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GOLIARDIA A PIZZOFALCONE TRA IL 1841 ED IL 1844 « L'Ago e il Filo 12/10/13 23:14

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GOLIARDIA A PIZZOFALCONE TRA IL 1841 ED


IL 1844
By Alfredo Romano / 30 luglio 2013 / No Comments

di GIAMPIERO BUONOMO

Si r i p r od uce i l “br eve e s ap i d o s aggi o o” – come l’ha definito lo storico Luciano Canfora, di cui ha suscitato “il
garbato divertimento” – che avanza una serie di ipotesi sull’origine di un falso storico che periodicamente ricorre nella
letteratura anche più evoluta, oltre naturalmente al falso d’antiquariato di mezzo mondo.
Forse è il destino di questi tempi che la paccottiglia da bancarella approdi nel dibattito aulico, senza scremature o verifiche.
Eppure, come fa il nostro Autore, bastava avventurarsi in una qualsiasi biblioteca per consultare la data ed il numero
d’ordine del decreto invocato, e comprendere che trattava d’altro. Chissà che non debba essere l’inizio di un discorso sul
metodo, da estendere ad altri campi delle scienze umane.

1. I testi.

La Collezione delle leggi e de’ decreti reali del Regno delle due Sicilie (anno 1841), pubblicata a Napoli dalla Stamperia
reale nel 1841, è divisa in due tomi. Il tomo contenente il semestre II (“da luglio a tutto dicembre”) è strutturato in una
rilegatura di quaderni, ognuno dei quali:
- in alto a destra della prima pagina reca impresso il bollo “Ministero della Presidenza Stamperia Reale” (che circoscrive
due fronde che conchiudono dal basso tre gigli di Francia sormontati dalla corona reale);
- in basso a sinistra dell’ultima pagina reca lo stemma “Ferdinando II. Re del Regno delle due Sicilie” (impresso a bollo
circolare con al centro lo scudo coronato del casato di Borbone-Napoli come approvato da Ferdinando con provvedimento

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del 21 dicembre 1816, sormontato dalla corona reale e contornato dagli ordini reali del Santo Spirito, di San Ferdinando e
del Merito, di San Gennaro, del Toson d’Oro, Costantiniano di San Giorgio e della Concezione).

Il Quad er no n. 266 s i comp one d i d ue d ecr et i numer at i : il n. 6975 è riprodotto per intero dalle pagine 53
a 67, mentre a pagina 68 il decreto n. 6976 è riprodotto solo in epigrafe. Il decreto n. 6975 (intitolato DECRETO
prescrivente che l’attual collegio degli aspiranti guardie marine sia fuso nel collegio militare) si compone propriamente di
sette articoli ed all’articolo 2 rinvia ad un “annesso regolamento”, che effettivamente segue la chiusa del decreto ed è
riprodotto dalle pagine 55 a 67 (sotto l’intestazione “REGOLAMENTO per la fusione del collegio degli aspiranti guardie
marine e del collegio militare in un solo istituto, e per le discipline da osservarsi nella scelta di venti alunni del collegio
riunito da addirsi alla carriera di mare”); esso è composto da un articolato (pagine 55-60) e di una serie di tabelle (pagine 61-
65), raggruppate in tre quadri (Quadro delle lezioni da darsi a tutti gli alunni del collegio militare fino al compimento della
sesta classe: pagine 61-64; Quadro delle lezioni da darsi nel collegio militare agli alunni di settima ed ottava classe aspiranti
guardie marine: pagine 65-66; Quadro delle lezioni da darsi nel collegio militare agli alunni di settima ed ottava classe
destinati al genio ed all’artiglieria: pagina 67). Ulteriori peculiarità che si segnalano sono le seguenti:
- il decreto n. 6975 sotto l’intestazione di pagina 53 si apre con la data (Napoli, 20 settembre 1841), con l’indicazione
maiuscola dell’autorità emanante (FERDINANDO II, PER LA GRAZIA DI DIO RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE,
DI GERUSAMEMME ec. DUCA DI PARMA, PIACENZA, CASTRO ec. ec. GRAN PRINCIPE EREDITARIO DI
TOSCANA ec. ec. ec.”) e con la procedura di adozione “Sulla proposizione del Maresciallo di campo Direttore del
Ministero e real Segreteria di Stato della guerra e marina”).

