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PROGETTAZIONE

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INDICE

1. Classificazione dei sistemi produttivi


1.1 Modello dell’intensità di traffico
1.2 Modo di rispondere alla domanda
1.3 Modo di realizzare il prodotto
1.4 Volume di produzione

2. Parametri di un impianto industriale


2.1 Capacità produttiva
2.2 Produzione effettiva
2.3 Rendimento globale
2.4 Tasso di Rendimento Sintetico (TRS)

3. Caratteristiche di un impianto
3.1 Flessibilità
3.2 Elasticità
3.3 Grado di integrazione verticale
3.3.1 Pro e contro
3.4 Obbiettivi di un impianto

4. Automazione
4.1 Automazione flessibile
4.2 Automazione rigida

5. Processi industriali
5.1 Processo continuo
5.1.1 Processo continuo a ciclo tecnologicamente obbligato
5.1.2 Processo continuo a ciclo non tecnologicamente obbligato
5.2 Processo intermittente
5.2.1 Processo intermittente a ciclo tecnologicamente obbligato
5.2.2 Processo intermittente a ciclo non tecnologicamente obbligato

6. Flussi di materiali
6.1 Flusso critico
6.2 Flusso ottimo tecnico
6.3 Flusso più conveniente
6.4 Flusso minimo di pieno impiego
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7. Classificazione del layout
7.1 Job shop
7.2 Flow shop
7.3 Produzione a celle
7.4 Produzione a postazione fissa
7.5 Cosa succede per il TRS?

8. Studio del layout


8.1 Perché studiare il layout?
8.2 Problematiche del layout
8.3 Obbiettivi dello studio del layout
8.4 Metodi di valutazione
8.5 Raccolta ed elaborazione dati
8.6 Diagrammi di lavorazione
8.7 Metodo dell’intensità di traffico

9. Trasporti ed immagazzinamento
9.1 Trasporti
9.1.1 Capacità di trasporto
9.1.2 Classificazione e analisi del materiale da trasportare
9.1.3 Tipologie di mezzi trasporto
9.2 Magazzini
9.2.1 Parametri di dimensionamento del magazzino
9.2.2 Tipologie di magazzino

10. Analisi degli investimenti industriali

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1. Classificazione dei sistemi produttivi
I sistemi produttivi possono essere definiti da tre caratteristiche: dal modo di soddisfare la
domanda, dal metodo di realizzazione del prodotto e dal volume di produzione.

1.1 Modo di rispondere alla domanda


Produzione su commessa: la produzione viene lanciata nel momento di arrivo dell’ordine, dunque
devo avere tutti i materiali e le risorse a disposizione per avviare la produzione stessa (es.
ristorante);
Produzione per magazzino: analizzo i dati storici del mercato di un dato prodotto per poter avere
un numero giustamente approssimato di prodotti da generare, è un metodo più rischioso dal punto
di vista economico.

1.2 Modo di realizzare il prodotto


Produzione per processo: il prodotto finito non è più distinguibile dalle materie prime di cui è
composto (es. fabbrica di cemento);
Produzione per parti: assemblaggio o fabbricazione di diverse componenti del prodotto finito (es.
computer, automobili).

1.3 Volume di produzione


Produzione continua: l’impianto nasce per fare sempre la stessa cosa, quando termina la domanda
di uno specifico prodotto l’impianto deve chiudere, per questo è un grosso rischio commerciale ed
è fatto per lavorare sempre a regime quindi avrà un alto rendimento;
Produzione a lotti: l’impianto può produrre vari oggetti cambiando attrezzature o materie prime, lo
uso quando non sono richiesti grossi volumi di produzione (es. fabbricazione di pasta);
Produzione unitaria: l’impianto è costruito per generare un unico prodotto.

2. Parametri di un impianto industriale


I parametri che caratterizzano le prestazioni di un impianto sono: capacità produttiva, produzione
effettiva, rendimento globale e TRS.

2.1 Capacità produttiva


È la produzione di pianta, cioè quella al limite ottenibile nel momento in cui, per una serie di
circostanze favorevoli, il rendimento dell’impianto dovesse essere unitario. È una condizione ideale
che posso raggiungere per pochi minuti. Se lavoro per conto terzi la capacità produttiva sarà date
dalle ore di lavorazione massime che posso effettuare;

2.2 Produzione effettiva


Si passa da capacità produttiva a produzione effettiva per effetto del rendimento, è sempre minore,
dunque, della capacità produttiva e non è altro che la produzione media che effettivamente
ottengo. La mancata produzione è dovuta ad inefficienze di ogni tipo, solitamente causata da
perdite di tempo.

2.3 Rendimento globale


𝑷𝑬
È il rapporto tra produzione effettiva e capacità produttiva: 𝜼 = 𝑪𝑷.
In questo rendimento vengono considerate tutte le cause di perdite di tempo.

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2.4 Tasso di Rendimento Sintetico (TRS)
Il TRS è un rendimento maggiore di quello globale poiché considera solo le sei cause principali di
perdite di tempo: perdite per guasti (G) e per riattrezzaggi (S), perdite per micro-fermate o riduzioni
di velocità, perdite per scarti (PS) e rilavorazione. È un parametro importante sia in fase di
progettazione che di gestione perché permette di individuare la capacità produttiva. Si parte sempre
dalla produzione effettiva perché corrisponde alla domanda di mercato che posso soddisfare (ritmo
standard). Definisco la produzione effettiva grazie ad analisi di dati storici, il rapporto fra la
produzione effettiva e il TRS fornisce la capacità produttiva. Se realizziamo un nuovo prodotto
dobbiamo fare i calcoli sulla base di prodotti analoghi venduti dalla concorrenza. È lo studio di
mercato che definisce la domanda da soddisfare.
Il TRS viene calcolato come il rapporto tra il tempo necessario a produrre pezzi buoni (PB) e il tempo
disponibile (TD); il tempo disponibile è il tempo di apertura dell’impianto a cui vengono sottratte le
perdite di tempo dovute a riunioni o manutenzione (fermate programmate FP).
Inoltre il TRS può essere visto come il prodotto di tre indici: disponibilità, efficienza delle prestazioni
e indice di qualità.
La disponibilità (DISP) considera le prime due cause principali di perdite di tempo: guasti (le risorse
subiscono dei guasti e non possono lavorare) e riattrezzaggi (tempi di setup). Questi due tempi sono
facilmente misurabili dall’operatore che li riporta su un registro per giustificare la mancata
produzione.
𝑻𝑫−𝑮−𝑭
DISP= 𝑻𝑫 .
L’efficienza delle prestazioni (Ep) misura l’incidenza di micro-fermate (dovute ad esempio
all’affaticamento o alla saturazione dell’operatore) e riduzioni di velocità (ad es. inizio di lavorazione
su nuove materie prime o usura degli utensili e della risorsa) sul tempo di funzionamento (TF = TD-
𝑻𝑵𝑭
G-F), quindi è uguale a: Ep= 𝑻𝑭 . Il tempo netto di funzionamento (TNF) non può essere calcolato
sottraendo al tempo di funzionamento le micro-fermate e le riduzioni di velocità perché queste non
vengono riportate da nessuna parte, essendo più brevi.
Quindi calcolo il tempo netto di funzionamento come il prodotto fra il tempo ciclo teorico (TC) e il
numero di pezzi totali: TNF=𝑻𝑪 ∙ (𝑷𝑩 + 𝑷𝑺).
L’indice di qualità misura l’incidenza dei pezzi di scarto su quelli totali generati, dunque è indicato
𝑷𝑩
dal rapporto: Iq=𝑷𝑩+𝑷𝑺.
Dunque con il prodotto fra questi tre parametri fornisce il TRS:

𝑻𝑭 𝑻𝑪∙(𝑷𝑩+𝑷𝑺) 𝑷𝑩 𝑻𝑪∙𝑷𝑩
TRS = 𝑻𝑫 ∙ ∙ 𝑷𝑩+𝑷𝑺 =
𝑻𝑭 𝑻𝑫

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3. Caratteristiche di un impianto

3.5 Flessibilità
Un impianto si definisce flessibile se è prima di tutto versatile, cioè, è sia riconfigurabile che
convertibile:
1) Riconfigurabilità: passare dalla produzione di un prodotto all’altro (già presente in catalogo)
molto rapidamente;
2) Convertibilità: passare dalla produzione di un prodotto a quella di un prodotto nuovo non
presente in catalogo molto rapidamente.
Queste due condizioni sono necessarie e non sufficienti, affinché l’impianto sia flessibile quindi è
necessario che: gli operai non siano molto specializzati in modo da essere in grado di lavorare su
diverse macchine, l’ufficio progetti deve essere in grado di progettare velocemente un nuovo
prodotto e i fornitori devono essere in grado di adeguarsi a differenti esigenze da parte dell’azienda
senza far aumentare i costi.

