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Cattivi soggetti.
Protagonisti del poliziesco dal noir all’italiana alle fiction Sky
Tesi di laurea in
Letteratura e media
Sessione
Seconda
Anno accademico
2014-2015
INDICE
INTRODUZIONE 1
CAP. 1 IL NOIR ITALIANO: UNA DEFINIZIONE 4
1.1 Le origini 11
1.2 Dopoguerra e rinascita 12
CAP. 2 IL NOIR NEI MEDIA ITALIANI 25
2.1 Il cinema poliziesco e il “poliziottesco” 27
2.2 La televisione 33
2.3 Il caso La Piovra 37
CAP. 3 PERSONAGGI ED EROI 42
3.1 Il commissario Montalbano 42
3.2 L’ispettore Coliandro 46
3.3 Crimini 49
CAP. 4 IL CASO SKY 54
4.1 Quo vadis baby? 60
4.2 Romanzo criminale 61
4.3 Gomorra-la serie 65
CAP. 5 BUONI O CATTIVI? 72
CONCLUSIONI 82
BIBLIOGRAFIA 87
VIDEOGRAFIA 90
SITOGRAFIA 91
INTRODUZIONE
1
Per una definizione di “noir mediterraneo”: https://noiritaliano.wordpress.com/dizionario-noir/noir-
mediterraneo/.
1
Al successo editoriale è seguita anche una serie di trasposizioni
in altri media, in particolare cinema e televisione (che saranno gli
oggetti di studio nella seconda parte della tesi) che hanno
contribuito a sancirne il definitivo apprezzamento da parte della
critica. Bisogna aggiungere che la convergenza mediale non
riguarda solo le trasposizioni letteratura-cinema-televisione ma è
un aspetto che tocca gli stessi romanzi noir che sempre più si
basano su una scrittura “visiva” che si rifa’ al linguaggio
cinematografico, da cui riprende temi e stilemi. Si tratta, quindi,
di un dialogo bidirezionale tra questi media in cui è difficile
stabilire il punto di partenza e arrivo. Fenomeno che è stato anche
oggetto di polemiche, dovute al fatto che la visione
“cinematografica” di alcune di queste opere si scontrerebbe con
il loro intento civile in quanto si tratta di una realtà che è sempre
e comunque “filtrata” dai media.
Chi ha usufruito maggiormente dei romanzi noir italiani come
fonte d’ispirazione è stata la televisione, capace di appropriarsi di
questo genere, spesso in collaborazione con gli altri media. In
particolare verranno analizzate le serie tv targate Sky, la rete
televisiva pay che ha avuto maggior successo in Italia e che ha
portato molte innovazioni nella serialità italiana sia a livello
strutturale e produttivo, sia a livello tematico (che riguardano
soprattutto le serie relative al genere crime). Analizzeremo come
e in quali modi si esprime questa “innovazione” portata da Sky in
relazione non solo alle altre emittenti televisive italiane ma anche
al rapporto che intrattiene con gli altri media, soprattutto per
quanto riguarda i romanzi noir da cui sono state tratte due delle
serie che hanno attirato maggiormente l’attenzione della critica:
Romanzo criminale e Gomorra-la serie. A queste va aggiunta la
serie Quo vadis baby? che, per prima, ha inaugurato questa
collaborazione proficua con il “noir all’italiana” e una particolare
strategia produttiva che riguarda la scelta di soggetti già noti al
pubblico grazie al precedente adattamento cinematografico. Una
scelta che, come vedremo, è risultata vincente per fidelizzare il
2
pubblico e ricevere consensi dalla critica per via del rapporto che
si è creato con i due media “maggiori”. L’attenzione da parte della
critica è segno di un particolare interesse nei confronti delle serie
tv considerate, ormai, molto più che una semplice forma
d’intrattenimento, grazie al successo avuto dalle serie americane
appartenenti alla Seconda Golden Age televisiva. Successo che
non sembra intenzionato a finire ma che, al contrario, cresce
sempre di più, come dimostra l’attenzione e l’interesse per le serie
posteriori a quelle elencate: 1992, Gomorra 2 e Suburra, serie
prodotta da Netflix, società di produzione che presenta molte
caratteristiche in comune con il modello di Sky.
3
CAP. 1 NOIR ALL’ITALIANA: UNA DEFINIZIONE
2
Yves Reuter, Il romanzo poliziesco, Roma, Armando editore, 1998. p. 47.
3
Ernest Mandel, Delitti per diletto, Milano, Interno giallo, 1990, p. 26.
4
i casi più complicati grazie ad un’intelligenza superiore. Il
personaggio di Poe è il classico dandy di metà Ottocento, dotato
di una grande capacità analitica. Il personaggio di Conan Doyle,
invece, che compare sul finire del secolo in pieno Positivismo,
applica un metodo investigativo detto paradigma indiziario,
analizzato dallo storico Carlo Ginzburg. 4
Tale metodo fu sperimentato per la prima volta dallo storico
dell’arte Giovanni Morelli (1816-1891) il quale, basandosi
sull’osservazione dei particolari più trascurabili e meno
influenzati dalle caratteristiche della scuola a cui il pittore
apparteneva, riusciva a distinguere il quadro di un dato artista da
quello di un altro o un originale da un falso. Allo stesso modo
Sherlock Holmes scopre il colpevole tramite l’osservazione di
indizi impercettibili ai più. Questa tecnica è affine alla semeiotica
medica (non a caso Conan Doyle si ispirò, per la creazione del
personaggio, al dottor Joseph Bell di cui era stato allievo).
Il romanzo poliziesco, infatti, si sviluppa nello stesso periodo in
cui si affermano le scoperte mediche e scientifiche: il poliziesco
è un “figlio minore” del Positivismo da cui assume le teorie di
Auguste Comte basate sulla raccolta sistematica e sulla
classificazione dei dati di cui si serve anche il personaggio di
Conan Doyle. 5 Sherlock Holmes rappresenta, dunque, il massimo
dell’esperienza e della tecnica umana applicate al delitto,
l’individuo eccezionale che si erge sulla massa, la cui eccentricità
(la pipa, il violino, la soluzione di cocaina…) è simbolo del suo
essere superiore agli altri:
Carlo Ginzburg, Miti, emblemi e spie, Torino, Einaudi, 1986, pp. 158-193.
4
5
Massimo Baldini, Karl Popper e Sherlock Holmes, l’epistemologo, il medico, lo storico e lo scienziato, Roma,
Armando Editore, 1998, pp. 23-25.
5
fissazioni maniacali, o il ricorso all’oblio della droga, glielo
impedissero.6
6
Roberto Barbolini, AndreaMarcheselli (a cura di), Cervelli coi fiocchi, Modena, Almayer, 2008, p. 13.
7
Sigmund Kracauer, Il romanzo poliziesco, Roma, Editori Riuniti, 1997, pp. 59-60.
8
Ernest Mandel, op. cit., p. 43.
9
ibidem, p. 49.
10
Raymond Chandler, La semplice arte del delitto in Oreste Del Buono (a cura di), La semplice arte del
delitto. Tutti i racconti di Raymond Chandler, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 25-46.
6
romanzi americani verranno pubblicati con successo in Francia
nella collana Sèrie Noire, così chiamata per il colore della
copertina (da qui il termine noir). Le storie nascevano in un
periodo dominato dalla sfiducia non solo nella scienza ma,
soprattutto, nel senso della giustizia, dal momento che il contesto
nel quale erano ambientate (gli Stati Uniti degli anni Venti) era
fatto di corruzione, soprusi e stragi, in cui erano venute a crollare
le certezze del secolo precedente. In quest’universo le storie del
poliziesco classico (definito anche “deduttivo” per l’uso della
logica usata dai suoi protagonisti) appaiono inadatte a descrivere
la nuova realtà criminale americana. Appare inverosimile
affrontare questo tipo di criminalità con la calma e la logica di
Sherlock Holmes, come spiega Chandler nel suo saggio:
11
ibidem, pp. 25-26 e 29
7
Il cosiddetto paradigma indiziario […] viene messo in discussione
dall’emergere di una realtà che continua sì a offrire indizi, ma questi
indizi non ci portano più da nessuna parte. 12
12
Fabio Giovannini, Storia del noir, Roma, Castelvecchi, 2000, p. 12.
13
Elisabetta Mondello, Crimini e misfatti, la narrativa noir degli anni Duemila, Roma, Perrone, 2010, p. 26.
14
ibidem.
8
essere un investigatore privato, ma molto spesso è un personaggio
che viene catapultato all’interno delle indagini alle quali partecipa
per liberarsi da una minaccia che lo opprime. Non è per nulla un
alfiere del bene e, molto spesso, non è separato dal mondo della
corruzione ma, anzi, ne fa parte. Spesso è un alienato, non
integrato nel sistema, anzi, ne vive ai margini; per questo, se
messo nella condizione di indagare sui delitti, deve per forza farlo
da mercenario privato e non certo come membro delle forze
dell’ordine.
In linea di principio insegue gli stessi obiettivi delle forze
dell’ordine ma con i mezzi dei criminali. Come afferma il critico
Renè Ballet, “non è un vero outlaw né un vero inlaw”.15
Anche quando è un “duro”, l’antieroe noir rivela tutta la sua
debolezza nei confronti di forze che non riesce a controllare o
contro le quali ingaggia una battaglia che lo lascia quanto meno
ferito, umiliato.16 Insomma, l’eroe che esce dai romanzi hard-
boiled americani (e a cui s’ispirano testi che prenderemo in
esame) è il prototipo dell’individualismo americano, capace di
sfidare il mondo intero per giungere alla verità. La sua solitudine
è una condizione necessaria per poter svolgere le indagini in piena
libertà percorrendo tutti gli strati sociali della propria città
(elemento che lo accomuna all’ eroe picaro)17. Ma rappresenta
anche (soprattutto) «la conseguenza della rottura con la società di
cui non accetta la corruzione e disapprova i valori».18
Peraltro, una delle sue caratteristiche è il fatto di evitare in
maniera sistematica il matrimonio. Sposarsi è un desiderio
assente dai pensieri dell’antieroe noir, celibe per eccellenza.
L’impossibilità di instaurare relazioni durature, non è simbolo di
una ratio superiore, come in Krakauer, ma, piuttosto, un altro
15
Renè Ballet, Una parodia di rapporti equivoci in Loris Rambelli, Renzo Cremante (a cura di), La trama del
delitto, Parma, Pratiche Editrice, 1980, pp. 169-175.
16
Fabio Giovannini, op. cit., p. 24.
17
Yves Reuter, op. cit., p. 47
18
ibidem, p. 48.
9
sintomo della sua alienazione e della nevrosi del mondo
contemporaneo, in cui non si riconosce più. La donna al fianco
del detective viene trattata come un oggetto da possedere o da
esibire; nel caso sia indipendente porta sempre distruzione (è la
cosiddetta femme fatale):
19
Fabio Giovannini, op.cit., p. 27.
20
Loris Rambelli, Storia del giallo italiano, Milano, Garzanti, 1979, cit., pp. 137-138.
21
Franco Moretti, Atlante del romanzo europeo:1800-1900, Torino, Einaudi, 2007.
22
Elisabetta Mondello, op. cit., pp. 9-19.
10
letteratura contemporanea il romanzo presenta strutture che ormai
superano i confini nazionali, non ha senso etichettare delle opere
come appartenenti solo a una determinata cultura. In altre parole,
nel romanzo poliziesco non ha molta importanza il luogo dove
avviene il delitto, perché questo può essere replicabile altrove.
1.1 Le origini
23
Vittorio Coletti, Romanzo mondo: la letteratura nel villaggio globale, Bologna, Il mulino, 2011, pp. 81-82.
Renzo Cremante, Loris Mastroianni (a cura di), Il giallo e il suo lettore, Bologna, Editrice Compositori,
24
11
di omicidi, vizi e perversioni che avrebbero «infangato
l’immagine del paese e delle istituzioni preposte a mantenere
l’ordine, la moralità e il rispetto delle leggi».25 Nascono così una
serie di proibizioni con l’obiettivo di scoraggiare la nascita di un
poliziesco d’ambientazione italiana: il regime impone di
rappresentare personaggi stranieri sempre in ruoli negativi e di
riservare agli italiani il ruolo dei “buoni”; per quanto riguarda i
crimini viene proibita la corruzione politica per non offuscare
l’immaginario collettivo di uno Stato efficiente e, soprattutto, il
suicidio, considerato debolezza d’animo; inoltre si vieta di usare
come protagonisti investigatori privati, per non dare
l’impressione che le forze dell’ordine siano incapaci. Questo
spiega la predilezione (anche nel periodo successivo al fascismo)
degli autori italiani per le figure di poliziotti e carabinieri come
protagonisti del poliziesco, caratteristica che si riverserà anche
nella produzione televisiva e cinematografica. Il controllo del
regime si fa sempre più aspro fino a che, nel 1941, il regime
impone la chiusura della collana dei “Gialli Mondadori”. Questa
e le proibizioni elencate prima furono le cause principali per cui
non riuscì a svilupparsi in Italia una produzione letteraria
poliziesca.
Michele Righini, «Contemplando affascinati la propria assenza», Bologna, Bononia University Press, 2009,
25
pp. 291-292.
12
americane. 26 Venere privata è il primo di quattro romanzi
(Traditori di tutti, I ragazzi del massacro e I milanesi ammazzano
il sabato) aventi come protagonista Duca Lamberti, ex-medico
radiato dall’Ordine con l’accusa di avere praticato un’eutanasia a
una paziente. In seguito, Lamberti viene assunto come
“consulente” dalla polizia sotto la protezione di un amico di
famiglia, il dottor Carrua della questura di Milano. Questa sua
esperienza l’ha reso insofferente nei confronti del male che
circonda la sua città, che lui esplorerà nel corso delle sue indagini
analizzandolo con mente lucida e fredda, da medico quale egli è.