A p agi na 54, p oi , s i chi ud e con le s eguent i fi r me a s t amp a


a. “Firmato, FERDINANDO.”; sottostante a
sinistra: “Il Maresciallo di Campo Direttore del Ministero e real Segreteria di Stato della guerra e marina Firm. Giuseppe di
Brocchetti.”; sottostante a destra: “Il Consigliere Ministro di Stato Pres. Interino del Cons. de’ Ministri Fir. Marchese di
Pietracatella.”;
- il regolamento, annesso al decreto n. 6975, è datato (“De’ 20 di Settembre 1841”) dopo l’intestazione a pagina 55. Il suo
testo si chiude, a pagina 60, con la formula di approvazione (“Approvato : Napoli, il dì 20 di Settembre 1841.”) e le seguenti
firme a stampa: “Firmato, FERDINANDO.”; sottostante a destra: “Il Consigliere Ministro di Stato Presidente Interino del
Cons. de’ Ministri Firmato , Marchese di Pietracatella.”. Anche la sequenza delle tabelle annesse al regolamento si chiude, a
pagina 67, con la formula di approvazione (“Approvato : Napoli, il dì 20 di Settembre 1841.”) e le seguenti firme a stampa:
“Firmato , FERDINANDO.”; sottostante a destra: “Il Consigliere Ministro di Stato Presidente Interino del Cons. de’
Ministri Firmato , Marchese di Pietracatella.”.

La p agi na 67 – es at t ament e come p er la fi ne d i ogni pagina dell’in-sedicesimo – si chiude, in basso a


destra, con l’anticipazione dell’incipit di pagina 68, e cioè con: “(N.° 6976.)”
- il decreto n. 6976 è recato a pagina 68 solo in epigrafe, cioè con la mera intestazione, data e firma. Per l’intestazione, si
legge quanto segue: “Decreto con quale si dà facoltà al comune di Calitri in Principato ulteriore di servirsi per la costruzione
del suo camposanto di un moggio ed una misura di terreno di proprietà di Giovanni Battista Cubelli , cedendogli in
compenso un moggio e mezzo ed una misura e mezzo di territorio comunale sito nel luogo detto Pascone vicino l’abitato , e
precisamente accosto al sepolcro de’ colerosi.” Per la data, a seguire si legge tra parentesi: “Napoli, 24 Settembre 1841.” Per
la firma, sottostante a destra, si legge: “Certificato conforme. Il Cons. Minis. di Stato Presidente Interino del Cons. de’
Ministri Firmato , Marc. di Pietracatella.”. Si rammenta che, alla sinistra della predetta firma, vi è lo stemma “Ferdinando II.
Re del Regno delle due Sicilie” che chiude ogni quaderno.

In nes s uno d ei p r ed et t i t es t i s i legge qualcos a di lontanamente simile al cosiddetto proclama del “facite

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ammuina”; in nessuna loro parte si rinviene un capitolo XIX o un articolo 27, che sarebbero l’ubicazione testuale della
presunta disposizione.

2. La leggenda.

La leggenda del “facìte ammuìna”, alimentata da decenni di chiacchiera sotterranea affiorante di tanto in tanto in testi
pubblicati, ha re gistrato un vero e proprio picco con la diffusione informativa venutasi a creare con la rete Internet. A quel
punto non è stato più possibile far riferimento ad un indeterminato documento esistente o ritrovato in qualche luogo
indeterminato degli archivi degli Stati preunitari. S’è invece reso necessario indicare gli estremi archivistici del presunto
documento. Di seguito si indicheranno quelli più significativi e le loro fonti.
Il primo, e più insidioso falso storico attiene al luogo in cui si conserverebbe ad oggi il documento, cioè nell’archivio storico
della marina militare. Nella Guida dei fondi conservati presso l’Archivio dell’Ufficio storico della marina militare1 non si
rinvengono fondi di provenienza borbonica.
Il secondo falso attiene all’intestazione dei documenti, che per lo più recano il riferimento ad una “collezione dei
regolamenti della real marina”. Si tratta di una collezione che, in questi termini, non ha riscontro storico.

