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GBPress- Gregorian Biblical Press

«Fedeltà creativa e identità umana» Vocazione cristiana e psicologia


Author(s): Hans Zollner and Grazia Vittigni
Source: Gregorianum, Vol. 91, No. 2 (2010), pp. 370-378
Published by: GBPress- Gregorian Biblical Press
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23582081
Accessed: 11-07-2016 10:32 UTC

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NOTA

«Fedeltà creativa e identità umana»


Vocazione cristiana e psicologia

È ancora possibile e permesso al giorno d'oggi promettere di vivere «per sem


pre» una vita secondo i consigli evangelici oppure una vita sacerdotale ο di resta
re fedeli nel matrimonio ad un'altra persona «finché morte non ci separi»? Quelli
che credono ancora possibile una scelta di vita e vi restano fedeli non sono perso
ne ossessive, estranee alla vita oppure patologiche? Le notizie sui politici ο sulle
stelle del cinema non sono forse una prova che non è possibile vivere per tutta la
vita nel modo in cui ce lo si era immaginato ο si aveva promesso negli anni della
gioventù? Nella nostra società nulla è così stabile come il cambiamento. Dobbiamo
essere mobili. Sembra che la cosa più importante sia cercare sempre di nuovo ciò
che va bene per il singolo e nuotare nel fiume della vita - anche se non si sa che
cambiamenti di direzione prende questo fiume e dove porterà. Non è dunque inge
nuo aspettarsi che ci si impegni una volta per sempre a vivere una vita secondo i
voti, oppure nel celibato, oppure nella fedeltà matrimoniale? Questo non è contra
rio al diritto che ogni uomo ha alla sua libertà?
Chi si guarda attorno nel mondo di oggi si imbatte in queste domande - e alle
risposte 'fattive' che vengono date: il numero di coloro che lasciano il sacerdozio,
la loro comunità religiosa ο che si separano resta costantemente alto ο addirittura
aumenta, anche se sono sempre meno le persone che si impegnano con un legame
definitivo. Una reazione tipica a questa situazione è lamentarsi della meschinità
del mondo. Allora ci si rifugia in un castello («dobbiamo rinchiuderci in modo che
questo mondo cattivo non avveleni anche noi!») e si diventa aggressivi ο depressi.
Si richiamano quelli «là fuori» perché si ravvedano e si rendano conto del loro com
portamento sbagliato e si fa appello con grande insistenza e tante buone motiva
zioni alla ragione e alla disponibilità alla conversione.
Un primo libro1 che consideriamo affronta la questione in un altro modo e dun
que è una buona opportunità per tutti coloro che si pongono le domande soprac
citate. L'A. presenta in modo sobrio, con serietà scientifica ed eleganza linguistica
ciò che spesso manca: una motivazione positiva del perché è sensato, sano e giù

1 Carla Corbella, Resistere ο andarsene? Teologia e psicologia di fronte alla fedeltà nelle
scelte di vita, Bologna: EDB (Psicologia e formazione 42), 2009; pp. 190. € 16,90. ISBN 978-88
10-50842-8.

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GREGORIANUM, VOL 91 (2010) FASC. II: NOTA 371

sto da un punto di vista teologico e psicologico, restare fedeli alla scelta di vita
fatta una volta. La presentazione di una tale motivazione va oltre il lamento sulle
numerose uscite e separazioni e una pura analisi sociologica. Inoltre, quest'opera
è un esempio stimolante di come teologia e psicologia si possono completare a
vicenda, senza che una disciplina riduca l'altra alla sua specificità. Il fatto che il
libro era già in ristampa poco dopo la sua uscita è un segno più che evidente che
Γ Α., indicando una «antropologia compatibile con la fedeltà» (108, 160), ha fatto
un grande servizio a molte persone.
Il testo è strutturato in modo chiaro, è facilmente leggibile e molto stimolante.
È un libro che invita alla riflessione e all'apertura. Tra le molte intuizioni interes
santi, ci sono due ambiti che a mio avviso, sono meritevoli di particolare attenzio
ne. Si tratta delle domande relative all'analisi sul «perché se ne vanno così in
tanti?» legata alla domanda circa la motivazione positiva «perché dovrei restare
fedele?» insieme al ruolo che giocano le Istituzioni al riguardo: «cosa potrebbero
fare (di diverso) gli ordini, le diocesi, la chiesa?»

Perché se ne vanno così in tanti? - Perché dovrei restare fedele?