In ogni romanzo, infatti, incontra vari universi criminali: traffico
d’armi (Traditori di tutti), delinquenza minorile (I ragazzi del
massacro) e prostituzione (I milanesi ammazzano il sabato). A
tutti questi mali Duca reagisce con violenza, seguendo metodi
duri e violenti nei confronti dei criminali:
Il solo sistema che gli era sembrato efficace con i delinquenti e con gli
onesti, coi buoni e con i cattivi, era il pugno in faccia […]. Tu prima
dai un pugno in faccia, e poi fai la domanda, vedrai che quello che ha
preso il pugno ti risponde più a tono perché ha capito che se occorre
sai parlare il suo linguaggio. E se quello che ha preso il pugno è un
uomo onesto, pazienza, anche gli uomini onesti possono andare sotto
il tram.27
26
Renzo Cremante, Loris Mastroianni (a cura di), op. cit., pp. 176-177.
27
Giorgio Scerbanenco, Venere privata, Milano, La Biblioteca di Repubblica, 2005, p. 84.
13
e sperduti in una specie di labirinto senza via d’uscita”.28 Sono
tutti personaggi molto umani che reagiscono come possono di
fronte alla violenza della vita di ogni giorno. Tipico esempio di
questa categoria è il padre di Donatella (una malata di mente che,
in I milanesi ammazzano al sabato, viene indotta alla
prostituzione e poi uccisa) che da normale cittadino si trasforma
in spietato killer, facendo strage degli aguzzini della figlia, dopo
aver saputo i loro nomi grazie ad una lettera anonima:
28
Luca Crovi, Tutti i colori del giallo, Venezia, Marsilio Editori, 2002, p. 98.
29
Giorgio Scerbanenco, I milanesi ammazzano al sabato, Milano, Garzanti, 1999, p.177.
14
si trovano a dover andare contro la legge (molte volte assente o
connivente con il crimine, anch’essa “infettata” dal morbo della
violenza). I romanzi di Scerbanenco daranno poi il via al mito
della “Milano nera”: alcuni scrittori cominciano a descrivere il
cambiamento del volto di Milano prima, durante e dopo il Boom
economico. Il cambiamento da città industriale a post-industriale
(con vocazione al settore terziario per i servizi, la moda, la
comunicazione…) diventa una metafora del cambiamento
(negativo) dell’Italia. Viene data particolare importanza alla
tensione che si viene a creare tra identità locale e identità
nazionale, così come alla ridefinizione degli stereotipi che essa
comporta. Gli scrittori noir parlano, infatti, della divisione che si
viene a creare tra centro e periferia, dove la seconda predomina
sulla prima ed è l’ambientazione ideale per mostrare la nuova
violenza che nasce da queste aree spesso povere di servizi sociali
e centri di aggregazione, dove l’individuo si sente sempre più
alienato. Il motivo di tale alienazione si sviluppa nella tensione
dovuta alla nostalgia per un passato mitico di prosperità e di
solidarietà umana e la nuova società del dopo-Boom, vista come
inquietante: di essa Milano è l’esempio migliore, con la sua
nebbia, simbolo e “condizione metafisica della città, dove la
natura è assente e si avverte la mancanza di trasparenza da parte
dello Stato”.30 È interessante notare come questa caratteristica
rimarrà una costante nella narrativa noir milanese con gli autori
degli anni Novanta (Dazieri, Biondillo, Pinketts…), che
utilizzeranno questa stessa definizione per descrivere la Milano
del dopo-Tangentopoli.
Nello stesso periodo di Scerbanenco si affermano in Italia alcuni
autori di romanzi che si rifanno allo schema del romanzo giallo
ma che trascendono le regole del genere per elevarlo a livello di
“arte”: Leonardo Sciascia, Carlo Emilio Gadda, Umberto Eco e
30
Giuliana Pieri (a cura di), Italian crime fiction, Cardiff, University of Wales Press, 2011, p. 135 (la
traduzione è mia)
15
Antonio Tabucchi. Questi quattro autori, pur venendo indicati
nella storia del genere poliziesco, al cui sviluppo senz’altro hanno
contribuito, si pongono in contraddizione polemica con le regole
del genere. In particolare Sciascia crea un poliziesco che non lasci
il lettore nella “leggerezza di pensiero”, tipica della letteratura di
consumo, ma gli faccia venire voglia di “scrutare il
funzionamento della società nel suo insieme e individuare gli
ostacoli che […] impediscono di penetrare le motivazioni e la
natura del crimine”.31 Si tratta di romanzi che rientrano nei canoni
della letteratura “alta” più che di genere (sono anche detti
postmodern crime fiction), il loro stile è unico e non riproducibile
e il delitto passa in secondo piano rispetto all’analisi della società
o a un discorso meta-letterario. Questo “giallo d’arte” si
differenzia dal “giallo-artigianato” (più fedele alle regole del
genere) di Scerbanenco e degli autori che a lui si rifanno in questo
periodo: tra gli altri Loriano Macchiavelli, Felisatti e Pittorru e
Fruttero e Lucentini. Questi autori riprendono i clichè del
racconto poliziesco, ambientandoli nella propria città o regione,
creando un forte attaccamento al territorio che è una delle cifre
stilistiche di questa produzione insieme alla ricostruzione della
storia italiana. Molti polizieschi di questo periodo, infatti, si
servono del genere per denunciare le storture e le contraddizioni
della società, creando una vera e propria storia parallela del nostro
paese. Questo si vede soprattutto nei romanzi di Loriano
Macchiavelli, aventi come protagonista Sarti Antonio. Sarti è un
sergente della Questura di Bologna (grado inesistente nelle forze
dell’ordine, inventato per sottolineare il distacco ironico dalla
realtà), tipico antieroe con più difetti che pregi. Ecco come lo
presenta Macchiavelli nel primo romanzo della serie, Le piste
dell’attentato:
31
ibidem, p. 49 (la traduzione è mia).
16
due sigarette al giorno sono già troppe per la sua ulcera. Così Cantoni
Felice, agente, ne fuma una sola. Una al giorno. A bordo c’è anche
Antonio Sarti, sergente. Non fuma, non ha mai fumato, ma ha la colite
e l’ulcera lo stesso. La colite soprattutto, che non gli dà pace. Anche
adesso. Darebbe un’ora di straordinario per un cesso. Ma dove lo trovi
un cesso a quell’ora della notte? 32
32
Loriano Macchiavelli, Le piste dell’attentato, Einaudi, Torino, 2004, p.7.
17
di Bologna).33 Grazie a questi gruppi (delle vere e proprie factory
di scrittori) abbiamo, all’inizio degli anni Novanta, un vero e
proprio “boom” della letteratura poliziesca italiana che arriva in
cima alle classifiche di vendita, fatto che sancisce il definitivo
successo del genere, che continua ancora oggi.
I motivi di questo successo si possono riassumere nei seguenti
punti:34
Una spinta verso il successo del genere la diede, inoltre, agli inizi
degli anni Novanta, il successo dei cosiddetti scrittori cannibali
(dal nome della raccolta di racconti, edita da Einaudi, uscita nel
1996, Gioventù cannibale), un gruppo di scrittori che, ispirati dal
film Pulp fiction di Quentin Tarantino, furono fautori di un nuovo
stile di scrittura definita “cinematografica” perché prendeva
spunto da immagini dei film e prediligeva scene di sesso e
33
L’elenco degli autori italiani ordinati per regione si trova in Massimo Carloni, L’Italia in giallo. Geografia e
storia del giallo italiano contemporaneo, Reggio Emilia, Diabasis, 1994.
34
Eisabetta Mondello, op. cit., p. 26.
18
violenza giocose e dissacratorie nei confronti del perbenismo e
della morale.35 Questo stile divenne ben presto l’emblema di una
“società che ha perso l’aspirazione all’utopia e si rifugia
nell’edonismo futile, nell’esteriorità, nell’apparenza […] un
mondo dove l’immagine la fa da padrone”.36 La rappresentazione
della violenza in questi autori anticiperà quella degli autori noir
successivi, come dimostra il caso di Niccolò Ammaniti, nato
come scrittore cannibale e diventato una delle firme più
prestigiose del noir italiano.
35
Massimo Arcangeli, Giovani scrittori, scritture giovani, Roma, Carocci, 2007, pp. 123-124.
36
Alessandro Cinquegrani, Letteratura e cinema, Brescia, Editrice La Scuola, 2009, p. 120.
37
Massimo Carlotto, The black album, il noir tra cronaca e romanzo, Roma, Carocci, 2012, p. 14.
38
Alessandro Perissinotto, La società dell’indagine, Milano, Bompiani, 2008.
39
Alessandro Perissinotto, op. cit., pp. 6-7.
19
Per Perissinotto, dunque, è l’intera società contemporanea che si
riflette in quella dei romanzi polizieschi, una società che è
paranoica, dove impera la “cultura del dubbio”, alimentato dal
fatto che è sempre più aumentata la distanza tra “esperienza” e
“conoscenza”, quest’ultima affidata a mezzi di comunicazione
che, spesso, mistificano la realtà più che descriverla. 40
Ecco allora che il noir all’italiana arriva in un momento storico
preciso, quello dove viene meno il rapporto tra i cittadini e le
istituzioni. Lo descrive bene uno dei protagonisti di questo
fenomeno, Carlo Lucarelli, a proposito del suo romanzo Falange
armata nato nel clima delle indagini sulla Uno Bianca:
Nel ’92 seguivo la vicenda della Uno Bianca per «Sabato sera», un
settimanale di Imola. All’improvviso questa storia è sparita dai
giornali e a me, da cittadino, è rimasta una curiosità: ma alla fine chi
erano questi della banda? E tra le tante voci che circolavano ce n’era
una che mi intrigava: «Forse sono poliziotti». Però era solo una voce
e a me sembrava la più incredibile di tutte. Mi pareva perfetta per il
finale di un libro giallo. E così ho scritto Falange armata. Quella della
Uno Bianca, poi, è stata una vicenda particolare, ha fornito lo spunto
a molti di noi scrittori noir dell’area bolognese. È stata una specie di
spartiacque per la città di Bologna e per noi scrittori che
all’improvviso ci siamo ritrovati in una città piena di carabinieri,
extracomunitari, nomadi e con agguati, rapine e bombe nelle banche…
A un tratto Bologna si è scoperta una città noir, e questo sicuramente
ha traumatizzato molti di noi: come mai la mia città è così? Molti di
noi hanno iniziato a scrivere proprio a partire da questa storia.41
40
ibidem, p. 11.
41
Grazia Ferrari, L’uomo in noir, Roma, Aliberti editore, 2009, p. 26.
20
poliziesco italiano viene elevato a nuovo “romanzo sociale”. La
realtà però non viene solo ricreata ma reinventata:
42
ibidem, pp. 110-111.
43
Lo si può notare, per esempio, in Carlo Lucarelli, Almost blue, Torino, Einaudi, 1997, alle pp. 141-143 dove
vengono riportati articoli di giornale immaginari (firmati da veri giornalisti di cronaca nera) riguardanti le
indagini sul serial killer Iguana, protagonista del romanzo.
44
Giancarlo De Cataldo (a cura di), Crimini, Torino, Einaudi, 2005.
45
ibidem, Prefazione.
46
Antonio Buttitta, Il caso Camilleri: letteratura e storia, Palermo, Sellerio, 2004, p. 54.
21
Camilleri. Si tratta di un funzionario fuori dagli schemi che non
si attiene alle regole e alle norme procedurali di ogni poliziotto,
preferendo affidarsi al suo istinto:
47
Andrea Camilleri, La forma dell’acqua, Palermo, Sellerio, 1998, p. 39.
48
Antonio Buttitta, op. cit., p. 55.
49
Simona De Montis, I colori della letteratura: indagine sul caso Camilleri, Milano, Rizzoli, 2001, p. 159.
50
Elisabetta Mondello, op. cit., p. 26.
22
il buttafuori e si trova per caso a investigare con l’aiuto di
un’aiutante particolare: il suo Socio che è poi una sua personalità
multipla (è schizofrenico) che si impossessa di lui nel sonno, e
Marco Buratti detto “l’Alligatore” di Massimo Carlotto, un ex
cantante blues che si reinventa come investigatore privato dopo
aver passato degli anni in prigione per un’accusa ingiusta. Questi
personaggi (sosia degli stessi autori, le cui esperienze biografiche
ricalcano quelle dei loro protagonisti) portano su di loro il peso
dell’alienazione dalla società contemporanea in cui faticano a
riconoscersi. La loro difficoltà a districarsi nel mondo in cui si
trovano è la stessa dei lettori e per questo motivo riescono a creare
una sorta di “empatia” con essi. In questa categoria troviamo
anche quella dei cosiddetti “detective etnici” che, recentemente,
hanno trovato spazio nella narrativa poliziesca italiana (in altri
paesi esistono già da tempo come dimostrano i casi del detective
Charlie Chan, protagonista dei romanzi di Earl Derr Biggers o i
protagonisti del romanzo poliziesco postcoloniale) 51 emarginati
che vivono a cavallo tra due mondi, quello italiano e quello dei
loro paesi d’origine, e quindi portatori di una visione originale e
periferica della nostra società. Come Ras Tafari Diredawa, il
senzatetto etiope protagonista dei romanzi di Massimo Mongai,
che indaga nella periferia romana. Oppure Roman Pertescu, altro
personaggio simile a Ras Tafari, nato dalla penna di Roberto
Casadio, autore noir e medico bolognese, ex agente della
Securitate rumena, immigrato clandestinamente in Italia, dopo la
caduta del regime di Ceausescu, e residente a Bologna sotto il
falso nome di Rolando Conti.
