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L’educabilità è una caratteristica specifica del soggetto umano; è una specifica forma
di malleabilità e insieme di adattamento attivo del piccolo dell’uomo rispetto al suo
ambiente di nascita.
Riteniamo che sia lo smarrimento sociale di una idea di educazione condivisa che
determina la perdita di efficacia educativa, ovvero emergenza educativa, della società
presente accresce le difficoltà della generazione adolescente e giovane nell’assumere
il controllo simbolico del proprio progetto esistenziale. Detto in parole povere, è la
concezione diversa dell’educazione che diverse persone hanno a far si che lo studente
si sente sempre meno invogliato nello studio.
processo di interazione che si sviluppa per tutto il tempo dell’età evolutiva fra un soggetto
giovane ed un certo numero di adulti significativi per lui; questi ultimi si affiancano, si
alternano, si succedono nella relazione, ma possono anche entrare in conflitto fra loro e
con la persona che cresce.
processo vitale interattivo, protratto almeno per tutta l’età evolutiva, sempre collocato
dentro un orizzonte culturale e socio-storico dato, per il quale ogni nuovo nato entra in
una specifica relazione con una serie di persone adulte significative per lui, con cui egli si
identifica e da cui viene, per molti versi, psicologicamente contenuto, fino al momento in
cui egli diventerà capace di auto-contenersi, e avrà raggiunto una soglia di autonomia,
intellettuale ed etica, in base alla quale potrà assumere il controllo e la responsabilità delle
proprie condotte.
Mentre l’educando è quindi anche una persona singola, la cui unità determina l’unità
del processo educativo medesimo, l’educatore costituisce piuttosto un soggetto
collettivo. Dunque, la relazione educativa è sempre asimmetrica e non statica:
Nel processo educativo in senso stretto dobbiamo quindi includere quel complesso di
azioni, narrazioni, rituali, comunicazioni dirette che alcuni adulti appartenenti ad un
gruppo sociale esplicano nei confronti di un singolo individuo in crescita, mediando
personalmente nei suoi confronti l’intero orizzonte culturale di riferimento, e
promuovendo con vario grado di intenzionalità la sua progressiva autonomia
personale nelle forme previste dalla loro cultura.
1. Immaturità malleabile
2. Relazione educativa
3. Orizzonte culturale
il processo attraverso il quale ogni adulto, nell’arco della vita, e nelle diverse stagioni di
essa, esercita la propria conquistata autonomia per continuare a prendere forma alla
propria umanità individuale, in una direzione da lui giudicata desiderabile rispetto ad un
proprio sistema di motivazioni e valori, e rispetto all’orizzonte socio-culturale in cui egli
vive.
Concetto di trasformazione:
qualsiasi atto umano che intervenga per modificare l’esperienza di un altro essere umano,
sia anticipandola, sia controllandola, sia mediandola, sia rendendola consapevole, per
mezzo di contenuti conoscitivi di svariata natura.
1. Famiglia
2. Apprendistato e scuola
2. La scuola come ingresso nella vita della ragione Il tempio e la foresta Possiamo dire
che si costituisca una scuola ogni volta che un gruppo di soggetti si raccoglie intorno a uno
o più maestri, in uno spazio, fisico o simbolico, allo scopo di acquisire conoscenze e abilità
specifiche, attraverso un preciso itinerario formativo. Le prime scuole erano quelle del
tempio in cui si formavano i primi sacerdoti. Le scuole del tempio formavano una
classe dirigente variamente reclutata, una aristocrazia/meritocrazia non tanto e non
solo di nascita, quanto soprattutto di destino e responsabilità sociale, e anche di
potenzialità e doti personali, che nel percorso scolastico sarebbero state
sistematicamente messe alla prova.
Elementi costanti nella fenomenologia della scuola Nella scuola si privilegia sempre un
complesso di conoscenze a cui ciascuna società storica attribuisce un valore
prioritario. La scuola si occupa di conoscenze giudicate socialmente importanti o
addirittura indispensabili. Possiamo dire che le scuole si costituiscono sempre intorno
a due nuclei strutturali:
Dewey ha detto che le scuole nascono quando il patrimonio conoscitivo di una società
umana è divenuto tale da non poter essere appreso dai nuovi nati attraverso la
semplice imitazione e partecipazione diretta alla vita del gruppo. La nascita della
scuola dipenderebbe direttamente dallo sviluppo della conoscenza razionale e dal suo
accumulo.