Dopo la presentazione di una lettura critica degli articoli su questo tema (che
sono relativamente pochi) apparsi nelle riviste teologiche in Italia, Francia e Spagna
(cap. 1: «Fedeltà: un tema ancora interessante?» [15-34]), l'A. nota che nella rifles
sione teologica sulle molte uscite «si parte dal problema, dalla crisi e non da una
riflessione sul valore (della vita consacrata e sacerdotale) in sé» (23). La risposta
del Magistero (per esempio in Pastores dabo vobis) sta nell'indicare Gesù Cristo
come sorgente e motivazione profonda per la fedeltà al proprio stato di vita.
Insieme all'Α., a conclusione del secondo capitolo («Magistero e Fedeltà» [35-54])
bisogna però chiedersi se le persone al giorno d'oggi sono nelle condizioni e come
possono diventare capaci di vivere ciò che il magistero sottolinea con insistenza:
«chi è ο chi desidera diventare l'uomo chiamato a vivere [...] la fedeltà come rispo
sta al Dio fedele?» (54). Il riferimento accademico-teologico alla volontà di Dio da
solo non può essere un aiuto sufficiente per fare una scelta definitiva capace di
sostenere una persona per tutta la vita ο per poter restare fedeli a ciò che si è scel
to. Questo può riuscire solo se l'uomo viene preso in considerazione in tutte le sue
dimensioni - quella cognitiva, affettiva e relazionale. Ciò significa prestare atten
zione alle mozioni umane e spirituali, all'Io Ideale e all'Io Attuale, alle riflessioni
razionali e alle reazioni affettive, alla preghiera personale così come allo scambio
spirituale nella comunità e con un direttore spirituale. L'A. vede in tutto ciò «la
necessità di una maggiore integrazione tra teologia e antropologia» (54) e crea così
il ponte sulla prospettiva in cui si pongono le scienze umane, che presenta nei
capitoli successivi.
L'approccio all'argomento nella prospettiva della psicologia del profondo (cap.
3: «Identità e fedeltà: la prospettiva della psicologia del profondo» [55-82]) è cen
trato sulla tensione dialettica tra «fedeltà creativa e l'identità umana che, a sua
volta, è caratterizzata da continuità e cambiamento. La domanda di fondo è verifi

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care se e quale rapporto ci possa essere tra l'identità della persona e la possibilità
che ella ha di essere fedele» (55). Nella psicologia si riflette (di nuovo) sul sé e sul
l'identità. Però 'personalità', 'sé', Ίο' e 'identità' sono termini difficili da definire ed
è altrettanto difficile separarli l'uno dall'altro. Uno dei motivi che spiega il grande
interesse per il Sé, sta proprio nel fatto che per molti la percezione e la compren
sione di sé è caratterizzata da grande incertezza nei nostri tempi postmoderni.
Riferendosi a Charles Taylor, l'A. spiega che ciò non va valutato in modo nega
tivo come egoismo ο arbitrarietà. Nel postmoderno è importante, ad esempio, tro
vare «una identità che sia in grado di rispondere alla domanda: chi sono io?» (59)
e questo è in linea con una visione cristiana della persona. A questo punto bisogna
però far attenzione ad evitare le due tentazioni estreme: una concezione essenzia
lista - il Sé come 'roccia' immodificabile - e una comprensione costruttivista - il Sé
come 'flusso' senza stabilità. Nessuno di questi due estremi riesce infatti a giusti
ficare né l'esperienza di trasformazione né l'esperienza di stabilità del Sé che fac
ciamo quotidianamente e su cui riflettiamo. Per chiarire questo, si potrebbe para
gonare la vita umana ad un albero, che cresce verso l'alto, si estende, sviluppa
molti rami e allo stesso tempo estende le radici che diventano sempre più profon
de. In questo processo i fattori esterni hanno il loro influsso (la terra e la roccia su
cui sta la pianta, il tempo, il vento, l'acqua), ma anche i fattori interni (di che tipo
di pianta si tratta). Si può cercare di costringere la pianta in un 'corsetto', si può
cercare di farla crescere solo in una certa direzione ο fino ad una determinata
altezza. Ciò significherebbe però un grande impegno nel dover controllare i fatto
ri esterni e aver come risultato solo piante tutte della stessa forma. Nei seminari e
in molte congregazioni maschili fino al Concilio Vaticano II c'era una tendenza a
favorire questo stile di uniformità e costanza. In molte comunità religiose femmi
nili e in alcune comunità maschili, questo fino ad oggi sembra essere l'ideale di
fedeltà. Ciò porta però, al più tardi al momento del contatto con il mondo fuori dal
seminario ο del convento, a tensioni troppo grosse, spesso eccessive, causate dal
contrasto tra l'educazione ricevuta e l'impulso a crescere, che trae forza dai biso
gni che sono stati negati. Molto spesso queste tensioni hanno come conseguenza
ο delle uscite improvvise ο uno stile di vita non sano e incoerente.
Si potrebbe pensare - e questo sarebbe l'altro estremo - che un albero potreb
be crescere meglio in un altro posto. Questa possibilità dipende molto da quanto
tempo un albero è stato in un certo posto e ha messo lì le sue radici, e in ogni caso
è una possibilità che comporta un alto prezzo da pagare. Ο le radici possono esse
re tolte, e qualcuna verrà comunque tagliata, oppure - se non resta altro da fare -
si taglia il tronco e si cerca di piantarlo di nuovo da un'altra parte. Non sappiamo
se l'albero metterà nuove radici, quanto a lungo avrà bisogno di sostegni esterni,
di una quantità supplementare di concime e di acqua, se darà ancora frutto ο saprà
offrire ombra. Ciò non è escluso, ma bisogna in ogni caso aspettare. Ci sono casi
in cui si deve ammettere che un albero dovrebbe essere trapiantato. Quando in una
coppia ci sono solo freddezza e odio, quando un sacerdote nonostante anni di
sforzi e di accompagnamento non trova nella relazione con il Signore sostegno e