La scelta di questo tipo di detective per gli autori di noir italiani
si ricollega, dunque, al senso di sfiducia nei confronti delle
istituzioni e della società in generale. Si prediligono eroi che sono
più degli “anti-eroi”, portatori di difetti e dubbi che li rendono
Paolo Del Zoppo, Un indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale, «Scritture
51
23
simili ai lettori. Tale caratteristica è uno dei motivi principali del
successo di questo genere e verrà sfruttata, come vedremo nei
prossimi capitoli, anche da altri media soprattutto a partire dagli
anni Novanta sull’onda del successo editoriale di questo genere.
24
CAP. 2 IL NOIR NEI MEDIA ITALIANI
25
società che stava cambiando. Questo ha fatto sì che, spesso, questi
film si scontrassero con la censura rallentandone di fatto la
diffusione, anche se poi sono stati rivalutati a posteriori,
soprattutto a seguito del successo dei film di Tarantino negli anni
Novanta che li ha sdoganati agli occhi della critica.
Per quanto riguarda la televisione, le serie tv poliziesche hanno
subito, nel tempo, molti cambiamenti in linea con le innovazioni
della televisione stessa, dimostrando, rispetto ad altri generi, una
varietà impressionante e passando ben presto a diventare
predominanti nel panorama mediale con la nascita di canali
interamente dedicati ad esse.54 È bene precisare che quando
parliamo di poliziesco riferito alla televisione ci riferiamo, qui,
alla fiction poliziesca (sotto il termine crime, infatti, viene
designato tutto quello che ha a che fare con il mondo del crimine
compreso inchieste e documentari, i cosiddetti programmi di true
crime) in particolare quella italiana che presenta alcune
specificità. Prima di essa, infatti, si usava il termine
“sceneggiato”, parola che indicava “un adattamento letterario, un
racconto a puntate tratto da un’opera narrativa edita”.55 Era un
tipo di serialità debole, basato non tanto sulla familiarità del
pubblico con le storie narrate. A partire dagli anni Novanta, grazie
al successo di alcune serie tv americane considerate “di culto”
(appartenenti alla Seconda Golden Age della televisione, un
periodo fortemente innovativo per il medium che va dagli anni
Ottanta fino ai primi anni Duemila) 56 e a un nuovo pubblico
televisivo che, nel tempo, ha fatto suoi i tempi e i modi della
serialità televisiva, viene inaugurato un nuovo modello detto
appunto “fiction all’italiana” che in parte si rifà al modello della
“serie serializzata”, una tipologia di serie a incastro dove le
singole puntate mantengono un alto grado di autonomia, con una
54
In Italia, ad esempio, al genere crime sono dedicati ben due canali televisivi tematici in chiaro: Top Crime e
Giallo TV; a questi si aggiunge il canale tematico pay di Sky, Fox Crime;
55
Veronica Innocenti, Guglielmo Pescatore (a cura di), Le nuove forme della serialità televisiva, Bologna,
Archetipo, 2008, p. 10.
56
ibidem, p. 29.
26
storia centrale che si conclude nella puntata (anthology plot) e una
cornice che, invece, si prolunga per più episodi (running plot).57
Tale modello è stato preso a modello proprio dalla serie televisiva
americana Hill street giorno e notte, serie che racconta le vicende
all’interno di un commissariato di polizia americano, dividendosi
tra la narrazione delle varie indagini seguite dai protagonisti
(concluse al termine di ogni puntata) e le loro vicissitudini private
(che si susseguono nel tempo). Tale modello sarà ripreso dalle
serie procedural italiane come Distretto di polizia e La squadra
le quali inaugurano questo nuovo filone della fiction italiana e che
faranno scuola per le serie televisive successive.
57
ibidem, p. 77.
58
Roberto Curti, Italia odia (il cinema poliziesco italiano), Torino, Lindau, 2006, p. 20.
59
Ossessione, Luchino Visconti, 1943.
60
Roberto Curti, op. cit., p. 17.
27
viene rappresentato il sogno d’evasione della borghesia italiana.
Nel secondo Dopoguerra, invece, è forte la consapevolezza, da
parte degli autori cinematografici, di essere di fronte a un paese
in rovina, “intossicato dai veleni della guerra civile e con
un’economia a pezzi, in cui la classe dirigente è quella mutuata
nel Ventennio e l’impronta politica è quella conservatrice dei
partiti di centro-destra”.61
Dal “neorealismo nero” e, soprattutto, dal successo letterario dei
primi romanzi polizieschi italiani, numerosi registi e
sceneggiatori prenderanno spunto per raccontare questa
condizione del paese.
Uno dei più famosi è Pietro Germi, che con il suo adattamento di
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio
Gadda, è uno dei primi autori italiani a fare un film
dichiaratamente di genere in Italia, ispirandosi ai classici noir
degli anni Trenta verso i quali il film è debitore. Un maledetto
imbroglio,62 infatti, può essere considerato il primo vero
poliziesco italiano, nel senso che presenta una storia chiaramente
italiana, ovvero nata in un contesto italiano (nel romanzo di
Gadda era l’Italia del Fascismo, nel film è l’Italia del
Dopoguerra), con investigatori (in questo caso appartenenti alle
forze dell’ordine) italiani che indagano con metodi d’indagine
italiani. Il film contiene tutti gli elementi tipici del genere: un
mistero da risolvere (il furto di una collana e il successivo
omicidio della contessa Eleonora Rossi-Drago) che diventa
indagine sociale sugli abitanti del quartiere dove è stato
commesso il delitto, un quartiere dove nessuno è ciò che sembra
e dove regna incontrastata l’ipocrisia. Germi crede nella potenza
del racconto e dei meccanismi del genere e, per questo motivo,
sceglie di cambiare il finale della storia dando un finale con una
risoluzione che nel romanzo manca. Con lo stesso obiettivo
61
ibidem, p. 20.
62
Un maledetto imbroglio, Pietro Germi, 1959.
28
modifica il periodo storico della storia (che nel romanzo era il
periodo fascista) ambientandolo nell’immediato Dopoguerra.
Con questo stratagemma Germi vuole dimostrare che la tematica
di cui si parla (l’ipocrisia delle classi sociali elevate nei confronti
di quelle più deboli) è sempre attuale. 63
Germi tiene per sé la parte del commissario Ingravallo,
rappresentato come uomo semplice, acuto osservatore delle
persone, in grado di scrutare la loro anima, ricalcato sul modello
degli investigatori noir americani ma, come detto prima,
inglobato in un’ottica, tipicamente italiana, del rappresentante
delle forze dell’ordine. L’Ingravallo di Germi è una figura
moderna e originale, “una mosca bianca in una cinematografia
dove carabinieri, poliziotti e questurini non escono dai confini e
dai clichè della commedia all’italiana”.64
Dal successo di Un maledetto imbroglio negli anni Sessanta
alcuni registi italiani prendono spunto per ricostruire episodi di
cronaca e della storia vicina. Questi registi sentono il bisogno di
ripercorrere la storia del Paese, soprattutto quella a rischio di
rimozione (“ritorno del rimosso”)65 ma adottando meccanismi
spettacolari per cercare di raggiungere un pubblico più vasto
possibile. Per questo vengono scelte storie con criminali come
protagonisti capaci di imprese spettacolari (il modello è quello di
Gangster story di Arthur Penn). I criminali sono spesso dei
sottoproletari che provano malessere per la loro condizione. Il
crimine diventa così un motivo di riscatto. Tipici esempi di questa
ondata criminale al cinema sono La banda Casaroli di Florestano
Vancini e Il gobbo di Carlo Lizzani. Il desiderio di mostrare i
problemi del sottoproletariato e la predilezione per i soggetti
perdenti, i criminali, i “mostri” (quotidiani e fantastici) accomuna
il genere poliziesco di questi anni (principalmente heist movies,
film di rapina) alla commedia all’italiana, una tendenza che
63
Fonte: commento all’edizione DVD di Un maledetto imbroglio, 2012, a cura di Maurizio Porro.
64
Roberto Curti, op. cit., p. 29.
65
ibidem, p. 35.
29
diventa predominante nel cinema italiano di questi anni e che sarà
preludio per il “cinema d’impegno” degli anni successivi.
Intanto negli anni Sessanta cambia anche la criminalità: a seguito
del Boom economico la criminalità diventa sempre più
organizzata generando il fenomeno del “banditismo
metropolitano” (mentre i film finora citati si erano concentrati su
un banditismo di tipo “rurale”). Il cinema va di pari passo,
mostrando una violenza sempre più stilizzata con pellicole che si
rifanno ai generi e ai motivi stilistici americani: le trasposizioni
fumettistiche dei “fumetti neri” (es. Diabolik di Mario Bava dove
la violenza è sempre iperbolica, ricalcata sul modello sella saga
di James Bond e della serie tv Batman tanto da renderla innocua
agli occhi dello spettatore proprio perché inverosimile), i
gangster-movie americani e le spy-stories alla James Bond.
Sempre nello stesso periodo però cominciano ad apparire alcune
pellicole ispirate ai romanzi noir italiani di Scerbanenco: I ragazzi
del massacro (1959), La morte risale a ieri sera (1969), Il caso
“Venere privata” (1970), e Milano calibro nove (1972). Gli
artefici delle scoperta di Scerbanenco al cinema sono i registi
Ferdinando Di Leo e Duccio Tessari. Questi film rappresentano,
per la prima volta al cinema, il “lato oscuro” dell’Italia del Boom
economico, una società dove “tutto (persone comprese) ha un
prezzo e può essere comprato e venduto”.66 Anche il crimine
diventa perciò compravendita in questo senso. I personaggi, in
questi film, parlano come libri stampati con forme dialettali in
funzione eufonica e con connotazione antropologica. I due registi
riportano sullo schermo la “Milano nera” con grande realismo
senza parteggiare per nessuno dei personaggi. Il tema è sempre
l’avvicendamento tra la vecchia criminalità (con i suoi valori e il
suo codice d’onore) e la nuova criminalità (più spregiudicata e
violenta della prima).
66
ibidem, p. 62.
30
Da questi film prenderanno spunto i registi del cosiddetto
“cinema d’impegno civile italiano” (Francesco Rosi, Elio
Petri…): pellicole di forte impronta politica, portatrici di
un’ideologia in netta opposizione rispetto a quella dominante, che
affrontano di petto temi come la giustizia, l’inadeguatezza del
sistema carcerario, la corruzione politica e la mafia. I film politici
sono fortemente orientati a mantenere dei legami saldi con il
proprio pubblico: non disdegnano lo spettacolo e il cinema di
genere ma si pongono ai lati di esso e frequentano in maniera
tangenziale il poliziesco. L’impegno civile si lega mirabilmente a
soluzioni formali e stilemi narrativi propri del cinema poliziesco
(costruzione dell’intrigo, sviluppo delle psicologie dei
personaggi…). L’esempio più emblematico di questo filone è
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.67 In esso
abbiamo il rovesciamento della classica figura dell’investigatore.
Il protagonista, infatti, è un commissario di polizia che uccide la
sua giovane amante, colpevole di aver deriso la sua autorità in
quanto poliziotto. Diventa l’emblema del cinema poliziesco
impegnato sebbene, in realtà, rovesci i clichè del poliziesco
stesso, mostrando un investigatore che è, in realtà, lo stesso
colpevole. Mostra la diffidenza verso l’istituzione data dall’idea
(eredità del retaggio antifascista) del poliziotto come “nemico”, e
dai fatti di cronaca che precedettero il film (primo su tutti
l’omicidio del commissario Calabresi) che insinuarono
nell’opinione pubblica la diffidenza nei confronti del potere.
Paradossalmente sarà proprio questo aspetto a rilanciare la figura
del poliziotto nel cinema successivo. 68 È, infatti, su questo
principio che si fonderà poi un particolare genere cinematografico
italiano che, proprio in questi anni, ha un notevole successo: il
cosiddetto “poliziottesco”. Continuazione del “cinema
d’impegno”, si basava generalmente su indagini poliziesche che
67
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Elio Petri, 1970.
68
Claudio Bisoni, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Torino, Lindau, 2011.
31
prendevano spunto da fatti di cronaca nera dell'epoca,
sviluppandoli in chiave enfatica, spesso in senso critico, a volte
demagogica o in taluni casi anche comica. 69 Il termine indica una
connotazione spregiativa e sminuente data dalla critica e dai
quotidiani per lo standard, non sempre ottimale, di queste
pellicole (“sottoprodotti a bassissimo costo che testimoniano di
un brulicante sottobosco artigianale e autarchico”).70
Il “poliziottesco” contiene in sé elementi, oltre che del “cinema
d’impegno”, anche del western all’italiana (per la
rappresentazione della violenza e per la visione “da far west”
delle città metropolitane italiane; l’ambientazione di queste
pellicole, infatti, è quasi sempre in grandi metropoli come
testimoniano gli stessi titoli dei film: Roma violenta, Napoli
violenta…) e del poliziesco americano, in particolare per quanto
riguarda il conspirancy movie, genere che si basa sul concetto che
“il fascismo trova terreno fertile negli errori della democrazia,
specie nel campo della giustizia”. 71 È la stesa tesi del film Il
giustiziere della notte di Michael Winner, film-cult dell’epoca e
fonte d’ispirazione per queste pellicole. Nei poliziotteschi, infatti,
il tono è molto amaro: i protagonisti sono spesso uomini comuni
costretti a farsi giustizia da soli in quanto lo Stato non li aiuta,
oppure poliziotti-outsiders, quasi sempre dei commissari di
polizia sui generis che si sentono incompresi dai propri superiori,
anarcoidi ma essenzialmente onesti e spinti da una genuina
generosità e innegabile dedizione al corpo anche se d'indole
violenta e quasi sempre inclini ad utilizzare, per raggiungere i
propri scopi, gli stessi metodi e ad abbassarsi allo stesso livello
dei delinquenti (e quasi sempre destinati a una brutta fine
seguendo il modello del film Serpico di Sidney Lumet).72 Il
“poliziottesco”, riflette, a livello epidermico, la condizione di
69
Informazioni tratte dal sito www.http://poliziescoitaliano.blogspot.it/
70
Roberto Curti, op. cit., p. 8.