Dal punto di vista delle caratteristiche strutturali della scuola si può dire che si tratta
sempre di una forma istituzionalizzata: una società storica regolamenta il
funzionamento di questo luogo, prescrivendo chi, e per quanto tempo, lo debba
frequentare, e chi, e come, vi debba insegnare.
3. La scuola media italiana Una scuola per un popolo di cittadini La scuola media è un
segmento scolastico triennale destinato a un allievo di età compresa fra gli undici e i
quattordici anni, viene detta anche scuola secondaria di primo grado. Prima del 1940,
il termine “media” faceva riferimento all’intero segmento secondario, cioè ai livelli
scolastici intermedi fra l’istruzione elementare e il grado universitario. Il nome scuola
media unica appare nel 1940, in seguito a una riforma strutturale che unificava i gradi
iniziali di tutte le scuole secondarie, in termini tendenzialmente assimilativi al vecchio
ginnasio.
Giorgio Chiosso parla di sviluppo e declino della scuola italiana nel trentennio
compreso fra il 1962 e il 1992, con riferimento esplicito alla scuola media e alle
trasformazioni socioculturali e anche politiche dello stesso trentennio. La crisi della
scolarizzazione occidentale non coincide, per tempi e per estensione, con la crisi dello
specifico segmento scolastico di cui ci stiamo occupando. Il suo ipotizzato declino
diventò presumibilmente percepibile solo quando essa venne toccata
progressivamente dell’onda dagli effetti da essa stessa generati: la diffusione
generalizzata dell’istruzione secondaria rende abituale una frequenza scolastica
tendenzialmente universale dei ragazzi, e ciò cancella nella memoria sociale i meriti
iniziali della scuola medina in questa direzione.
Le competenze valutabili negli adolescenti italiani sembrano dimostrare un
progressivo regresso. Ma esiste soprattutto la percezione sociale globale di una
perdita di competenza professionale in ogni strato e in ogni settore della popolazione.
Il vero dato problematico è l’insuccesso scolastico generalizzato dell’intero sistema, a
partire appunto dalla scuola secondaria di primo grado, e progressivamente
ampliatosi alla secondaria superiore, per quanto in essa parzialmente occultato dal
meccanismo dei debiti formativi.
Per quanto riguarda la scuola media, la vera linea spartiacque fra due periodi di
ascesa e declino può essere forse individuata nel momento in cui la scuola media ha
smesso di dichiarare l’insuccesso al proprio interno. Fino a quando la scuola media ha
combattuto dall’interno l’insuccesso e la disaffezione dei suoi allievi, essa è stata di
fatto un laboratorio didattico vitale in tutte le sue dimensioni. In Italia la percezione di
una crisi e di un declino della scuola media si è avvertita massicciamente alla fine degli
anni Novanta, quando un gran numero di docenti medi abbandonarono la scuola
media per la secondaria superiore, sentendosi minacciati dal progetto dell’allora
ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer di dar vita a un ciclo unico di sette anni nel
quale procedere la fusione di scuola elementare media.
L’istituzione della scuola media nel 1962 fu il risultato di una larga convergenza
politica delle forze allora al governo e all’opposizione, e vide la luce, dopo un travaglio
legislativo di almeno quindici anni. Notevole fu l’impegno dei cattolici per la scuola
media unificata.
Il sistema scolastico italiano ebbe la sua origine giuridica, negli anni successivi
all’unificazione politica del 1861 con la legge Casati che definiva le condizioni di
formazione e recultamento dei maestri da parte dei comuni, ai quali era demandata
l’attuazione della legge per quanto riguardava l’istruzione elementare.
Nel 1904 la legge Orlando ridusse il corso elementare a quattro anni, a istituì la V e la
VI classe postelementare, estendendo in tal modo l’obbligo scolastico dai nove ai
dodici anni.