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GREGORIANUM, VOL 91 (2010) FASC. Π: NOTA 373

senso, quando una giovane religiosa ben formata è costantemente esposta a gelo
sie intense e ad un controllo senza pietà, allora si dovrà dire, da un punto di vista
umano, che per la salute degli interessati e per la testimonianza che dovrebbero
dare queste vocazioni, sarà meglio trapiantare l'albero. Ci sono alcuni santi che in
questo senso sono stati 'trapiantati': ad esempio san Nicolao della Fliìe, che ha
lasciato la sua famiglia per diventare eremita; Teresa d'Avila, che ha riformato il
suo ordine e fondato un ordine maschile; Teresa di Calcutta, che è uscita dalla sua
congregazione per servire Cristo nei poveri. Ma - e ne vale la pena sottolinearlo -
molti di quelli che rinunciano alla propria scelta di vita al giorno d'oggi, lo fanno
troppo velocemente e senza troppe riflessioni. Chi lascia una comunità per entra
re in un'altra ο per vivere una vita di coppia porta con sé se stesso/a con tutte le
dinamiche interiori irrisolte e molte modalità di comportamento che ha ormai
acquisito. Per questo spesso si giunge anche nelle nuove costellazioni a crisi e
separazioni prima che ci si possa aspettare dei frutti. Nell'ambito dell'accompa
gnamento vocazionale un saggio commento recita così: «Chi pensa di uscire ο di
separarsi dovrebbe utilizzare per il processo di decisione lo stesso tempo che ha
usato quando ha deciso di entrare in seminario ο in una congregazione ο quando
ha deciso di sposare una certa persona». Ciò che è cresciuto in cinque, dieci ο quin
dici anni non può essere reciso responsabilmente in due ο dodici mesi sia umana
mente che spiritualmente.
Una volta, partendo da un pensiero che dava grande importanza alla legge e
all'ordine, si richiedeva normalmente la perseveranza nelle scelte fatte. Questo ha
portato talvolta a sofferenze indicibili, proprio perché le relazioni fallimentari
sono distruttive per la vita delle persone. Al giorno d'oggi, al contrario, si tende a
sciogliere in modo troppo rapido i legami senza pensare sufficientemente ai danni
e alle ferite che può causare un taglio nelle relazioni. Per trovare la giusta misura
i cristiani qui devono mettere in atto ed approfondire sempre di nuovo l'esercizio
di una ponderazione onesta e sobria.
Entrambi gli estremi - quello di 'destra' dell'uniformità e dell'immutabilità e
quello di 'sinistra' della arbitrarietà e della precarietà - precludono ogni possibili
tà di sviluppo. Uno perché nega che la vita ha bisogno di spazio e di tempo per svi
lupparsi, l'altro perché non riconosce che la vita ha bisogno di una meta e di sta
bilità per portare frutto. L'A. formula questo così: «Ciò dimostra che l'identità
implica contemporaneamente continuità e consistenza, ma anche cambiamento e
flessibilità» (65).
Le crisi, che ci sono in ogni vita, non sono dunque né catastrofi, contro le quali
bisogna porre resistenza ad ogni costo (resistere!) e nemmeno le migliori opportu
nità per scappare in fretta da tensioni ο sfide (andarsene!). Le crisi di identità sono
piuttosto un invito a raggiungere un fondamento nuovo, più profondo e più pieno
per la fedeltà («Identità e fedeltà sono due poli della stessa realtà: ognuno di essi
ha bisogno dell'altro [...]. Ogni loro integrazione crea una nuova tensione e la ricer
ca di un nuovo incontro non si acquieta mai. L'identità ha, dunque, un suo svilup
po» [77]).