3.6 Elasticità
L’elasticità rappresenta la capacità di far fronte a variazioni del volume di produzione senza far
variare di molto i costi di produzione. Un impianto che lavora su tre turni è poco elastico perché non
può effettuare ore di straordinario per soddisfare il mercato aumentando la produzione, se non il
sabato e la domenica.
Un impianto Capital Intensive non sarà mai elastico poiché per sfruttarlo al meglio lo faccio lavorare
su tre turni. Si può ottenere, dunque, una buona elasticità su un impianto che lavora per un turno
di lavoro.

3.7 Grado di integrazione verticale


Un’azienda è fortemente integrata quando realizza al suo interno tutte le fasi del ciclo produttivo,
dalla produzione di materie prime fino alla vendita finale, in tal modo aumento l’indipendenza
dell’azienda.
La politica del Make Or Buy analizza Pro e Contro dell’integrazione verticale in modo da definire
quali prodotti conviene acquistare e quali produrre.

3.7.1 Pro e contro


Pro:
- L’incremento del valore aggiunto delle varie fasi entra tutto nelle tasche dell’azienda, se
faccio in casa tutte le lavorazioni porto in tasca gli utili derivanti da essa;
- Ho un controllo migliore dei tempi complessivi di produzione andando a velocizzare alcune
fasi a discapito di altre, ovviamente se dipendo dai fornitori non posso farlo;
- Posso saturare l’impianto con lavorazioni per conto terzi se dispongo di tecnologie
apprezzate;
- Posso gestire know-how in modo da non condividerli con altre aziende;
Nel momento in cui nelle vicinanze non ci sono aziende in grado di fornirmi determinati prodotti,
sono costretto ad integrare i processi per realizzare detti prodotti.

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Contro:
- Aumento dei costi fissi e degli investimenti iniziali. Ho più macchine da ammortare e più
operai da ingaggiare;
- Diminuzione dell’elasticità se ho un impianto già saturo;
- Poca concentrazione sul core-business dell’azienda;
- Aumento dei tempi di restyling e di innovazione del prodotto, avendo a disposizione più
risorse da impegnare simultaneamente. L ‘ innovazione di operazioni di scarso interesse per
l’azienda la fanno gli altri;
- Non poter accedere a fornitori specializzati in determinati settori che forniscono materie
prime di alto livello.

3.8 Obbiettivi di un impianto


- Basso costo di produzione: a seconda del valore del prodotto che realizzo mi interessa un
basso costo (es. per una Bugatti non cerco di spendere poco per le lavorazioni);
- Alta elasticità: solo se la domanda è fortemente variabile da un punto di vista quantitativo,
mi serve un impianto che lavora su massimo due turni. Pertanto devo tenere conto di questo
fattore se voglio dimensionare il numero di macchine;
- Alta flessibilità: se devo produrre zucchero o benzina non me ne importa, ma se devo
cambiare continuamente produzione evito l’automazione rigida;
- Alta qualità: significa rispetto delle specifiche e non elevate caratteristiche;
- Rapide consegne: velocità delle consegne;
- Affidabilità delle consegne: rispettando i termini di scadenza aumento la soddisfazione del
cliente e quindi l’efficacia dell’azienda;
- Elevato livello di servizio: dobbiamo evadere tutti gli ordini essendo in regime di libera
concorrenza.

4. Automazione
L’automazione permette di raggiungere certi livelli di lead time. Il lead time è il tempo di flusso,
detto anche tempo di attraversamento, può essere visto come la somma di 4 tempi: tempo tecnico
+ tempo di collaudo + tempo di movimentazione + tempo di attesa. Quindi è il tempo che intercorre
tra l’ingresso della materia prima e l’uscita del prodotto finito.
Definiamo Manufacturing Cycle Efficiency l’indice che misura l’incidenza del tempo tecnico sul lead
𝑇𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑡𝑒𝑐𝑛𝑖𝑐𝑜
time e lo esprimiamo come: MCE= 𝑙𝑒𝑎𝑑 𝑡𝑖𝑚𝑒 , dove il tempo tecnico viene inteso come somma dei
tempi di lavorazione. Posso avere tempi tecnici di poche ore e lead time di un mese, dipenderà dalla
complessità del ciclo di produzione (es. realizzo un pezzo al tornio, ma questo non può essere inviato
alla fresa perché questa è già impegnata).
L’automazione può essere rigida o flessibile a seconda dei macchinari che utilizziamo (es. tornio
tradizionale è una macchina flessibile, così come il tornio a controllo numerico). La scelta tra le due
dipende dal volume di produzione da realizzare. Va detto però che alcune lavorazione particolari
(es. profilo di una pala di turbina) necessitano di macchine ad alto grado di automazione al posto di
quelle tradizionali. Solitamente la scelta ricade sempre su macchine flessibili anche in casi in cui il
volume di produzione è alto in modo da non avere vincoli, anche se converrebbe economicamente
usare la rigida con quella flessibile ho una versatilità maggiore dell’impianto.

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4.1 Automazione flessibile
Una macchina è flessibile quando può effettuare diversi cicli di lavorazione.
Quando uso un tornio tradizionale ho una bassa spesa iniziale ma un’alta flessibilità, inoltre esso
non ha costi di obsolescenza poiché è una tecnologia standard.
Il tempo tecnico in questo caso sarà molto elevato e quindi avrò un elevato costo variabile a causa
della presenza dell’operaio.
Il tornio a CN è una macchina flessibile perché mi basta cambiare il Part Program per cambiare
lavorazione. Ha tempi tecnici nettamente inferiori a quello tradizionale quindi costi variabili minori
ma avrà un costo fisso maggiore

4.2 Automazione rigida


Una macchina è rigida quando può effettuare un solo ciclo di lavorazione.
Per un tornio rigido si hanno tempi tecnici ridotti al minimo e non necessita di un operatore, quindi
costi variabili bassi, ma una volta terminata l’esigenza di quel ciclo di lavorazione non serve più a
niente.
Il costo di un tornio rigido è elevatissimo, anche se presenta solo parti meccaniche, essendo un
pezzo unico (cioè progettato ad hoc) pertanto l’intero costo di progettazione non si ripartisce su più
pezzi se li becca tutti il tornio rigido.

5. Processi industriali
Sequenza di attività che sono messe in un certo ordine logico che richiedono risorse (persone,
macchine, ecc.) da impiegare per trasformare la materia prima in un prodotto finito per ottenere
appunto un prodotto/servizio per un cliente interno o esterno.
- Cliente interno: un reparto serve un altro reparto che è immediatamente a valle, a sua volta
servito da un reparto a monte, il concetto di cliente interno è nato recentemente con
l’intento di responsabilizzare i singoli reparti;
- Cliente esterno: è un’altra azienda che compra il nostro prodotto (siamo noi i fornitori).
All’interno di un’azienda si possono differenziare differenti modalità di utilizzo delle risorse,
vediamo infatti che questa può operare scegliendo ad esempio un processo piuttosto che un altro
per le finalità che vuole raggiungere, i processi primari possono essere:
• Processo mono-linea: tante fasi di lavorazione che si susseguono, da una materia prima viene
generato uno e un solo prodotto (processo poco frequente);
• Processo di sintesi: tutta l’industria manifatturiera si basa su questo tipo di processo, varie materie
prime che vengono assemblate per realizzare un prodotto finito o addirittura una gamma di prodotti
finiti (es. automobili, cellulari, ecc.);
• Processo analitico: esiste una singola materia prima dalla quale escono più prodotti finiti (es.
industria casearia dove entra latte ed escono mozzarelle, burro e ricotte).
In relazione alle capacità dell’azienda, inoltre, i processi si potranno suddividere in:
- Processo continuo: si realizza sempre lo stesso prodotto con continuità. Quell’impianto
produrrà un totale di quantità di un determinato prodotto, quantità che risulterà costante
di giorno in giorno se il processo è sufficientemente standardizzato;
- Processo a ciclo intermittente: con un impianto produco varie cose. Ho una differenziazione
del prodotto, cambiando macchine e materie prime (produzione a lotti) o semplicemente
effettuando un riattrezzaggio sulla singola risorsa (es. pastificio, non produce solo un singolo
tipo di pasta, ma produce lotti di vari tipi cambiando utensili o macchine).
Il processo può essere inteso come un insieme di tecnologie che sono intercambiabili tra loro per
effettuare, appunto, uno stesso processo.

