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Abstract: Il Paper affronta il tema del “ritorno alla superficie” che impegna l’odierna
progettazione dello spazio aperto urbano: una dimensione malvista dal pensiero mo-
derno, la quale torna oggi ad assumere peso e ... “rilievo”. La superficie, l’orizzontale
come la verticale, non è più lo spazio della capricciosa decorazione. Landscaping,
texture, colorazioni, effetti tattili, visivi, sonori, sono oggi materiali strutturanti. Con-
figurano azioni deboli dagli effetti forti. Il suolo, in particolare, è la “pelle” dello
spazio pubblico, il suo volto. Promenade, piazze, slarghi, crocevia, tendono oggi a
complessificarsi in prestazionalità e immagine, intensificando l’esperienza fruitiva.
Indicano funzionalità specifiche, attraverso un design a palinsesti. Tirano le linee a
terra dei giochi di squadra, tracciano le mappe d’installazione dei manufatti di arredo,
alloggiano le reti tecnologiche, danno luce e aria ai sottosuoli, incorporano l’illumi-
nazione. Come le facciate, anche i suoli moltiplicano la propria stratigrafia divenendo
complessi congegni tecnologici e bioclimatici. Come pareti ventilate, pavimenti mon-
tati “a secco”. Come schermi verticali, brise-soleil e serigrafie a parete, così anche alti
e bassi, ondulazioni e dislivellamenti, suoli tecnici, pavimenti galleggianti, reticoli
plug-in, parterre verdi: dal second screen al ... second pavement!
Il testo ne illustra tecniche, sviluppi morfologici, fattibilità. Ne traccia un excursus di
esempi dalla storia passata e recente.
Un antefatto
Nel 1986, in Progetto di suolo, sulle pagine di Casabella, Ber-
nardo Secchi riferiva del positivo indulgere, nella progettazione urbani-
stica coeva, sulla definizione morfologica e figurativa degli spazi aperti,
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ancorché disegnati alle scale vaste della città e del territorio. Esprimeva
una chiara condanna della trascuratezza, nei confronti degli spazi “inter-
medi” della città, che aveva in vario modo attraversato i decenni prece-
denti, vuoi come convinzione ideologica (l’isotropia della città moderna
d’inizio ‘900), vuoi come scarsa attenzione e disimpegno (la povertà
semantica della città successiva al 2° conflitto mondiale).
Erano i segnali di un benefico cambio di riguardo verso il siste-
ma dei vuoti urbani.
L’interesse nuovo risultava, per Secchi, evidente, negli stessi
elaborati grafici degli urbanisti del tempo: «[...] il loro modo di rappre-
sentare cartograficamente il proprio progetto, è cambiato: in una sorta di
ritorno alle origini ne è straordinariamente aumentato il carattere iconico
e metaforico, diminuito quello codificato».
«Tutto ciò – proseguiva – vuole spostare l’attenzione: dall’edi-
ficio al suolo, alla superficie che intercorre tra gli edifici e che non può
essere negata o ridotta a puro spazio tecnico»2.
Tornando sul tema, dopo circa vent’anni, e titolando Progetto di
suolo 2, Secchi ribadiva il concetto, ancorandolo, più decisamente, alla
tradizione della città storica. Riferiva, in special modo, della lezione di
Siena, dell’esperienza dello spazio medievale che, negli anni ottanta, lui
stesso stava conducendo con l’incarico per il Piano Urbanistico della cit-
tà. «Siena – scriveva – da sempre ha sollecitato l’immaginario: non solo
quello individuale, ma soprattutto quello collettivo». Di Piazza del Cam-
po elogiava il carattere forte emanato da semplici scelte di dimensione,
orientamento e materiali utilizzati per le pavimentazioni. «Chi abbia
provato ad osservare a lungo la piazza, ad osservare come nelle diverse
stagioni l’ombra e il sole si spostano e come vengono frequentate le sue
diverse parti; chi ha provato a rimanere seduto sul pavimento di questa
piazza, riparata dal vento, ad apprezzare il calore morbido dei mattoni
e la sua pendenza, chi ha osservato i modi semplici nei quali il disegno
della pavimentazione facilita lo scolo dell’acqua [...], i modi nei quali lo
stesso disegno suggerisce le sue modalità d’uso senza imporle, non può
che convenire che è soprattutto il grande comfort di questo spazio del
pubblico ciò che appartiene all’esperienza comune e lo fa amare»3.
2. Secchi 1986.
3. B. Secchi, Progetto di suolo 2, in Aymonino, Mosco 2006.
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6. Bocchi 2015.
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dallo stigma chiuso della forma urbis. Cura le congiunzioni tra le cose
più delle cose in sé. Di qui l’imporsi, tra i temi, di categorie interventuali
un tempo ritenute marginali e di servizio, dalle infrastrutture, ai percorsi,
ai “corridoi qualificati” (artistici, archeologici, ecologici), alle operazioni
“invisibili” del cablaggio.
