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DIDATTICA DELLA MUSICA NEL NOVECENTO

- Il concetto di metodo attivo e origini

Per "metodo attivo" si intende una tecnica di apprendimento con incluse esperienze sensitive e motorie
dell'allievo quindi, come lascia intendere il nome, con azioni e/o oggetti che suscitano l'interesse ludico
dell'allievo, collocandosi in maniera opposta all'insegnamento teorico.

In musica, il metodo attivo è presente in ogni situazione in cui l'allievo è spinto a fare musica ben prima di
impararne la teoria ad esempio con il canto, giochi ritmici corporei o utilizzo di semplici strumenti musicali,
rendendolo parte attiva e centro della propria crescita musicale piuttosto che condizionarlo alla logica
dell'adulto in formazione. Il repertorio utilizzato è quello delle canzoni d'infanzia, di folklore regionale,
filastrocche ecc, apprese solitamente a casa, all'asilo, doposcuola o altre istituzioni prescolari simili,
divertendo l'allievo e allo stesso tempo applicando le direttive del musicista educatore. A parte il metodo
Suzuki, in generale il metodo attivo quindi non è per una formazione strumentale specifica.

Il concetto di metodo attivo ha trovato applicazione nell'educazione musicale per opera di alcuni
compositori neoclassici affermatisi nel ventennio tra la prima e la seconda guerra mondiale e uno
strumentista:

- Dalcroze, Willems (Svizzera)

- Kodàly (Ungheria)

- Carl Orff (Germania)

- Maurice Martenot (Francia)

- Suzuki (Giappone - violinista)

Il loro pensiero comune era che ogni essere umano fosse dotato di attitudini musicali demolendo il
pensiero contrapposto di riservare l'educazione musicale ai soli allievi di talento.

Storicamente comunque il concetto di educazione attiva era già presente dal Medioevo (Es: in musica con
Guido d'Arezzo, che utilizzava gli incipit dei canti liturgici per far studiare gli intervalli melodici) e
successivamente si è sviluppato da Rousseau, che dalle osservazioni dei filosofi sensisti durante il XVIII
secolo, trasse il suo trattato "Èmile ou De l'èducation" (1762). Sulle orme di Rousseau troviamo Johann
Pestalozzi e Maria Montessori (il primo ad esempio faceva studiare geografia esplorando la loro regione per
tracciarne la mappa o la fisica manipolando degli oggetti del loro ambiente).

I primi approcci per imparare la musica consistevano nel cantare e ritmare i loro giochi infantili senza in un
primo tempo preoccuparsi di notazione, lettura, tonalità ecc...

Dalcroze, Willems e Martenot si avvarrano delle sue teorie per elaborare i loro metodi di educazione
musicale.

- Metodo Dalcroze

Il pensiero di Dalcroze è quello che la musica ha un ruolo di fondamentale importanza nella formazione del
cittadino.
L'approccio educativo di Dalcroze è quello di riunire musica, danza e ginnastica con una particolare
attenzione sul ritmo e sulla sua espressione attraverso il movimento.

L'allievo è in un primo luogo sollecitato ad ascoltare e reagire fisicamente alle caratteristiche della musica
che gli giunge (Es: un improvviso cambiamento di registro, un allegro saltellamento della melodia, salti,
glissandi ecc... determineranno negli allievi un determinato comportamento) abituandolo alle strutture
musicali e alle potenzialità espressive della musica, con particolare attenzione per le azioni compiute con le
gambe che forniscono maggiore sicurezza ritmica al resto del corpo (la camminata).

La formazione melodica consiste nello studio sulla differenza tra tono e semitono e lo studio sulle tonalità
partendo sempre dalla nota Do.

È possibile utilizzare accessori quali:

Palline (che con il lancio ed il recupero permette di studiare il ritmo)

Fazzoletti (per l'analogia tra acuto/grave e alto/basso nello spazio)

Cerchi (per delimitare spazi dove l'allievo andrà in base allo svolgimento della melodia).

- La concezione di Kodàly

Il metodo di Kodàly si basa principalmente su due tecniche: la solmisazione relativa e la fonomimica.

La solmisazione è un metodo di formazione dell'orecchio armonico e melodico sviluppato dapprima da


Guido d'Arezzo, poi da Rosseau e adottato quindi dallo stesso Kodàly. Consiste nell'associare, a partire dal
canto, la struttura della scala alle sillabe latine, senza considerare la tonalità assoluta. La nota Do
corrisponderà ad ogni tonica maggiore, il La a quelle minori.

