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Note di riflessione contestuale sulla teologia del diaconato*

Fabrizio Mandreoli

Introduzione
Presentiamo alcune note sulla teologia del diaconato oggi, perseguendo il tentativo di un
rinnovato confronto della Chiesa di Bologna con la riflessione magisteriale e con quella teologica.
Questo approccio teologico, in parte remoto rispetto ai problemi più immediati della riflessione e
della prassi pastorale, desidera rivedere e ripensare criticamente quanto già, in un qualche modo, si
conosce e si vive; soprattutto in un tema così mobile come la teologia e la prassi del diaconato, che
non manca di presentare, nel contempo, serie difficoltà alla ricerca e virtualità ancora inespresse
compiutamente.1
Le analisi teologiche, sistematiche e pastorali, non sfuggono, a volte, all'impressione di
essere o l'enumerazione per sommatoria di tutti i possibili compiti diaconali oppure sistemi costruiti
intorno ai termini diaconia, diaconato, servizio, dove si fatica però a cogliere i temi fondamentali. Il
diacono tende a divenire segno di ogni possibile servizio di Cristo e della Chiesa, il che rischia,
malgrado le intenzioni e le affermazioni di principio, di tratteggiare il diaconato come un segno e un
dono, ma in maniera troppa generica, facoltativa e, quindi, non impegnativa per la prassi, che
pertanto viene lasciata alla buona volontà e al buon senso dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi.2
È noto come la teologia fatichi a trovare lo specifico del ministero diaconale, in quanto, a
differenza degli altri ministeri ordinati, dove si può indicare «quella cosa» che solo quel
determinato ministro può fare, per il diacono non si trova un «fare» specifico, non si individua, cioè,
quella realtà a lui assolutamente propria. Tale caratteristica mette in difficoltà la consueta
schematizzazione teologica, che dopo aver affermato il valore sacramentale del diaconato, nella
riflessione non sa poi come articolarsi concretamente perché il diaconato non possiede
un'operatività esclusiva.3 A questa difficoltà non sfugge nemmeno la riflessione magisteriale che
non pare immune da oscillazioni terminologiche, da incertezze e da alcune contraddizioni interne.
Possiamo ricordare, come esempio, che il recente documento della Commissione Teologica
Internazione (CTI) sul diaconato pare un mosaico di prospettive e una presentazione completa dei
problemi aperti, privo, però, di un quadro organico e di un centro di gravità teologico.4
Questo genere di riflessioni rendono consapevoli che bisogna svolgere una ricerca paziente
senza pretendere di inventare o anticipare una teologia del diaconato prima che essa maturi a livello
teorico e a livello delle esperienze vitali. Gli autori sembrano concordi su questo punto: il diaconato
permanente reistituito è ancora nella sua stagione fondativa. In questo tempo di «formazione» le
molteplici esperienze possono dunque divenire feconde ispiratrici di senso teologico, di riletture
sapienti e di prospettive teoriche più organiche e complete.5
La domanda specifica che guida la nostra analisi verte sul «senso» del ristabilimento del
diaconato permanente nel quadro del concilio Vaticano II. In uno studio che sin dall'inizio si
annuncia come uno studio «misto» vorremmo evidenziare alcune tematiche teologiche, teologico-
pratiche e teologico-spirituali che aiutino, nello specifico, la riflessione della Chiesa di Bologna per

* All'origine di questo testo c'è una relazione tenuta il 12 gennaio 2008 a Bologna per una giornata di studio sul
diaconato dal tema: «La teologia del diaconato oggi nella diocesi di Bologna».
1
Cf. B. SESBOÜÉ, «Le diaconat permanent a-t-il vraiment trouvé ses marques dans l'Église?», in B. DUMONS – D.
MOULINET, Le diaconat permanent. Relectures et perspectives, du Cerf, Paris 2007, 189-208.
2
Per un bilancio della situazione in cui è venuta a trovarsi la figura del diacono nella Chiesa cattolica soprattutto in
Europa, cf. B. SESBOÜÉ, «Quelle est l'identité ministerielle du diacre?», in M. DENEKEN, L'église à venir. Mélanges
offerts à J. Hoffmann, du Cerf, Paris 1999, 223-257.
3
Cf. S. DIANICH, «Per un'identità teologica del diacono: documenti del magistero, problemi e prospettive», in G.
BELLIA (ed.), Il diaconato. Percorsi teologici, San Lorenzo, Reggio Emilia 2001, 67-68.
4
Cf. SESBOÜÉ, «Le diaconat permanent a-t-il vraiment trouvé ses marques dans l'Église?», 190.
5
Cf. DIANICH, «Per un'identità teologica del diacono», 65-66.
la riflessione sulla pastorale integrata, intesa come una forma storica di attuazione
dell'ecclesiologia, di comunione e missione, del Vaticano II.6
Per tale studio si è utilizzata, oltre che la documentazione teologica e magisteriale, l'indagine
sulla prassi del diaconato a Bologna svolta nel 2004,7 alcune preziose note di quanti hanno seguito
da vicino il cammino del diaconato nella Chiesa petroniana, 8 gli interessanti risultati della
commissione diocesana che ha lavorato in tempi recenti sul possibile nesso tra pastorale integrata e
il sacramento del diaconato.

1. Le «ragioni» del ripristino del diaconato nella sua forma permanente


Cerchiamo dunque le ragioni di tale ripristino non volendo proporre una ricostruzione
storica, ma solo alcuni elementi teologici maggiori per radicare la riflessione in acquisizioni certe
dal punto di vista magisteriale e teologico.
I paragrafi seguenti presentano dapprima il ripristino del diaconato permanente nella Chiesa
universale e nella Chiesa di Bologna, poi alcune riflessioni sui testi del magistero conciliare e di
quello seguente per rinvenire le ragioni del ripristino del diaconato e, infine, una nota sintetica su
una delle ragioni che nell'ottica del nostro studio appare più feconda e prospettica. Potremmo dire
che la domanda che guida questa tappa della ricerca si chiede «perché» nella «concreta figura di
Chiesa» tratteggiata dal Vaticano II si è voluto ripristinare il diaconato nella sua forma permanente.

1.1. Il ripristino del diaconato permanente


La Lumen gentium 29, dopo una descrizione del diaconato, attesta il desiderio di una
reistituzione di questo «grado proprio e permanente della gerarchia» con la sottolineatura che la
grazia, che sostiene i diaconi nel servizio della liturgia, della parola e della carità, in comunione con
il vescovo e il suo presbiterio, è di natura sacramentale.
Nel decreto sull'attività missionaria – Ad gentes 16 – si parla della possibilità da parte delle
conferenze episcopali della restaurazione del diaconato come stato permanente di vita dove si
sottolinea di dare una dignità sacramentale a ruoli già diaconali. Quest'ultima affermazione mostra
un senso molto vivo della verità effettiva del ministero9 e lascia trasparire l'humus missionario e
vitale del decreto, ma rischia di lasciare sullo sfondo la prospettiva propriamente istitutiva, non solo
dichiarativa, dell'imposizione delle mani.10
Il motuproprio di Paolo VI che attua i suddetti desideri conciliari aggiunge alcune
considerazioni sulla «gratia» del diaconato, sulla stabilità di tale servizio e sul carattere
sacramentale indelebile conferito dall'ordinazione.11 Lo stesso Paolo VI nel 1972 con l'Ad
pascendum riprende tali prospettive parlando anche – in termini oggettivamente problematici –12 del
diaconato come ordine intermedio tra la gerarchia e il popolo di Dio: «medius ordo».

6
Sulla logica integrativa della pastorale integrata e sulla sua capacità di tradurre l'ecclesiologia di comunione e missione
del Vaticano II, cf. A. LANFRANCHI, «Riflessioni sulle unità pastorali», in A. TORRESIN (ed.), Presbiterio è comunione,
Ancora, Milano 2007, 168-179.
7
Tale studio venne svolto dal prof. Daniele Gianotti.
8
Si tratta di d. Vincenzo Gamberini e d. Angelo Baldassarri.
9
T. CITRINI, «La teologia del diaconato», in BELLIA (ed.), Il diaconato. Percorsi teologici, 27.
10
A. BORRAS, Le diaconat au risque de sa nouveauté (La Part-Dieu 10), Lessius, Bruxelles 2007, 165.
11
AAS 59(1967), 698.
12
Interessanti le osservazioni proposte in CITRINI, «La teologia del diaconato», 25: «Sembra esserci una distanza che al
diaconato spetterebbe colmare tra i gradi superiori della gerarchia e il resto del popolo di Dio. Questa può sembrare
un'evidenza pastorale, ma teologicamente non è dato facile da assumere e da interpretare: nessun pastore che non si
riduca a funzionario potrebbe immaginare di conoscere le pecore per interposta persona […] La formula dice quindi la
capacità che il diaconato ha di favorire e custodire rapporti sciolti; non può sancire invece quella distanza, neppure
come distanza colmata dalla propria stessa presenza». A queste osservazioni va aggiunto che l'affermazione del testo del
papa sembra rendere ancor più problematica la questione dell'unità del ministero e del sacramento dell'ordine, cf. G.
CANOBBIO, «Il ministero ordinato nella teologia contemporanea», in RTE 7(2003), 197.
Il CIC del 1983 applica – non senza suscitare serie difficoltà interpretative –13 al diaconato
la teologia generale del sacramento dell'ordine che rende capaci i diaconi di esercitare in «persona
Christi Capitis», nel grado che a loro corrisponde, i compiti di insegnare, santificare, governare.
Infine, la Ratio fundamentalis del 1998 afferma chiaramente la sacramentalità del diaconato e
l'esistenza di un carattere diaconale nella prospettiva di una teologia comune del sacramento
dell'ordine.
Il ripristino del diaconato nella sua forma permanente come grado del sacramento dell'ordine
auspicato dal Vaticano II risulta, quindi, progressivamente ma ormai indiscutibilmente attuato e
recepito dalla riflessione teologico-magisteriale e dal corpo ecclesiale, anche se con tempi e
maturazioni profondamente differenti nelle singole Chiese locali.14