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Il concetto di Paul Ricoeur di «identità narrativa» nella dialettica tra «stabilità

(medesimezza) e [...] diversità (ipseità)» (66) può aiutarci a leggere questa dialetti
ca tra identità e fedeltà alla luce di un'immagine giudaico-cristiana di persona
umana. Basta solo pensare al cammino di Israele nel deserto, in cui il popolo attra
verso tutte le tentazioni e i tradimenti ha sempre ritrovato l'alleanza, il cui garan
te è la fedeltà di Dio. In una prospettiva narrativa ci sono livelli di decisione con
sci e basati sulla volontà con le necessarie e salutari confrontazioni con i valori
oggettivi (cioè indipendenti dal mio giudizio e soprattutto dai miei sentimenti del
momento) (cf. 71-75). In questa definizione di sé di tipo narrativo anche gli aspet
ti affettivi hanno il loro posto: «Si è fedeli alla parola data, ma anche al cuore dona
to» (68). Solo così non si perde di vista l'uomo nella sua totalità e si impara a veder
lo come mistero, che nell'arco della sua vita trova se stesso di fronte ad un
altro/Altro attraversando diversi stadi di sviluppo (cf. 77-82, in riferimento ai tre
«parametri di sviluppo» ripresi dal pensiero di Franco Imoda).

Cosa possono fare (di diverso) le congregazioni, le diocesi, la chiesa?


Sulla base di questa visione dei rapporti tra identità e fedeltà fondata sulla psi
cologia del profondo, l'A. torna di nuovo alla visione ecclesiale - istituzionale della
fedeltà (cap. 4: «Fedeltà e identità: la proposta cristiana in dialogo con la psicolo
gia» [83-108]). La relazione tra psicologia e teologia/chiesa viene chiarita all'inizio:
«Il tema cristiano della fedeltà presuppone e mantiene ciò che di essa si può dire
su un piano psicologico, ma anche lo perfeziona e lo supera» (86). Seguendo la dia
lettica di questa affermazione l'A. sottolinea entrambe le cose: l'indicazione ogget
tiva e autorevole della necessità della fedeltà a Cristo da parte della chiesa deve
essere accompagnata dalla visione psicologica «di rileggere [...] la fedeltà [...] come
modalità necessaria per la piena realizzazione dell'Io implicando a un tempo con
tinuità e creatività» (87).
Spesso però la fedeltà nella vita matrimoniale, sacerdotale e religiosa non viene
sperimentata come qualcosa che tocca la relazione personale con Dio e come qual
cosa che appartiene e porta ad una pienezza di umanità. Da questa miopia indivi
dualistica, si esce solo se si impara a comprendersi «in chiave relazionale» (cf. 87s).
La fedeltà è stata ed è tuttora compresa - anche nei documenti ecclesiali - in modo
unilaterale come una virtù che interessa solo me stesso - «come personale, dun
que appartenente al livello intrapsichico» (91; cf. anche 101).
Nel contesto attuale - si potrebbe completare: in base ad una immagine cristia
na di Dio e dell'uomo - però è necessario indicare che «la propria identità è defi
nita, anche se non determinata, nella e dalla relazione» (91).2 Un secondo elemen
to, a cui va attribuito un ruolo centrale nella trasmissione della posizione cristia
na, è la componente affettiva: «Non si è fedeli a valori astratti, ma a valori che sono
internalizzati e che vanno a costituire l'identità propria della persona implicando,
così, una chiara adesione dell'affetto» (93).
Solo se ci si gioca anche affettivamente, oltre una convinzione cognitiva e una
decisione della volontà, ci si potrà legare a Qualcuno e vivere in modo duraturo la

