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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI

Corso di laurea magistrale in

Cinema Televisione e Produzione Multimediale

TITOLO DELLA TESI

Cattivi soggetti.
Protagonisti del poliziesco dal noir all’italiana alle fiction Sky

Tesi di laurea in

Letteratura e media

Relatore Prof: Giuliana Benvenuti

Correlatore Prof: Attilio Palmieri

Presentata da: Marcheselli Giacomo

Sessione

Seconda

Anno accademico
2014-2015
INDICE

INTRODUZIONE 1
CAP. 1 IL NOIR ITALIANO: UNA DEFINIZIONE 4
1.1 Le origini 11
1.2 Dopoguerra e rinascita 12
CAP. 2 IL NOIR NEI MEDIA ITALIANI 25
2.1 Il cinema poliziesco e il “poliziottesco” 27
2.2 La televisione 33
2.3 Il caso La Piovra 37
CAP. 3 PERSONAGGI ED EROI 42
3.1 Il commissario Montalbano 42
3.2 L’ispettore Coliandro 46
3.3 Crimini 49
CAP. 4 IL CASO SKY 54
4.1 Quo vadis baby? 60
4.2 Romanzo criminale 61
4.3 Gomorra-la serie 65
CAP. 5 BUONI O CATTIVI? 72
CONCLUSIONI 82
BIBLIOGRAFIA 87
VIDEOGRAFIA 90
SITOGRAFIA 91
INTRODUZIONE

Il genere crime (termine con cui si identificano tutti i prodotti


mediali “d’indagine”, equivalente del genere poliziesco in
letteratura) si è affermato in Italia come il genere più seguito e
anche quello più prodotto dalle emittenti, a scapito di molti altri
generi.
Questo successo non è stato casuale ma fa parte di una tradizione
che si è consolidata nel tempo e comprende tutto l’universo
mediale italiano (editoria, stampa, televisione). Fa parte, quindi,
di quei fenomeni ascrivibili alla definizione di “convergenza
culturale”, secondo la definizione dello studioso americano
Henry Jenkins. Perché proprio il genere crime e non altri generi
(per esempio il fantasy) ha beneficiato di tale sorte? Le ragioni
sono molteplici: certamente esiste, nel nostro Paese, una
tradizione ben consolidata di “letteratura d’indagine” che
comprende diversi generi (il cosiddetto “giallo”, il mistery, il
romanzo storico). Tra questi spicca il sottogenere del “noir
all’italiana” (o “noir mediterraneo”, 1 secondo la definizione di
Massimo Carlotto), etichetta che non indica solamente la loro
localizzazione geografica bensì una visione precisa di letteratura
con una sua filosofia particolare: tale sottogenere, infatti, ha le
stesse caratteristiche del genere maggiore, ma si distingue per
l’aspetto “sociologico” delle proprie storie. C’è un’attenzione
particolare al territorio e alla sua storia che viene riletta sulla base
delle vicende criminose. Il poliziesco, secondo i suoi stessi autori,
diventa così un pretesto per indagare sulla realtà quotidiana e sulle
sue contraddizioni.
Tale formula ha avuto un enorme successo, tanto che i romanzi
noir italiani sono diventati un “caso editoriale” esaltato e
avversato dalla critica.

1
Per una definizione di “noir mediterraneo”: https://noiritaliano.wordpress.com/dizionario-noir/noir-
mediterraneo/.

1
Al successo editoriale è seguita anche una serie di trasposizioni
in altri media, in particolare cinema e televisione (che saranno gli
oggetti di studio nella seconda parte della tesi) che hanno
contribuito a sancirne il definitivo apprezzamento da parte della
critica. Bisogna aggiungere che la convergenza mediale non
riguarda solo le trasposizioni letteratura-cinema-televisione ma è
un aspetto che tocca gli stessi romanzi noir che sempre più si
basano su una scrittura “visiva” che si rifa’ al linguaggio
cinematografico, da cui riprende temi e stilemi. Si tratta, quindi,
di un dialogo bidirezionale tra questi media in cui è difficile
stabilire il punto di partenza e arrivo. Fenomeno che è stato anche
oggetto di polemiche, dovute al fatto che la visione
“cinematografica” di alcune di queste opere si scontrerebbe con
il loro intento civile in quanto si tratta di una realtà che è sempre
e comunque “filtrata” dai media.
Chi ha usufruito maggiormente dei romanzi noir italiani come
fonte d’ispirazione è stata la televisione, capace di appropriarsi di
questo genere, spesso in collaborazione con gli altri media. In
particolare verranno analizzate le serie tv targate Sky, la rete
televisiva pay che ha avuto maggior successo in Italia e che ha
portato molte innovazioni nella serialità italiana sia a livello
strutturale e produttivo, sia a livello tematico (che riguardano
soprattutto le serie relative al genere crime). Analizzeremo come
e in quali modi si esprime questa “innovazione” portata da Sky in
relazione non solo alle altre emittenti televisive italiane ma anche
al rapporto che intrattiene con gli altri media, soprattutto per
quanto riguarda i romanzi noir da cui sono state tratte due delle
serie che hanno attirato maggiormente l’attenzione della critica:
Romanzo criminale e Gomorra-la serie. A queste va aggiunta la
serie Quo vadis baby? che, per prima, ha inaugurato questa
collaborazione proficua con il “noir all’italiana” e una particolare
strategia produttiva che riguarda la scelta di soggetti già noti al
pubblico grazie al precedente adattamento cinematografico. Una
scelta che, come vedremo, è risultata vincente per fidelizzare il
2
pubblico e ricevere consensi dalla critica per via del rapporto che
si è creato con i due media “maggiori”. L’attenzione da parte della
critica è segno di un particolare interesse nei confronti delle serie
tv considerate, ormai, molto più che una semplice forma
d’intrattenimento, grazie al successo avuto dalle serie americane
appartenenti alla Seconda Golden Age televisiva. Successo che
non sembra intenzionato a finire ma che, al contrario, cresce
sempre di più, come dimostra l’attenzione e l’interesse per le serie
posteriori a quelle elencate: 1992, Gomorra 2 e Suburra, serie
prodotta da Netflix, società di produzione che presenta molte
caratteristiche in comune con il modello di Sky.

3
CAP. 1 NOIR ALL’ITALIANA: UNA DEFINIZIONE

Definire il sottogenere “noir all’italiana”, che rientra in un genere


più ampio e, già di per sé, molto sfaccettato come il noir, non è
facile. Questo perché ad esso vengono ascritti talmente tanti
scrittori, così diversi tra loro, che si fatica a trovare dei punti in
comune. Un genere (e nello stesso tempo un sottogenere), infatti,
assume una sua identità riconoscibile quando raggiunge una
“coscienza testuale” (intertestualità, variazione di clichès,
parodie, pastiches…) e una “coscienza sociale” (produzione e
ricezione autonoma). 2 Tutti elementi che al noir italiano non
mancano.
Cominciamo, allora, dalla definizione stessa: “noir all’italiana” o
“noir italiano”.
Cominciamo allora ad esaminare il termine a partire dalla parola
“noir”. Il genere nasce negli anni del Proibizionismo negli Stati
Uniti. Prima di allora la letteratura poliziesca (nata alla fine
dell’Ottocento a seguito del forte interesse nei confronti del
crimine, alimentato dalle cronache sensazionaliste e dai romanzi
d’appendice che uscivano sui quotidiani che rispondevano al
gusto del pubblico per le storie di delitti) si era servita di
personaggi con cui la classe borghese colta, che leggeva tali
romanzi, potesse appassionarsi alle loro imprese, individui dotati
di particolare acume che si ergevano dalla massa. “Il vero eroe
del romanzo poliziesco doveva essere non uno sbirro che si
ammazzava di lavoro, ma un fine segugio proveniente da una
classe sociale superiore”.3
Il modello è quello dell’investigatore dilettante e geniale, come
sono i più famosi protagonisti dei primi romanzi polizieschi,
ovvero Auguste Dupin di Edgar Allan Poe e Sherlock Holmes di
Arthur Conan Doyle: ricchi borghesi che, per passione, risolvono

2
Yves Reuter, Il romanzo poliziesco, Roma, Armando editore, 1998. p. 47.
3
Ernest Mandel, Delitti per diletto, Milano, Interno giallo, 1990, p. 26.

4
i casi più complicati grazie ad un’intelligenza superiore. Il
personaggio di Poe è il classico dandy di metà Ottocento, dotato
di una grande capacità analitica. Il personaggio di Conan Doyle,
invece, che compare sul finire del secolo in pieno Positivismo,
applica un metodo investigativo detto paradigma indiziario,
analizzato dallo storico Carlo Ginzburg. 4
Tale metodo fu sperimentato per la prima volta dallo storico
dell’arte Giovanni Morelli (1816-1891) il quale, basandosi
sull’osservazione dei particolari più trascurabili e meno
influenzati dalle caratteristiche della scuola a cui il pittore
apparteneva, riusciva a distinguere il quadro di un dato artista da
quello di un altro o un originale da un falso. Allo stesso modo
Sherlock Holmes scopre il colpevole tramite l’osservazione di
indizi impercettibili ai più. Questa tecnica è affine alla semeiotica
medica (non a caso Conan Doyle si ispirò, per la creazione del
personaggio, al dottor Joseph Bell di cui era stato allievo).
Il romanzo poliziesco, infatti, si sviluppa nello stesso periodo in
cui si affermano le scoperte mediche e scientifiche: il poliziesco
è un “figlio minore” del Positivismo da cui assume le teorie di
Auguste Comte basate sulla raccolta sistematica e sulla
classificazione dei dati di cui si serve anche il personaggio di
Conan Doyle. 5 Sherlock Holmes rappresenta, dunque, il massimo
dell’esperienza e della tecnica umana applicate al delitto,
l’individuo eccezionale che si erge sulla massa, la cui eccentricità
(la pipa, il violino, la soluzione di cocaina…) è simbolo del suo
essere superiore agli altri:

Sherlock Holmes, con i suoi tic comportamentali, ha fissato sin


dall’inizio l’eccentricità quale elemento caratterizzante la
fisionomia dell’investigatore dilettante. Ѐ come se il “compagno
segreto” che ogni detective si porta dentro scalpitasse
continuamente per uscire, e solo la rigida obbedienza a certe

Carlo Ginzburg, Miti, emblemi e spie, Torino, Einaudi, 1986, pp. 158-193.
4
5
Massimo Baldini, Karl Popper e Sherlock Holmes, l’epistemologo, il medico, lo storico e lo scienziato, Roma,
Armando Editore, 1998, pp. 23-25.

5
fissazioni maniacali, o il ricorso all’oblio della droga, glielo
impedissero.6

Per questo motivo l’investigatore ha bisogno di una “spalla”


(come è il dottor Watson per Sherlock Holmes) che spieghi il suo
comportamento al resto del mondo. Secondo Kracauer, il
detective è emblema della “ratio che si erge a criterio universale,
simbolo d’integrità morale”. 7 Da Sherlock Holmes in poi gli
investigatori dei polizieschi classici (detti anche romanzi-enigma)
si caratterizzeranno per le loro grandi doti analitiche nella lotta
contro il crimine. Basti pensare all’Hercule Poirot di Agatha
Cristie e le sue “cellule grigie”, al Padre Brown di G. K.
Chesterton, che applica una logica di tipo tomista nelle indagini,
e al Nero Wolfe di Rex Stout, tanto per citare alcuni degli esempi
più conosciuti. Grazie al poliziesco, “la borghesia trionfante
celebra la vittoria della propria ragione sulle forze dell’ombra”.8
Tutto questo cambia con la nascita del noir. Durante l’epoca del
Probizionismo assistiamo a un avvento massiccio del crimine il
quale si estende al cuore stesso della società borghese.9
Gli anni della grande crisi sono, infatti, quelli in cui nasce anche
la criminalità organizzata, quella dei gangster americani, che non
può essere combattuta da un solo investigatore, seppure geniale.
Da qui la necessità di creare un genere che si contrapponga al
giallo classico all’inglese come furono, appunto, le storie
pubblicate sulle riviste specializzate nate in questi anni (in
particolare la rivista «Black Mask»), definite hard boiled novel e
che trovarono nei romanzi di Dashiell Hammet il loro apice e nel
saggio, scritto a posteriori, di Raymond Chandler, La semplice
arte del delitto,10 la loro definizione di poetica. Questi stessi

6
Roberto Barbolini, AndreaMarcheselli (a cura di), Cervelli coi fiocchi, Modena, Almayer, 2008, p. 13.
7
Sigmund Kracauer, Il romanzo poliziesco, Roma, Editori Riuniti, 1997, pp. 59-60.
8
Ernest Mandel, op. cit., p. 43.
9
ibidem, p. 49.
10
Raymond Chandler, La semplice arte del delitto in Oreste Del Buono (a cura di), La semplice arte del
delitto. Tutti i racconti di Raymond Chandler, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 25-46.

6
romanzi americani verranno pubblicati con successo in Francia
nella collana Sèrie Noire, così chiamata per il colore della
copertina (da qui il termine noir). Le storie nascevano in un
periodo dominato dalla sfiducia non solo nella scienza ma,
soprattutto, nel senso della giustizia, dal momento che il contesto
nel quale erano ambientate (gli Stati Uniti degli anni Venti) era
fatto di corruzione, soprusi e stragi, in cui erano venute a crollare
le certezze del secolo precedente. In quest’universo le storie del
poliziesco classico (definito anche “deduttivo” per l’uso della
logica usata dai suoi protagonisti) appaiono inadatte a descrivere
la nuova realtà criminale americana. Appare inverosimile
affrontare questo tipo di criminalità con la calma e la logica di
Sherlock Holmes, come spiega Chandler nel suo saggio:

In qualsiasi forma si sia presentata, la narrativa ha sempre teso verso


il realismo. […] Se una storia poliziesca ha da essere completamente
realistica (e quasi mai lo è) deve essere scritta con un certo distacco;
altrimenti solo uno psicopatico potrebbe desiderare di scriverla o
leggerla. Purtroppo il libro poliziesco è abituato a farsi i fatti suoi, a
risolversi i propri quesiti da solo, a rispondere da sé alle proprie
domande. […] Suppongo che il problema del poliziesco tradizionale
o classico o deduttivo o logico deduttivo quel che volete voi, risieda
nel fatto che, per farlo approdare alle rive della perfezione, ci vorrebbe
un cocktail di dati che davvero non è tanto facile trovare in un unico
scrittore. 11

Quello che manca nel romanzo poliziesco, secondo Chandler, è il


rapporto con la realtà che i detective classici, nella loro sicurezza
non riescono ad avere. Le storie hard boiled sono costruite su fatti
reali con dei moventi precisi (non solo per offrire un cadavere ai
lettori) e con mezzi realistici (pistole e veleni). I personaggi non
sono statici e imperturbabili, ma sono immersi nella realtà di tutti
i giorni e molto spesso si trovano a dover agire d’istinto. Nei
romanzi hard boiled non esiste logica, il mondo viene descritto
senza parametri:

11
ibidem, pp. 25-26 e 29

7
Il cosiddetto paradigma indiziario […] viene messo in discussione
dall’emergere di una realtà che continua sì a offrire indizi, ma questi
indizi non ci portano più da nessuna parte. 12

Il procedimento, rispetto al poliziesco tradizionale, muta


radicalmente. Se la funzione del romanzo-enigma, infatti, è
positiva (tende alla rassicurazione del lettore sul funzionamento
delle regole dell’ordine), quella del noir è negativa in quanto
mostra un conflitto tra individuo e società che non sembra avere
una soluzione. 13

Genere incentrato sui dilemmi esistenziali, in un mondo violento, il


noir non ha bisogno di seguire le tracce della vecchia Ragione. 14

Nel noir illegale e legale non sono nettamente distinti: spesso


abbiamo a che fare con poliziotti collusi con la malavita e lo
stesso investigatore non è più il “superuomo” del giallo classico,
ma un uomo pieno di difetti, non dissimile dai criminali cui dà la
caccia. Per questo motivo il noir rinuncia ai finali rassicuranti:
molto spesso il caso non ha soluzioni o è una soluzione parziale
che lascia comunque una situazione non del tutto positiva.
Quello dei romanzi di Chandler e Hammett più che un eroe è un
antieroe: uomo comune, disilluso della vita con tratti da eroe
macho, pronto a scatenare la propria violenza. Tipico di questo
personaggio è il suo individualismo, come dimostra l’uso della
narrazione in prima persona che è una delle tecniche narrative
predilette di questo tipo di romanzo, soprattutto nella sua versione
americana. Tutta la vicenda viene vista attraverso la prospettiva
dell’io narrante. Questo si vede anche nel cinema noir dove
abbiamo un ampio uso della voce fuori campo e dei flashback.
L’antieroe si divide in due categorie: il “detective di professione”,
alla ricerca di qualcuno o qualcosa, e l’individuo isolato che può

12
Fabio Giovannini, Storia del noir, Roma, Castelvecchi, 2000, p. 12.
13
Elisabetta Mondello, Crimini e misfatti, la narrativa noir degli anni Duemila, Roma, Perrone, 2010, p. 26.
14
ibidem.

8
essere un investigatore privato, ma molto spesso è un personaggio
che viene catapultato all’interno delle indagini alle quali partecipa
per liberarsi da una minaccia che lo opprime. Non è per nulla un
alfiere del bene e, molto spesso, non è separato dal mondo della
corruzione ma, anzi, ne fa parte. Spesso è un alienato, non
integrato nel sistema, anzi, ne vive ai margini; per questo, se
messo nella condizione di indagare sui delitti, deve per forza farlo
da mercenario privato e non certo come membro delle forze
dell’ordine.
In linea di principio insegue gli stessi obiettivi delle forze
dell’ordine ma con i mezzi dei criminali. Come afferma il critico
Renè Ballet, “non è un vero outlaw né un vero inlaw”.15
Anche quando è un “duro”, l’antieroe noir rivela tutta la sua
debolezza nei confronti di forze che non riesce a controllare o
contro le quali ingaggia una battaglia che lo lascia quanto meno
ferito, umiliato.16 Insomma, l’eroe che esce dai romanzi hard-
boiled americani (e a cui s’ispirano testi che prenderemo in
esame) è il prototipo dell’individualismo americano, capace di
sfidare il mondo intero per giungere alla verità. La sua solitudine
è una condizione necessaria per poter svolgere le indagini in piena
libertà percorrendo tutti gli strati sociali della propria città
(elemento che lo accomuna all’ eroe picaro)17. Ma rappresenta
anche (soprattutto) «la conseguenza della rottura con la società di
cui non accetta la corruzione e disapprova i valori».18
Peraltro, una delle sue caratteristiche è il fatto di evitare in
maniera sistematica il matrimonio. Sposarsi è un desiderio
assente dai pensieri dell’antieroe noir, celibe per eccellenza.
L’impossibilità di instaurare relazioni durature, non è simbolo di
una ratio superiore, come in Krakauer, ma, piuttosto, un altro

15
Renè Ballet, Una parodia di rapporti equivoci in Loris Rambelli, Renzo Cremante (a cura di), La trama del
delitto, Parma, Pratiche Editrice, 1980, pp. 169-175.
16
Fabio Giovannini, op. cit., p. 24.
17
Yves Reuter, op. cit., p. 47
18
ibidem, p. 48.

9
sintomo della sua alienazione e della nevrosi del mondo
contemporaneo, in cui non si riconosce più. La donna al fianco
del detective viene trattata come un oggetto da possedere o da
esibire; nel caso sia indipendente porta sempre distruzione (è la
cosiddetta femme fatale):

Tutte le donne del noir, comunque, incarnano fantasie maschili: le


paure di uomini che temono una perdita di autonomia (in particolare
verso l’altro sesso) e sono angosciati dall’inadeguatezza sessuale o
dall’omosessualità.19

D’altronde il sesso è un tema tipico dell’hard boiled, emblema, così


come il denaro, dell’abuso di violenza nella società moderna. 20

Tornando alla definizione che stiamo esaminando (“noir


all’italiana”), notiamo che essa tradisce una particolare accezione
storico-geografica. La quale, però, pone già un problema: stando
alla definizione data dall’Atlante del romanzo europeo21di Franco
Moretti, possiamo distinguere quattro particolari definizioni date
dalla combinazione di due fattori: i romanzi scritti da autori
italiani e i romanzi di ambientazione italiana. Già questa sottile
distinzione pone dei problemi di attribuzione: il romanzo
poliziesco italiano riguarda, dunque, anche autori “non italiani”?
Vi sono poi, all’interno degli stessi autori italiani, differenze di
stile molto evidenti, tanto che è difficile pensare a un unico
“genoma che abbia generato tutta la gamma possibile di romanzi
giocata su vicende malavitose […] che da De Marchi arriverebbe
ad Ammaniti”. 22 Non sono mancate, inoltre, critiche verso la
stessa definizione di “noir all’italiana”, come quella di Vittorio
Coletti, professore di Storia della lingua italiana presso
l’Università di Genova, il quale, ribadendo il concetto che nella

19
Fabio Giovannini, op.cit., p. 27.
20
Loris Rambelli, Storia del giallo italiano, Milano, Garzanti, 1979, cit., pp. 137-138.
21
Franco Moretti, Atlante del romanzo europeo:1800-1900, Torino, Einaudi, 2007.
22
Elisabetta Mondello, op. cit., pp. 9-19.

10
letteratura contemporanea il romanzo presenta strutture che ormai
superano i confini nazionali, non ha senso etichettare delle opere
come appartenenti solo a una determinata cultura. In altre parole,
nel romanzo poliziesco non ha molta importanza il luogo dove
avviene il delitto, perché questo può essere replicabile altrove.

Le esigenze del genere prevalgono sulla sensibilità delle diverse


culture letterarie e sociopolitiche. La letteratura di consumo è legata
al mondo. Anche i “gialli” rientrano in questo canone. Le storie
sarebbero le stesse se si svolgessero in altri luoghi […] I reagenti locali
acquistano la forza di elementi differenziali e individualizzanti molto
sfruttati dalla rete commerciale. Ma inessenziali. […] L’investigatore
è alle prese con i segni dei tempi che sono uguali sotto ogni bandiera.23

Vediamo, allora, come è nata e come si è evoluta la letteratura


poliziesca nel nostro paese.