Il comp les s o d ella mar i na bor boni ca er a disciplinato secondo le ordinanze generali della Real Marina del
Regno delle due Sicilie, edite in un testo unico dalla Reale tipografia militare (Napoli, 1856); non consta che tali ordinanze
fossero numerate col medesimo numero dei decreti reali e men che mai che la raccolta di tali ordinanze seguisse la
medesima numerazione (n. 266) dei quaderni della Collezione delle leggi e de’ decreti reali del Regno delle due Sicilie.
Per la verità è falso anche l’argomento – da taluno speso per dimostrare la falsità del proclama – secondo cui la dizione
“Real Marina” sarebbe scorretta, in quanto i navigli delle forze armate borboniche sarebbero state sempre definite “Armata
di Mare” dall’ordinamento militare del Regno delle due Sicilie. L’affermazione non era veritiera già nel 1818, quando le
citate ordinanze generali della Real Marina del Regno delle due Sicilie furono raggruppate nel citato testo unico. Questo
però ci porta ad un indizio importante, e cioè al fatto che – quando fu costituita l’Accademia della Real Marina il 10
dicembre 1735 – ancora vigeva la vecchia terminologia “Armata di Mare”: si può pertanto presumere che nella vulgata del
primo Ottocento la neonata definizione “Real Marina militare” (di fonte murattiana) convivesse con il sintagma “Real
Marina” che per decenni aveva definito l’Accademia2.
Orbene, di quest’Accademia è utile ripercorrere le alterne vicende.

Pr i ma i s t i t uzi one ad es s er e cos t i t ui t a d a Car lo III per gli allievi ufficiali, fu poi seguita il 18 novembre
1787 dalla Reale Accademia Militare (poi Scuola militare di Napoli). Della capacità attrattiva della seconda verso tutte le
precedenti accademie militari (marina, artiglieria, ecc.) è dimostrazione proprio il citato decreto n. 6975 del 1841, che
incorporava nel collegio militare il discendente diretto dell’Accademia della Real Marina, cioè il collegio degli aspiranti
guardia marine: un innesto non riuscito se, appena tre anni dopo, lo stesso re Ferdinando emanava il decreto n. 9011 del 26
agosto 1844 (pubblicato sempre nella Collezione delle leggi e de’ decreti reali del Regno delle due Sicilie, anno 1844,
pagine 79-95, con le medesime firme di Giuseppe di Brocchetti e del marchese di Pietracatella); ad esso era allegato il
Regolamento organico pel real collegio di marina, il cui § 10 prevedeva che “gli alunni del real collegio di marina si
denomineranno aspiranti guardiemarine”.

3. L’ipotesi

Che i l fals o p os s a es s er e nat o i n ambi ent e goli ar d i co-collegi ale


ale, un primo sintomo è l’unico
nominativo sicuramente spurio di tutto il presunto documento: quello del “Maresciallo in capo dei legni e dei bastimenti
della Real Marina” Mario Giuseppe Bigiarelli, menzionato in alcune versioni. Mentre per l’altro nominativo vi è una

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possibile verosimiglianza storica3, in questo caso nulla risulta “nelle dettagliatissime pubblicazioni in cui sono riportati i
nomi di ufficiali, sottufficiali e financo militari di truppa delle armi dell’esercito napoletano” (Arturo De Cillis, Quando i
Borbone ordinavano: Facite ammuina!, GdS editrice, Napoli, 2000, p. 22). Orbene, il nome (ad oggi presente in 14 comuni
italiani, tra i quali nessuno sito nel territorio che fu del Regno delle due Sicilie) può farsi risalire ad un colore indicato in
alcuni dialetti del centro Italia; ma può anche essere un adattamento-storpiatura del verbo “bigiare”, che già all’epoca (ancor
di più all’epoca) indicava l’atto del “saltare la scuola” o comunque (in senso figurato) quello di “saltare un impegno”.