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Durante un processo è possibile distinguere tra i materiali da acquistare quelli che formeranno il
prodotto finito a seguito di trasformazioni fisiche (materie prime) e quelli che saranno necessari per
effettuare il processo di trasformazione come additivi o catalizzatori (materie complementari).

5.1 Processo continuo


Caratteristiche di un impianto a processo continuo:
• Un solo prodotto;
• Un solo ciclo di produzione;
• Un solo flusso di produzione;
• Rendimento elevato.
Se il prodotto che viene generato non va più sul mercato, allora questo impianto non serve più a
niente, ergo se sbaglio la scelta del prodotto da generare in questo tipo di impianto sono fregato,
poiché risentirò dei costi che entrano in gioco già al momento della progettazione dell’impianto
stesso che risulterà comunque essere specializzato.
Gli impianti a processo continuo si possono a loro volta suddividere in:
- Processo continuo a ciclo tecnologicamente obbligato;
- Processo continuo a ciclo non tecnologicamente obbligato.

5.1.1 Processo continuo a ciclo tecnologicamente obbligato


Il primo è strutturato con fasi sequenziali che non possono essere alterate. Questo particolare
impianto può avere due configurazioni:
- a tutt’uno;
- con macchine a sequenza non modificabile.
Quando si presenta a tutt’uno (es. chimici, petrolchimici, siderurgici) tutto sarà dimensionato
affinché il flusso sia quello prestabilito, infatti non si potrà aumentare la capacità produttiva (es.
produrre 120 tonnellate di petrolio al posto delle 100 previste aggiungendo nuove risorse). Ciò che
risulta di fondamentale importanza è la stima della domanda del mercato. Sbagliando il
dimensionamento iniziale della capacità produttiva, incorrerò in costi di penuria o di obsolescenza.
Quando è invece con macchine a sequenza non modificabile, il ciclo di lavorazione è obbligato, ma
le macchine non risultano collegate tra loro (es. tubazioni); in tal modo se si effettua una stima
sbagliata in fase di progettazione e sottodimensioniamo (o sovradimensioniamo) l’impianto
potremo correggere l’errore adattandoci alle effettive condizioni di mercato (frazionamento
dell’investimento). Per quanto riguarda però il dimensionamento del suolo e del capannone, questo
deve essere anche maggiore della configurazione impiantistica realizzata poiché in caso di
sottodimensionamento incorreremo anche in costi di ampliamento di questi.

5.1.2 Processo continuo a ciclo non tecnologicamente obbligato


Questo è composto da più macchine che possono realizzare più cicli di produzione, dunque se un
prodotto non ha più mercato posso cambiare il layout. Il rischio si abbassa: la criticità della
progettazione è via via inferiore e i criteri di progetto e gestione cambiano perché non sono
costretto a realizzare un impianto con condizioni prestabilite, l’impianto sarà riconfigurabile. Devo
però avere accortezza nella progettazione di questo impianto poiché quando necessito di installare
nuove macchine devo evitare intralci e quindi spostare macchine che sono in fase di produzione
determinando quindi delle perdite dovute a blocchi della produzione stessa.

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5.2 Processo intermittente
Allo stesso modo degli impianti che lavorano a processo continuo, anche per questi impianti si
possono identificare due categorie:
- Processo intermittente a ciclo tecnologicamente obbligato;
- Processo intermittente a ciclo non tecnologicamente obbligato.

5.2.1 Processo intermittente a ciclo tecnologicamente obbligato


Il ciclo di lavorazione è sempre lo stesso per i diversi prodotti omogenei, ottenuti cambiando
attrezzattura e materie prime (es. pasta).
Il rischio è basso perché possiamo differenziare il prodotto, salvo casi eccezionali in cui il prodotto
subisce una repentina evoluzione tecnologica.

5.2.2 Processo intermittente a ciclo non tecnologicamente obbligato


Utilizziamo sempre macchine ad alta flessibilità che possono realizzare più cicli di lavorazione
ottenendo prodotti completamente diversi tra loro destinati ad usi differenti.
È possibile sfruttare l’insaturazione delle macchine per la lavorazione di più prodotti, da qui
l’esigenza di avere macchine flessibili. (“Se commetto un errore iniziale sul dimensionamento della
capacità produttiva non mi ammazzo”, questo perché appunto l’impianto risulta riconfigurabile). Il
rischio di progettazione è il più basso possibile.

6. Flussi di materiali

6.1 Flusso critico


È il flusso al di sopra del quale si opta per un processo continuo ed al di sotto per un processo
intermittente. Se un impianto è progettato per lavorare a processo continuo non si può fare in modo
che questo lavori a processo intermittente, viceversa invece è possibile.
Questa opzione la valuto nel momento in cui arriva un grosso ordine (piano quinquennale); a
seconda dell’importanza dell’ordine (effettivo utile) e del cliente decido se passare ad un processo
continuo considerando la perdita di clienti che richiedono una gamma più ampia. In questo caso
andrei ad aumentare il TRS ed in particolare la disponibilità avendo annullato i riattrezzaggi.
Ovviamente i clienti che restano insoddisfatti dovranno necessariamente avere un peso specifico
minore rispetto a quello del cliente da cui perviene l’ordine.

6.2 Flusso ottimo tecnico


Il flusso in corrispondenza del quale si ha il minor costo totale di produzione. È la velocità di
produzione per la quale si ha l’ottimizzazione dei rendimenti delle macchine, la minimizzazione degli
scarti e tutta una serie di vantaggi per cui quella è la produzione a costo minimo.

N.B. È diverso dal flusso che realizza il massimo utile (flusso più conveniente)

6.3 Flusso più conveniente


Il flusso in corrispondenza del quale si massimizza l’utile (utile=ricavi-costi) poiché sia i ricavi che i
costi dipendono dal flusso. Quindi in aggiunta al flusso ottimo tecnico oltre a minimizzare i costi ci
interessa conoscere quella velocità di produzione per la quale massimizziamo i ricavi. I costi
aumentano oltre l’ottimo tecnico, produco di più e di conseguenza riduco il prezzo di vendita.

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6.4 Flusso minimo di pieno impiego
È il flusso più basso che consente una completa saturazione per tutte le macchine utilizzate durante
il tempo tecnico. Esistono infiniti flussi di pieno impiego, tutti multipli del flusso minimo di pieno
impiego. Nella pratica non viene mai attuato poiché si ricava dai tempi ciclo delle singole fasi dai
quali si ricava il minimo comune multiplo; nel caso reale il minimo comune multiplo è un valore che
comporta l’utilizzo di un numero spropositato di macchine essendo i tempi ciclo diversi tra loro.
Considerato l’impianto come “tutt’uno” il flusso minimo di pieno impiego coincide con la capacità
massima dello stesso.
All’interno dell’azienda l’obiettivo non è realizzare il flusso minimo di pieno impiego poiché questo
potrebbe non essere concorde con la richiesta di mercato, quindi la necessità primaria è quella di
adattarsi alla domanda. Causa l’adattamento alla domanda di mercato avremo sempre delle
macchine più sature di altre perché hanno sempre velocità diverse. Il numero di macchine quindi
dipende sempre dal contesto, se ci troviamo in situazioni di domanda variabile compro meno
macchine per risparmiare sui costi fissi e quindi per abbassare il rischio ma la situazione può
cambiare e quindi la configurazione dell’impianto adatta al mercato si ha quando la curva della
domanda tende ad appiattirsi.

7. Classificazione del layout


Una prima classificazione dell’impianto può essere effettuata tenendo conto di tre parametri:
• Volumi unitari da realizzare;
• Ripetitività dei lotti;
• Valore unitario dei pezzi.
Dai quali scaturiscono quattro differenti layout:
- Produzione per reparti (job shop);
- Produzione per prodotto (flow shop);
- Produzione per celle;
- Produzione a postazione fissa.
Dopo aver scelto il tipo di layout posso stimare con buona approssimazione il TRS.

7.1 Job shop


Nel Job shop realizzo più prodotti in piccole quantità, ognuno con il suo ciclo di produzione e la
rispettiva domanda. Non potendo realizzare una linea di produzione mi organizzo per reparti.
Questa necessità nasce da un certo tipo di domanda che non richiede grandi produzioni ma
piuttosto un’ampia gamma di scelte, in tal modo l’azienda conferirà alta configurabilità al prodotto.
È una situazione più caotica di quella che si avrebbe in un flow shop ed il tempo di percorrenza non
è ben definito (difficile identificare i colli di bottiglia) poiché i pezzi si muovono a lotti e non hanno
la garanzia che una volta compiuto il lotto la macchina successiva sia libera.