1.1 Le origini

Se consideriamo, dal punto di vista storico, il romanzo poliziesco


italiano dobbiamo partire dalla fine dell’Ottocento con la nascita
dello stesso genere poliziesco, che comincia ad approdare anche
nel nostro paese. Nel 1929 abbiamo la nascita dei cosiddetti Gialli
Mondadori, dal nome del colore della copertina che
caratterizzava questa collana editoriale, divenuta, ben presto, un
punto di riferimento per la produzione poliziesca italiana. Il
successo di questa collana fu talmente grande che il termine
“giallo”, in Italia, divenne sinonimo di “poliziesco”.24 La fioritura
degli autori italiani rimane però condizionata dal regime fascista,
il quale, se, da un lato, incoraggia la produzione italiana
imponendo, nelle varie collane, un certo numero di autori italiani
contro il predominio di quelli anglosassoni, dall’altro considera il
poliziesco un genere “immorale” e “fuorviante” con le sue storie

23
Vittorio Coletti, Romanzo mondo: la letteratura nel villaggio globale, Bologna, Il mulino, 2011, pp. 81-82.
Renzo Cremante, Loris Mastroianni (a cura di), Il giallo e il suo lettore, Bologna, Editrice Compositori,
24

2005, pp. 82-83.

11
di omicidi, vizi e perversioni che avrebbero «infangato
l’immagine del paese e delle istituzioni preposte a mantenere
l’ordine, la moralità e il rispetto delle leggi».25 Nascono così una
serie di proibizioni con l’obiettivo di scoraggiare la nascita di un
poliziesco d’ambientazione italiana: il regime impone di
rappresentare personaggi stranieri sempre in ruoli negativi e di
riservare agli italiani il ruolo dei “buoni”; per quanto riguarda i
crimini viene proibita la corruzione politica per non offuscare
l’immaginario collettivo di uno Stato efficiente e, soprattutto, il
suicidio, considerato debolezza d’animo; inoltre si vieta di usare
come protagonisti investigatori privati, per non dare
l’impressione che le forze dell’ordine siano incapaci. Questo
spiega la predilezione (anche nel periodo successivo al fascismo)
degli autori italiani per le figure di poliziotti e carabinieri come
protagonisti del poliziesco, caratteristica che si riverserà anche
nella produzione televisiva e cinematografica. Il controllo del
regime si fa sempre più aspro fino a che, nel 1941, il regime
impone la chiusura della collana dei “Gialli Mondadori”. Questa
e le proibizioni elencate prima furono le cause principali per cui
non riuscì a svilupparsi in Italia una produzione letteraria
poliziesca.

1.2 Dopoguerra e rinascita

La vera svolta per il poliziesco italiano avverrà nel dopoguerra


con la pubblicazione di Venere privata di Giorgio Scerbanenco,
primo vero successo editoriale di un poliziesco ambientato nel
nostro paese e con protagonisti italiani. Scerbanenco è il primo
autore a uscire dall’anonimato e dagli pseudonimi anglicizzanti
dei suoi colleghi (la cosiddetta “età dell’esterofilia”), scegliendo
di rifarsi dichiaratamente al modello delle hard boiled novel

Michele Righini, «Contemplando affascinati la propria assenza», Bologna, Bononia University Press, 2009,
25

pp. 291-292.

12
americane. 26 Venere privata è il primo di quattro romanzi
(Traditori di tutti, I ragazzi del massacro e I milanesi ammazzano
il sabato) aventi come protagonista Duca Lamberti, ex-medico
radiato dall’Ordine con l’accusa di avere praticato un’eutanasia a
una paziente. In seguito, Lamberti viene assunto come
“consulente” dalla polizia sotto la protezione di un amico di
famiglia, il dottor Carrua della questura di Milano. Questa sua
esperienza l’ha reso insofferente nei confronti del male che
circonda la sua città, che lui esplorerà nel corso delle sue indagini
analizzandolo con mente lucida e fredda, da medico quale egli è.
In ogni romanzo, infatti, incontra vari universi criminali: traffico
d’armi (Traditori di tutti), delinquenza minorile (I ragazzi del
massacro) e prostituzione (I milanesi ammazzano il sabato). A
tutti questi mali Duca reagisce con violenza, seguendo metodi
duri e violenti nei confronti dei criminali:

Il solo sistema che gli era sembrato efficace con i delinquenti e con gli
onesti, coi buoni e con i cattivi, era il pugno in faccia […]. Tu prima
dai un pugno in faccia, e poi fai la domanda, vedrai che quello che ha
preso il pugno ti risponde più a tono perché ha capito che se occorre
sai parlare il suo linguaggio. E se quello che ha preso il pugno è un
uomo onesto, pazienza, anche gli uomini onesti possono andare sotto
il tram.27

Una filosofia cinica e violenta, derivata dall’educazione paterna,


che ricorda molto quella dei colleghi d’oltreoceano dei romanzi
hard-boiled.
Dal punto di vista dei personaggi secondari, invece, Scerbanenco
opera una profonda innovazione. Oltre a Duca Lamberti,
troviamo (nei romanzi del ciclo, ma anche nelle numerose
raccolte di racconti) altrettanti antieroi quotidiani, piccoli e medio
borghesi, quasi tutti “vittime della società che li circonda, nella
quale non riescono più ad orientarsi, animali braccati dal destino

26
Renzo Cremante, Loris Mastroianni (a cura di), op. cit., pp. 176-177.
27
Giorgio Scerbanenco, Venere privata, Milano, La Biblioteca di Repubblica, 2005, p. 84.

13
e sperduti in una specie di labirinto senza via d’uscita”.28 Sono
tutti personaggi molto umani che reagiscono come possono di
fronte alla violenza della vita di ogni giorno. Tipico esempio di
questa categoria è il padre di Donatella (una malata di mente che,
in I milanesi ammazzano al sabato, viene indotta alla
prostituzione e poi uccisa) che da normale cittadino si trasforma
in spietato killer, facendo strage degli aguzzini della figlia, dopo
aver saputo i loro nomi grazie ad una lettera anonima:

«Signor brigadiere, non glielo dico per scolparmi, potete condannarmi


anche a venti ergastoli, cosa vuole che me ne importi alla mia età?
Glielo dico solo per dirle che lo so che non dovevo farlo, anche se
erano gli assassini della mia bambina, non dovevo ammazzarli, ma
non sono riuscito a tenermi, […]. Io non sono un delinquente, io non
sono andato lì per fare una strage, io sono andato lì per parlare […].
Non mi sono neppure accorto di averli ammazzati, ma lo so che non
dovevo fare quello che ho fatto, lo so, lo so, ma non sono riuscito,
riuscito, riuscito a tenermi.» 29

Il crimine, sembra dirci Scerbanenco, è, dunque, simile a una


“malattia” che colpisce le persone comuni (anche quelle più
insospettabili) facendole diventare dei criminali. Il motivo per cui
il padre di Donatella si reca subito dai colpevoli, invece che
andare dalla polizia, diventa una casualità dovuta al fatto che la
lettera gli viene inviata di sabato, il suo giorno libero. Se fosse
stato un giorno lavorativo, avrebbe avvertito la polizia per non
perdere un giorno di lavoro.
Già da qui possiamo vedere la grande innovazione di questo
autore e alcuni elementi che egli lascerà “in eredità” agli autori
successivi: la scelta di un’ambientazione tipicamente italiana,
dove i crimini sono solo lo specchio della società (la denuncia
sociale e l’impegno diventeranno il leitmotiv della generazione
successiva degli autori noir italiani), personaggi italiani, quasi
sempre outsiders, molto umani nei loro atteggiamenti, che spesso

28
Luca Crovi, Tutti i colori del giallo, Venezia, Marsilio Editori, 2002, p. 98.
29
Giorgio Scerbanenco, I milanesi ammazzano al sabato, Milano, Garzanti, 1999, p.177.

14
si trovano a dover andare contro la legge (molte volte assente o
connivente con il crimine, anch’essa “infettata” dal morbo della
violenza). I romanzi di Scerbanenco daranno poi il via al mito
della “Milano nera”: alcuni scrittori cominciano a descrivere il
cambiamento del volto di Milano prima, durante e dopo il Boom
economico. Il cambiamento da città industriale a post-industriale
(con vocazione al settore terziario per i servizi, la moda, la
comunicazione…) diventa una metafora del cambiamento
(negativo) dell’Italia. Viene data particolare importanza alla
tensione che si viene a creare tra identità locale e identità
nazionale, così come alla ridefinizione degli stereotipi che essa
comporta. Gli scrittori noir parlano, infatti, della divisione che si
viene a creare tra centro e periferia, dove la seconda predomina
sulla prima ed è l’ambientazione ideale per mostrare la nuova
violenza che nasce da queste aree spesso povere di servizi sociali
e centri di aggregazione, dove l’individuo si sente sempre più
alienato. Il motivo di tale alienazione si sviluppa nella tensione
dovuta alla nostalgia per un passato mitico di prosperità e di
solidarietà umana e la nuova società del dopo-Boom, vista come
inquietante: di essa Milano è l’esempio migliore, con la sua
nebbia, simbolo e “condizione metafisica della città, dove la
natura è assente e si avverte la mancanza di trasparenza da parte
dello Stato”.30 È interessante notare come questa caratteristica
rimarrà una costante nella narrativa noir milanese con gli autori
degli anni Novanta (Dazieri, Biondillo, Pinketts…), che
utilizzeranno questa stessa definizione per descrivere la Milano
del dopo-Tangentopoli.
Nello stesso periodo di Scerbanenco si affermano in Italia alcuni
autori di romanzi che si rifanno allo schema del romanzo giallo
ma che trascendono le regole del genere per elevarlo a livello di
“arte”: Leonardo Sciascia, Carlo Emilio Gadda, Umberto Eco e

30
Giuliana Pieri (a cura di), Italian crime fiction, Cardiff, University of Wales Press, 2011, p. 135 (la
traduzione è mia)

15
Antonio Tabucchi. Questi quattro autori, pur venendo indicati
nella storia del genere poliziesco, al cui sviluppo senz’altro hanno
contribuito, si pongono in contraddizione polemica con le regole
del genere. In particolare Sciascia crea un poliziesco che non lasci
il lettore nella “leggerezza di pensiero”, tipica della letteratura di
consumo, ma gli faccia venire voglia di “scrutare il
funzionamento della società nel suo insieme e individuare gli
ostacoli che […] impediscono di penetrare le motivazioni e la
natura del crimine”.31 Si tratta di romanzi che rientrano nei canoni
della letteratura “alta” più che di genere (sono anche detti
postmodern crime fiction), il loro stile è unico e non riproducibile
e il delitto passa in secondo piano rispetto all’analisi della società
o a un discorso meta-letterario. Questo “giallo d’arte” si
differenzia dal “giallo-artigianato” (più fedele alle regole del
genere) di Scerbanenco e degli autori che a lui si rifanno in questo
periodo: tra gli altri Loriano Macchiavelli, Felisatti e Pittorru e
Fruttero e Lucentini. Questi autori riprendono i clichè del
racconto poliziesco, ambientandoli nella propria città o regione,
creando un forte attaccamento al territorio che è una delle cifre
stilistiche di questa produzione insieme alla ricostruzione della
storia italiana. Molti polizieschi di questo periodo, infatti, si
servono del genere per denunciare le storture e le contraddizioni
della società, creando una vera e propria storia parallela del nostro
paese. Questo si vede soprattutto nei romanzi di Loriano
Macchiavelli, aventi come protagonista Sarti Antonio. Sarti è un
sergente della Questura di Bologna (grado inesistente nelle forze
dell’ordine, inventato per sottolineare il distacco ironico dalla
realtà), tipico antieroe con più difetti che pregi. Ecco come lo
presenta Macchiavelli nel primo romanzo della serie, Le piste
dell’attentato:

Al volante c’è Felice Cantoni, agente; si fuma la prima sigaretta della


giornata. E anche l’ultima: il dottore gli ha detto, tre settimane fa, che

31
ibidem, p. 49 (la traduzione è mia).

16
due sigarette al giorno sono già troppe per la sua ulcera. Così Cantoni
Felice, agente, ne fuma una sola. Una al giorno. A bordo c’è anche
Antonio Sarti, sergente. Non fuma, non ha mai fumato, ma ha la colite
e l’ulcera lo stesso. La colite soprattutto, che non gli dà pace. Anche
adesso. Darebbe un’ora di straordinario per un cesso. Ma dove lo trovi
un cesso a quell’ora della notte? 32

Oppresso da una colite di natura psicosomatica e dalla burocrazia


(rappresentata, ironicamente, dalla successione cognome-nome
cui sono legati quasi tutti i personaggi), Sarti Antonio è un
personaggio grottesco: non ha un particolare acume investigativo
e si mostra remissivo nei confronti del suo odiato superiore,
Raimondi Cesare. È dotato, in compenso, di una memoria
prodigiosa e di un grande senso della giustizia che lo porta a voler
scoprire la verità, andando anche contro gli ordini dei suoi
superiori quando cercano di chiudere frettolosamente i casi di cui
si occupa. Tuttavia, non possedendo un particolare acume
investigativo, è costretto a farsi aiutare da un aiutante, lo studente
fuoricorso Rosas (unico personaggio a non essere identificato col
burocratico nome-cognome) che invece possiede tutta la cultura
e l’acume che manca al protagonista. Il sergente Sarti Antonio si
trova a indagare in una Bologna nella quale si avvertono, in
sottofondo, gli scontri e le diseguaglianze sociali della società
degli anni Settanta (il principio è lo stesso degli autori della
“Milano nera”: mostrare la “città nascosta”, oltre gli stereotipi
positivi che in genere si hanno di essa). Denuncia sociale e
radicamento territoriale diventano, dunque, i tratti caratteristici
della produzione noir italiana.
Ben presto nascono delle vere e proprie “scuole”, ovvero gruppi
di scrittori che, accomunati da una stessa origine territoriale,
cominciano a riunirsi e a sviluppare una produzione artigianale di
romanzi polizieschi prendendo spunto dalla realtà che li circonda
(tra i più famosi il “gruppo Neonoir” di Roma e il “Gruppo 13”

32
Loriano Macchiavelli, Le piste dell’attentato, Einaudi, Torino, 2004, p.7.

17
di Bologna).33 Grazie a questi gruppi (delle vere e proprie factory
di scrittori) abbiamo, all’inizio degli anni Novanta, un vero e
proprio “boom” della letteratura poliziesca italiana che arriva in
cima alle classifiche di vendita, fatto che sancisce il definitivo
successo del genere, che continua ancora oggi.
I motivi di questo successo si possono riassumere nei seguenti
punti:34

Fine della distinzione tra letteratura “alta” e letteratura “bassa”


che avviene all’inizio degli anni Novanta (questo grazie anche
all’influenza della letteratura “postmoderna”);
Crisi dell’editoria e del modello americano;
Forte radicamento degli scrittori di noir alla propria realtà
territoriale e provinciale;
Uso dell’italiano medio nei testi come lingua di riferimento, più
comprensibile per un pubblico di massa;
Ibridazione di vari generi (letteratura postmoderna);
Nuova generazione di scrittori che spesso proviene direttamente
dai mondi che descrive, e per questo capace di creare un effetto
maggiore di realtà (pensiamo, ad esempio, al poliziotto Lorenzo
Marzaduri o al magistrato Giancarlo De Cataldo);
Rapporto privilegiato che questa letteratura ha con altri media, in
particolare cinema e televisione;

Una spinta verso il successo del genere la diede, inoltre, agli inizi
degli anni Novanta, il successo dei cosiddetti scrittori cannibali
(dal nome della raccolta di racconti, edita da Einaudi, uscita nel
1996, Gioventù cannibale), un gruppo di scrittori che, ispirati dal
film Pulp fiction di Quentin Tarantino, furono fautori di un nuovo
stile di scrittura definita “cinematografica” perché prendeva
spunto da immagini dei film e prediligeva scene di sesso e

33
L’elenco degli autori italiani ordinati per regione si trova in Massimo Carloni, L’Italia in giallo. Geografia e
storia del giallo italiano contemporaneo, Reggio Emilia, Diabasis, 1994.
34
Eisabetta Mondello, op. cit., p. 26.

18
violenza giocose e dissacratorie nei confronti del perbenismo e
della morale.35 Questo stile divenne ben presto l’emblema di una
“società che ha perso l’aspirazione all’utopia e si rifugia
nell’edonismo futile, nell’esteriorità, nell’apparenza […] un
mondo dove l’immagine la fa da padrone”.36 La rappresentazione
della violenza in questi autori anticiperà quella degli autori noir
successivi, come dimostra il caso di Niccolò Ammaniti, nato
come scrittore cannibale e diventato una delle firme più
prestigiose del noir italiano.

Fra le varie tensioni che animavano il panorama letterario italiano al


cambio di millennio, quella di una “rinascita” dei generi guidata dal
poliziesco è stata fra le più evidenti. In particolare, la risposta
entusiasta dei lettori fa pensare che i generi un tempo bollati come
“paraletterari” abbiano, da un parte, supplito ad un bisogno di
“romanzesco” che esulasse dal racconto minimo e generazionale del
romanzo “bianco”, dall’altra, riempito uno spazio lasciato scoperto
dalla tradizione realista del romanzo “sociale” impegnato.37

Una spiegazione convincente del fenomeno la possiamo trovare


anche nel saggio di Alessandro Perissinotto, La società
dell’indagine,38 dove l’autore cerca di soffermarsi sulle ragioni
per cui il noir piace così tanto al pubblico dei lettori:

La sua capacità di penetrazione nel tessuto sociale, la sua capacità di


assurgere a paradigma interpretativo della realtà. Credo che sia questa
la caratteristica più sorprendente del “fenomeno poliziesco”: la sua
pervasività, la sua flessibilità, la sua efficacia nel rappresentare
l’essere e le ansie del divenire di un universo, quello occidentale, che
appare sempre più come una detective story globale dove il potere
(economico, politico, religioso) è l’artefice delle trame criminose che
il cittadino, nella sua veste di investigatore per caso e per forza, è
chiamato a svelare per poter condurre un’esistenza libera e
consapevole. 39

35
Massimo Arcangeli, Giovani scrittori, scritture giovani, Roma, Carocci, 2007, pp. 123-124.
36
Alessandro Cinquegrani, Letteratura e cinema, Brescia, Editrice La Scuola, 2009, p. 120.
37
Massimo Carlotto, The black album, il noir tra cronaca e romanzo, Roma, Carocci, 2012, p. 14.
38
Alessandro Perissinotto, La società dell’indagine, Milano, Bompiani, 2008.
39
Alessandro Perissinotto, op. cit., pp. 6-7.

19
Per Perissinotto, dunque, è l’intera società contemporanea che si
riflette in quella dei romanzi polizieschi, una società che è
paranoica, dove impera la “cultura del dubbio”, alimentato dal
fatto che è sempre più aumentata la distanza tra “esperienza” e
“conoscenza”, quest’ultima affidata a mezzi di comunicazione
che, spesso, mistificano la realtà più che descriverla. 40
Ecco allora che il noir all’italiana arriva in un momento storico
preciso, quello dove viene meno il rapporto tra i cittadini e le
istituzioni. Lo descrive bene uno dei protagonisti di questo
fenomeno, Carlo Lucarelli, a proposito del suo romanzo Falange
armata nato nel clima delle indagini sulla Uno Bianca:

Nel ’92 seguivo la vicenda della Uno Bianca per «Sabato sera», un
settimanale di Imola. All’improvviso questa storia è sparita dai
giornali e a me, da cittadino, è rimasta una curiosità: ma alla fine chi
erano questi della banda? E tra le tante voci che circolavano ce n’era
una che mi intrigava: «Forse sono poliziotti». Però era solo una voce
e a me sembrava la più incredibile di tutte. Mi pareva perfetta per il
finale di un libro giallo. E così ho scritto Falange armata. Quella della
Uno Bianca, poi, è stata una vicenda particolare, ha fornito lo spunto
a molti di noi scrittori noir dell’area bolognese. È stata una specie di
spartiacque per la città di Bologna e per noi scrittori che
all’improvviso ci siamo ritrovati in una città piena di carabinieri,
extracomunitari, nomadi e con agguati, rapine e bombe nelle banche…
A un tratto Bologna si è scoperta una città noir, e questo sicuramente
ha traumatizzato molti di noi: come mai la mia città è così? Molti di
noi hanno iniziato a scrivere proprio a partire da questa storia.41

La necessità di denuncia sociale (che in questo caso addirittura


anticipa la cronaca) è il motore della nuova narrativa noir.
L’interesse per i “luoghi oscuri” dell’Italia spinge il pubblico a
voler leggere queste storie che ridisegnano la storia del nostro
paese in un’ottica criminale e la denuncia, insieme all’esortazione
all’impegno civile, diventa la caratteristica predominante del noir
all’italiana. La credibilità e il rapporto con il reale diventano la
cifra stilistica e il termine di paragone attraverso cui il romanzo

40
ibidem, p. 11.
41
Grazia Ferrari, L’uomo in noir, Roma, Aliberti editore, 2009, p. 26.