La s t es s a menzi one d ella “Reale mar i na” na”, intesa come scuola di marina, si presta ad ipotizzare un luogo
fisico che sia, al contempo, soggetto ed oggetto della goliardìa. Da un lato, infatti, la convivenza alla scuola di Pizzofalcone
di collegio militare e collegio degli aspiranti guardiamarine può aver prodotto risentimenti, volontà di distinguersi o di
primeggiare da parte dei “più titolati” allievi della Scuola militare; dall’altro lato, il falso descrive un’occasione (visita a
bordo delle Alte autorità del Regno”) che ben si presta ad identificarsi con la fase di esercitazione navale che distingueva un
periodo di servizio degli aspiranti guardiamarine4 rispetto agli altri allievi. Che tutto ciò comportasse conseguenti forme di
aggregazione goliardica, competizioni nei meriti professionali e, più semplicemente, invidie da parte dei colleghi di terra,
può essere ipotizzato senza tema di fuoriuscire dal novero dell’id quod plerumque accidit nella normalità di tali ambienti.
Ulteriori elementi a supporto di tale ipotesi possono giungere da alcuni elementi testuali.

Pr es s oché t ut t e le cop i e a s t amp a che r i p r od ucono il cosiddetto proclama del “facite ammuina”
contengono caratteristiche tipografiche (font, allineamenti, centrature) incompatibili con la fattura dei citati atti normativi
del Regno delle due Sicilie; esse però sono univoche nel camuffare il falso con un’intestazione recante lo scudo coronato del
casato di Borbone-Napoli. Non solo si tratta di uno stemma senza l’impressione a bollo contornata dalla scritta “Ferdinando
II. Re del Regno delle due Sicilie” che, come s’è visto, era applicata nella Collezione delle leggi e de’ decreti reali del
Regno delle due Sicilie; si tratta anche di uno stemma che, nel quaderno n. 266, era collocato all’ultima pagina (e non nella
prima, come intestazione).
In queste copie, però, il numero dell’atto normativo è corretto: si tratta proprio dell’unico ad essere datato 20 settembre
1841, cioè il n. 6975.

Es i s t e p er ò, i n mod es t i s s i ma ci r colazi one


one, un’altra versione del proclama: sotto l’intestazione a stampa (con
un font riconducibile a quello della Collezione delle leggi e de’ decreti reali del Regno delle due Sicilie), è scritta a mano.
Differisce dalle più note copie del proclama non per il contenuto (salva l’assenza totale delle firme), ma per due peculiarità.
Da un lato, a sinistra, esordisce con la numerazione “N° 6976! (che, si ricordi, è invece il numero del decreto con quale si dà
facoltà al comune di Calitri in Principato ulteriore di servirsi per la costruzione del suo camposanto di un moggio ed una
misura di terreno); dall’altro lato, a destra, reca impresso il bollo “Ministero della Presidenza Stamperia Reale” (che
circoscrive due fronde che conchiudono dal basso tre gigli di Francia sormontati dalla corona reale): esattamente il
medesimo bollo che apriva l’originale del quaderno n. 266.