Cos’è un reparto?
È un ambiente più o meno chiuso in cui la tipologia di macchine è la stessa.

Vantaggi:
• Alta flessibilità;
• Alta configurabilità del prodotto (si rivolge ad una clientela più ampia);
• L’investimento è ridotto perché compro macchine tradizionali o al limite a CN, quindi lavoro
su un turno perché ho meno spese da ammortizzare;

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• Lavorando su un turno aumento l’elasticità perché posso fare straordinari qualora sia
necessario;
• Scarsa obsolescenza dei macchinari;
• Rapido avvio di nuove produzioni.

Svantaggi:
• Alti tempi di flusso (per effetto dei tempi di sosta e della proprietà intrinseca del job shop che
consiste nello spostamento di un lotto per volta);
• Elevato WIP (dovuto alla giacenza dei semilavorati e del tempo di wait);
• Scarsa saturazione (la saturazione cambia istante per istante, posso avere macchine ferme se
ad esempio la trasformazione di un prodotto non richiede la tornitura);
• Alti costi di manodopera (macchine tradizionali che avranno bisogno della presenza
dell’operaio, se la macchina è ferma anche l’operaio è fermo ma comunque lo pago);
• Qualità non omogenea (dovuto al rendimento non costante dell’operaio);
• Scarsa prevedibilità dei tempi di consegna;
• Difficile reperibilità di manodopera specializzata.

7.2 Flow shop


Nel Flow shop realizzo uno o pochissimi prodotti in grandi quantità. Dal volume di produzione
dipenderà il numero di macchine che disporrò nella sequenza più adatta per ridurre i tempi ciclo dei
vari prodotti. Il flusso di materiali è monodimensionale e si riduce l’ingombro dovuto ai WIP con
facile individuazione dei colli di bottiglia. L’unica difficoltà è bilanciare bene le varie stazioni di lavoro
a causa delle differenti velocità delle risorse; una strategia utilizzata è quella di inserire a monte
delle risorse critiche dei “magazzini polmone” consentendo la continuità della produzione anche in
seguito a guasti improvvisi.

Vantaggi:
• Ridotti tempi ciclo (pochi semilavorati);
• Ridotti WIP (bassi costi di giacenze dovuti appunto alla mancata presenza di
semilavorati);
• Elevata saturazione (una volta raggiunta una situazione di equilibrio le macchine saranno
ben saturate poiché non cambio in continuazione la quantità da produrre);
• Qualità uniforme (ho macchine automatiche, la qualità non dipenderà dai rendimenti
degli operai).

Svantaggi:
• Notevole rigidità (l’impianto è progettato per fare un determinato prodotto);
• Investimenti elevati (ho un costo di progettazione elevato e macchine costose);
• Rischi di ripida obsolescenza (se non c’è più domanda da parte del mercato devo
provvedere a convertire l’impianto oppure a rivenderlo);
• Elevato tempo di avvio di nuove produzioni (necessariamente si dovrà effettuare una
riprogettazione della linea);
• Vulnerabilità ai guasti (rompendosi una macchina verrà bloccata tutta la linea).

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7.3 Produzione a celle
La produzione a celle è un’alternativa al job shop che permette di ridurre il lead time adottando una
politica just-in-time. Il processo per passare da una soluzione impiantistica all’altra è costituito da
una prima fase di classificazione degli oggetti in famiglie di prodotti finiti diversi ma che avranno
cicli simili o semplicemente che dovranno attraversare le stesse macchine. In questa situazione
realizzo piccoli flow shop costituiti da macchine automatiche flessibili, dove i pezzi passeranno da
una macchina all’altra (senza alcun tempo di wait) singolarmente e non una volta completato il lotto.
Rispetto al job shop ho maggiore riconfigurabilità poiché essendo macchine automatiche le
riattrezzo più velocemente; la convertibilità è maggiore nelle celle se il nuovo prodotto da realizzare
appartiene ad una famiglia già esistente.
Nel passaggio da job shop a celle il numero di macchine aumenta quindi aumenta anche
l’investimento iniziale, dunque l’unico motivo per cui si opta per questo tipo di configurazione è per
ridurre il lead time (tecnica del just-in-time) e si riducono le immobilizzazioni.

7.4 Produzione a postazione fissa


Quando il prodotto finito non può essere spostato durante la fase di lavorazione a causa di peso,
sensibilità agli urti o dimensioni, viene effettuato questo tipo di produzione. In questo caso si ha un
flusso di materiali e attrezzi convergente sulla postazione fissa.

7.5 Cosa succede per il TRS?


Analizziamo singolarmente le varie cause che compongono il TRS per quanto riguarda flow shop e
job shop.
- Perdite per riattrezzaggio: sono trascurabili nel flow shop, mentre sono più che significative
nel job shop;
- Perdite per guasti: nel flow shop il guasto di una macchina potrebbe bloccare l’intera
produzione, ma grazie ai magazzini polmone evitiamo l’inconveniente; inoltre i guasti nel
flow shop, essendo costituito da macchine automatiche, viene segnalato da una luce che
permette all’operatore di identificare facilmente la risorsa critica. A differenza in un job shop
è possibile continuare la produzione anche quando si presenta il guasto e spetta
all’operatore segnalare a chi di competenza il problema. Risulta, dunque, di fondamentale
importanza effettuare una manutenzione preventiva in un job shop, da qui la scelta di
acquistare macchine con maggiore affidabilità;
- Perdite per micro-fermate e riduzioni di velocità: le prime sono presenti in un job shop
avendo a disposizione macchine tradizionali dove la presenza dell’operatore sarà sempre
necessaria, saranno dunque dovute all’aleatorietà del comportamento di quest’ultimo. Le
seconde saranno dovute più che altro al collaudo e all’analisi dei nuovi macchinari.
- Perdite per scarti e rilavorazione: nel job shop le perdite per scarti saranno dovute sempre
alla presenza delle macchine tradizionali (quindi comportamento dell’operatore), se
presenti nel flow shop sarà compito della manutenzione intervenire sulle macchine (grado
di automazione elevato) per capire il motivo della bassa qualità dei pezzi.
Dunque si può constatare che il TRS per un sistema flow shop sarà certamente maggiore di quello
di un sistema job shop (valori che si aggirano intorno al 90%, rispetto al 50-55% del job shop), in
base a questi valori dimensioniamo la capacità produttiva.
La produzione a celle avrà un TRS compreso tra quello del job shop e del flow shop, ma è molto più
vicino a quello del flow shop.

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8. Studio del layout

8.1 Perché studiare il layout?


Il layout è una delle caratteristiche dinamiche dell’azienda, viene effettuato uno studio
periodicamente (es. 6 mesi per un’industria manifatturiera) per rispondere alle variazioni che il
mercato subisce (per questo dinamica). Il layout viene studiato sia in fase di progettazione che di
gestione, il cambiamento di questo viene effettuato solo nel caso in cui ci siano forti variazioni delle
condizioni di mercato, perché questo comporta comunque dei costi e dei tempi. I motivi che
possono portare ad un cambiamento sono:
- Riprogettazione totale o parziale del prodotto: ad esempio considerando un prodotto la
quale domanda tende a decrescere si può effettuare un restyling del prodotto stesso,
rilanciandolo sul mercato con caratteristiche diverse che necessitano di diverse tecnologie e
di conseguenza serviranno macchine nuove. In questo caso adatteremo tutto l’impianto in
funzione della nuova produzione;
- Sensibili variazioni di domanda: partiamo da una conoscenza scarsa della domanda del
prodotto, la quale ha una fase di avvio in cui la domanda non è molto elevata ma tende a
crescere rapidamente, per poi decrescere lentamente. Si deve quindi fare in modo di
bilanciare i vari prodotti, in modo tale da non avere prodotti contemporaneamente in fase
calante e raggiungere condizioni in cui i ricavi non soddisfano i costi (alto rischio per
l’azienda). Quindi nel momento in cui la variazione di domanda è molto sensibile (in senso
crescente o decrescente) dovremmo provvedere velocemente ad una nuova configurazione
dell’impianto;
- Obsolescenza delle macchine: quando le macchine sono superate tecnologicamente
dobbiamo provvedere all’acquisto delle nuove e considerare che queste ultime potrebbero
avere ingombro maggiore;
- Infortuni sul lavoro: se ci sono molti infortuni è indice di un cattivo layout (es. flussi incrociati
degli operatori);
- Ambiente di lavoro non soddisfacente: esempio è la vicinanza dell’ufficio progetti al reparto
stampaggio di lamiere che fa molto rumore, oppure un reparto verniciatura vicino a quello
di fresatura;
- Necessità di ridurre i costi: consideriamo l’esempio di due reparti che sono in continua
collaborazione, se questi si trovano a grande distanza avremo un costo che cresce con
l’aumentare di quest’ultima (dovuto al costo del trasporto).