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sequela di Gesù. Qui ci si potrebbe interrogare su come la psicologia può aiutare a


chiarire l'elemento affettivo nelle sue parti consce e inconsce, in modo che questo
sia di aiuto ad amare realmente il prossimo. Un tale amore porta oltre se stessi,
perché «l'amore come abbandono in un altro implica sempre espropriazione e
superamento del limite, ma proprio in questo superamento si apre un orizzonte
che va oltre se stessi» (95). Con ragione l'A. fa notare che una psicologia filantro
pica qui giunge al suo limite, perché non ha una visione cristiana dell'amore.
Ma anche il puro appello al resistere per forza di volontà e convinzione non porta
molto avanti (96). Per questo, a mio avviso, il titolo del libro non è molto illuminan
te e non rispetta il tenore dell'argomentazione. Non si tratta solo di resistere. Se così
fosse, «resistono solo le persone forti, fredde, decise per cui la formazione [...] deve
mirare a formare tali persone: solide, eroiche nel vivere la fedeltà in completa abne
gazione di sé. Ma questo, oggi come oggi, non dà gli esiti sperati» (102).
In questo contesto l'A. giunge a parlare esplicitamente della mediazione istituzio
nale e dell'aiuto che questa può offrire per compiere una scelta di vita. Ciò che attual
mente vediamo - il numero di separazioni e uscite - ci fa dedurre che da entrambe
le parti - dell'individuo e dell'istituzione - ci sono delle mancanze. Un esempio par
ticolarmente eclatante sembrano essere le comunità religiose femminili. Oggi come
una volta ci sono delle giovani donne che cercano una forma di vita spirituale. Ma
per molte di loro è difficile trovarsi nelle congregazioni esistenti e nella loro forma
di vita comunitaria. Ciò ha certamente molteplici motivazioni e richiede agli indivi
dui di inserirsi nelle istituzioni con le loro necessarie peculiarità.3
Ma bisogna anche chiedersi se la rispettiva congregazione ο diocesi adempie (o
è in grado di adempiere) la sua responsabilità «rispetto all'aiuto che dà al singolo
per vivere concretamente la chiamata ricevuta» (101).
Il compito delle istituzioni non sta solo nel moltiplicare le offerte formative ο
nel prolungare il tempo della formazione. Si tratta piuttosto di una personalizza
zione: «Una possibilità sarebbe quella di partire dall'identità [...] per creare nuovi
nessi tra come l'uomo oggi costruisce la sua identità e il valore della fedeltà, ricor
dando che egli [...] apprende bene perché assorbito in una relazione significativa
con l'altro. La propria identità è plasmata dall'incontro con l'altro ben oltre l'acco
glienza e l'empatia, perché proprio in questo incontro è stimolata una diversa sin
tesi di ciò che si è» (102).
Qui non si può che concordare con l'A.: solo chi si apre ad un'altra persona (il
formatore) manifestando le sue domande e il suo desiderio più profondo può
imparare a vivere la sua scelta di vita come scelta di Dio, altrimenti si rischia «di
essere pagano: pur dicendo e dicendosi di progettare la propria vita secondo Dio,

2 Cf. G. Tripani, «La fragilità vocazionale» in Bollettino UISG - Unione Internazionale


Superiore Generali (Roma), no. 139 (2009) 32-41.
3 Cf. lo studio empirico di K. Kluitmann, Die Letzte macht das Licht an. Eine psychologische
Untersuchung zur Situation junger Frauen in apostolisch-tàtigen Ordensgemeinschaften in
Deutschland, Miinster, 22008.