20
poliziesco italiano viene elevato a nuovo “romanzo sociale”. La
realtà però non viene solo ricreata ma reinventata:

Il romanzo giallo italiano ha sempre un risvolto sociale quando non


addirittura politico, e racconta spesso qualcos’altro, oltre alla trama e
ai colpi di scena. Il thriller americano si concentra maggiormente su
una storia incisiva, con un forte personaggio, lasciando in secondo
piano gli aspetti non strettamente legati al racconto […] rispetto alla
letteratura americana, il nostro è un romanzo molto impegnato e
attento alle psicologie. E di solito quando uno scrittore americano
mostra queste attitudini si dice di lui che è un “europeo”!42

Il rapporto con la realtà diventa centrale per questo genere


letterario, tanto da riportare, in maniera quasi maniacale, anche
delle fonti storiche, articoli di giornale, rapporti di polizia, al fine
di rendere la storia più “verosimile”.43
Anche un altro scrittore noir, Giancarlo De Cataldo, nella
Prefazione alla raccolta di racconti Crimini44riporta lo stesso
concetto quando afferma che il noir è il genere perfetto per parlare
dei problemi del mondo contemporaneo in cui vige “una
corruzione patrimoniale, intesa come ansia del guadagno facile,
[…] corruzione morale, […] annullamento di ogni tensione etica
e ossessione del successo”.45
Per contrastare questi problemi vengono scelti come protagonisti
dei romanzi polizieschi degli outsiders, personaggi che vivono in
questo mondo fatto di corruzione ma che vivono ai margini di
esso mantenendo una specie di purezza che consente loro di non
piegarsi ad essa. Questi personaggi si possono dividere in
“poliziotti anti-istituzionali”46 e detective-non professionisti.
Della prima categoria l’esempio più celebre è il commissario
Salvo Montalbano, il personaggio nato dalla penna di Andrea

42
ibidem, pp. 110-111.
43
Lo si può notare, per esempio, in Carlo Lucarelli, Almost blue, Torino, Einaudi, 1997, alle pp. 141-143 dove
vengono riportati articoli di giornale immaginari (firmati da veri giornalisti di cronaca nera) riguardanti le
indagini sul serial killer Iguana, protagonista del romanzo.
44
Giancarlo De Cataldo (a cura di), Crimini, Torino, Einaudi, 2005.
45
ibidem, Prefazione.
46
Antonio Buttitta, Il caso Camilleri: letteratura e storia, Palermo, Sellerio, 2004, p. 54.

21
Camilleri. Si tratta di un funzionario fuori dagli schemi che non
si attiene alle regole e alle norme procedurali di ogni poliziotto,
preferendo affidarsi al suo istinto:

«Posso allora ritenere il caso chiuso?».


«Può darmi ancora due giorni di tempo?».
Sentì, materialmente sentì, scattare i campanelli d’allarme nella testa
dell’interlocutore.
«Perché Montalbano, che c’è?»
«Niente giudice, proprio niente».
«E allora santo Iddio? […] abbiamo ricevuto pressanti sollecitazioni
perché la storia venga chiusa nel più breve tempo possibile. […]
Doverose preghiere da parte di chi, familiari e amici di partito, questa
brutta storia vuole al più presto dimenticare e far dimenticare. […]
Trovò una risposta, una scappatoia. Non poteva certo contargli che la
sua richiesta si basava sul nulla, o meglio, sulla sensazione di sentirsi,
e non sapeva né come né perché, fatto fesso da qualcuno che al
momento si dimostrava più esperto di lui. 47

Molto spesso è costretto a usare sotterfugi per poter portare avanti


le proprie indagini. Non è quindi “un bravo poliziotto ma un
poliziotto bravo”.48 Riapre casi che sembrano essere già chiusi,
mettendo a nudo la falsità nascosta dietro di essi, e questo non per
fare carriera ma perché spinto da una forte volontà di denuncia
nei confronti dell’istituzione: con il suo comportamento
Montalbano dimostra che “la burocrazia da sola non basta a
cogliere la verità e che spesso ci si debba scontrare con il potere
che interferisce nelle indagini” (riprende la lezione sciasciana).49
La seconda categoria, invece, riprendendo la lezione di
Scerbanenco, predilige personaggi “irregolari”, detective non
professionisti che si trovano quasi per caso a indagare, spesso
provenienti dagli strati marginali della società, simbolo del
conflitto insanabile fra soggetto e società.50 Di questa categoria
gli esempi più noti sono il Gorilla, protagonista dei romanzi di
Sandrone Dazieri, un ex-attivista dei centri sociali milanesi che fa

47
Andrea Camilleri, La forma dell’acqua, Palermo, Sellerio, 1998, p. 39.
48
Antonio Buttitta, op. cit., p. 55.
49
Simona De Montis, I colori della letteratura: indagine sul caso Camilleri, Milano, Rizzoli, 2001, p. 159.
50
Elisabetta Mondello, op. cit., p. 26.

22
il buttafuori e si trova per caso a investigare con l’aiuto di
un’aiutante particolare: il suo Socio che è poi una sua personalità
multipla (è schizofrenico) che si impossessa di lui nel sonno, e
Marco Buratti detto “l’Alligatore” di Massimo Carlotto, un ex
cantante blues che si reinventa come investigatore privato dopo
aver passato degli anni in prigione per un’accusa ingiusta. Questi
personaggi (sosia degli stessi autori, le cui esperienze biografiche
ricalcano quelle dei loro protagonisti) portano su di loro il peso
dell’alienazione dalla società contemporanea in cui faticano a
riconoscersi. La loro difficoltà a districarsi nel mondo in cui si
trovano è la stessa dei lettori e per questo motivo riescono a creare
una sorta di “empatia” con essi. In questa categoria troviamo
anche quella dei cosiddetti “detective etnici” che, recentemente,
hanno trovato spazio nella narrativa poliziesca italiana (in altri
paesi esistono già da tempo come dimostrano i casi del detective
Charlie Chan, protagonista dei romanzi di Earl Derr Biggers o i
protagonisti del romanzo poliziesco postcoloniale) 51 emarginati
che vivono a cavallo tra due mondi, quello italiano e quello dei
loro paesi d’origine, e quindi portatori di una visione originale e
periferica della nostra società. Come Ras Tafari Diredawa, il
senzatetto etiope protagonista dei romanzi di Massimo Mongai,
che indaga nella periferia romana. Oppure Roman Pertescu, altro
personaggio simile a Ras Tafari, nato dalla penna di Roberto
Casadio, autore noir e medico bolognese, ex agente della
Securitate rumena, immigrato clandestinamente in Italia, dopo la
caduta del regime di Ceausescu, e residente a Bologna sotto il
falso nome di Rolando Conti.
La scelta di questo tipo di detective per gli autori di noir italiani
si ricollega, dunque, al senso di sfiducia nei confronti delle
istituzioni e della società in generale. Si prediligono eroi che sono
più degli “anti-eroi”, portatori di difetti e dubbi che li rendono

Paolo Del Zoppo, Un indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale, «Scritture
51

migranti», 2, 2008, pp. 83-105.

23
simili ai lettori. Tale caratteristica è uno dei motivi principali del
successo di questo genere e verrà sfruttata, come vedremo nei
prossimi capitoli, anche da altri media soprattutto a partire dagli
anni Novanta sull’onda del successo editoriale di questo genere.

24
CAP. 2 IL NOIR NEI MEDIA ITALIANI

Luca Crovi52 individua tre particolari momenti in cui l’interesse


del pubblico italiano si rivolge verso il poliziesco:
1959: messa in onda della trasmissione Giallo Club che
lancia la figura del tenente Ezechiele Sheridan, interpretato da
Ubaldo Lay, reso popolare anche grazie ai caroselli di cui sarà
protagonista;
1962: l’uscita in edicola del fumetto Diabolik delle sorelle
Angela e Luciana Giussani che darà vita al fenomeno dei
cosiddetti “fumetti neri” italiani, storie a fumetti che si ispirano
ad atmosfere mistery e noir i cui protagonisti, spesso, sono dei
criminali;
1966: la pubblicazione di Venere privata di Giorgio
Scerbanenco, primo della serie di romanzi della “Milano nera”, i
primi con ambientazione e personaggi dichiaratamente italiani;

In particolare saranno il cinema e la televisione ad appropriarsi


dell’immaginario, lasciato in eredità da Scerbanenco, di un’Italia
criminale, luogo d’elezione per storie di delitti. Il cinema, per
primo, si era servito del genere noir codificandone le regole già a
partire dagli anni Trenta durante l’epoca del cinema classico: uso
di un’illuminazione contrastata di derivazione espressionista;
rapporto particolare tra spazio e personaggi; ambiguità delle
situazioni e dei caratteri dei personaggi; protagonisti vulnerabili
e forte senso di disorientamento.53 Tutti i film relativi al genere
ma anche ai suoi sottogeneri (gangster-movies, polar…) hanno di
volta in volta rinegoziato questi elementi. In Italia il genere venne
usato soprattutto per portare avanti, nel periodo degli anni
Sessanta-Settanta, un discorso di denuncia sociale verso una

Luca Crovi, op. cit., pp. 20-21


52
53
Leonardo Gandini, Il rovescio della medaglia: strategia espressive del noir contemporaneo, in Marina
Fabbri, Elisa Resegotti (a cura di), I colori del nero: cinema letteratura noir, Milano, Ubulibri, 1989, p. 272.

25
società che stava cambiando. Questo ha fatto sì che, spesso, questi
film si scontrassero con la censura rallentandone di fatto la
diffusione, anche se poi sono stati rivalutati a posteriori,
soprattutto a seguito del successo dei film di Tarantino negli anni
Novanta che li ha sdoganati agli occhi della critica.
Per quanto riguarda la televisione, le serie tv poliziesche hanno
subito, nel tempo, molti cambiamenti in linea con le innovazioni
della televisione stessa, dimostrando, rispetto ad altri generi, una
varietà impressionante e passando ben presto a diventare
predominanti nel panorama mediale con la nascita di canali
interamente dedicati ad esse.54 È bene precisare che quando
parliamo di poliziesco riferito alla televisione ci riferiamo, qui,
alla fiction poliziesca (sotto il termine crime, infatti, viene
designato tutto quello che ha a che fare con il mondo del crimine
compreso inchieste e documentari, i cosiddetti programmi di true
crime) in particolare quella italiana che presenta alcune
specificità. Prima di essa, infatti, si usava il termine
“sceneggiato”, parola che indicava “un adattamento letterario, un
racconto a puntate tratto da un’opera narrativa edita”.55 Era un
tipo di serialità debole, basato non tanto sulla familiarità del
pubblico con le storie narrate. A partire dagli anni Novanta, grazie
al successo di alcune serie tv americane considerate “di culto”
(appartenenti alla Seconda Golden Age della televisione, un
periodo fortemente innovativo per il medium che va dagli anni
Ottanta fino ai primi anni Duemila) 56 e a un nuovo pubblico
televisivo che, nel tempo, ha fatto suoi i tempi e i modi della
serialità televisiva, viene inaugurato un nuovo modello detto
appunto “fiction all’italiana” che in parte si rifà al modello della
“serie serializzata”, una tipologia di serie a incastro dove le
singole puntate mantengono un alto grado di autonomia, con una

54
In Italia, ad esempio, al genere crime sono dedicati ben due canali televisivi tematici in chiaro: Top Crime e
Giallo TV; a questi si aggiunge il canale tematico pay di Sky, Fox Crime;
55
Veronica Innocenti, Guglielmo Pescatore (a cura di), Le nuove forme della serialità televisiva, Bologna,
Archetipo, 2008, p. 10.
56
ibidem, p. 29.

26
storia centrale che si conclude nella puntata (anthology plot) e una
cornice che, invece, si prolunga per più episodi (running plot).57
Tale modello è stato preso a modello proprio dalla serie televisiva
americana Hill street giorno e notte, serie che racconta le vicende
all’interno di un commissariato di polizia americano, dividendosi
tra la narrazione delle varie indagini seguite dai protagonisti
(concluse al termine di ogni puntata) e le loro vicissitudini private
(che si susseguono nel tempo). Tale modello sarà ripreso dalle
serie procedural italiane come Distretto di polizia e La squadra
le quali inaugurano questo nuovo filone della fiction italiana e che
faranno scuola per le serie televisive successive.

2.1 Il cinema poliziesco e il “poliziottesco”

Già verso la fine della Seconda Guerra Mondiale il cinema


italiano, tramite il Neorealismo, aveva preso spunto da episodi di
cronaca nera che sarebbero diventati soggetto ideale per il
cosiddetto “neorealismo nero”,58 distinto da quello “rosa”, più
affine alla commedia sentimentale. Il primo tipo di neorealismo è
quello, invece, più vicino alle atmosfere noir: le ambientazioni
sono spesso notturne, le figure sono buie e minacciose (evidente
riferimento al noir espressionista tedesco degli anni Trenta). Il
film esemplare di questa corrente cinematografica è Ossessione59
di Luchino Visconti, ispirato a un classico della letteratura noir,
Il postino suona sempre due volte di James M. Cain. Prima della
svolta neorealista il poliziesco italiano era sempre stato mostrato
sullo schermo in maniera “parodica”, “brillante”60 non come
genere puro. Questo per le restrizioni del fascismo di cui abbiamo
già detto sopra. Il cinema degli anni Trenta, in Italia, è soprattutto
quello dei cosiddetti “telefoni bianchi”, commedie leggere dove

57
ibidem, p. 77.
58
Roberto Curti, Italia odia (il cinema poliziesco italiano), Torino, Lindau, 2006, p. 20.
59
Ossessione, Luchino Visconti, 1943.
60
Roberto Curti, op. cit., p. 17.

27
viene rappresentato il sogno d’evasione della borghesia italiana.
Nel secondo Dopoguerra, invece, è forte la consapevolezza, da
parte degli autori cinematografici, di essere di fronte a un paese
in rovina, “intossicato dai veleni della guerra civile e con
un’economia a pezzi, in cui la classe dirigente è quella mutuata
nel Ventennio e l’impronta politica è quella conservatrice dei
partiti di centro-destra”.61
Dal “neorealismo nero” e, soprattutto, dal successo letterario dei
primi romanzi polizieschi italiani, numerosi registi e
sceneggiatori prenderanno spunto per raccontare questa
condizione del paese.
Uno dei più famosi è Pietro Germi, che con il suo adattamento di
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio
Gadda, è uno dei primi autori italiani a fare un film
dichiaratamente di genere in Italia, ispirandosi ai classici noir
degli anni Trenta verso i quali il film è debitore. Un maledetto
imbroglio,62 infatti, può essere considerato il primo vero
poliziesco italiano, nel senso che presenta una storia chiaramente
italiana, ovvero nata in un contesto italiano (nel romanzo di
Gadda era l’Italia del Fascismo, nel film è l’Italia del
Dopoguerra), con investigatori (in questo caso appartenenti alle
forze dell’ordine) italiani che indagano con metodi d’indagine
italiani. Il film contiene tutti gli elementi tipici del genere: un
mistero da risolvere (il furto di una collana e il successivo
omicidio della contessa Eleonora Rossi-Drago) che diventa
indagine sociale sugli abitanti del quartiere dove è stato
commesso il delitto, un quartiere dove nessuno è ciò che sembra
e dove regna incontrastata l’ipocrisia. Germi crede nella potenza
del racconto e dei meccanismi del genere e, per questo motivo,
sceglie di cambiare il finale della storia dando un finale con una
risoluzione che nel romanzo manca. Con lo stesso obiettivo

61
ibidem, p. 20.
62
Un maledetto imbroglio, Pietro Germi, 1959.

28
modifica il periodo storico della storia (che nel romanzo era il
periodo fascista) ambientandolo nell’immediato Dopoguerra.
Con questo stratagemma Germi vuole dimostrare che la tematica
di cui si parla (l’ipocrisia delle classi sociali elevate nei confronti
di quelle più deboli) è sempre attuale. 63
Germi tiene per sé la parte del commissario Ingravallo,
rappresentato come uomo semplice, acuto osservatore delle
persone, in grado di scrutare la loro anima, ricalcato sul modello
degli investigatori noir americani ma, come detto prima,
inglobato in un’ottica, tipicamente italiana, del rappresentante
delle forze dell’ordine. L’Ingravallo di Germi è una figura
moderna e originale, “una mosca bianca in una cinematografia
dove carabinieri, poliziotti e questurini non escono dai confini e
dai clichè della commedia all’italiana”.64
Dal successo di Un maledetto imbroglio negli anni Sessanta
alcuni registi italiani prendono spunto per ricostruire episodi di
cronaca e della storia vicina. Questi registi sentono il bisogno di
ripercorrere la storia del Paese, soprattutto quella a rischio di
rimozione (“ritorno del rimosso”)65 ma adottando meccanismi
spettacolari per cercare di raggiungere un pubblico più vasto
possibile. Per questo vengono scelte storie con criminali come
protagonisti capaci di imprese spettacolari (il modello è quello di
Gangster story di Arthur Penn). I criminali sono spesso dei
sottoproletari che provano malessere per la loro condizione. Il
crimine diventa così un motivo di riscatto. Tipici esempi di questa
ondata criminale al cinema sono La banda Casaroli di Florestano
Vancini e Il gobbo di Carlo Lizzani. Il desiderio di mostrare i
problemi del sottoproletariato e la predilezione per i soggetti
perdenti, i criminali, i “mostri” (quotidiani e fantastici) accomuna
il genere poliziesco di questi anni (principalmente heist movies,
film di rapina) alla commedia all’italiana, una tendenza che

63
Fonte: commento all’edizione DVD di Un maledetto imbroglio, 2012, a cura di Maurizio Porro.
64
Roberto Curti, op. cit., p. 29.
65
ibidem, p. 35.

29
diventa predominante nel cinema italiano di questi anni e che sarà
preludio per il “cinema d’impegno” degli anni successivi.
Intanto negli anni Sessanta cambia anche la criminalità: a seguito
del Boom economico la criminalità diventa sempre più
organizzata generando il fenomeno del “banditismo
metropolitano” (mentre i film finora citati si erano concentrati su
un banditismo di tipo “rurale”). Il cinema va di pari passo,
mostrando una violenza sempre più stilizzata con pellicole che si
rifanno ai generi e ai motivi stilistici americani: le trasposizioni
fumettistiche dei “fumetti neri” (es. Diabolik di Mario Bava dove
la violenza è sempre iperbolica, ricalcata sul modello sella saga
di James Bond e della serie tv Batman tanto da renderla innocua
agli occhi dello spettatore proprio perché inverosimile), i
gangster-movie americani e le spy-stories alla James Bond.
Sempre nello stesso periodo però cominciano ad apparire alcune
pellicole ispirate ai romanzi noir italiani di Scerbanenco: I ragazzi
del massacro (1959), La morte risale a ieri sera (1969), Il caso
“Venere privata” (1970), e Milano calibro nove (1972). Gli
artefici delle scoperta di Scerbanenco al cinema sono i registi
Ferdinando Di Leo e Duccio Tessari. Questi film rappresentano,
per la prima volta al cinema, il “lato oscuro” dell’Italia del Boom
economico, una società dove “tutto (persone comprese) ha un
prezzo e può essere comprato e venduto”.66 Anche il crimine
diventa perciò compravendita in questo senso. I personaggi, in
questi film, parlano come libri stampati con forme dialettali in
funzione eufonica e con connotazione antropologica. I due registi
riportano sullo schermo la “Milano nera” con grande realismo
senza parteggiare per nessuno dei personaggi. Il tema è sempre
l’avvicendamento tra la vecchia criminalità (con i suoi valori e il
suo codice d’onore) e la nuova criminalità (più spregiudicata e
violenta della prima).

66
ibidem, p. 62.

30
Da questi film prenderanno spunto i registi del cosiddetto
“cinema d’impegno civile italiano” (Francesco Rosi, Elio
Petri…): pellicole di forte impronta politica, portatrici di
un’ideologia in netta opposizione rispetto a quella dominante, che
affrontano di petto temi come la giustizia, l’inadeguatezza del
sistema carcerario, la corruzione politica e la mafia. I film politici
sono fortemente orientati a mantenere dei legami saldi con il
proprio pubblico: non disdegnano lo spettacolo e il cinema di
genere ma si pongono ai lati di esso e frequentano in maniera
tangenziale il poliziesco. L’impegno civile si lega mirabilmente a
soluzioni formali e stilemi narrativi propri del cinema poliziesco
(costruzione dell’intrigo, sviluppo delle psicologie dei
personaggi…). L’esempio più emblematico di questo filone è
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.67 In esso
abbiamo il rovesciamento della classica figura dell’investigatore.
Il protagonista, infatti, è un commissario di polizia che uccide la
sua giovane amante, colpevole di aver deriso la sua autorità in
quanto poliziotto. Diventa l’emblema del cinema poliziesco
impegnato sebbene, in realtà, rovesci i clichè del poliziesco
stesso, mostrando un investigatore che è, in realtà, lo stesso
colpevole. Mostra la diffidenza verso l’istituzione data dall’idea
(eredità del retaggio antifascista) del poliziotto come “nemico”, e
dai fatti di cronaca che precedettero il film (primo su tutti
l’omicidio del commissario Calabresi) che insinuarono
nell’opinione pubblica la diffidenza nei confronti del potere.
Paradossalmente sarà proprio questo aspetto a rilanciare la figura
del poliziotto nel cinema successivo. 68 È, infatti, su questo
principio che si fonderà poi un particolare genere cinematografico
italiano che, proprio in questi anni, ha un notevole successo: il
cosiddetto “poliziottesco”. Continuazione del “cinema
d’impegno”, si basava generalmente su indagini poliziesche che

67
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Elio Petri, 1970.
68
Claudio Bisoni, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Torino, Lindau, 2011.

31
prendevano spunto da fatti di cronaca nera dell'epoca,
sviluppandoli in chiave enfatica, spesso in senso critico, a volte
demagogica o in taluni casi anche comica. 69 Il termine indica una
connotazione spregiativa e sminuente data dalla critica e dai
quotidiani per lo standard, non sempre ottimale, di queste
pellicole (“sottoprodotti a bassissimo costo che testimoniano di
un brulicante sottobosco artigianale e autarchico”).70
Il “poliziottesco” contiene in sé elementi, oltre che del “cinema
d’impegno”, anche del western all’italiana (per la
rappresentazione della violenza e per la visione “da far west”
delle città metropolitane italiane; l’ambientazione di queste
pellicole, infatti, è quasi sempre in grandi metropoli come
testimoniano gli stessi titoli dei film: Roma violenta, Napoli
violenta…) e del poliziesco americano, in particolare per quanto
riguarda il conspirancy movie, genere che si basa sul concetto che
“il fascismo trova terreno fertile negli errori della democrazia,
specie nel campo della giustizia”. 71 È la stesa tesi del film Il
giustiziere della notte di Michael Winner, film-cult dell’epoca e
fonte d’ispirazione per queste pellicole. Nei poliziotteschi, infatti,
il tono è molto amaro: i protagonisti sono spesso uomini comuni
costretti a farsi giustizia da soli in quanto lo Stato non li aiuta,
oppure poliziotti-outsiders, quasi sempre dei commissari di
polizia sui generis che si sentono incompresi dai propri superiori,
anarcoidi ma essenzialmente onesti e spinti da una genuina
generosità e innegabile dedizione al corpo anche se d'indole
violenta e quasi sempre inclini ad utilizzare, per raggiungere i
propri scopi, gli stessi metodi e ad abbassarsi allo stesso livello
dei delinquenti (e quasi sempre destinati a una brutta fine
seguendo il modello del film Serpico di Sidney Lumet).72 Il
“poliziottesco”, riflette, a livello epidermico, la condizione di

69
Informazioni tratte dal sito www.http://poliziescoitaliano.blogspot.it/
70
Roberto Curti, op. cit., p. 8.
71
ibidem, p. 105.
72
ibidem, p. 97.