La fonomimica consiste nell'utilizzare gesti specifici da far corrispondere alla sillaba della scala, che con la
solmisazione sarà svincolata dalla tonalità. (Es: avremo un gesto per il Do che corrisponderà alla tonica di
ogni scala maggiore).

La formazione ritmica viene sviluppata attraverso onomatopee che dovranno corrispondere a determinati
disegni ritmici.

Il repertorio utilizzato sarà quello facente parte del folklore caratteristico di ogni regione, filastrocche e le
canzoni per l'infanzia.

- Il metodo Martenot

Il metodo Martenot si propone di iniziare gli allievi alla lettura musicale convenzionale prestando
attenzione alla psicologia infantile per rendere tutto più accessibile all'allievo (esercizi-gioco).

La scoperta del ritmo musicale viene affrontata tramite le pulsazioni e in seguito attraverso delle
articolazioni vocali onomatopeiche (in modo da educare anche i muscoli dell'apparato verbale).
Vengono utilizzati giochi dell'infanzia presenti nella cultura orale dei bambini di tutto il mondo per
trasporre l'allievo in una situazione apparente di gioco.

Il rapporto tra maestro e allievo si struttura sulla tipologia "solo contro tutti" (Es: il maestro esegue una
breve formula ritmica o melodica che un allievo scelto a caso ripete e poi la classe riprende
collettivamente).

Questo particolare modello deriva dai generi musicali afro-americani, in particolare gli spirituals, e
permette attraverso le numerose ripetizioni, sempre diverse per timbro di voce o per massa sonora,
l'apprendimento evitando che l'allievo si annoi e soprattutto di imparare per imitazione.

Prima di arrivare alla lettura musicale tradizionale, Martenot propone di rendere familiari le figure della
notazione musicale inserendole nei giochi di carte o di domino sulla base del loro valore di durata ritmica.
Su questo principio, assieme alla sua collaboratrice Nelly Caron ha creato la serie "Disques et Images", in 5
volumi, dove affronta l'educazione musicale in maniera strutturata.

- Il metodo Orff

Il metodo Orff privilegia il frazionamento dei pattern ritmici, la loro ripetizione secondo il modello del
maestro (eco) e l'esercizio muscolare meccanico (ostinato).

Il metodo utilizza le percussioni corporee, il parlare ritmato, il canto, lo strumentario Orff, la danza.

Tutto si basa sull'ascolto, non è prevista una partitura musicale (ma è possibile utilizzare, a discrezione del
professore, rudimentali nozioni di lettura/scrittura ritmica)

Inizialmente vengono utilizzate le percussioni corporee ovvero il corpo come strumento produttori di suoni
e timbri molteplici (Es: schiocchi delle dita, battiti delle mani, martellamenti sulla coscia, colpi di piede sul
terreno) che con "l'assolo" del maestro, il "tutti" della classe, i "ripieni" dei sottogruppi e le varie forme
(ripetizione, imitazione, improvvisazione), ha la funzione didattica sia di riscaldamento muscolare
(inizialmente) sia di incrementare le facoltà musicali fondamentali.

Il parlare ritmato si effettua attraverso la scansione dei versi prima ancora di imparare la melodia in quanto
ogni parola ha una sua propria ritmica. Si memorizzano i versi e si superano le difficoltà (Es: di pronuncia)

Una volta familiarizzati gli allievi con i versi grazie alla pratica del parlare ritmato, il professore intraprende il
lavoro melodico, utilizzando il gioco della ripetizione per una facile memorizzazione, allungando
gradualmente l'unità da memorizzare. In seguito si aggiungono progressivamente le sezioni di percussioni
corporee e d'accompagnamento strumentale (provate una ad una in separata sede).

Lo strumentario Orff è costituito da strumenti a percussione, affiancate dal flauto dolce e dal canto,
semplici da maneggiare e con molteplici influenze culturali:

- Xilofoni (Africa)

- Metallofoni (strumenti polinesiani)

- Woodblock e Gong (Cina e Tibet)

- Guiros e Maracas (Sudamerica)


- Flauto dolce e Metallofoni acuti (Europa)

Una volta imparate le melodie e allestita l'orchestrazione corporea e strumentale, viene organizzata una
piccola coreografia. Il fine ultimo infatti è l'utilizzo del corpo intero sulla musica per favorire il rapporto tra
la musica e la gestualità (coordinamento del corpo).

- Il metodo strumentale Suzuki

Suzuki ha rivoluzionato la pedagogia del violino con un approccio originale ed innovativo.

