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NOTA
1 Carla Corbella, Resistere ο andarsene? Teologia e psicologia di fronte alla fedeltà nelle
scelte di vita, Bologna: EDB (Psicologia e formazione 42), 2009; pp. 190. € 16,90. ISBN 978-88
10-50842-8.
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GREGORIANUM, VOL 91 (2010) FASC. II: NOTA 371
sto da un punto di vista teologico e psicologico, restare fedeli alla scelta di vita
fatta una volta. La presentazione di una tale motivazione va oltre il lamento sulle
numerose uscite e separazioni e una pura analisi sociologica. Inoltre, quest'opera
è un esempio stimolante di come teologia e psicologia si possono completare a
vicenda, senza che una disciplina riduca l'altra alla sua specificità. Il fatto che il
libro era già in ristampa poco dopo la sua uscita è un segno più che evidente che
Γ Α., indicando una «antropologia compatibile con la fedeltà» (108, 160), ha fatto
un grande servizio a molte persone.
Il testo è strutturato in modo chiaro, è facilmente leggibile e molto stimolante.
È un libro che invita alla riflessione e all'apertura. Tra le molte intuizioni interes
santi, ci sono due ambiti che a mio avviso, sono meritevoli di particolare attenzio
ne. Si tratta delle domande relative all'analisi sul «perché se ne vanno così in
tanti?» legata alla domanda circa la motivazione positiva «perché dovrei restare
fedele?» insieme al ruolo che giocano le Istituzioni al riguardo: «cosa potrebbero
fare (di diverso) gli ordini, le diocesi, la chiesa?»
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care se e quale rapporto ci possa essere tra l'identità della persona e la possibilità
che ella ha di essere fedele» (55). Nella psicologia si riflette (di nuovo) sul sé e sul
l'identità. Però 'personalità', 'sé', Ίο' e 'identità' sono termini difficili da definire ed
è altrettanto difficile separarli l'uno dall'altro. Uno dei motivi che spiega il grande
interesse per il Sé, sta proprio nel fatto che per molti la percezione e la compren
sione di sé è caratterizzata da grande incertezza nei nostri tempi postmoderni.
Riferendosi a Charles Taylor, l'A. spiega che ciò non va valutato in modo nega
tivo come egoismo ο arbitrarietà. Nel postmoderno è importante, ad esempio, tro
vare «una identità che sia in grado di rispondere alla domanda: chi sono io?» (59)
e questo è in linea con una visione cristiana della persona. A questo punto bisogna
però far attenzione ad evitare le due tentazioni estreme: una concezione essenzia
lista - il Sé come 'roccia' immodificabile - e una comprensione costruttivista - il Sé
come 'flusso' senza stabilità. Nessuno di questi due estremi riesce infatti a giusti
ficare né l'esperienza di trasformazione né l'esperienza di stabilità del Sé che fac
ciamo quotidianamente e su cui riflettiamo. Per chiarire questo, si potrebbe para
gonare la vita umana ad un albero, che cresce verso l'alto, si estende, sviluppa
molti rami e allo stesso tempo estende le radici che diventano sempre più profon
de. In questo processo i fattori esterni hanno il loro influsso (la terra e la roccia su
cui sta la pianta, il tempo, il vento, l'acqua), ma anche i fattori interni (di che tipo
di pianta si tratta). Si può cercare di costringere la pianta in un 'corsetto', si può
cercare di farla crescere solo in una certa direzione ο fino ad una determinata
altezza. Ciò significherebbe però un grande impegno nel dover controllare i fatto
ri esterni e aver come risultato solo piante tutte della stessa forma. Nei seminari e
in molte congregazioni maschili fino al Concilio Vaticano II c'era una tendenza a
favorire questo stile di uniformità e costanza. In molte comunità religiose femmi
nili e in alcune comunità maschili, questo fino ad oggi sembra essere l'ideale di
fedeltà. Ciò porta però, al più tardi al momento del contatto con il mondo fuori dal
seminario ο del convento, a tensioni troppo grosse, spesso eccessive, causate dal
contrasto tra l'educazione ricevuta e l'impulso a crescere, che trae forza dai biso
gni che sono stati negati. Molto spesso queste tensioni hanno come conseguenza
ο delle uscite improvvise ο uno stile di vita non sano e incoerente.