8.2 Problematiche del layout


A seconda delle modifiche da apportare riconosciamo alcuni vincoli.
Possiamo avere delle linee che non possiamo toccare, ne conseguirà che modificheremo
parzialmente il nostro layout; quando dobbiamo trasformare l’intero layout o trasferire un impianto
in uno stabilimento già esistente, dobbiamo tenere conto del vincolo di spazio dovuto al capannone
già presente. La situazione più facile da gestire è quella in cui ci troviamo se dobbiamo progettare
da zero un impianto. Solitamente vorremmo comunque avere un capannone con una forma
regolare in modo tale da essere adattabili anche alle future configurazioni.

14
8.3 Obbiettivi dello studio del layout
1) Semplificare il processo produttivo: si opta per la soluzione impiantistica più semplice poiché
vuol dire ottimizzare i tempi, aumentare la qualità e ridurre i costi;
2) Aumentare il grado di utilizzazione dell’impianto: se il layout è fatto male, si possono avere
macchine ferme a causa di mancanza dei materiali, in questo modo il TRS si riduce, quindi la
soluzione migliore è quella dove tutte le macchine sono costantemente utilizzate;
3) Ridurre le scorte dei reparti e dei magazzini: ridurre le scorte significa avere un immobilizzo
finanziario (semilavorati, prodotti finiti con un certo valore aggiunto) e dei costi dovuti ai
prestiti delle banche, bisogna allora garantire un flusso costante;
4) Facilità degli interventi di manutenzione: quando facciamo manutenzione dobbiamo avere
la possibilità di intervenire senza creare ingombro o dover fermare altre macchine;
5) Aumentare la produzione a parità di macchine: se riesco ad aumentare il grado di
utilizzazione di fatto sto aumentando la produzione;
- 2,3,4,5 sono tutte racchiuse in 1.
6) Ridurre il costo del trasporto dei materiali: riduciamo il costo con il metodo dell’intensità di
traffico, dato che il trasporto non da valore aggiunto;
7) Utilizzare al meglio lo spazio disponibile: nel caso in cui la domanda cresce dobbiamo
espandere l’impianto, se abbiamo la possibilità di stringerci, ottimizziamo gli spazi evitando
di rifare da capo lo stabilimento (anche se la manutenzione richiederà più tempo);
8) Evitare investimenti non necessari: se sfrutto meglio le macchine posso evitare di comprarne
in eccesso, questo si ha disponendo bene il layout;
9) Utilizzare al meglio il personale: per la manodopera diretta devo garantire vicinanza tra
macchinari e magazzino utensili mettendo quest’ultime in posizione baricentrica, così
diminuisco il tempo di cambio utensile.

8.4 Metodi di valutazione


Per scegliere il layout dobbiamo avvalerci di metodi di valutazione, dobbiamo quindi considerare
più soluzioni e confrontarle tra loro attraverso determinati parametri di valutazione.
I metodi ai quali si fa ricorso sono:
- Impianto pilota: un modello in scala ridotta dell’impianto, con un costo nettamente inferiore
all’impianto vero e proprio, è un metodo superato poiché ora esistono i software;
- Confronto dei costi: posso scegliere la soluzione che mi dà un minor costo di esercizio o di
impianto ad es. scegliendo fra automazione rigida o flessibile, poiché l’automazione rigida
ha un costo di impianto maggiore ma di esercizio basso;
- Valutazione della produttività: tra le varie soluzioni di layout scelgo quella che ha la
produttività maggiore, che significa produrre di più a parità di risorse;
- Valutazione delle aree: se ho problemi di spazio scelgo quella che occupa il minor spazio;
- Metodo di bilanciamento della produzione: se la domanda del mercato me lo consente
posso bilanciare le linee di produzione, altrimenti devo adeguarmi alla richiesta ed avere
linee sbilanciate;
- Curva di livello: sono curve sulle quali posso immaginare differenti layout che raggiungono
lo stesso livello in termini di prestazioni, ci vuole però tempo per scegliere la soluzione
adatta;
- Metodo di intensità di traffico: metodo che mi consente di minimizzare i costi di trasporto;
- Simulazioni: metodo più avanzato che richiede anche un investimento maggiore per la scelta
del layout, tutto viene effettuato grazie a dei software che tengono in considerazione anche
le variabili aleatorie;
- Metodo dei voti: do un’importanza ad ogni metodo di valutazione stabilendo delle priorità.
15
Il layout che consente di massimizzare tutti i parametri non esiste, la scelta deve ricadere, quindi,
sul layout che mi fa ottenere le il soddisfacimento delle condizioni al contorno che dipendono da
varie cose (es. mercato in cui opero, ordini esigenti, ecc.). Nel momento in cui realizzo l’impianto
dovrò arrangiarmi di fronte alle avversità quotidiane. Per fare uno studio analitico del layout devo
avere dei dati a disposizione.

8.5 Raccolta ed elaborazione dati


La raccolta e l’elaborazione dei dati ovviamente sono necessarie per realizzare lo studio del layout.
Il primo elemento da determinare è il volume di produzione relativo ai prodotti che voglio mettere
sul mercato. Partendo dalla distinta base possiamo capire quali componenti produrre e quali
comprare per poi effettuare l’assemblaggio, ovviamente da questo il nostro impianto potrà risultare
semplificato o meno.
L’azienda può sfruttare dei diagrammi di lavorazione per capire quali devono essere le fasi dei
processi (schema di procedimento, diagramma di flusso, schema di flusso).
Sulla base di questo diagramma si pongono degli interrogativi, ossia:
• Che prodotto dobbiamo fare?
• Che fasi stiamo analizzando?
• Qual è il tempo ciclo necessario per realizzare una determinata fase su ogni prodotto?
Possiamo pensare di moltiplicare il tempo ciclo per le quantità e otteniamo un certo numero di
ore/macchina in funzione di questo numero valutiamo il numero di macchine da comprare, tenendo
conto del volume di produzione, degli scarti (attraverso il TRS) e del tempo standard. Dopo aver
superato questi primi problemi, bisogna considerare quello che sarà lo spazio occupato dalle
macchine utilizzate moltiplicate per un coefficiente di amplificazione, in aggiunta a quelli che sono
definiti spazi tecnici, ossia: spazio per l’operatore, spazio per i pezzi da lavorare, spazio per i pezzi
lavorati, spazio per interventi di manutenzione e spazio per il passaggio del carrello a forca.
Oltre agli spazi tecnici bisogna considerare lo spazio per la linea di montaggio e per il reparto
collaudo. Per le materie prime ed i prodotti finiti servono dei magazzini, dei parcheggi per i mezzi di
trasporto. A questi si addizioneranno gli spazi necessari per gli uffici ed i bagni.
Resta quindi da calcolare l’altezza del capannone e dimensionare le fondamenta in funzione del
peso dinamico delle macchine.

8.6 Diagrammi di lavorazione


I diagrammi di lavorazione fanno ricorso alla simbologia ASME:

lavorazione

collaudo

trasporto operazioni combinate

immagazzinamento

attesa/sosta

Solo le fasi di lavorazione e collaudo danno valore aggiunto al prodotto. Lo scopo è minimizzare le
fasi passive, cioè le restanti tre.