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in realtà, quel Dio non è stato soggettivato per cui non è in grado di orientare signi
ficativamente la vita» (107).
A questo punto si presentano due domande fondamentali che affrontano la
questione da due prospettive diverse: quella della singola persona e quella della
comunità: quante comunità ο diocesi vogliono davvero e sono in grado di dare un
tale accompagnamento personale e intenso alle coppie, ai sacerdoti e alle persone
consacrate? D'altra parte: se una comunità non può offrire un tale accompagna
mento, significa automaticamente che il singolo/la singola è giustificato/a ad usci
re? Una conseguenza necessaria è di formare accompagnatori e formatori capaci
di aiutare le persone a vivere il loro più profondo desiderio di Dio e di un amore
che non ha bisogno di calcolare.
La fedeltà cristiana trova la sua immagine originaria e il suo valore più alto in
Gesù Cristo (cap. 5: «La fedeltà cristiana: il plus-valore cristologico» [109-136]). Il
cammino della vita e della fede dell'apostolo Pietro viene letto «come luogo teolo
gico in cui il valore Cristo si è innestato sull'identità dell'uomo rendendolo capace
di una fedeltà fino al martirio» (111).
Il penultimo capitolo (cap. 6: «Voti ad tempus: una soluzione alle difficoltà
della fedeltà?» [137-154]) tratta la questione se l'inserimento e lo 'sconto' di Voti
ad tempus renderebbero più facile - per lo meno nel tempo - vivere e praticare la
fedeltà. A parte il fatto che manca una adeguata riflessione teologica per una tale
forma di vita (cf. 141-148), da un punto di vista antropologico il punto decisivo è
«nel significato che la persona dà alla scelta che fa [...]. Se i voti sono solo una
modalità esterna di espressione della propria opzione fondamentale per Dio allo
ra il loro essere ad tempus non crea particolari problemi: il cambiamento della
forma, cioè il non rinnovo dei voti, non incide sull'opzione fondamentale cui si
resta fedeli» (152).
L'intreccio di identità e fedeltà che nasce da un dono totale e senza riserve cam
bia per forza - come l'A. spiega in modo convincente - nel caso dei voti ad tempus
(152f).
Alla fine i singoli capitoli vengono riassunti in «una parziale conclusione» (cap.
7; 155-162) e vengono esposti nella loro unità. È un grande merito dell'A. l'aver
affrontato in modo aperto e diretto una questione difficile ed altamente significa
tiva da un punto di vista ecclesiale. In tutto il suo lavoro l'A. non ha perso di vista
i bisogni e le domande che nascono dalla formazione e dalla vita, tenendo sempre
presente l'orizzonte ultimo: «tu in cosa credi? Qual è il riferimento assoluto in
base al quale definisci la tua vita come buona e bella?» (161).
Come cristiani crediamo che Gesù Cristo nella sua incarnazione, nel dono di sé
sulla croce e nella risurrezione ha vissuto la sua fedeltà al Padre e a noi uomini e
così ci ha redenti. Il centro della Sua fedeltà è la Sua identità come figlio di Dio e
come figlio dell'uomo. Chi entra in una relazione personale con Gesù Cristo, sco
prirà che la Sua fedeltà ci permette di essere fedeli a Lui e alle persone a cui Lui ci
manda. Questo è l'invito ad una vita affascinante, bella e buona.

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GREGORIANUM, VOL 91 (2010) FASC. Π: NOTA 377

Come utilizzare la psicologia nella formazione?