Si potrebbe pensare - e questo sarebbe l'altro estremo - che un albero potreb
be crescere meglio in un altro posto. Questa possibilità dipende molto da quanto
tempo un albero è stato in un certo posto e ha messo lì le sue radici, e in ogni caso
è una possibilità che comporta un alto prezzo da pagare. Ο le radici possono esse
re tolte, e qualcuna verrà comunque tagliata, oppure - se non resta altro da fare -
si taglia il tronco e si cerca di piantarlo di nuovo da un'altra parte. Non sappiamo
se l'albero metterà nuove radici, quanto a lungo avrà bisogno di sostegni esterni,
di una quantità supplementare di concime e di acqua, se darà ancora frutto ο saprà
offrire ombra. Ciò non è escluso, ma bisogna in ogni caso aspettare. Ci sono casi
in cui si deve ammettere che un albero dovrebbe essere trapiantato. Quando in una
coppia ci sono solo freddezza e odio, quando un sacerdote nonostante anni di
sforzi e di accompagnamento non trova nella relazione con il Signore sostegno e
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GREGORIANUM, VOL 91 (2010) FASC. Π: NOTA 373
senso, quando una giovane religiosa ben formata è costantemente esposta a gelo
sie intense e ad un controllo senza pietà, allora si dovrà dire, da un punto di vista
umano, che per la salute degli interessati e per la testimonianza che dovrebbero
dare queste vocazioni, sarà meglio trapiantare l'albero. Ci sono alcuni santi che in
questo senso sono stati 'trapiantati': ad esempio san Nicolao della Fliìe, che ha
lasciato la sua famiglia per diventare eremita; Teresa d'Avila, che ha riformato il
suo ordine e fondato un ordine maschile; Teresa di Calcutta, che è uscita dalla sua
congregazione per servire Cristo nei poveri. Ma - e ne vale la pena sottolinearlo -
molti di quelli che rinunciano alla propria scelta di vita al giorno d'oggi, lo fanno
troppo velocemente e senza troppe riflessioni. Chi lascia una comunità per entra
re in un'altra ο per vivere una vita di coppia porta con sé se stesso/a con tutte le
dinamiche interiori irrisolte e molte modalità di comportamento che ha ormai
acquisito. Per questo spesso si giunge anche nelle nuove costellazioni a crisi e
separazioni prima che ci si possa aspettare dei frutti. Nell'ambito dell'accompa
gnamento vocazionale un saggio commento recita così: «Chi pensa di uscire ο di
separarsi dovrebbe utilizzare per il processo di decisione lo stesso tempo che ha
usato quando ha deciso di entrare in seminario ο in una congregazione ο quando
ha deciso di sposare una certa persona». Ciò che è cresciuto in cinque, dieci ο quin
dici anni non può essere reciso responsabilmente in due ο dodici mesi sia umana
mente che spiritualmente.
Una volta, partendo da un pensiero che dava grande importanza alla legge e
all'ordine, si richiedeva normalmente la perseveranza nelle scelte fatte. Questo ha
portato talvolta a sofferenze indicibili, proprio perché le relazioni fallimentari
sono distruttive per la vita delle persone. Al giorno d'oggi, al contrario, si tende a
sciogliere in modo troppo rapido i legami senza pensare sufficientemente ai danni
e alle ferite che può causare un taglio nelle relazioni. Per trovare la giusta misura
i cristiani qui devono mettere in atto ed approfondire sempre di nuovo l'esercizio
di una ponderazione onesta e sobria.
Entrambi gli estremi - quello di 'destra' dell'uniformità e dell'immutabilità e
quello di 'sinistra' della arbitrarietà e della precarietà - precludono ogni possibili
tà di sviluppo. Uno perché nega che la vita ha bisogno di spazio e di tempo per svi
lupparsi, l'altro perché non riconosce che la vita ha bisogno di una meta e di sta
bilità per portare frutto. L'A. formula questo così: «Ciò dimostra che l'identità
implica contemporaneamente continuità e consistenza, ma anche cambiamento e
flessibilità» (65).
Le crisi, che ci sono in ogni vita, non sono dunque né catastrofi, contro le quali
bisogna porre resistenza ad ogni costo (resistere!) e nemmeno le migliori opportu
nità per scappare in fretta da tensioni ο sfide (andarsene!). Le crisi di identità sono
piuttosto un invito a raggiungere un fondamento nuovo, più profondo e più pieno
per la fedeltà («Identità e fedeltà sono due poli della stessa realtà: ognuno di essi
ha bisogno dell'altro [...]. Ogni loro integrazione crea una nuova tensione e la ricer
ca di un nuovo incontro non si acquieta mai. L'identità ha, dunque, un suo svilup
po» [77]).
