa scrivania della sala d'ingresso, non avendo voglia d'affollarsi
attorno a Filippo, come quelli che s'erano alzati dalle due panche
presenti nella stanza per salutare quell'animatore. Si andò poi a togliere
le scarpe nel corridoio attiguo ed entrò scalzo -come d'obbligo- nel
salone in cui si celebrava il rituale, portandosi verso il centro della parete
di fronte, che illuminava il locale tramite tre finestroni.
Alla luce del sole calante si mise quindi ad ammirare ciò che decorava la
parete di fondo: un bassorilievo del volto gigantesco del Cristo al centro
e -all'angolo con quella fornita di aperture- un angelo con tanto di ali,
dritto in piedi. Venne poi distratto dall'entrata della sequela di adepti
(preti, monache e laici) o di semplici curiosi come lui, sicché andò -come
loro- a prendere da un baule un tappetino e un cuscino da deporre sul
parquet e -scelta una delle file che s'erano formate in direzione della
parete di fondo- si sedette anche lui.
Vagò allora col pensiero dalle Parche del cortile ad un'altra 'opera'
ancora più imponente, incastonata in un angolo della sala dove si
tenevano lezioni e conferenze: un Mosè con le tavole della Torah,
contemplato mentre seguiva un corso di respirazione diaframmatica.
Passò poi a ricordare gli enormi murales visti nella Sede alternativa e
giunse così al pezzo di terreno, là coltivato in permacultura che l'aveva
indotto a proporre il proprio a Filippo come ulteriore Sede.
Tornò al presente quando vide approntare ad altare un tavolino, proprio
sotto il volto del Redentore. Spostò allora l'attenzione alla liturgia
dicendosi: "è stata l'unica volta che ce so' andato!", dispiaciuto che non
ci fossero state altre lezioni sullo yoga, e restò assorto sul sacerdote
finché non distribuì le ostie consacrate ai presenti raccolti in circolo, con
un aiutante a porger loro un bicchiere col vino sacramentato.
Sempre in circolo, ma con le mani intrecciate a chiuderlo, tutti presero
poi a danzare finché non sedettero -di nuovo in fila- a meditare. Non
riuscendo però ad entrare in sintonia empatica col Gruppo, l'ultimo
arrivato s'abbandonò di nuovo al proprio narcisismo, preferendo
riflettere sulla propria vita sconclusionata e segnata -non solo secondo
lui- da una Sorte che si stava approssimando a quella del re Sciaboletta,
un po' per carattere e un po' per carenze affettive.
Non partecipò quindi alle brevi preghiere per gli infermi, che gli altri
pronunciarono a turno una volta tornati in circolo da seduti e continuò a
rammaricarsi d'aver rinunciato alla carriera scientifica che aveva
intrapresa perché affascinato dalle tante invenzioni del Secolo ancora in
corso. Aveva preferito infatti coltivare la vocazione letteraria che faceva
risalire ai diari che scriveva da bambino, appassionandosi al Mistero del
linguaggio.
Si era però perduto nella giungla del web (il mondo virtuale al quale s'era
riferito poco prima col suo <<magari!>>). Poco adatta alla sua storia
s'era rivelata infatti la piattaforma -mirata ai blog- su cui l'aveva
pubblicata, scegliendo per essa un titolo strano (LiberBlog, in cui 'Liber'
stava per 'libero' e per 'libro') ed una copertina virtuale cervellotica:

Inoltre, secondo il software che il server aveva preposto a giudicare gli


articoli (bocciando o promuovendo con pallini rossi o verdi), illeggibili
continuavano ad essere i suoi scritti. Ed inutili erano risultati i tentativi
d'ottenere il 'via libera' rivedendo frasi, periodi e paragrafi o modificando
aggettivi, sostantivi e verbi, tanto compulsivamente da impantanarsi in
una crisi esistenziale e affondare in una cupa depressione al pensiero
delle troppe revisioni apportate ai suoi scritti che vedeva come un totale
fallimento, anche sull'ultima ruota della sua vita.