Per i primi anni di studio non viene associato nessun approccio di tipo teorico. Il repertorio dell'allievo, fatto
di canzoni dell'infanzia, viene trasportato nello strumento: prima viene cantata la canzone completa di
parole e melodia, poi viene ripresa cantando le cifre della diteggiatura ed infine suonata sul violino. Lo
studio viene fatto in maniera collettiva con il professore posto di fronte la classe, che farà da esempio sia
come figura carismatica sia proprio a livello tecnico, per il movimento dell'archetto.

Associando la formazione strumentale ad una musicalità semplice basata sul repertorio folklorico e lo
spirito di gruppo il bambino si affeziona al proprio strumento.

- La pedagogia di Willems

Più che un metodo di educazione musicale, Willems ha lasciato numerosi scritti sulla pedagogia musicale,
considerati il fondamento teorico e pratico dell'educazione musicale attraverso il metodo attivo.

L'aspetto teorico è particolarmente delineato in "Le basi psicologiche dell'educazione musicale"(1956)


mentre la dimensione applicativa in "L'orecchio musicale"(1940). Percorrendo la sua letteratura ci si troverà
inoltre di fronte ad un utile confronto tra l'educazione musicale e discipline come la musicoterapia, il jazz e
la formazione virtuosistica.

TENDENZE RECENTI NELLA DIDATTICA DELL'EDUCAZIONE MUSICALE

I metodi storici rappresentano punti di riferimento fondamentali per la didattica musicale ma oggi si cerca
di migliorarli e attualizzarli, smorzandone i difetti e provando a percorrere nuove strade.

- Nuova concezione dell’insegnamento (abilità e creatività)

Viene posto al centro dell'insegnamento il soggetto che apprende e il suo vissuto.

Viene condivisa da pedagogisti e didatti una concezione dell'insegnamento orientato non tanto alla
trasmissione dei saperi quanto alla costruzione di consapevoli abilità: al tradizione concetto di sapere si è
sostituito quello di competenza che collega saldamente sapere teorico e capacità operative. La
competenza infatti dovrebbe consentire all'individuo di operare autonomamente, in contesti differenti
rispetto alla scuola sulla base delle informazioni apprese e delle abilità sviluppate. La musica quindi
rappresenta una delle componenti della cultura globale, utile al proprio sviluppo e alla propria crescita
culturale.

Negli anni Settanta la pedagogia della musica comincia a riflettere sul ruolo che le attività inventive
possono assumere nel processo di apprendimento musicale, definendo la creatività come importante
nella cultura musicale. Si comincia ad affermare infatti che la possibilità di sperimentare in prima persona
gli elementi del linguaggio musicale consente un apprendimento profondo e significativo e
contemporaneamente sviluppa le potenzialità espressive dell'alunno. Si riprende così un'intuizione che
era stata già di Dalcroze e Orff ma che ora viene sviluppata e approfondita fino a fare dell'esperienza
creativa un vero e proprio perno della formazione musicale.

- Didattica moderna e musica contemporanea

Viene mostrato interesse verso l'allargamento del concetto di suono proposto dalla musica
contemporanea con studiosi come Delalande,Keller e Schafer,producendo un radicale cambiamento di
prospettiva: si attribuisce una particolare importanza alla ricerca sonora sulla voce e sugli strumenti,
all'esplorazione delle loro possibilità timbriche e delle tecniche di produzione utilizzabili, incoraggiando i
comportamenti non convenzionali e le "scoperte" originali e trovando una sostanziale affinità tra le
produzioni infantili e i processi compositivi della musica contemporanea.

L'invenzione di notazioni diverse da quella tradizionale e più aderenti ai nuovi prodotti è un altro dei
tratti caratteristici che l'esperienza di quegli anni condivide con la ricerca contemporanea.

- Nuovi repertori e multiculturalità

L'acculturazione musicale di questo fine secolo prevede un repertorio derivante anche dalle proposte di
televisione e mass media: pubblicità, colonne sonore di ogni tipo, musica di consumo e sonorità originarie
di altre culture musicali.