La riforma del 1940 aveva unificato i trienni dell’istruzione secondaria superiore. Nel
1940 i trienni iniziali confluirono in un unico tipo di scuola assai simile nei programmi
al vecchio triennio inferiore del ginnasio. Questa scuola conservava la vocazione di
scuola preparatoria ai gradi secondari e superiori dell’istruzione, e in ciò risiedeva
sostanzialmente la sua natura intrinsecamente aristocratica. Essa mirava a preparare
futuri studenti universitari e la futura classe dirigente. L’impianto didattico della media
del 1940 era di tipo sistematico e disciplinarista.
L’apertura di un unico spazio scolastico alla totalità di ogni classe di età, aveva lo
scopo politico di favorire l’incontro delle diversità umane, l’integrazione sociale di
classi socio-economiche e gruppi regionali diversi. La scolarizzazione universale
almeno fino ai quattordici anni si configurava come l’esito naturale dello sviluppo
scientifico-tecnologico, e insieme come la garanzia di detto sviluppo.
La nuova stagione della scuola media unificata, che raggiunse davvero la totalità della
popolazione degli undici- quattordicenni solo alla metà-fine degli anni Settanta, fu
anche segnata, in quegli stessi anni, dall’ingresso in servizio di una nuova generazione
di giovani docenti provenienti da un sistema universitario attraversato dalle
contestazioni del 1968 e dalle sue prime riforme strutturali.
L’obiettivo politico della riforma del 1962 era quello di accelerare e consolidare il
processo di costruzione di una cultura comune e condivisa che completasse la
democrazia italiana. Era stato abolito il preesistente esame di
ammissione dalla scuola elementare alla scuola media, esame selettivo e severo e, al
tempo stesso, la licenza media consentiva l’ingresso in tutti i canali scolastici
dell’istruzione secondaria di secondo grado.
Una idea forte degli anni Settanta riguarda il tema della comunità scolastica, della
scuola come parte della comunità territoriale. Questa idea è soprattutto della
tradizione anglosassone e statunitense. John Dewey ambiva ad una scuola concepita
come espressione di una comunità locale che partecipa attivamente alla sua gestione.
L’idea suggerisce che ogni scuola debba costituirsi come una comunità scolastica,
sottolineando la responsabilità condivisa fra docenti e studenti nei processi educativi.
L’idea di comunità scolastica sembra dare i suoi frutti migliori solo in attività parziali,
singole iniziative, che pure sono molto importanti ed efficaci. L’idea forte è sempre
quella di una ricostruzione continua della dimensione comunitaria in situazione, fra
genitori e insegnanti, dirigenti e amministratori, a partire dalla presenza dei ragazzi a
scuola.
4. L’allievo della scuola media Sviluppo e ciclo della vita: alcune premesse Il lungo stadio
della vita umana caratterizzato da un forte dinamismo è in genere definito come
evolutivo. Al piccolo dell’uomo non bastano la maturazione cognitiva e lo sviluppo
corporeo per raggiungere una effettiva condizione di maturità adulta: egli ha bisogno
di acquisire ed esercitare le modalità conoscitive di maturità adulta: egli ha bisogno di
acquisire ed esercitare le modalità conoscitive e sociali proprie della sua specie. Il
piccolo dell’uomo è chiamato a conferire un significato alla propria crescita, e deve in
qualche misura progettarsi in forma di umanità desiderabile.
La nozione di età evolutiva suppone che esistono almeno due grandi stagioni della
vita, di cui una, quella appunta definita evolutiva, sarebbe caratterizzata da dinamismi
di sviluppo molto veloci e complessi, mentre l’altra apparirebbe relativamente definita
e tendenzialmente statica.
L’età evolutiva Se distinguiamo l’età evolutiva dall’età adulta, osserviamo che al grande
dinamismo dell’infanzia e dell’adolescenza, con le loro rapide ed evidenti
trasformazioni accrescitive, seguono poi fasi di stabilità adulta e infine l’involuzione
dell’invecchiamento.