1.2. Il senso del ripristino del diaconato permanente al concilio Vaticano II


Il testo della LG tratta del diaconato dopo il presbiterato e a partire dalla successione
apostolica che si dà in forma compiuta nella figura dei vescovi. Diaconi e presbiteri partecipano
ciascuno in modo specifico e proprio, dell'unico ministero sacramentale, che in pienezza viene
conferito al vescovo con l'ordinazione episcopale.15
In particolare il diaconato viene descritto attraverso la citazione di un testo presente in
diverse raccolte antiche (III-V secolo), dove si afferma che ai diaconi vengono imposte le mani
«non ad sacerdotium, sed ad ministerium». L'interpretazione, storico-teologica e teologica,16 non è
facile.17 La citazione con molta probabilità, significa, nel contesto originario, che i diaconi non
venivano ordinati per la presidenza dell'eucarestia della comunità, ma per il ministero apostolico del
vescovo ossia per il servizio della salvaguardia e della promozione dell'identità apostolica della
Chiesa locale.18
Sappiamo che la difficoltà sottesa all'interpretazione della formula sta nel fatto con cui si è
fatto coincidere il sacerdozio con il proprio del ministero ordinato. Se, infatti, il sacramento
dell'ordine immette essenzialmente nel sacerdozio – nel compito, cioè, di presidenza dell'eucaristia
– allora è chiaro che la descrizione crea un'impasse alla teologia e alla prassi del diaconato che in
questo caso sarà per sempre una sorta di elemento minore – e supererogatorio – interno all'ordine.
Non pare, però, che il concilio intenda così. Il ministero, a cui è ordinato il diacono, è quello
apostolico che custodisce l'identità evangelica della comunità nella fede degli apostoli. Il diaconato
non è, dunque, un semplice gradino «propedeutico» o «minore» che porta al ministero sacerdotale
vero e proprio, ma un ministero che connota a suo modo quel ministero complessivo che nella
Chiesa è stato istituito da Gesù Cristo.19 Il testo della LG esclude, pertanto, la presidenza
eucaristica, ma sottolinea la volontà da parte dei padri conciliari – che riemerge in diversi passaggi
del concilio – che desiderano la reistituzione del diaconato nella sua forma permanente in vista del

13
Cf. CTI, «Il diaconato: evoluzioni e prospettive», in La Civiltà Cattolica 154(2003)1, 292: «Si può sostenere […] che
il diacono, anche se "pro gradu suo", eserciti i "munera docendi, sanctificandi" e "regendi in persona Christi Capitis"
come il vescovo e il presbitero? Non è questo qualcosa di particolare ed esclusivo di colui che ha ricevuto l'ordinazione
sacramentale e il potere conseguente "per conficere corpus et sanguinem Christi", cioè per consacrare l'eucarestia? […]
Discutere i suoi "poteri" non condurrebbe a un vicolo cieco?».
14
Si può ricordare come esempio significativo che la diocesi di Liegi ha ordinato i primi diaconi il 4 Ottobre del 1969,
mentre la diocesi di Bombay attende il 27 Gennaio 2006 per ordinare i suoi primi diaconi; cf. BORRAS, Le diaconat au
risque de sa nouveauté, 11-21 e «La realtà del diaconato permanente oggi», in CTI, «Il diaconato: evoluzioni e
prospettive», 303-311.
15
Cf. LG 20 [EV 1/333]: «I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della comunità con l'aiuto dei presbiteri e dei
diaconi, presiedendo in luogo di Dio al gregge di cui sono i pastori, qual i maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto,
ministri del governo» e LG 21 [EV 1/335]: «Insegna il santo concilio che con la consacrazione episcopale viene
conferita la pienezza del sacramento dell'ordine».
16
G.P. CIGARINI, «Il diaconato nella lex orandi: "non per il sacerdozio ma per il ministero"», in Il diaconato in Italia
(1996)101-102, 7-44.
17
Cf. CTI, «Il diaconato: evoluzioni e prospettive», 288-289.
18
BORRAS, Le diaconat au risque de sa nouveauté, 55-57.
19
Cf. W. KASPER, «Il diacono in prospettiva ecclesiologica», in ID., Teologia e Chiesa 2, Queriniana, Brescia 2001,
158.
ministero della Chiesa. Tale riflessione del Vaticano II, che esclude l'equivalenza tra ministerium e
sacerdotium, permette così di superare quella comprensione del ministero ordinato solamente
sacerdotale che per secoli ha caratterizzato la teologia e il vissuto ecclesiale. Per il fatto che i
diaconi sono ordinati «"non ad sacerdotium sed ad ministerium" è possibile concepire la vita
clericale, la sacra gerarchia e il ministero della Chiesa al di là della categoria del sacerdozio».20
Alcuni autori parlano giustamente del fatto che la reistituzione del diaconato nella sua forma
permanente è una sorta di «breccia», che venne aperta in vista di un ripensamento, più ricco e più
fedele alla tradizione della figura del ministro nella Chiesa.21
Dall'analisi dei testi e di alcuni interventi dei padri conciliari emerge, pertanto, la volontà di
riconoscere un ministero per molto tempo esistito nella sua forma permanente e rendere così
effettivi gli elementi costitutivi del ministero ordinato voluti da Dio: è, in tal senso, il
riconoscimento di un dono che lo Spirito ha fatto alla sua Chiesa22 già ab antiquo: «Il ministero
ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente
sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi».23
«Completare la gerarchia» significa, in questo contesto, valorizzare la strutturale diversità
interna del ministero ordinato e, come si è visto, significa indirettamente che questo non si può
ridurre al sacerdozio dei preti e dei vescovi.24
Le altre prospettive di rilievo che guidarono i padri a reistituire il diaconato nella sua forma
permanente possono essere riassunte nel modo seguente. In primo luogo, la possibilità di porre un
germe di rinnovamento ecclesiale. Il diaconato potrebbe essere per la Chiesa un segno della
chiamata a essere serva di Cristo, rinnovandola in uno spirito evangelico di umiltà, dedizione e di
servizio.25 In secondo luogo, nella discussione conciliare non mancarono le osservazioni
sull'importanza del diaconato per la cura animarum, tanto che alcuni descrivono questo come il
fattore decisivo che ha portato al ristabilimento del diaconato.26 Il testo di LG 29 afferma
esplicitamente che alcune «funzioni sommamente necessarie alla vita della Chiesa» senza la
reistituzione del diaconato permanente rischierebbero di non potere essere svolte. Su tale premura di
natura pastorale influì anche il problema, più marcato in alcuni paesi, della scarsità di presbiteri e
dell'incipiente crisi di vocazioni al presbiterato.27 Infine, si volle confermare, soprattutto nel decreto
sulla missione, una più completa incorporazione al ministero della Chiesa di coloro che esercitano
di fatto ministero e funzioni proprie dei diaconi.28

20
CTI, «Il diaconato: evoluzioni e prospettive», 300.
21
Cf. G. ROUTHIER, «Diversità dei ministeri nella pastorale diocesana», in ID., Il Concilio Vaticano II. Recezione ed
ermeneutica, Vita e Pensiero, Milano 2007, 185-191.
22
In proposito è molto significativa la dichiarazione del Cardinale Döpfner dell'ottobre 1963 in Acta Synodalia
Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, II/2: Congregationes generales XL-XLIX, Città del Vaticano 1972, 227:
«Schema nostrum, agens de hierarchica constitutione Ecclesiae, ordinem diaconatus nullo modo silere potest, quia
tripartitio hierarchiae ratione ordinis habita in episcopatum, presbyteratum et diaconatum est juri divini et constitutioni
Ecclesiae essentialiter propria».
23
LG 28: EV 1/354.
24
Cf. BORRAS, Le diaconat au risque de sa nouveauté, 28.
25
Cf. CANOBBIO, «Il ministero ordinato nella teologia contemporanea», 196: «Cosa vuol dire la formula usata da LG 29
[…]? Lo stesso sacramento immette qualcuno nel "sacerdozio" mentre ne esclude altri? Ma, fa notare il recente
documento della CTI, se si esclude totalmente il diaconato dal "sacerdozio" in tutti i sensi del termine, allora bisognerà
ripensare l'unità del sacramento dell'ordine come "sacerdozio ministeriale e gerarchico" (LG 10), come pure l'uso delle
categorie "sacerdotali" come qualificazione coerente e inglobante del sacramento (CTI, «Il diaconato: evoluzioni e
prospettive», 324-327)».
26
A. BORRAS – B. POTTIER, La Grâce du diaconat. Questiones actuelles autour du diaconat catholique latin, Lessius,
Bruxelles 1998, 18-19.
27
Cf. BORRAS, Le diaconat au risque de sa nouveauté, 30-33 e K. RAHNER – H. VORGRIMLER (edd.), Diaconia in
Christo, Herder, Freiburg im Breisgau 1962.
28
Cf. CTI, «Il diaconato: evoluzioni e prospettive», 300.
1.3. Il senso del ripristino del diaconato permanente al concilio Vaticano II: una nota
sulla diocesi di Bologna
Il cammino ecclesiale che ha portato alla maturazione di una forte sensibilità ministeriale
nella diocesi di Bologna29 e, in seguito, alla reintroduzione del diaconato nella sua forma
permanente ha come punto di sintesi il 1980 in cui vedono la luce le Norme per la istituzione del
diaconato permanente in diocesi di Bologna. Il testo, che venne ripreso dal direttorio del 1990,
incomincia con una riflessione sulle grazie donate da Dio alla sua Chiesa in relazione alle necessità
dei singoli momenti storici. La Chiesa di Bologna intende, dunque, collocarsi sulla linea del
concilio che «ha dato nuova luce e ha aperto nuove strade alla comunità cristiana, perché sempre
meglio possa edificarsi e svolgere la sua missione di salvezza».30 In tale quadro le norme mostrano
il compito speciale di coloro che rendono presente «Cristo, che è insieme Pastore e Servo»:31 i
vescovi e i presbiteri lo rendono presente come Pastore, mentre i diaconi come Servo.32
La Chiesa di Bologna desidera, quindi, la reistituzione del diaconato come un frutto dello
Spirito e si mette, per così dire, in stato di docilità perché lo stesso Spirito la prepari a ricevere tale
elargizione di grazia; anzi il documento mostra come si potevano già riconoscere, nel tessuto vivo
della Chiesa bolognese, i segni di tale opera di preparazione e fecondazione compiuta dallo
Spirito.33
Cosa si attendeva la diocesi da tale reistituzione? Il documento del 1980 traccia quattro linee
significative: la promozione dell'impegno missionario per un'evangelizzazione capillare e duttile; la
crescita della comunione ecclesiale, favorendo l'incontro di quanti sono in situazione di dispersione;
un impegno più organico delle comunità nella carità intesa sia come dono interiore sia come segno
concreto di testimonianza; un culto spirituale meglio espresso nella vita e nella celebrazione
liturgica, celebrazione in cui siano presenti tutti i doni che arricchiscono il popolo di Dio.34
Mons. Zarri che curò da vicino il cammino del diaconato permanente, rileggendo a distanza
tale esperienza afferma significativamente che:
la Chiesa di Bologna credette nel valore profetico degli orientamenti conciliari. Diede fiducia alle nuove linee
di comunione e di evangelizzazione che trovavano applicazione nell'apertura […] al diaconato permanente. Si
mise all'opera non con la fretta di arrivare subito a cambiamenti, a risultati innovativi eclatanti. Si capì che
occorreva premettere una profonda meditazione delle fonti bibliche inerenti ai concetti di comunione e
partecipazione ecclesiale, di doni dello Spirito, di ministeri, e si doveva arrivare a interessare il più ampiamente
possibile a tale catechesi la Chiesa diocesana e le parrocchie.35
Questi testi, che meriterebbero un ulteriore approfondimento, mostrano bene come la
reistituzione del diaconato permanente venga collocata a Bologna nel quadro ecclesiologico
riscoperto dal concilio e immersa in un serio approfondimento delle radici comunionali, missionarie
e, quindi, ministeriali del mistero della Chiesa locale. In tal senso può essere ricordata l'insistenza
con cui, immediatamente dopo il concilio, l'allora perito conciliare del card. Lercaro, don Dossetti
descriveva il diaconato: «si deve pensare che la restaurazione del diaconato rappresenti uno degli
elementi dinamici, forse il più importante dell'ecclesiologia concreta dell'avvenire».36
Va inoltre rilevata l'insistenza sul tema della gradualità e della profondità del cammino
necessario per la reistituzione. Tale cammino – innestato in una tradizione di cura per la parola di