------------///|\\\------------
In tale stato d'animo lo trovò Filippo, quando gli telefonò per invitarlo
nella Sede alternativa a festeggiare l'imminente onomastico del defunto
John. Sentito declinare l'invito, il medico animatore cercò tuttavia di
rompere il ghiaccio percepito con una domanda allegramente formulata:
<<e tu quale festeggi?>>. <<Nessuno dei due!>>, disse però il fallito
blogger, riferendosi anch'egli al proprio nome composto.
Volendo attenuare la negatività della risposta, aggiunse però con ironia:
<<aspetto che facciano santo qualcuno che si chiami come me!>>.
Parecchi dubbi rimasero dunque all'omeopata riguardo la personalità del
possibile adepto, finché questo -mischiato il detto evangelico <<bussate
e vi sarà aperto.>> col profano che lo angustiava- non decise di
chiedergli un aiuto letterario.
Con molto garbo si rifiutò allora chi aveva ormai preso a cuore il tipo
strano. Ipotizzò infatti l'eventualità che ad aiutarlo fosse la propria
moglie, solita a divorare libri: uno scaricabarile, secondo l'aspirante
scrittore in crisi mistica, per cui reagì con orgoglio, rifiutando tale aiuto e
tentando d'uscire dal pantano con le proprie forze, come aveva visto fare
da uno che in TV aveva mostrata la tecnica per salvarsi dalle sabbie
mobili.
Invertito però l'ordine delle correzioni, come quello faceva coi propri
passi, e constatatane l'inefficacia, invece di darsi all'ippica, ricominciò a
praticare lo Yoga, come s'era ripromesso dopo aver visitate entrambe le
Sedi del John e fu un bene per l'amicizia sorta con Filippo quando era
andato a trovarlo in ospedale, dopo un'operazione chirurgica. Il medico
aveva infatti iniziato un corso improntato in senso olistico a tale disciplina
e riuscì pertanto -da quella cattedra- a dargli consigli utili a 'convertire' il
narcisismo letterario in apertura al Mondo. Considerando in-toto (e non
come sommatoria delle sue parti fisica, fisiologica e psichica) ogni
problema umano trovò insomma il modo giusto per ridare a quell'allievo la
fiducia nelle proprie capacità narrative.
Lo accompagnò poi con pazienza anche durante la lunga
convalescenza spirituale, che terminò quando l'aspirante scrittore
riscontrò la concordanza fra gli insegnamenti dell'antica dottrina indiana
e quelli del John. Si sentì allora come quel marinaio della Santa Maria che
dopo tanto navigare aveva esultato sulla coffa vedendo apparire il
Nuovo mondo anziché l'India.
Ridotti quindi a sceneggiature gli articoli del suo blog e privilegiata
l'azione rispetto a descrizioni e commenti, si rese conto della vastità del
nuovo campo d'azione che s'apriva al filo narrativo, qualora volesse
cucire anche le relazioni umane, specie se inserite in collettività più ampie:
dalle famiglie alle istituzioni. Limitata dunque la potenza dell'algoritmo
giudicante, s'avventurò in campi ancora poco esplorati.
Linguistica, semiotica e grammatica generativa andavano infatti di pari
passo -sempre più avvelerato- coi linguaggi informatici deputati a
tradurne in concreto le asserzioni ed il Nuovo mondo aveva ben poco a
che vedere col suo vecchio stile (che qualcuno aveva benevolmente
catalogato come bioscrittura). Doveva quindi costruirsi solide basi
tecniche, se voleva realizzare una decente storia ipertestuale, ma reciso
fu il commento di Filippo quando venne a conoscenza di tali
elucubrazioni.
<<Trasfondere in una storia quanto trascende la ragione ed appartiene
all’intelletto non è da tutti... mica interagiscono chimicamente sentimenti,
affetti e aspirazioni!>>, disse; sicché con più umiltà l'ex blogger cominciò
a studiare i sensi -nascosti o manifesti- che vanno dalle ironie ai sarcasmi
e dalle lusinghe alle adulazioni e che a malapena si esprimono negli scritti
con la punteggiatura: non a caso andavano sempre più diffondendosi
allora le cosiddette emoticon. Prese perciò a studiare anche la teoria dei
sintagmi, in particolare di quelli intonativi, capaci -nel parlato- di ribaltare
il senso delle frasi, deformando in caricature le poco gradite affermazioni
degli avversari.