32
sfiducia e disillusione nei confronti di una realtà sociale che
appare in piena disgregazione, la stessa che aveva ispirato (e che
ispirerà ancora) gli autori noir italiani.
Tale genere comincerà a declinare negli anni Ottanta a causa
soprattutto della crisi cinematografica e la successiva “morte del
cinema italiano medio” che colpirà il cinema di genere e la
produzione si concentrerà soprattutto sul filone comico (quello,
per intenderci, dei film di Tomas Milian). La produzione
poliziesca si sposterà quindi verso la televisione che non farà altro
che mimare l’immaginario filmico dei poliziotteschi insieme a
quello delle serie tv americane (come, ad esempio, Miami Vice)
con plot liofilizzati e attori con facce da telefilm. Viene così a
cadere l’aspirazione al reale che era stato il motivo di successo di
questi film. Dagli anni Novanta in poi il cinema poliziesco
italiano risulta così impoverito nelle immagini e nell’immaginario
rifacendosi sempre più alla televisione ma non riuscendo a parlare
della realtà, a parte rare eccezioni.

2.2 La televisione

Prima ancora del cinema fu la televisione però a intuire il


potenziale dietro le storie di crimini in Italia. Come già detto è del
1959 la messa in onda di Giallo Club, una specie di quiz a sfondo
giallistico con protagonista Ubaldo Lay nei panni dell’ispettore
Sheridan, personaggio che riscuoterà un grande successo in
quegli anni.
Ben presto la Rai cominciò la produzione di sceneggiati a tema
poliziesco ambientati nel nostro paese, trovando nella letteratura
noir un naturale recipiente di storie, come dimostra il successo
della trasposizione televisiva dei romanzi di Georges Simenon
aventi come protagonista il commissario Maigret, interpretato da
Gino Cervi, alla cui sceneggiatura collaborò un giovane Andrea

33
Camilleri. La maggior parte di queste storie erano ambientate in
contesti esteri (Sheridan è un ispettore della polizia di New York,
le storie di Simenon sono ambientate in Francia), ulteriore
retaggio della cultura fascista che voleva le storie criminali
sempre ambientate in contesti esteri. Per usare la terminologia di
Walter Benjamin le “storie di mare” (storie di terre lontane)
predominavano su quelle “di campagna” (storie di casa nostra).73
Si trattava però di un processo di “localizzazione” del genere: le
storie erano ambientate all’estero ma in contesti domestici
tipicamente italiani, si trattava perciò di adattamenti di opere
letterarie straniere intese come “indigenizzazioni”74 ovvero un
adattamento in cui vengono trasportati significati sociali e
culturali (in questo caso un ambiente domestico dichiaratamente
italiano) all’interno di un contesto estraneo a tali valori (storie
poliziesche estere). In questo modo si accentuavano elementi più
in sintonia con la cultura italiana in modo che fossero
riconoscibili dal pubblico.
Il secondo periodo del poliziesco italiano (tra gli anni Sessanta e
Settanta) continua sempre con sceneggiati tratti da adattamenti di
romanzi, ma vediamo anche l’emergere, per la prima volta, di
adattamenti tratti da autori italiani (De Angelis, Macchiavelli…),
nonché creazioni originali di sceneggiatori italiani, come ad
esempio la serie Qui squadra mobile di Felisatti e Pittorru, poi
tradotta in una serie di romanzi letterari (uno dei primi casi di
percorso di adattamento inverso televisione-letteratura). Le
caratteristiche dei protagonisti rimangono sempre quelle che
avevano caratterizzato gli eroi del decennio precedente: sempre
rigorosamente non violenti, dotati di calore umano, intuitivi, più
perspicaci che razionali, metodici. Tutto il contrario dei loro
equivalenti cinematografici. Il poliziottesco italiano di questi anni

73
Walter Benjamin, Il narratore: considerazioni sull’opera di Nicolai Leskov, Torino, Einaudi, 2011, cit. in
Milly Buonanno, La fiction italiana, Roma, Laterza, 2012, p. 80.
74
Linda Hutcheon, Teoria degli adattamenti: i percorsi delle opere fra letteratura, cinema e nuovi media,
Roma, Armando, 2011, p. 209.

34
nasce anche come contrapposizione a questi modelli televisivi. In
questi anni, e soprattutto nel decennio successivo, si assiste poi a
un vero e proprio boom del genere poliziesco al cinema e in
televisione, dovuto soprattutto alle serie televisive statunitensi
che cominciano a invadere anche i nostri schermi soppiantando le
serie italiane.
Arriviamo così al terzo periodo del poliziesco italiano (dagli anni
Novanta fino ai primi anni Duemila) che è il decennio di
definitiva consacrazione del poliziesco italiano (in concomitanza
con il successo editoriale). In questi anni vengono sperimentate
formule innovative che rinvigoriscono il genere. Quella di
maggior successo è il cosiddetto “poliziesco umoristico” unione
di poliziesco e commedia all’italiana. Le componenti di questo
nuovo genere sono quattro: commistione di genere comico e
drammatico, secondo il modello, per l’appunto, della commedia
all’italiana (da cui le serie tv prendono a prestito i protagonisti:
Nino Manfredi, Gigi Proietti, Enrico Montesano…);
estraniamento dal milieu metropolitano (si prediligono gli scenari
di provincia o la campagna); preponderanza della sfera
privata/familiare dei protagonisti (che spesso soppianta la stessa
indagine); caratterizzazione dei protagonisti come eroi quotidiani
con tutti i loro vizi e i loro difetti ma anche come figure paterne,
rassicuranti, con cui i telespettatori possono facilmente
identificarsi. Esempio tipico di questo genere è Il maresciallo
Rocca con protagonista Gigi Proietti. Gli anni Novanta però sono
anche il periodo di sperimentazione di nuovi format, nuove
formule narrative e nuove rappresentazioni culturali. In questo
periodo abbiamo anche il fiorire del police procedural
all’italiana.
Una delle caratteristiche della nostra produzione televisiva,
infatti, è sempre stata quella di cercare i suoi protagonisti tra le
forze dell’ordine, anche questo retaggio del periodo fascista,
come nella fortunata serie televisiva Qui squadra mobile. Il

35
cosiddetto police procedural (sottogenere del poliziesco in cui a
essere protagonista non è un solo detective ma un’intera squadra
di agenti che risolvono i casi in maniera corale) diventerà, infatti,
un marchio di fabbrica della produzione seriale italiana. Molte
delle serie televisive italiane di questo periodo hanno come
protagonisti interi corpi di polizia (Carabinieri, Gente di mare,
Distretto di polizia…) visti quasi sempre in maniera celebrativa.
Questo per un proposito di rassicurazione e di stabilizzazione
sociale cui spesso rimanda un uso ideologico e demagogico del
mezzo televisivo. Le fiction televisive esaltano il lavoro di
squadra, il gruppo e l’istituzione in quanto tale:

La log line, l’inchiesta che attraversa con continuità tutti gli episodi
della stagione ruota attorno a crimini gravissimi (pedofilia, mafia,
terrorismo) ed è appannaggio degli investigatori più eminenti (il
commissario e il suo vice) anche se, alla sua conclusione, […] anche i
sottoposti avranno modo di rendersi utili e di dare un contributo
decisivo. Ispettori ed agenti hanno però un loro spazio […] nella
soluzione di casi di minore complessità […]. Lo spettatore può stare
tranquillo perché il cittadino è al riparo da ogni misfatto grande o
piccolo che sia […], noi sappiamo che le forze dell’ordine sono al
nostro fianco per proteggerci dai balordi, dagli scippatori, dai
ladruncoli. 75

Lo Stato, con i propri organi, basta da solo a proteggere i cittadini


da qualsiasi crimine. Questo messaggio ideologico è ribadito
dalla fisionomia fisica e morale dei personaggi, i quali sono tutti
di bell’aspetto o simpatici e trasudanti bonomia. E, soprattutto, si
comportano tutti rettamente. L’ambiente professionale viene
visto come un microcosmo di caratteri in cui il “protagonista
principale” (in genere un commissario) è solo un primus inter
pares ma mai un protagonista isolato. Le relazioni, all’interno
della comunità di lavoro sono, anche in questo caso, di tipo
familiare, come se fossero una famiglia (work-family) con
attenzione particolare alle vicende private dei loro componenti e
le loro relazioni sentimentali. La divisione manichea tra bene e

75
Alessandro Perissinotto, op. cit., pp. 37-38

36
male è un’altra caratteristica di queste serie televisive che le
distingue dalla letteratura (in particolar modo quella noir che,
invece, mostra detective spesso corrotti o al di fuori degli schemi
che non esitano a denunciare gli organismi deviati dello Stato).
Una delle poche eccezioni è la fiction La Uno Bianca76 diretta da
Michele Soavi che si distingue per una “cattiveria formale e una
tecnica cinematografica inedita per il piccolo schermo”. 77

2.3. Il caso La Piovra

La serie tv La Piovra rappresenta un caso interessante nella


produzione seriale italiana. Trasmessa per la prima volta nel
1984, e andata avanti per ben dieci stagioni, la serie vede la regia
di numerosi autori provenienti dal “cinema d’impegno civile”
come Damiano Damiani e Florestano Vancini, anticipando di
molti anni il fenomeno della “regia d’autore” che sarà tipica
delle serie tv americane dagli anni Novanta in poi.

Questo gruppo di autori, tutti di provenienza cinematografica,


conferisce al prototipo della Piovra (1984) un pedigree che la
innalza rispetto alla condizione e alla reputazione di una comune
fiction televisiva, contribuisce a immettere nel clima delle attese
un sovrappiù di interesse verso un prodotto che risulta nobilitato
dalla parentela con il cinema. 78

Questa serie si presenta fin da subito come originale per il tema


scelto (si tratta di una delle prime fiction che parla esplicitamente
di mafia) e per la messa in scena che la rende molto simile alle
serie tv contemporanee. Se guardiamo, infatti, alla struttura di
questa serie tv abbiamo dieci miniserie divise in quarantaquattro
puntate da un’ora e mezza l’una, trasmesse a intervalli annuali o
biennali in un arco di diciassette anni, fatto che le caratterizza

76
La Uno Bianca, Michele Soavi, 2001.
77
Roberto Curti, op. cit., p. 356.
78
Milly Buonanno, La piovra, La carriera politica di una fiction popolare, Genova, Costa&Nolan, 1996, p. 20.

37
come “serie-evento” di segno, quindi, più cinematografico che
televisivo. Risulterà, inoltre, l’unica fiction italiana in grado di
superare, come numero d’ascolti, le serie tv americane (la puntata
della morte del commissario Cattani ha raggiunto il 51, 37%79 di
share, record tutt’oggi imbattuto per una fiction italiana) e si
caratterizzerà per l’ibridazione dei generi e il continuo
sperimentalismo all’interno delle varie stagioni. La serie, infatti,
nasce come una storia “intimista, introspettiva, pirandelliana, su
un uomo che fa un mestiere particolare”, 80 ma al suo interno si è
sempre dimostrata malleabile per quanto riguarda la narrativa
mischiando poliziesco, dramma sociale e privato, cinema-verità,
gotico e western (soprattutto nelle scene dove sono presenti
sparatorie). Questa mescolanza di generi e continua re-invenzione
di sé stessa fa di questa serie una delle prime soap-opera italiane
e un ben riuscito pastiche postmoderno.81 La scelta del
melodramma sociale è stato funzionale al successo della serie per
molte ragioni: consente una sollecitazione emozionale dello
spettatore che rafforza il senso di realtà per quanto riguarda le
vicende narrate. In alcuni episodi, infatti, sono presenti scene che
richiamano vicende realmente accadute (come nell’episodio della
bomba alla stazione di Palermo presente nella quinta stagione,
richiamo alla vicenda della bomba alla stazione di Bologna del 2
agosto 1980). Tali episodi sono, in genere, caratterizzati da una
forte carica emotiva (per quanto riguarda l’episodio sopracitato la
tensione nel vedere il personaggio del commissario Davide Licata
che tenta di disinnescare la bomba). Il coinvolgimento
emozionale da parte dello spettatore è dovuto anche alla
rievocazione dell’evento pubblico realmente accaduto nella
memoria dello spettatore.82 E nello stesso tempo questo
strattagemma narrativo si rifà alle convenzioni del melodramma,

79
Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 2004, p. 413.
80
Intervista a Nicola Badalucco, creatore della serie, «Giornale di Sicilia», 21 marzo 1984.
81
Milly Buonanno, La fiction italiana, p. 53.
82
ibidem.

38
così come la raffigurazione dei protagonisti della serie, a partire
da quella del commissario Corrado Cattani (così come quella di
tutti gli altri protagonisti della serie, destinati sempre a una fine
tragica), interpretato da Michele Placido, che è l’emblema
dell’eroe tormentato e malinconico.

Rappresenta il modello classico e universale di eroe popolare. Un


onesto, un giusto, un solitario, in lotta contro le forze del male. Ma è
un eroe tipicamente italiano, manifesta umori e incarna tratti peculiari
di un’identità italiana […] è l’emblema del “martire cristiano”. 83

Dopo la morte del commissario Cattani la serie avrà poi un


nuovo protagonista: il commissario Licata (interpretato da
Vittorio Mezzogiorno) diverso come impostazione dal
personaggio di Michele Placido, più simile al modello di eroe
delle serie tv statunitensi ma con lo stesso destino segnato:

Il mondo del commissario Cattani era soltanto il mondo reale del


telegiornale, quello dei poliziotti trucidati dalla mafia. Quello di Licata
è il mondo che desideriamo, il mondo della rivincita, anche se per
ottenerla si usano maniere poco ortodosse. 84

Entrambi, dunque, sono eroi positivi ma imperfetti ed entrambi


riferibili al modello dell’“eroe-martire” tipico della tradizione
del melodramma ma anche della soap americana che, in quegli
anni, cominciava a diventare un modello di riferimento. Tale
caratteristica però è anche all’origine delle critiche che sono
state mosse nei confronti della serie, accusata di non essere una
fiction consolatoria ma, anzi, di propugnare una forma di
pessimismo nei confronti della lotta contro la mafia
rappresentando di fatto un mondo dominato solo dalle forze del
male.
Altri critici, invece, hanno lodato questo aspetto della fiction
mettendo in luce la potenza pedagogica nel mostrare il male per

83
Milly Buonanno, op. cit., pp. 56-57.
84
Aldo Grasso, op. cit., p. 416.

39
poterlo riconoscere e sconfiggere, facendo de La Piovra una
serie “pedagogica”:

Chi sa di Mafia sa che il serial "La Piovra" è stato buon spettacolo,


ma è stato soprattutto buona pedagogia. Con il potere comunicativo
della televisione ha spiegato agli italiani che la Mafia non era solo
quella congrega siciliana di delinquenti, di assassini, di sequestratori
di cui si parlava già durante il fascismo, al tempo del prefetto Mori;
che non si trattava di una contrapposizione frontale fra il male della
Mafia e il bene della società civile, la gente operosa […] ma che
l'intreccio delle responsabilità e delle complicità si allargava proprio
come i tentacoli di una piovra a gran parte della società e della
economia meridionale, aveva dei referenti nei palazzi romani del
governo e della Giustizia, faceva affari con alcune onorate banche di
Milano e di Roma, aveva la sua lobby in Parlamento. Questo ha fatto
la "Piovra" assieme a tutti coloro che in questi anni hanno cercato di
aprire gli occhi agli italiani perché si rendessero conto che la disunità
di Italia non era solo questione di dialetti o di cucina e che gli aspetti
peggiori del feudalesimo si erano riprodotti in questa organizzazione
malavitosa e nella sua cultura.85

D’altra parte la “politicizzazione” de La Piovra, il continuo


confondersi di finzione e cronaca, è stato anche il motivo del suo
stesso successo. La serie si è sempre caratterizzata come “serie-
evento” che si basava sui media e sull’informazione
(emblematico da questo punto di vista, il fatto che la prima
puntata de La Piovra si apra con il ritrovamento di un cadavere
da parte di una troupe di giornalisti televisivi). La morte del
commissario Cattani alla fine della quarta stagione è stato
l’evento televisivo più visto di sempre, creando un vero e proprio
fenomeno di storytelling extradiegetico con l’uscita di
anticipazioni su giornali e riviste e articoli di giornale sugli
aspetti politici della serie e dibattiti parlamentari sulla visione
negativa del Paese che ne usciva.86
Da notare, infine, il fatto che questi elementi di “serie-evento
politicizzata” anticipano quelli di un’altra serie televisiva più
recente a sfondo malavitoso, ovvero Gomorra-La serie che

85
Giorgio Bocca, Cavaliere, la Piovra non è solo tv, «la Repubblica», 18 ottobre 1994.
86
Milly Buonanno, op. cit., pp. 58-59.

40
subirà lo stesso processo mediatico de La Piovra, ulteriore
conferma della modernità di questa serie.

41
CAP. 3 PERSONAGGI ED EROI

3.1 Il commissario Montalbano

Considerata una delle migliori fiction prodotte dal nostro Paese,


la serie Il commissario Montalbano prende spunto dai romanzi
di Andrea Camilleri scrittore e sceneggiatore italiano, che, in
passato, aveva già collaborato per lo sceneggiato Rai Il
commissario Maigret.
La serie è considerata un “prodotto d’autore” per “l’elevata
qualità tecnica della realizzazione, la bellezza luminosa dei
paesaggi mediterranei, la messa in scena di un universo
estremamente riconoscibile sul piano culturale,
rappresentazione di conflitti universali”. 87
Il personaggio presenta una serie di caratteristiche che lo
rendono unico nel panorama del poliziesco italiano e che nei
romanzi vengono evidenziate in maniera tale da identificarlo. Si
tratta di uno dei pochi protagonisti del noir italiano
immediatamente riconoscibile e “multimediale”, nel senso che
ha saputo trasformarsi e trasmigrare ogni volta in un medium
diverso (televisione, innanzitutto, ma anche fumetti, pagine web,
cartoni animati…) pur mantenendo inalterate le sue
caratteristiche principali. Ciò ha fatto di Montalbano un
personaggio classico. Classico nel senso che “genera aspetti
sempre nuovi ogni volta che lo si rilegge e […] ha una rete di
traduzioni/tradimenti”. 88
Il commissario Montalbano si presenta nei romanzi come il
classico detective riflessivo alla Maigret, poco incline
all’azione, anzi, parecchio imbranato e con problemi per quanto
riguarda la tecnologia (di cui si occupa l’agente Catarella).
Questo lo differenzia già dagli altri polizieschi dove, in genere,

87
Gianfranco Marrone, Montalbano, «Rai VQPT», n. 194, Roma, Rai Eri, 2003, Introduzione.
88
ibidem.

42
il detective protagonista è un tipo d’azione con una psicologia
non particolarmente profonda che si basa più sul saper fare.
Lungo la narrazione Camilleri mostra il suo protagonista intento
a svolgere alcune azioni, ma queste sembrano non avere nulla a
che fare con le indagini, funzionano come riempitivi per
mostrare la psicologia del personaggio e fanno sì che questo
diventi “unico” agli occhi dei lettori. Questi, infatti, vengono
così a conoscenza delle sue abitudini (le nuotate in mare, la sua
passione per i piatti di pesce…) e si aspettano di trovarle anche
in tutte le trasposizioni del personaggio negli altri media.
Talvolta capita che questi riempitivi lo aiutino nelle indagini.
Nei romanzi le storie sono ambientate nell’immaginario paese
siciliano di Vigàta e presentano uno schema ripetitivo che
ricalca quello del giallo classico: all’inizio viene commesso un
delitto a cui segue una prima ipotesi che gli antagonisti di
Montalbano vogliono far credere vera; in seguito il commissario
capisce che questa ipotesi è una messinscena e, verso la fine,
costruisce una nuova messinscena per far cadere gli antagonisti
nella trappola e scoprire la verità. Si tratta di un ribaltamento dei
piani dell’essere e dell’apparire che rimanda alla lezione
sciasciana ma con un esito contrario che è sempre positivo. 89
Tutti questi riferimenti letterari alla letteratura poliziesca
rendono Montalbano un “omaggio globale al giallo europeo”90,
nei romanzi si trovano riferimenti alle opere di altri giallisti
(Simenon, Gadda, Sciascia, Dürrenmatt…).
Lo stesso nome “Montalbano”91 è un omaggio dell’autore a
Manuel Vazquez Montalban, lo scrittore catalano creatore del
commissario Pepe Carvalho, con cui Montalbano ha molti tratti
in comune, primo tra tutti il rapporto con la cucina.

89
ibidem, p. 54.
90
Beppe Benvenuto, Montalbano, “teorico” del giallo, in AA.VV., Il caso Camilleri. Letteratura e storia,
Palermo, Sellerio, 2002, p. 65.
91
Angiola Codacci Pisanelli, Il segreto di Camilleri, «L’Espresso», 25 giugno 1998.