29
Cf. M. CÈ, Ministeri istituiti e ministeri straordinari dell'eucarestia. Prospettive pastorali, O.R., Milano 1975 e S.
ZARDONI, I diaconi nella Chiesa, EDB, Bologna 1986.
30
«Norme per l'istituzione del diaconato permanente in Diocesi di Bologna», in Bollettino dell'archidiocesi di Bologna
1980, 300.
31
«Norme per l'istituzione del diaconato permanente in Diocesi di Bologna», 300.
32
Tale formulazione non sembra, però, particolarmente felice, cf. SESBOÜÉ, «Le diaconat permanent a-t-il vraiment
trouvé ses marques dans l'Église?», 204.
33
«Norme per l'istituzione del diaconato permanente in Diocesi di Bologna», 301.
34
«Norme per l'istituzione del diaconato permanente in Diocesi di Bologna», 301.
35
V. ZARRI, Il Diaconato a Bologna: origini e primi sviluppi. Intervento al convegno diocesano sul diaconato
permanente del 6 Marzo 2004, 2-3.
36
G. DOSSETTI, «Per una valutazione del magistero del Vaticano II», in ID., Il Vaticano II. Frammenti di una
riflessione, Il Mulino, Bologna 1996, 54.
Dio e per la liturgia intese come la spinta vitale e più profonda della Chiesa37 – viene pensato, come
una sorta di lunga coltivazione, in cui si seminano, si fanno crescere e si radicano alcune verità nel
vissuto e nell'identità dell'intera Chiesa di Bologna.38
Emerge, così, con grande chiarezza il senso e il ruolo ecclesiale del diaconato. Il diaconato è
a servizio della comunione e della missione della «pienezza» della Chiesa locale.39 Il diacono è un
dono di Dio a servizio della Chiesa locale e la Chiesa, a sua volta, deve prepararsi ad accogliere e
valorizzare tale dono che la chiama a una più radicale fedeltà al vangelo:40
perché il diaconato abbia davvero quella portata e quello sviluppo che sappiamo derivare dalla sua
permanenza, occorre però non soltanto avere dei Diaconi. Occorre avere una Chiesa che si «compagini» con
maggiore aderenza e fedeltà al dono del Diaconato.41

1.4. Una prospettiva fondamentale


La proposta teologica del Vaticano II, la riflessione successiva e le brevi note sulla ricezione
a Bologna di tali prospettive impediscono di pensare il diaconato in maniera «assoluta» come una
realtà in sé, ma lo collocano all'interno della teologia dell'ordine e di un quadro ecclesiologico
determinato. Meglio ancora, crediamo si possa asserire che il diaconato è, nell'ambito
dell'aggiornamento conciliare, un segno in vista del rinnovamento della Chiesa. Il documento della
CTI è, in tal senso, esplicito sin dalle parole iniziali:
Per attuare l'aggiornamento della Chiesa il Concilio Vaticano II ha cercato, nelle sue origini e nella sua storia,
ispirazione e mezzi per annunciare e rendere presente in maniera più efficace il mistero di Gesù Cristo. Tra
queste ricchezze della Chiesa si trova il ministero del diaconato.42
Si è osservato che, pur nella continuità con la grande tradizione ecclesiale e con le note del
concilio di Trento, il concilio Vaticano II ripensa e reistituisce il diaconato nella sua forma
permanente con una prospettiva rinnovata. Tale riconsegna alla Chiesa del diaconato permanente fu
resa possibile da tre fattori teologici che testimoniavano un profondo «aggiornamento»
ecclesiologico: la riflessione sull'ecclesiologia di comunione a fondamento eucaristico; la teologia
del ministero non più basata sullo schema delle due potestates e dell'unico ordo;43 la comprensione
della missione come dimensione essenziale della Chiesa.44
Non si può, dunque, pensare il diaconato sganciato dal ministero dell'ordine, dalla missione
della Chiesa e, in particolare, dal rinnovamento della Chiesa sia in senso teorico – la visione
ecclesiologica – che in senso pratico-esistenziale – la concreta vita di Chiesa –. Il pericolo è, invece,
quello di voler reinquadrare il diaconato dentro un modello desueto di Chiesa, dimentichi che il
diaconato è stato pensato, appunto, per un rinnovamento di tale modello. Credo che il rischio della

37
Cf. DOSSETTI, «Per una valutazione del magistero del Vaticano II», 6 (corsivi miei).
38
DOSSETTI, «Per una valutazione del magistero del Vaticano II», 6: «Là dove non si crede abbastanza alla forza
generatrice, compaginante e fruttificante di Parola e Liturgia i diversi ambiti di appartenenza si ammantano di
autoreferenzialità e di gratificazione che non favoriscono gli orizzonti più ampi della Chiesa diocesana […] È un rischio
per le stesse diocesi quando, strette da urgenze pressanti, sono spinte ad arrivare a questa meta in tempi brevi e
mediante scorciatoie […] Ma se non si seguono – e decisamente – le strade lunghe della semina e della paziente
coltivazione di cose vere, indicate dalla Chiesa, non si raggiungeranno i risultati sperati».
39
Cf. G. BIFFI, Direttorio per la promozione e la formazione dei diaconi permanenti e dei ministri istituiti, Bologna
1990, 4.
40
BIFFI, Direttorio per la promozione e la formazione dei diaconi permanenti e dei ministri istituiti, 6-7: «La prima e
necessaria valenza del diacono è quella di favorire la crescita della comunione nella Chiesa, valorizzando e rafforzando
l'atteggiamento interiore oltre che esteriore del servizio. Non solo servizio come intervento in campi di carità […] ma
servizio come disponibilità a portare i pesi gli uni degli altri, e stile di vita umile, mite, dietro a Cristo, che si è caricato
dei nostri pesi».
41
V. ZARRI, «Omelia nella Messa per l'ordinazione dei primi 12 diaconi permanenti della Chiesa di Bologna», 18
febbraio 1984, in Omelie nelle Messe per l'ordinazione dei diaconi permanenti 1984-2002, 3.
42
CTI, «Il diaconato: evoluzioni e prospettive», 253.
43
E. CASTELLUCCI, Comunione presbiterale e presbiterio diocesano: spunti a partire dalla storia del ministero, in
TORRESIN (ed.), Presbiterio è comunione, 93: «La dimensione missionaria del ministero: dalle due potestates ai tre
munera e dall'unico grado sacerdotale ai tre gradi dell'ordine».
44
Cf. B. SESBOÜÉ, Pour une théologie oecuménique, du Cerf, Paris 1990, 292.
clericalizzazione del diaconato e, più ancora, la difficoltà della valorizzazione ecclesiale «autentica»
del diacono si collochi proprio in questo snodo: invece che porre attenzione al significato del
diaconato in ordine a un rinnovamento ecclesiale lo si incasella, abbastanza in fretta, dentro
schematismi vecchi e inadeguati, anche quando questi si presentano, almeno esternamente, con
forme rinnovate. In tale direzione sembra del tutto appropriata la riflessione di Giuseppe Colombo
che invita a non bloccarsi sul presente, ma a pensare al prossimo futuro della Chiesa:
Occorre evitare – affermava Colombo – il rischio di mortificare il diaconato costringendolo a stare negli spazi
dell'attuale situazione ecclesiale. Operando in questo modo infatti, la figura e il ministero del diacono,
nascerebbero in forma già obsoleta, perché la situazione attuale della Chiesa è precisamente quella che
s'intende superare.45
Un semplice esempio di questo può essere individuato nel rapporto, così delicato e
indicativo, con il presbiterato. Se, infatti, il diacono è parte integrante e di diritto del ministero
ordinato si può supporre che esso sia stato depauperato dal presbitero di alcuni ministeri – non
poteri – a lui propri. Ci si potrebbe chiedere, ribaltando la questione più consueta sul rischio che il
diacono «abusi» supplettivamente compiti presbiterali: non è forse che siano i presbiteri a
esercitare, come supplenti, compiti che, in una vita di Chiesa adeguatamente ricca e integra,
sarebbero propri del diacono? Non è che la teologia e la prassi pastorale abbiano assommato nel
presbitero tutte le figure ministeriali necessarie alla Chiesa, non lasciando che un angusto e ristretto
spazio per altri ministeri? O in altri termini ancora:46 che cosa durante i secoli nell'occidente, il prete
ha preso per sé, mentre invece era dovuto al diacono? Non si può, dunque, pensare la figura del
diacono senza una correlativa riconsiderazione della teologia e della pratica del ministero
presbiterale nell'orizzonte della missione della Chiesa. 47 Si può ricordare, come metafora
significativa, il detto evangelico: «nessuno cuce una pezza di panno nuovo su un vestito vecchio».
La riflessione su questo pare concorde: la teologia e la prassi del diaconato sono un punto di
partenza e un utile criterio di verifica per la riflessione sulla teologia e la vita della Chiesa locale e,
viceversa, un rinnovamento, nel senso del Vaticano II, della riflessione e prassi ecclesiologica può
creare gli spazi per un'adeguata comprensione e valorizzazione del diaconato permanente.
Crediamo che tale prospettiva possa accompagnare utilmente la riflessione che la Chiesa di
Bologna conduce sul nesso esistente tra la riflessione/prassi diaconale e la necessaria conversione
pastorale descritta in termini di «pastorale integrata».

2. Questioni teologiche emergenti


I temi teologici che si presentano sono correlati alle acquisizioni evidenziate nell'analisi
precedente; evidenziamo – solo – alcune questioni teologiche centrali, con le quali si sottolineano i
dati della riflessione, magisteriale e teologica, inerenti la collocazione, a pieno titolo, del diaconato
nel sacramento dell'ordine a servizio del ministero della Chiesa locale.