Che il còmpito non fosse facile lo dimostra il seguente link, per cui l'ex
blogger pensò bene di discutere con Filippo delle 'faccine' dei Social...
che secondo lui erano l'aspetto per così dire ludico di un'esigenza di
generale rinnovamento della lingua italiana, aggredita da una pletora di
termini ed espressioni inglesi ed ingessata in regole grammaticali
antiquate e controverse, quale la concordanza dei participi con soggetto
od oggetto della frase.
Il medico glielo confermò dicendo: <<i significati reconditi esistono dalla
nascita del linguaggio e si trasmettono meglio coi gesti e le espressioni
facciali... ora però sono diventati sintomi d'una malattia sociale che si sta
aggravando col progresso della tecnologia e il regresso della
spiritualità!>>. Col suo approccio universalista alla medicina e alla
sociologia, si dilungò poi a parlare di rapporti interpersonali affetti da
incomprensioni o da lotte per la supremazia e dei segnali che lanciano
alla coscienza di chi medita, come un corpo malato fa con la mente che
ospita.
Il suo olismo da medico, fondato su dottrine orientali sempre attuali,
tendeva infatti a stimolare i processi di autoguarigione insiti nell'essere
umano, mirando non solo ad alleviare i sintomi, ma soprattutto a far
raggiungere al sofferente uno stato di salute globale: della mente unita al
corpo, all'ambiente ed alla società.
Per chiudere questa presentazione si metterà dunque da parte ogni
discorso filosofico, lasciando che sia l'aspirante scrittore ad esporre il
proprio cambiamento interiore ottenuto con l'aiuto dell'omeopata e con
l'impegno a combattere le cattive abitudini, per ripristinare gli equilibri
persi nei suoi sistemi inconsci e rendere cristallina la propria persona,
intendendo questo termine nel senso etimogico, ossia come proveniente
dall'etrusco 'phersu', che significa maschera... ovvero come travestimento
da indossare in pubblico e da difendere ad ogni costo, fino al fanatismo.
------------///|\\\------------
Salve. Sono l'ex blogger, autore e Voce narrante d'una storia scritta
essenzialmente per contrastare la soverchiante pressione sociale
dell'Opinione dominante. Questo avevo concluso fosse per me l'unico
modo per raggiungere non dico il samahdi o il nirvana, ma almeno la
quiete esicasta. Prima di tutto, però, voglio scusarmi con chi legge d'aver
dovuto spesso impiegare lessico e modi di dire tipici della zona dov'è
ambientata la storia e lo farò riportando uno spezzone di film tragicomico
che la riguarda, nel seguente link.
Ciò premesso, ne impiego un altro, per ricollegarmi all'argomento dei
bombardamenti. Si tratta d'una canzone dedicata al quartiere di San
Lorenzo e al Papa che ci mise piede dopo la pioggia di ordigni del 19 luglio
del '43, particolarmente devastante in quel rione. Il poeta-musicista che
l'ha composta cantava pure, in un altro 'pezzo': <<La storia siamo
noi...>>, e, associandomi a questa affermazione, inizio il racconto coi
tanti senzatetto -scampati alla carneficina- che s'erano stanziati fuori dal
centro cittadino: sparsi in diversi borghetti, come foreste che crescono
senza far rumore.
Uno s'era formato in una zona che chissà perché era stata chiamata
Cecafumo, a sud-est della borgata ribelle: un territorio dove correva una
marrana e antichi acquedotti, di cui uno, rinascimentale, ancora in
funzione. Dopo aver rifornito d’acqua imperatori e papi (che prima della
breccia di Porta Pia possedevano una villa tra Viminale e Quirinale) tale
conduttura che terminava alla fontana del Mosè s'era prestata bene ad
accogliere tra i suoi antichi archi anche le costruzioni arrangiate dagli
sfollati.
Ovviamente procedendo a ritroso, ben oltre le mura aureliane, s'era
sviluppato l'insediamento e di esso rimangono solamente le testimonianze
della gente del luogo (raccolte in filmati come questo), poiché pochi
decenni dopo tutte le baracche furono abbattute.
