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Quaresima: padre Rupnik, pregare è superare

l’isolamento
Padre Marko Ivan Rupnik approfondisce il significato della preghiera, la prima
delle tre pratiche quaresimali. E spiega in cosa consiste l'arte del discernimento,
raccomandata da Papa Francesco.

Cosa significa pregare oggi, e come esercitarsi nell’arte del


“discernimento”, scelto dal Papa anche come tema del prossimo
Sinodo dei giovani? Il Sir lo ha chiesto a padre Marko Ivan Rupnik,
direttore del Centro Aletti, che attualizza così il primo imperativo
della Quaresima, accanto all’elemosina e al digiuno.
La preghiera è la prima delle tre pratiche che il cristiano è
chiamato a riscoprire in Quaresima. L’uomo di oggi, secondo lei,
ha ancora spazio per pregare, o la preghiera rischia di diventare
una pratica fuori uso?

Se la preghiera viene intesa come un esercizio richiesto da una


religione è normale che diventi difficile e faticosa e che molte volte
uno non riesca a vederne il senso. Soprattutto se la religione fa leva
sull’educazione, facendo della preghiera un obbligo, un dovere.
Pregando in questo modo l’uomo contemporaneo, tranne qualche
effetto assai superficiale e psichico di una certa pacificazione o
qualcosa di simile, non può scorgere. Ma per noi cristiani la
preghiera non è affatto così. La preghiera dei cristiani è espressione
di una vita che si riceve in dono nel battesimo.
Percepire sé stessi uniti a Cristo, anzi come parte di Lui, è la preghiera.
Pregare vuol dire vivere la propria vita in relazione al Padre, per
mezzo di Cristo, nello Spirito Santo che continuamente plasma la
nostra mentalità filiale.

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