2.1. La sacramentalità
Il problema della sacramentalità non venne posto fino a quando non ci fu una dottrina
generale dei sacramenti. Ma nel tempo in cui tale dottrina maturò e andò precisandosi, essa fu
applicata soprattutto alla comprensione del sacerdozio del presbitero non certo al diaconato e, a ben
vedere, nemmeno all'episcopato. Con tale operazione il sacramento dell'ordine venne a coincidere,
di fatto, con il sacerdozio. La teologia fu, così, portata a sottolineare la questione dei poteri del
sacerdote, che attraverso la potestas ordini è reso atto a consacrare l'eucaristia e assolvere i peccati.
La riflessione contemporanea pare su questo, abbastanza, concorde: non si può ridurre la
teologia del ministero ordinato alla questione dei poteri; se così fosse, la teologia del diaconato
risulta senza sbocco e senza una reale possibilità di sviluppo. È fondamentale, quindi, affrontare la
sacramentalità del diaconato chiedendosi in che modo si può affermare che è un unico sacramento

45
G. COLOMBO, «Quale diacono in quale Chiesa», in La Scuola Cattolica 120(1992), 311.
46
C.M. MARTINI, «Il vescovo e i suoi diaconi», in Il diaconato in Italia (2007)147, 20
47
Cf. COLOMBO, «Quale diacono in quale Chiesa», 311.
insieme con il presbiterato e l'episcopato?48 In che senso il diacono è portatore di un'«actio Christi»
che non si misura solo sulla capacità, ma sulla grazia del sacramento?49 In che modo esercita i «tria
munera» nella forma propria del sacramento dell'ordine? O, in altri termini ancora, qual è la
differenza tra la diaconia del diacono e la dimensione di servizio, di testimonianza e di offerta di sé
che ogni battezzato è chiamato a vivere?50
In proposito risulta indicativa la seria critica di Beyer51 che nega al diaconato la possibilità
di essere un sacramento vero e proprio. Per l'autore il ministero conferito dal sacramento dell'ordine
è propriamente il sacerdozio; il diaconato non essendo sacerdozio non può, dunque, essere inteso
come un grado sacramentale dell'ordine. Egli interpreta Trento e il testo degli Statuta ecclesiae
antiqua citato in LG 29 con una sorta di sillogismo dove la prospettiva di Trento viene assolutizzata
e poi combinata con la designazione dell'ordinazione diaconale come ordinazione «non ad
sacerdotium sed ad ministerium».
A ben vedere, invece, Trento riprende un tema della tradizione, ma in un senso non
restrittivo e non esclusivo di ogni altra prospettiva. Non pare, infatti, detto che a Trento il ministero
succeduto a quello degli apostoli sia interpretabile solo attraverso la «chiave» sacerdotale. La stessa
citazione di LG 29, che Beyer prende come suo secondo argomento, è collocata all'interno di
un'affermazione abbastanza chiara della sacramentalità del diaconato.52 L'interpretazione di Beyer,
che non suona corretta, aiuta, però, a domandarsi con ancora più pertinenza il proprio della
sacramentalità del diaconato che attinge alla sacramentalità dell'ordine e invita a ripensare gli
schemi teologici con cui affrontare tali questioni.53
Il problema principale è, infatti, individuare la natura del ministero che Cristo trasmette agli
apostoli e, quindi, ai successori. Si tratta di tratteggiare la prospettiva di fondo e sintetica che
caratterizza il ministero trasmesso dagli apostoli così come esso viene descritto nel Nuovo
Testamento. È, in altri termini, la questione del criterio di unità del ministero ordinato.
Dal punto di vista teologico le ipotesi sono molteplici: per alcuni la natura del ministero
apostolico è il sacerdozio, per altri la pastoralità, l'autorità, o l'invio in missione.54 Tutte queste
prospettive presentano un aspetto valido che effettivamente sembra descrivere un tratto
caratteristico della natura del ministero apostolico. Per quanto riguarda la nostra riflessione
assumiamo l'ipotesi formulata da Erio Castellucci. In tale prospettiva, che solleva alcune
interessanti questioni nella letteratura critica,55 la logica diaconale e del servizio sembra in grado di
«raccogliere» gli elementi propri del ministero dell'ordine così come viene tratteggiato dal Nuovo
Testamento. Quella che l'autore chiama la sequenza diaconale
è in grado di raccogliere gli elementi precedenti indicandone il senso e l'orientamento: pastoralità, potere,
missionarietà, e anche (in seconda battuta) sacerdotalità, che connotano i ruoli comunitari del Nuovo

48
Cf. S. SANDER, Gott begegnet im Anderen. Der Diakon und die Einheit des sakramentalem Amtes, Herder, Freiburg
2007.
49
Cf. DIANICH, «Per un'identità teologica del diacono», 73.
50
BORRAS, Le diaconat au risque de sa nouveauté, 164-167.
51
Cf. J. BEYER, «De diaconatu animadversiones», in Periodica de Re Morali, Canonica et Liturgica 69(1980), 441-460.
52
Cf. CITRINI, «La teologia del diaconato», 19-21.
53
Cf. W.T. DITEWIG, «Charting a Theology of Diaconate», in O.F. CUMMINGS – W.T. DITEWIG – R.R. GAILLARDETZ,
Theology of the Diaconate. The state of the Question, Paulist Press, New York-Mahwah 2005, 37: «A proper
theological understanding of the diaconate presumes a new way of thinking about the sacramental nature of the church
and its ordering of ministry».
54
Cf. SESBOÜÉ, «Le diaconat permanent a-t-il vraiment trouvé ses marques dans l'Église?», 198.203.
55
In particolare Canobbio rileva come la collocazione del ministero ordinato, nella sua triplice diaconia, all'interno di
un'ecclesiologia locale ed eucaristica non pare ancora capace di risolvere del tutto il problema dell'unità del sacramento
dell'ordine e della differenza del ministero, cf. CANOBBIO, «Il ministero ordinato nella teologia contemporanea», 197:
«Sorge il problema dell'unità del ministero e coerentemente dell'unità del sacramento dell'ordine. Obiettare che questo
di fatto è unico, non risolve il problema del diverso effetto: le forme ministeriali che il sacramento fonda sono diverse, e
se non possono essere giustificate alla fonte, lo devono essere nel fine e cioè nelle necessità della Chiesa. La soluzione
proposta da E. Castellucci […] – e, di fatto, da F.G. BRAMBILLA, «Il prete nel cambiamento: teologia e coscienza di sé»,
in La Scuola Cattolica 130(2002), 568-569 [n.d.r.] – non risolve il problema posto dal linguaggio».
Testamento hanno una dimensione diaconale: sono servizi, cioè funzioni relative a Cristo da una parte e alla
Chiesa dall'altra.56
Vescovi, presbiteri e diaconi sono tutti chiamati a svolgere e a favorire nella Chiesa la
diaconia di Gesù Cristo, il carattere di servizio connota il ministero ecclesiastico nel suo insieme e
nelle sue singole articolazioni.57 Sia il ministero del vescovo che quello del presbitero sono intesi
dal concilio come servizi differenti di attualizzazione sacramentale dell'unica diaconia di Gesù
Cristo verso la Chiesa. Si può dunque affermare che ogni ministero si fonda, così, sulla stessa
diaconia di Cristo, sia come modello che come fonte dell'identità e del ruolo ministeriale. Ci pare
che la diaconia possa, giustamente, essere descritta come il comune denominatore della teologia
dell'ordine, come la sua «base» comune; essa potrebbe essere assunta come la dimensione
caratterizzante l'«unico» sacramento del ministero ordinato:58 «I ministeri del Nuovo Testamento
sono diaconie, che vanno a beneficio di tutta la comunità; essi però non originano dalla comunità,
ma da Cristo che chiama, invia e dà il potere necessario perché possano essere esercitati».59 Il
ministero non è un potere dominativo che opprime la gente, ma un dono fatto dal Signore alla
Chiesa, con il quale egli stabilisce un servizio autoritativo per l'edificazione comunionale degli
individui e del tutto.60
Ogni diaconia si colloca, quindi, in riferimento alla diaconia fontale del Cristo – fontale sia
nel senso di origine permanente sia nel senso di modello, di stile – sia in relazione alla diaconia
dell'autorità del ministero apostolico nella Chiesa – dove l'autorità origina e si esempla unicamente
sulla logica del servizio –. Il diaconato è posto a pieno titolo nel ministero ordinato, il quale a sua
volta si inserisce, con un compito specifico, nella Chiesa popolo sacerdotale, come «diaconia
apostolica» resa alla testimonianza della priorità, nella vita della Chiesa, dell'azione di Cristo nello
Spirito.
Secondo tale prospettiva ci interroghiamo, ulteriormente, su alcune problematiche
teologiche che, a nostro avviso, sono utili per rinvenire la qualità della relazione tra la Chiesa locale
e il diaconato.

2.2. Diacono e Chiesa locale


La sacramentalità del diaconato colloca, dunque, il diacono all'interno dell'unico ordine
sacro a servizio della Chiesa. Ordine sacro che svolge la diaconia dell'apostolicità per la comunità
cristiana: esso è il garante del radicamento della fede della Chiesa nella fedeltà alla fede apostolica.
La modalità della collocazione ecclesiale del ministero viene ulteriormente precisata in LG
26, dove dalla prospettiva tendenzialmente universalista del capitolo terzo della LG l'orizzonte
teologico, per così dire, si «restringe» e diviene quello della Chiesa locale radunata dall'eucaristia:61
«Questa Chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli, le
quali aderendo ai loro pastori, sono anche esse chiamate chiese nel Nuovo Testamento». Il
ministero nella sua triplice struttura non va dunque pensato, tanto, in una prospettiva generale e
assoluta, ma secondo l'ecclesiologia del Vaticano II esso è, intrinsecamente, posto a servizio della
Chiesa locale in comunione con le altre Chiese.62 Ora ci chiediamo il senso del servizio del
diaconato nella Chiesa locale e cosa si può ricavare da tale radicamento ecclesiale per la
comprensione del diaconato.