71
ibidem, p. 105.
72
ibidem, p. 97.
32
sfiducia e disillusione nei confronti di una realtà sociale che
appare in piena disgregazione, la stessa che aveva ispirato (e che
ispirerà ancora) gli autori noir italiani.
Tale genere comincerà a declinare negli anni Ottanta a causa
soprattutto della crisi cinematografica e la successiva “morte del
cinema italiano medio” che colpirà il cinema di genere e la
produzione si concentrerà soprattutto sul filone comico (quello,
per intenderci, dei film di Tomas Milian). La produzione
poliziesca si sposterà quindi verso la televisione che non farà altro
che mimare l’immaginario filmico dei poliziotteschi insieme a
quello delle serie tv americane (come, ad esempio, Miami Vice)
con plot liofilizzati e attori con facce da telefilm. Viene così a
cadere l’aspirazione al reale che era stato il motivo di successo di
questi film. Dagli anni Novanta in poi il cinema poliziesco
italiano risulta così impoverito nelle immagini e nell’immaginario
rifacendosi sempre più alla televisione ma non riuscendo a parlare
della realtà, a parte rare eccezioni.
2.2 La televisione
33
Camilleri. La maggior parte di queste storie erano ambientate in
contesti esteri (Sheridan è un ispettore della polizia di New York,
le storie di Simenon sono ambientate in Francia), ulteriore
retaggio della cultura fascista che voleva le storie criminali
sempre ambientate in contesti esteri. Per usare la terminologia di
Walter Benjamin le “storie di mare” (storie di terre lontane)
predominavano su quelle “di campagna” (storie di casa nostra).73
Si trattava però di un processo di “localizzazione” del genere: le
storie erano ambientate all’estero ma in contesti domestici
tipicamente italiani, si trattava perciò di adattamenti di opere
letterarie straniere intese come “indigenizzazioni”74 ovvero un
adattamento in cui vengono trasportati significati sociali e
culturali (in questo caso un ambiente domestico dichiaratamente
italiano) all’interno di un contesto estraneo a tali valori (storie
poliziesche estere). In questo modo si accentuavano elementi più
in sintonia con la cultura italiana in modo che fossero
riconoscibili dal pubblico.
Il secondo periodo del poliziesco italiano (tra gli anni Sessanta e
Settanta) continua sempre con sceneggiati tratti da adattamenti di
romanzi, ma vediamo anche l’emergere, per la prima volta, di
adattamenti tratti da autori italiani (De Angelis, Macchiavelli…),
nonché creazioni originali di sceneggiatori italiani, come ad
esempio la serie Qui squadra mobile di Felisatti e Pittorru, poi
tradotta in una serie di romanzi letterari (uno dei primi casi di
percorso di adattamento inverso televisione-letteratura). Le
caratteristiche dei protagonisti rimangono sempre quelle che
avevano caratterizzato gli eroi del decennio precedente: sempre
rigorosamente non violenti, dotati di calore umano, intuitivi, più
perspicaci che razionali, metodici. Tutto il contrario dei loro
equivalenti cinematografici. Il poliziottesco italiano di questi anni
73
Walter Benjamin, Il narratore: considerazioni sull’opera di Nicolai Leskov, Torino, Einaudi, 2011, cit. in
Milly Buonanno, La fiction italiana, Roma, Laterza, 2012, p. 80.
74
Linda Hutcheon, Teoria degli adattamenti: i percorsi delle opere fra letteratura, cinema e nuovi media,
Roma, Armando, 2011, p. 209.
34
nasce anche come contrapposizione a questi modelli televisivi. In
questi anni, e soprattutto nel decennio successivo, si assiste poi a
un vero e proprio boom del genere poliziesco al cinema e in
televisione, dovuto soprattutto alle serie televisive statunitensi
che cominciano a invadere anche i nostri schermi soppiantando le
serie italiane.
Arriviamo così al terzo periodo del poliziesco italiano (dagli anni
Novanta fino ai primi anni Duemila) che è il decennio di
definitiva consacrazione del poliziesco italiano (in concomitanza
con il successo editoriale). In questi anni vengono sperimentate
formule innovative che rinvigoriscono il genere. Quella di
maggior successo è il cosiddetto “poliziesco umoristico” unione
di poliziesco e commedia all’italiana. Le componenti di questo
nuovo genere sono quattro: commistione di genere comico e
drammatico, secondo il modello, per l’appunto, della commedia
all’italiana (da cui le serie tv prendono a prestito i protagonisti:
Nino Manfredi, Gigi Proietti, Enrico Montesano…);
estraniamento dal milieu metropolitano (si prediligono gli scenari
di provincia o la campagna); preponderanza della sfera
privata/familiare dei protagonisti (che spesso soppianta la stessa
indagine); caratterizzazione dei protagonisti come eroi quotidiani
con tutti i loro vizi e i loro difetti ma anche come figure paterne,
rassicuranti, con cui i telespettatori possono facilmente
identificarsi. Esempio tipico di questo genere è Il maresciallo
Rocca con protagonista Gigi Proietti. Gli anni Novanta però sono
anche il periodo di sperimentazione di nuovi format, nuove
formule narrative e nuove rappresentazioni culturali. In questo
periodo abbiamo anche il fiorire del police procedural
all’italiana.
Una delle caratteristiche della nostra produzione televisiva,
infatti, è sempre stata quella di cercare i suoi protagonisti tra le
forze dell’ordine, anche questo retaggio del periodo fascista,
come nella fortunata serie televisiva Qui squadra mobile. Il
35
cosiddetto police procedural (sottogenere del poliziesco in cui a
essere protagonista non è un solo detective ma un’intera squadra
di agenti che risolvono i casi in maniera corale) diventerà, infatti,
un marchio di fabbrica della produzione seriale italiana. Molte
delle serie televisive italiane di questo periodo hanno come
protagonisti interi corpi di polizia (Carabinieri, Gente di mare,
Distretto di polizia…) visti quasi sempre in maniera celebrativa.
Questo per un proposito di rassicurazione e di stabilizzazione
sociale cui spesso rimanda un uso ideologico e demagogico del
mezzo televisivo. Le fiction televisive esaltano il lavoro di
squadra, il gruppo e l’istituzione in quanto tale:
La log line, l’inchiesta che attraversa con continuità tutti gli episodi
della stagione ruota attorno a crimini gravissimi (pedofilia, mafia,
terrorismo) ed è appannaggio degli investigatori più eminenti (il
commissario e il suo vice) anche se, alla sua conclusione, […] anche i
sottoposti avranno modo di rendersi utili e di dare un contributo
decisivo. Ispettori ed agenti hanno però un loro spazio […] nella
soluzione di casi di minore complessità […]. Lo spettatore può stare
tranquillo perché il cittadino è al riparo da ogni misfatto grande o
piccolo che sia […], noi sappiamo che le forze dell’ordine sono al
nostro fianco per proteggerci dai balordi, dagli scippatori, dai
ladruncoli. 75
75
Alessandro Perissinotto, op. cit., pp. 37-38
36
male è un’altra caratteristica di queste serie televisive che le
distingue dalla letteratura (in particolar modo quella noir che,
invece, mostra detective spesso corrotti o al di fuori degli schemi
che non esitano a denunciare gli organismi deviati dello Stato).
Una delle poche eccezioni è la fiction La Uno Bianca76 diretta da
Michele Soavi che si distingue per una “cattiveria formale e una
tecnica cinematografica inedita per il piccolo schermo”. 77
76
La Uno Bianca, Michele Soavi, 2001.
77
Roberto Curti, op. cit., p. 356.
78
Milly Buonanno, La piovra, La carriera politica di una fiction popolare, Genova, Costa&Nolan, 1996, p. 20.
37
come “serie-evento” di segno, quindi, più cinematografico che
televisivo. Risulterà, inoltre, l’unica fiction italiana in grado di
superare, come numero d’ascolti, le serie tv americane (la puntata
della morte del commissario Cattani ha raggiunto il 51, 37%79 di
share, record tutt’oggi imbattuto per una fiction italiana) e si
caratterizzerà per l’ibridazione dei generi e il continuo
sperimentalismo all’interno delle varie stagioni. La serie, infatti,
nasce come una storia “intimista, introspettiva, pirandelliana, su
un uomo che fa un mestiere particolare”, 80 ma al suo interno si è
sempre dimostrata malleabile per quanto riguarda la narrativa
mischiando poliziesco, dramma sociale e privato, cinema-verità,
gotico e western (soprattutto nelle scene dove sono presenti
sparatorie). Questa mescolanza di generi e continua re-invenzione
di sé stessa fa di questa serie una delle prime soap-opera italiane
e un ben riuscito pastiche postmoderno.81 La scelta del
melodramma sociale è stato funzionale al successo della serie per
molte ragioni: consente una sollecitazione emozionale dello
spettatore che rafforza il senso di realtà per quanto riguarda le
vicende narrate. In alcuni episodi, infatti, sono presenti scene che
richiamano vicende realmente accadute (come nell’episodio della
bomba alla stazione di Palermo presente nella quinta stagione,
richiamo alla vicenda della bomba alla stazione di Bologna del 2
agosto 1980). Tali episodi sono, in genere, caratterizzati da una
forte carica emotiva (per quanto riguarda l’episodio sopracitato la
tensione nel vedere il personaggio del commissario Davide Licata
che tenta di disinnescare la bomba). Il coinvolgimento
emozionale da parte dello spettatore è dovuto anche alla
rievocazione dell’evento pubblico realmente accaduto nella
memoria dello spettatore.82 E nello stesso tempo questo
strattagemma narrativo si rifà alle convenzioni del melodramma,
79
Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 2004, p. 413.
80
Intervista a Nicola Badalucco, creatore della serie, «Giornale di Sicilia», 21 marzo 1984.
81
Milly Buonanno, La fiction italiana, p. 53.
82
ibidem.
38
così come la raffigurazione dei protagonisti della serie, a partire
da quella del commissario Corrado Cattani (così come quella di
tutti gli altri protagonisti della serie, destinati sempre a una fine
tragica), interpretato da Michele Placido, che è l’emblema
dell’eroe tormentato e malinconico.
83
Milly Buonanno, op. cit., pp. 56-57.
84
Aldo Grasso, op. cit., p. 416.
39
poterlo riconoscere e sconfiggere, facendo de La Piovra una
serie “pedagogica”:
85
Giorgio Bocca, Cavaliere, la Piovra non è solo tv, «la Repubblica», 18 ottobre 1994.
86
Milly Buonanno, op. cit., pp. 58-59.
40
subirà lo stesso processo mediatico de La Piovra, ulteriore
conferma della modernità di questa serie.
41
CAP. 3 PERSONAGGI ED EROI
87
Gianfranco Marrone, Montalbano, «Rai VQPT», n. 194, Roma, Rai Eri, 2003, Introduzione.
88
ibidem.
42
il detective protagonista è un tipo d’azione con una psicologia
non particolarmente profonda che si basa più sul saper fare.
Lungo la narrazione Camilleri mostra il suo protagonista intento
a svolgere alcune azioni, ma queste sembrano non avere nulla a
che fare con le indagini, funzionano come riempitivi per
mostrare la psicologia del personaggio e fanno sì che questo
diventi “unico” agli occhi dei lettori. Questi, infatti, vengono
così a conoscenza delle sue abitudini (le nuotate in mare, la sua
passione per i piatti di pesce…) e si aspettano di trovarle anche
in tutte le trasposizioni del personaggio negli altri media.
Talvolta capita che questi riempitivi lo aiutino nelle indagini.
Nei romanzi le storie sono ambientate nell’immaginario paese
siciliano di Vigàta e presentano uno schema ripetitivo che
ricalca quello del giallo classico: all’inizio viene commesso un
delitto a cui segue una prima ipotesi che gli antagonisti di
Montalbano vogliono far credere vera; in seguito il commissario
capisce che questa ipotesi è una messinscena e, verso la fine,
costruisce una nuova messinscena per far cadere gli antagonisti
nella trappola e scoprire la verità. Si tratta di un ribaltamento dei
piani dell’essere e dell’apparire che rimanda alla lezione
sciasciana ma con un esito contrario che è sempre positivo. 89
Tutti questi riferimenti letterari alla letteratura poliziesca
rendono Montalbano un “omaggio globale al giallo europeo”90,
nei romanzi si trovano riferimenti alle opere di altri giallisti
(Simenon, Gadda, Sciascia, Dürrenmatt…).
Lo stesso nome “Montalbano”91 è un omaggio dell’autore a
Manuel Vazquez Montalban, lo scrittore catalano creatore del
commissario Pepe Carvalho, con cui Montalbano ha molti tratti
in comune, primo tra tutti il rapporto con la cucina.
89
ibidem, p. 54.
90
Beppe Benvenuto, Montalbano, “teorico” del giallo, in AA.VV., Il caso Camilleri. Letteratura e storia,
Palermo, Sellerio, 2002, p. 65.
91
Angiola Codacci Pisanelli, Il segreto di Camilleri, «L’Espresso», 25 giugno 1998.
43
Questo rende i romanzi di Camilleri un vero e proprio pastiche
postmoderno.
Nei romanzi abbiamo, oltre all’indagine, gli eventi che
riguardano le vicende private di Montalbano (in particolare il
rapporto burrascoso con la fidanzata Livia) e i suoi comprimari
che si susseguono da un romanzo e l’altro seguendo una
continuity che contribuisce a creare una generale coerenza della
serie e anche una continuità temporale alle storie, quindi
Montalbano è, a tutti gli effetti, un personaggio seriale già da
prima di arrivare in televisione.