L’er r or e p ot r ebbe es s er e i nd i cat i vo d el d ocument o che si aveva sotto mano, quando si redasse il falso: il
regolamento, annesso al decreto n. 6975, si chiude, in basso a destra della pagina 67 del tomo secondo della Collezione delle
leggi e de’ decreti reali del Regno delle due Sicilie del 1841, con l’anticipazione dell’incipit di pagina 68, e cioè con: “(N.°
6976.)”. Chi quindi aveva solo quella pagina sotto mano poteva legittimamente credere che appartenesse al decreto N°
6976. Ma perché avrebbe dovuto avere quella pagina soltanto?
Come s’è visto, il regolamento annesso al decreto n. 6975 si concludeva con una serie di tabelle annesse: è il momento di
soffermarsi sul loro contenuto, anzi sul contenuto dell’intero regolamento.
La fusione dei collegi di aspiranti guardie marine e del collegio militare in un solo istituto comportava una disciplina

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derogatoria, rispetto a quella preesistente, che può ben essere stata vissuta come “di favore” da parte degli altri allievi del
collegio militare. Al § 5 del regolamento si dispone che “venti piazze del collegio riunito dovranno considerarsi a
disposizione della real marina (…)”5; al § 6 si dispone che due ufficiali della real marina integreranno la Commissione
d’esame, dalla terza sino all’ottava classe, per la scelta degli allievi che saranno “da porsi alla pruova della navigazione
l’anno seguente”; al § 7 si prevede che “gli alunni scelti per la marina saranno imbarcati nell’anno seguente sopra uno de’
reali leggi armati, che verrà espressamente designato per la campagna di pruova e di istruzione, la quel dovrà durare dalla
metà di agosto sino al primo di novembre, affinché gli alunni possano trovarsi nel collegio militare pel cominciamento del
nuovo anno scolastico”.

Il § 8 p r eved e i l r i ent r o al collegi o “p er color o che non potranno durare il servizio di bordo”, che poi è
minutamente disciplinato ai §§ 9-13 (in termini tutti proiettati a curare la “condotta religiosa, morale e militare degli alunni”,
tanto che si prevede che con essi si imbarchino “l’istruttore morale, il professore di navigazione e quello di matematica
dell’abolito collegio degli aspiranti guardie marine”). Il testo del regolamento si chiude con un § 19 che consacra il
privilegio (nel senso etimologico di “diversità”, rispetto al regime ordinario in cui versavano gli altri allievi) degli allievi
guardiamarine: la Commissione d’esame finale, per costoro, sarà integrata dai citati due ufficiali superiori della real marina,
nonché dal direttore del real corpo de’ costruttori di marina.

Ai s ens i d el §18, “(
“(…)) l’or d i nament o d egli s t ud i d elle p r i me s ei clas s ii, e quelli di mestiere nella
settima ed ottava classe per gli alunni de’ due rami di marina e de’ corpi facoltativi, rimane approvato come nell’annesso
stato”: in effetti, al regolamento sono annessi, sotto forma di “Quadri”, tre tabelle recanti, rispettivamente, “le lezioni da
darsi a tutti gli alunni del collegio militare fino al compimento della sesta classe” (pagine 61-64), “le lezioni da darsi nel
collegio militare agli alunni di settima ed ottava classe aspiranti guardie marine” (pagine 65-66) e “le lezioni da darsi nel
collegio militare agli alunni di settima ed ottava classe destinati al genio ed all’artiglieria” (pagina 67, che si conclude col
citato incipit della pagina 68 recante il N° 6976).

Ecco qui nd i che s i p uò affacci ar e non s olo un movente della falsificazione, ma anche una possibile modalità.
I tre Quadri delle lezioni possono aver avuto una circolazione ampia, nel collegio di Pizzofalcone, o addirittura una pubblica
affissione che li ponesse alla vista degli allievi; l’ultimo quadro, in particolare, potrebbe aver avuto affissione autonoma, da
cui l’erronea credenza del falsario che il numero che chiudeva la pagina, sotto le firme delle autorità emananti, fosse il
numero d’ordine del regolamento (e non semplicemente l’incipit della pagina successiva).
Il momento in cui il falso può essere stato redatto si può collocare successivamente alla separazione dei due collegi nel
1844, ma comunque sempre mentre era primo ministro di Giuseppe Ceva Grimaldi Pisanelli, marchese di Pietracatella
(cessato dalla carica nel 1848); si tratta infatti del firmatario il cui nome (con quello del re) non si cita mai nel falso, mentre
quello presente – del barone Giuseppe di Brocchetti, anche se spesso citato scorrettamente, come s’è detto – attiene a
persona deceduta già nel 1845.