43
Questo rende i romanzi di Camilleri un vero e proprio pastiche
postmoderno.
Nei romanzi abbiamo, oltre all’indagine, gli eventi che
riguardano le vicende private di Montalbano (in particolare il
rapporto burrascoso con la fidanzata Livia) e i suoi comprimari
che si susseguono da un romanzo e l’altro seguendo una
continuity che contribuisce a creare una generale coerenza della
serie e anche una continuità temporale alle storie, quindi
Montalbano è, a tutti gli effetti, un personaggio seriale già da
prima di arrivare in televisione.
Quando, nel 1998, arriva la serie televisiva tale personaggio
viene “trasformato” in personaggio d’azione. Viene fatta
un’operazione di estetizzazione del personaggio rendendolo più
prestante fisicamente con la scelta di Luca Zingaretti come
interprete. Poi viene alleggerito di tutti quegli impedimenti che
ha nei romanzi, rendendolo così meno goffo e impacciato.
Diventa così un uomo d’azione, più coerente con il contesto
mediatico in cui si trova: il medium televisivo, infatti, è votato
più all’azione e al conflitto che non alla riflessione. Tuttavia
anche in televisione Montalbano mantiene le abitudini descritte
nei romanzi che rendono riconoscibile il personaggio. Bisogna
aggiungere poi che, a differenza dei romanzi, nella serie il
personaggio viene maggiormente esaltato rispetto ai comprimari
(la fidanzata Livia, i sottoposti Catarella e Fazio…) e le vicende
private rimangono spesso in secondo piano. Tanto che la serie tv
non segue sistematicamente la linea dei romanzi (il primo
romanzo con protagonista il commissario Montalbano è stato La
forma dell’acqua, ma per il primo episodio televisivo venne
scelto Il ladro di merendine) preferendo scegliere, invece, di
volta in volta quelle che si prestano meglio al collegamento con
la cronaca e l’attualità, mantenendo così quel rapporto tra fiction
e non-fiction tipico del poliziesco italiano.92 In generale il

92
ibidem, p. 153.

44
personaggio di Montalbano è un eroe solitario e
donchisciottesco, la cui ontologia è quella di un uomo che vuole
“capire” e scoprire la verità, spesso andando oltre le regole
(come nella tradizione dei poliziotti anti-istituzionali di cui
abbiamo parlato nei capitoli precedenti), ma è, nello stesso
tempo, un personaggio molto umano, con i suoi problemi privati
e dotato di una certa ironia (che è la cifra stilistica dei romanzi
di Camilleri) che lo rende un personaggio sfaccettato con cui il
pubblico può identificarsi.

Montalbano è un eroe solitario, e questo è quantomeno anomalo nella


fiction italiana, anche nella vita: il suo rapporto con la sua compagna
Livia è mantenuto alla comoda distanza […]. A dare tridimensionalità
e spessore umano al personaggio contribuiscono i suoi mille difetti:
Montalbano individualista, geloso dei successi del suo vice, ingordo e
facile agli scatti d’ira. Caratteristiche che se da un lato sono la fonte
della sua vis comica, al momento delle indagini diventano le armi
ultime di un cane sciolto che non esita a minacciare, mentire e
imbrogliare purché la giustizia trionfi o perché il lavoro dei suoi
uomini venga riconosciuto.93

Questa commistione tra azione, carisma del personaggio e la sua


personalità che si rivela essere, da un alto, fermamente onesta e
incorruttibile e, dall’altro, così fortemente individuale e anti-
istituzionale sono stati i motivi di successo, sia di critica che di
pubblico, di questa fiction che continua ancora oggi (le repliche
di Montalbano hanno sempre picchi molto alti di share, intorno
al 30%, quasi quanto le puntate inedite che arrivano addirittura
al 40%)94 rendendolo il personaggio seriale più longevo della
televisione italiana grazie alla fidelizzazione che è riuscito a
creare con il pubblico e generando , in tempi recenti, anche uno
spin-off, Il giovane Montalbano.

93
Roberto Scarpetti, Annalisa Strano (a cura di), Commissario Montalbano, indagine su un successo,
Arezzo, Editrice Zona, 2004, p. 29.
94
I dati sugli ascolti di Montalbano si trovano in Roberto Scarpetti, Annalisa Strano (a cura di), op. cit., pp.
149-153; è presente anche una tabella riassuntiva dello share puntata per puntata a pag. 158.

45
3.2 L’ispettore Coliandro

Nel 1991 esce il romanzo Nikita95 di Carlo Lucarelli. Protagonista


è una ragazza punk, chiamata Nikita per la somiglianza con la
protagonista dell’omonimo film di Luc Besson, che si ritrova
invischiata in un crimine. A farle da spalla il sovrintendente della
Questura di Bologna Marco Coliandro, un poliziotto presuntuoso
e molto imbranato.
Ben presto questo personaggio, nato come semplice spalla, si
sarebbe preso la scena diventando protagonista in altri due
romanzi (Falange armata96 e Il giorno del lupo97 usciti
rispettivamente nel 1993 e nel 1994). Al successo editoriale
sarebbe poi seguito quello televisivo con una serie di film per la
Rai a partire dal 2006.
La figura dell’ispettore Coliandro (che nei romanzi ha nome di
battesimo Marco, mentre nella serie tv non viene mai menzionato
per nome) nasce all’interno del “Gruppo 13”, un luogo
d’incontro, nato negli anni Novanta, dove alcuni scrittori e
illustratori giallo-noir dell’area bolognese si incontrano per
discutere di narrativa e di come le loro storie possano descrivere
la realtà che li circonda. Coliandro nasce, infatti, per descrivere la
città di Bologna e le trasformazioni che avvengono in essa a
partire da quegli anni, quando comincia a diventare una grande
città metropolitana con una nuova criminalità con cui fare i conti.

L'idea nasce letterariamente per un racconto, una serie di romanzi, e


dalla volontà di raccontare la mia città che è Bologna, soprattutto da
un punto di vista metropolitano, di un noir metropolitano e, quindi,
sono andato a cercare un personaggio di poliziotto che, però, fin
dall'inizio ha avuto questa connotazione molto scorretta, molto strana,
negativa, ma molto ironica. Ecco che è venuto fuori Coliandro per
raccontare una sorta di metropoli che non esiste, come la Bologna di
Coliandro, che ha delle connotazioni molto noir. È uno di quei
personaggi che serve a raccontare la società in trasformazione di oggi;

95
Carlo Lucarelli, Nikita, Bologna, Granata, 1994;
96
Carlo Lucarelli, Falange armata, Bologna, Granata, 1994;
97
Carlo Lucarelli, Il giorno del lupo: una storia dell’ispettore Coliandro, Torino, Einaudi, 1998;

46
è un personaggio che vive per la strada, che vive anche tutti i
pregiudizi che ci sono verso la contemporaneità ed è in grado di far
vedere dove i luoghi comuni siano tali oppure dove corrispondano alla
realtà. È un personaggio molto vivo, che si fa passare addosso tutto
quello che succede e quindi può servire a raccontare molte cose. 98

Nel ciclo dedicato all’ispettore Coliandro compaiono, infatti, per


la prima volta i riferimenti alle cosche mafiose presenti in città,
alle disuguaglianze sociali, ai traffici di droga e armi e, infine, ai
delitti della Uno Bianca (di cui Falange armata anticipa in
maniera profetica l’epilogo giudiziario). Inoltre questi si
caratterizzano per la vena umoristica usata per descrivere questo
personaggio, antieroe molto umano che cerca di fare il duro non
riuscendovi. Un umorismo che si rifà alla tradizione letteraria
poliziesca italiana, in particolare ai romanzi di Loriano
Macchiavelli. Il successo delle storie di Coliandro (dato anche dal
fatto eclatante della Uno Bianca) ha generato poi un fenomeno
transmediale: dai romanzi sono stati fatti dei fumetti e, infine, la
serie tv. Questa è stata immediatamente lodata come una delle più
innovative mai prodotte in Italia e le recensioni sul suo conto sono
sempre state positive. In effetti la serie si discosta molto dalle altre
fiction prodotte in Italia: per la prima volta abbiamo un
personaggio politicamente scorretto, per quello che dice e per
quello che fa, diverso dalle figure finora intraviste di poliziotti
che, per quanto umani, risultano alla fine sempre capaci e
infallibili.

L'ispettore Coliandro viene interpellato ogni volta, al primo approccio,


'Coriandolo', provocando la sua immediata irritazione. È un
funzionario di polizia fuori dagli schemi, diretto da Manetti & Bros,
che fa un uso sconsiderato del turpiloquio. […] Ciò nonostante
Coliandro non è antipatico. È un poliziotto moderno, di quelli che
assomigliano più ai delinquenti a cui dovrebbero dare la caccia che
non ai loro colleghi. Gli stessi luoghi che frequentano sono
problematici, con poche luci, spesso con suoni da discoteca,
frequentati da ragazze facilmente disponibili. […] Coliandro va tenuto

98
Stefano Sgambati, L’ispettore Coliandro “svelato” da Carlo Lucarelli: “Un personaggio capace di
raccontare la società di oggi”, in http://www.tvblog.it/post/15599/lispettore-coliandro-svelato-da-carlo-
lucarelli-un-personaggio-che-sa-raccontare-la-societa-di-oggi.

47
a distanza dai bambini, se non si vuole che imparino un linguaggio da
scaricatori di porto (o semplicemente da salotto normale, dove si parla
con il linguaggio della borghesia qualunque). Tuttavia ha un tocco
'noir' che può attrarre molto, perché porta le storie al livello della
quotidianità e le fa apparire 'vere'. Sicché 'Coriandolo' è un buon
esempio di poliziesco moderno, televisivamente ben fatto,
leggermente ansiogeno: ma questo per un 'noir' dovrebbe essere
normale. 99

Allo stesso tempo, così come il commissario Montalbano, viene


risaltata la sua umanità, anche se qui è in chiave molto più
satirica, quasi fantozziana.
La serie si compone di quattro stagioni (in questo momento è in
cantiere una quinta) di quattro episodi ciascuna (a parte la quarta
che si riduce a soli due episodi) di cento minuti ciascuna,
secondo il modello della miniserie all’italiana. Ogni puntata è un
piccolo film a sé stante girato strizzando l'occhio ogni volta ad
un diverso genere cinematografico (gli action movies anni
Novanta, il kung fu movies…) e con molte citazioni ad alcuni
modelli ispiratori, tra cui i film poliziotteschi anni Settanta di
Tomás Milián e, soprattutto, i polizieschi hard boiled
dell'ispettore Callaghan con Clint Eastwood di cui Coliandro è,
di fatto, la parodia. Ed è proprio lo stile “cinematografico” della
serie il motivo principale delle critiche positive sul suo conto. La
serie, infatti, è girata in formato panoramico, inusuale per la
serialità italiana, ma che l’accomuna alle serie tv americane più
innovative, in particolare a quelle Sky ed Hbo, che, proprio in
quegli anni, cominciano ad essere viste come dei modelli di
“nuova televisione”. Questa scelta viene perciò fatta
consapevolmente dai Manetti Bros, registi di tutte le puntate,
formatisi dopo una gavetta fatta di film indipendenti e videoclip
musicali, che scelgono così di omaggiare i B-movies polizieschi
dando sfogo alla loro vena citazionista e creando, in questo
modo, fidelizzazione nel pubblico (secondo la lezione di
Tarantino). E l’operazione sembra essere riuscita bene: la prima

99
Edmondo Berselli, Simpatico Coriandolo, L’Espresso, 4 giugno 2006.

48
puntata della serie L’ispettore Coliandro ha raggiunto il 12,91%
di share100 ottenendo risultati significativi soprattutto nella
fascia 25-44 anni (sopra il 16%). In generale la serie ha ottenuto
sempre una media di 6,2 milioni di spettatori a puntata,
confermandosi una delle serie televisive italiane più seguite di
sempre. E questo grazie soprattutto alla simpatia suscitata dal
personaggio e allo stile con cui è girata, ma soprattutto per la sua
visione così disincantata e reale riguardo il mestiere del
poliziotto, cosa che non si era vista finora nelle serie poliziesche
italiane.

3.3 Crimini

Crimini riprende il titolo dell’omonima raccolta di racconti


curata da Giancarlo De Cataldo. L’obiettivo della raccolta viene
esplicitato dallo stesso De Cataldo nella sua Introduzione di cui
abbiamo già parlato nei capitoli precedenti.
Il taglio del libro è, quindi, di stampo sociologico: l’obiettivo è
di descrivere la geografia criminale dell’Italia contemporanea
attraverso lo strumento della fiction. L’operazione ha successo,
tanto che nel 2008 esce una nuova raccolta chiamata Crimini
italiani101 che riprende l’intento della prima ma con un nuovo
punto di vista.

Gli scrittori non si limitano a osservare, registrare, riportare. Gli


scrittori prendono apertamente partito. Il giudizio è unanime: la
modella-Italia è un emblema della bellezza corrotta. Un male oscuro
l’ha ormai profondamente contagiata.102

Torna, dunque, ancora una volta il tema del male come virus che
contagia la società. Questa volta però le cause che portano al virus

100
Dati Auditel in www.tvblog.it.
101
Giancarlo De Cataldo (a cura di), Crimini italiani, Torino, Einaudi, 2008.
102
ibidem, p. VII

49
sono individuate nei “miti negativi”, divenuti imperanti, secondo
gli autori, nella società italiana:

Il mito della scorciatoia, della strada più corta per l’arricchimento


individuale. Con quel che ne segue in termini di disprezzo del lavoro.
[...] Il mito del crimine che paga: non è forse sotto gli occhi di tutti la
forsennata débâcle della giustizia? […] E il mito della cocaina,
naturalmente. La droga che non ti allontana dalla società, che, al
contrario, ti rende scattante, efficiente, gaio e multitasking come si
addice a una persona di successo.103

La differenza, dicevamo, è il fatto che gli autori, consapevoli del


successo ottenuto dalla prima raccolta e del successo editoriale
che ha avuto il loro genere, si pongono nei confronti dei lettori
come dei veri e propri opinion maker della nuova società italiana.
Le storie presenti nella seconda raccolta risultano più elaborate
dal punto di vista formale, con una scrittura che cerca di andare
oltre le convenzioni e gli stilemi del genere per diventare
“scrittura, scrittura allo stato puro […] che non tollera di essere
ingabbiata e si lancia in territori tutti da esplorare”.104
Il progetto di De Cataldo non è quello di essere semplici
“osservatori passivi” della realtà che li circonda ma di riuscire,
con i mezzi che la scrittura gli concede, di fare breccia negli animi
del pubblico e indurlo a riflettere e a combattere questi mali che
hanno contagiato la società, vedendo come questo autori scrivono
liberamente quello che vedono. Obiettivi che ricalcano quelli di
un altro libro di successo: Gomorra di Roberto Saviano. Le
intenzioni delle due raccolte, perciò, sconfinano oltre la semplice
carta stampata rientrando nella saggistica e nel giornalismo
d’inchiesta in un contatto sempre più stretto con gli altri media.
E, almeno dal punto di vista mediale, possiamo dire che
l’operazione ha avuto buon esito. La Rai, infatti, sulla scia del
successo de L’ispettore Coliandro, e del successo editoriale che
il genere “noir all’italiana” sembra riscontrare nel pubblico,

103
ibidem.
104
ibidem, p. VIII.

50
decide di attingere nuovamente ad esso come serbatoio di nuove
storie per il proprio palinsesto. Così nel 2006 esce per Rai2 (stesso
canale in cui era uscito Coliandro, che consolida la sua vocazione
al genere crime) la serie televisiva Crimini. Serie che consacra
definitivamente il “noir all’italiana”, con una media di 3 milioni
e mezzo di spettatori e 13% di share105 nella prima stagione (poi
ridimensionati nella seconda causa cambio di collocazione
sbagliato). Anche questa serie si presenta fin da subito come
“innovativa” a partire dal formato. Si tratta, infatti, di una serie
antologica, format inconsueto per le produzioni italiane, ma
molto praticato, ad esempio, negli Stati Uniti (storiche le serie
come Alfred Hitchcock presenta e Ai confini della realtà) in cui i
singoli episodi sono dei piccoli film per la televisione, ciascuno
con cast e regista diverso ogni volta ma accomunati da un
elemento comune. Il tema comune presente nella serie è,
ovviamente, il crimine, in particolare il crimine presente nelle
città italiane. In ogni puntata abbiamo una storia ambientata in
una città italiana dove viene sviscerato, dai singoli autori dei
racconti che sono anche autori dei soggetti televisivi, un crimine
particolare (così a Catania e a Napoli si parla di criminalità
organizzata, a Courmayeur di spaccio di droga, a Roma della
nuova criminalità venuta dall’Est Europa…).

Giancarlo De Cataldo ha spiegato il progetto 'Crimini': "La tv per me


non è mai stata una parola insulto, anzi misurarci con la scrittura
televisiva è stato per noi autori una bella sfida. Rispetto alla fiction in
divisa da poliziotto o da carabiniere cui è abituato il pubblico
televisivo abbiamo virato su un altro registro: se quella alla fine corre
il rischio di essere consolatoria o rassicurante, la nostra invece pur non
avendo crimini estremi, racconta un lato oscuro dell'Italia. E ne
abbiamo parecchi tra corruzione, devastazione del paesaggio,
accoglienza dello straniero".106

105
www. tvblog.it, 9/4/2010, dati auditel programmi tv.
106
Fonte: ANSA, Da Camilleri a Fois, in scena l’Italia dei crimini, 27/11/2006, cit. in
http://www.vigata.org/films/criminitv.shtml.

51
Questa formula ha successo soprattutto grazie al nome degli
autori, tutti scrittori conosciuti già dal grande pubblico e “prova
di garanzia” per il loro legame con il territorio che descrivono:
Bologna viene raccontata da Carlo Lucarelli, Padova da Massimo
Carlotto, il tutto con la supervisione generale degli episodi
sempre a cura di De Cataldo, in quegli anni reduce dal successo
di Romanzo criminale.

Un progetto che ha un capo e una coda, partito benino e si dice che nei
prossimi episodi si viaggi ancora meglio. […] Non che si sia rischiato
troppo, in partenza, visto che sono stati convocati tipi come Camilleri,
Lucarelli, Carlotto, Fois, Faletti e così via (in origine c´è il libro
"Crimini", pubblicato da Einaudi, che raccoglie tutti i racconti). La
partenza dell´altra sera è stata poi proprio con Camilleri, scelta non
occasionale visto che il decano aveva scritto ai tempi per lavori da
leggenda come il Maigret e lo Sheridan televisivi. 107

Ma è soprattutto nella tecnica usata che la serie Crimini si


distingue rispetto alle altre: come già L’ispettore Coliandro la
serie si avvale di registi che seguono un modello più
cinematografico che televisivo (è la prima serie italiana girata nel
formato panoramico 16:9)108 con alcuni registi che, così come gli
autori, sono di comprovata fedeltà al genere (i Manetti Bros., già
autori di Coliandro e Stefano Sollima, che diventerà noto per
Romanzo criminale) che si servono di ampie carrellate, citazioni
colte, primi piani intensi, uno stile nevrotico, dinamico, con
ampie sequenze d’azione, che si rifà ai modelli americani (come
si può notare, ad esempio, negli episodi Rapidamente di Carlo
Lucarelli e Morte di un confidente di Massimo Carlotto). La scelta
della trasposizione delle due raccolte con una serie antologica
risulta così azzeccata e ribadisce, in questo modo, l’assoluta
fedeltà all’ “autorialità” dei racconti, fattore che è stato decisivo
a livello di pubblicità sia per le due raccolte sia per la stessa serie
televisiva. Allo stesso modo ha contribuito il precedente successo

107
Antonio Dipolina, «“Crimini” il fascino del noir all’italiana», la Repubblica, 8/12/2006.
108
www.wikipedia.it/Crimini_(serie_televisiva).

52
de L’ispettore Coliandro a cui la serie s’ispira nel formato e nella
scelta dei registi e degli interpreti, creando un effetto di richiamo
per il pubblico affezionato alla serie precedente. Molti degli
episodi, infatti, hanno la regia dei Manetti Bros., già autori di
Coliandro, e l’episodio Il bambino e la befana, tratto da un
racconto di Giancarlo de Cataldo, ha come protagonista proprio
Giampaolo Morelli, l’attore che impersona anche il detective di
Lucarelli, quindi già volto noto e riconosciuto dal pubblico
italiano.

53
CAP. 4 IL CASO SKY

Sky Italia arriva ufficialmente nel nostro paese nel 2003 come
piattaforma pay, interamente finanziata da sottoscrizioni degli
abbonati e dagli inserzionisti. Nel 2008 abbiamo la prima fiction
prodotta dall’emittente: Quo vadis baby?, adattamento del
romanzo omonimo di Grazia Verasani per la regia di Guido
Chiesa con la supervisione di Gabriele Salvatores (che ne aveva
già curato l’adattamento per il cinema). Fin da subito vengono
evidenziate le novità apportate nelle serie. Novità che riguardano
non solo i temi e i contenuti delle serie televisive, ma anche lo
stesso sistema produttivo della pay-tv. Il modello di business è
originale, almeno per il nostro Paese, caratterizzato, fino a quel
momento, da un duopolio tra la televisione di stato (Rai) e una
televisione privata predominante tra le altre a livello nazionale
(Mediaset). La prima finanziata principalmente da denaro
pubblico, tasse (il cosiddetto “canone televisivo”) e da
inserzionisti. Il secondo quasi interamente dalla pubblicità. Sky,
invece, è un’impresa televisiva che si finanza principalmente
grazie agli abbonati. Si tratta, quindi, di un’impresa privata non
orientata però alla massimizzazione degli ascolti (come Mediaset)
ma alla fidelizzazione del pubblico con il consolidamento della
propria brand identity. Per questo motivo Sky punta molto sulla
promozione dal basso delle sue serie tv, stimolando il dibattito
attraverso i social e il fandom sul web. E su questo versante si può
dire che Sky sia stata molto innovativa contribuendo a porre le
basi, anche in Italia, per lo sviluppo della “cultura convergente”
descritta da Henry Jenkins, ovvero un mondo dove “i vecchi e i
nuovi media collidono, dove si incrociano le produzioni
grassroots e quelli delle corporation, dove il potere dei produttori
e quello dei consumatori interagiscono in modi imprevedibili”.109
La convergenza è stato un fattore determinante per lo sviluppo di

109
Henry Jenkins, Cultura convergente, Milano, Apogeo, 2006, Introduzione, pag. XXV

54
una serialità lunga contrapposta alla serialità breve delle miniserie
Rai (obiettivo a cui aveva già aspirato Mediaset con le sue serie
serializzate di genere crime). Nella televisione generalista lo
spettatore è guidato nell’offerta e si concentra su alcuni
programmi selezionati scelti per abitudine oppure per la chiarezza
nella proposta di titoli, generi e serate dedicate (è il caso della
serie antologica per Rai2, Nel segno del giallo). In questo caso,
dunque, quello che riveste maggiore importanza è il brand di rete.
Per quanto riguarda l’offerta Sky abbiamo, invece, “una proposta
di contenuti, brand e tecnologie che agisce da freno rispetto alla
fuga extratelevisiva dei fan del telefilm”. 110 Agendo su molti
dispositivi (televisione, tablet, social network …) l’azienda riesce
a conquistare ampie fette di pubblico diversificato e “flessibile”,
che può ritagliarsi percorsi di visione individuali attivando gli
strumenti che desidera, grazie alla moltiplicazione dell’offerta.
Inoltre lo spettatore riesce, grazie a questi dispositivi, ad
appropriarsi della sua serie e a rielaborarne i contenuti. La
condivisione dei contenuti è, infatti, un importante fattore di
promozione e di sviluppo per le serie tv.
Con queste premesse andiamo, ora, ad analizzare i caratteri
distintivi delle fiction Sky:
• Contenuto editoriale: vengono scelti temi che né Rai né
Mediaset possono o vogliono affrontare, in modo da costruirsi
una propria identità, riconoscibile dallo spettatore televisivo;
• Qualità: Sky è una multinazionale, in quanto tale deve
competere non solo con le emittenti nostrane ma anche con quelle
estere (in particolare statunitensi), cerca prodotti che siano
esportabili all’estero;
• Production Value: il sistema di produzione è a metà strada
tra quello di una tv nazionale e l’industria cinematografica;

110
Luca Barra, Massimo Scaglioni, Risalite e discese. Le trasformazioni dei percorsi degli spettatori
nell’ecosistema mediale, in Claudio Bisoni, Veronica Innocenti (a cura di), Media Mutations, Modena,
Mucchi editore, 2013, p. 171.