Quando, nel 1998, arriva la serie televisiva tale personaggio
viene “trasformato” in personaggio d’azione. Viene fatta
un’operazione di estetizzazione del personaggio rendendolo più
prestante fisicamente con la scelta di Luca Zingaretti come
interprete. Poi viene alleggerito di tutti quegli impedimenti che
ha nei romanzi, rendendolo così meno goffo e impacciato.
Diventa così un uomo d’azione, più coerente con il contesto
mediatico in cui si trova: il medium televisivo, infatti, è votato
più all’azione e al conflitto che non alla riflessione. Tuttavia
anche in televisione Montalbano mantiene le abitudini descritte
nei romanzi che rendono riconoscibile il personaggio. Bisogna
aggiungere poi che, a differenza dei romanzi, nella serie il
personaggio viene maggiormente esaltato rispetto ai comprimari
(la fidanzata Livia, i sottoposti Catarella e Fazio…) e le vicende
private rimangono spesso in secondo piano. Tanto che la serie tv
non segue sistematicamente la linea dei romanzi (il primo
romanzo con protagonista il commissario Montalbano è stato La
forma dell’acqua, ma per il primo episodio televisivo venne
scelto Il ladro di merendine) preferendo scegliere, invece, di
volta in volta quelle che si prestano meglio al collegamento con
la cronaca e l’attualità, mantenendo così quel rapporto tra fiction
e non-fiction tipico del poliziesco italiano.92 In generale il
92
ibidem, p. 153.
44
personaggio di Montalbano è un eroe solitario e
donchisciottesco, la cui ontologia è quella di un uomo che vuole
“capire” e scoprire la verità, spesso andando oltre le regole
(come nella tradizione dei poliziotti anti-istituzionali di cui
abbiamo parlato nei capitoli precedenti), ma è, nello stesso
tempo, un personaggio molto umano, con i suoi problemi privati
e dotato di una certa ironia (che è la cifra stilistica dei romanzi
di Camilleri) che lo rende un personaggio sfaccettato con cui il
pubblico può identificarsi.
93
Roberto Scarpetti, Annalisa Strano (a cura di), Commissario Montalbano, indagine su un successo,
Arezzo, Editrice Zona, 2004, p. 29.
94
I dati sugli ascolti di Montalbano si trovano in Roberto Scarpetti, Annalisa Strano (a cura di), op. cit., pp.
149-153; è presente anche una tabella riassuntiva dello share puntata per puntata a pag. 158.
45
3.2 L’ispettore Coliandro
95
Carlo Lucarelli, Nikita, Bologna, Granata, 1994;
96
Carlo Lucarelli, Falange armata, Bologna, Granata, 1994;
97
Carlo Lucarelli, Il giorno del lupo: una storia dell’ispettore Coliandro, Torino, Einaudi, 1998;
46
è un personaggio che vive per la strada, che vive anche tutti i
pregiudizi che ci sono verso la contemporaneità ed è in grado di far
vedere dove i luoghi comuni siano tali oppure dove corrispondano alla
realtà. È un personaggio molto vivo, che si fa passare addosso tutto
quello che succede e quindi può servire a raccontare molte cose. 98
98
Stefano Sgambati, L’ispettore Coliandro “svelato” da Carlo Lucarelli: “Un personaggio capace di
raccontare la società di oggi”, in http://www.tvblog.it/post/15599/lispettore-coliandro-svelato-da-carlo-
lucarelli-un-personaggio-che-sa-raccontare-la-societa-di-oggi.
47
a distanza dai bambini, se non si vuole che imparino un linguaggio da
scaricatori di porto (o semplicemente da salotto normale, dove si parla
con il linguaggio della borghesia qualunque). Tuttavia ha un tocco
'noir' che può attrarre molto, perché porta le storie al livello della
quotidianità e le fa apparire 'vere'. Sicché 'Coriandolo' è un buon
esempio di poliziesco moderno, televisivamente ben fatto,
leggermente ansiogeno: ma questo per un 'noir' dovrebbe essere
normale. 99
99
Edmondo Berselli, Simpatico Coriandolo, L’Espresso, 4 giugno 2006.
48
puntata della serie L’ispettore Coliandro ha raggiunto il 12,91%
di share100 ottenendo risultati significativi soprattutto nella
fascia 25-44 anni (sopra il 16%). In generale la serie ha ottenuto
sempre una media di 6,2 milioni di spettatori a puntata,
confermandosi una delle serie televisive italiane più seguite di
sempre. E questo grazie soprattutto alla simpatia suscitata dal
personaggio e allo stile con cui è girata, ma soprattutto per la sua
visione così disincantata e reale riguardo il mestiere del
poliziotto, cosa che non si era vista finora nelle serie poliziesche
italiane.
3.3 Crimini
Torna, dunque, ancora una volta il tema del male come virus che
contagia la società. Questa volta però le cause che portano al virus
100
Dati Auditel in www.tvblog.it.
101
Giancarlo De Cataldo (a cura di), Crimini italiani, Torino, Einaudi, 2008.
102
ibidem, p. VII
49
sono individuate nei “miti negativi”, divenuti imperanti, secondo
gli autori, nella società italiana:
103
ibidem.
104
ibidem, p. VIII.
50
decide di attingere nuovamente ad esso come serbatoio di nuove
storie per il proprio palinsesto. Così nel 2006 esce per Rai2 (stesso
canale in cui era uscito Coliandro, che consolida la sua vocazione
al genere crime) la serie televisiva Crimini. Serie che consacra
definitivamente il “noir all’italiana”, con una media di 3 milioni
e mezzo di spettatori e 13% di share105 nella prima stagione (poi
ridimensionati nella seconda causa cambio di collocazione
sbagliato). Anche questa serie si presenta fin da subito come
“innovativa” a partire dal formato. Si tratta, infatti, di una serie
antologica, format inconsueto per le produzioni italiane, ma
molto praticato, ad esempio, negli Stati Uniti (storiche le serie
come Alfred Hitchcock presenta e Ai confini della realtà) in cui i
singoli episodi sono dei piccoli film per la televisione, ciascuno
con cast e regista diverso ogni volta ma accomunati da un
elemento comune. Il tema comune presente nella serie è,
ovviamente, il crimine, in particolare il crimine presente nelle
città italiane. In ogni puntata abbiamo una storia ambientata in
una città italiana dove viene sviscerato, dai singoli autori dei
racconti che sono anche autori dei soggetti televisivi, un crimine
particolare (così a Catania e a Napoli si parla di criminalità
organizzata, a Courmayeur di spaccio di droga, a Roma della
nuova criminalità venuta dall’Est Europa…).
105
www. tvblog.it, 9/4/2010, dati auditel programmi tv.
106
Fonte: ANSA, Da Camilleri a Fois, in scena l’Italia dei crimini, 27/11/2006, cit. in
http://www.vigata.org/films/criminitv.shtml.
51
Questa formula ha successo soprattutto grazie al nome degli
autori, tutti scrittori conosciuti già dal grande pubblico e “prova
di garanzia” per il loro legame con il territorio che descrivono:
Bologna viene raccontata da Carlo Lucarelli, Padova da Massimo
Carlotto, il tutto con la supervisione generale degli episodi
sempre a cura di De Cataldo, in quegli anni reduce dal successo
di Romanzo criminale.
Un progetto che ha un capo e una coda, partito benino e si dice che nei
prossimi episodi si viaggi ancora meglio. […] Non che si sia rischiato
troppo, in partenza, visto che sono stati convocati tipi come Camilleri,
Lucarelli, Carlotto, Fois, Faletti e così via (in origine c´è il libro
"Crimini", pubblicato da Einaudi, che raccoglie tutti i racconti). La
partenza dell´altra sera è stata poi proprio con Camilleri, scelta non
occasionale visto che il decano aveva scritto ai tempi per lavori da
leggenda come il Maigret e lo Sheridan televisivi. 107
107
Antonio Dipolina, «“Crimini” il fascino del noir all’italiana», la Repubblica, 8/12/2006.
108
www.wikipedia.it/Crimini_(serie_televisiva).
52
de L’ispettore Coliandro a cui la serie s’ispira nel formato e nella
scelta dei registi e degli interpreti, creando un effetto di richiamo
per il pubblico affezionato alla serie precedente. Molti degli
episodi, infatti, hanno la regia dei Manetti Bros., già autori di
Coliandro, e l’episodio Il bambino e la befana, tratto da un
racconto di Giancarlo de Cataldo, ha come protagonista proprio
Giampaolo Morelli, l’attore che impersona anche il detective di
Lucarelli, quindi già volto noto e riconosciuto dal pubblico
italiano.
53
CAP. 4 IL CASO SKY
Sky Italia arriva ufficialmente nel nostro paese nel 2003 come
piattaforma pay, interamente finanziata da sottoscrizioni degli
abbonati e dagli inserzionisti. Nel 2008 abbiamo la prima fiction
prodotta dall’emittente: Quo vadis baby?, adattamento del
romanzo omonimo di Grazia Verasani per la regia di Guido
Chiesa con la supervisione di Gabriele Salvatores (che ne aveva
già curato l’adattamento per il cinema). Fin da subito vengono
evidenziate le novità apportate nelle serie. Novità che riguardano
non solo i temi e i contenuti delle serie televisive, ma anche lo
stesso sistema produttivo della pay-tv. Il modello di business è
originale, almeno per il nostro Paese, caratterizzato, fino a quel
momento, da un duopolio tra la televisione di stato (Rai) e una
televisione privata predominante tra le altre a livello nazionale
(Mediaset). La prima finanziata principalmente da denaro
pubblico, tasse (il cosiddetto “canone televisivo”) e da
inserzionisti. Il secondo quasi interamente dalla pubblicità. Sky,
invece, è un’impresa televisiva che si finanza principalmente
grazie agli abbonati. Si tratta, quindi, di un’impresa privata non
orientata però alla massimizzazione degli ascolti (come Mediaset)
ma alla fidelizzazione del pubblico con il consolidamento della
propria brand identity. Per questo motivo Sky punta molto sulla
promozione dal basso delle sue serie tv, stimolando il dibattito
attraverso i social e il fandom sul web. E su questo versante si può
dire che Sky sia stata molto innovativa contribuendo a porre le
basi, anche in Italia, per lo sviluppo della “cultura convergente”
descritta da Henry Jenkins, ovvero un mondo dove “i vecchi e i
nuovi media collidono, dove si incrociano le produzioni
grassroots e quelli delle corporation, dove il potere dei produttori
e quello dei consumatori interagiscono in modi imprevedibili”.109
La convergenza è stato un fattore determinante per lo sviluppo di
109
Henry Jenkins, Cultura convergente, Milano, Apogeo, 2006, Introduzione, pag. XXV
54
una serialità lunga contrapposta alla serialità breve delle miniserie
Rai (obiettivo a cui aveva già aspirato Mediaset con le sue serie
serializzate di genere crime). Nella televisione generalista lo
spettatore è guidato nell’offerta e si concentra su alcuni
programmi selezionati scelti per abitudine oppure per la chiarezza
nella proposta di titoli, generi e serate dedicate (è il caso della
serie antologica per Rai2, Nel segno del giallo). In questo caso,
dunque, quello che riveste maggiore importanza è il brand di rete.
Per quanto riguarda l’offerta Sky abbiamo, invece, “una proposta
di contenuti, brand e tecnologie che agisce da freno rispetto alla
fuga extratelevisiva dei fan del telefilm”. 110 Agendo su molti
dispositivi (televisione, tablet, social network …) l’azienda riesce
a conquistare ampie fette di pubblico diversificato e “flessibile”,
che può ritagliarsi percorsi di visione individuali attivando gli
strumenti che desidera, grazie alla moltiplicazione dell’offerta.
Inoltre lo spettatore riesce, grazie a questi dispositivi, ad
appropriarsi della sua serie e a rielaborarne i contenuti. La
condivisione dei contenuti è, infatti, un importante fattore di
promozione e di sviluppo per le serie tv.
Con queste premesse andiamo, ora, ad analizzare i caratteri
distintivi delle fiction Sky:
• Contenuto editoriale: vengono scelti temi che né Rai né
Mediaset possono o vogliono affrontare, in modo da costruirsi
una propria identità, riconoscibile dallo spettatore televisivo;
• Qualità: Sky è una multinazionale, in quanto tale deve
competere non solo con le emittenti nostrane ma anche con quelle
estere (in particolare statunitensi), cerca prodotti che siano
esportabili all’estero;
• Production Value: il sistema di produzione è a metà strada
tra quello di una tv nazionale e l’industria cinematografica;
110
Luca Barra, Massimo Scaglioni, Risalite e discese. Le trasformazioni dei percorsi degli spettatori
nell’ecosistema mediale, in Claudio Bisoni, Veronica Innocenti (a cura di), Media Mutations, Modena,
Mucchi editore, 2013, p. 171.
55
Queste le caratteristiche della produzione Sky generale, in linea
con le direttive della piattaforma.
Già da queste premesse si capisce come il modello per questo tipo
di fiction sia quello dell’emittente americana Hbo la quale, sul
finire degli anni Novanta, ha prodotto alcune serie tv entrate di
diritto nella storia della televisione. Tali serie tv (tra le altre, The
Sopranos) si rifanno al concetto di quality tv, uno stile di fiction
nato negli anni Ottanta a seguito della Seconda Golden Age, un
periodo in cui in televisione si sperimentano nuove forme di
intrattenimento e nuove forme di racconto seriale in grado di
fidelizzare il più possibile il pubblico. Oggi queste nuove forme
di racconto seriale sono diventate la norma. Le loro caratteristiche
principali sono:
111
Definizione tratta da http://www.treccani.it/enciclopedia/quality-tv_(Lessico_del_XXI_Secolo)/.
112
Luca Bandirali, Enrico Terrone (a cura di), Filosofia delle serie tv dalla scena del crimine al trono di
spade, Milano, Mimesis, 2012, p. 23.