Una delle caratteristiche più interessanti e innovative della didattica musicale degli ultimi decenni è
l'importanza riconosciuta alle attività di interpretazione. Gino Stefani sostiene la natura comunicativa
della musica cercando di inserire attività relative all'interpretazione all'interno di percorsi educativi. La
riflessione sulla musica come strumento di comunicazione ha portato ultimamente a considerare le
possibilità comunicative della musica come una ulteriore risorsa nelle situazioni educative in cui siano
presenti disagi umani, sociali e culturali. La dimensione relazionale della musica, ovvero la sua capacità di
facilitare la costruzione di relazioni umane positive consente di costruire situazioni educative che
permettono a ciascuno di esprimere le proprie potenzialità musicali all'interno di percorsi didattici
collettivi, favorendo un atteggiamento aperto e disponibile nei confronti della diversità. (Barenboim –
West-Eastern Divan Orchestra)

Il desiderio di avvicinare culture diverse si unisce così alla ricerca degli aspetti musicali assorbiti dal nostro
mondo, in percorsi didattici che mirano a far avvicinare gli alunni alla diversità. Non manca chi fa notare
come l'adozione di una tale prospettiva nasconda pericoli e rischi soprattutto all'interno di società in cui
siano presenti delle minoranze: la cultura dominante prospetta disponibilità verso le altre culture, ma gli
appartenenti alle culture minoritarie rischiano di perdere i tratti distintivi delle proprie tradizioni
musicali. La riflessione sulle modalità di apprendimento musicale praticate in culture caratterizzate dalla
trasmissione orale del sapere musicale ha portato in ogni caso a riconsiderare l'importanza, anche per la
nostra tradizione culturale, dell'apprendimento per imitazione (caratteristico di gran parte delle musica
africana).

Alla didattica spetta ora il compito di inserire in repertorio la musica giovanile, in modo da far operare ai
ragazzi su un repertorio a loro caro, compiendo l'analisi formale di brani assolutamente lontani dalla nostra
concezione di discorso musicale. Varie ricerche hanno evidenziato come la musica di consumo sia per gli
adolescenti un'esperienza con i risvolti affettivi molto importanti.

LA FORMAZIONE MUSICALE SUPERIORE IN EUROPA E IN NORD AMERICA

- Questioni terminologiche

Prima bisogna chiarire l’uso di alcuni termini:

- per educazione si intende la trasmissione di contenuti culturali e di sistemi di valore, trattandosi di un


processo orientato allo sviluppo delle persone come esseri umani e sociali, ciò che determina il nostro
modo di essere.
- per istruzione si intendono quelle attività che riguardano obiettivi e contenuti dell’insegnamento.
- Si usa il termine formazione per indicare l’acquisizione di un certo tipo di concetti e abilità necessari per
raggiungere degli obiettivi professionali.

I contenuti dell’apprendimento (concetti e abilità) è possibile classificarli in tre gruppi:

- il “saper fare”, cioè il padroneggiamento della capacità di suonare, comporre e dirigere, quindi alla
pratica musicale.
-il “sapere” musicale considerato come sapere teorico (Discipline musicologiche).
- il “saper far fare” ovvero la didattica e l’educazione musicale. La didattica comprende quelle discipline
che richiedono prima il possesso di saperi musicali e teorici relativi all’insegnamento che si vuole impartire
(Es: didattica degli strumenti). L’educazione musicale comprende un sapere e un saper fare orientati allo
sviluppo della musicalità di tutti coloro che non sceglieranno una professione musicale. L’obiettivo è quello
di fornire a tutti le occasioni di apprendimento necessarie per uno sviluppo ricco e articolato delle proprie
potenzialità musicali. Oggi in Italia l’espressione “educazione musicale” è comunemente usata per indicare
la materia scolastica presente nelle scuole generali.

- Storia

Seguendo queste distinzioni è possibile capire perché esistono diverse istituzioni formative, in
particolare università e conservatori, le prime interessate per tradizione alle discipline accademiche e
quindi al “sapere”, i secondi al “saper fare”. Questa distinzione ha radici storiche lontane, derivando
dall’antica tradizione aristotelica che attuava la divisione tra musica theoretica e musica practica. Da ciò
la distinzione tra musici e cantores, ovvero teorici e pratici, e conteneva un implicito senso di superiorità
nei confronti di quest’ultimi. Nel medioevo con la diffusione del canto liturgico e delle apposite scuole per
cantori, notiamo come, perlomeno nelle scuole più prestigiose, la musica veniva coltivata sia come
scientia sia come ars. Accanto alle scuole per cantori, ecco sorgere nel XIV secolo in Italia, ad opera di
confraternite, i conservatori, con lo scopo di raccogliere orfani, trovatelli e poveri per “conservarli” dai
pericoli della miseria educandoli e insegnando loro arti e mestieri tra i quali era compresa la musica (A
Venezia queste realtà erano conosciute come Ospedali). Successivamente il nome conservatorio venne
usato solo per quegli istituti che si specializzavano nell’insegnamento della musica dando luogo così a
un’istituzione di tipo artigianale, orientata ad una professione musicale remunerabile. Nel Seicento e
Settecento i conservatori crescono per prestigio, per numero e diventano essi stessi sedi rinomate di
concerti diffondendosi in tutta Europa come scuola di musica “all’italiana”. Nell’Ottocento, dopo la
Rivoluzione francese , le istituzioni scolastiche e i conservatori vengono rette dallo stato con denaro
pubblico diventando scuole nel senso moderno del termine. Anche in questa nuova impostazione
ottocentesca continua a sopravvivere la vecchia separazione gerarchica: i musicologi devono saper
pensare, parlare e scrivere ma possono anche non saper suonare o cantare, mentre gli esecutori devono
saper suonare ma possono anche non saper “pensare” né tantomeno scrivere sulla musica.