Proprio dalla cultura digitale, emerge un buon senso auto-limi-
tativo per cui l’azione è tanto più efficace quanto meno si impone al
contatto e alla vista. Il “poco visibile” va per la maggiore. Autorizza la
leggerezza degli intenti. Legittima il progetto giocoso e anti-retorico. Fa-
vorisce l’eclettismo linguistico, libera la ricerca morfologica, incoraggia
la sperimentalità tecnologica. Si afferma, in sostanza, nella sottigliezza
(spesso esiguità) delle operazioni, un pensiero “debole”, nell’accezione
positiva del termine, portatore di un modo fecondo di osservare l’intorno,
sub specie incompiuta, aperta, interattiva. L’intensità vi prevale rispetto
alla densità, la percezione soggettiva ha la meglio sulla determinazione
oggettivante e anti-dialogica, l’evanescenza vince sulla consistenza, la
variabilità sulla permanenza.
Parliamo di contemporaneità, ma le premesse sono già contenu-
te nel miglior pensiero moderno. Le Corbusier, lo si è detto, occupa un
primo piano, proprio per l’esser stato un grande manipolatore di volumi,
poeta, prima di tutto, della plastica tridimensionale. Ma la promenade e
l’open plan lo trasportano con il cuore oltre i valori scultorei dei volumi e
degli spazi verso il loro maggior ruolo di tramite reciproco e di relazione
con l’intorno. È lui l’apostolo dello spazio “liberato”. È lui che si compia-
ce della dimensione “a volume zero”, quando nella Maison des Hommes
esprime la speranza per una contesto antropico sconfinato.
Con lui, su questa linea, son grandi autori quali Giovanni Miche-
lucci e Leonardo Ricci, sostenitori dell’importanza dello spazio “fuori
dalle cose”. «[...] vorrei togliere ogni diaframma all’interno della città:
aprire gli ospedali, le carceri e perfino i cimiteri [...] abbattere [...] quelle
muraglie che dividono la vita di coloro che sono ‘dentro’ dalla vita di
coloro che sono ‘fuori’»7.
Minoritario giammai, lo spazio a dominanza orizzontale, poco
oggettuale e principalmente vuoto, catalizza il pensiero e gli interessi di
7. G. Michelucci, Perfino i cimiteri, in G. Cecconi (a cura di), Giovanni Michelucci. Dove si incontrano
gli angeli, Zella Editore, 2005.
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coloro i quali vollero, più che fissare assetti e forme, lavorare su come
correlare queste ultime tra loro, convinzione per cui lo spazio non è mai
qui o là, bensì, sempre, tra qui e là.
Il vuoto tra le cose ci porta dal territorio sconfinato delle visioni
di B. Taut, alle monumentali ariosità di A. Aalto, dalla “città vivente” F.L.
Wright, alla “città verde” di Ginzburg, Ladovskij e Melnikov.
Hans Scharoun lo definiva zwischenraum (spazio tra), ovvero
ciò che si infrappone agli ambienti più connotati delle sue architettu-
re. Lo chiamava così perché travalicasse il semplice ruolo distributivo,
assumendo maggior forza e peso, divenendo, più che collegamento tra
spazi, spazio esso stesso: ampio, abbondante, generoso. In questo, egli
riconosceva la colonna vertebrale dell’organismo spaziale, mentre ne
esaltava quel peculiare “non conoscere mai” una forma univoca e pre-
cisa, dovendo al suo meglio distendersi, come un liquido, nel continuo
moltiplicarsi delle invenzioni spaziali. Proprio in virtù di tale condizione,
lo zwischenraum diveniva lo spazio democratico e partecipativo per ec-
cellenza, un ambito di indeterminatezza capace di catturare l’utente, di
coinvolgerlo attivamente per definirlo e/o completarlo. Nei progetti urba-
nistici denominati Wohnzelle, in particolare, nella libera costellazione di
volumi che le caratterizzava, lo zwischenraum era tutto l’ambiente aperto
intorno alle case. Era lo spazio di nessuno e quindi di tutti, il vero spazio
pubblico, vuoto perché in attesa d’azione, vuoto perché d’invito all’in-
terpretazione collettiva, vuoto come speranza di un futuro d’integrazione
sociale a-gerarchica e non-costrittiva8.
Tra lo zwischenraum e il continuum della “città mondo”9, c’è poi
il verde e la natura. E anche qui, nell’orizzontale paesaggistica, i riferi-
menti non mancano. Le distese “viventi” di Lawrence Halprin parlano ai
giardini “in movimento” di Gilles Clément, i piani scolpiti di Corbù ai
vuoti pop di Martha Schwartz, i geometrismi green di Ernst Cramer al
Cosmological Garden di Charles Jencks.