56
e ai romanzi togliendo così la serie dal flusso della
programmazione ed elevandola ad arte.
113
ibidem, p. 24.
57
scelta del “noir all’italiana” come sottogenere di riferimento (non
l’unico ovviamente, ma di certo quello che ha avuto maggior
successo) e locale come dimostrano l’uso del dialetto in Romanzo
criminale e Gomorra-la serie.
Il successo del genere poliziesco italiano va di pari passo con
quello internazionale, in particolare risulta derivato dal successo
delle serie televisive americane. Il genere crime è sempre stato
considerato di “serie b” dalla critica. Le critiche negative sono
derivate dall’eccessiva violenza, dalla banalità e ripetitività dei
personaggi che, molto spesso, rappresentano dei cliché, dallo
scarso realismo delle trame e la scarsa qualità di interpreti e
sceneggiature per cui si è soliti indicare un prodotto con queste
caratteristiche come “americanata”114 dal momento che questo
modello è quello delle serie americane (ma la critica può
riguardare però anche molte fiction europee).
Il successo di alcune serie innovative di questo genere (tra cui
ricordiamo The Sopranos e The Shield) ha fatto cambiare idea,
smontando questo preconcetto, ed elevandole al rango di vere e
proprie opere d’arte. Il motivo per cui, in genere, si concorda per
quanto riguarda l’innovazione apportata da queste serie (in un
genere dove i motivi e i codici sono ormai da tempo standardizzati
e tendono ad assomigliarsi) è stato il cambio di prospettiva nelle
storie. In particolare la ridefinizione dei concetti di bene e male
che, in queste serie, appaiono meno manichei e più sfumati del
solito.115
The Shield, infatti, parla di un immaginario distretto di polizia di
Los Angeles dove opera una pattuglia di poliziotti corrotti che non
esita a scendere a patti con la malavita locale, mentre The
Sopranos è il racconto delle vicende di una famiglia mafiosa italo-
americana (a cui molto deve Gomorra-la serie) narrato dal punto
di vista del capo-famiglia che soffre di una grave crisi depressiva.
114
Roberto Pastore, Sulle strade della fiction, Torino, Lindau, 2012, pp. 10-11.
115
ibidem, pp. 32-33.
58
Queste serie sono state ben accolte dal pubblico e anche dalla
critica per il loro citazionismo, cinematografico e non, e per il
ribaltamento di luoghi comuni e di stereotipi consolidati del
genere. Inoltre, sono serie che si basano entrambe su personaggi
negativi, visti sotto il loro aspetto più umano e, per questo motivo,
più realistici di altri già rappresentati in altre serie. Romanzo
criminale e Gomorra-la serie hanno riflesso lo stesso successo
proprio perché paragonabili a queste nella rappresentazione di un
male “familiare”, “realistico”, diverso da quello manicheo che
finora si era visto in televisione:
Aldo Grasso, “Gomorra, la serie, è meglio del film”, Corriere della sera, 7 maggio 2014.
116
Gianluca Abate, “Gomorra, così raccontiamo l’epopea del male a Scampia”, Corriere del Mezzogiorno, 30
117
aprile 2014.
59
The Sopranos accusata, a suo tempo, di dare un’immagine
negativa della popolazione italo-americana.
118
Grazia Verasani, Quo vadis baby?, Milano, Colorado Noir, 2004.
119
Quo vadis baby?, Gabriele Salvatores, 2005.
120
Informazioni tratte dal sito www.coloradofilm.it.
121
A tal proposito si rimanda all’intervista ad Angela Baraldi del 15/05/2008 sul sito internet
http://www.televisionando.it/articolo/quo-vadis-baby-stasera-la-prima-puntata-su-sky-cinema/6259/.
60
collegamento anche con l’universo mediale della musica. Già da
qui capiamo come il prodotto nasce, fin da subito, come
multipiattaforma. A questo si aggiunge l’utilizzo del web per la
promozione della serie, a partire dalla creazione di un blog dove
raccogliere spunti e suggerimenti direttamente dalla community
dei fan, creando così il primo fenomeno di fandom italiano.122
Per quanto riguarda il modello della serie, la prima produzione di
Sky intende rifarsi alla tradizione della serie serializzata italiana
(autonomia narrativa dei singoli episodi con una continuity che
prosegue nel corso delle puntate, qui rappresentata dalle indagini
sulla morte di Sara, la sorella della protagonista), che era stata la
stessa usata per L’ispettore Coliandro: singoli episodi di novanta
minuti (in pratica dei piccoli film noir) girati con uno stile
sperimentale, molto cinematografico, lo stesso che aveva
caratterizzato il film di Salvatores, con utilizzo della camera a
mano e cineprese digitali ad alta definizione. Il rapporto tra
cinema e tv è, in questo modo sancito definitivamente per quanto
riguarda Quo vadis baby?, un prodotto che nasce fin da subito
come innovativo nel suo genere.
122
Massimo Scaglioni, Luca Barra (a cura di), Tutta un’altra fiction, la serialità pay in Italia e nel mondo. Il
modello Sky, Roma, Carocci, 2013, p. 126.
123
Giancarlo De Cataldo, Romanzo criminale, Torino, Einaudi, 2002.
61
di Roma, metodo inusuale per una serie televisiva italiana ma
ampiamente praticato per le serie televisive statunitensi.
124
www.lastampa.it, Cronaca, Roma, 15/10/2008.
125
www.ilmessaggero.it, Cronaca, Roma, 15/10/2008.
126
Andrea Bono, Guerrilla marketing da Romanzo criminale alla serie 1992, in www.floatype.com, 20/03/2015.
127
Romanzo criminale, Michele Placido, 2005.
62
finora si erano viste sul piccolo schermo (principalmente
agiografie di santi ed eroi nazionali).
In questo obiettivo la serie è aiutata da un retroterra che è
costituito dal successo ottenuto prima dal romanzo e poi dal film
del 2005 diretto da Michele Placido (qui nel ruolo di supervisore
e consulente della serie come già era stato Gabriele Salvatores per
Quo vadis baby?) che ne permette la riconoscibilità al grande
pubblico. La serie, infatti, prodotta da Cattleya (stessa casa di
produzione del film di Placido) nasce per “ampliare la dimensione
storica dell’affresco, la profondità d’analisi, la complessità delle
dinamiche tra i personaggi e tutti i missing files […] che
contribuiscono a rendere in modo preciso e meno stereotipato il
clima dell’Italia anni Settanta”.128 La serie tv eredita dal film un
patrimonio di ricerche sulle ambientazioni e i costumi e di
location già costruito e ben presente nella mente degli spettatori
che hanno già visto il film. A questo patrimonio la serie aggiunge
una regia molto dinamica, con un uso insistito della camera a
mano per ottenere riprese più reali seppur meno definite del film,
capaci di rendere la violenza in modo concreto. La fotografia,
inoltre, sottolinea la solarità della città di Roma con “l’uso di
colori sgargianti e acidi che ricordano l’iconografia dei
poliziotteschi anni Sessanta”,129 rendendo così Romanzo
criminale un noir solare, contraddicendo in parte le regole del
genere che predilige ambientazioni oscure e piovose, anche se poi
la seconda stagione della serie riprenderà queste atmosfere per
evidenziare la decadenza della banda creando così una
contrapposizione forte con la prima stagione. La serie, dunque, si
presenta come un miscuglio di true crime, gangster movie e
prison movie (nelle scene ambientate in carcere). La serie parte
quindi dal romanzo ma, in un certo senso, se ne discosta per
intraprendere una strada personale dove si dà spazio e si
128
Massimo Scaglioni, Luca Barra (a cura di), op. cit., p. 131.
129
ibidem.
63
approfondiscono le varie storylines dei personaggi introducendo
anche personaggi inediti che non ci sono nel romanzo e nel film
(tipico esempio il personaggio di Donatella, l’unica componente
femminile della banda). Si può dire, infatti, che la serie non abbia
un unico personaggio protagonista ma tutti i componenti della
banda sono protagonisti (equivalenti dei protagonisti delle fiction
corali sulle forze dell’ordine) ognuno con una propria
caratterizzazione e uno sviluppo personale approfonditi tramite
l’uso costante di flashback e flashforward lungo tutta la serie
(tecniche, anche queste, prese dal linguaggio cinematografico)
che servono anche a colmare le informazioni mancanti sulla loro
storia per il pubblico. Ne viene fuori un affresco storico dove si
incrociano storie di persone comuni che decidono di diventare i
“padroni di Roma”, all’inizio spinti da un forte sentimento di
solidarietà e amicizia. Il loro obiettivo è però minacciato in primis
dalle forze dell’ordine (che però appaiono come impotenti o
deviate) e dalle altre bande criminali della città. Il momento della
vittoria della banda coincide però con il suo stesso declino in
quanto i desideri e i rancori delle singole personalità (e la morte
del Libanese, il capo carismatico e vero asse portante della banda)
prevalgono sul sentimento di amicizia. Tutti i componenti della
banda perciò sono segnati da un destino tragico, non c’è
redenzione per nessuno (forse anche per evitare una mitizzazione
troppo accentuata nei loro confronti).
Romanzo criminale rimane ad oggi una delle serie televisive che
ha avuto maggior successo tra quelle Sky e una delle più
innovative per quanto riguarda la tematica, il formato e la
comunicazione con una buona fase di fandom creativa e abile
nello sfruttare l’immaginario della serie con una vasta produzione
di fan art dedicata ad essa, realizzando così quell’ideale di cultura
convergente a cui aspira Sky.
64
4.3 Gomorra-la serie
130
Roberto Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2006.
131
Gomorra, Matteo Garrone, 2008.
132
La seconda stagione è, al momento, in lavorazione con uscita prevista nel 2016
(http://www.televisionando.it/articolo/gomorra-la-serie-2-stagione-su-sky-quando-inizia-e-
anticipazioni/105055/),
65
il mob-movie). La serie, inoltre, rientra a pieno regime nelle
caratteristiche e nelle modalità di produzione delle precedenti
serie Sky e dimostra di averne assorbito bene la lezione, a
cominciare dalla scelta della regia che viene affidata a un trio di
registi come Stefano Sollima (anche supervisore, garanzia di
qualità per Sky dopo il lavoro fatto per Romanzo criminale),
Francesca Comencini e Claudio Cupellini, tutti autori con un
buon curriculum cinematografico alle spalle, oltre a sfruttare,
ovviamente, il nome di Roberto Saviano tra gli sceneggiatori,
garanzia per il pubblico che ha amato il romanzo. Siamo sempre,
dunque, in un’ottica di fidelizzazione del pubblico che fa leva
sulla conoscenza e la riconoscibilità del brand di produzione. In
particolare la serie cerca di rifarsi a Romanzo criminale
soprattutto per quanto riguarda l’uso della fotografia (dai toni
emblematicamente scuri) e la ricostruzione della violenza e delle
ambientazioni (in questo caso il quartiere napoletano di Scampia).
Non a caso la serie è stata molto lodata per il suo realismo e la
crudezza delle scene mostrate:
Tutto è molto credibile, vero, e proprio per questo le scene più crude
ti colpiscono emotivamente come una lama nello stomaco. Una
criminalità organizzata spietata, senza remore ne scrupoli. Pronta a
tradimenti, vendette, attentati, esecuzioni a bruciapelo, assalti tra
gruppi di fuoco, torture. Scene dure, spietate, senza via d’uscita.
Esistenze senza possibilità di redenzione o lieto fine.
Come nell’altra serie di successo italiana Romanzo criminale, l’alto
livello di realismo di questa serie è rafforzato dalla scelta del dialetto
verace. Non edulcorato o macchiettato come spesso si usa nelle
commedie e nei cinepanettoni. Una scelta che richiama il neorealismo
e l’Accattone di Pasolini.133
133
Stefano Zattera, Gomorra-la serie, la recensione, in http://sugarpulp.it/gomorra-serie-recensione/
66
film di Pasolini da cui riprende la scelta di servirsi del dialetto per
dare maggiore verosimiglianza ai dialoghi e, quindi, anche ai
personaggi rappresentati:
ibidem.
134
Andrew Collins,” Recensione del cofanetto di Gomorra, un autentico e cupo racconto di gangster italiani”,
135
67
Su ammissione dello stesso Roberto Saviano, infatti, la serie
dovrebbe descrivere il male causato dalla mafia, evitando però di
suscitare empatia verso i criminali. Da qui la scelta di concentrarsi
solo su personaggi negativi in maniera “seria”, ovvero evitando
la comicità di The Sopranos, per non far risultare “simpatici” i
mafiosi descritti nella serie. Ma, piuttosto, si sceglie di
rappresentarli come persone che sembrano avere un destino di
sofferenza e dolore segnato già dalla nascita. Ci sono state al
riguardo parecchie polemiche e non poche sono state le critiche,
da parte della stampa specializzata, a questa scelta:
Tuttavia, dopo aver visto le ultime due puntate della prima stagione,
mi sono posto delle domande. La prima: è giusto che in Gomorra non
ci sia il bene? O meglio, che la bontà e la ragionevolezza non siano
minimamente considerate? Mancano le sfumature – un grigio che vira
al nero, diciamo. C’è solo il nero assoluto del male. Un mondo abitato
da boss spietati e scugnizzi assetati di sangue. Nessun margine non
dico di redenzione, ma di critica. Questa rappresentazione rende
giustizia ai quartieri e agli abitanti che nelle cronache (reali), devono
confrontarsi quotidianamente con la presenza dei camorristi? Non è
che questo serrato accavallarsi di tradimenti, pallottole sparate e
bossoli caduti a terra, alla fine, mitizza il male anziché analizzarlo e
documentarlo? Pensiamo a film come Il padrino che hanno edulcorato
un mondo pessimo e assurdo come quello dei gangster. 136
Alberto Grandi, Gomorra (serie tv), il fascino del male e la realtà del ridicolo, in www.wired.it, 12 giugno
136
2014.