- Situazione attuale e durata degli studi

Oltre ai paesi dell’Unione Europea vengono aggiunti la Norvegia e la Svizzera per vicinanza geografica e
culturale, nonché Canada e gli Stati Uniti in quanto molto vicini alla cultura europea. Si coglie
immediatamente una grande varietà di istituzioni e di modalità organizzative sia interne sia esterne. Ad un
situazione più attenta emergono due modelli principali:

- Il primo esalta la formazione pratica in istituzione specialistiche di alto livello, chiamate


prevalentemente conservatori, nelle quali la formazione teorica è abbastanza ridotta. Gli studi teorici
vengono affrontati nelle università dove però non è prevista né richiesta una formazione pratica. Nei
paesi che adottano questo sistema, soprattutto quelli di lingua neolatina, vi sono dunque molti
conservatori che forniscono una formazione pratica e poche università che forniscono una formazione
teorica.

- Il secondo modello è quello che propone un’integrazione tra formazione pratica e teorica nelle
università dove è possibile affrontare sia studi strumentali e compositivi sia teorici ed è quindi possibile
articolare piani di studi integrati. Nei paesi che adottano questo modello, soprattutto quelli anglofoni, vi
sono molte università nelle quali è possibile ottenere una formazione musicale teorico-pratica e pochi
conservatori nei quali predomina la formazione pratica. Questo tipo di integrazione è avvenuta anche in
Germania e sta avvenendo in Spagna.

Un discorso a parte merita la formazione degli insegnanti: è infatti una conquista abbastanza recente la
convinzione che non basti possedere conoscenze teoriche e pratiche di una determinata disciplina per
saper insegnare ma è necessario acquistare gli strumenti propri della didattica generale e disciplinare.
In alcuni paesi questa convinzione è maturata prima, in altri dopo, ma gradualmente tutti stanno
predisponendo corsi di studio per la formazione pedagogico-didattica degli insegnanti di musica:
innanzitutto quelli di educazione musicale, forse anche perché si tratta di un insegnamento diverso dagli
strumentali e inserito nelle scuole generali. Più lento invece è il cammino per gli insegnanti di strumento,
composizione, discipline musicali teoriche, per i quali resiste ancora qua e là la convinzione che basti
conoscere la storia della musica o saper suonare lo strumento per saperlo insegnare.

In Italia abbiamo una cinquantina di conservatori e alcune facoltà universitarie che hanno solo corsi teorici.
*Una recente legge del dicembre 1999 ha approvato la trasformazione dei conservatori in istituti
superiori di studi musicali ai quali si accede con la secondaria superiore e che dalla fine del 2000
dipendono dal ministero dell’Università. Nei conservatori italiani i percorsi di studio sono ancora
disciplinati dal regio decreto del 1930 con il quale, su suggerimento di Alfredo Casella, veniva dato un
forte impulso al concertismo virtuosistico. Solo un decreto del 1992 aveva permesso di aggiungere nuove
discipline accanto alla “materia principale”, le cosiddette “materie complementari”, alcune obbligatorie
per tutti (Es: teoria, solfeggio e dettato musicale, storia della musica, armonia) altre solo per alcuni (Es:
quartetto per gli strumenti ad arco). L’età minima di ammissione al conservatorio è 11 anni tranne che per
canto (sedici per le ragazze e diciotto per i ragazzi), e la durata degli studi di ogni materia principale varia da
un minimo di cinque anni (canto) a un massimo di dieci. La fascia superiore dura generalmente due anni e
in qualche caso tre. Passando all’università, i corsi di laurea completi in discipline musicali attualmente
sono due: corso di laurea in discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo (DAMS), indirizzo Musica
presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna (sono stati parzialmente attivati anche a
Torino, Roma, Cosenza e Palermo)e la Scuola di Paleografia e Filologia musicale dell’Università di Pavia
con sede a Cremona. Di recente istituzione è il corso di laurea in Conservatorio dei Beni culturali – Indirizzo
dei beni musicali, attivato nell’Università di Bologna, Lecce, Parma, Udine e Venezia. Riguardo alla
formazione degli insegnanti della scuola secondaria esiste in conservatorio la scuola quadriennale di
Didattica della musica articolata su cinque discipline tutte quadriennali: Pedagogia musicale, Elementi di
composizione, Direzione di coro e repertorio corale, Storia della musica, Pratica della lettura vocale e
pianistica.