Di certo non era stato soltanto il nome dato all'acquedotto (Felice, in
onore del Papa Sisto V) ad attrarre i senzatetto: alle catapecchie
incastonate nelle arcate s'erano infatti aggiunti presto tanti orti recintati
ed allineati lungo la marrana costantemente alimentata dal Felice. La
stradina che s'era formata fra gli orti e le baracche e che conduceva
verso il nido di vespe (poi ridefinito paese nella città) sarebbe potuta
dunque diventare un bel boulevard verso la borgata se non fossero stati
espropriati gli orti coltivati a favore d'un grande Parco.
Questo spiega, almeno in parte, la nostalgia che traspare negli
intervistati che dopo aver visto crescere l'insediamento avevano assistito
pure alla sua scomparsa: uno struggimento che un'artista disincantata
come solo i romani sanno essere interpreta in questa canzone. Fatto era
stato comunque, molto prima dell'avvento del Parco, che proprio nel
territorio chiamato Cecafumo si era deciso di realizzare un piano di
edilizia popolare e che a nessuno degli insediati era saltato in mente di
proporsi come assegnatario.
Il piano era stato poi affidato -con légge apposita- ad un Ente a
gestione autonoma, che l'Istituto Nazionale di Assicurazioni (I.N.A.)
aveva provveduto a costituire, chiamandolo Gestione I.N.A.-Case. Posto
sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, tale
Ente doveva limitarsi ad eseguire gli atti deliberati da un Comitato di
attuazione, istituito con quella stessa légge e deputato a tradurre in
realtà il piano.
Un quadrilatero di campagna romana compresa fra due antiche strade
consolari e adiacente alla borgata ribelle era stato dunque rapidamente
cementificato per realizzare il progetto. Nel timore di occupazioni
abusive, la Gestione I.N.A.-Case s'era quindi affrettata a consegnare le
chiavi degli interni agli assegnatari e questi si erano precipitati a
prenderne possesso, con brande o soltanto le coperte.
Il nuovo complesso residenziale, detto volgarmente 'Inacasa' o
Cecafumo aveva comunque promossa la borgata a perno urbanistico di
un'intera circoscrizione che si sarebbe poi sviluppata tumultuosamente a
cavallo della consolare che la lambiva. Rimanendo però al quasi quadrato
che è il teatro principale della storia, c'è da dire che il progetto era stato
ben concepito, perché due dei suoi lati erano segnati da due file di
skyscrapers a dodici piani e a pianta stellare: una sorta di binario entro
cui allocare due schiere di palazzine a tre piani.
Una critica che è necessario fare tuttavia è che la Gestione I.N.A.-Case
venne soppressa da una nuova légge, che ne pose in liquidazione il
patrimonio affidando alla Gescal ('Gestione case dei lavoratori')
l'amministrazione degli immobili, fino al riscatto completo di tutti gli
appartamenti da parte degli assegnatari. Pur controllata da un
rappresentante degli Istituti Autonomi per le Case Popolari (IACP) la
Gescal non si fece infatti scrupolo allora di abbandonare ai loro destini
gli stabili e i neo-proprietari.
Dalla conseguente anarchia trae origine la storia che si andrà a
raccontare, non senza prima entrare nei dettagli di tale comprensorio
mediante una porzione della pianta del progetto che l'aveva originato.
Enjoy!, si direbbe in lingua inglese a questo punto... peccato che non ci
sia in italiano una traduzione adeguata: non saprei che scegliere fra
divertitevi!, godetevela!, graditela!, gioite! e dilettatevi!.
Preferisco perciò passare finalmente alla narrazione senza altro
aggiungere che i ringraziamenti a questo portale per aver ospitate le
tante revisioni del mio blog, confermando che il primo dei capitoli in cui
sarà articolato sarà pubblicato su scribd.com (con La sessantotto per
titolo) mentre rimarranno in questo portale i Media ad esso collegati.
------------///|\\\------------
------///|\\\----///|\\\----///|\\\------

Potrebbero piacerti anche