Il secondo libro,4 che viene presentato, spiega le possibilità e l'utilizzo di prin
cipi psicologici nella formazione al sacerdozio e alla vita consacrata. L'A., colom
biano, psicologo e docente di teologia morale, è riuscito a sviluppare un program
ma integrativo di formazione per le vocazioni ecclesiali. Nel capitolo 1 del suo libro
(«Rottura ο continuità nella formazione?» [17-41]), egli descrive innanzitutto ciò
che lui considera le due generazioni profondamente diverse di sacerdoti e perso
ne consacrate: quelli che hanno fatto il loro noviziato prima del Concilio e quelli
che entrano adesso. A mio avviso, però, questo non coglie nel segno. Bisognerebbe
piuttosto parlare di quattro generazioni: quelli sopra i 70 anni, che hanno ricevu
to tutta la loro formazione prima del Concilio, quelli tra 55 e 70 anni, che hanno
ricevuto la loro formazione durante e immediatamente dopo il Concilio; quelli tra
i 35 e i 55 anni, che sono cresciuti spesso ancora in un ambiente che possiamo defi
nire cattolico in senso classico e che non sono stati toccati dalle lotte della gene
razione postconciliare, e quelli tra i 20 e i 35 anni che vengono non raramente da
famiglie allargate con una scarsa formazione religiosa e spirituale.
Nella sua analisi egli pone in modo schematico il moderno e il postmoderno
uno di fronte all'altro. All'A. sta a cuore non dare un'immagine negativa e unilate
rale della società attuale. In molte nuove realtà egli scopre possibili punti di par
tenza per una vita cristiana impegnata. Questo costituisce senza dubbio la linea di
fondo positiva che attraversa tutto il libro. Nel capitolo 11 («Alcuni casi particolar
mente difficili nella formazione» [219-237]) l'A. presenta una raccolta apparente
mente arbitraria di problemi (mentalità laicista accanto a omosessualità, tossicodi
pendenza e disturbi mentali), che i formatori si devono porre. Mi pare però che l'A.
(a differenza di C. Corbella, cf. sopra) non abbia realmente capito ciò che muove i
(più ο meno) giovani interessati alla vita consacrata ο al sacerdozio nella loro ricer
ca di senso e orientamento e quali conseguenze abbia questo per la scelta di vita
e la formazione. In questo modo viene messa in discussione la comprensione di sé
che hanno la Chiesa, i sacerdoti, i religiosi e i loro formatori: Come ci poniamo di
fronte al fatto che molte comunità muoiono ο moriranno? Cosa significa questo
per l'impegno delle forze che ancora rimangono? Come affrontiamo a livello spiri
tuale e teologico il fatto che diventiamo un piccolo gregge disperso? L'A. non va a
fondo di queste questioni. Si limita a mettere insieme suggerimenti pratici e teolo
gici per la formazione. Inoltre offre alcune spiegazioni su «l'insegnamento della
Chiesa sull'utilizzo della psicologia nella formazione» (cap. 2, 45-55). Purtroppo
l'A. in questo capitolo non ha potuto inserire il documento più recente che senza
dubbio è il più importante in quanto il più esplicito in materia.5
Dopo una lista delle «tappe della formazione al sacerdozio e alla vita sacerdo
tale» (cap. 3, 59-72) - in cui l'A. si appoggia alle riflessioni di Cencini - i sette capi

4 José Rafael Prada Ramìrez, Psicologia e formazione. Prìncipi psicologici nella formazione per il
Sacerdozio e la Vita consacrata (a cura di Α. V. Amarante - G. Witaszek), Roma: Editiones
Academiae Alfonsianae (Quaestiones Morales 15), 2009, pp. 304. € 27,00. ISBN 978-88-9038083-9.

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378 GREGORIANUM, VOL 91 (2010) FASC. II: NOTA

toli successivi offrono una introduzione a diverse scuole psicologiche e la valuta


zione dei loro possibili contributi alla formazione: vengono presentate le scuole
psicodinamiche, comportamentali, umaniste, cognitive, psicosociali, neuropsicolo
giche, e quella dell'Istituto di psicologia della Gregoriana (cap. 4-10, 77-212).
Particolarmente riusciti sono alcuni punti del capitolo 12 in cui viene approfon
dita la «figura del formatore» (251-270) in base a tipologie, profilo ideale e atteg
giamenti del formatore. Purtroppo è dato poco spazio alla «selezione e formazio
ne dei formatori» e al «programma formativo per i formatori» (268-270). Qui 1Ά.
non dà il giusto peso al suo intento - ossia approfondire l'uso corretto della psico
logia nella formazione - e presenta invece alcune tecniche comunemente conosciu
te sulla conduzione del colloquio. L'ultimo capitolo (cap. 13: «Costruire una gene
razione migliore» [279-292]) introduce alcune questioni nodali affrontate dalla teo
logia della vita consacrata negli ultimi 15-20 anni.
Sono utili alcuni degli allegati che l'A. aggiunge a ciascuno dei primi dodici capi
toli, in cui vengono offerti alcuni stimoli pratici per la riflessione personale e per
temi e/o tappe riguardanti la formazione. Al tema della maturità psico-affettiva
viene giustamente concesso molto spazio (allegato 1: «Leggi della vita affettiva» [42
44]; allegato 4: «Sviluppo psicosessuale applicato al Sacerdozio e alla Vita consacra
ta» [92-107]; allegato 12: «Programma di formazione per il celibato» [271-278]).
Tutto sommato questo testo è una ricca miniera delle molte tematiche con cui si
confrontano oggi i superiori e i formatori dei sacerdoti e delle persone consacrate.

Hans Zollner S.I.


(traduzione di Grazia Vittigni)

5 Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicolo
giche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al Sacerdozio (Roma, 29 giugno 2008). Per
un commento introduttivo al documento cf. G. Cucci - H. Zollner, «Il contributo della psicologia
nella formazione al sacerdozio» in La Civiltà Cattolica 160 (2009/1), quaderno 3807, 249-256.

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