* Situazione cambiata con la nuova riforma

Il modello di studio integrato, in Gran Bretagna, fondato sull’esigenza sempre più sentita che per capire
la musica sia necessario saperla suonare o cantare ha portato a una rivoluzione nei programmi di studio
universitari, così che accanto agli studi musicologici tradizionali vi è stato un gran fiorire di studi “pratici”,
divisi in tre livelli di studio: Bachelor, Master, Doctorate. I conservatori si dedicano alla formazione pratica
di alto livello e solo recentemente hanno incominciato a dare un certo rilievo agli studi teorici. Lo stesso
modello si trova negli Stati Uniti dove però vi sono diversi tipi di università: grandi università statali, dove
è possibile affrontare studi di qualunque tipo e quelle piccole che generalmente arrivano al primo livello
(Bachelor). I conservatori, prevalentemente privati, sono invece pochi e sono dedicati alla formazione
pratica; solo raramente offrono anche studi teorici.

Ci sono anche tipologie di istituzioni con caratteristiche proprie, orientate alla formazione pratica: il
Conservatorio Nazionale Superiore di Musica di Parigi, una struttura pubblica che offre insegnamento
gratuito, famoso per essere una sede che punta al virtuosismo, oppure la Juliard School di New York, una
struttura privata.

- Tipologia degli studi

Gli sviluppi della musica, degli strumenti e dei diversi usi sociali che si sono andati affermando dagli anni
Cinquanta in poi hanno fatto emergere nuovi campi di indagine, nuove tecniche e quindi nuove professioni.
La concezione che la musica colta fosse “la vera musica” si è andata gradualmente sgretolando.
Indubbiamente l’insegnamento di tutti gli strumenti dell’orchestra sinfonica continua a essere presente nei
vari paesi, anche se con una distribuzione sul territorio diversificata in base alla domanda. Già nello stesso
campo strumentale possiamo mettere in evidenza la recente attenzione rivolta al settore della musica
antica, medievale, rinascimentale e barocca che ha portato all’istituzione di corsi di studio relativi agli
strumenti e alle prassi esecutive di diverse epoche storiche. All’estremo opposto, storicamente parlando,
si segnala il settore della musica contemporanea, dove trova spazio di notevole rilievo la musica
elettronica: dai primi strumenti elettronici degli anni Venti, alla musica elettronica vera e propria,
all’informatica musicale, oggi sono stati fatti passi da gigante e sono molti ormai i paesi che prevedono
corsi in musica elettronica orientati certamente alla composizione ma anche a quelle professioni che
richiedono un uso sofisticato di strumenti elettronici e informatici in ambito musicale (Es: Tecnico del
suono, studi di registrazione…). Accanto agli studi musicologici si va diffondendo l’istituzione
dell’etnomusicologia, spinta da diversi fattori: Bartòk e i suoi studi sulla musica contadina, l’interesse per
l’avanguardie novecentesche per il primitivismo africano o l’esoterismo orientale. La rivisitazione del
concetto stesso di musica e l’interesse per le funzioni sociali del far musica favoriti dall’etnomusicologia
hanno preparato il terreno all’affermarsi del jazz e della popular music come campi degni di studi
professionali di livello superiore (Es: Berklee College of Music di Boston). Un settore interessante è quello
relativo alla gestione e amministrazione dell’industria musicale nato da fattori quali l’allargamento del
mercato, delle sedi e delle modalità di circolazione della comunicazione musicale. Infine sono presenti
anche corsi di studio orientati alla gestione di biblioteche, musei, collezioni e archivi musicali compresa la
manutenzione e il restauro.