Freud distinse l’età evolutiva in cinque fasi di sviluppo psicosessuale, in relazione alla
zona erogena prevalente in ogni periodo, parlando di una fase orale, fase anale, fase
fallica, periodo di latenza e fase genitale (coincidente con l’adolescenza). Eric Erikson
reinterpreta lo schema freudiano in termini psicosociali.
L’adolescenza nel ciclo della vita secondo Erikson Lo schema e l’analisi operata da
Erikson suggerisce come obiettivo della didattica scolastica un agire in sostegno
dell’Io, un principio che ritroviamo anche in Bruner nella formulazione del principio
dell’identità e dell’autostima.
La prima idea del modello è data dall’ipotesi che ci sia un compito evolutivo per ogni
fase del ciclo vitale; inoltre Erikson colloca fra i cinque stadi evolutivi e i tre stadi adulti
un punto di confine concreto individuabile nel consolidamento dell’identità dell’Io.
Ogni fase evolutiva presenta poi un intero dinamismo, una polarità fra due tendenze,
spinte opposte che nell’acquisizione di ciascuna virtù dell’Io trovano un nuovo
equilibrio dinamico. Le sorti e lo sviluppo personale non sono quindi separabili dallo
sviluppo di ogni generazione, vale a dire che non sono mai separabili dalla cultura e
dalla storia degli uomini.
Nucleo patologico
Polarità
Fase orale
Speranza
Ritiro
Fiducia/Sfiducia
Fase anale
Volontà
Coercizione
Autonomia/Vergogna
Fase fallica
Fermezza, finalizzazione
Inibizione
Iniziativa/Senso di colpa
Periodo di latenza
Competenza
Inerzia
Industriosità/Senso di inferiorità
Adolescenza (12-18/20)
(pre-adolescenza, 12-13;
Identità/Dispersione di identità
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Giovinezza
Amore
Esclusività
Intimità/Isolamento
II stadio adulto
Adulto generativo
Cura
Negazione
Generatività/Stagnazione
Vecchiaia
Saggezza
Disprezzo
Integrità/Disperazione
L’ipotesi di due spinte contrapposte, che si susseguono stadio per stadio, ricalca la tesi
freudiana di un conflitto intrapsichico, metaforicamente rappresentato dai termini
eros/thanatos. L’idea è che ogni momento della vita personale comporti una rinnovata
opzione della nostra energia vitale, o verso la crescita, espressa dalla figura
metaforica di morte/thanatos. L’irreversibilità non è della singola opzione in un
momento dato, ma è certamente l’esito della ripetizione rinnovata delle opzioni
sempre nella stessa direzione. Nel dinamismo psichico dobbiamo pensare a qualcosa
di simile a una biosfera, in cui esistono stati precoci, più interni e strati più esterni e
via via superficiali.
Suscitare la sfiducia Quella forza orientata iniziale che possiamo chiamare fiducia di
base, si genererebbe fin dal primo anno di vita dall’incontro con figure materne
rassicuranti, che assolvono funzioni di maternage materiale, ma che soprattutto
suscitano la fiducia e ne permettono il radicamento. Risulta essenziale comprendere
che l’interazione continua fra la fiducia/sfiducia in sé e quella negli altri può generare
una sorta di circolo vizioso, per il quale chi non si fida di sé non può fidarsi dell’altro e
chi non si fida di nessuno non può fidarsi di sé stesso. Solo una conquistata o ri-
conquistata fiducia negli adulti potrà accompagnare i ragazzi a ritrovare la fiducia in
sé stessi.
Erikson preferisce usare il termine speranza, per indicare quella che nel linguaggio
chiamiamo fiducia di base: egli evidenzia che questa forza dell’Io non coincide tanto
con una indimostrata e illimitata fiducia a 360⁰, ma che si tratta piuttosto della
capacità di mantenere la fiducia, nelle persone e negli avvenimenti, pur sapendo che i
desideri potrebbero non avverarsi e il bene potrebbe non compiersi.