56
E. CASTELLUCCI, Il ministero ordinato, Queriniana, Brescia 2002, 297.
57
Cf. KASPER, «Il diacono in prospettiva ecclesiologica», 159.
58
Per un'osservazione di Canobbio che invita a un'ulteriore verifica su questo tema, cf. CANOBBIO, «Il ministero
ordinato nella teologia contemporanea», 194: «Legato a ministero, potestas non creerebbe la rottura evocata: anche il
diacono riceve, infatti, qualche forma di potestas. Anzi, se a tale termine si volesse dare il significato evangelico, il
diaconato potrebbe – per la verità per una deduzione affrettata – divenire il paradigma degli altri due gradi dell'ordine,
per il fatto che porta in sé l'idea di servizio».
59
CASTELLUCCI, Il ministero ordinato, 298.
60
Cf. W. KASPER, Vie dell'unità. Prospettive per l'ecumenismo, Queriniana, Brescia 2006, 79.
61
Cf. S. NOCETI, «Iam ab antiquo. La strutturazione tripartita del ministero ordinato», in Vivens Homo 11(2000), 80-82.
62
Cf. J.M. TILLARD, Chiesa di chiese. L'ecclesiologia di comunione, Queriniana, Brescia 1989.
2.2.1. Il «significato» del diaconato
Un primo elemento di rilievo può essere evidenziato rilevando la dimensione simbolica del
diaconato. Probabilmente la difficoltà a rinvenire compiti e poteri propri del diacono serve come
aiuto a cambiare i criteri di analisi e valutazione della vita della Chiesa locale. Non si tratta, dunque,
di cercare cosa può fare, cosa può dare il diacono, quanto piuttosto si tratta di comprendere cosa
può «dire» il fatto che un grado dell'ordine sacro abbia come proprio elemento specifico –
caratterizzante anche gli altri due gradi – il servizio. In altri termini non si tratta solo della capacità
efficiente, ma della capacità significante del diaconato.63 In tal senso si può dire che il diacono
prima ancora di essere importante per «quello che fa» risulta importante «per quello che è», anche
se con tale affermazione non si può legittimare un «ontologismo astorico» dove si dimentichi che
per i ministeri della Chiesa l'essere e il fare sono posti in una relazione che potremmo descrivere
come circolare. Secondo tale prospettiva il senso simbolico del diaconato indica un «fare» che si
radica, certo, su un «essere», ma in cui l'agire manifesta e dice aspetti essenziali dell'essere
sviluppandone virtualità e significati.64
La domanda che forse potrebbe rendere tale dimensione simbolica potrebbe essere così
formulata: il sacramento del servizio «cosa rivela» dell'identità di Gesù Cristo e cosa rivela
dell'identità della Chiesa? L'ordine sacro ricorda la priorità di Cristo rispetto alla Chiesa e «dice»
qualcosa su Cristo nella sua relazione alla Chiesa e, quindi, rivela qualche aspetto dell'identità
costitutiva del popolo di Dio. Potremmo dire che il diaconato ricorda in maniera sacramentale e
costitutiva l'essenziale connotazione di servizio della missione di Gesù Cristo che non è venuto a
farsi servire, ma a servire. Il Figlio di Dio non solo si è fatto uomo in senso generico e
indifferenziato, ma si è fatto servo.65 Il mistero pasquale, al cuore della vita della Chiesa, si radica
nella memoria evangelica e trova la propria radice nella morte e risurrezione di Gesù Cristo. La
salvezza cristiana si fonda, così, non su di un vago senso dell'agire e della benevolenza di Dio, ma
sulla memoria precisa del Gesù narrato dal vangelo, del modo della sua vita, morte e risurrezione.
Non si può fare un discorso sulla Pasqua annunciata dalla Chiesa senza tener conto che essa si basa
sulla risurrezione di Gesù, di quel Gesù che ha vissuto ed è morto in un certo modo. La risurrezione
non è una generica – o mitologica – festa della vita, della rinascita, del rifiorire, ma è la risurrezione
della vita così come l'ha vissuta e donata Gesù,66 risurrezione che è inizio e primizia del regno di
Dio.67 Non si tratta, quindi, di un «lieto fine», ma della vita del crocifisso che viene risorta ed è
questo che dona un contenuto alla vita e alla speranza della Chiesa.
In tale orizzonte, il diaconato è, dunque, segno efficace – e strutturale – per la Chiesa locale
della identificazione del proprio salvatore con Gesù il Messia umile e povero e, nel contempo,
presenta alla Chiesa alcuni tratti essenziali della sua missione di popolo messianico radunato in un
luogo come attestato in LG 8-9.68 In particolare il diacono, nella sua qualità di appartenente al
sacramento dell'ordine, ricorda alla Chiesa locale, agli altri membri della gerarchia 69 e al mondo a
cui la Chiesa si volge70 l'essenziale – e strutturale, non solo morale – dimensione di servizio del
vangelo.71 In questo contesto si pone il rapporto privilegiato, di amore e cura, del diacono con i

63
Cf. DIANICH, «Per un'identità teologica del diacono», 70-71.
64
Cf. A. BORRAS, «La théologie du diaconat: Où en sommes-nous?», in Revue théologique de Louvain 38(2007), 18.
65
Cf. Fil 2,7.
66
Cf. At 10,37-43.
67
Cf. 1Cor 15,20-25.
68
In quest'ottica della Chiesa come popolo messianico che pone i segni del Messia umile, povero e salvatore, di grande
interesse e immutata attualità le riflessioni di Y. CONGAR, Un peuple messianique. Salut et libération, du Cerf, Paris
1975.
69
CEI, I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia, n. 7: «I diaconi sono chiamati a esprimere, secondo la grazia loro
specifica, la figura di Gesù Cristo servo, ricordando così anche ai presbiteri e ai vescovi la natura ministeriale del loro
sacerdozio».
70
Per tale tripartizione e per alcune notazioni interessanti, cf. E. CASTELLUCCI, «I diaconi nella vita della Chiesa:
vocazione, carisma. Elementi per una teologia del diaconato», in Orientamenti pastorali (2005)7, 107-117.
71
CASTELLUCCI, «I diaconi nella vita della Chiesa: vocazione, carisma», 107: «Il diaconato, quindi, in questa
concezione simbolica della realtà ecclesiale, evidenzia la fisionomia di Cristo servo, accogliendo, incarnando e
testimoniando a tutti che la forza e lo stile del servizio vengono da Cristo. Il diacono prima ancora per ciò che è che per
piccoli, i poveri e le «periferie» della vita: sono, infatti, i luoghi dove i segni messianici, soprattutto
quello dell'annuncio del vangelo ai poveri, prendono carne e consistenza. Il diacono in questo
servizio dell'annuncio del vangelo ai poveri aiuta la Chiesa intera a custodire l'universale
destinazione dell'evangelo: l'annuncio del regno di Dio raggiungendo l'ultimo mostra – solo così lo
mostra – che è veramente per tutti. In tal senso la sua vicinanza effettiva ai piccoli e alle «periferie»
della vita permette di non spiritualizzare, snaturandolo, l'annuncio stesso della salvezza.
Il diaconato, nel suo essere e nel suo agire, è così segno efficace di quella essenziale
dimensione di servizio, senza la quale non è possibile comprendere la specifica identità messianica
di Gesù Cristo e la missione della Chiesa locale come popolo messianico radunato in un luogo.72
2.2.2. Il servizio nella Chiesa locale
La testimonianza dell'amore di Dio rivelato all'uomo per mezzo di Gesù Cristo e l'azione
dello Spirito «è» il compito della Chiesa locale. Il servizio del diacono va, dunque, compreso
all'interno di questa testimonianza che compie la Chiesa radunata in un luogo. Il diacono esercita
questo compito attraverso l'esercizio dei tre munera nell'assistenza ai vescovi e presbiteri (LG 20).73
Come affermato dal Catechismo della chiesa cattolica n. 1536:
L'Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere
esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministero apostolico. Comporta tre
gradi: l'episcopato, il presbiterato e il diaconato.
Il diacono condivide, pertanto, quella responsabilità pastorale, esercitata diversamente
rispetto ai presbiteri e ai vescovi, in vista della custodia dell'apostolicità della fede cristiana e
dell'unità della comunità cristiana, «nella» comunione con la Chiesa locale e tra le Chiese locali.
Nel caso particolare del diacono, la collocazione nella Chiesa locale diviene il modo effettivo con
cui si specifica il volto concreto del suo servizio. Il diacono serve infatti in quei compiti e funzioni
che la singola Chiesa locale individua e affida. Tale prospettiva essenzialmente «locale» può, forse,
far uscire dall'empasse sulla specificità della potestas diaconale. È la missione in un determinato
luogo che mostra i bisogni e le attese dell'evangelizzazione che le singole diocesi possono
riconoscere. In altri termini, sono le necessità locali della missione che suggeriscono i compiti
affidati ai diaconi.74
È così possibile descrivere la potestas propria del diacono in relazione all'apostolicità della
fede che dev'essere vissuta in un Chiesa specifica. Tale genere di potestas mostra l'esigenza che la
fede vissuta sia quella apostolica e che la fede apostolica, garantita dalla testimonianza autorevole
della Chiesa, sia vissuta nei luoghi della vita. Si tratta di portare autorevolmente la sollecitudine
della Chiesa apostolica là dove la vita viene concretamente esperimentata. Per intenderci meglio
non pare del tutto fuori luogo aiutarci con un esempio. Si tratta di un richiamo all'esperienza storica
dei preti-operai.75 Tale esperienza, che ha segnato in particolare la Chiesa francese, non si muoveva
solo nella direzione di un desiderio di condivisione o della comprensione di una condizione
particolare e disagiata di vita, ma mostrava, in maniera più o meno accentuata, la volontà di portare
la missione della Chiesa apostolica, della Chiesa nelle sue stesse strutture gerarchiche – che sono a
servizio della fedeltà apostolica della fede –, là dove l'uomo effettivamente vive. A differenza, però,
dell'esperienza dei preti operai i diaconi sono «dall'inizio» immersi nella pasta umana, con
l'ordinazione tale immersione acquisisce un significato specifico e nuovo. Essi divengono «garanti»