- Il sistema dei crediti

L’Unione Europea (come il resto dei paesi) spinge a confronti sempre più serrati e la crescente mobilità tra i
vari paesi, facilitata dalle recenti norme, fa sentire maggiormente la necessità di forme di equivalenza tra i
titoli professionali. Il sistema dei crediti, intesi come indicazione del carico di lavoro totale richiesto agli
studenti, che va diffondendosi, costituisce un passo avanti, ed unito alla suddivisione degli studi superiori
in due-tre livelli favorisce la mobilità degli studenti sia tra facoltà, sia tra livelli, sia tra atenei.

EDUCAZIONE MUSICALE E MASS MEDIA

I media sono stati molto influenti per plasmare la percezione e l'acquisizione della conoscenza
soprattutto tra i giovani.

La fruizione dei media, infatti, abitua e predispone alla ricerca di stimoli che si modificano continuamente,
ad altissima velocità e attraverso più sensi simultaneamente, costruiti con criteri del tutto opposti a quelli a
cui è classicamente improntata una lezione frontale, una conferenza o una qualsiasi lettura. Nello stesso
tempo, possiamo considerare i media come "una grande scuola di musica", una sorta di ambiente
d'apprendimento, dove tutti i ragazzi coltivano le loro competenze musicali.

-Condotte musicali

Per rendersi conto di quali competenze musicali acquisiscano attraverso i media dovremo prima analizzare
le loro condotte musicali, ovvero sulle motivazioni, le finalità in base alla quali organizzano le loro azioni
spontanee intorno alla musica.

Molte volte è il piacere di un gioco senso-motorio rincontrabile da coloro che cercano nell'ascolto una
musica caratterizzata da determinati aspetti; il rilievo maggiore è conferito in genere ai tratti metrico-
pulsivi (pulsazione, metro, ritmo) e al sound (altissimo volume, elettronica). Per altri ragazzi e ragazzi,
come per molti adulti, il piacere della musica è invece più simile a un gioco simbolico: il gusto dell'ascolto
consiste soprattutto nel fatto che la musica può essere assunta come punto di partenza e tramite per
sognare e fantasticare (immedesimandosi nei testi ad esempio), l'identificazione affettiva è veicolata dalla
melodia, più che da tratti ritmici e trova certamente determinanti, ancora una volta, i caratteri timbrici del
sound, vocale e strumentale. Anche nella scelta degli ascolti musicali, il sound che i ragazzi selezionano, con
prontezza estrema, è quello che, in un certo modo, riconoscono come loro, li rappresenta. Il problema
pedagogico e didattico consiste il più delle volte nel riuscire a valorizzare e integrare, tenendo conto delle
finalità educative a cui la scuola è chiamata, tutte le condotte musicali.

-Cultura musicale dei ragazzi

La cultura musicale dei ragazzi, non è frutto di lettura o conoscenza , ma di familiarità e si acquista con
l’esposizione a fonti di oralità primaria (amici/parenti) e oralità secondaria (ottenuti dai media).
Un secondo carattere comune è quello di appropriarsi a tutti i livelli della canzone cui in questo momento
si sentono legati (Es: l’insegnante di educazione musicale fa studiare le note della canzone per poterle
suonare sullo strumento utilizzato a scuola, che in genere, nel nostro paese, è il flauto dolce. Difficile
immaginare un sound meno rockettaro, ma persino a questo si arriva). In terzo luogo, c’è la tendenza a
interpretare gli oggetti musicali (un brano musicale) in base a codici ed etichette convenzionali e
standardizzati ma utilizzandoli in contesti diversi (Es: La Cavalcata delle Valchirie può essere usata in un
film per suggerire velocità e potenza o per sottolineare una scena di inseguimento).

-Integrazione educazione musicale/mass media

Esistono tre tipologie di insegnanti che suggeriscono la valorizzazione delle conoscenze musicali offerte dai
media:
- L’insegnante eclettico è quello che riconosce che in ogni canzone, in ogni jingle c’è qualcosa da imparare:
un meccanismo, un trucco musicale (ritmico, timbrico, melodico, ecc.) che i ragazzi, giocando a “fare il
musicista”, possono essere messi in grado di scoprire, all’inizio semplicemente imitando. ( Es: un giro
armonico semplice che fa da base a moltissime canzoni).

-L’insegnante etnologo che spera di poter guidare gli studenti a capire che la musica è un modo di
conoscere il mondo e che è possibile riconoscere nei vari stili popular, attraverso i loro aspetti strutturali ed
esecutivi, l’impronta di situazioni o di mutamenti in corso nelle nostre società occidentali. (Es: il perché
della nascita di alcuni generi musicali).