16
Queste fasi possiamo riportarle in diversi diagrammi:
- Schema di procedimento: in esso compaiono solo le fasi attive delle varie parti che
compongono il prodotto. Lo schema di procedimento si fa solo per grossi volumi di
produzione, sono presenti anche i tempi di ogni operazione e la loro ubicazione.
Periodicamente vado a controllare lo schema di procedimento cercando di semplificare, cioè
di ridurre, il numero di fasi da cui è composto (es. piastrina prodotto finito, lamiera materia
prima; operazione di tranciatura, stampaggio per fare i fori se volume di produzione elevato,
altrimenti uso il trapano; collaudo; filettare i fori; collaudo; trattamento chimico; collaudo);
- Schema di flusso: troviamo tutte le fasi sia passive che attive, ho 5 colonne ed una linea
spezzata che indica le varie fasi.
Le varie fasi vengono descritte man mano che
vengono compiute, in ordine sequenziale. Se la
spezzata è molto frastagliata si può facilmente
intuire che c’è qualche errore nella costruzione del
diagramma.
Posso contare quante fasi di ogni tipo si susseguono
e costruire una tabella dove riporto oltre al numero
di fasi, le distanze dei trasporti e i tempi di
lavorazione (quindi il tempo necessario all’oggetto
per superare ogni fase).
Una volta superata questa prima parte posso pormi
delle domande su chi, come, dove, quando e perché
si fanno certe operazioni, per capire se vengono
svolte in modo corretto, nel posto giusto, dalla
persona adatta (es. se l’operazione di trasporto di un
pezzo viene effettuata da un operaio specializzato a
svolgere altre funzioni si può evitare che questo si
ripeta). Uno schema di flusso è migliore di un altro se
ha un numero minore di fasi ovviamente a parità di
prodotto finito e di materia prima da utilizzare.

- Diagramma di flusso: è una rappresentazione in pianta del layout di stabilimento,


contenente i simboli ASME e per ogni prodotto sono riportati i flussi (percorso che deve fare
ogni prodotto). In questo modo sarà possibile individuare le zone in cui i flussi sono più
caotici; flussi caotici comportano aumento degli incidenti, tempi di attesa, mancanza di
qualità, ecc. “Ma allora chi li ha fatti ha sbagliato?” – non è detto, può essere che in quel
momento fosse la soluzione ottimale, possono scaturire da ampliamenti dell’impianto e
quindi determinati da un aumento della produzione.
Questi tre diagrammi sono complementari tra loro perché sottolineano aspetti diversi. Prima di
optare per qualsiasi layout bisogna stabilire il piano di produzione (job shop, flow shop, ecc.) poiché
in funzione di questo cambiano i sistemi di trasporto interni, costi di produzione e di impianto, forma
del terreno, flessibilità, condizioni degli ambienti di lavoro.

17
8.7 Metodo dell’intensità di traffico
Il metodo dell’intensità di traffico ci consente di minimizzare il costo dei trasporti interni nell’unità
di tempo.
𝒏 𝒏

𝑪 = ∑ ∑ 𝑷𝒊𝒋 ∙ 𝒄𝒊𝒋 ∙ 𝒅𝒊𝒋 [€⁄𝑢𝑛𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜]


𝒊 𝒋
Dove i e j sono i reparti, 𝑃𝑖𝑗 sono i flussi complessivi nell’unità di tempo tra il reparto i e quello j, 𝑐𝑖𝑗
costi unitari di trasporto per unità di distanza tra i e j, 𝑑𝑖𝑗 è la distanza tra i baricentri di i e j.
𝑑𝑖𝑗 è noto una volta fissato il layout, 𝑐𝑖𝑗 dipende dal mezzo di trasporto, mentre 𝑃𝑖𝑗 ho bisogno di
calcolarlo tramite un tabella prodotti-reparti:
• Fasi di lavorazione di A: 1-3-2-5
A B C D
• Fasi di lavorazione di B: 1-2-4-5
1 • Fasi di lavorazione di C: 1-4-3-5
2 • Fasi di lavorazione di D: 1-2-5
reparti

3
4 q è misurata in [unità di carico]
5
q 20 50 70 10

Da questa matrice ne dobbiamo creare un’altra che conterrà 𝑃𝑖𝑗 :

𝑑𝑎⁄ 1 2 3 4 5 Conosciamo ora le 𝑃𝑖𝑗 e possiamo andare a


𝑎
1 0 50+10 20 70 0 trovare le 𝑑𝑖𝑗 che minimizzano i costi totali
2 0 0 0 50 20+10
3 0 20 0 0 70
4 0 0 70 0 50
5 0 0 0 0 0

Quando sommo le quantità dei diversi prodotti devo stare attento all’unità di misura a cui fare
riferimento.
Non posso ovviamente sommare 20 kg di acciaio con 20 kg di polistirolo espanso perché
evidentemente occupano volumi completamente diversi e quindi cambia il modo di trasportarli.
Allo stesso modo non posso sommare 1 𝑚3 di plastica con 1 𝑚3 di ferro poiché avranno pesi
completamente differenti.
Si sceglie allora come unità di misura l’unità di carico (1 pallet).

18
8.7.1 Modello dell’intensità di traffico
Per adoperare questo modello si usano dei software che permettono appunto di minimizzare il
costo dei trasporti nell’unità di tempo.
In questo modello si considerano per semplicità le 𝑑𝑖𝑗 che sono le distanze tra i baricentri dei reparti
uguali alle distanze percorse dai mezzi di trasporto.

Il rettangolo grande è lo stabilimento, i


rettangoli più piccoli sono i reparti mentre le
linee sono i macchinari.
L’unica costante nel tempo è 𝑐𝑖𝑗 , mentre 𝑃𝑖𝑗
cambia ogni qualvolta viene modificato il
piano di produzione.

Il numero di combinazioni è elevato quindi mi serve un criterio con cui iniziare a disporre i reparti.
A seconda dei criteri esistono diversi programmi:
- ALDEP: diamo in input 𝑐𝑖𝑗 , 𝑃𝑖𝑗 e la dimensione dei reparti. Il programma parte da un reparto
e posiziona vicino ad esso quelli con cui scambia più frequentemente ripetendo
quest’operazione per ogni reparto, in modo tale che dove 𝑃𝑖𝑗 è maggiore avremo una
distanza minore. Avremo tante configurazione quanti sono i reparti, quindi, il programma
calcolerà il costo totale per ogni configurazione ottenuta. Con questo programma non ho
vincoli per quanto riguarda la dimensione e la forma del capannone. Il capannone sarà
difficilmente adattabile ai diversi piani di produzione futuri;
- CORELAP: in aggiunta agli input dell’ALDEP abbiamo la dimensione e la forma dell’intero
impianto. Questo programma è utile quando lo stabilimento è già esistente e a differenza
dell’ALDEP mi dà una forma che consente cambiamenti di layout. Il programma parte dal
reparto che ha i maggiori flussi e continua con la stessa logica dell’ALDEP. Se fuoriusciamo
dai limiti del capannone il programma stesso sposta i reparti in modo da entrarci;
- CRAFT: in aggiunta agli input dell’ALDEP conosciamo la disposizione iniziale. Con questo
programma quindi si sposteranno solo pochi reparti ottimizzando i costi. Inizia dai reparti
con superficie simile, lati in comune oppure reparti che hanno lati in comune con un terzo
reparto. Per ogni configurazione calcola ovviamente i costi.
Questi programmi non considerano che alcuni reparti non possono stare vicini, quindi dobbiamo
scartare le configurazioni che non rispettano questo vincolo.

19
9. Trasporti ed immagazzinamento

9.1 Trasporti
Il trasporto nel job shop avviene per lotti, il che implica dei tempi di attesa notevolmente maggiori
rispetto al flow shop. Bisogna dimensionare anche i mezzi di trasporti e i magazzini.
Gli obbiettivi sono:
• minimizzare il costo di trasporto nell’unità di tempo;
• ridurre scarti e perdite;
• aumentare l’efficienza dell’azienda, diminuendo i tempi di attesa che non vengono considerati nel
TRS ma che sono presenti nel rendimento globale;
• migliorare le condizioni di lavoro.
Come abbiamo detto il trasporto è una fase passiva, devo perciò impiegare meno possibile l’uomo
essendo una risorsa molto costosa. I mezzi, di contro, devono essere utilizzati spesso per
ammortizzare il loro costo di acquisto (es. non acquisto un carroponte per utilizzarlo poche volte
all’anno). In fase di progettazione approssimiamo sempre per difetto sperando di riuscire a
soddisfare le nostre esigenze.
Cerchiamo sempre di avere un certo livello di meccanizzazione e quando possibile usiamo la gravità.
Il valore di un mezzo di trasporto dipenda dalla sua flessibilità. Ci sono mezzi che possono servire
un’intera superficie (alta flessibilità) e mezzi che possono servire una sola linea (bassa flessibilità).
Conviene spendere di più inizialmente e comprare mezzi a superficie, a meno che non abbia un
impianto che deve fare sempre la stessa cosa.
Bisogna proporzionare il peso del mezzo a quello del carico trasportato sia per motivi di sicurezza,
sia per evitare costi inutili.