Che i quad r i d ella vecchi a nor mat i va s i ano stati dismessi nel 1844, e siano finiti nelle mani di goliardici
commilitoni, non significa però ancora avere una motivazione per compiere una canzonatura così salace. Occorre anche
immaginare una considerazione assai bassa delle ragioni che per tre anni avevano legittimato il trattamento “privilegiato”
degli aspiranti guardiamarina: o che i docenti mal sopportassero la compresenza degli ufficiali della real marina nella
commissione valutativa; o che non si fosse integrata, nel corpo docente preesistente, la presenza dell’istruttore morale, del
professore di navigazione e di quello di matematica dell’abolito collegio, imposta dal citato regolamento; o, ancora, che
l’estate di esercitazioni navali fosse considerata dagli altri allievi una sinecura, scaltramente condizionata ad un omaggio
simbolico alle saltuarie presenze a bordo delle alte autorità.

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Quale che fosse la ragione, si scelse di attingere dal dialetto napoletano, quale evidente strumento di scherno delle
incombenze di bordo descritte aulicamente ai §§ 9-13 del vero regolamento allegato al decreto N.° 6975. La scelta della
parola “ammuina” è quindi necessitata: l’ispanismo sorto dal verbo amohinar (nella penisola iberica usato come sinonimo di
“arrabbiarsi”, “infastidire” o “molestare”, da mohino che è “collera” o “sdegno”) trova in tutto il Mezzogiorno
un’evoluzione nel senso dell’affaccendarsi (come pure: prendersi fastidio, affannarsi, produrre confusione, stordimento,
chiasso, mettere in subbuglio, affaccendare, affannare)6. La si considera di solito un’evoluzione autonoma (anche
etimologicamente) da quella, registrata in Toscana, di “allettare taluno con moine”: eppure, il vocabolario dell’Accademia
della Crusca già nel 1859 riferiva per “ammoinare o ammuinare” sia il significato “far moine, accarezzare”, sia quello di
“ammoinare la mente, vale offuscarla”7.
La Lega navale italiana8, nel 1932, sotto la voce “ammuìna” non solo riproduceva il significato “darsi attorno con
affettazione, far mostra di affaccendarsi producendo più rumore che fatti (…) inutile andare e venire (…) la confusione che
ne deriva”; essa spiegava anche che “queste parole che non appartenevano al vecchio linguaggio marinaresco, dopo l’unione
delle due Marine da Guerra Sarda e Napoletana ed il conseguente confluire dei principali dialetti costieri, sono diventare
d’uso comune nel linguaggio parlato della Marina Italiana”9.
Certo, sarebbe azzardato attribuire l’inaudito successo del significato dialettale meridionale – rispetto al più aulico e
risalente toscano – alla diffusione del falso proclama delle “reale marina”, anche perché la Crusca ne attesta la presenza in
edizione pubblicata a Firenze mentre ancora le navi dei Mille non erano salpate da Quarto.

Se p er ò lo s cher no d el fals ar i o i nt end eva pungere nel vivo gli (ex) commilitoni guardiamarina, questo non
poteva che avvenire utilizzando un termine gergale che fosse in voga tra la gente di mare. Se poi questo debba anche
intendersi come un indizio per risalire all’autore, è troppo flebile traccia per costruirvi sopra: ci piace pensare, però, che chi
aveva innanzi il quadro di pagina 67 della Collezione del 1841 (lasciandosi fuorviare dalla fine pagina, fino a dare la falsa
numerazione del decreto come n. 6976) fosse uno dei mancati guardiamarina, finito nella settima o nell’ottava classe dei
corpi facoltativi dell’esercito ai sensi del § 8 del regolamento, cioè perché giudicato inadatto a “durare il servizio di bordo”.