68
però riduttivo per quanto riguarda la descrizione della realtà, in
quanto la società sembra essere irrimediabilmente portata verso il
male. Non è un caso che la serie abbia scatenato polemiche da
parte di alcune istituzioni e associazioni del territorio napoletano
per questo motivo che hanno portato a una vera e propria
“campagna anti-Gomorra”:
137
Giacomo Talignani, “Napoli divisa sulle riprese di Gomorra 2”, L’Huffington Post, 23 settembre 2015,
http://www.huffingtonpost.it/2015/09/23/napoli-gomorra-due-riprese_n_8183588.html.
138
Remo Valitutti, Gomorra 2: non si placano le polemiche sulla serie, in http://it.blastingnews.com/tv-
gossip/2015/09/gomorra-2-non-si-placano-le-polemiche-sulla-serie-00564599.html.
69
funzionale per la veridicità delle vicende, e una grande attenzione
e ricerca stilistica per i personaggi e le ambientazioni. Rimane una
serie tradizionale sotto molti aspetti, con una rappresentazione
della criminalità organizzata che riprende clichè già visti anche se
li descrive da un punto di vista inedito (quello dei sottoposti,
appunto, più che dei boss mafiosi) innovando, in questo senso,
l’immaginario visivo nazionale e di genere della criminalità
organizzata che acquista veridicità grazie a questo sguardo
contemporaneo su di essa. Certo, vengono esclusi dalla
narrazione alcuni aspetti della criminalità organizzata (rapporti
con la finanza, con la politica…) ma il citazionismo alle serie tv
contemporanee e ai gangster-movie funziona anche in questo
senso, rendendo “verosimile” la vicenda agli occhi dello
spettatore, più che in Romanzo criminale che, pur presentando
una criminalità più sfumata nei suoi toni violenti, ha dalla sua il
filtro del period drama che permette un distacco maggiore e
quindi la possibilità di servirsi di un certo registro ironico e di
giocare sui clichè del poliziottesco con il suo stile vintage
(nell’uso delle auto d’epoca, nei dialoghi sui gusti musicali…).
La serie, dunque, ha attirato molta attenzione, più delle altre, per
la rappresentazione dei personaggi, e dell’ambiente in cui vivono,
ma soprattutto per il loro atteggiarsi di fronte al bene e al male.
La rappresentazione della criminalità organizzata rimane ancora
succube di una certa mentalità tradizionale, tralasciando gli
aspetti che dicevamo prima (viene accennato brevemente il
rapporto con il potere imprenditoriale e politico in un episodio
dove il protagonista, Genny Savastano, parla di un appalto che la
sua cosca cerca di accaparrarsi). Da questo punto di vista è netto
il rapporto con Romanzo criminale, serie molto più attenta nel
dare sfumature ironiche ai suoi personaggi, anche se va
comunque sottolineato il fatto che quest’ultima si riferisce alla
società degli anni Settanta e Ottanta (tra l’altro filtrata dai
riferimenti con il cinema poliziottesco) e al fatto che non è detto
che non ci sia un’evoluzione dei personaggi sotto questo aspetto
70
nella seconda stagione di Gomorra-la serie. Proprio per
approfondire meglio questo aspetto, nel prossimo capitolo
metteremo in evidenza il rapporto che intercorre tra bene e male,
e la descrizione che viene data dei loro rappresentanti, dai
romanzi noir italiani fino alle serie tv contemporanee.
71
CAP. 5 BUONI O CATTIVI?
139
Sulla “vendetta dei giallisti” si veda Marco Sangiorgi, “Il giallo italiano degli anni 90 e il fascismo”, Tratti,
XIII, 1997, pp. 93-118.
140
Alessandro Perissinotto, op. cit., pp. 9-10.
72
solo sul delitto ma anche su quello che si cela dietro le apparenze
di una società che viene considerata “perbenista”. In generale la
denuncia sociale portata avanti dagli autori del “noir all’italiana”
è stata considerata positivamente dalla critica e la presenza di
antieroi o personaggi negativi (pensiamo a Giorgio Pellegrini,
protagonista di Arrivederci amore ciao 141 di Carlotto) da
Scerbanenco in poi non è stata vista come negativa ma, anzi,
come un valore aggiunto per la denuncia sociale insita in questi
romanzi. Non sono mancate però anche delle critiche, soprattutto
rivolte verso le ultime produzioni noir italiane, accusate di
mascherare dietro la facciata di “denuncia sociale” romanzi che
virano verso lo splutter e la letteratura pulp fine a sé stessa:
L’ascesa irresistibile del giallo nel nostro paese sembra aver montato
la testa ai suoi autori: non c’è intervista o articolo che non ci spieghi
come il giallo/noir sia il genere più adatto a raccontare il presente, la
nostra epoca, la nostra società […] Prendiamo anche il punto di vista
della società: la nostra storia pubblica recente potrebbe offrire un
materiale noir inesauribile, ma ho l’impressione che la politica
italiana, per quanto ingarbugliata e criminaloide, non è mai
avventurosa o eccitante. […] (Il noir all’italiana) Ha un realismo solo
apparente, poiché il suo modello non è la realtà ma il cinema o la tv.
E poi spesso la visione dei giallisti si alimenta di contrapposizioni
obsolete: ad esempio non è vero che il noir, privilegiando le situazioni
estreme è anticonformista. Oggi l’ideologia pervasiva dello spettacolo
tende proprio a estremizzare tutto in chiave spettacolare. Il sado-maso
dell’avanguardia è finito negli spot. […] (Il noir) impone agli scrittori
una gabbia narrativa fatta di clichè, formule, regole rigide, tipi
prevedibili, automatismi a cui nulla può sfuggire. Molti autori di
genere percepiscono il condizionamento di questa gabbia e tentano di
uscirne. […] Solo che a quel punto non si capisce perché ci si ostina a
mantenere l’etichetta iniziale. 142
Filippo La Porta, Contro il nuovo giallo italiano (e se avessimo trovato il genere a noi congeniale?), in
142
Giulio Ferroni, Sul banco dei cattivi, Roma, Donzelli, 2006, pp. 53-67.
73
rapporti con la censura sono stati più problematici, essendo la
censura cinematografica e televisiva più restrittiva rispetto a
quella letteraria, data anche la maggior partecipazione emotiva da
parte del pubblico in questo tipo di opere. È dagli anni Sessanta
in poi, a seguito del progressivo abbandono del codice Hays (il
codice di autoregolamentazione del sistema hollywoodiano che
regolamentava i temi e le modalità di rappresentazione della
violenza), che la violenza nel cinema hollywoodiano diventa più
“calligrafica, ricercata e compiaciuta […] confondendo
considerazioni di carattere etico e valutazioni di natura
estetica”, 143 influenzando allo stesso modo anche le altre
cinematografie nazionali. La critica, dunque, al cinema di
violenza (a cui è indissolubilmente legato il genere noir) non è
tanto il fatto che sia aumentato il numero di scene violente
(presenti anche durante l’epoca del cinema classico), ma che
queste siano slegate da ogni etica e/o giustificazione e
formalmente elaborate, dando l’idea di una violenza compiaciuta
da parte dei registi. Sono le stesse critiche che vengono rivolte al
genere poliziottesco, accusato a suo tempo di essere un genere
“fascistoide” a causa della rappresentazione che veniva data dei
poliziotti: disposti a qualsiasi cosa pur di prendere i colpevoli, sul
modello della saga cinematografica dell’ispettore Callaghan,
anch’esso relegato dalla critica entro i limiti del personaggio “di
destra” e “conservatore”, mentre in realtà voleva essere la
rappresentazione di un poliziotto che si trova costretto a uscire
dalle regole per far trionfare la giustizia, rischiando anche
l’accusa di essere “politicamente scorretto”. La serie di film
dell’ispettore Callaghan si inseriva, perciò, in un contesto di
pessimismo tipico degli anni Settanta nei confronti di una società
che si fingeva perbenista ma che, in realtà, nascondeva forti
problemi sociali al suo interno a cui, spesso, si era costretti a
143
Leonardo Gandini, Voglio vedere il sangue, la violenza nel cinema contemporaneo, Milano, Mimesis, 2014,
p. 23.
74
rispondere con la violenza,144 le stesse critiche che venivano
mosse anche nei film poliziotteschi italiani. Solo recentemente,
dopo il successo dei film di Quentin Tarantino ispirati, in parte, a
queste pellicole, c’è stata una rivalutazione critica nei loro
confronti.
In seguito il genere proseguì la sua evoluzione sviluppandosi in
un filone comico (quello, per intenderci, dei film con Tomas
Milìan) che divenne ben presto cinema popolare, lasciando da
parte la denuncia sociale, quindi rendendosi più accettabile da
parte del pubblico e della critica. Da quel momento in poi le redini
del poliziesco vengono prese dalla televisione, la quale però, se
da un lato ha una maggior varietà produttiva non dimostra, però,
di avere allo stesso tempo una varietà creativa. Nella televisione
generalista di stato (Rai) si predilige il formato seriale breve, la
miniserie, come retaggio paracinematografico “legato anche
all’idea di «evento televisivo» più che di quotidianità”. 145 In
genere si predilige il poliziesco venato di commedia (i già citati
Don Matteo, Provaci ancora prof…) buonista e manicheo che
spesso mette in risalto l’operato delle forze dell’ordine. Altro
genere molto frequentato dalla Rai è il biopic legato ai compiti
del servizio pubblico, luogo della memoria del Paese, che
comporta, però, una minore attenzione alla contemporaneità.
Senza contare che, spesso, queste fiction sono considerate come
demagogiche o influenzate dai governi di turno che si servono di
esse per esaltare i propri miti.
Sono presenti eccezioni ovviamente a queste regole: la serie
crime La squadra su Rai3 che presenta una forte dose di
sperimentazione tecnica ed è stato uno dei pochi casi di serialità
lunga sul modello delle serie americane Hill street blues e The
Wire, dimostrando anche di essere legata ai problemi
contemporanei della città di Napoli, e la serie tv Il commissario
144
Le considerazioni sulla serie di film dell’ispettore Callaghan si trovano nel commento all’edizione DVD di
Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan (Magnum force, Don Siegel, 1973), sezione “extra”.
145
Aldo Grasso (a cura di), Storie e culture della televisione italiana, Milano, Mondadori, 2013, p. 293.
75
Montalbano su Rai1 che, pur mantenendo la struttura tradizionale
della miniserie ha dimostrato un’accuratezza stilistica particolare
e il tentativo di restituire la figura di un commissario “vero” e
“umano” (aiutata in questo obiettivo dalla simpatia del
personaggio e dal successo editoriale dei romanzi di Camilleri).
La rete Rai2, inoltre, è stata in questi ultimi anni la rete che, più
delle altre, si è votata al genere crime producendo interessanti
esperimenti di fiction italiana che hanno mirato, soprattutto, a
rendere il genere meno manicheo e più attento alle tematiche
sociali contemporanee come la già citata serie antologica Crimini,
ma anche la serie Nebbie e delitti, basata sui romanzi di Valerio
Varesi. Da notare che entrambe le serie hanno dei corrispettivi
letterari, probabilmente per fare leva sul pubblico del “noir
all’italiana”, genere che, proprio in quegli anni, aveva il suo
“boom editoriale”. Si tratta però di esperimenti durati poche
stagioni, a cavallo tra il 2005 e il 2010, che facevano leva su un
tipo di serialità “debole”, non adatta per un pubblico generalista,
fattore che li ha certamente penalizzati negli ascolti.
La rete generalista privata (Mediaset), invece, si è caratterizzata
per uno stile di fiction “popolare ma stilisticamente più ricercato
titoli capaci di prolungarsi per più serate e più stagioni con relativi
spin-off”.146 Le serie Mediaset si contraddistinguono per il
rispetto verso le regole del genere (con una tendenza per il
sottogenere action per quanto riguarda le serie crime)
riprendendone gli stilemi ma “estremizzandoli”, mettendo in
scena la lotta tra bene e male in maniera quasi fumettistica e con
coppie di investigatori sui generis (i riferimenti sono alle serie
Squadra Antimafia e Il tredicesimo apostolo). “Il segno è quello
dell’iperpopolarità, in bilico tra coerenza e dismisura
stilistiche”,147 anche qua con una forte tendenza alla celebrazione
146
ibidem, p. 296.
147
ibidem.
76
delle forze dell’ordine con le serie procedurals (Distretto di
polizia, Carabinieri …).
Veniamo ora alle serie tv Sky e alla sua filosofia di “innovazione
nella tradizione”. Se, infatti, a livello di struttura abbiamo un tipo
di serialità che riprende il modello di Mediaset (serialità medio-
lunga e serie serializzata) con una forte tendenza verso le opere
di derivazione letteraria (come il modello delle serie crime di
Rai2), a livello tematico la differenza con le serie tv generaliste si
vede. Le serie tv Sky si sono contraddistinte per il fatto di
scegliere soggetti che raccontano storie dal punto di vista del
crimine, per rimarcare la propria differenza con le altre reti. Ecco
allora che Romanzo criminale diventa un “racconto di ampio
respiro, frammentato, attento alle sfumature, epico e sinistro”.148
148
ibidem, p. 298.
149
Alessandra Giannelli, “La nuova fiction Sky”, Cinemanews, 6/11/2008, cit. in www.mymovies.it/Romanzo-
criminale-la-serie.
150
Vedi pag. 56.
77
In realtà tali modelli di personaggi negativi non sono una novità
nel panorama mediale italiano in quanto sono modellati (in
particolare i protagonisti di Romanzo criminale) su quelli che
tradizionalmente risalgono a Scerbanenco e alla scuola del “noir
all’italiana”, oltre che a modelli dettati dalle serie tv oltreoceano,
quindi a un immaginario che lo spettatore (anche italiano) è ormai
preparato a ricevere dal medium televisivo. E certamente il
successo è stato dovuto anche al diverso tipo di pubblico, più
preparato a cogliere questi riferimenti e ormai preparato
culturalmente per un tipo di serialità diverso da quella
tradizionale.