55
Queste le caratteristiche della produzione Sky generale, in linea
con le direttive della piattaforma.
Già da queste premesse si capisce come il modello per questo tipo
di fiction sia quello dell’emittente americana Hbo la quale, sul
finire degli anni Novanta, ha prodotto alcune serie tv entrate di
diritto nella storia della televisione. Tali serie tv (tra le altre, The
Sopranos) si rifanno al concetto di quality tv, uno stile di fiction
nato negli anni Ottanta a seguito della Seconda Golden Age, un
periodo in cui in televisione si sperimentano nuove forme di
intrattenimento e nuove forme di racconto seriale in grado di
fidelizzare il più possibile il pubblico. Oggi queste nuove forme
di racconto seriale sono diventate la norma. Le loro caratteristiche
principali sono:

Uso di una serialità interepisodica, per cui da un lato si rompe la


vecchia distinzione tra serie e serial e si utilizzano forme ibride,
dall’altro si fa sempre più uso del formato del serial anche in prime
time; narrazione complessa, ovvero orchestrata attorno a trame
multiple e a mosaico, un cast composito, costruzione approfondita dei
personaggi, temi scottanti e controversi; ibridazione dei generi; scelta
di differenti stili visivi adatti alla narrazione e di un linguaggio
audiovisivo più ampio, vicino a quello cinematografico; coscienza
metalinguistica e uso delle citazioni; più peso dato a creatori e
produttori, alcuni anche di derivazione cinematografica.111

Questo tipo di narrazione oggi è diventato la norma grazie ad


alcune tv via cavo (pay-tv) americane tra cui, appunto, Hbo che
ne hanno fatto il loro tratto distintivo e che sono diventate un
modello anche per le reti televisive generaliste. Il motivo del
successo è stato soprattutto la scelta di una “struttura episodica
che fosse meno segmentata senza però rinunciare alla possibilità
di muoversi a piacimento all’interno del testo narrativo”. 112 Una
struttura che assomiglia più a quella delle opere cinematografiche

111
Definizione tratta da http://www.treccani.it/enciclopedia/quality-tv_(Lessico_del_XXI_Secolo)/.
112
Luca Bandirali, Enrico Terrone (a cura di), Filosofia delle serie tv dalla scena del crimine al trono di
spade, Milano, Mimesis, 2012, p. 23.

56
e ai romanzi togliendo così la serie dal flusso della
programmazione ed elevandola ad arte.

La storia della narrazione-più che la storia della televisione- è il campo


adeguato in cui collocarla, e proprio alle origini della storia della
narrazione, in quel fenomenale trattato narratologico che è la Poetica
di Aristotele, troviamo una distinzione decisiva per comprendere
come funzionano le serie tv: quella fra l’epopea come narrazione
estesa e articolata in una pluralità di intrecci ed episodi, e la
drammaturgia come narrazione concisa e fortemente unitaria. […] La
serialità contemporanea ripristina invece l’ampia articolazione delle
grandi narrazioni romanzesche facendo però tesoro dell’efficacia della
scrittura cinematografica: la serie tv è epopea e drammaturgia al
tempo stesso.113

A queste caratteristiche si aggiunge la volontà, da parte della rete


Sky, di finanziare fiction aderenti alla cultura di ogni paese, dando
così autonomia a tutte le sedi periferiche della multinazionale, pur
mantenendosi dipendenti dalla casa madre. Si cercano, perciò, dei
soggetti che siano immediatamente riconoscibili e già noti al
pubblico, capaci di essere replicabili in serie. Soggetti che siano
radicati nella cultura e nella cronaca italiana ma con un profilo
internazionale (adatti magari a una co-produzione con l’estero,
altra pratica innovativa portata da Sky).
Da qui, dunque, la scelta di numerosi soggetti presi dalla
letteratura, in particolare dal sottogenere “noir all’italiana”, già
ben consolidato nella nostra cultura da tempo e comprensibile
anche per i non-italofoni per il fatto che rientra in un genere più
ampio già noto e consolidato anche all’estero. Un genere (il
cosiddetto crime, in tutte le sue accezioni, dal thriller al giallo
classico) che risulta essere quello di maggior successo per quanto
riguarda la produzione seriale, non solo italiana.
Questa scelta è dovuta anche alla decisione di Sky (in
controtendenza rispetto alla fenomeno della delocalizzazione
delle imprese) di girare tutte le produzioni nei paesi d’origine. Le
produzioni Sky hanno una marca chiaramente italiana con la

113
ibidem, p. 24.

57
scelta del “noir all’italiana” come sottogenere di riferimento (non
l’unico ovviamente, ma di certo quello che ha avuto maggior
successo) e locale come dimostrano l’uso del dialetto in Romanzo
criminale e Gomorra-la serie.
Il successo del genere poliziesco italiano va di pari passo con
quello internazionale, in particolare risulta derivato dal successo
delle serie televisive americane. Il genere crime è sempre stato
considerato di “serie b” dalla critica. Le critiche negative sono
derivate dall’eccessiva violenza, dalla banalità e ripetitività dei
personaggi che, molto spesso, rappresentano dei cliché, dallo
scarso realismo delle trame e la scarsa qualità di interpreti e
sceneggiature per cui si è soliti indicare un prodotto con queste
caratteristiche come “americanata”114 dal momento che questo
modello è quello delle serie americane (ma la critica può
riguardare però anche molte fiction europee).
Il successo di alcune serie innovative di questo genere (tra cui
ricordiamo The Sopranos e The Shield) ha fatto cambiare idea,
smontando questo preconcetto, ed elevandole al rango di vere e
proprie opere d’arte. Il motivo per cui, in genere, si concorda per
quanto riguarda l’innovazione apportata da queste serie (in un
genere dove i motivi e i codici sono ormai da tempo standardizzati
e tendono ad assomigliarsi) è stato il cambio di prospettiva nelle
storie. In particolare la ridefinizione dei concetti di bene e male
che, in queste serie, appaiono meno manichei e più sfumati del
solito.115
The Shield, infatti, parla di un immaginario distretto di polizia di
Los Angeles dove opera una pattuglia di poliziotti corrotti che non
esita a scendere a patti con la malavita locale, mentre The
Sopranos è il racconto delle vicende di una famiglia mafiosa italo-
americana (a cui molto deve Gomorra-la serie) narrato dal punto
di vista del capo-famiglia che soffre di una grave crisi depressiva.

114
Roberto Pastore, Sulle strade della fiction, Torino, Lindau, 2012, pp. 10-11.
115
ibidem, pp. 32-33.

58
Queste serie sono state ben accolte dal pubblico e anche dalla
critica per il loro citazionismo, cinematografico e non, e per il
ribaltamento di luoghi comuni e di stereotipi consolidati del
genere. Inoltre, sono serie che si basano entrambe su personaggi
negativi, visti sotto il loro aspetto più umano e, per questo motivo,
più realistici di altri già rappresentati in altre serie. Romanzo
criminale e Gomorra-la serie hanno riflesso lo stesso successo
proprio perché paragonabili a queste nella rappresentazione di un
male “familiare”, “realistico”, diverso da quello manicheo che
finora si era visto in televisione:

L’inchiesta di Roberto Saviano raccontava il male generato dalla


criminalità organizzata; qui, invece, il male perde i contorni
rassicuranti dell’estraneo e ne acquista di più familiari, quelli che ci
appartengono. […] «Gomorra. La serie» è una corsa spettrale, livida,
notturna, che spaventa e seduce, come fosse il racconto di una civiltà
esausta, senza redenzione. Genny, unico figlio ed erede di Pietro, è
tenuto ai margini perché ritenuto non ancora pronto a gestire gli affari
criminali del clan. Eppure su di lui il Male lavora alacremente per
svezzarlo, per riconsegnarlo al suo destino. Bastano le note di
«Oneday» di Asaf Avidan per obnubilarlo, per trasformarlo in oggetto,
per consegnarlo a un’attesa funebre. Solo una scrittura corrosiva è in
grado di farci intravedere l’altra faccia della legalità.116

È il racconto di una guerra. Ed è da guerra lo scenario bellico in cui si


muovono i protagonisti: palazzi sventrati, cortili diroccati, sottopassi
abbandonati. Riccardo Tozzi, presidente di Cattleya, lo chiama
«confronto spietato col vero». E, all'inizio, quel confronto non è stato
facile. «Abbiamo dovuto superare la diffidenza». Poi, però, qualcosa
è cambiato. «Alle 10.30 quelli del condominio dove giravamo ti
avevano già offerto 14 caffè», spiega Sollima. Forse perché, come dice
Comencini, «la gente ha visto nella fiction un'occasione di lavoro
anche per un solo giorno». Ci saranno pure i loro volti, in tv. Facce
che raccontano «l'epopea del male». O peggio. Ché — a volerla dire
con Andrea Scrosati, vicepresidente dell'area cinema di Sky —
«Gomorra è realtà».117

Un realismo che è stato spesso il motivo scatenante di numerose


polemiche soprattutto per l’immagine negativa che la fiction dà
dei luoghi in cui è ambientata e che la accomuna ancora di più a

Aldo Grasso, “Gomorra, la serie, è meglio del film”, Corriere della sera, 7 maggio 2014.
116

Gianluca Abate, “Gomorra, così raccontiamo l’epopea del male a Scampia”, Corriere del Mezzogiorno, 30
117

aprile 2014.

59
The Sopranos accusata, a suo tempo, di dare un’immagine
negativa della popolazione italo-americana.

4.1 Quo vadis baby?

La produzione fiction da parte del colosso Sky in Italia si apre


all’insegna della convergenza culturale.
Non è un caso se la prima serie tv è un adattamento tratto da un
romanzo noir (Quo vadis baby?118 di Grazia Verasani) che è
ispirato a sua volta a una certa idea di immaginario filmico che va
oltre il suo stesso genere (il titolo è preso da una celebre battuta
di Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi). Il romanzo di Grazia
Verasani, il primo pubblicato dalla casa editrice Colorado Noir,
fondata nel 2004 da Sandrone Dazieri, Maurizio Totti e il regista
Gabriele Salvatores, che poi sarà il regista del film omonimo 119 e
supervisore della serie tv. La Colorado Noir nasce come comparto
editoriale della Colorado Film, casa di produzione fondata da
Maurizio Totti, con l’obiettivo di trovare storie da produrre per il
cinema e la tv.120 Il romanzo nasce, perciò, già con questo intento
“multimediale”. 121
A questo bisogna aggiungere i continui rimandi e riferimenti tra
un medium e l’altro che la serie fa nel corso della narrazione. A
cominciare dal titolo che rimanda a un determinato universo
cinematografico (nello specifico quello noir) e alla scelta
dell’attrice protagonista, Angela Baraldi, come punto di raccordo
tra la versione cinematografica e televisiva, insieme alla scelta di
Salvatores come supervisore. La presenza della Baraldi, anche
cantautrice oltre che attrice, è, inoltre, funzionale per
l’inserimento di scene musicali che diventano una sorta di
videoclip all’interno della narrazione creando così un

118
Grazia Verasani, Quo vadis baby?, Milano, Colorado Noir, 2004.
119
Quo vadis baby?, Gabriele Salvatores, 2005.
120
Informazioni tratte dal sito www.coloradofilm.it.
121
A tal proposito si rimanda all’intervista ad Angela Baraldi del 15/05/2008 sul sito internet
http://www.televisionando.it/articolo/quo-vadis-baby-stasera-la-prima-puntata-su-sky-cinema/6259/.

60
collegamento anche con l’universo mediale della musica. Già da
qui capiamo come il prodotto nasce, fin da subito, come
multipiattaforma. A questo si aggiunge l’utilizzo del web per la
promozione della serie, a partire dalla creazione di un blog dove
raccogliere spunti e suggerimenti direttamente dalla community
dei fan, creando così il primo fenomeno di fandom italiano.122
Per quanto riguarda il modello della serie, la prima produzione di
Sky intende rifarsi alla tradizione della serie serializzata italiana
(autonomia narrativa dei singoli episodi con una continuity che
prosegue nel corso delle puntate, qui rappresentata dalle indagini
sulla morte di Sara, la sorella della protagonista), che era stata la
stessa usata per L’ispettore Coliandro: singoli episodi di novanta
minuti (in pratica dei piccoli film noir) girati con uno stile
sperimentale, molto cinematografico, lo stesso che aveva
caratterizzato il film di Salvatores, con utilizzo della camera a
mano e cineprese digitali ad alta definizione. Il rapporto tra
cinema e tv è, in questo modo sancito definitivamente per quanto
riguarda Quo vadis baby?, un prodotto che nasce fin da subito
come innovativo nel suo genere.

4.2 Romanzo criminale

Passiamo ora ad analizzare la serie televisiva Sky che ha avuto,


finora, maggior successo sia per quanto riguarda la critica che il
pubblico. Stiamo parlando di Romanzo criminale, ispirata
all’opera omonima123 di Giancarlo De Cataldo. Anche qui si
ripete lo schema di adattamento che aveva caratterizzato Quo
vadis baby? (romanzo-film-serie tv) così come l’uso di sistemi
multipiattaforma per pubblicizzare il prodotto che, in questo caso,
si traduce in un’azione di guerrilla marketing in giro per la città

122
Massimo Scaglioni, Luca Barra (a cura di), Tutta un’altra fiction, la serialità pay in Italia e nel mondo. Il
modello Sky, Roma, Carocci, 2013, p. 126.
123
Giancarlo De Cataldo, Romanzo criminale, Torino, Einaudi, 2002.

61
di Roma, metodo inusuale per una serie televisiva italiana ma
ampiamente praticato per le serie televisive statunitensi.

Roma, spuntano le statue della banda della Magliana.


I busti di quattro boss apparsi all’Eur: «Spot per una serie tv». È
scontro, installazioni ritirate.124

All’Eur quattro statue della Banda della Magliana. Ma è una pubblicità


per una fiction. 125

Tale metodo consiste nel raggiungere l’attenzione dello spettatore


nel momento in cui “l’advertising consciusness […] cioè le sue
difese nei confronti dei messaggi pubblicitari sono abbassate”.126
In questo modo si stimola l’attenzione dello spettatore e si crea
un passaparola tra i possibili fruitori della serie.
Questo tipo di pubblicità è già indice di quello che sarà l’obiettivo
di questa serie televisiva: far parlare di sé in modo polemico. La
serie, infatti, narra le vicende relative alla Banda della Magliana
in un arco di quasi venti anni (dalla fine degli anni Settanta fino
ai primi anni Novanta), dal punto di vista degli stessi criminali. Si
tratta della prima fiction italiana interamente dedicata a
personaggi negativi (in precedenza un episodio della serie
Crimini, Niente di personale, aveva avuto come protagonista un
killer della malavita) in netta controtendenza rispetto alle fiction
Rai e Mediaset dove, al massimo, troviamo poliziotti antieroi (è
il caso di Coliandro) o detective improvvisati (è il caso del prete
protagonista in Don Matteo o dell’insegnante di Provaci ancora
prof) che però sono principalmente delle persone oneste. Lo
scopo della serie (e di tutto il brand-Romanzo criminale, incluso
romanzo e film)127 è, invece, quello di riscrivere la storia d’Italia
(nella fiction sono presenti riferimenti al sequestro Moro e alla
Strage di Bologna) dal punto di vista del crimine organizzato,
distinguendosi così dalle forme di rappresentazione storica che

124
www.lastampa.it, Cronaca, Roma, 15/10/2008.
125
www.ilmessaggero.it, Cronaca, Roma, 15/10/2008.
126
Andrea Bono, Guerrilla marketing da Romanzo criminale alla serie 1992, in www.floatype.com, 20/03/2015.
127
Romanzo criminale, Michele Placido, 2005.

62
finora si erano viste sul piccolo schermo (principalmente
agiografie di santi ed eroi nazionali).
In questo obiettivo la serie è aiutata da un retroterra che è
costituito dal successo ottenuto prima dal romanzo e poi dal film
del 2005 diretto da Michele Placido (qui nel ruolo di supervisore
e consulente della serie come già era stato Gabriele Salvatores per
Quo vadis baby?) che ne permette la riconoscibilità al grande
pubblico. La serie, infatti, prodotta da Cattleya (stessa casa di
produzione del film di Placido) nasce per “ampliare la dimensione
storica dell’affresco, la profondità d’analisi, la complessità delle
dinamiche tra i personaggi e tutti i missing files […] che
contribuiscono a rendere in modo preciso e meno stereotipato il
clima dell’Italia anni Settanta”.128 La serie tv eredita dal film un
patrimonio di ricerche sulle ambientazioni e i costumi e di
location già costruito e ben presente nella mente degli spettatori
che hanno già visto il film. A questo patrimonio la serie aggiunge
una regia molto dinamica, con un uso insistito della camera a
mano per ottenere riprese più reali seppur meno definite del film,
capaci di rendere la violenza in modo concreto. La fotografia,
inoltre, sottolinea la solarità della città di Roma con “l’uso di
colori sgargianti e acidi che ricordano l’iconografia dei
poliziotteschi anni Sessanta”,129 rendendo così Romanzo
criminale un noir solare, contraddicendo in parte le regole del
genere che predilige ambientazioni oscure e piovose, anche se poi
la seconda stagione della serie riprenderà queste atmosfere per
evidenziare la decadenza della banda creando così una
contrapposizione forte con la prima stagione. La serie, dunque, si
presenta come un miscuglio di true crime, gangster movie e
prison movie (nelle scene ambientate in carcere). La serie parte
quindi dal romanzo ma, in un certo senso, se ne discosta per
intraprendere una strada personale dove si dà spazio e si

128
Massimo Scaglioni, Luca Barra (a cura di), op. cit., p. 131.
129
ibidem.

63
approfondiscono le varie storylines dei personaggi introducendo
anche personaggi inediti che non ci sono nel romanzo e nel film
(tipico esempio il personaggio di Donatella, l’unica componente
femminile della banda). Si può dire, infatti, che la serie non abbia
un unico personaggio protagonista ma tutti i componenti della
banda sono protagonisti (equivalenti dei protagonisti delle fiction
corali sulle forze dell’ordine) ognuno con una propria
caratterizzazione e uno sviluppo personale approfonditi tramite
l’uso costante di flashback e flashforward lungo tutta la serie
(tecniche, anche queste, prese dal linguaggio cinematografico)
che servono anche a colmare le informazioni mancanti sulla loro
storia per il pubblico. Ne viene fuori un affresco storico dove si
incrociano storie di persone comuni che decidono di diventare i
“padroni di Roma”, all’inizio spinti da un forte sentimento di
solidarietà e amicizia. Il loro obiettivo è però minacciato in primis
dalle forze dell’ordine (che però appaiono come impotenti o
deviate) e dalle altre bande criminali della città. Il momento della
vittoria della banda coincide però con il suo stesso declino in
quanto i desideri e i rancori delle singole personalità (e la morte
del Libanese, il capo carismatico e vero asse portante della banda)
prevalgono sul sentimento di amicizia. Tutti i componenti della
banda perciò sono segnati da un destino tragico, non c’è
redenzione per nessuno (forse anche per evitare una mitizzazione
troppo accentuata nei loro confronti).
Romanzo criminale rimane ad oggi una delle serie televisive che
ha avuto maggior successo tra quelle Sky e una delle più
innovative per quanto riguarda la tematica, il formato e la
comunicazione con una buona fase di fandom creativa e abile
nello sfruttare l’immaginario della serie con una vasta produzione
di fan art dedicata ad essa, realizzando così quell’ideale di cultura
convergente a cui aspira Sky.