Il s uo i p ot et i co r i s ent i ment o, comunque, sarebbe minor cagione di condanna morale, rispetto a coloro che,
con grossolana malizia, hanno nei decenni successivi costruito a stampa il falso, riproducendo l’intestazione con il numero
del “vero” decreto n. 6975: in questo caso la goliardìa è stata ripresa ed accresciuta, con elementi di verosimiglianza infìdi
ed ammiccanti, volti a screditare non tanto un ordinamento statuale cessato, quanto piuttosto, con esso, una dimensione
culturale che faceva comodo volgere in burletta.

NOTE

Opera del 2004 dell’Ufficio storico della marina militare, a cura di Claudia Lazzerini (http://www.google.it/search?

hl=it&tbo=p&tbm=bks&q=inauthor:%22Claudia+Lazzerini%22) ,Maria Rita Precone (http://www.google.it/search?

hl=it&tbo=p&tbm=bks&q=inauthor:%22Maria+Rita+Precone%22) , Alessandra Veronesi Pesciolini (http://www.google.it/search?

hl=it&tbo=p&tbm=bks&q=inauthor:%22Alessandra+Veronesi+Pesciolini%22) .
2 Oltre all’intitolazione “reggimento Real Marina”, olim battaglione, che raggruppava i fanti di marina sul modello britannico.

3 Sia pure nell’evidente errore che, in tutti i falsi tranne uno (http://im1.freeforumzone.it/up/18/36/780260064.htm) , presenta Giuseppe di

Brocchetti come “Giuseppe di Brocchitto (http://kingdomhearts.forumcommunity.net/?t=7929614) “, ed in alcuni casi addirittura con una firma
col cognome prima del nome.
4 Già nel giugno 1840 la corvetta Cristina era stata aggregata alla Squadra d’Evoluzione, mantenuta in armamento permanente per

l’addestramento (http://it.wikipedia.org/wiki/Addestramento%5CoAddestramento) del personale alle manovre


(http://it.wikipedia.org/wiki/Manovra%5CoManovra) per il combattimento (http://it.wikipedia.org/wiki/Combattimento%5CoCombattimento) , il che

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comportava campagne d’istruzione per gli allievi dellaScuola (http://it.wikipedia.org/wiki/Scuola%5CoScuola) di Marina ma anche visite
fuori ordinanza di personaggi di vertice del regno (il 10 luglio 1843 la Cristina giunse a Palermo
(http://it.wikipedia.org/wiki/Palermo%5CoPalermo) , dove trasportò i reali delle Due Sicilie (http://it.wikipedia.org/wiki/Borbone-

Due_Sicilie%5CoBorbone-DueSicilie) , che la ripresero alla volta di Messina il 7 luglio 1846).


5 il che è anche interessante per la metonimia con cui si passa a considerare gli allievi guardiamarina come parte della “Real Marina”.
6 F. Galiani, Del dialetto napoletano [1789], a cura di F. Nicolini, Napoli 1923. Per E. Zaccaria, L’elemento iberico nella lingua

italiana, Cappelli ed. (rist. anast. 1927, Forni), p. 26, il napoletano ammuino sta per “scompiglio, scombussolio, tumulto;
affannoneria, armeggio”, il verbo ammuinà sta per “confondere, stordire”, il riflessivo ammuinarsesta per “arrabattarsi, scalmanarsi,
acciapinarsi, armeggiare” ed il sostantivoammuinatore sta per “arruffone”.
7 Potendo la cosa avvenire anche con grida e atteggiamenti (p. 454, citaz. da Corsin. Stor. Mess. Trad. 727). Nell’edizione del 1863,

addirittura, la Crusca affianca “infastidire, annoiare” agli altri due significati del termine, ruotanti attorno a “moine”
8 C. Bardesono di Rigras, Vocabolario marinaresco con illustrazioni fuori testo, Roma 1932, p. 16.
9 Citato anche da Reale Accademia d’Italia, Dizionario di marina medievale e moderno, Roma, 1937, p. 26.

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