Padre Cucci giudica il «non faccio» come «la situazione più pericolosa» per la fede
perché l’individuo si racconta mille giustificazioni, ha una «facciata» verso gli altri per
nascondere la vera realtà e le sue vere intenzioni. Secondo padre Cucci si tratta di un
atteggiamento frequente nei seminari tipico di quei «ragazzi d’oro» portati ad esempio
ed ammirati da professori e formatori. Ragazzi che si trovano schiacciati dal ruolo che
altri hanno imposto e non trovano il tempo per chiedersi se davvero desiderano
quell’esperienza che hanno cominciato. E a lungo andare «si trovano intrappolati dal
peso degli onori e dell’ammirazione» , arrivando col tempo a lasciare il seminario o,
peggio ancora, il sacerdozio magari dopo anni. La «maschera dell’ipcorisia», spiega
padre Cucci, deve venire svelata per consentire un vero confronto con se stessi
altrimenti la persona vivrà una vita falsa.
Un altro aspetto che il gesuita Cucci definisce negativo è «il pensiero magico». Come
quando di fronte ad un evento tragico la persona di (apparente) fede si chiede perché
Dio lo abbia permesso. In questi casi occorre riconoscere in tali atteggiamenti una fede
«molto distante dalla fede evangelica». Ed infine l’ultimo aspetto negativo preso in
considerazione è la «rigidità», tipica dei gruppi più fondamentalisti, che siano cattolici o
meno.