-L’insegnante simpatico da spazio in classe, per quanto possibile, alle varie condotte musicali avendo come
premesse la convivenza civile e democratica a scuola. Lo scambio tra le varie identità avviene con la
cooperazione. All’insegnante simpatico la popular music interessa in quanto è un canale privilegiato per
dare spazio all’esperienza dei ragazzi, per fare tesoro delle loro emozioni: a dunque capito che, più ascolta
gli allievi, più si sintonizza con le loro motivazioni.

MULTICULTURALISMO NELL’EDUCAZIONE MUSICALE


La questione dell’educazione multiculturale e/o interculturale è esplosa con evidenza, soprattutto in
Europa, con l’intensificarsi, negli ultimissimi decenni, dei flussi migratori dai paesi più poveri verso quelli
più ricchi. Per l’integrazione delle varie culture, il dialogo interculturale e la convivenza democratica, si è
data valorizzazione alle forme di comunicazione non verbale (compresa la musica).

Un primo punto da chiarire è la differenza tra multiculturalità e interculturalità: per multiculturalità si


deve intendere soprattutto la pacifica convivenza di culture o aspetti di culture diverse, non
necessariamente comunicanti tra loro; per interculturalità un’interazione dinamica tra le culture.

La multiculturalità, in altre parole, è parte costituente del panorama musicale contemporaneo. Sul piano
didattico questo dato di fatto pone l’insegnante in una posizione obbligata: formare alla musica di oggi
vuol dire formare alle musiche. Un insegnante di educazione musicale che formasse i suoi allievi solo
nella conoscenza della musica colta occidentale svolgerebbe un compito inadeguato ai tempi. Primo
obiettivo di un approccio multiculturale all’educazione musicale dovrebbe essere quindi la definizione di
conoscenze e di metodi analitici che mettano in grado gli studenti di apprezzare qualsiasi proposta
musicale. Il secondo obiettivi dovrebbe essere l’abitudine a una tolleranza musicale, ovvero al
riconoscere pari dignità a tutte le espressioni musicali. I bambini, e soprattutto gli adolescenti, tuttavia,
per ragioni affettive e cognitive, sono tutt’altro che relativisti dal punto di vista musicale. L’adesione a una
corrente musicale è talvolta così profonda da diventare una passione esclusiva che rende poco disponibili
verso altri generi. Anche il raggiungimento della tolleranza musicale, quindi, necessita di specifiche
strategie didattiche.

L’interculturalità, definita come un “territorio, artificialmente costruito, del confronto culturale”, è


riscontrabile nella world music: è possibile riprodurre nelle attività scolastiche i procedimenti creativi che
danno vita alla world music, ovvero il confronto diretto con prodotti culturali variegati allo scopo di
produrne uno nuovo.

Dal punto di vista musicale quindi la differenza tra il concetto di multiculturalità e di interculturalità sembra
più labile che in altri ambiti culturali in quanto è facile il verificarsi di casi di avvicinamento e interscambio
tra esperienze musicali diverse.

È stato richiesto alle discipline musicali di svolgere un ruolo di mediazione nei confronti degli alunni
stranieri in quanto la musica può riuscire a sbloccare situazioni di incomunicabilità verbale, di chiusura e
di disagio profondo. L’educazione musicale, in altre parole, deve adeguarsi a una società multi-musicale
dando a tutti gli strumenti necessari per viverla e interpretarla; viene messo in risalto l’approccio ad una
prospettiva mondiale e viene incoraggiata la tradizione orale, allo scopo di offrire forme alternative di
trasmissione agli attuali sistemi di notazione.

L’obiettivo principale, in conclusione, è preparare i ragazzi ad una società “planetaria”, che sia terreno di
libero confronto e di libere scelte anche sul piano musicale, ma i particolarismi, gli integralismi, i
separatismi, i vari tipi di razzismo, che sono all’ordine del giorno in molte parti del mondo, potrebbero
trascinare con sé anche la musica in una dolorosa “controtendenza”. Talvolta gli esperti, dibattendo sulle
finalità dell’educazione musicale multiculturale, hanno sostenuto che non si possono confondere tra loro
terreni che devono rimanere separati: insegnare non è far politica, la musica non deve necessariamente
diventare una bandiera. L’educazione musicale multiculturale può aiutare in un processo educativo al
rispetto, alla tolleranza, alla valorizzazione delle differenze, alla ricerca creativa di soluzione ibride per
cresce culturalmente ma per far questo non valgono le “scorciatoie”: è necessario un lavoro minuzioso di
conoscenza delle diverse culture, in cui la musica sia la vera protagonista e non il motivo di contorno o
supporto di ideali positivi anche se fondamentali.

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