64
4.3 Gomorra-la serie

Serie televisiva ispirata all’omonimo romanzo 130 di Roberto


Saviano del 2006, divenuto un caso letterario a livello mondiale.
Un’opera, dunque, molto conosciuta dal pubblico e già oggetto di
un adattamento cinematografico 131 nel 2008. “Ispirata” nel senso
che, a differenza delle precedenti serie televisive tratte da romanzi
e film, questa serie non riprende esattamente la trama originaria
del romanzo ma prende una strada tutta sua. Il libro, infatti,
poneva un problema di adattamento per la sua struttura “ibrida”
(a metà strada tra un reportage e una raccolta di racconti), non
essendo assimilabile a nessun genere letterario preciso. Perciò,
mentre per il film si è scelto di fare un adattamento di alcune
storie raccontate nel libro, la serie (una stagione132 composta di
dodici episodi di cinquanta minuti ciascuno) racconta la lotta tra
due clan rivali della Camorra: i Savastano e i Conte. In questo
modo sceglie di rientrare nei canoni del genere crime
ricollegandosi alla tradizione delle saghe familiari legate al
mondo della malavita, portato al successo sul piccolo schermo
grazie alla serie televisiva Hbo The Sopranos, realizzando, in
questo modo, una storia inedita che non era presente nel romanzo
ma che risulta più vicina alle serie televisive a cui il pubblico Sky
è già abituato. Pur non venendo da un’opera letteraria attribuibile
al “noir all’italiana”, è interessante notare come la serie televisiva
scelga di presentarsi comunque con una forma che presenta molti
caratteri comuni a esso. Come nel “noir all’italiana”, infatti, viene
data molta importanza al rapporto con il territorio, in cui sono
ambientate le vicende, e al rispetto delle regole del genere
maggiore (il noir) che sconfina nel citazionismo e nell’omaggio a
un certo immaginario visivo (in questo caso il gangster-movie e

130
Roberto Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2006.
131
Gomorra, Matteo Garrone, 2008.
132
La seconda stagione è, al momento, in lavorazione con uscita prevista nel 2016
(http://www.televisionando.it/articolo/gomorra-la-serie-2-stagione-su-sky-quando-inizia-e-
anticipazioni/105055/),

65
il mob-movie). La serie, inoltre, rientra a pieno regime nelle
caratteristiche e nelle modalità di produzione delle precedenti
serie Sky e dimostra di averne assorbito bene la lezione, a
cominciare dalla scelta della regia che viene affidata a un trio di
registi come Stefano Sollima (anche supervisore, garanzia di
qualità per Sky dopo il lavoro fatto per Romanzo criminale),
Francesca Comencini e Claudio Cupellini, tutti autori con un
buon curriculum cinematografico alle spalle, oltre a sfruttare,
ovviamente, il nome di Roberto Saviano tra gli sceneggiatori,
garanzia per il pubblico che ha amato il romanzo. Siamo sempre,
dunque, in un’ottica di fidelizzazione del pubblico che fa leva
sulla conoscenza e la riconoscibilità del brand di produzione. In
particolare la serie cerca di rifarsi a Romanzo criminale
soprattutto per quanto riguarda l’uso della fotografia (dai toni
emblematicamente scuri) e la ricostruzione della violenza e delle
ambientazioni (in questo caso il quartiere napoletano di Scampia).
Non a caso la serie è stata molto lodata per il suo realismo e la
crudezza delle scene mostrate:

Tutto è molto credibile, vero, e proprio per questo le scene più crude
ti colpiscono emotivamente come una lama nello stomaco. Una
criminalità organizzata spietata, senza remore ne scrupoli. Pronta a
tradimenti, vendette, attentati, esecuzioni a bruciapelo, assalti tra
gruppi di fuoco, torture. Scene dure, spietate, senza via d’uscita.
Esistenze senza possibilità di redenzione o lieto fine.
Come nell’altra serie di successo italiana Romanzo criminale, l’alto
livello di realismo di questa serie è rafforzato dalla scelta del dialetto
verace. Non edulcorato o macchiettato come spesso si usa nelle
commedie e nei cinepanettoni. Una scelta che richiama il neorealismo
e l’Accattone di Pasolini.133

L’aspirazione di questa serie, come già era avvenuto per Romanzo


criminale, è quella di unire l’alta qualità raggiunta dalle serie tv
al grande cinema d’autore. Con la differenza che, mentre il
modello, per Romanzo criminale erano i poliziotteschi anni
Sessanta e Settanta, Gomorra-la serie si rifà al Neorealismo e ai

133
Stefano Zattera, Gomorra-la serie, la recensione, in http://sugarpulp.it/gomorra-serie-recensione/

66
film di Pasolini da cui riprende la scelta di servirsi del dialetto per
dare maggiore verosimiglianza ai dialoghi e, quindi, anche ai
personaggi rappresentati:

Con l’inflessione sporca, volgare a volte incomprensibile si ha proprio


il senso della parlata vera, quotidiana, di essere calati nei vicoli, nei
palazzoni popolari fatiscenti, nei quartieri degradati e abbandonati
nelle mani dei boss. […] Ci hanno abituati alla recitazione impostata,
perfetta, priva di accento, di scuola teatrale (come se nella vita reale
di questo paese fosse possibile imbattersi in situazioni in cui tutti
parlano senza inflessioni dialettali). […] In Gomorra il dialetto è la
lingua ufficiale della criminalità. L’italiano è la lingua del nemico.
Dell’autorità, dello stato.134

L’uso del dialetto napoletano (che, in realtà, è molto italianizzato


e più comprensibile rispetto a quello usato nel film, dovendo
rivolgersi a un pubblico non solo locale) e la scelta di
rappresentare una violenza quotidiana in modo asciutto e feroce
sono, dicevamo, gli elementi che hanno suscitato reazioni
positive, non solo in Italia ma anche all’estero, dove la serie è
stata paragonata a un altro prodotto di successo di Hbo, la serie
televisiva The Wire, molto apprezzata per il suo realismo nella
descrizione della malavita nelle metropoli americane.

In quanto tale, Gomorra respira un’aria autenticamente cupa,


rifacendosi non tanto alla serie The Sopranos, ma forse, in maniera più
vivida, a The Wire, con il suo stile di ripresa libera (a mano), la trama
riguardante il commercio della droga e i ragazzi di strada. […] Gran
parte dell'azione si svolge in mezzo a un noto progetto edilizio fallito,
il progetto “Vele di Scampia”, un’opera che assomiglia a un paio di
giganti scarpe da tennis sporche scaricate su un terreno dissestato. […]
Da Il Padrino in poi ogni opera sulla mafia si è basata sulle gesta della
famiglia di turno, ma Gomorra dà molta più enfasi ai “sottoposti”,
uomini tenuti in vita dal loro fedele servizio ma la cui autorità è sempre
minacciata dalla futura generazione (di camorristi), sempre in
motorino e frequentanti i night-club.135

ibidem.
134

Andrew Collins,” Recensione del cofanetto di Gomorra, un autentico e cupo racconto di gangster italiani”,
135

The Guardian, 23 ottobre 2014, (la traduzione è mia).

67
Su ammissione dello stesso Roberto Saviano, infatti, la serie
dovrebbe descrivere il male causato dalla mafia, evitando però di
suscitare empatia verso i criminali. Da qui la scelta di concentrarsi
solo su personaggi negativi in maniera “seria”, ovvero evitando
la comicità di The Sopranos, per non far risultare “simpatici” i
mafiosi descritti nella serie. Ma, piuttosto, si sceglie di
rappresentarli come persone che sembrano avere un destino di
sofferenza e dolore segnato già dalla nascita. Ci sono state al
riguardo parecchie polemiche e non poche sono state le critiche,
da parte della stampa specializzata, a questa scelta:

Tuttavia, dopo aver visto le ultime due puntate della prima stagione,
mi sono posto delle domande. La prima: è giusto che in Gomorra non
ci sia il bene? O meglio, che la bontà e la ragionevolezza non siano
minimamente considerate? Mancano le sfumature – un grigio che vira
al nero, diciamo. C’è solo il nero assoluto del male. Un mondo abitato
da boss spietati e scugnizzi assetati di sangue. Nessun margine non
dico di redenzione, ma di critica. Questa rappresentazione rende
giustizia ai quartieri e agli abitanti che nelle cronache (reali), devono
confrontarsi quotidianamente con la presenza dei camorristi? Non è
che questo serrato accavallarsi di tradimenti, pallottole sparate e
bossoli caduti a terra, alla fine, mitizza il male anziché analizzarlo e
documentarlo? Pensiamo a film come Il padrino che hanno edulcorato
un mondo pessimo e assurdo come quello dei gangster. 136

È interessante notare come queste critiche mosse contro


Gomorra-la serie sono, in fondo, le stesse usate contro le fiction
tradizionali (Rai e Mediaset) ma per motivi contrari a esse: il
manicheismo di Gomorra, infatti, è lo stesso ma è un
manicheismo negativo. Nella fiction Rai e Mediaset i personaggi
principali sono irrimediabilmente buoni, qui sono
irrimediabilmente cattivi. Da un lato, dunque, viene apprezzato,
da parte della critica, il tentativo di portare sul piccolo schermo
personaggi anti-convenzionali e portatori di un certo cinismo
morale, completamente assente nelle fiction precedenti.
Dall’altro il mostrare la società come “senza redenzione” appare

Alberto Grandi, Gomorra (serie tv), il fascino del male e la realtà del ridicolo, in www.wired.it, 12 giugno
136

2014.

68
però riduttivo per quanto riguarda la descrizione della realtà, in
quanto la società sembra essere irrimediabilmente portata verso il
male. Non è un caso che la serie abbia scatenato polemiche da
parte di alcune istituzioni e associazioni del territorio napoletano
per questo motivo che hanno portato a una vera e propria
“campagna anti-Gomorra”:

C'è chi le telecamere le gradisce, le tollera, le utilizza anche per


promuovere il proprio paese e chi invece di sentirsi associata alla
camorra descritta in tv "non se ne parla prorprio". Domani inizieranno
a Scampia alcune riprese della serie in onda ad aprile: il sindaco De
Magistris le ha autorizzate ma il presidente della municipalità
annuncia barricate culturali contro la troupe. 137

Non si placano le polemiche su Gomorra-La serie 2. Dopo l'inizio


delle riprese in Germania, lo scorso mese d'aprile, sembrava un
percorso in discesa per Sollima e tutta la sua troupe, visto anche il
successo internazionale riscosso dalla serie. Invece, non è stato così.
Il primo 'NO' è arrivato dal sindaco di Afragola, Domenico Tuccillo,
che non ha ospitato le riprese di Gomorra 2 perché, dal suo punto di
vista, è poco edificante l'immagine stereotipata che dà la serie di quei
luoghi, offuscando di fatto, con la spettacolarizzazione della
criminalità, il tentativo di resistenza delle varie forze anti-camorra
presenti sul territorio. Al 'NO' di Afragola si sono aggiunti anche
quello di Acerra, ad inizio agosto, e quello di Giugliano, di qualche
settimana fa.138

Senza contare che la serie ha generato numerose parodie sia in


televisione che sul web, facendo nascere, anche in questo caso,
un fenomeno fandom che, se da un lato, ridicolizza i mafiosi
rappresentati in tv, dall’altro rischia di generare fenomeni di
emulazione, il che farebbe venire meno le intenzioni del suo
autore.
In generale Gomorra-la serie rientra perfettamente nella
tradizione, ormai consolidata, delle fiction Sky e delle serie
televisive crime aventi come oggetto la criminalità organizzata.
Non inventa niente di nuovo se non l’uso del dialetto in maniera

137
Giacomo Talignani, “Napoli divisa sulle riprese di Gomorra 2”, L’Huffington Post, 23 settembre 2015,
http://www.huffingtonpost.it/2015/09/23/napoli-gomorra-due-riprese_n_8183588.html.
138
Remo Valitutti, Gomorra 2: non si placano le polemiche sulla serie, in http://it.blastingnews.com/tv-
gossip/2015/09/gomorra-2-non-si-placano-le-polemiche-sulla-serie-00564599.html.

69
funzionale per la veridicità delle vicende, e una grande attenzione
e ricerca stilistica per i personaggi e le ambientazioni. Rimane una
serie tradizionale sotto molti aspetti, con una rappresentazione
della criminalità organizzata che riprende clichè già visti anche se
li descrive da un punto di vista inedito (quello dei sottoposti,
appunto, più che dei boss mafiosi) innovando, in questo senso,
l’immaginario visivo nazionale e di genere della criminalità
organizzata che acquista veridicità grazie a questo sguardo
contemporaneo su di essa. Certo, vengono esclusi dalla
narrazione alcuni aspetti della criminalità organizzata (rapporti
con la finanza, con la politica…) ma il citazionismo alle serie tv
contemporanee e ai gangster-movie funziona anche in questo
senso, rendendo “verosimile” la vicenda agli occhi dello
spettatore, più che in Romanzo criminale che, pur presentando
una criminalità più sfumata nei suoi toni violenti, ha dalla sua il
filtro del period drama che permette un distacco maggiore e
quindi la possibilità di servirsi di un certo registro ironico e di
giocare sui clichè del poliziottesco con il suo stile vintage
(nell’uso delle auto d’epoca, nei dialoghi sui gusti musicali…).
La serie, dunque, ha attirato molta attenzione, più delle altre, per
la rappresentazione dei personaggi, e dell’ambiente in cui vivono,
ma soprattutto per il loro atteggiarsi di fronte al bene e al male.
La rappresentazione della criminalità organizzata rimane ancora
succube di una certa mentalità tradizionale, tralasciando gli
aspetti che dicevamo prima (viene accennato brevemente il
rapporto con il potere imprenditoriale e politico in un episodio
dove il protagonista, Genny Savastano, parla di un appalto che la
sua cosca cerca di accaparrarsi). Da questo punto di vista è netto
il rapporto con Romanzo criminale, serie molto più attenta nel
dare sfumature ironiche ai suoi personaggi, anche se va
comunque sottolineato il fatto che quest’ultima si riferisce alla
società degli anni Settanta e Ottanta (tra l’altro filtrata dai
riferimenti con il cinema poliziottesco) e al fatto che non è detto
che non ci sia un’evoluzione dei personaggi sotto questo aspetto
70
nella seconda stagione di Gomorra-la serie. Proprio per
approfondire meglio questo aspetto, nel prossimo capitolo
metteremo in evidenza il rapporto che intercorre tra bene e male,
e la descrizione che viene data dei loro rappresentanti, dai
romanzi noir italiani fino alle serie tv contemporanee.

71
CAP. 5 BUONI O CATTIVI?

Come dicevamo, la maggior parte delle critiche positive relative


al nuovo corso della televisione italiana introdotto dalle serie tv
Sky sono state mosse da un fattore scatenante che è stato quello
della presunta “cattiveria” dei protagonisti principali, vista come
punto di rottura fondamentale nella serialità italiana. Ci
colleghiamo, dunque, al problema della censura della violenza dei
contenuti, fattore che è sempre stato fondamentale nella storia dei
media in generale. Abbiamo parlato della censura preventiva che
il poliziesco italiano incontrò durante il periodo fascista. Tale
censura si rivelerà poi parte della fortuna che il “noir all’italiana”
avrà nel dopoguerra, quando i giallisti italiani, tramite alcuni
romanzi storici (tra cui ricordiamo il ciclo del commissario De
Luca di Carlo Lucarelli) si servono del romanzo poliziesco per
denunciare il clima censorio del regime fascista, attuando così
una sorta di “vendetta” nei suoi confronti. 139 Questa si inserisce
nel solco di una rilettura della realtà che gli autori di romanzi
polizieschi italiani hanno fatto nelle loro opere e che rappresenta
il vero motivo di successo di questo genere: la capacità di
assurgere a paradigma interpretativo di una realtà che è vista
come “falsa”, nella quale la denuncia sociale diventa spesso teoria
del complotto.

Lo straordinario successo del poliziesco inteso come racconto


d’indagine apre dunque uno squarcio inquietante sulla nostra società,
ci dice cioè che uno dei desideri, dei bisogni più assillanti nell’epoca
post-moderna (e non solo) è quello della verità […] l’amore diffuso e
massificato verso il poliziesco denuncia una profonda crisi di
credibilità di ogni tipo di istituzione sociale, un profondo senso di
insicurezza.140

La scelta del periodo fascista come tempo d’elezione per i


romanzi storici risulta, quindi emblematica: si vuole fare luce non

139
Sulla “vendetta dei giallisti” si veda Marco Sangiorgi, “Il giallo italiano degli anni 90 e il fascismo”, Tratti,
XIII, 1997, pp. 93-118.
140
Alessandro Perissinotto, op. cit., pp. 9-10.

72
solo sul delitto ma anche su quello che si cela dietro le apparenze
di una società che viene considerata “perbenista”. In generale la
denuncia sociale portata avanti dagli autori del “noir all’italiana”
è stata considerata positivamente dalla critica e la presenza di
antieroi o personaggi negativi (pensiamo a Giorgio Pellegrini,
protagonista di Arrivederci amore ciao 141 di Carlotto) da
Scerbanenco in poi non è stata vista come negativa ma, anzi,
come un valore aggiunto per la denuncia sociale insita in questi
romanzi. Non sono mancate però anche delle critiche, soprattutto
rivolte verso le ultime produzioni noir italiane, accusate di
mascherare dietro la facciata di “denuncia sociale” romanzi che
virano verso lo splutter e la letteratura pulp fine a sé stessa:

L’ascesa irresistibile del giallo nel nostro paese sembra aver montato
la testa ai suoi autori: non c’è intervista o articolo che non ci spieghi
come il giallo/noir sia il genere più adatto a raccontare il presente, la
nostra epoca, la nostra società […] Prendiamo anche il punto di vista
della società: la nostra storia pubblica recente potrebbe offrire un
materiale noir inesauribile, ma ho l’impressione che la politica
italiana, per quanto ingarbugliata e criminaloide, non è mai
avventurosa o eccitante. […] (Il noir all’italiana) Ha un realismo solo
apparente, poiché il suo modello non è la realtà ma il cinema o la tv.
E poi spesso la visione dei giallisti si alimenta di contrapposizioni
obsolete: ad esempio non è vero che il noir, privilegiando le situazioni
estreme è anticonformista. Oggi l’ideologia pervasiva dello spettacolo
tende proprio a estremizzare tutto in chiave spettacolare. Il sado-maso
dell’avanguardia è finito negli spot. […] (Il noir) impone agli scrittori
una gabbia narrativa fatta di clichè, formule, regole rigide, tipi
prevedibili, automatismi a cui nulla può sfuggire. Molti autori di
genere percepiscono il condizionamento di questa gabbia e tentano di
uscirne. […] Solo che a quel punto non si capisce perché ci si ostina a
mantenere l’etichetta iniziale. 142

Le recensioni positive da parte della critica letteraria hanno fatto


sì che anche gli adattamenti cinematografici o televisivi derivanti
da queste opere siano stati considerati, di conseguenza,
positivamente e siano state facilitati anche nei rapporti con
l’eventuale censura. Infatti, per quanto riguarda gli altri media, i

Massimo Carlotto, Arrivederci amore ciao, Roma, Edizioni E/O, 2001.


141

Filippo La Porta, Contro il nuovo giallo italiano (e se avessimo trovato il genere a noi congeniale?), in
142

Giulio Ferroni, Sul banco dei cattivi, Roma, Donzelli, 2006, pp. 53-67.

73
rapporti con la censura sono stati più problematici, essendo la
censura cinematografica e televisiva più restrittiva rispetto a
quella letteraria, data anche la maggior partecipazione emotiva da
parte del pubblico in questo tipo di opere. È dagli anni Sessanta
in poi, a seguito del progressivo abbandono del codice Hays (il
codice di autoregolamentazione del sistema hollywoodiano che
regolamentava i temi e le modalità di rappresentazione della
violenza), che la violenza nel cinema hollywoodiano diventa più
“calligrafica, ricercata e compiaciuta […] confondendo
considerazioni di carattere etico e valutazioni di natura
estetica”, 143 influenzando allo stesso modo anche le altre
cinematografie nazionali. La critica, dunque, al cinema di
violenza (a cui è indissolubilmente legato il genere noir) non è
tanto il fatto che sia aumentato il numero di scene violente
(presenti anche durante l’epoca del cinema classico), ma che
queste siano slegate da ogni etica e/o giustificazione e
formalmente elaborate, dando l’idea di una violenza compiaciuta
da parte dei registi. Sono le stesse critiche che vengono rivolte al
genere poliziottesco, accusato a suo tempo di essere un genere
“fascistoide” a causa della rappresentazione che veniva data dei
poliziotti: disposti a qualsiasi cosa pur di prendere i colpevoli, sul
modello della saga cinematografica dell’ispettore Callaghan,
anch’esso relegato dalla critica entro i limiti del personaggio “di
destra” e “conservatore”, mentre in realtà voleva essere la
rappresentazione di un poliziotto che si trova costretto a uscire
dalle regole per far trionfare la giustizia, rischiando anche
l’accusa di essere “politicamente scorretto”. La serie di film
dell’ispettore Callaghan si inseriva, perciò, in un contesto di
pessimismo tipico degli anni Settanta nei confronti di una società
che si fingeva perbenista ma che, in realtà, nascondeva forti
problemi sociali al suo interno a cui, spesso, si era costretti a

143
Leonardo Gandini, Voglio vedere il sangue, la violenza nel cinema contemporaneo, Milano, Mimesis, 2014,
p. 23.

74
rispondere con la violenza,144 le stesse critiche che venivano
mosse anche nei film poliziotteschi italiani. Solo recentemente,
dopo il successo dei film di Quentin Tarantino ispirati, in parte, a
queste pellicole, c’è stata una rivalutazione critica nei loro
confronti.
In seguito il genere proseguì la sua evoluzione sviluppandosi in
un filone comico (quello, per intenderci, dei film con Tomas
Milìan) che divenne ben presto cinema popolare, lasciando da
parte la denuncia sociale, quindi rendendosi più accettabile da
parte del pubblico e della critica. Da quel momento in poi le redini
del poliziesco vengono prese dalla televisione, la quale però, se
da un lato ha una maggior varietà produttiva non dimostra, però,
di avere allo stesso tempo una varietà creativa. Nella televisione
generalista di stato (Rai) si predilige il formato seriale breve, la
miniserie, come retaggio paracinematografico “legato anche
all’idea di «evento televisivo» più che di quotidianità”. 145 In
genere si predilige il poliziesco venato di commedia (i già citati
Don Matteo, Provaci ancora prof…) buonista e manicheo che
spesso mette in risalto l’operato delle forze dell’ordine. Altro
genere molto frequentato dalla Rai è il biopic legato ai compiti
del servizio pubblico, luogo della memoria del Paese, che
comporta, però, una minore attenzione alla contemporaneità.
Senza contare che, spesso, queste fiction sono considerate come
demagogiche o influenzate dai governi di turno che si servono di
esse per esaltare i propri miti.
Sono presenti eccezioni ovviamente a queste regole: la serie
crime La squadra su Rai3 che presenta una forte dose di
sperimentazione tecnica ed è stato uno dei pochi casi di serialità
lunga sul modello delle serie americane Hill street blues e The
Wire, dimostrando anche di essere legata ai problemi
contemporanei della città di Napoli, e la serie tv Il commissario

144
Le considerazioni sulla serie di film dell’ispettore Callaghan si trovano nel commento all’edizione DVD di
Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan (Magnum force, Don Siegel, 1973), sezione “extra”.
145
Aldo Grasso (a cura di), Storie e culture della televisione italiana, Milano, Mondadori, 2013, p. 293.