È interessante poi notare come da un lato la critica televisiva esalti
questo tipo di fiction ma, dall’altro, ponga l’accento sulla
possibilità di emulazione da parte degli spettatori, soprattutto da
quelli che la giornalista e critica televisiva Emily Nussbaum ha
definito i bad fan,151 ovvero quel tipo di spettatori televisivi che
tende a prendere gli antieroi televisivi come modello al punto da
trasformarli in “eroi positivi”. In Italia, le critiche verso questi
show televisivi sono state mosse soprattutto dalla stampa e dalla
critica sociologica, in particolare verso Gomorra-la serie, che è
stata al centro dei riflettori per l’immagine negativa che, secondo
alcuni critici, ha dato della città di Napoli, in particolare del
quartiere di Scampia.
Questo tipo di critica non è nuova. Viene rivolta spesso verso i
prodotti seriali che si occupano di raccontare il problema mafioso
in Italia, che rappresenta un argomento molto delicato. Nelle
fiction italiane abbiamo al riguardo due tipi di narrazioni: le
martirologie (biografie dove gli eroi dell’antimafia sono trattati
come santini) e le “biografie in nero” (dove i mafiosi sono visti
come antieroi, non privi di fascino per lo spettatore).152 Entrambe
151
Emily Nussbaum, «That Mind-Bending Phone Call on Last Night’s “Breaking Bad”», The New Yorker, 16
settembre 2013.
152
Antonio Ingroia, “Il prezzo dello stereotipo”, I duellanti, n. 55, 5 settembre 2009, p. 24.
78
queste tipologie di fiction sono state ampiamente sfruttate sia dal
cinema sia dalla televisione italiana, creando un immaginario ben
preciso. Ma entrambe sono, in genere, considerate negativamente
in quanto, nel migliore dei casi, vengono ritenute superficiali
nella descrizione reiterata di stereotipi abbastanza manichei. Nel
peggior dei casi, inoltre, possono generare dei miti negativi nello
spettatore. In particolare si è fatto notare come la scelta di
presentare le martirologie degli eroi antimafia può dare
l’impressione che la lotta alla mafia possa essere sempre destinata
a fallire. Allo stesso modo la descrizione manichea che viene fatta
della società (una parte sempre “onesta” e “incorruttibile”, l’altra
“disonesta” e “corrotta”) e la descrizione del potere mafioso come
monstrum, icona totalizzante della negatività e indecifrabile, può
instillare nella comunità dogmi e superstizioni che non
corrispondono alla realtà.153
153
Roberto Scarpinato, “Breve storia di una rimozione”, I duellanti, op. cit., p. 20-22.
154
Vittorio Mete, Immagini di mafia, in www.rivista il Mulino. it, 7 aprile 2014.
79
La rappresentazione che vien fatta di questi argomenti non è,
perciò, da considerare in maniera superficiale, in quanto la nostra
sta diventando sempre di più una “cultura mediale” in cui i modi
di rappresentazione diventano dei miti che si rafforzano in
modelli da imitare. Il problema nasce quando il mito da rafforzare
è quello del fascino sinistro del male.
Le serie tv americane, che già da anni hanno portato avanti un
discorso di rinnovamento e presentano una “cultura mediale”
molto più consolidata della nostra, sono più attenti a restituire
un’idea di bene e male molto “verosimile”. The Sopranos, ad
esempio, a cui s’ispira, in parte, Gomorra-la serie offre una
rappresentazione del mafioso in tono non enfatico. Il mondo della
mafia viene smitizzato e ridicolizzato e la serie diventa una specie
di sit-com familiare dove vengono messe in mostra le debolezze
e le nevrosi del protagonista, Tony Soprano, potente boss della
mafia italo-americana.
Nella nostra fiction, invece, si è legati ancora allo stereotipo di
padrini mafiosi forti e arcaici (è il caso de Il capo dei capi, serie
che ha avuto molte critiche per questi motivi). Questo perché la
mafia è ancora vista come “qualcosa di esotico, che emana perciò
un certo fascino”.155 Così anche Gomorra-la serie, pur avendo
l’obiettivo nobile di rovesciare questa immagine, si dimostra in
realtà, con la sua scelta di non mostrare l’umanità dei
protagonisti, ancora legata a questa visione. I suoi protagonisti
sono ancorati a certi schemi risalenti alla saga familiare de Il
padrino.
Sky, dunque, dimostra da un lato di essere riuscita a smarcarsi dal
modello tradizionale delle reti generaliste puntando su soggetti
innovativi e non banali. Le sue serie televisive di genere
prevalentemente crime (in cui rientrano anche i biopic su
personaggi controversi come Felice Maniero in Faccia d’angelo
e la pornostar Moana Pozzi in Moana, degni contraltari dei
155
Antonio Ingroia, op. cit., p. 27.
80
“santini nazionali” Rai e Mediaset) hanno ricevuto l’attenzione e
le lodi della critica, più per motivi stilistici e per la loro
accuratezza formale che per i contenuti. In generale il successo
delle serie Sky deriva più che altro dalla cattiva reputazione delle
fiction generaliste che sono pensate per un pubblico più anziano
e tradizionalista, mentre Sky si rivolge a un pubblico più giovane
e più “curioso” che guarda al modello delle serie americane della
Seconda Golden Age televisiva. Sarebbe però sbagliato non
considerare anche le eccezioni che ci sono state in questi anni
nella tv generalista (in particolare le serie italiane crime di Rai2)
che ha dimostrato di sapere affrontare anche temi controversi e
creare personaggi seriali (Montalbano e Coliandro) che non
hanno niente da invidiare alle serie Sky, e mostrano anche con
maggiori sfumature il rapporto di bene e male.
81
CONCLUSIONI
82
dell’aiuto di tutto il sistema mediale attorno a sé (giornali, radio,
web…), sfruttando la facile “traducibilità” delle sue opere e i
vantaggi della cultura convergente descritta da Henry Jenkins.
Oltre alla riscrittura storica, un altro elemento importante di
questa narrativa è l’attenzione verso le realtà locali e regionali. In
particolare, quest’ultimo aspetto sta diventando la caratteristica
dell’intero brand mediale italiano che si muove in un ambito
glocale, 156 attento alle particolarità regionali italiane ma con una
struttura (l’indagine poliziesca) che si rifà a un modello
universale.
A partire dal successo editoriale, dunque, abbiamo anche il
successo di tutto il sistema mediale che ha fatto del genere crime
(termine equivalente di “poliziesco” nel sistema dei generi
televisivi) il proprio genere predominante, in grado di coinvolgere
anche tutti gli altri generi sotto il paradigma dell’investigazione e
del mistero, dalla fantascienza (si veda, ad esempio, il caso del
fantasy Il tredicesimo apostolo) alle fiction storiche come 1992
(altra produzione Sky Italia), fino alle saghe dei supereroi nelle
quali, recentemente, si assiste sempre più a un processo di
“noirizzazione” con la riscrittura, al cinema, in chiave dark di
alcuni personaggi canonici del genere (è il caso della trilogia di
Christopher Nolan dedicata al personaggio di Batman) dove le
storie si basano sul “contrasto tra l’esercizio libero e individuale
del potere dei supereroi, l’invadenza dei mass-media, gli interessi
governativi e obiettivi commerciali delle multinazionali”. 157 Tali
elementi, affini a quelli del noir per quanto riguarda il senso di
alienazione della società e la sfiducia verso le istituzioni, hanno
portato a ridefinire le figure dei supereroi: più umani, non privi di
difetti, anzi, in alcuni casi perfino ambigui e contradditori nel loro
agire (nel caso della serialità televisiva possiamo notare tali
156
Per una definizione di “glocale” si veda
http://www.treccani.it/enciclopedia/glocale_(Lessico_del_XXI_Secolo)/.
157
Alessandro Di Nocera, Supereroi e superpoteri, Roma, Castelvecchi, 2006, p. 291.
83
caratteristiche nelle serie Daredevil e Gotham, entrambe
pienamente rientranti nel genere crime).
Del resto già il “noir all’italiana” nasceva in origine come
“multimediale” e “convergente” prendendo spunto
dall’immaginario visivo dei noir cinematografici e, in parte,
televisivi, con una scrittura che era condizionata da questo
immaginario. Per cui non c’è da stupirsi se proprio questo genere
oggi funge da serbatoio d’idee per questi altri media. Il successo
editoriale ha permesso di creare un sistema di riconoscibilità e di
garanzia di qualità nonché un buon mezzo di fidelizzazione per il
pubblico appassionato di queste storie, che ha fatto la fortuna di
Sky, la rete televisiva che, più di tutte le altre, si è servita di queste
opere come garanzia di qualità, venendo poi imitata dalle altre
reti. Di recente, infatti, Netflix, società statunitense di noleggio
DVD e produttrice di serie streaming per il web, intenzionata ad
assumere un ruolo di primo piano nella produzione seriale anche
nel nostro Paese, ha scelto un romanzo di De Cataldo, Suburra,
di cui contemporaneamente sta uscendo anche un film per la regia
di Stefano Sollima. Si consolida, dunque la prassi, rivelatasi
vincente dal modello Sky, del romanzo-film-serie tv, divenuta un
vero e proprio sistema produttivo di facile richiamo e capace di
fidelizzare il pubblico.
Tale sistema però non è affatto nuovo: già nella televisione
pubblica c’erano sempre stati esperimenti di questo tipo che
riguardavano la convergenza tra diversi media, basti pensare alla
serie tv Qui squadra mobile degli anni Settanta, una delle prime
serie oggetto di una novellizzazione (trasposizione letteraria di
una serie tv o film) con l’uscita dei romanzi basati sugli episodi
della serie per Garzanti. Per certi versi si può dire che siano state
le fiction Rai a introdurre il “noir all’italiana” in televisione con
alcune fortunate serie televisive a partire dalla fine degli anni
Novanta, le quali hanno sfruttato il precedente successo editoriale
delle storie narrate (Il commissario Montalbano, L’ispettore
84
Coliandro, …). Si tratta di serie girate in formato cinematografico
(spesso le puntate sono dei veri e propri film per la televisione
divisi in più puntate) che hanno rappresentato una novità nel
panorama seriale italiano, rinnovando il genere, spesso
considerato negativamente dalla critica per il suo manicheismo e
la sua visione troppo retorica e buonista delle forze dell’ordine.
Purtroppo, proprio a causa del loro sperimentalismo, poco in
sintonia con i gusti e la formazione di un pubblico generalista, ma
anche di scelte sconsiderate da parte della produzione (che spesso
le ha relegate in orari che ne penalizzavano l’audience) queste
serie non sempre hanno avuto il successo che meritavano.
In questo panorama si è inserito Sky il quale, forte di una struttura
produttiva e finanziaria particolare, è stato in grado di affermarsi
con la sua filosofia di “innovare nella tradizione”. Per quanto
riguarda l’originalità delle proprie serie, infatti, si può dire che
Sky non abbia inventato nulla di nuovo, scegliendo di rimanere
in un sistema di generi (in cui il crime detiene il primato sugli
altri) già conosciuto e affermato, e rivolgendolo a un pubblico che
ha assorbito bene la lezione delle serie tv americane della Seconda
Golden Age, quindi più predisposto a prodotti “di qualità”. Il tutto
mettendo davanti il proprio nome, facendo leva su un brand
riconosciuto e mettendo a punto strategie comunicative e di
marketing sconosciute, fino ad allora, in Italia, aiutata, in questo
obiettivo, dalla convergenza con il cinema e la letteratura. Si
tratta, quindi, di un successo che ha fatto leva, per la verità, più
sull’incapacità delle altre reti generaliste di sfruttare tale tipo di
soggetti, vista anche la loro tradizione e il loro pubblico: più
generalista e meno interessato a esperimenti e innovazioni nel
tipo di serialità anche se, ovviamente, esistono le eccezioni come
ad esempio il successo che continua ad avere la serie Il
commissario Montalbano o quello de La Piovra.
In particolare, la critica si è spesso concentrata sulla descrizione
che viene fatta dei personaggi negativi delle serie poliziesche
85
come termine di paragone tra Sky e le altre reti generaliste. Anche
in questo caso figure negative di un certo spessore non sono
mancate nelle fiction Rai e Mediaset (è il caso di Tano Cariddi ne
La Piovra o della serie televisiva Il capo dei capi, biopic sul boss
di Cosa Nostra Totò Riina). Tali personaggi però sono sempre
messi in secondo piano (o comunque in posizione non superiore
moralmente) rispetto alle forze dell’ordine, vere protagoniste
delle serie crime di queste reti. Sky, in questo senso, ha innovato
il genere facendo dei criminali i veri protagonisti delle sue fiction
(Romanzo criminale, Gomorra-la serie, …) ma, anche in questo
caso, la rappresentazione che viene data di essi non è realistica
ma manichea: sono persone votate irrimediabilmente al male. E
con loro la stessa società in cui vivono (una sorta di
“manicheismo al contrario” che è stato spesso oggetto di
polemica, soprattutto per quanto riguarda Gomorra-la serie).
L’intento civile che era stata la caratteristica principale dei “noir
all’italiana”, dunque, si scontra poi con questa visione ideologica
del mezzo televisivo, a sua volta ripresa dall’immaginario
cinematografico (nel caso di Gomorra-la serie i gangster-movie
e i mob-movie).
Secondo le intenzioni degli autori del “noir all’italiana” i romanzi
avrebbero dovuto prendere spunto dalla realtà. Si può dire che,
sempre più spesso, è la realtà ad essere influenzata dai mezzi di
comunicazione, a loro volta influenzati, in parte, da questi stessi
romanzi noir.
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