ciò che può fare rappresenta il richiamo alla centralità e alla modalità del servizio nella vita umana e cristiana. Essi sono
il segno che la carità non avrà mai fine, che è la sostanza stessa della vita e non passerà neppure nell'eternità».
72
CITRINI, «La teologia del diaconato», 28: «Il diacono è chiamato e consacrato dallo Spirito Santo in relazione a una
molteplicità di prestazioni necessarie o utili, ma sullo sfondo della "centralità del messaggio del servizio come
mediazione necessaria della comunicazione dell'amore di Dio"».
73
Nell'analisi del servizio nella Chiesa locale prestiamo una certa attenzione alla relazione del diacono con gli altri
appartenenti al ministero ordinato, conviti della crucialità del ripensamento di tale ministero per l'attuale temperie
ecclesiale, cf. P. SEQUERI, «L'apprendista al timone», in La Rivista del Clero Italiano 83(2002)10, 640-655.
74
Cf. BORRAS, Le diaconat au risque de sa nouveauté, 147-149.
75
Un tale parallelo si trova formulato in diversi studi, cf. KASPER, Il diacono in prospettiva ecclesiologica, 171 e
BORRAS, «La théologie du diaconat: Où en sommes-nous?», 27.
dell'apostolicità della fede testimoniata e vissuta. Ciò mostra – e incoraggia – anche il valore della
diaconia di chi vive nelle condizioni laiche di vita, ma si differenzia da questa per l'autorevolezza
pubblica ministeriale-diaconale. È un ministero con un compito apostolico immerso nella vicenda
umana più ordinaria e feriale.76 In termini più semplificati si tratta di quella prospettiva per cui il
diacono è pensato a servizio della capillarità dell'evangelizzazione o, come ministro della «soglia»,
come colui che rende «ufficialmente» vicina e familiare la testimonianza della Chiesa.
2.2.3. Nella Chiesa locale il rapporto con il vescovo e i presbiteri
Quanto si è appena accennato può venir letto secondo una prospettiva ulteriore. Il diacono
porta, sì, la Chiesa dove l'uomo vive, ma egli può anche portare la vita quotidiana dell'uomo più
direttamente «dentro» il ministero ordinato e «dentro» la celebrazione della liturgia.77 Il diaconato
produce, così, un «senso» nuovo del ministero: è, cioè, possibile esercitare un ministero ordinato
senza il cambiamento dello stato di vita.78
Non si pensa qui al diacono come il mediatore tra la gerarchia e il popolo di Dio, come un
ponte tra il ministero ordinato e il laicato, perché questo significherebbe che si riconosce una
funzione propria all'interno di uno stato di distanza ecclesialmente patologico. A ben vedere tra i
pastori e il popolo di Dio non ci dovrebbe essere un tale abisso che solo un «ponte» diaconale può
colmare. Si tratta, piuttosto, di valorizzare la struttura «mista» del diaconato nella sua forma
consueta: egli gode dell'inserimento nel clero per quanto riguarda il ministero e del carattere laicale,
molto spesso familiare e sponsale, della condizione di vita. È un ministero, sacramentalmente
dotato, esercitato nelle comuni condizioni di vita.
Su tale aspetto la teologia è concorde: la reistituzione del diaconato nella sua forma
permanente è un invito a rinnovare la comprensione e la concreta prassi dell'esercizio del ministero
ordinato. Si tratta di una sorta di riconfigurazione del ministero nella Chiesa: c'è infatti un servizio
stabile alla comunità cristiana, costituito per l'imposizione delle mani, che non è di natura
sacerdotale e che non si qualifica per un ruolo sacerdotale di presidenza eucaristica.
Questa terza modalità diaconale, che venne nel tempo ridotta a semplice tappa di passaggio
per il presbiterato, mostra la pluralità interna alla relazione ministero-comunità cristiana.79 Il
ripensamento necessario non partirebbe più dal vescovo e dal presbitero, o dal solo presbitero, per
poi descrivere successivamente quello che il diacono può fare o non può fare, ma dovrebbe partire
dall'unico ministero ordinato letto nella sua triplice gradualità e forma. In maniera particolare, come
già si è intravisto, il diaconato mette in discussione il coordinamento classico delle figure
ministeriali e il senso dei gradi dell'ordine. Se, infatti, si considerano i tre gradi come una sorta di
scala gerarchica dove il diaconato rappresenta o il grado inferiore sottomesso agli altri o una
semplice tappa per raggiungere i gradi superiori, di fatto il diaconato rimane il gradino più basso
dentro uno schema di ordinazioni ascendenti. Il diaconato non può più essere inteso come una
«preparazione necessaria o un passaggio obbligato per conseguire l'ordinazione presbiterale, ma è
essenzialmente una partecipazione al sacerdozio del vescovo, distinta da quella del presbitero».80
Parlare di «terzo grado» dell'ordine può essere, sì, necessario per indicare come si struttura
l'aspetto sacramentale dell'ordine sacro, ma non esaurisce tutta la realtà del diaconato nella sua
inferiorità a presbiterato ed episcopato. Piuttosto, si deve affermare che diaconi e presbiteri
partecipano ciascuno in modo specifico e proprio, dell'unico ministero sacramentale, che in
pienezza viene conferito al vescovo. Entrambi, presbitero e diacono, sono collaboratori, per così
dire, tra loro simmetrici e paralleli del vescovo e al tempo stesso a lui riferiti.81 Diaconi e presbiteri
svolgono il proprio servizio in rappresentanza del vescovo, ma non perché riferiti al vescovo i

76
M. MANCEAU, «La sacramentalité du diaconat: service du frère et service de l'autel», in Cahiers de l'Atelier
(2001)491, 44-59.
77
H. LEGRAND, «Bulletin d'ecclésiologie. Le diaconat: renouveau et théologie», in Revue des Sciences philosophiques
et théologiques 69(1985), 102.
78
COLOMBO, «Quale diacono in quale Chiesa», 313.
79
Cf. NOCETI, «Iam ab antiquo», 85.
80
C. PORRO, Quale visione di Chiesa per il diaconato?, in La Rivista del Clero Italiano 78(1997), 366.
81
Cf. CASTELLUCCI, «I diaconi nella vita della Chiesa: vocazione, carisma», 108.
diaconi andranno, però, considerati come suoi gregari. Il vero ministro dell'ordinazione
sacramentale è Gesù Cristo stesso e con la consacrazione viene impresso alla persona ordinata un
carattere sacramentale proprio. Il che sottrae la consacrazione e la persona consacrata al potere
discrezionale del vescovo – tanto meno del presbitero –, il quale è tenuto, appunto, per questo
rapporto diretto con Cristo che la consacrazione stabilisce, a rispettare una certa autonomia e
responsabilità del consacrato. Lo stesso rapporto tra diacono e presbitero non può più essere pensato
come un rapporto di pura sottomissione: il diacono quando, ad esempio, svolge il proprio ministero
in una comunità territoriale presieduta dal presbitero, è lì come mandato direttamente dal vescovo e
non dal presbitero, con il quale deve, certo, fraternamente collaborare.82 Vescovo, presbitero e
diacono, ciascuno in modo proprio, partecipano dell'unica missione di Cristo e devono stabilire tra
loro un rapporto di collaborazione improntato alla fraternità e alla collegialità. I presbiteri e i
diaconi non sono dei semplici sottoposti al vescovo, che li deve invece trattare come fratelli e
amici.83 Il compito diaconale non è, dunque, una sorta di sostituto di riserva, ma esiste perché la
presidenza del vescovo e del presbitero venga compiuta in modo più fecondo, più ricco e più
irradiante.
Quanto affermato mostra che il diaconato può venire concepito adeguatamente solo dentro
un quadro collegiale,84 non certo dentro un orizzonte di emulazione dei poteri o di gerarchie
ascendenti.85 La figura del diacono invita quindi a cambiare di paradigma per leggere il tessuto
ecclesiale: non più la coppia clero-laici dove il clero si esaurisce ancora nel ministero presbiterale,
ma piuttosto la coppia assemblea-ministeri. È la Chiesa locale con i suoi ritmi, tempi e spazi ad
esigere e ricercare i ministeri – al plurale – di cui ha bisogno.86 La figura del diacono implica,
quindi, una profonda ricomprensione collegiale e sinodale del ministero ordinato conferito con
l'ordine, ricomprensione che non impoverisce certo la figura presbiterale ma, anzi, mostrerebbe
l'intrinseca – e ricca – dimensione relazionale e paterna del suo ministero.87 La reinserzione del
diaconato nel ministero dell'ordine ne mostra la strutturale pluriformità e l'essenziale collegialità.
Una Chiesa che non assume uno stile collegiale, lontana cioè da un sentire e agire sinodale, 88 non
può riconoscere il senso del diaconato e, quindi, nemmeno valorizzarlo adeguatamente. 89 Si
potrebbe dire che il valore della corresponsabilità è una delle ripercussioni ecclesiali della presenza
del diacono «dentro» al sacramento dell'ordine. La sacramentalità del diacono mostra che lo schema
rigidamente gerarchico – come quello rigidamente orizzontale – non rende ragione della ricchezza
del sacramento dell'ordine, che può essere descritto come un «portare insieme» la custodia della
fede apostolica e la guida della comunità, pur nell'oggettiva diversità dei compiti.

3. Prospettive teologico-pratiche e teologico-spirituali


Nel quadro delle prospettive teologiche, appena abbozzate, sul diaconato inteso come fattore
di rinnovamento ecclesiale, ci pare che si potrebbero citare alcune dimensioni della vita della
Chiesa che già beneficiano, ma che potrebbero essere, ulteriormente, arricchite e sviluppate dal

82
Cf. CASTELLUCCI, «I diaconi nella vita della Chiesa: vocazione, carisma», 110.
83
Cf. KASPER, «Il diacono in prospettiva ecclesiologica», 156-157.
84
Cf. ROUTHIER, «Diversità dei ministeri nella pastorale diocesana», 185-210.
85
Se si continuasse a inquadrare il diaconato in base allo schema dei poteri il diacono sarà destinato a essere sempre un
«minore»: uno che fa cose in meno ed è meno del presbitero e del vescovo.
86
Cf. H. LEGRAND, «Le diaconat dans sa relation à la théologie de l'église et des ministères», in A. HAQUIN – P. WEBER,
Diaconat XXe siècle, du Cerf, Bruxelles 1997, 40-41.
87
Cf. L. BRESSAN, «Preti di quale Chiesa, preti per quale Chiesa», in Ho theológos 33(2006)24, 220-221: «Il prete in
una Chiesa ricca di ministeri».
88
Sul tema dell'essenziale dimensione sinodale della figura di Chiesa descritta dal Vaticano II, cf. H. LEGRAND, «La
sinodalità, dimensione inerente alla vita ecclesiale. Fondamenti e attualità», in Vivens Homo 16(2005), 7-42; G.
ROUTHIER, «Perspectives et dimensions d'une recherche sur la synodalité de l'Église», in A. MELLONI – S. SCATENA
(edd.), Synod and Synodality, LIT, Münster 2004, 91-103. Per un quadro complessivo e recente, cf. ATI, Chiesa e
sinodalità. Coscienza, forme, processi, Glossa, Milano 2007.
89
Cf. CITRINI, «La teologia del diaconato», 22.
servizio diaconale.90 La domanda che guida questa sezione, teologico-pratica e spirituale, potrebbe
essere così formulata: il sacramento dell'ordine vissuto nella forma diaconale «quali contributi»
potrebbe dare all'inveramento, sempre più sostanziale, dell'ecclesiologia di comunione e missione
del Vaticano II?