9.1.1 Capacità di trasporto

𝑄
𝐶 = 𝑇 quantità trasportabile nell’unità di tempo.

Vogliamo mezzi che massimizzano C. I trasporti sono costituiti da 4 fasi che sono carico, trasporto,
scarico e tempo per tornare indietro. Li classifichiamo in tre categorie:
- Discontinui: le 4 fasi vengono portate avanti una dopo l’altra, il veicolo sarà quindi fermo
nelle fasi di carico e scarico. Il tempo di trasporto è dato dalla somma dei 4 tempi. A parità
di volume per aumentare la capacità di trasporto nell’unità di tempo devo ridurre questi
tempi, posso agire ad esempio ridurre i tempi di carico e scarico adottando particolari
strumentazioni. Considerando mezzi come i treni però si può optare, anziché ridurre questi
tempi, di aumentare la velocità, più nello specifico regolare le accelerazioni e le
decelerazioni. Per lunghi tratti abbiamo tutto l’interesse di farlo, mentre per brevi tratti
invece no (metropolitana);
- Continui: in questo caso il sistema di trasporto è alimentato con continuità, le 4 fasi possono
avvenire simultaneamente (es. nastro trasportatore);
- Semicontinui: il sistema di trasporto è alimentato a tratti e le 4 fasi possono avvenire
simultaneamente (es. seggiovia).

20
9.1.2 Classificazione e analisi del materiale da trasportare
I materiali da trasportare si possono classificare in:
• liquidi;
• in pezzatura o sciolti;
• colli.

Una bottiglia d’acqua non viene classificata come liquido. I liquidi vengono trasportati
N.B. nelle tubazioni.

Per i liquidi dobbiamo andare a definire quali parametri prendere in considerazioni (es.
temperatura, corrosività, ecc.), poiché in base a tali parametri utilizzeremo differenti tipi di
tubazioni.
Possiamo avere liquidi a temperatura ambiente oppure ad alta temperatura. I primi avranno
bisogno di tubazioni che non alterino le proprietà chimiche del liquido (es. per il latte userò tubazioni
in acciaio INOX). Per i secondi devo avere tubature coibentate per diminuire al minimo le dispersioni
di calore e quindi evitarne la solidificazione, la coibentazione ha costi che aumentano all’aumentare
dello spessore.
Partendo da questi presupposti consideriamo le caratteristiche fisiche che ci interessano al fine di
dimensionare il mezzo di trasporto:
- Leghe a temperatura ambiente: ci interessano peso specifico, corrosività e viscosità. Il peso
specifico ci permette di dimensionare i supporti delle tubazioni, la viscosità per
dimensionare le pompe che dovranno vincere le perdite di carico, mentre la corrosività ci
obbliga a scegliere un determinato materiale che non si lascia corrodere;
- Liquidi ad alta temperatura: ci interessano viscosità, peso specifico, temperatura di
solidificazione e aggressività verso il refrattario. La temperatura di solidificazione
ovviamente non deve essere raggiunta grazie ad un isolante mentre per l’aggressività devo
scegliere un refrattario compatibile chimicamente col fluido trasportato;
- Solidi fluidificati in acqua: oltre a peso specifico, corrosività e viscosità dobbiamo considerare
la granulometria e l’abrasività. All’aumentare della granulometria aumenta la velocità di
sedimentazione, dunque la velocità dell’acqua deve essere maggiore di questa per evitare
l’ostruzione delle tubazioni. L’abrasività è presente anche se le particelle sono diluite in
acqua, quindi le tubature si assottiglieranno con il tempo.
I materiali in pezzatura o sciolti sono solitamente polveri (es. farina), pietre (es. ghiaia), sabbia, ecc.
Le caratteristiche principali sono:
- Peso specifico: dobbiamo considerare quello apparente cioè considerando anche gli spazi
vuoti tra i vari pezzi (es. carico di meloni, un sacco di spazi vuoti, peso specifico apparente
minore di quello effettivo);
- Angolo di attrito: quando il materiale cade su una base forma un cono e l’angolo di attrito è
quello che forma il cono con la superficie su cui poggia. All’ aumentare di questo aumenta la
quantità trasportabile a parità di area di base;
- Fragilità: se trasporto lampadine devo stare attento ad evitare urti;
- Temperatura: se la temperatura è elevata non posso scegliere un nastro trasportatore in
gomma;
- Abrasività: il nastro trasportatore può usurarsi, sappiamo quindi che dopo un certo periodo
di tempo dovremo cambiarlo;
- Elettrificabilità: è la capacità del nastro di caricarsi elettricamente. Dovrò disporre di una
messa a terra;
- Pericolosità polveri: la polvere di alcuni materiali può causare incendi.

21
I materiali in colli o unitarizzati si presentano solitamente in scatole.
Ci interessano in questo caso:
• dimensione e peso del collo;
• fragilità dell’imballaggio o del contenuto.

9.1.3 Tipologie di mezzi trasporto


Possiamo scegliere tra diversi tipi di mezzi di trasporto interni. Ad esempio i carroponti, sono mezzi
a superficie che però devo prevedere in fase di progettazione andando a dimensionare i supporti
della copertura del capannone in funzione dei pesi da sostenere. Il carroponte ha il vantaggio di
essere l’unica soluzione per pesi elevati come quelli ad esempio di una macchina utensile. Possiamo
installarne anche più di uno però ad altezze diverse con carichi supportati diversi. Altri mezzi sono i
carrelli elevatori che necessitano però sempre di un operatore e hanno quindi un elevato costo di
gestione, ma hanno anche un’elevata flessibilità. Un’alternativa efficiente ai carrelli elevatori sono i
carrelli AGV. Questi non necessitano di un operatore, inoltre prevengono gli incidenti essendo gestiti
da un computer e dispongono di diversi dispositivi di sicurezza che fermano il carrello quando si
avvicinano troppo per esempio ad un operaio. Ovviamente devo disporre in questo caso di un
software che indica per ogni prodotto il corrispondente posto in magazzino.

9.2 Magazzini
I magazzini, come già detto, hanno il compito di garantire un posto alle materie prime ed ai prodotti
finiti, presentano dunque dei costi di gestione.
Sono dimensionati rispetto alla domanda di mercato, in modo da far fronte anche a determinati
imprevisti, si dispone talvolta anche di scorte di sicurezza. Il magazzino riveste grande importanza
all’interno dell’azienda perché consente di effettuare grandi ordini ai fornitori in modo tale da
risparmiare, inoltre fare la “spesa” quotidianamente risulta molto costoso anche in termini di
trasporto. I magazzini materie prime costituiscono una discontinuità tra fornitori e produzione,
mentre quelli dei prodotti finiti una discontinuità tra produzione e cliente. La fase di
immagazzinamento è una fase passiva pertanto non apporta valore aggiunto al prodotto e, se
gestito malamente, può portare a elevati costi di obsolescenza, di immobilizzazioni e oneri
finanziari.

9.2.1 Parametri di dimensionamento del magazzino


Sono parametri indipendenti tra di loro che analizzano aspetti diversi, sono quattro:
- Indice di utilizzazione superficiale: è il rapporto tra la superficie occupata dagli scaffali e la
𝐴𝑠𝑐𝑎𝑓𝑓𝑎𝑙𝑖
superficie totale del magazzino 𝐼𝑠 = 1. Questo indice fa capire quanto è utilizzata
𝐴𝑡𝑜𝑡
bene la superficie e dipende in gran parte dal mezzo di trasporto utilizzato, infatti un
magazzino manuale avrà corridoi più stretti rispetto ad un magazzino che utilizza carri
elevatori (𝐼𝑠,𝑚 < 𝐼𝑠,𝑎 ), a parità di materiali avremo bisogno di una superficie maggiore. Se
utilizzo un traslo elevatore non ho bisogno di fare manovre ed avrò corridoi più stretti
rispetto al caso dei muletti;
- Indice di utilizzazione volumetrico: è il rapporto tra il volume degli scaffali ed il volume del
𝑉𝑠𝑐𝑎𝑓𝑓𝑎𝑙𝑖
magazzino 𝐼𝑣 = 1. È più importante di quello superficiale perché fornisce più
𝑉𝑡𝑜𝑡
informazioni (altezza degli scaffali). Ovviamente con un magazzino manuale avrò un 𝐼𝑠
elevato mentre un 𝐼𝑣 molto basso. Carri elevatori e traslo elevatori presenteranno un 𝐼𝑣
maggiore perché potranno prelevare le materie ad altezze maggiori;

22
- Indice di selettività: è il rapporto tra gli articoli prelevabili senza spostarne altri e gli articoli
totali, ovviamente deve essere più elevato possibile per ridurre il tempo di prelievo;
aumentare l’indice di selettività significa aumentare i costi perché a parità di articoli avremo
bisogno di un magazzino più grande, quindi devo decidere in base alla frequenza delle
movimentazioni perché da esse dipende il tempo perso;

- Indice di rotazione dei materiali: è il rapporto tra i materiali in uscita in un certo intervallo di
tempo e la giacenza media di quell’intervallo, questo valore può essere maggiore di 1, anzi
deve essere più alto possibile, poiché significherebbe avere alta richiesta del mercato e basse
giacenze. L’intervallo di tempo deve essere significativo poiché in un giorno potrebbe anche
non uscire nulla. Sul numeratore non si può intervenire poiché dipende dal mercato, però
possiamo modificare e quindi ridurre il denominatore, minori scorte, riducendo i costi di
gestione. Possiamo considerarlo come un indice di efficienza, misurando analiticamente la
corretta gestione del magazzino.