Un capitolo a parte è dato dal ruolo dalla grafica e del messaggio
pubblicitario nella definizione dell’ambiente urbano. E qui Las Vegas non
smette di “insegnare”.
«La struttura urbana di allora [...] – scrive Denise Scott Brown
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Topotek1, Superflex,
BIG, Superkilen Park,
Copenaghen, 2012.
(Immagine tratta
da Repertorio 12 in
Sitografia).
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reversibilità e riciclabilità28.
L’asfalto, nell’“approccio ludico al progetto” dei giovani te-
deschi si carica di attributi fantastici, divenendo generatore di figure,
texture e collage: dai No-lands berlinesi re-stilizzati29, ai murales a
terra del Parco Postindustriale di Eberswalde (2002)30, alle tracce re-
golamentali per diverse pratiche sportive del Campo per Giochi Ur-
bani di Berlino (2002)31, ai semplici segni a terra, memori delle linee
guida dei vecchi spassosi chalk games.
«La superficie – scrivono – la sottile pellicola tra terra e cielo,
costituisce lo spazio in cui l’uomo esprime sé stesso, il regno dei suoi
movimenti, il luogo delle sue esperienze, il suo punto di contatto con
l’universo; la superficie funge da tela per dipingervi o disegnarvi su.
[...] La superficie comporta un sistema semiotico che noi leggiamo e
mappiamo [...] tutto è visibile sulla superficie»32.
Nel 2011, i 3 studi riuniti – BIG, Topotek1, Superflex – por-
tano a segno una realizzazione tanto esemplare quanto provocatoria.
È il Superkilen di Copenhagen, un vasto Parco con plurime funzio-
nalità. La grande istallazione è costituita da un manto urbano, con
composizioni grafiche che richiamano anche la dimensione verticale
dello spazio. È un gigantesco tappeto, in cemento anti-urto, asfalto,
caucciù e fasce bianche in pietra, articolato in zone di differenti tona-
lità di colore che si estendono dai calpestii alle pareti degli edifici di
bordo. La zona occidentale presenta sfumature di rosso, la seconda,
quella centrale, è in nero e grigio scuro, la terza zona è sistemata a
verde e prati33.
Esperienze
Occorre, in conclusione, rappresentare l’ulteriore vantaggio che
la ri-nobilitata azione “superficiale” comporta, in quanto azione “legge-
ra” e spesso di facile e veloce esecuzione.
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Edition, 2009
Clement 2011
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37. Vedi attività di T SPOON Studio. Al centro della ricerca T SPOON c’è la creazione di
microenvironments, ecosistemi basati sull’interazione tra strategie urbane alla grande scala e la natura
minuta e molteplice della vita quotidiana contemporanea: progetti come griglie aperte di possibilità in
grado di catalizzare mutazioni in un processo dialettico continuo tra lo spazio e gli abitanti.
38. Vedi Esterni speaks public. Idee, progetti e interventi per un design pubblico, Esterni, 2010.
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Chillida 2010
Eduardo Chillida, Lo Spazio e il Limite. Scritti e conversazioni sull’Arte, Marinotti
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Cecconi 2005
Giuseppe Cecconi (a cura di), Giovanni Michelucci. Dove si incontrano gli angeli.
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Pierre Alain Croset, Alvar Aalto. Visioni urbane, Skira, 1998
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Sitografia
Repertorio 01
https://it.pinterest.com/pin/244531454739205675/
Repertorio 02
http://novoambiente.com/blog/o-caminho-de-burle-marx-pelos-olhos-de-bruno-veiga/
Repertorio 03
http://concrete-stone-wood-and-bricks.tumblr.com/post/99888358090/thealfaproject-
jorge-oteiza-cassa-vuota
Repertorio 04
https://en.wikipedia.org/wiki/G59_–_1st_Swiss_Horticulture_Exhibition
Repertorio 05
http://twistedsifter.com/2011/11/charles-jencks-garden-of-cosmic-speculation/
Repertorio 06
http://www.shapedscape.com/projects/pinar-del-perruquet-park
Repertorio 07
http://www.archdaily.com/197941/malpica-harbour-creusecarrasco-arquitectos
Repertorio 08
https://martamalavasi.files.wordpress.com/2011/02/mds_page_10_full.jpg
Repertorio 09
http://architecture.mapolismagazin.com/paredes-pino-open-center-civic-activities-
spain-cordoba
Repertorio 10
http://landarchs.com/plaza-design-turns-dead-space-into-vibrant-livingroom-
stadtlounge-switzerland/
Repertorio 11
http://www.dac.dk/en/dac-life/copenhagen-x-gallery/cases/prags-boulevard/
Repertorio 12
http://whenonearth.net/superkilen-urban-design-park-copenhagen/
Repertorio 13
http://www.landezine.com/index.php/2014/02/aqua-soccer-and-dymaxion-golf-by-topotek1/
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