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(medesimezza) e [...] diversità (ipseità)» (66) può aiutarci a leggere questa dialetti
ca tra identità e fedeltà alla luce di un'immagine giudaico-cristiana di persona
umana. Basta solo pensare al cammino di Israele nel deserto, in cui il popolo attra
verso tutte le tentazioni e i tradimenti ha sempre ritrovato l'alleanza, il cui garan
te è la fedeltà di Dio. In una prospettiva narrativa ci sono livelli di decisione con
sci e basati sulla volontà con le necessarie e salutari confrontazioni con i valori
oggettivi (cioè indipendenti dal mio giudizio e soprattutto dai miei sentimenti del
momento) (cf. 71-75). In questa definizione di sé di tipo narrativo anche gli aspet
ti affettivi hanno il loro posto: «Si è fedeli alla parola data, ma anche al cuore dona
to» (68). Solo così non si perde di vista l'uomo nella sua totalità e si impara a veder
lo come mistero, che nell'arco della sua vita trova se stesso di fronte ad un
altro/Altro attraversando diversi stadi di sviluppo (cf. 77-82, in riferimento ai tre
«parametri di sviluppo» ripresi dal pensiero di Franco Imoda).
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in realtà, quel Dio non è stato soggettivato per cui non è in grado di orientare signi
ficativamente la vita» (107).
A questo punto si presentano due domande fondamentali che affrontano la
questione da due prospettive diverse: quella della singola persona e quella della
comunità: quante comunità ο diocesi vogliono davvero e sono in grado di dare un
tale accompagnamento personale e intenso alle coppie, ai sacerdoti e alle persone
consacrate? D'altra parte: se una comunità non può offrire un tale accompagna
mento, significa automaticamente che il singolo/la singola è giustificato/a ad usci
re? Una conseguenza necessaria è di formare accompagnatori e formatori capaci
di aiutare le persone a vivere il loro più profondo desiderio di Dio e di un amore
che non ha bisogno di calcolare.
La fedeltà cristiana trova la sua immagine originaria e il suo valore più alto in
Gesù Cristo (cap. 5: «La fedeltà cristiana: il plus-valore cristologico» [109-136]). Il
cammino della vita e della fede dell'apostolo Pietro viene letto «come luogo teolo
gico in cui il valore Cristo si è innestato sull'identità dell'uomo rendendolo capace
di una fedeltà fino al martirio» (111).
Il penultimo capitolo (cap. 6: «Voti ad tempus: una soluzione alle difficoltà
della fedeltà?» [137-154]) tratta la questione se l'inserimento e lo 'sconto' di Voti
ad tempus renderebbero più facile - per lo meno nel tempo - vivere e praticare la
fedeltà. A parte il fatto che manca una adeguata riflessione teologica per una tale
forma di vita (cf. 141-148), da un punto di vista antropologico il punto decisivo è
«nel significato che la persona dà alla scelta che fa [...]. Se i voti sono solo una
modalità esterna di espressione della propria opzione fondamentale per Dio allo
ra il loro essere ad tempus non crea particolari problemi: il cambiamento della
forma, cioè il non rinnovo dei voti, non incide sull'opzione fondamentale cui si
resta fedeli» (152).
L'intreccio di identità e fedeltà che nasce da un dono totale e senza riserve cam
bia per forza - come l'A. spiega in modo convincente - nel caso dei voti ad tempus
(152f).
Alla fine i singoli capitoli vengono riassunti in «una parziale conclusione» (cap.
7; 155-162) e vengono esposti nella loro unità. È un grande merito dell'A. l'aver
affrontato in modo aperto e diretto una questione difficile ed altamente significa
tiva da un punto di vista ecclesiale. In tutto il suo lavoro l'A. non ha perso di vista
i bisogni e le domande che nascono dalla formazione e dalla vita, tenendo sempre
presente l'orizzonte ultimo: «tu in cosa credi? Qual è il riferimento assoluto in
base al quale definisci la tua vita come buona e bella?» (161).
Come cristiani crediamo che Gesù Cristo nella sua incarnazione, nel dono di sé
sulla croce e nella risurrezione ha vissuto la sua fedeltà al Padre e a noi uomini e
così ci ha redenti. Il centro della Sua fedeltà è la Sua identità come figlio di Dio e
come figlio dell'uomo. Chi entra in una relazione personale con Gesù Cristo, sco
prirà che la Sua fedeltà ci permette di essere fedeli a Lui e alle persone a cui Lui ci
manda. Questo è l'invito ad una vita affascinante, bella e buona.
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GREGORIANUM, VOL 91 (2010) FASC. Π: NOTA 377
4 José Rafael Prada Ramìrez, Psicologia e formazione. Prìncipi psicologici nella formazione per il
Sacerdozio e la Vita consacrata (a cura di Α. V. Amarante - G. Witaszek), Roma: Editiones
Academiae Alfonsianae (Quaestiones Morales 15), 2009, pp. 304. € 27,00. ISBN 978-88-9038083-9.
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378 GREGORIANUM, VOL 91 (2010) FASC. II: NOTA
5 Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicolo
giche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al Sacerdozio (Roma, 29 giugno 2008). Per
un commento introduttivo al documento cf. G. Cucci - H. Zollner, «Il contributo della psicologia
nella formazione al sacerdozio» in La Civiltà Cattolica 160 (2009/1), quaderno 3807, 249-256.
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