Promuovere l’autonomia È la volontà l’effetto del dinamismo polare fra una spinta
all’autonomia, espressione evidente della tensione dell’eros, nella fase evolutiva anale,
e, all’opposto, una tensione inibitoria e paralizzante, espressa dal senso di vergogna.
La volontà esercita sempre soprattutto una spinta al controllo del desiderio. Si tratta
di una seconda capacità fondamentale e precoce dell’Io, che coincide con il potere di
investire e concentrare la propria energia psichica su qualcosa di determinato. La
spinta verso l’autonomia traduce il primo tentativo da parte dell’Io di assumere il
controllo, interno ed esterno, delle proprie funzioni vitali.
Erikson chiama volontà la virtù di sintesi positiva di questo stadio, cioè la capacità di
investire l’energia psichica nella direzione del controllo, interno ed esterno, all’Io
questa virtù sarà la condizione della progressiva autonomia personale del soggetto in
crescita. La lacuna di questa virtù si manifesta nei preadolescenti nel senso di
vergogna. In questo caso
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Il mondo interiorizzato Nella fase fallica, che è anche l’età del gioco e della fantasia, e in
cui si struttura il Super Io, si costituisce il rudimento di quella virtù che Erikson
definisce fermezza di propositi, cioè la capacità di perseguire intenzionalmente delle
mete. Qui le polarità contrapposte sono il senso di iniziativa e il senso di colpa. La
fermezza di propositi altro non è che la capacità attiva dell’Io di investire energia su
obiettivi precisi, e di mantenere l’energia investita in termini costanti fino al
perseguimento dello scopo prefissato. La contrapposizione fra senso di iniziativa e
senso di colpa rivela la presenza di un dialogo interno alla struttura dell’Io e la prima
interiorizzazione di un mondo esterno cui sono stati conferiti significato e valore. La
percezione di una realtà esterna, la scoperta e l’interiorizzazione delle norme, e la
costruzione del Super Io si avviano parallelamente e si intrecciano, già dell’età
compresa fra i tre e i cinque anni.
L’Io infantile opera una sorta di salto nella sua strutturazione interna quando mostra
di aver acquisito il senso della norma.
A partire dagli undici-dodici anni l’allievo è spinto a una verifica critica dell’ordine del
mondo e del valore delle regole, compito di sviluppo che lo rende particolarmente
critico e reattivo alle proposte, ai modelli delle norme, sia in famiglia che a scuola.
È importante che il conflitto tra educatore ed educando non si riduca ad uno scontro
di volontà personali, ma che richiami il soggetto in crescita al significato della sua
azione e della sua condotta.
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Jean Piaget si era posto per primo il problema del rapporto fra la predisposizione
innata delle strutture cognitive umane e l’influenza dell’ambiente culturale, in
particolare della scolarizzazione. Per Bruner esiste una predisposizione genetica al
pensiero formale e ai suoi prodotti; questo patrimonio genetico, dell’individuo e della
specie, subisce uno sviluppo, tendenzialmente auto-espansivo, nel corso dei processi
di crescita dell’intero ambiente culturale e relazionale umano.
L’immaturità osservata dagli insegnanti negli ultimi decenni nei loro allievi è
soprattutto emotivo-affettiva, in termini relativamente indipendenti dalla maturità
cognitiva conquistata. Poiché la crescita comporta la differenziazione e
specializzazione progressive degli apparati psichici in termini di abilità/competenze,
rientra nella normalità la eventualità della riduzione dei potenziali infantili. Non è
detto che un’anticipata maturità cognitiva nell’infanzia acceleri la successiva
maturazione adolescenziale. L’anticipazione delle condotte nell’infanzia e
nell’adolescenza, per via della tolleranza e/o dell’apprezzamento sociale, non
comporta il reale anticipo della maturazione personale, né cognitiva né socioaffettiva.
L’insegnamento e le attività scolastiche in genere hanno lo scopo di perseguire la
stimolazione e il consolidamento di conoscenze, abilità e competenze cognitive e
sociali nell’allievo preadolescente, momento per momento, senza mai dare per
scontata l’acquisizione stabile dello sviluppo pregresso, ma anzi valutando
continuamente la possibilità di stasi e di involuzione di tali abilità. È dunque
necessario continuare a stimolare, sostenere, anticipare, esercitare e consolidare
competenze di preadolescenti e adolescenti, mettendo in conto non solo il mancato
sviluppo delle nuove potenzialità, ma anche il rischio di involuzione di quelle
competenze apparentemente acquisite alla fine del ciclo scolastico elementare.