9.2.2 Tipologie di magazzino


Esistono diverse tipologie di magazzino, ognuno con i suoi indici caratteristici
Abbiamo magazzini manuali dove l’operatore si occupa di tutto; in questi magazzini avrò limiti
sull’altezza degli scaffali e sul peso degli oggetti, posso aumentare l’altezza sviluppando il magazzino
su più piani ma così aumenterò il tempo di servizio.
Ci possono essere scaffali scorrevoli quando gli oggetti non sono troppo pesanti in modo da
aumentare l’indice di utilizzazione superficiale. Esistono scaffali a gravità adoperati soprattutto
quando non si hanno problemi di fragilità e di deperibilità. Questi scaffali permettono infatti di
adoperare la strategia FIFO (First In First Out). Se ho materiali fragili o incertezza sul contenuto
invece che avere rulli folli che ruotano per effetto della gravità posso utilizzare dei motori elettrici
gestiti da un computer ma che avranno costi di elettricità maggiori.
Ci sono magazzini meccanizzati che si dividono in: manuali, semi-automatici e automatici.
Quelli manuali hanno un operatore che con un joystick muove una piattaforma e raggiunge il punto
voluto. Quelli semi-automatici raggiungono la cella voluta grazie al computer e l’operatore preleva
il pezzo, mentre in quelli completamente automatici l’operatore non è più presente e possiamo
avvalerci di un magazzino privo di luci (al computer non servono) abbassando i costi energetici. Il
computer deve sempre conoscere posizione e quantità degli elementi in magazzino.
L’ultima tipologia è quella dei magazzini auto-portanti dove le scaffalature, oltre a contenere la
merce stoccata, devono essere idonee a sorreggere l’intera costruzione.

23
10. Analisi degli investimenti industriali
L‘analisi degli investimenti industriali permette di definire le probabilità che un certo investimento
futuro abbia un risultato positivo. Definiamo quindi i flussi di cassa come i soldi che effettivamente
entrano ed escono dall’azienda.
L’utile è frutto di un calcolo basato su principi fiscali e normative al fine di determinare la
percentuale di questo che corrisponderà alle tasse da pagare. La somma algebrica dei flussi di cassa
non corrisponde all’utile. I flussi di cassa sono importanti perché da questi dipende la disponibilità
liquida, infatti grandi utili con pagamenti non pervenuti possono portare al fallimento.
• Quando si fa un investimento dobbiamo fare una previsione su quali siano i flussi di cassa!
Dobbiamo tenere sotto controllo la situazione finanziaria per conoscere in anticipo i momenti di
difficoltà e quindi evitare degli investimenti in determinati periodi, nonostante questo l’obbiettivo
rimane sempre l’utile che può presentarsi anche dopo un lungo periodo; per l’azienda è
fondamentale tirare avanti con i soldi in cassa e quindi evitare il fallimento fino al raggiungimento
dell’utile.
Come si fa a scegliere tra vari investimenti?
Esistono tre metodi principali per determinare quale investimento scegliere:
- Payback period: cioè periodo di ritorno di un investimento, è il metodo più semplice. Si ha
un flusso di cassa uscente all’inizio del periodo che corrisponde all’investimento iniziale. Si
ipotizza che negli anni successivi si abbia un flusso di cassa positivo; il payback period è il
tempo necessario affinché i flussi di cassa entranti in questo intervallo siano pari a quello
iniziale uscente.

Fig. 2.15

+33% +33% +33%

anni

-100%

Nel caso di figura 2.15 il payback period è di 3 anni; al crescere di questo periodo
l’investimento diventa meno attraente. Il limite di quest’analisi è che si ferma al periodo di
payback non conoscendo cosa succede a valle di esso. Gli investimenti con payback veloce
solitamente hanno bassa redditività nel tempo, a differenza di quelli con payback lento.
Considerando che i flussi di cassa entranti sono delle stime, all’aumentare del payback le
stime diventano meno attendibili, quindi esistono altri metodi che tengono conto di questa
variazione;
- NPV (Net Present Value): definiamo il tasso di capitalizzazione i che permette di identificare
il valore che una certa somma 𝐹0 investita oggi avrà fra n anni: 𝑭𝒏 = 𝑭𝟎 ∙ (𝟏 + 𝒊)𝒏 .
Ad esempio se investiamo 𝐹0 in banca, i sarà il tasso di interesse della banca ed 𝐹𝑛 la somma
che ci verrà restituita. Nella realtà i non è costante nel tempo mentre lo è nella nostra ipotesi.

24
Al contrario definiamo il tasso di attualizzazione che corrisponde al valore attuale di un
investimento fatto n anni prima:
𝒏

𝑵𝑷𝑽 = ∑ 𝑭𝒌 ∙ (𝟏 + 𝒊)−𝒌
𝟎
Questa volta la sommatoria tiene conto che un flusso di cassa nell’anno k non avrà lo stesso
valore dei flussi di cassa degli anni precedenti, infatti il termine (1 + 𝑖)𝑛 è al denominatore
quindi il valore dell’investimento si è ridotto. Un altro vantaggio è che questa volta possiamo
estendere l’analisi oltre il payback period, anche se gli 𝐹𝑘 rimangono delle stime che possono
avere anche segno negativo.
Tra due investimenti ora mi basterà scegliere quello che ha un NPV maggiore.
Il problema sta nell’individuare n e i: n è l’orizzonte temporale di interesse, dipende dalle
diverse durate tecnologiche, fisiche e contabili delle risorse in cui voglio investire.
Solitamente si sceglie n=5, porre n=10 ha poco senso poiché gli elementi della sommatoria
avranno valori bassi.
Per scegliere i invece devo fare un ragionamento più complicato, prima di tutto devo capire
quei soldi investiti da dove vengono, se vengono da una singola banca esso coinciderà con il
tasso di interesse della banca. Solitamente chiedo i soldi a diverse banche, con cui ho diversi
rapp
orti e quindi subirò trattamenti differenti. In questo caso devo scegliere un valore di i
intermedio.
Posso anche decidere di accettare un NPV negativo, ad esempio se voglio sfruttare
quell’investimento per conoscere un certo mercato o una certa tecnologia.
Posso fare analisi semplificate dove per differenti investimenti ipotizzo pari produzioni,
quindi calcolerò gli NPV considerando solo i flussi di cassa uscenti e sceglierò l’investimento
che avrà NPV meno negativo.
- NPV a 3 valori: vogliamo passare da un’analisi deterministica di dati incerti ad un’analisi
probabilistica. Questo è dovuto al fatto che l’NPV potrebbe assumere valori negativi col
passare del tempo, ora, con un’analisi probabilistica vogliamo conoscere la probabilità che
l’NPV sia negativo, quindi il rischio dell’investimento. Do 3 valori ad ogni 𝐹𝑘 (avrò quindi 3n
valori da attribuire ), uno ottimistico, uno probabile e uno pessimistico, inoltre, ad ognuno
di questi valori attribuisco una certa probabilità di accadimento (altri 3n valori da attribuire).
Calcolo l’NPV per tutte le combinazioni possibili (con n=5 saranno 35 combinazioni) e
attribuisco ad esso una certa probabilità data dal prodotto delle probabilità dei rispettivi 𝐹𝑘 .
Cosi grazie a programmi di calcolo posso conoscere la densità di probabilità cumulata e
verificare la probabilità che l’NPV sia negativo.

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Fisciano lì, 12/06/2017 Firma

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