3.1. I diaconi a servizio della Chiesa locale


L'ecclesiologia del Vaticano II può essere descritta come un'ecclesiologia di comunione.91 Si
tratta cioè di una visione della Chiesa che si radica nei sacramenti, in particolare nella celebrazione
dell'eucaristia. Tale struttura sacramentale della Chiesa implica di per sé la diocesi, che non
significa solo una cellula o un'istituzione organizzativa, ma l'attuarsi del mistero della Chiesa in un
luogo. Una certa linea di riflessione postconciliare ha messo in evidenza, con sempre maggiore
perizia e pertinenza,92 come l'ecclesiologia eucaristica del Vaticano II postuli una valorizzazione
profonda della Chiesa locale. Essa è la Chiesa di Dio che, attraverso la celebrazione dell'eucaristia
del Vescovo insieme ai presbiteri, ai diaconi e al popolo di Dio, si manifesta e realizza in un luogo
specifico: la Chiesa locale è, cioè, veramente Chiesa di Dio anche se non è tutta la Chiesa nella sua
integralità e universalità; Chiesa universale che può essere, appunto, descritta come Chiesa di
Chiese, come comunione delle Chiese locali.
In questo contesto non si tratta, però, solo di sottolineare il dato dogmatico o istituzionale
della Chiesa locale, ma il suo divenire esperienza spirituale, fonte e luogo della vita del popolo di
Dio, casa e scuola di comunione. La Chiesa locale nel suo fondamento eucaristico diviene una
trama di relazioni viventi, fondata sacramentalmente, relazioni che, sole, possono generare
un'autentica spiritualità cristiana, che è, quindi, una spiritualità con un radicamento diocesano.
Il fatto che il diacono sia ordinato in e per una Chiesa locale non è solo un accidente storico
o geografico, ma configura e determina l'identità stessa di quel ministero che, a sua volta,
arricchisce con il proprio dono il volto della Chiesa diocesana. 93 In antico nessuna ordinazione –
diaconale, presbiterale o episcopale – poteva essere assoluta, non riferita cioè a un luogo e a una
concreta Chiesa. L'ordinazione assoluta era, malgrado diversi abusi, letteralmente inconcepibile.94 Il
diacono è, così, chiamato a esercitare un ministero dentro la sua specifica Chiesa che, a sua volta, è
chiamata a inviarlo dove l'annuncio del vangelo ha il bisogno e l'urgenza di divenire più capillare e
prossimo all'uomo. Annuncio che chiama l'uomo ad aprirsi alla speranza del regno di Dio e a unirsi
al popolo di Dio che nella storia degli uomini cammina verso questo regno. Il diacono è, così, a
servizio del «radunarsi» della Chiesa locale, di una Chiesa che, in un determinato luogo e storia,
raggiunge, convoca e raduna gli uomini per comunicare la salvezza di Dio.

3.2. I diaconi a servizio della pluriforme comunione della Chiesa locale


Si è osservato come il diaconato provochi un ripensamento plurale dell'unico ordine sacro,
non più concentrato sulla sola categoria di sacerdozio. Tale modalità plurale dell'esercizio del
ministero apostolico in dipendenza dal vescovo è, per così dire, omogeneo alla dinamica della

90
Un esempio interessante di tale prospettiva, teologico-pratica, può essere indicato nel progetto della diocesi di
Rottenburg-Stuttgart, cf. K. KIEßLING (ed.), Ständige Diakone – Stellvertreter der Armen? Projekt Pro Diakonia:
Prozess – Positionen – Perspektiven, LIT, Berlin 2006.
91
Cf. W. KASPER, «Kirche als communio: Überlegungen zur ekklesiologischen Leitidee des Zweiten Vatikanischen
Konsils», in F. KÖNIG (ed.), Die bleibende Bedeutung des Zweiten Vatikanischen Konsils, Patmos Verlag, Düsseldorf
1986, 62-84.
92
Cf. K. MCDONNELL, «The Ratzinger/Kasper Debate: The Universal Church and Local Churces», in Theological
Studies 63(2002), 227-250.
93
E. CASTELLUCCI, La spiritualità diocesana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 39-40: «I diaconi sono i segni
sacramentali di Cristo servo e della Chiesa serva […] Sono come una mano tesa da Cristo e dalla Chiesa agli uomini in
situazioni di bisogno […] Il concreto esercizio del ministero diaconale è profondamente segnato dal volto della Chiesa
particolare da cui scaturisce e nella quale si esercita. Ogni Chiesa è infatti segnata da povertà peculiari e da risorse
specifiche».
94
Cf. G. KRETSCHMAR, Das bischöfliche Amt: kirchengeschichtliche und ökumenische Studien zur Frage des
kirchlichen Amtes, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 1999.
comunione ecclesiale della Chiesa locale. Le lettere paoline ricordano in punti cruciali che la
comunione di cui gode la Chiesa, corpo di Cristo, è una comunione esistente tra membra e funzioni
diverse. L'immagine del corpo rende plasticamente questa idea di un unico organismo vivente che
per vivere in maniera integra ha bisogno dell'apporto coordinato di tutti i suoi membri. Il diacono,
con il suo dono sacramentale, si pone a servizio di una Chiesa locale in cui l'essenziale comunione,
inverata e alimentata dall'eucaristia, non significa affatto uniformità piatta. Nella Chiesa la
comunione è vitale quando si compone dell'ordinata partecipazione di tutti i componenti del popolo
di Dio, del corpo di Cristo. La pluralità e multiformità non sono affatto da opporsi alla comunione e
alla concordia. Il pericolo per la comunione ecclesiale può infatti essere duplice: da un lato il suo
possibile frazionamento, il particolarismo esasperato, l'esaltazione del proprio dono particolare a
scapito di quello altrui; dall'altro il pericolo dell'uniformità, della non fantasia come non
accettazione della pluralità donata da Dio, dello spegnimento dei moti dello Spirito,
dell'autoritarismo. La varietà della Chiesa è, invece, strutturale, l'unità è il risultato, appunto, della
«diaconia» di tutti, come afferma con chiarezza la stessa LG al n. 32: «La santa Chiesa è, per divina
istituzione, organizzata e diretta con una mirabile varietà». Per il concilio, che segue la grande
tradizione, è l'azione dello Spirito che produce congiuntamente l'unità e la pluriformità dei doni e
dei carismi.95 In un noto passaggio Möhler afferma:
non vorremmo morire né assiderati per un eccessivo individualismo né asfissiati per un estremo centralismo
[…] bisogna dunque che né uno solo, né ognuno voglia essere tutti; soltanto tutti possono essere tutti e soltanto
l'unità di tutti è una totalità. Questo è l'ideale della Chiesa cattolica. 96
Il diacono è quindi a servizio di una Chiesa locale che vive una comunione pluriforme. È
evidente che il «modo» proprio dell'esercizio del ministero ordinato in tale contesto non può essere
una modalità «militare» e meramente «disciplinare», sia nella sua forma attiva – il governo direttivo
– che in quella passiva – l'obbedienza assoluta e cieca –. In particolare il diacono, segno
sacramentale del servizio di Cristo e della Chiesa, è chiamato a declinare la propria autorità secondo
quella forma specifica di servizio che in una Chiesa comunionale si mostra come corresponsabilità.
Il grave problema è che lo schema, inconsciamente agito, è quello del prete «capace» e
«accentratore», schema che tende a riemergere continuamente. Così quando pensiamo agli altri
servizi supponiamo, più o meno surrettiziamente, che essi debbano avere la medesima caratteristica
e fisionomia: segnati, cioè, da piccole o grandi leadership, da autorità tendenzialmente indiscutibili,
uniche e necessarie garanti della comunione perché altrimenti le comunità risultano incapaci di
confronto e dialogo. Forse, questo schema non risulta quello più adeguato per tradurre in esperienza
vitale e praticabile una Chiesa comunione tra diversi membri, tutti con uguale dignità, pur nella
distinzione dei compiti di governo.
La guida esercitata, a suo modo, dal diacono è, invece, quella che aiuta a collaborare, a fare
comunione, a individuare e valorizzare carismi, a sentirsi corresponsabili, a dialogare
realisticamente all'interno della comunità, ad aprire la comunità al «senso» dell'uomo e dei poveri, a
far maturare la guida presbiterale della comunità, a ricondurre tutti al modo evangelico di servire
nella comunità. «Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet»; quest'affermazione
antica del diritto canonico medievale traduce bene lo stile di condivisione propria del consensus
ecclesiale.97 Esso non è frutto di una visione orizzontale-democratica e nemmeno di una visione
verticale-monarchica, ma è lo stile con cui nella Chiesa si riconosce che ciascuno è portatore di un
dono e che alcuni sono designati per il discernimento e la valorizzazione di tali doni: «La verità non

95
UR 2 [EV 1/498]: «Lo Spirito Santo, che abita nei credenti e tutta riempie e regge la Chiesa, produce quella
meravigliosa comunione dei fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell'unità della
Chiesa. Egli opera la varietà delle grazie e dei servizi e arricchisce con vari doni la Chiesa di Gesù Cristo».
96
Citato in M. FINI, «Contributo ecclesiologico: "La Chiesa mondo riconciliato"», in Documento Dottrinale Pastorale
CED 2007, Bologna 2005, 30.
97
Y. CONGAR, «Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet», in Revue historique de droit français et
étranger 36(1958), 210-259.
si può manifestare che in discussioni comuni riguardo alla fede, perché ciascuno ha bisogno
dell'aiuto del suo prossimo».98
Per concludere si può affermare che il diacono è direttamente a servizio della custodia della
fraternità ecclesiale, dove i rapporti non dovrebbero essere di natura aziendale all'insegna
dell'attivismo, del funzionalismo e dell'efficienza a tutti i costi, ma di natura fraterna in cui il
primato è quello del sostegno reciproco e della mite testimonianza dell'evangelo di Dio. L'esistenza
diaconale è a servizio dell'essenziale necessità di trasparenza della Chiesa rispetto all'evangelo
annunciato, in cui i «modi» dell'annuncio e lo «stile» dell'esistenza lasciano trasparire, nel
linguaggio della vita, il «contenuto» proclamato e celebrato, in modo tale che tale contenuto sia
«leggibile» da tutti.99

3.3. I diaconi a servizio della missione della Chiesa locale


La riflessione ha da tempo sottolineato che la comunione della Chiesa non è una realtà
statica, ma dinamica. Si tratta di una comunione generata dalla missione e che costantemente si
volge alla missione, all'annuncio del vangelo e alla comunicazione della grazia di Dio. Il compito
specifico del diacono è, come si è detto, a servizio del radunarsi della Chiesa in un luogo, a servizio
della sua comunione e missione. Tale servizio acquisisce nelle nostre zone e nei nostri tempi una
figura nuova e inedita. Siamo infatti all'interno di una transizione che vede la fine di una pastorale,
che potremmo definire, d'inquadramento e di conservazione.100 La pastorale tipica di quel processo
europeo, così vasto, ricco e capillare, che è stato descritto come «civilizzazione parrocchiale»,
sembra abbia terminato il suo processo di sviluppo vitale, almeno nelle forme più consuete.101 Gli
stessi vescovi italiani hanno richiamato più volte, pur all'interno di una Chiesa che, in parte, rimane
una Chiesa con radici popolari, la necessità di una riflessione e di una prassi adeguate al
cambiamento epocale in corso. Non si tratta affatto di criticare l'indiscussa fecondità dei modelli
ecclesiali del passato, quanto di essere fedeli alla tradizionale e inesausta creatività che la Chiesa
esercita quando cambiano le condizioni e i contesti storici.102 In tale orizzonte mobile è chiaro che il
compito del diacono acquisisce una rilevanza cruciale. Il suo ruolo di ministro della soglia e il suo
servizio di presenza prossima all'uomo nelle condizioni comuni di vita lo pongono da un lato in
contatto con le attese più profonde dell'uomo, dall'altro lo configurano come uno stimolo costante
alla Chiesa a non ripiegarsi su se stessa. Spesso, come diagnosticato da numerosi studi, le comunità
cristiane, parrocchiali e diocesane, rischiano di usare – e, a volte, bruciare – le energie e forze
migliori nel sistemare i problemi interni, spesso non affrontandoli veramente, dimenticandosi di
ascoltare la voce dello Spirito che chiama e orienta alla missione. Come affermato con
autorevolezza e incisività: «Ci crolla il mondo intorno, ma facciamo di tutto per andare avanti come
se niente fosse».103 Il servizio diaconale si pone, quindi, su di un duplice versante: da un lato della
Chiesa che esce per l'annuncio del vangelo e per la comunicazione della grazia di Dio, dall'altro
degli uomini chiamati a entrare, che invitano la Chiesa a ripensare il modo di raggiungerli per
custodire la fedeltà alla propria missione. È un'unica realtà con due aspetti: da un lato si tratta della
missione, dall'altro dell'inculturazione della fede e del discernimento.