75
Montalbano su Rai1 che, pur mantenendo la struttura tradizionale
della miniserie ha dimostrato un’accuratezza stilistica particolare
e il tentativo di restituire la figura di un commissario “vero” e
“umano” (aiutata in questo obiettivo dalla simpatia del
personaggio e dal successo editoriale dei romanzi di Camilleri).
La rete Rai2, inoltre, è stata in questi ultimi anni la rete che, più
delle altre, si è votata al genere crime producendo interessanti
esperimenti di fiction italiana che hanno mirato, soprattutto, a
rendere il genere meno manicheo e più attento alle tematiche
sociali contemporanee come la già citata serie antologica Crimini,
ma anche la serie Nebbie e delitti, basata sui romanzi di Valerio
Varesi. Da notare che entrambe le serie hanno dei corrispettivi
letterari, probabilmente per fare leva sul pubblico del “noir
all’italiana”, genere che, proprio in quegli anni, aveva il suo
“boom editoriale”. Si tratta però di esperimenti durati poche
stagioni, a cavallo tra il 2005 e il 2010, che facevano leva su un
tipo di serialità “debole”, non adatta per un pubblico generalista,
fattore che li ha certamente penalizzati negli ascolti.
La rete generalista privata (Mediaset), invece, si è caratterizzata
per uno stile di fiction “popolare ma stilisticamente più ricercato
titoli capaci di prolungarsi per più serate e più stagioni con relativi
spin-off”.146 Le serie Mediaset si contraddistinguono per il
rispetto verso le regole del genere (con una tendenza per il
sottogenere action per quanto riguarda le serie crime)
riprendendone gli stilemi ma “estremizzandoli”, mettendo in
scena la lotta tra bene e male in maniera quasi fumettistica e con
coppie di investigatori sui generis (i riferimenti sono alle serie
Squadra Antimafia e Il tredicesimo apostolo). “Il segno è quello
dell’iperpopolarità, in bilico tra coerenza e dismisura
stilistiche”,147 anche qua con una forte tendenza alla celebrazione

146
ibidem, p. 296.
147
ibidem.

76
delle forze dell’ordine con le serie procedurals (Distretto di
polizia, Carabinieri …).
Veniamo ora alle serie tv Sky e alla sua filosofia di “innovazione
nella tradizione”. Se, infatti, a livello di struttura abbiamo un tipo
di serialità che riprende il modello di Mediaset (serialità medio-
lunga e serie serializzata) con una forte tendenza verso le opere
di derivazione letteraria (come il modello delle serie crime di
Rai2), a livello tematico la differenza con le serie tv generaliste si
vede. Le serie tv Sky si sono contraddistinte per il fatto di
scegliere soggetti che raccontano storie dal punto di vista del
crimine, per rimarcare la propria differenza con le altre reti. Ecco
allora che Romanzo criminale diventa un “racconto di ampio
respiro, frammentato, attento alle sfumature, epico e sinistro”.148

Giancarlo De Cataldo: Personalmente, rivendico il diritto di


raccontare storie in cui il male, il lato oscuro, abbiano un ruolo
preponderante. C'è una sterminata produzione letteraria, che possiamo
far risalire a Caino, che attraversa Riccardo III, passa per Delitto e
Castigo, le fiabe di Emma Perodi che racconta anche "il male". Noi
alleviamo ed educhiamo i nostri bambini attraverso la paura per
insegnare loro a combattere la paura. Si tratta di insegnare, attraverso
i simboli, a difendersi dalla paura, che è uno dei più poderosi strumenti
di governo e di controllo che in questi ultimi anni abbiamo avuto.149

I personaggi caratterizzati negativamente vengono così riabilitati


nella loro funzione “educativa” e “sociale” in quanto servirebbero
allo spettatore per avere un’idea di che cosa sia il male. La lode
verso questa “pedagogia al male” è stato il fattore principale del
successo di questo tipo di fiction che sposta sempre più
l’attenzione verso i criminali, diversamente da come erano stati
abituati gli spettatori finora, come ricordano gli articoli,
precedentemente citati, di Aldo Grasso e Gianluca Abate.150

148
ibidem, p. 298.
149
Alessandra Giannelli, “La nuova fiction Sky”, Cinemanews, 6/11/2008, cit. in www.mymovies.it/Romanzo-
criminale-la-serie.
150
Vedi pag. 56.

77
In realtà tali modelli di personaggi negativi non sono una novità
nel panorama mediale italiano in quanto sono modellati (in
particolare i protagonisti di Romanzo criminale) su quelli che
tradizionalmente risalgono a Scerbanenco e alla scuola del “noir
all’italiana”, oltre che a modelli dettati dalle serie tv oltreoceano,
quindi a un immaginario che lo spettatore (anche italiano) è ormai
preparato a ricevere dal medium televisivo. E certamente il
successo è stato dovuto anche al diverso tipo di pubblico, più
preparato a cogliere questi riferimenti e ormai preparato
culturalmente per un tipo di serialità diverso da quella
tradizionale.
È interessante poi notare come da un lato la critica televisiva esalti
questo tipo di fiction ma, dall’altro, ponga l’accento sulla
possibilità di emulazione da parte degli spettatori, soprattutto da
quelli che la giornalista e critica televisiva Emily Nussbaum ha
definito i bad fan,151 ovvero quel tipo di spettatori televisivi che
tende a prendere gli antieroi televisivi come modello al punto da
trasformarli in “eroi positivi”. In Italia, le critiche verso questi
show televisivi sono state mosse soprattutto dalla stampa e dalla
critica sociologica, in particolare verso Gomorra-la serie, che è
stata al centro dei riflettori per l’immagine negativa che, secondo
alcuni critici, ha dato della città di Napoli, in particolare del
quartiere di Scampia.
Questo tipo di critica non è nuova. Viene rivolta spesso verso i
prodotti seriali che si occupano di raccontare il problema mafioso
in Italia, che rappresenta un argomento molto delicato. Nelle
fiction italiane abbiamo al riguardo due tipi di narrazioni: le
martirologie (biografie dove gli eroi dell’antimafia sono trattati
come santini) e le “biografie in nero” (dove i mafiosi sono visti
come antieroi, non privi di fascino per lo spettatore).152 Entrambe

151
Emily Nussbaum, «That Mind-Bending Phone Call on Last Night’s “Breaking Bad”», The New Yorker, 16
settembre 2013.

152
Antonio Ingroia, “Il prezzo dello stereotipo”, I duellanti, n. 55, 5 settembre 2009, p. 24.

78
queste tipologie di fiction sono state ampiamente sfruttate sia dal
cinema sia dalla televisione italiana, creando un immaginario ben
preciso. Ma entrambe sono, in genere, considerate negativamente
in quanto, nel migliore dei casi, vengono ritenute superficiali
nella descrizione reiterata di stereotipi abbastanza manichei. Nel
peggior dei casi, inoltre, possono generare dei miti negativi nello
spettatore. In particolare si è fatto notare come la scelta di
presentare le martirologie degli eroi antimafia può dare
l’impressione che la lotta alla mafia possa essere sempre destinata
a fallire. Allo stesso modo la descrizione manichea che viene fatta
della società (una parte sempre “onesta” e “incorruttibile”, l’altra
“disonesta” e “corrotta”) e la descrizione del potere mafioso come
monstrum, icona totalizzante della negatività e indecifrabile, può
instillare nella comunità dogmi e superstizioni che non
corrispondono alla realtà.153

L’immagine “mostruosa” e quasi onnipotente delle mafie e dei mafiosi


che deriva dal fitto intrecciarsi delle attività comunicative dei mass
media, degli attori istituzionali di contrasto e degli stessi attivisti
antimafia dovrebbe servire a “non far abbassare la guardia”. Se da un
lato tale obiettivo è certamente condivisibile, non bisogna dimenticare
che, come insegnano i classici delle scienze sociali, “se gli uomini
definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro
conseguenze”. Pertanto, se la ‘ndrangheta è socialmente percepita
come la “mafia più potente al mondo” – come recita il sottotitolo del
volume che riproduce la relazione della Commissione parlamentate
antimafia sulla ‘ndrangheta della XV Legislatura – allora ciò inciderà
sicuramente sull’altezza della guardia che lo Stato e la società civile
terranno, ma altrettanto certamente produrrà anche altri effetti, magari,
come spesso capita, inattesi e non voluti. Per esempio, con questa
rappresentazione dovrà (tra le altre cose) confrontarsi un
commerciante qualora gli capitasse di dover decidere se pagare il
pizzo o denunciare l’estorsore. […] Perfino i mafiosi, non abitando su
Marte, “subiscono” sul piano identitario e comportamentale,
l’immagine di loro stessi e dei loro “simili” che la società gli rimanda.
Basti ricordare l’influenza che ha avuto, sugli stessi atteggiamenti dei
mafiosi, un’opera come “Il padrino” o citare il motivo per il quale,
pare, Totò Riina abbia eccezionalmente una sera tirato tardi: in TV
trasmettevano “Il capo dei capi”. 154

153
Roberto Scarpinato, “Breve storia di una rimozione”, I duellanti, op. cit., p. 20-22.
154
Vittorio Mete, Immagini di mafia, in www.rivista il Mulino. it, 7 aprile 2014.

79
La rappresentazione che vien fatta di questi argomenti non è,
perciò, da considerare in maniera superficiale, in quanto la nostra
sta diventando sempre di più una “cultura mediale” in cui i modi
di rappresentazione diventano dei miti che si rafforzano in
modelli da imitare. Il problema nasce quando il mito da rafforzare
è quello del fascino sinistro del male.
Le serie tv americane, che già da anni hanno portato avanti un
discorso di rinnovamento e presentano una “cultura mediale”
molto più consolidata della nostra, sono più attenti a restituire
un’idea di bene e male molto “verosimile”. The Sopranos, ad
esempio, a cui s’ispira, in parte, Gomorra-la serie offre una
rappresentazione del mafioso in tono non enfatico. Il mondo della
mafia viene smitizzato e ridicolizzato e la serie diventa una specie
di sit-com familiare dove vengono messe in mostra le debolezze
e le nevrosi del protagonista, Tony Soprano, potente boss della
mafia italo-americana.
Nella nostra fiction, invece, si è legati ancora allo stereotipo di
padrini mafiosi forti e arcaici (è il caso de Il capo dei capi, serie
che ha avuto molte critiche per questi motivi). Questo perché la
mafia è ancora vista come “qualcosa di esotico, che emana perciò
un certo fascino”.155 Così anche Gomorra-la serie, pur avendo
l’obiettivo nobile di rovesciare questa immagine, si dimostra in
realtà, con la sua scelta di non mostrare l’umanità dei
protagonisti, ancora legata a questa visione. I suoi protagonisti
sono ancorati a certi schemi risalenti alla saga familiare de Il
padrino.
Sky, dunque, dimostra da un lato di essere riuscita a smarcarsi dal
modello tradizionale delle reti generaliste puntando su soggetti
innovativi e non banali. Le sue serie televisive di genere
prevalentemente crime (in cui rientrano anche i biopic su
personaggi controversi come Felice Maniero in Faccia d’angelo
e la pornostar Moana Pozzi in Moana, degni contraltari dei

155
Antonio Ingroia, op. cit., p. 27.

80
“santini nazionali” Rai e Mediaset) hanno ricevuto l’attenzione e
le lodi della critica, più per motivi stilistici e per la loro
accuratezza formale che per i contenuti. In generale il successo
delle serie Sky deriva più che altro dalla cattiva reputazione delle
fiction generaliste che sono pensate per un pubblico più anziano
e tradizionalista, mentre Sky si rivolge a un pubblico più giovane
e più “curioso” che guarda al modello delle serie americane della
Seconda Golden Age televisiva. Sarebbe però sbagliato non
considerare anche le eccezioni che ci sono state in questi anni
nella tv generalista (in particolare le serie italiane crime di Rai2)
che ha dimostrato di sapere affrontare anche temi controversi e
creare personaggi seriali (Montalbano e Coliandro) che non
hanno niente da invidiare alle serie Sky, e mostrano anche con
maggiori sfumature il rapporto di bene e male.

81
CONCLUSIONI

L’universo mediale contemporaneo si sviluppa in un contesto


convergente in cui vecchi e nuovi media si fondono e con-
fondono tra di loro. Tale convergenza è dovuta dal fatto che i
media non sono mai isolati tra di loro ma riflettono, ciascuno nel
proprio ambito, la stessa visione del mondo che è l’asse portante
che li accomuna. Ecco allora che, sempre più spesso, i media sono
collegati tra di loro intorno a progetti multimediali. Il noir è un
genere che porta dentro di sé una particolare visione del mondo
(soprattutto nella sua versione hard boiled) la quale ha come
componente essenziale la sfiducia nel senso della giustizia. Un
mondo dove legale e illegale non sono nettamente distinti e, anzi,
spesso coincidono. Un mondo dove, spesso, capita di sentirsi
alienati. Per questo motivo il noir è stato considerato come una
metafora dell’intera società contemporanea. In particolare il “noir
all’italiana” (un sottogenere del noir che ha avuto un successo
particolare nel nostro Paese a partire dagli anni Novanta) si è
distinto per la riscrittura in chiave criminale della storia italiana.
La visione che emerge da queste storie è quella di un Paese
storicamente portato verso la criminalità, in tutte le sue accezioni.
Si tratta di un discorso che fa leva su un certo tipo di retorica:
smascherare quello che si nasconde sotto il “velo” della Storia
“ufficiale” e mostrare quello che si cela dietro la verità apparente
delle cose. In questo senso il genere noir appare come un
“pangenere” (raccogliendo o influenzando anche altri generi non
per forza relativi alla letteratura d’indagine). La struttura del
romanzo poliziesco diventa paradigma della ricerca di verità e
descrive gli umori e le sensazioni di una società che ha la
consapevolezza che le informazioni possono sempre essere
manipolate e, quindi, vive in un clima perenne di sfiducia verso
le istituzioni. Il genere, sfruttando questa visione del mondo
molto diffusa nella società contemporanea, si serve anche

82
dell’aiuto di tutto il sistema mediale attorno a sé (giornali, radio,
web…), sfruttando la facile “traducibilità” delle sue opere e i
vantaggi della cultura convergente descritta da Henry Jenkins.
Oltre alla riscrittura storica, un altro elemento importante di
questa narrativa è l’attenzione verso le realtà locali e regionali. In
particolare, quest’ultimo aspetto sta diventando la caratteristica
dell’intero brand mediale italiano che si muove in un ambito
glocale, 156 attento alle particolarità regionali italiane ma con una
struttura (l’indagine poliziesca) che si rifà a un modello
universale.
A partire dal successo editoriale, dunque, abbiamo anche il
successo di tutto il sistema mediale che ha fatto del genere crime
(termine equivalente di “poliziesco” nel sistema dei generi
televisivi) il proprio genere predominante, in grado di coinvolgere
anche tutti gli altri generi sotto il paradigma dell’investigazione e
del mistero, dalla fantascienza (si veda, ad esempio, il caso del
fantasy Il tredicesimo apostolo) alle fiction storiche come 1992
(altra produzione Sky Italia), fino alle saghe dei supereroi nelle
quali, recentemente, si assiste sempre più a un processo di
“noirizzazione” con la riscrittura, al cinema, in chiave dark di
alcuni personaggi canonici del genere (è il caso della trilogia di
Christopher Nolan dedicata al personaggio di Batman) dove le
storie si basano sul “contrasto tra l’esercizio libero e individuale
del potere dei supereroi, l’invadenza dei mass-media, gli interessi
governativi e obiettivi commerciali delle multinazionali”. 157 Tali
elementi, affini a quelli del noir per quanto riguarda il senso di
alienazione della società e la sfiducia verso le istituzioni, hanno
portato a ridefinire le figure dei supereroi: più umani, non privi di
difetti, anzi, in alcuni casi perfino ambigui e contradditori nel loro
agire (nel caso della serialità televisiva possiamo notare tali

156
Per una definizione di “glocale” si veda
http://www.treccani.it/enciclopedia/glocale_(Lessico_del_XXI_Secolo)/.
157
Alessandro Di Nocera, Supereroi e superpoteri, Roma, Castelvecchi, 2006, p. 291.

83
caratteristiche nelle serie Daredevil e Gotham, entrambe
pienamente rientranti nel genere crime).
Del resto già il “noir all’italiana” nasceva in origine come
“multimediale” e “convergente” prendendo spunto
dall’immaginario visivo dei noir cinematografici e, in parte,
televisivi, con una scrittura che era condizionata da questo
immaginario. Per cui non c’è da stupirsi se proprio questo genere
oggi funge da serbatoio d’idee per questi altri media. Il successo
editoriale ha permesso di creare un sistema di riconoscibilità e di
garanzia di qualità nonché un buon mezzo di fidelizzazione per il
pubblico appassionato di queste storie, che ha fatto la fortuna di
Sky, la rete televisiva che, più di tutte le altre, si è servita di queste
opere come garanzia di qualità, venendo poi imitata dalle altre
reti. Di recente, infatti, Netflix, società statunitense di noleggio
DVD e produttrice di serie streaming per il web, intenzionata ad
assumere un ruolo di primo piano nella produzione seriale anche
nel nostro Paese, ha scelto un romanzo di De Cataldo, Suburra,
di cui contemporaneamente sta uscendo anche un film per la regia
di Stefano Sollima. Si consolida, dunque la prassi, rivelatasi
vincente dal modello Sky, del romanzo-film-serie tv, divenuta un
vero e proprio sistema produttivo di facile richiamo e capace di
fidelizzare il pubblico.
Tale sistema però non è affatto nuovo: già nella televisione
pubblica c’erano sempre stati esperimenti di questo tipo che
riguardavano la convergenza tra diversi media, basti pensare alla
serie tv Qui squadra mobile degli anni Settanta, una delle prime
serie oggetto di una novellizzazione (trasposizione letteraria di
una serie tv o film) con l’uscita dei romanzi basati sugli episodi
della serie per Garzanti. Per certi versi si può dire che siano state
le fiction Rai a introdurre il “noir all’italiana” in televisione con
alcune fortunate serie televisive a partire dalla fine degli anni
Novanta, le quali hanno sfruttato il precedente successo editoriale
delle storie narrate (Il commissario Montalbano, L’ispettore

84
Coliandro, …). Si tratta di serie girate in formato cinematografico
(spesso le puntate sono dei veri e propri film per la televisione
divisi in più puntate) che hanno rappresentato una novità nel
panorama seriale italiano, rinnovando il genere, spesso
considerato negativamente dalla critica per il suo manicheismo e
la sua visione troppo retorica e buonista delle forze dell’ordine.
Purtroppo, proprio a causa del loro sperimentalismo, poco in
sintonia con i gusti e la formazione di un pubblico generalista, ma
anche di scelte sconsiderate da parte della produzione (che spesso
le ha relegate in orari che ne penalizzavano l’audience) queste
serie non sempre hanno avuto il successo che meritavano.
In questo panorama si è inserito Sky il quale, forte di una struttura
produttiva e finanziaria particolare, è stato in grado di affermarsi
con la sua filosofia di “innovare nella tradizione”. Per quanto
riguarda l’originalità delle proprie serie, infatti, si può dire che
Sky non abbia inventato nulla di nuovo, scegliendo di rimanere
in un sistema di generi (in cui il crime detiene il primato sugli
altri) già conosciuto e affermato, e rivolgendolo a un pubblico che
ha assorbito bene la lezione delle serie tv americane della Seconda
Golden Age, quindi più predisposto a prodotti “di qualità”. Il tutto
mettendo davanti il proprio nome, facendo leva su un brand
riconosciuto e mettendo a punto strategie comunicative e di
marketing sconosciute, fino ad allora, in Italia, aiutata, in questo
obiettivo, dalla convergenza con il cinema e la letteratura. Si
tratta, quindi, di un successo che ha fatto leva, per la verità, più
sull’incapacità delle altre reti generaliste di sfruttare tale tipo di
soggetti, vista anche la loro tradizione e il loro pubblico: più
generalista e meno interessato a esperimenti e innovazioni nel
tipo di serialità anche se, ovviamente, esistono le eccezioni come
ad esempio il successo che continua ad avere la serie Il
commissario Montalbano o quello de La Piovra.
In particolare, la critica si è spesso concentrata sulla descrizione
che viene fatta dei personaggi negativi delle serie poliziesche

85
come termine di paragone tra Sky e le altre reti generaliste. Anche
in questo caso figure negative di un certo spessore non sono
mancate nelle fiction Rai e Mediaset (è il caso di Tano Cariddi ne
La Piovra o della serie televisiva Il capo dei capi, biopic sul boss
di Cosa Nostra Totò Riina). Tali personaggi però sono sempre
messi in secondo piano (o comunque in posizione non superiore
moralmente) rispetto alle forze dell’ordine, vere protagoniste
delle serie crime di queste reti. Sky, in questo senso, ha innovato
il genere facendo dei criminali i veri protagonisti delle sue fiction
(Romanzo criminale, Gomorra-la serie, …) ma, anche in questo
caso, la rappresentazione che viene data di essi non è realistica
ma manichea: sono persone votate irrimediabilmente al male. E
con loro la stessa società in cui vivono (una sorta di
“manicheismo al contrario” che è stato spesso oggetto di
polemica, soprattutto per quanto riguarda Gomorra-la serie).
L’intento civile che era stata la caratteristica principale dei “noir
all’italiana”, dunque, si scontra poi con questa visione ideologica
del mezzo televisivo, a sua volta ripresa dall’immaginario
cinematografico (nel caso di Gomorra-la serie i gangster-movie
e i mob-movie).
Secondo le intenzioni degli autori del “noir all’italiana” i romanzi
avrebbero dovuto prendere spunto dalla realtà. Si può dire che,
sempre più spesso, è la realtà ad essere influenzata dai mezzi di
comunicazione, a loro volta influenzati, in parte, da questi stessi
romanzi noir.

86
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