L’identità come compito di sviluppo della preadolescenza Lo studente, alla fine del
percorso, deve:
Il diritto alla conservazione della cultura d’origine mantiene la sua valenza positiva
solo se accompagnato dal riconoscimento del diritto soggettivo alla trasformazione
della propria identità culturale. Il primato è della persona, non della cultura, ed è la
cultura al servizio della vita umana, e non viceversa.
Il sistema massmediatico non offre una finestra aperta sul mondo perché anche esso
costituisce un sistema di mediazioni culturali. Non ha caratteri di oggettività e neutralità.
L’apparato psichico che chiamiamo Io è il luogo di selezioni e di continue sintesi attive
dell’esperienza culturale, ma nelle fasi precoci del suo sviluppo, e in funzione di una
capacità di selezione ridotta o inesistente, è più facile pensare che le rappresentazioni
introdotte dall’esterno si stratifichino casualmente, determinando un sistema di
aspettative e di precondizioni agli apprendimenti successivi.
Gli insegnanti dovrebbero farsi pilotare non tanto dalle letture che a essi piacciono,
ma tutt’al più da quelle che piacevano loro quando avevano l’età dei loro allievi.
Due laboratori scientifici L’insegnante può ricorrere a molte semplici esperienze fisico-
chimiche e operare scelte anche di contenuto assolutamente diverse, mantenendo
tuttavia la struttura didattica da laboratorio. Nelle situazioni didattiche la scelta dei
contenuti e delle strategie dipende sempre da una serie di valutazioni e di decisioni
preventive, nella cui adeguatezza funzionale risiede appunto la professionalità
docente.
Quale che sia la successione temporale con cui queste modalità si sviluppano, non c’è
dubbio che noi le conserviamo e le utilizziamo tutte quante e per tutto il corso della
vita.
L’identificarsi con il gruppo dei coetanei, che abbiamo visto assumere grande
rilevanza nella preadolescenza, può determinare motivazioni intrinseche e perciò
produttive per l’apprendimento. Insegnanti ed educatori devono relazionarsi sempre
con i singoli gruppi casse.
Una comunicazione umana non è mai una pura espressione di sé. Una comunicazione
suppone un destinatario: si comunica sempre qualcosa a qualcuno. Ciò esige che
esistano condizioni di ascolto nel destinatario: perciò chi intende comunicare
persegue o precostituisce in primo luogo le condizioni di ascolto. Chi comunica, a sua
volta, attende una risposta. Proprio perché aspetta risposte, colui che comunica è
attento a tutti i segnali non verbali che può registrare nei destinatari. La
comunicazione umana efficace si presenta sempre come un dinamismo interattivo.
L’insegnamento è la comunicazione di un oggetto definito a un destinatario designato.
L’insegnare comincia infatti con un atto di pensiero complesso nel quale si
congiungono una percezione, una ideazione e un progetto di comunicazione. Si tratta
di pensare un oggetto definito con riferimento a un destinatario specifico e di trovare
le parole per dire la cosa prescelta come contenuto concreto dell’azione didattica.
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L’interazione comunicativa del docente crea un primo ponte con gli allievi in termini
emozionali e affettivi, costituendo una precondizione alla loro comprensione
intellettuale. Gli alunni avvertono che al docente sta a cuore la cosa che spiega, ma
anche che gli stanno a cuore i ragazzi a cui si rivolge.
Una nota sull’ansia In piccole dosi, l’ansia è un buon attivatore cognitivo, che spesso gli
insegnanti utilizzano quasi inconsapevolmente. L’ansia scaturisce nell’allievo dalla
percezione di una possibile inadeguatezza personale di fronte al compito. Il controllo
e la riduzione dell’ansia nella situazione d’aula diventano per ogni insegnante un
obiettivo specifico: occorre che la soglia ottimale non venga mai superata per tutti gli
allievi presenti. Un livello di ansia è pressoché fisiologico nel preadolescente.