3.4. I diaconi a servizio dell'inculturazione della fede


Con tale espressione «inculturazione della fede» non vogliamo indicare qui come la fede si
faccia necessariamente e mediatamente cultura, senso, ethos condiviso. Intendiamo invece
l'espressione in un senso più remoto come la capacità e la sensibilità di saper interpretare i segni dei

98
CONCILIO COSTANTINOPOLITANO II (553), in J.D. MANSI (ed.), Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio,
Parigi-Lipsia 1901-1927, IX, 370.
99
Cf. A. BORRAS, «Le diaconat aujourd'hui: les obstacles majeurs à sa lisibilité», in Esprit et vie (2004)111, 3-11.
100
Cf. C. TORCIVIA, La Chiesa oltre la cristianità, EDB, Bologna 2005.
101
Cf. G. LE BRAS, La Chiesa e il villaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1979.
102
Cf. W. KASPER, «La provocazione permanente del Concilio Vaticano II. Per un'ermeneutica degli enunciati
conciliari», in ID. Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia 1989, 302-312.
103
M.I. RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana, Lipa, Roma 2007, 73.
tempi, i movimenti delle culture, i dati della vita interiore, i mondi in qualche maniera estranei al
nostro vivere e sentire come credenti.104 I diaconi sembrano particolarmente predisposti a questo
ministero della soglia o, meglio ancora, a questa attitudine a essere ponte con mondi remoti.105
Per la capacità di fare da ponte con realtà «lontane», culturalmente e spiritualmente,
ricordiamo, per intenderci, l'esempio raccolto dalla commissione diocesana inerente la presenza nel
mondo degli zingari e dei rom:
Vi sono due approcci, l'approccio dell'assistenza e quello della condivisione: a) quelli che vedono di cosa
hanno bisogno e portano cibo, indumenti, farmaci e sacramenti, ma col rischio di comportarsi – ed essere
trattati – come dei «signori» che possono e debbono dare; b) quelli che stando in mezzo a loro, cercano di
vedere dal di dentro le realtà di bisogno, ma anche ciò che di buono c'è già col rischio, però, di identificarsi con
la loro causa e i loro punti di vista, rifiutando gli altri approcci e alcune dimensioni istituzionali. Manca spesso
qualcuno che faccia da «ponte», entrando dentro la realtà e tenendo presente il tutto. Tra l'altro va rilevato che i
modi classici di presentare il cristianesimo fallivano perché facevano pensare che farsi cristiani comportava di
fatto lasciare la cultura rom. Questa prospettiva può valere anche per altri mondi in qualche maniera ai margini
dell'attenzione ecclesiale ordinaria: mondi giovanili, persone senza fissa dimora, donne di strada, immigrati,
ecc. Chi vive, per missione, «dentro» questi mondi ha bisogno di qualcuno che faccia da ponte con la realtà
ecclesiale.106
Sappiamo che si tratta di un esempio di difficile inculturazione della fede, dove però si tratta
degli elementi essenziali: da un lato assicurare un'effettiva integrazione ecclesiale, dall'altro
permettere alla Chiesa di entrare in un contatto «reale» con mondi complessi non inquadrabili nella
visione e negli schematismi propri della pastorale ordinaria. Si tratta di rendere presente la Chiesa
intera e piena,107 non solo alcuni «eroi» che la rappresentano. Aiutando, nello stesso tempo, la
Chiesa a essere presente alle realtà con vera cognizione di causa. Non solo. Tale presenza in mondi
in qualche modo lontani permette alla stessa Chiesa di scoprire la sua capacità di «parlare lingue
nuove» (Mc 16,17). La riflessione sulla teologia missionaria ha da tempo mostrato le immense
virtualità ecclesiologiche e teologico-spirituali che ha l'annuncio del vangelo quando viene
compiuto in altre «lingue»: il vangelo eterno risuonando all'interno di un altro sentire e di un altro
modo di vedere il mondo mostra nuove ricchezze, inattesi tesori di grazia ed energie feconde per la
stessa Chiesa, che evangelizzando viene così evangelizzata. È importante ripetere che tale discorso
non vale solo per mondi particolarmente caratterizzati da lontananze culturali ed etniche come
nell'esempio fatto, ma vale in senso generale per la relazione con l'uomo contemporaneo che spesso
vive in una cultura dove il cristianesimo – inteso nei suoi centri propulsori e veramente vitali quali
la Chiesa, il vangelo, la vita di grazia – sembra, almeno in alcuni contesti, aver subito un vero e
proprio processo di esculturazione.108

3.5. I diaconi a servizio del discernimento ecclesiale


La mobilità storica dei compiti del diacono e la sua dipendenza dalla Chiesa locale pone il
diaconato in uno snodo particolarmente sensibile dell'esistenza della Chiesa. Egli è posto sulla
soglia tra la comunità e il mondo e potrebbe essere un naturale punto di riferimento per
un'accresciuta attenzione comunitaria ai problemi del territorio e della vita della gente, perché la
lettura degli avvenimenti della vita sia di tipo evangelico e in un'ottica di confronto in cui venga
custodita la comunione ecclesiale. Il diacono, inoltre, esercitando una forma del ministero
apostolico nelle comuni condizioni di vita è posto sulla soglia esistente tra il laicato e il ministero
ordinato e può essere un aiuto decisivo per la conoscenza della realtà delle ordinarie condizioni di
104
Cf. BORRAS, Le diaconat au risque de sa nouveauté, 39-43.
105
Cf. G. BELLIA, «Diaconi: una storia tra luci e ombre», in ID. – V. CENINI (edd.), I diaconi italiani: storia e
prospettive, San Lorenzo, Reggio Emilia 2003, 54-55.
106
L. LUPPI (ed.), Relazione della Commissione diocesana di Bologna sul ruolo del diaconato nella pastorale integrata,
inedito, Bologna 2008.
107
Cf. Direttorio per la promozione e la formazione dei diaconi permanenti e dei ministri istituiti, 4: «La Chiesa di
Bologna […] intende perseguire l'ideale di una Chiesa "piena"; vale a dire una Chiesa che proprio dalla "pienezza" di
Cristo mutua la sua vocazione e il suo impegno ad una pienezza di presenza e di vita in mezzo alla concreta umanità dei
nostri tempi».
108
Cf. D. HERVIEU-LEGER, Catholicisme, la fin d'un monde, Bayard, Paris 2003, 90.
vita da parte dei ministri ordinati. Questa liminarità del diacono mostra che ogni volta che il
diaconato subisce fenomeni di introversione ecclesiale o di clericalizzazione viene fortemente
impoverito, depauperando di fatto anche il suo ruolo di «comunicazione» e di appello al
discernimento.109
Il diacono è, infatti, strutturalmente posto nella comunità come un invito a quell'attenzione
all'umano e alla storia che sempre la Chiesa è chiamata ad avere per inverare la sua vocazione a
essere «maestra in umanità». La struttura aperta del ministero diaconale non è, quindi, una figura
generica del servizio, quanto un invito pressante alla comunità cristiana tutta, laicato e ministero
ordinato, a interrogarsi attentamente sulle attenzioni e sui servizi più necessari richiesti dai tempi
nuovi in cui ogni generazione si trova a vivere. Il diaconato è un invito permanente, nei confronti
delle comunità cristiane,110 a leggere le situazioni vicine e remote e a interpretare i segni dei tempi,
invita a una condivisa valutazione di questi segni,111 a eventuali conversioni di approccio e sguardo
e, infine, ad agire in relazione al discernimento compiuto. In tale contesto del discernimento
crediamo si possano inserire le riflessioni inerenti le «nuove modalità e forme di esercizio del
ministero diaconale» che la conversione richiesta dalla pastorale integrata richiede. La duttilità del
sacramento diaconale permette di formulare ipotesi differenti – coraggiose e audaci –112 sul ruolo
centrale che sembra poter avere tale sacramento nel ripensare lo «stile» e l'«esercizio» della cura
pastorale e della «diaconia» all'evangelo,113 senza però dimenticare che tale duttilità richiede come
ambito vitale la disponibilità al rinnovamento dell'intera Chiesa locale.

FABRIZIO MANDREOLI
Facoltà teologica dell'Emilia-Romagna
Bologna
don-fa@libero.it

Summary
This text is the basis for a paper presented during a day of study on diaconate (on Jan. 12 2008) having the following
subject: «The theology of diaconate today in the diocese of Bologna». The first part investigates the reasons why the
Second Vatican council restored permanent diaconate, with particular attention to the way the diocese of Bologna has
been accepting such teachings. The second part deals with some theological themes and outlines some theological-
practical and theological-spiritual prospects about the contribution that the ministry of deacons could give to renew the
local Church according to the Second Vatican council guidelines.

109
Cf. KASPER, «Il diacono in prospettiva ecclesiologica», 158-169.
110
Cf. CEI, Nota pastorale dopo il convegno ecclesiale di Verona, n. 28.
111
Cf. H. POMPEY, «Not der Menschen unserer Zeit – als Wegzeichen Gottes für den Ständigen Diakonat», in
Dokumentation 11 der AG Ständiger Diakonat in der Bundesrepublik Deutschland, Beyharting 1994, 20-35. Sul tema
della lettura dei segni dei tempi come attitudine al discernimento fatta propria dalla figura di Chiesa del Vaticano II, cf.
P. HÜNERMANN (ed.), Das zweite vatikanische Konzil und die Zeichen der Zeit heute, Herder, Freiburg im Breisgau
2006.
112
DOSSETTI, «Per una valutazione del magistero del Vaticano II», 55.
113
Cf. Ef 3,7.

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