Qualsiasi esposizione frontale costituisce una mediazione didattica nella misura in cui
la rete concettuale proposta nella lezione opera da filtro fra l’oggetto/contenuto
presentato e la mente dell’allievo. Per farsi comprendere occorre una padronanza
conoscitiva che permette all’insegnante di ripensare, e non appena di ricordare, ciò
che intende insegnare. La possibilità in chi insegna di ripensare le cose e trovare le
parole per comunicarle dipende molto da come egli stesso ha studiato e compreso.
Sul piano delle strategie comunicative esiste una grande ricchezza di soluzioni.
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Il primo elemento del contenitore è l’ascolto attivo del docente; un secondo elemento
potrebbe essere fornito dalla qualità globale della sua condizione dentro il gruppo. Gli
insegnanti più efficaci sanno introdurre l’oggetto didattico in termini di tale
concretezza al punto che esso si pone quasi automaticamente come contenitore. In
altre parole: essi contengono l’intero gruppo classe semplicemente mediante la
concentrazione sull’oggetto didattico.
Gli insegnanti tendono spesso a comprare gli allievi fra loro, mentre la comparazione
più importante è quella che va condotta sui miglioramenti di ciascun studente e cioè
rispetto al rapporto tra esiti e potenzialità. Un insegnante che spiega a un allievo la
curva del suo profitto mostra attenzione, interesse, sensibilità educativa.
Ogni allievo sente nella cura dell’insegnante una forma di attesa positiva. La crescita e
i risultati scolastici una forma di attesa positiva. La crescita e i risultati scolastici di un
allievo così motivato ne sono conseguenza diretta.
Una performance può essere incongruente con i risultati paralleli in altri ambiti
disciplinari. È essenziale che i tre livelli di valutazione vengano mantenuti distinti nella
percezione dell’insegnante, anche se essi finiscono ovviamente per intrecciarsi.
Il Cappello Parlante appare il deposito della memoria al tempo stesso del progetto
della scuola di Hogwarts, costituendo una sorta di “Piano dell’Offerta Formativa”. Il
POF è la carta d'identità della scuola: in esso vengono illustrate le linee distintive
dell'istituto, l'ispirazione culturale-pedagogica che lo muove, la progettazione
curricolare, extracurricolare, didattica ed organizzativa delle sue attività. Il Cappello
Parlante ha messo in guardia tutta la scuola dai pericoli imminenti e a mantenere
salda la collaborazione tra le diverse case.
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La scuola buona, nel modello di Silente, è quella che mette assieme le diverse
condizioni umane, psicologiche e/o sociali che siano, prendendosi cura delle nuove
generazioni nella loro interezza.
Silente è il vero Maestro di Harry Potter. Harry ha interiorizzato un “Io vicario” nella
relazione con Silente, che gli permetterà di sostituire il Maestro.
La dedizione di Silente alla scuola e al suo compito di costituire un luogo protetto per i
suoi studenti è ampiamente sottolineata da molteplici episodi. Silente ha la capacità di
avere una fiduciosa attesa verso i cambiamenti delle persone. La sua attenzione a
trattare con dignità ogni essere con cui entra in rapporto può collegarsi alla magia
antica dell’amore. Silente comunque non è perfetto. Si era troppo affezionato ad
Harry e ciò lo aveva portato a mentire, a non porre fiducia nella verità.
L’insegnamento più grande di Silente risiede nella fiducia radicale nella possibilità di
ciascuno di esercitare la propria libertà davanti alle cose e davanti agli altri, andando oltre
il prevedibile e aprendosi all’imprevisto.
Sono le scelte che facciamo, Harry, che dimostrano quel che siamo veramente,
molto più delle nostre capacità
La lezione del Centauro Fiorenzo si basa sul sapere scientifico, libero da ogni
determinismo dogmatico e premessa della libertà etica, che rimane l’obiettivo di ogni
progetto educativo rispettoso della persona.
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